Uno sconto di pena che crea meno danni di quanto possono creare queste galere disumane Il Mattino di Padova, 17 febbraio 2014 "Decreto svuota-carceri: a Padova in 450 chiedono di uscire": ma che cosa può immaginare, un lettore che sa poco di carcere, a leggere questo titolo? Probabilmente che dietro i cancelli del Due Palazzi premono tutti questi detenuti, che sono lì lì per essere liberati, appena gli verrà concesso il nuovo sconto di pena previsto da questo decreto. Ma le cose non stanno esattamente così: ci sono, sì, moltissime domande di detenuti che chiedono questo nuovo sconto di pena (al massimo si tratta di otto mesi, per chi è in carcere dal 2010, sempre che si sia comportato in modo quasi perfetto), non certo però "domande di uscire", perché ogni detenuto chiede la liberazione anticipata, anche se poi magari la sua prospettiva è di uscire fra dieci o fra venti anni. Naturalmente però l’effetto è molto più forte se si dà l’idea che grazie a quel decreto le strade della nostra città si riempiranno presto di delinquenti. Ecco perché vogliamo tornare a parlare di questo modesto sconto di pena, che crea meno danni di quanto oggi possono creare delle galere disumane e degradanti. Perché comunque le persone, qualche mese prima o qualche mese dopo, poi finiscono di scontarla, la pena, e allora poniamoci piuttosto il problema di come la scontano. Quello sconto di pena non è certo un regalo Ormai, dopo le condanne della Corte europea, chi si occupa del problema del sovraffollamento ha compreso che bisogna umanizzare il carcere. Da più parti arrivano dichiarazioni politiche, sentenze, leggi e circolari che affermano la necessità di rendere la galera umana. Ma come si fa? Rendendo le celle più spaziose? Quando parlo di condizione carceraria con gli studenti, mi basta chiedergli come si sentirebbero se fossero chiusi nella loro camera per un lungo periodo, per fargli capire che, per quanto una cella sia confortevole, se non si esce di lì, è sempre una tortura. Tuttavia, solo pochissimo tempo fa c’erano ministri e parlamentari di questo Paese che definivano le nostre galere degli "hotel a cinque stelle", dove "hanno persino il televisore in cella". E tuttora sono in tanti ad opporsi all’introduzione dei colloqui intimi perché l’amore è considerato ancora un lusso che ai detenuti non si può permettere: insomma, non sono degni di essere trattati come esseri umani. Nelle discussioni che si fanno tante volte in carcere ci siamo chiesti allora cosa renderebbe la galera più umana, e la risposta quasi corale è stata: "La galera che ti offre la speranza di uscire gradualmente, prima del fine pena, è una galera più umana". Insomma, una galera non può essere mai umana, ma può essere vissuta in modo più umano se c’è qualcosa da guadagnare, anzi se si può guadagnare la libertà. La convivenza forzata ha a che fare con tanti aspetti della vita delle persone, siano detenuti, agenti o operatori. E se anche all’interno di ogni famiglia è necessaria spesso una mediazione dei conflitti, immaginarsi cosa succede in un reparto di 75 detenuti che ne dovrebbe contenere 25, e con una decina di agenti che si danno il cambio in quattro turni: la gestione delle dinamiche che si sviluppano sarebbe impossibile se non ci fosse un sistema di premi, o meglio un sistema che faccia sperare. È dimostrato che le maniere forti non funzionano per mantenere l’ordine e mediare i conflitti, anzi non fanno altro che innalzare il tasso di violenza. Personalmente ho vissuto per cinque anni in un reparto di Alta sicurezza dove non si aveva nulla da perdere, essendo tutti esclusi dalle misure alternative. Si poteva solo avere la liberazione anticipata, ovviamente se il detenuto dimostrava un’attitudine collaborativa. Ecco, in quei cinque anni ho preso solo un semestre di liberazione anticipata. Di certo mi avrebbe fatto comodo lo sconto di pena, e quando il magistrato me lo ha negato, ho fatto persino un ricorso in Cassazione. Ma nel mio fascicolo c’erano alcuni rapporti disciplinari, sufficienti perché fossi ritenuto non meritevole dello sconto. Passavo il mio tempo studiando e siccome ero escluso dalle altre misure alternative, stavo attento ad avere perlomeno i giorni della liberazione anticipata, ma mi era successo qualche volta di alzare la voce, oppure di unirmi ad una protesta collettiva. L’agente aveva scritto un rapporto e il direttore aveva protocollato. Quindi niente sconto di pena. Ogni volta che si parla di sconti di pena, nasce puntualmente un dibattito sulla galera, e ogni sconto sembra un regalo. Chi conosce le galere sa che si potrebbe parlare di regalo solo se il condannato fosse un automa capace di vivere per anni in una cella con altri sconosciuti, in condizioni igieniche anche precarie, rispettando in modo ligio ogni regola interna senza perdere mai la pazienza di fronte ad un abuso e nemmeno di fronte alla malattia, o alla morte di un proprio caro. Ma la realtà è molto più complicata perché la galera è un intreccio di vite complesse, di malattie, di solitudini, di disuguaglianze economiche e culturali. La prospettiva di uno sconto di pena è l’unico motivo per cui le persone private della libertà accettano di convivere anche in condizioni di subire ulteriori privazioni. E più le condizioni sono inumane più lo sconto di pena dovrebbe essere alto. Non si tratta di un regalo, ma di giustizia, poiché, così come chi ha commesso un reato paga con la galera, chi invece non riesce a garantire i diritti, paga togliendo un po’ di galera. Elton Kalica Lo svuota-chiacchiere In Italia, una bugia detta tre volte spesso diventa una verità, specialmente quando è ripresa dalla stampa e dalla televisione. E il decreto originariamente partito come un provvedimento contro il sovraffollamento carcerario per "sanare" la condanna della Corte europea contro il nostro Paese per atti inumani e degradanti è stato ribattezzato dai mass media "svuota carceri". In questo modo la montagna ha partorito un topolino perché s’è scatenata la bolgia di chi la sparava più grossa: "Un favore alla mafia", "Fuori migliaia di tossicodipendenti nelle strade a rapinare", "Usciranno molti condannati per reati finanziari e politici corrotti". Quest’ultima affermazione mi ha fatto amaramente sorridere perché nella grandissima maggioranza dei casi in carcere ci sono tossicodipendenti, immigrati e poveri cristi. I condannati nati con la camicia o che hanno qualche santo in paradiso in carcere non ci vanno quasi mai. E se ci vanno perché hanno rubato qualche milione di euro, vanno per lo più agli arresti domiciliari per qualche giorno nelle loro ville serviti dai loro domestici. Sembra incredibile ma ha fatto più scandalo la "medicina" per rispettare la Convenzione dei Diritti dell’uomo che la stessa condanna (e vergogna) che ha subito lo Stato italiano per trattamenti inumani e degradanti. Infatti, quasi nessun autorevole giornalista della carta stampata e della televisione ha scritto e ha detto che lo sconto di pena per buona condotta, che all’inizio nel testo del decreto era per tutti i condannati, era comunque a tempo e solo di pochi mesi. Quasi nessun autorevole politico, per non perdere consenso elettorale, ha dichiarato che se una persona va in carcere per avere commesso dei reati, una volta dentro non dovrebbe essere punita di nuovo con un trattamento inumano e degradante. Quasi nessun autorevole magistrato ha detto che le sofferenze del sovraffollamento nelle nostre patrie galere non migliorano certo le persone ma le incattiviscono. E che poi, quando molti di loro usciranno, avranno più probabilità di commettere un reato. Per quel poco che possono contare queste cose, le dico io, ergastolano condannato a essere cattivo e colpevole per sempre. Aggiungo, per quello che può servire, che l’Italia ha appena subito un’altra condanna da parte della Corte europea per violazione dei diritti umani (Contrada contro Italia). E che nel carcere di Vibo Valentia s’è suicidato un altro detenuto, e un altro ancora in quello di Opera, il sesto caso nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno. Queste notizie però per i mass media italiani non sono rilevanti, per loro sono più importanti le polemiche scaturite dallo "svuota-carceri". Carmelo Musumeci Giustizia: Severino, Orlando, Vietti o Pomodoro… cercasi l'intesa per ministro garantista di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 17 febbraio 2014 "Non accetteremo mai al ministero della Giustizia un giustizialista. Noi vogliamo un garantista" ha avvertito ieri il leader di Ncd, Angelino Alfano, aggiungendo di non aver fatto nomi al Presidente della Repubblica ma di aver posto questa "condizione" per entrare nel governo. Di rimando, i fedelissimi di Matteo Renzi preferiscono rilanciare sulle priorità: "Bisogna uscire dalla logica giustiziai isti/garantisti e cominciare a pensare a come far funzionare il servizio giustizia" dice David Ermini, aggiungendo che su questo punto "Matteo ha le idee chiarissime". "Le priorità della giustizia vanno di pari passo con quelle della ripresa economica e del lavoro e quindi partono dalla giustizia civile, che arranca, va velocizzata e deve dare certezza ai rapporti - spiega Alessia Morsili, responsabile Giustizia Pd. Quanto ai giustizialisti, non piacciono neanche a me, il garantismo deve tornare a essere centrale e quindi ci vuole un ministro molto equilibrato". Al dì là delle etichette, è certo che il nuovo inquilino - o la nuova inquilina - di via Arenula non potrà prescindere dal gradimento di Alfano. Di qui la caduta delle quotazioni di alcuni papabili, il vicepresidente del Csm Michele Vietti pur avendo le carte in regola per traslocare al ministero (compreso l’appoggio del Quirinale), non piace al nuovo centrodestra e neanche al "vecchio", se è vero che Silvio Berlusconi ha posto un veto sulla sua persona. "Allora meglio Paola Severino" osserva un esponente di Ncd - citando un’altra papabile che sta nel ventricolo sinistro del Colle - ma solo come scelta "residuale", precisa, perché è vero che l’ex guardasigilli ha garantito il compromesso sulla legge anticorruzione, ma è anche vero che ha aperto la strada "a quella porcheria che è la riforma della geografia giudiziaria". Anche i renziani non sono entusiasti del ministro "tecnico" Severino, "una personalità che comunque gira nel mondo romano della politica". Semmai, d’accordo con gli alfaniani, preferiscono un politico puro, come il "giovane" Andrea Orlando del Pd, area Franceschini, ex responsabile giustizia nella scorsa legislatura divenuto ministro dell’Ambiente con Enrico Letta, che nel 2010, con Berlusconi al governo, lanciò sul Foglio le proposte per una riforma della giustizia "condivisa" e non ha mai smesso di essere un "dialogante". La "priorità" della giustizia civile potrebbe essere il collante di quest’ennesima "strana maggioranza". Ma che cosa fare degli altri temi "scabrosi", molti dei quali rinviati di governo in governo in attesa di una stabilità politica mai raggiunta? Che cosa fare delle modifiche alla legge sulla corruzione, della prescrizione, del falso in bilancio, del la responsabilità e civile dei magistrati? E della nuova geografia giudiziaria, unica riforma approvata in funzione dell’efficienza, che di qui a settembre 2014 rischia di essere svuotata. Come arrivare, infine, all’appuntamento di maggio con la Corte di Strasburgo sul sovraffollamento delle carceri? Se su questo punto sembra esserci condivisione almeno sulle misure già in Parlamento (custodia cautelare e messa alla prova), sugli altri temi prevale il silenzio, la cautela, il tatticismo per non turbare i precari equilibri del costituendo governo. Peraltro, neppure sulla giustizia civile la strada è in discesa, come dimostra il ddl del governo Letta per velocizzare il processo, approvato prima di Natale tra le proteste degli avvocati ma non ancora approdato alle Camere. La scelta del nuovo ministro non potrà prescindere dal perimetro del programma. "Bisogna prima capire da che parte si comincia" insistono i renziani, convinti che il guardasigilli "sarà uno degli ultimi ad essere scelto" ma sarà "di grande profilo ed equilibrio". Tra l’altro, non sarà ininfluente rispetto alla decisione finale che, entro il 2014, bisogna nominare ben quattro giudici costituzionali (due dal Parlamento e due dal Quirinale) e sarà eletto un nuovo Csm. Tra i papabili, oltre a Vietti, Severino e Orlando, anche la presidente del Tribunale di Milano Livia Pomodoro, il presidente della Corte d’appello di Torino Mario Barbuto, Domenico Manzione, magistrato, nominato sottosegretario al ministero dell’Interno in quota Renzi, l’ex presidente della Consulta Giovanni Maria Flick, già guardasigilli con Romano Prodi. Da giorni, però, circola anche un altro nome autorevole su cui potrebbero convergere renziani, Ncd e Sc, quello di Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, che Giorgio Napolitano nominò componente della squadra di "saggi" sulle riforme istituzionali. Giustizia: Renzi contrario ad amnistia e indulto, l’attenzione è tutta per il decreto-carceri di Marcello Tansini www.webmasterpoint.org, 17 febbraio 2014 Con il nuovo governo le decisioni in materia di giustizia potrebbero cambiare. Matteo Renzi si è sempre dichiarato scettico su amnistia e indulto. Amnistia e indulto: le novità della settimana. A questo punto non resta che domandarsi cosa potrebbe accadere alla giustizia italiana, e in particolare ai provvedimenti di amnistia e indulto, con l’arrivo del governo Renzi. Uno dei ministri di cui viene data per certa la sostituzione è proprio quello di via Arenula. In lizza per la sostituzione di Annamaria Cancellieri c’è Michele Vietti, già vicepresidente del Csm. Sul tavolo della giustizia ci sono sia il decreto carceri, da poco approvato dalla Camera dei deputati, e i vari disegni di legge sulla concessione della clemenza ai detenuti, pensati per svuotare gli istituti penitenziari. La posizione di Matteo Renzi sul tema della giustizia e in particolare su amnistia e indulto è nota da tempo. Riconosce che "le carceri sono in una situazione disumana" e che "non affrontare questo tema è vergognoso", ma pensa che votare un provvedimento di clemenza, finalizzato a svuotare le carceri, a distanza di otto anni dall’ultimo provvedimento, sarebbe "un clamoroso autogol". Dice sì alla costruzione di nuove carceri, "come è accaduto in tutto il resto d’Europa". Ma "l’idea che siccome le carceri sono piene, le svuotiamo per la seconda volta in sette anni con un indulto è inaccettabile". Le ragioni? "Elimina la certezza del diritto", "alimenta la sfiducia verso una classe politica", "svuota le carceri senza assicurare ai territori" le risorse necessarie per il reinserimento degli ex detenuti. Le maggiori attenzioni sono dunque indirizzate sul decreto carceri. Fra le novità c’è la nascita del Garante nazionale dei detenuti per la tutela extra-giudiziale dei diritti dei carcerati, il cui collegio di 3 membri resta in carica per 5 anni ed è composto da persone senza cariche istituzionali. E soprattutto le nuove regole per la liberazione anticipata speciale da 45 a 75 giorni a semestre e la possibilità di scontare ai domiciliari la pena detentiva non superiore a 18 mesi. Governo: coordinatore Garanti detenuti; serve sottosegretario per carceri e delega droghe Ansa, 17 febbraio 2014 "La scadenza offerta all’Italia della Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo per le superare la situazione di violazione dei diritti umani e la condanna per trattamenti disumani e degradanti nelle carceri, è fine maggio. Noi garanti stiamo guardiamo con attenzione alla scelta del ministro della Giustizia: occorre una persona non solo sensibile a questa emergenza, che lo stesso Capo dello Stato Giorgio Napolitano ha indicato nel suo messaggio alle Camere, ma che vi dedichi un’attenzione straordinaria". È l’appello del coordinatore dei garanti delle carceri, Franco Corleone, che chiede di "individuare una persona con responsabilità specifiche sulla riforma del carcere e del sistema penale", incaricando se necessario "un sottosegretario a cui da subito dare la delega. Non si tratta - spiega Corleone - solo di adeguamento del carcere, la questione è ben più ampia e lo ha dimostrato la sentenza della Consulta sulla Fini-Giovanardi: da anni il coordinamento garanti e associazioni che si occupano di giustizia sollecitavano una riforma della legge sulla droga, perché causa del sovraffollamento carcerario, ma il silenzio della politica ufficiale ha acuito i problemi. Ora la sentenza li avvierà a soluzione, ma è sempre una supplenza rispetto alla politica e non può essere la condizione definitiva", sottolinea Corleone. Il suggerimento è di ripartire dal lavoro fatto al ministero della Giustizia dalla commissione presieduta dal giurista Glauco Giostra, membro laico del Csm, che ha già messo a punto un pacchetto su giustizia e carceri. "Un’altra preoccupazione - aggiunge Corleone - è individuare un sottosegretario (alla Presidenza del Consiglio, sotto le politiche sociali, le soluzioni possono essere varie) con la delega sulle droghe: non è più tollerabile che Dipartimento antidroga sia autoreferenziale e non risponda a nessuna istanza politica, come è successo in questi anni con la direzione Serpelloni. Da anni, tra l’altro, il governo latitante su conferenza nazionale sulle droghe, prevista ogni tre anni, e che non si è più fatta". Il 20 a Milano riunione coordinamento garanti "Giovedì 20 febbraio si riunirà a Milano il coordinamento dei garanti delle carceri: se per quella data saranno già stati affidati gli incarichi di governo, chiederemo da subito un incontro. Altrimenti, fin d’ora ci preme sottolineare che siamo disponibili a dare pareri e suggerimenti al presidente incaricato sul delicato problema delle carceri". Lo afferma il coordinatore dei garanti, Franco Corleone, che guarda con attenzione al lavoro di formazione del nuovo governo in funzione dei problemi che riguardano il sistema giustizia e la rete degli istituti carcerari. La riunione si terrà a Palazzo Marino a partire dalla 10.30. Giustizia: sciopero avvocati fino a giovedì, per protesta contro "deterioramento sistema" 9Colonne, 17 febbraio 2014 Da domani a giovedì gli avvocati italiani si asterranno da tutte le udienze per protestare contro il "deterioramento del sistema giudiziario in Italia e l’introduzione di ulteriori ostacoli per l’accesso alla giustizia per il cittadino". Aiga, Associazione italiana dei giovani avvocati, sarà in prima linea nella manifestazione indetta a Roma per giovedì dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura (Oua) e annuncia una simbolica azione davanti alla Cassazione. "Quando si assiste all’assunzione di scelte che vengono qualificate come operazioni volte al miglioramento dell’efficienza del sistema giustizia ed invece sono completamente avulse dalle reali necessità e creano ulteriori ostacoli al cittadino si deve reagire" afferma la presidente di Aiga, Nicoletta Giorgi. "Il ministro della giustizia Annamaria Cancellieri - spiega Giorgi - nonostante le numerose riforme promulgate ha dovuto prendere atto che il contenzioso pendente e l’arretrato non è diminuito. Se, quindi, in uscita non aumentano i numeri, il ministro cerca di ridurre quelli in entrata con una serie di strumenti che poco apportano al miglioramento del sistema giustizia: l’aumento di costi per le spese di iscrizione a ruolo delle cause, la previsione di un ulteriore pagamento per avere la motivazione della sentenza, la previsione di una responsabilità solidale del legale per le cause che venissero qualificate come temerarie, interventi sul processo esecutivo poco incisivi. Quella dell’Avvocatura è una protesta per il cittadino, perché non subisca l’ennesima vessazione in nome di un principio di efficienza che elida il diritto di difesa". Giustizia: "No Tav"… i nostri figli non sono terroristi di Mauro Ravarino Il Manifesto, 17 febbraio 2014 "Hanno scelto di difendere la vita di un territorio, non di terrorizzarne la popolazione". Lo scrivono i familiari dei No Tav Claudio Alberto, Mattia Zanotti, Chiara Zenobi e Niccolò Blasi, arrestati il 9 dicembre scorso con l’accusa di terrorismo e tuttora detenuti in carcere, in regime di massima sicurezza, che "comporta l’isolamento, due ore d’aria al giorno, quattro ore di colloqui al mese, lettere controllate". La Procura di Torino li considera i responsabili dell’attacco al cantiere dell’alta velocità di Chiomonte, nella notte fra il 13 e il 14 maggio 2013. "In quell’assalto è stato danneggiato un compressore, non c’è stato un solo ferito. Ma l’accusa è di terrorismo perché ‘in quel contestò e con le loro azioni presunte ‘avrebbero potutò creare panico nella popolazione e un grave danno al Paese. Quale? Un danno d’immagine". Poi, precisano: "L’accusa si basa sulla potenzialità di quei comportamenti, ma non esistendo nel nostro ordinamento il reato di terrorismo colposo, l’imputazione è quella di terrorismo vero e volontario. Quello, per intenderci, a cui la memoria di tutti corre spontanea: le stragi degli anni 70 e 80, le bombe sui treni e nelle piazze e, di recente, in aeroporti, metropolitane, grattacieli. Il terrorismo contro persone ignare e inconsapevoli, che uccideva, che terrorizzava l’intera popolazione. Al contrario i nostri figli, fratelli, sorelle hanno sempre avuto rispetto della vita degli altri". I siti valsusini stanno diffondendo l’appello dei familiari: "Quale popolazione sarebbe terrorizzata? E può un compressore incendiato creare un grave danno al Paese? Le persone arrestate stanno pagando lo scotto di un Paese in crisi di credibilità. Ed ecco allora che diventano all’improvviso terroristi per danno d’immagine con le stesse pene, pesantissime, di chi ha ucciso, di chi voleva uccidere. È un passaggio inaccettabile in una democrazia. Se vincesse questa tesi - sottolineano i familiari -, da domani, chiunque contesterà una scelta fatta dall’alto potrebbe essere accusato delle stesse cose perché, in teoria, potrebbe mettere in cattiva luce il Paese, potrebbe essere accusato di provocare, potenzialmente, un danno d’immagine". I quattro No Tav sono stati trasferiti in diversi carceri di Alta sorveglianza, lontani dalla loro città. "Tutto questo prima ancora di un processo, perché sono "pericolosi" grazie a un’interpretazione giudiziaria che non trova riscontro nei fatti". Chiara Zenobi è stata trasferita dalle Vallette di Torino (città dov’è residente) alla casa circondariale di Rebibbia, Roma. Prima del trasferimento, in una lettera, scriveva: "Io, in questa gabbia ho i polmoni pieni della libertà che ho imparato ad amare lottando, tra i sentieri e per le vie". Venezia: parlamentari M5S visitano le carceri della Giudecca e di Santa Maria Maggiore La Nuova Venezia, 17 febbraio 2014 Visita a sorpresa, sabato mattina, di alcuni parlamentari veneti del Movimento 5 Stelle nelle carceri veneziane della Giudecca e di Santa Maria Maggiore. Alla Camera e al Senato hanno dato battaglia a quello che è stato chiamato il provvedimento "svuota carceri" firmato dal ministro Anna Maria Cancellieri e hanno presentato un loro progetto che, sulla carta, in due anni, potrebbe far uscire l’Italia dall’emergenza alli8neandola ai paesi europei più avanzati. "Pensavo di trovare una situazione molto peggiore", sostiene il senatore Gianni Girotto, che è stato a Santa Maria Maggiore e ha parlato con detenuti, agenti e direttore, "sono sotto organico con il personale e si trovato a gestire molti detenuti stranieri, si dovrebbe rimandarli al loro paese e far scontare loro la pena là e anche se dovessimo pagare noi spenderemmo sicuramente meno, visto in Italia per ogni detenuto si spende dai 150 ai 200 euro al giorno". Spiega che le celle restano aperte otto ore soltanto a piano terra, mentre negli altri piani restano aperte ancora metà tempo a causa di problemi organizzativi. "Bisogna investire di più sul lavoro e la formazione all’interno", aggiunge la deputata Arianna Spessotto, "ma qui non è facile visto che c’è un via vai continuo di detenuti che entrano ed escono e il sovraffollamento è ancora un problema, sono oggi 242 a fronte di una capienza di 150, anche se le cose stanno migliorando". la deputata Gessica Rostellato, invece, è stata alla Giudecca dove la situazione è sicuramente migliore: "La struttura è tenuta bene, lavorano in molte, le celle sono ampie e ho trovato una direttrice di grande professionalità e con grande entusiasmo". Pescara: attivato il primo "braccialetto elettronico", lo porta una detenuta 50enne Il Centro, 17 febbraio 2014 C’è voluta più di una settimana per attivarlo rispetto alla decisione del giudice di scarcerare la donna, ma alla fine alle 11 di ieri mattina è entrato in funzione il primo braccialetto elettronico attivato a Pescara (seconda in Abruzzo dopo L’Aquila). A beneficiarne è Giuseppina Insolìa, Pina, 51 anni, finita in carcere lo scorso 21 ottobre con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga. Un arresto scattato, con le altre 70 misure cautelari, nell’ambito dell’operazione Ellenika ed eseguito dai carabinieri che, coordinati dalla direzione distrettuale antimafia avevano stroncato un vasto traffico internazionale di droga dai Balcani che vedeva Pescara come snodo di spaccio nazionale. A distanza di quasi quattro mesi, mentre per quella stessa storia sono ancora in carcere il genero di Insolìa, Roberto Martelli, e il figlio Enzo (l’altro, Luca, ci entra come collaboratore di giustizia), il difensore della donna, l’avvocato Marco Di Giulio è riuscito a ottenere i domiciliari per la Insolìa che ha da accudire a casa un altro figlio. È così che, utilizzando la procedura di attivazione del braccialetto, prevista solo per i domiciliari e su disposizione del giudice (fermo restando il consenso del detenuto che può anche rifiutarlo e rimanere in carcere) è stato attivato ieri a Pina Insolìa. La novità è frutto di un contratto stipulato dal ministero dell’Interno con Telecom, che prevede la disponibilità di 2mila braccialetti elettronici e di terminali che si trovano nelle centrali operative di polizia, carabinieri e guardia di finanza. Si tratta di una cavigliera che deve essere indossata dal detenuto ai domiciliari e che è in grado di sopportare fino a 70 gradi di temperatura e 40 chilogrammi di trazione prima di rompersi. Nell’abitazione viene anche installata un’apparecchiatura, simile a una radiosveglia, che riceve i segnali del braccialetto all’interno di un perimetro ben definito: se il detenuto esce dal suo appartamento, o danneggia il braccialetto o la centralina, scatta subito l’allarme alla centrale operativa. Il sistema non è incompatibile con il rilascio di permessi di uscita dall’abitazione da parte del giudice: in quei casi l’orario di permesso viene inserito nel terminale dalla centrale operativa, in modo che per quelle ore il braccialetto non lanci l’allarme. Lauro (Av): anche nelle carceri italiane possono esserci le "ali della libertà..." di Valentina Soria popoff.globalist.it, 17 febbraio 2014 Uscire dall'emarginazione attraverso il lavoro. La costruzione di un elicottero in un carcere vicino Avellino. C'è chi, pur di terminare il lavoro, decide di restare dentro. Intervista a Beppe Battaglia nella Casa Circondariale Di Lauro. Battaglia racconta le criticità e l'importanza dei percorsi di reinserimento adottati dall'Icatt di Lauro. La libertà in un carcere è solitamente pensata dai detenuti come la fine della pena da scontare, se non, in casi estremi, come fuga dalla prigione. Esistono però storie diverse, straordinarie, in cui la libertà equivale a scegliere di restare. È accaduto a Ciro De Rosa, detenuto nella Casa Circondariale di Lauro, in provincia di Avellino. Ha rinunciato ai benefici dell'indulto pur di vedere i frutti di un lavoro, portato avanti nel carcere, che incarna la sua rinascita. Condannato a quattro anni per i reati di spaccio e rapina, Ciro, tossicodipendente, insieme ad altri due detenuti tossicodipendenti, Angelo Nenna e Giovanni Vembacher, ha preso parte ad un progetto di recupero, avviato nella struttura di Lauro: realizzare un elicottero totalmente in legno nel piccolo laboratorio di falegnameria di un istituto a custodia attenuata per tossicodipendenti. "Le ali della libertà", il nome del progetto, richiama alla mente la storia di Dedalo e Icaro e il loro sogno di scappare dal labirinto in cui Minosse li aveva rinchiusi. Al di là dell'evocazione simbolica si tratta di una realtà a tutti gli effetti: un aereo biposto, ultraleggero, in legno di abete, con una velocità di punta di trecento chilometri orari. È il primo progetto del genere realizzato in Europa da tre detenuti. È stato realizzato sotto la guida di Aurelio, maestro d'arte di Eboli. "Mi sono trovato a fare una scelta molto difficile", racconta Ciro, "oggi mi sento soddisfatto di me stesso, e consapevole di aver preso la decisione giusta, anche se io rientravo nella schiera di detenuti che poteva accedere all'indulto. Ho scelto di mia iniziativa di non presentare la richiesta, per poter concludere il progetto e tener fede alla parola data alle persone che hanno collaborato con me e che hanno creduto in me", continua Ciro, visibilmente emozionato, ma con voce fiera e gli occhi lucidi. "Quando l'aereo si alzerà in volo e sorvolerà il carcere dov'è stato costruito io alzerò lo sguardo al cielo", esclama ancora Ciro, colmo di speranza e di gioia. Il primo volo c'è stato dopo il collaudo. L'aereo dal 2012 è utilizzato nel settore della sicurezza come civetta antincendio e sorveglianza a mare. Un aereo realizzato interamente in legno (esclusa la motorizzazione e i comandi), in un luogo dove per definizione anche il sole fatica a infilare lo sguardo: il carcere. Un anno dall'inizio dei lavori è stato il tempo necessario alla completa realizzazione dell'opera, ultimata nel mese di marzo del 2012. Un tempo significativo, sottratto al fluire indistinto di vite anonime, ricco d'impegni, sacrifici, soddisfazioni, ma anche di risultati, di sfide che hanno il sapore della rivincita, del riappropriarsi di quella progettualità della vita che nutre e dà senso al nostro stare al mondo, troppo spesso sottratta alla vita dentro le mura carcerarie. "Sono molto riconoscente alla struttura di Lauro. Ho imparato a scontrarmi con i miei limiti, ad affrontarli e a non deviarli. Questo è stato l'insegnamento più grande", racconta Angelo Nenna, uno dei tre protagonisti del progetto. "Spero e aspetto il mio prossimo volo verso la libertà, un volo duplice: il mio fine pena e il decollo dell'aereo che ho contribuito a costruire". Mentre raccontano del loro lavoro i tre giovani hanno gli occhi colmi di gioia, la voce rotta dall'emozione, l'entusiasmo di chi con impegno, sacrificio e coraggio di mettersi in gioco, ha vinto la sfida, ma è consapevole che è solo l'inizio, che la vera sfida arriverà una volta fuori dal carcere. L'opportunità di imparare una professione è grande e loro lo sanno quanto sia importante acquisire delle competenze di alto livello spendibili nel mercato del lavoro, quando saranno persone libere. La Casa Circondariale di Lauro è un esempio concreto di avanguardia sul territorio nel progettare attività di recupero e reinserimento sociale, facendo sì che la pena tenda alla rieducazione del condannato. L'intervento combinato di: Sert (servizi per le tossicodipendenze), Uepe (uffici per l'esecuzione penale esterna), Regione Campania, ministero della Pubblica Istruzione, esponenti del privato sociale e delle associazioni di volontariato del territorio ha permesso di avviare una serie di progetti di recupero personalizzati. Si va dal laboratorio teatrale a quello di giornalismo, passando per il laboratorio di informatica e quello di video-maker. Si tratta di una delle pochissime realtà dove la legge e la dignità delle persone ristrette non sono optional facoltativi, e persino il sole fatica di meno a infilare il suo sguardo. L'elicottero è stato interamente costruito, pezzo su pezzo, da tre persone detenute, che dentro questo progetto hanno scoperto di possedere capacità insospettate. Il risultato è un prodotto di qualità, che il senso comune attribuisce a persone molto specializzate. L'acquisizione di questa consapevolezza ha suscitato nei tre produttori una determinazione nuova e diversa, come lo schiudersi di un'opportunità decisamente straordinaria per la propria esperienza di vita. Nuovi scenari per nuovi protagonisti. Via via che l'esperienza carceraria si sarà esaurita, intravedono, come loro stessi raccontano, la possibilità di continuare quest'attività lavorativa, che può segnare una rottura con la loro precedente storia ripetitiva e alienante, determinando quella re-inclusione nella vita sociale ed economica del Paese, dalla quale erano stati esclusi. Questo è l'obiettivo vero racchiuso nel progetto " Le ali della libertà". Non il gelo dei progetti confezionati altrove e calati dall'alto, che hanno il sapore di relegare le persone detenute al ruolo di semplici esecutori, come se fossero incapaci di pensare e progettare. Ciò che si legge negli occhi di questi uomini è una metamorfosi progressiva: il passaggio dall'incredulità iniziale alla passione successiva, in un moto virtuoso inarrestabile. Un progetto pensato, scritto e attuato, insieme alle persone detenute, dalla cooperativa l'Approdo e dall'associazione il Pioppo (due delle Agenzie che compongono la Fics, Federazione Internazionale Città Sociale) non sarebbe stato pensabile senza il coinvolgimento di tutti i soggetti dell'Istituto. "Troppo spesso la mentalità retrograda e le lungaggini burocratiche ostacolano qualsiasi iniziativa, a ciò si deve sommare un limite oggettivo: la mancanza di fondi e di personale. Alla luce di ciò è fondamentale inserire i progetti in un circuito commerciale e permettere un autofinanziamento delle attività", dichiara Michele Selitti, responsabile area dell'Icaat di Lauro. Un esempio attivo di quella pratica virtuosa che dovrebbe espandersi a raggiera, coinvolgendo non una, ma molte delle realtà penitenziarie che a oggi, specie in Campania, incarnano il dramma della negazione dei diritti inalienabili dell'uomo. È il margine che definisce il centro ed è perciò dal margine, anche se si tratta di una piccola struttura carceraria come quella di Lauro, con soli cinquanta detenuti, che può scaturire l'azione anticipatrice, il cambiamento necessario e possibile contro la cultura dell'arroganza e del pregiudizio. Bologna: leggere dietro le sbarre, se il carcere della Dozza è una biblioteca di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 17 febbraio 2014 Il loro mito cinematografico è il Tim Robbins de Le ali della libertà. E non solo o non tanto perché, vittima di un errore giudiziario, riesce a evadere. Ma perché la biblioteca del carcere diventa la sua ragione di vita, la chiave per aprire le porte del futuro. Distribuiscono e divorano libri i detenuti della Dozza. Le biblioteche di via del Gomito sono salite a nove, grazie all’impegno di Laura Luchetta di Coop-ausilio e degli altri volontari. L’ultima nata è la biblioteca del padiglione semiliberi e va ad affiancarsi a quella centrale e alle "succursali" aperte nei reparti giudiziari, del penale, dell’infermeria, dell’alta sicurezza e della sezione femminile. A gestirle sono detenuti volontari, da anni non retribuiti perché i soldi per pagare i lavoranti sono sempre meno. Il patrimonio è frutto di donazioni e regali e supera i 12mila volumi, per motivi di sicurezza non scambiabili tra raggi. Ma quando i titoli di interesse dentro non ci sono, compilando un modulo è possibile richiederli a Sala Borsa e farseli recapitare. Nel 2013, dice un report pubblicato dal portale Bandiera Gialla, ne sono stati portati 1.867. Vanno per la maggiore i saggi e la narrativa. Piacciono i fumetti e i gialli. E c’è fame di opere e vocabolari in lingue straniere, dall’arabo all’urdu, dal romeno al russo. Dietro le sbarre leggere non è però scontato o facile come potrebbe sembrare. "Se è un modo per distrarsi e uno svago - è una delle testimonianze raccolte da Bandiera Gialla - qui è solo un altro limite. La mancanza di spazio e di condizioni favorevoli, ad esempio i compagni che guardano la tv e giocano a carte mentre ci si cimenta con una storia scritta, non favoriscono certo l’evasione con il pensiero". Teatro: intervista a Salvatore Striano, ex detenuto, oggi attore "il mio vero debito…" di Paola Bisconti www.articolo21.org, 17 febbraio 2014 Salvatore Striano rappresenta alla perfezione il naufrago shakespeariano perché, nella sua esperienza esistenziale, si può cogliere la dolorosa rinascita di un uomo che attua una metamorfosi attraverso l’arte teatrale che altro non è che l’allegoria della purificazione. Il teatro ha consentito a Salvatore, ex-detenuto, di raggiungere una maggiore consapevolezza in se stesso, di comprendere la gravità degli errori commessi e di trovare il coraggio di rialzarsi incamminandosi a testa alta e a schiena dritta nel più sensazionale viaggio chiamato vita. Durante il periodo di detenzione nel carcere di Rebibbia, Salvatore Striano ha conosciuto la sofferenza, la solitudine, il dolore tuttavia proprio quando credeva di non avere più alcuna speranza di rivalsa ecco che la felicità ha bussato alla sua porta e una grande opportunità si è presentata nel suo destino. Non è stato lui a scegliere il teatro, ma la drammaturgia lo ha chiamato a sé. Registi, esperti, critici, media hanno notato e apprezzato la bravura di un attore che mai avrebbe pensato di poterlo diventare. Salvatore Striano è nato e cresciuto nei Quartieri Spagnoli di Napoli, da bambino ha venduto sigarette di contrabbando e poco più che adolescente è caduto nel girone infernale della droga, per poi entrare e uscire dagli istituti penitenziari. Ed è nel "supermercato del crimine", come lo definisce Salvatore, che il teatro si è presentato come una forma di riscatto contro chi ormai aveva sentenziato per lui un’esistenza senza speranze. Non è un caso infatti se la sua prima interpretazione lo ha visto calarsi nel ruolo di Ariele nella "Tempesta" di W. Shakespeare. Da allora Salvatore non solo si è appassionato all’arte teatrale, ma è rimasto letteralmente folgorato dal pensiero shakespeariano ecco perché ho deciso di intervistarlo prendendo spunto da alcuni aforismi del grande drammaturgo. Mi piacerebbe iniziare proprio con Ariele, il personaggio più affascinante dell’opera, il cui nome significa "leone divino". Metaforicamente parlando ti paragoneresti ad un "leone divino"? Rimanendo sempre su questa grande opera di Shakespeare, di certo la più enigmatica, senti di essere ancora in viaggio oppure credi di essere approdato? Se sì, qual è la tua isola? Io mi sento ancora in viaggio perché in realtà non intendo arrivare a destinazione. Se lo facessi, sarebbe come se mi fermassi invece mi auguro di viaggiare ancora. Quella che era la mia isola l’ho lasciata alle spalle, ma ai ragazzi che sono ancora costretti a vivere sull’isola dico loro che devono impegnarsi per fare le cose nel migliore dei modi e per far sì che questo accada ci vuole uno sforzo maggiore. Quando però si ottengono degli ottimi risultati, la soddisfazione è senza dubbio maggiore. Ci sono situazioni in cui devo necessariamente sentirmi come un leone come nelle situazioni in cui occorre affrontare i pregiudizi di alcune persone e non sempre è facile. "Ho superato quelle mura con le ali leggere dell’amore perché non v’è ostacolo di pietra che possa arrestare, il passo dell’amore". Quando eri in carcere hai mai provato la sensazione di varcare le mura anche solo con la fantasia perché mosso da un sentimento d’amore? È accaduto tante volte, anche fisicamente nel senso che mi aggrappavo alle sbarre cercando di intravedere cosa ci fosse fuori. Provavo a far uscire tutto l’amore che c’è in me, cercando di liberare i miei pensieri perché stare rinchiusi nelle celle è davvero orrendo. All’interno del carcere è come se si avvertisse la sensazione che esistono due mondi: uno composto dai detenuti e l’altro dalle guardie carcerarie. A volte la situazione diventava insostenibile e non era facile sopportare la solitudine, ma ho scoperto l’amore per il teatro e questa si è rivelata una grande consolazione. "Dio vi ha dato un viso e voi ne avete creato un altro". Hai fede in Dio? Io credo in Dio, ma non nella Chiesa. Se si potesse chiederei di santificare William Shakespeare, è lui che venererei senza dubbio. Sono convinto che nel mondo ci siano molti più santi di quanti ne siano stati proclamati. Penso alle migliaia di madri che quotidianamente adempiono ai valori della famiglia con ammirevole dedizione, ecco … credo che queste donne potrebbero essere considerate delle sante. "Rinuncia al tuo potere di attrarmi ed io rinuncerò alla mia volontà di seguirti". Se avessi iniziato ad apprezzare la letteratura prima che accadessero le disavventure della tua vita, avresti trovato il coraggio di mettere in pratica queste frasi davanti a chi ti esortava a compiere dei crimini o a fare uso di droga? L’ignoranza ha giocato un ruolo fondamentale nel mio perdermi. Ho seguito strade sbagliate che erano anche le vie più facili da percorrere. Di certo se avessi avuto un supporto culturale non avrei commesso alcuni errori. "Le belle parole sono migliori dei brutti colpi". Attraverso il teatro puoi confermare che la violenza serve a ben poco e che l’unica vera arma possibile sia la cultura quindi la parola come strumento di riflessione? Assolutamente sì. Oggi il teatro è il mio vero debito con la società. Nel corso della mia vita ho avuto a che fare con la legge e non con la giustizia, ma ora so che posso trovarla negli uomini. "Non c’è nulla di più comune del desiderio di essere importanti". Cosa significa per te essere importante: diventare una celebrità oppure avere un ruolo decisionale all’interno di un gruppo? L’importanza è quella che ci dice che stiamo facendo le cose nel migliore dei modi. La celebrità va di pari passo col divismo e io non voglio cadere in questa trappola. Quando si accendono le luci appare tutto bellissimo, ma una volta che i riflettori si spengono entra in gioco la debolezza dell’uomo. Il successo avrebbe potuto destabilizzarmi invece faccio il possibile per vivere questi momenti senza aspettare nient’altro di più di quello che ho. "Astenetevi dal giudicare perché siamo tutti peccatori". A chi vorresti urlare questa frase? Alle Procure perché a volte ho avuto l’impressione che avessero avanzato dei giudizi prima ancora di aver completato la valutazione delle indagini. "Puoi depormi dalle mie glorie e dal mio stato, ma non dai miei dolori, di quelli io sono ancora il re". C’è qualcosa che ancora ti tormenta l’anima? Non aver salutato per l’ultima volta i miei genitori. Quando loro sono morti io ero in carcere e non ho potuto assistere al funerale. In quei momenti ho compreso quanto è brutto essere "dannosi". Il mio rimorso più grande è quello di avere deluso due genitori meravigliosi. Oggi ogni mio successo lo dedico a loro. "Le parole sono piene di falsità o di arte, lo sguardo è il linguaggio del cuore". Tu che sei un attore sai bene quanto lo sguardo sia fondamentale per trasmettere un messaggio. Nelle tue interpretazioni è sempre molto intenso. È questo il tuo più immediato ed efficace strumento di comunicazione? Lo sguardo è ciò che disegna alla perfezione l’intenzione delle parole. Lo sguardo accompagna il mio parlare, arricchisce il senso di quanto sto per pronunciare. "L’inferno è vuoto…tutti i diavoli stanno qui". (tratto da "La tempesta" di W. S.) Tu ti definisci angelo o diavolo? Io mi sento in transito però mi rifiuto di pensare di essere un diavolo. Fortunatamente ho fallito come delinquente e questo è stato possibile grazie all’arte teatrale. Ora percorro la direzione degli angeli, cerco di bussare alla loro porta perché non è più il tempo dei diavoli. Libri: la storia di Mimmo Danza; dalle rapine, al carcere… all’autobiografia di Carlo Gobbi La Provincia Pavese, 17 febbraio 2014 "La mia vita... una scelta sbagliata". Ecco il titolo del libro che sta scrivendo Isidoro Danza, per gli amici Mimmo, classe 1952. Fra qualche mese tornerà a tutti gli effetti un uomo libero: dopo il carcere, è in libertà in affidamento ai servizi sociali. "Esco di casa per lavorare, posso anche chiedere un permesso di un’ora in più alla sera", dice Mimmo. Qualche anno fa, appunto, la "scelta sbagliata": "La maledetta crisi che sta attanagliando il nostro Paese aveva colpito anche me, avevo problemi economici per la mia attività ed a quel punto ci fu una fase negativa della mia vita, che ha pesato moltissimo sulla mia famiglia, la mia persona, il lavoro". Nove rapine in banca, fino all’arresto ed alla condanna. "Il carcere l’ho vissuto come un’esperienza che mi ha arricchito - ricorda Mimmo - A livello umano, sia con i detenuti sia con gli agenti di polizia penitenziaria ho sempre avuto ottimi rapporti: lavoravo, rispettavo tutti, ero rispettato da tutti. Ricordo un episodio che mi commosse: i miei compagni di cella mi prepararono una torta per il mio compleanno, fu una sorpresa che mi colpì tantissimo". Isidoro Danza adesso lavora come artigiano e si sta ricostruendo una vita (in questi giorni sta traslocando nella sua nuova casa). Fra i suoi progetti, appunto, un libro e la voglia di continuare a coltivare l’amore per la musica. In carcere ha scritto anche delle poesie: "Ho avuto modo di riflettere sulla mia vita, su tante decisioni e valutazioni. La musica è stata sempre la mia passione, dopo le medie volevo fare il conservatorio. Il mio carattere è così, se faccio una cosa la voglio fare bene: invece del conservatorio, andai subito a lavorare". Mimmo sa già cosa fare per festeggiare la riottenuta libertà: "È vero, sarà andare a sentire un concerto degli amici della Rondo Band". Il pensiero però torna a via Prati Nuovi: "Sono stato in celle con 14-15 persone, il sovraffollamento è il principale problema. Personalmente potrei testimoniare su decine di episodi di generosità, d’amore, di umanità, di cui sono capaci i detenuti, però le condizioni di vita, credetemi, sono davvero difficili". Immigrazione: "Chiudete quel Cie"…. in cinquemila manifestano davanti a Ponte Galeria L’Unità, 17 febbraio 2014 "Chiudere i Cie". Dietro questa rivendicazione circa 5.000 persone si sono radunate sabato scorso a Ponte Galeria per una manifestazione indetta dai movimenti per il diritto all’abitare e dalla rete delle associazioni antirazziste romane. In coincidenza con la manifestazione presso il centro romano, un altro presidio delle organizzazioni anti-razziste è avvenuto in Sicilia per sollecitare le autorità alla chiusura del mega-Cara di Mineo, il più grande centro di non accoglienza d’Europa. A Roma sabato pomeriggio erano presenti i movimenti, una maggioranza di migranti, alcuni con bambini e famiglie, mamme tunisine con in mano le foto dei ragazzi dispersi (e a chi lo Stato italiano non ha ancora dato una risposta), LasciateCIEntrare, e altri associazioni. Dietro lo striscione "nessuno uomo è illegale", il corteo partito da Parco Leonardo è riuscito a raggiungere il Centro di identificazione ed espulsione e quasi a circondarlo nonostante le imponenti forze di polizia disposte per bloccarne l’accesso. Con momenti di tensioni, lancio di oggetti e un vero e proprio assalto alla reti del centro di cui una parte sono state abbattute al grido di "Libertà", "Tutti liberi". Il corteo si è sciolto sul piazzale, dopo aver lanciato in aria lanterne rosse per farsi vedere dai detenuti, ancora circa 70, oltre le immense grate che circondano il campo di detenzione. La protesta è stata indetta in coincidenza all’avvicinarsi del rimpatrio forzato dei13 protagonisti nordafricani della "protesta delle bocche cucite" di dicembre scorso, già denunciato il 14 febbraio dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Proprio la mattina della manifestazione erano stati espulsi altri due ragazzi di 26 anni verso il Marocco, uno dei quali aveva solo partecipato alla protesta. Cioè se dentro ti ribelli, osi denunciare le indegne condizioni in cui sei recluso e l’illegalità di questa detenzione, la risposta delle autorità è: rimpatrio coatto immediato. Con collaterale violazione del diritto d’asilo, senza verifica dello statuto giuridico di queste persone; ovvero, se sono rifugiati politici e rischiano persecuzioni, tortura e persino la morte, a seguito del rimpatrio coatto nel paese di origine. In realtà, lo sgretolamento del sistema Cie - cinque sono rimasti aperti ad oggi a fronte degli 13 esistenti - è in corso da mesi, che hanno visto ripetersi numerosi eventi di ribellioni interne - dai migranti stessi, con l’estrema forma di protesta delle bocche cucite. Va anche letto nel contesto di un più ampio movimento della società civile, che dopo la strage di Lampedusa ha ripreso parola (con la fondazione della Carta di Lampedusa) e che giudica inaccettabile l’esistenza dei Cie - la segregazione etnica - nel proprio Paese. Questo evento è solo il primo. Ce ne saranno di altri contro quelli che i manifestanti definiscono come veri e propri "lager di Stato". E che hanno mostrato tutta la loro debolezza. India: marò "siamo innocenti". Italia aspetta la Corte e prepara arbitrato internazionale di Maurizio Salvi Ansa, 17 febbraio 2014 Mentre i marò proclamano la loro innocenza, l’Italia comincia una nuova settimana importante nella "never ending story" dei due Fucilieri di Marina, da due anni trattenuti senza capi d’accusa in India per la morte di due pescatori. E fa sapere a Delhi che l’attuale crisi di governo non rappresenta un ostacolo all’esigenza di fare tutto il possibile per riportare al più presto in Italia Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Poche ore dopo essere sbarcato dall’aereo che l’ha riportato nella capitale indiana - alla vigilia dell’udienza fissata martedì dalla Corte suprema di New Delhi - l’inviato Staffan de Mistura ha voluto subito sgombrare il campo dagli equivoci: "L’esecutivo che sta terminando e quello che verrà hanno una posizione chiara e determinata, volta a riportare i due Fucilieri di Marina a casa", ha assicurato, rispondendo a indiscrezioni di fonti indiane non qualificabili secondo cui nell’udienza di martedì "potrebbe non succedere nulla perché in Italia non c’é un governo". A riprova della determinazione italiana, De Mistura ha confermato per la prima volta ufficialmente che l’ambasciata italiana in India ha trasmesso al ministero degli Esteri indiano una nota verbale volta a porre i presupposti per la richiesta di un arbitrato internazionale. "Sì - ha spiegato - è stato consegnato un simile documento. Ma è solo l’avvio di un processo". Al riguardo il diplomatico ha ricordato che un’iniziativa simile, mirante a contestare la giurisdizione indiana sull’incidente in cui sono morti due pescatori, era già stata fatta nei giorni della discesa sul suolo indiano di Latorre e Girone nel febbraio 2012. Ma è bene, ha avvertito, aspettare ora l’udienza di martedì. Gli ha fatto eco a Roma il ministro della Difesa Mario Mauro, che ha sostenuto come sia "un paradosso che a distanza di due anni possa esserci ombra di un’accusa di pirateria e terrorismo nei confronti di uomini e funzionari dello Stato italiano, fiore all’occhiello della comunità internazionale nella lotta alla pirateria". "Noi auspichiamo che la nostra innocenza venga evidenziata. Aspettiamo altre 48 ore con i piedi per terra", ha detto da parte sua Latorre in collegamento in esclusiva da New Delhi con il programma l’Arena di Raiuno. "Abbiamo vissuto questi due anni - ha proseguito - con molta dignitosa sofferenza. Il periodo più brutto è stato quello passato in carcere, dietro le sbarre, come carcerati. Non è una bella cosa per due militari, due innocenti. Ci ha dato forza la voglia che la verità venga a galla e che si dimostri la nostra innocenza". "La nostra fiducia - ha concluso - è rivolta a risolvere la situazione con la legge e in base ai trattati internazionali". E il tema marò ha invaso per qualche minuto anche Piazza San Pietro, dove era convenuto un gruppo di militari del Cocer Interforze, a due anni dall’incidente che trattiene in India i due Fucilieri di Marina. A questa delegazione militare papa Francesco ha inviato un saluto. Ancora sollecitato dai giornalisti, De Mistura ha ripetuto i vari scenari che possono verificarsi il 18 febbraio. "Il primo è che ci sia un nuovo rinvio - ha detto - e noi siamo abituati a questo e siamo pronti a reagire immediatamente. L’altro è che il giudice dica che la legge antiterrorismo (Sua Act, che la polizia investigativa Nia vuole usare) in India va bene. E vedrete come reagiremo". C’è poi una terza ipotesi rimbalzata sulla stampa indiana, ha spiegato, ed è che "il giudice faccia quello che noi abbiamo sempre chiesto e dica che né la Nia, né il Sua Act né la pena capitale possono funzionare in questo caso. E anche per questo - ha assicurato - avremo una specifica risposta". Venezuela: il caso dell’italiano Giuseppe Di Fabio, antichavista, detenuto per sovversione Ansa, 17 febbraio 2014 Giuseppe Di Fabio, un italo-venezuelano consigliere comunale dell’opposizione antichavista a Maneiro, nell’Isola di Margarita, nel nord-est del Venezuela, è detenuto dallo scorso 3 febbraio con l’accusa di associazione a delinquere, istigazione alla violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Di Fabio, originario di Corvara (Pescara) - sempre secondo le accuse - ha partecipato ad una protesta contro una squadra di baseball cubana che è stata inscenata il 2 febbraio quando un gruppo di dimostranti ha manifestato contro la presenza della squadra Azucareros de Villa Clara davanti all’Hotel Venetur, dove alloggiavano i giocatori. L’avvocato dell’uomo ha invece precisato che in quel momento Di Fabio non si trovava nemmeno sull’isola. Sei persone sono state arrestate durante la protesta con l’accusa di aver lanciato oggetti contro l’autobus nel quale viaggiano gli sportivi cubani. Di Fabio, invece, è stato fermato il giorno seguente, non è chiaro se per aver pubblicato un articolo in un giornale regionale nel quale si chiamava alla protesta. L’avvocato di Di Fabio, Diomedes Potentini, ha dichiarato alla testata digitale Margarita Noticias che il suo cliente "non ha promosso nessuna aggressione contro la delegazione sportiva, limitandosi a convocare una manifestazione pacifica, un atto consentito dalla Costituzione". Potentini ha annunciato che presenterà un ricorso per la liberazione dell’italo-venezuelano al Tribunale di La Asuncion, capoluogo dello stato di Nueva Esparta - di cui fa parte l’isola di Margarita - sottolineando che non esiste alcuna prova che abbia istigato atti di violenza o abbia fatto resistenza a un pubblico ufficiale, giacché al momento della protesta non si trovava nemmeno nel luogo dove è avvenuta. India: cronisti incarcerati e torturati, paese all’ultimo posto per libertà di informazione di Massimiliano Lenzi Il Tempo, 17 febbraio 2014 La libertà di stampa non abita in India: il paese che da due anni tiene prigionieri i nostri due fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ha raggiunto il suo livello più basso nella classifica sulla libertà di informazione di Reporters sans frontiéres e figura, nel 2013, al 140mo posto, con un declino costante di posizioni rispetto agli anni precedenti. Dal 2002, a causa di una crescente impunità per la violenza contro i giornalisti e anche perché la censura di Internet continua a crescere, l’India sta andando sempre più in fondo nella classifica sulle libertà. In India le autorità insistono - spiega l’analisi di Rsf - nella censura del web e impongono sempre più tabù, mentre la violenza contro i giornalisti resta impunita e le regioni del Kashmir e del Chhattisgarh diventano sempre più isolate. Tra le storie degli ultimi anni che Reporters sans frontiéres ha raccolto sulla situazione della libertà in India, c’è anche la testimonianza di Maqbool Sahil, un giornalista di Srinagar, nello stato di Jammu in Kashmir. Il giornalista - si legge nel sito web Reporters sans frontiéres "da più di diciannove anni si occupa dei conflitti in Kashmir che hanno fatto diverse migliaia di morti". È accaduto che nel 2004, dopo essersi occupato dello stupro di un’australiana per conto del proprio giornale di allora, Chattan, sia stato arrestato e detenuto per quarantuno mesi. "È stato interrogato in condizioni molto difficili per due settimane. Accusato di spionaggio - scrive Reporters sans frontiéres - da un circolo legato al Pakistan, non è mai comparso davanti ad un giudice. La legge indiana vuole che tutti coloro che sono accusati di un reato vengano giudicati dalla magistratura entro sessanta giorni. Liberato il 9 gennaio 2008 ha scelto di riprendere la propria attività di giornalista". Maqbool Sahil ha scritto sette libri durante la sua detenzione. E la sua testimonianza "Shabistan-e-wajood" è stata valorizzata appunto da Reporters sans frontiéres. Eccone uno stralcio che il nostro Governo, l’Unione Europea, l’Onu, il futuro premier Matteo Renzi, dovrebbero leggersi attentamente per mettere fine alla prigionia indiana dei nostri due Marò e riportarli in Italia. "Ero detenuto - scrive Sahil - con criminali comuni di ogni genere, compresi gli assassini. La tortura era prassi regolare e senza pietà. Durante gli interrogatori, i poliziotti utilizzavano degli strumenti di tortura come manganelli in legno contro le gambe. Mi appendevano anche al soffitto, picchiandomi sotto i piedi con delle bacchette e picchiandomi sul resto del corpo". "L’intensità - prosegue - aumentava quando non ero in grado di fornire loro le informazioni sulla mia presunta appartenenza al circolo incriminato. A causa delle torture non ero più in grado di mettermi in piedi. Alcuni detenuti mi dovevano aiutare a vestirmi e a mangiare… Durante questi 41 mesi di detenzione ho quasi distrutto la mia famiglia. Potevo vedere i miei figli a stento; mia madre l’ho vista solo dopo due anni, presso il centro per le interrogazioni di Humhama. La sua salute peggiorava. Mio fratello lavorava come elettricista a domicilio per far fronte al fabbisogno della mia famiglia di otto persone". Le sue prigioni, le prigioni tragiche di Sahil, sono la testimonianza che l’India non è un paese che rispetta la libertà. Due italiani sono in attesa di giudizio da due anni, sono due fucilieri della nostra Marina, e l’India vorrebbe processarli secondo le leggi antiterrorismo. Basta. "M’e? dolce credere - ha scritto Silvio Pellico ne Le mie prigioni - essere debitore della mia libertà a tutti coloro che m’amavano". I nostri due Marò ad oggi non sono debitori di nessuno, perché - a parte l’affetto ed il sostegno delle loro rispettive famiglie - l’Italia, l’Onu, il diritto internazionale, non li ha ancora liberati. Siamo noi, semmai, in debito con loro, per il loro coraggio e la loro dignità di uomini e di italiani. Son passati 24 mesi, sarebbe l’ora di saldarlo, questo debito. Per farlo c’è un solo modo: riportarli a casa. Ucraina: le sedi governative sono state sgomberate, l’amnistia è in vigore da domani Agi, 17 febbraio 2014 Il governo ucraino ha annunciato che entrerà in vigore da domani l’amnistia per gli arrestati negli scontri tra i manifestanti pro-Ue e le forze di sicurezza degli ultimi 3 mesi. Questa era una delle promesse fatte all’opposizione dal presidente Viktor Yanukovich, condizionata allo sgombero delle sedi governative ancora occupate. L’ultima, il municipio di Kiev, è stata liberata oggi dai dimostranti ed in centinaia hanno protestato perchè non era finora giunta alcuna risposta dal governo. La legge (di amnistia) entrerà in vigore dal 17 febbraio 2014 e determinerà che le accuse contro le persone che hanno commesso reati...saranno fatte cadere", ha reso noto la procura generale in una dichiarazione. Bahrain: accusati per tentato attacco a polizia, due sciiti condannati a 15 anni carcere Aki, 17 febbraio 2014 Due persone sono state condannate in Bahrain a 15 anni di carcere con l’accusa di tentato omicidio ai danni di agenti di polizia. Lo riferisce l’agenzia di stampa ufficiale del Bahrain Bna, secondo cui l’accusa è di tentato omicidio premeditato e detenzione di un Kalashnikov e munizioni. Secondo l’agenzia, le indagini hanno dimostrato che gli "imputati volevano uccidere diversi poliziotti" e che hanno "aspettato le vittime e sparato contro il loro mezzo". Decine di sciiti del Bahrain sono finiti in carcere negli ultimi anni con accuse simili. Il 14 febbraio di tre anni fa iniziavano nel Paese, sulla scia delle rivolte in Tunisia ed Egitto, le proteste contro la monarchia sunnita degli al-Khalifa per chiedere riforme. Il 70% della popolazione del Bahrain è sciita. Negli ultimi giorni nel Paese si sono registrati scontri tra agenti di polizia e manifestanti. Decine di persone sono state arrestate con l’accusa di "vandalismo". Sabato, secondo il ministero dell’Interno, un poliziotto è morto per le ferite riportate nell’esplosione di un ordigno che venerdì ha colpito un mezzo della polizia nel villaggio a maggioranza sciita di Daih, nel nord del Bahrain.