Giustizia: in dieci anni quattordici leggi dichiarate incostituzionali, un record mondiale di Luigi Ferrarella Il Corriere della Sera, 14 febbraio 2014 Una può essere un caso, due somigliano a un incidente di percorso, tre dovrebbero cominciare a essere un problema, ma quattordici leggi sulla giustizia dichiarate incostituzionali esprimerebbero un giudizio tombale su qualunque stagione politica, se solo si collegassero i puntini di un decennio invece di fermarsi alla singola istantanea. Adesso, infatti, a essere bocciata dalla Corte Costituzionale è la norma che all’interno della legge Fini-Giovanardi sugli stupefacenti puniva allo stesso durissimo modo droghe leggere e droghe pesanti, in forza di un emendamento trapiantato senza senso nel 2006 nella procedura di conversione del decreto legge sulle Olimpiadi invernali di Torino. Ma prima la mannaia della incostituzionalità era caduta sull’aggravante della clandestinità nel "pacchetto sicurezza" Maroni. Era stato bocciato anche l’altro "pacchetto sicurezza" che per alcuni reati introduceva presunzioni assolute e automatismi nella custodia cautelare in carcere. Censurato l’eccesso di delega nella mediazione obbligatoria. Annullata una disposizione dell’indultino 2003. E una dopo l’altra erano già state cancellate la legge Schifani sull’immunità di cinque alte cariche dello Stato e la successiva legge Alfano sulla sospensione dei processi alle quattro più alte cariche dello Stato. E poi l’altra legge Alfano sul "legittimo impedimento" del premier e dei ministri. E la legge Pecorella sull’inappellabilità delle assoluzioni di primo grado. E parti della legge Bossi-Fini sull’immigrazione. E la legge per tagliare fuori il pm Giancarlo Caselli dalla corsa alla Direzione Nazionale Antimafia. E quella che dava ai sindaci un eccessivo potere di ordinanze in materia di sicurezza pubblica. E la legge ex Cirielli sull’irragionevolezza di taluni meccanismi del calcolo della recidiva. Senza dimenticare, più di tutte per rilevanza, la legge elettorale "Porcellum" di Calderoli. Appunto tredici leggi incostituzionali tra il 2001 e il 2010. Considerare ora l’insieme del film, anziché soffermarsi sul singolo fotogramma, avrebbe il vantaggio di suscitare almeno quattro riflessioni sia sugli attori sia sulla sceneggiatura. La prima investe la credibilità di protagonisti di quella stagione politica che oggi, trasmigrati in altre maggioranze e issati tuttora a ruoli di rilievo in governi uscenti o nascenti, si atteggiano come niente fosse, quasi passanti fischiettanti rispetto a scelte che all’epoca invece avevano fortemente voluto o condiviso: e se certo nessuno pretende autocritiche di stampo maoista, forse però una qualche revisione autocritica gioverebbe loro, qualora proprio dovessero insistere a ritenere di dover continuare a esprimersi su giustizia e riforme istituzionali. La seconda è che, se in quasi tutte queste leggi l’incostituzionalità era stata immediatamente (e inutilmente) segnalata da più parti durante l’iter parlamentare, molte di esse sono state votate (e imposte) nel volgere di poche settimane, a volte addirittura di pochi giorni: segno che, diversamente dalla vulgata che punta a legittimare l’abolizione del Senato, il legislatore, quando è assai (benché mal) motivato, non incontra ostacoli nel bicameralismo perfetto: se mai è il pur malconcio bicameralismo perfetto, da aggiornare con accorte modifiche dei regolamenti parlamentari, ad aver tante altre volte consentito di evitare in extremis analoghi scempi giuridici. La terza riguarda i costi sociali di queste leggi testardamente volute benché palesemente incostituzionali: soldi sprecati, tribunali intasati, inefficienze di sistema, ma soprattutto destini personali martoriati perché stritolati nell’incerto stratificarsi e nell’altrettanto incerto sciogliersi di matasse normative incoerenti. La quarta è che solo questo sguardo d’insieme a un decennio di incostituzionalità di leggi sulla giustizia può mettere in guardia anche future maggioranze di diverso segno politico dal ricadere nei medesimi errori: leggi dettate da emergenze presunte, norme imposte da ondate emotive, salsiccioni di comma eterogenei dentro cotechini legislativi del tutto eterogenei, sono sirene tentatrici anche per i governanti odierni, tanto più se pervicaci nell’eccesso di ricorso allo strumento del decreto legge. Giustizia: droghe leggere, corsa agli sconti di pena dopo bocciatura della Fini-Giovanardi di Silvia Barocci Il Messaggero, 14 febbraio 2014 Il più veloce di tutti è stato l’avvocato di un albanese condannato in via definitiva a 4 anni di reclusione per detenzione di marijuana: appresa la notizia della bocciatura della legge Fini-Giovanardi da parte della Corte Costituzionale, il legale si è affrettato a presentare un’istanza al tribunale di Milano per far sì che al suo assistito sia rideterminata la pena, ovviamente al ribasso. Ben sapendo, tuttavia, che per avere risposta dovrà attendere le motivazioni della sentenza della Consulta che non arriveranno prima di qualche settimana. Ma all’indomani del verdetto di illegittimità sulla legge che aveva eliminato qualsiasi distinzione tra droghe leggere e pesanti, è già partita la corsa al ricalcolo delle pene. Per far sì che agli imputati o ai condannati per spaccio di hashish o cannabis siano inflitte condanne più basse (da due a sei anni) rispetto a quelle previste per cocaina o eroina (da sei a venti anni). Un’operazione che teoricamente potrebbe interessare circa 10mila persone oggi recluse per droghe leggere. Ma dalla teoria alla pratica ce ne corre. Perché gli stessi giuristi sono divisi su un punto: se la decisione della Consulta abbia effetti solo sui processi in corso o anche su quelli definiti. Il principio dell’applicazione della norma più favorevole al reo non dovrebbe valere nel caso in cui sia stata già pronunciata la sentenza definitiva. Ma per il giudice di Torino, Antonio Natale, questo limite verrebbe superato dalla circostanza che si è presenza non di una nuova legge ma di una dichiarazione di incostituzionalità. Di tutt’altro avviso il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, mentre il presidente delle Camere penali Valerio Spigarelli fa notare come in proposito la giurisprudenza non sia univoca. Solo leggendo le motivazioni della Corte Costituzionale forse si capirà quale sarà il margine di interpretazione offerto dalla Consulta. Che, in ogni caso, non potrà discostarsi da quanto affermato in una recente pronuncia (la 210 del 2013): al giudice comune compete "il compito di determinare l’esatto campo di applicazione in sede esecutiva" della "dichiarazione di illegittimità costituzionale" di una norma. E dunque il giudice dell’esecuzione deciderà, caso per caso, sulle richieste di ricalcolo della pena. Il dibattito politico resta aperto. Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, è per la liberalizzazione delle droghe leggere: "meglio una piantina in casa di marijuana che un prodotto contaminato". Parole che gli sono valse le dure critiche di Giorgia Meloni ("con Marino vanno "in fumo" cinque anni di lotta alle tossicodipendenze dell’Agenzia capitolina sulle tossicodipendenze"),e dell’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno. Giustizia: Ucpi; bocciata Fini-Giovanardi? in Parlamento errare è umano, perseverare… Comunicato stampa, 14 febbraio 2014 All’epoca l’avevamo detto che era incostituzionale la Fini Giovanardi, ma essendo noi penalisti solo dei "garantisti" nessuno ci badò. Così come nessuno stette a riflettere sulla medesima conclusione che tirammo quando licenziarono uno dei tanti decreti sicurezza, allora sulla violenza sessuale, che reintroduceva la custodia cautelare obbligatoria. Pure allora dicemmo "è incostituzionale", e pure in quel caso, qualche anno dopo, la Consulta confermò quella conclusione. Nell’uno e nell’altro caso non ci voleva molto: un po’ di sapere giuridico e appena appena un pò di indipendenza di pensiero. E siamo sicuri che anche qualche altro attore di quelle vicende, in special modo appartenente alla classe politica, fosse consapevole solo che preferì abdicare al coraggio ed alla indipendenza che sempre dovrebbe guidare un legislatore, e delegò ad altri, in primo luogo alla Consulta, il lavoro "sporco". Del resto in Italia va così da tempo: chi non ha "coraggio non se lo può dare" come diceva Manzoni, e la Politica nostrana, in tema di Giustizia, manca di coraggio da vent’anni e passa, ostaggio com’è della demagogia, dei furori di piazza, dell’informazione scandalistica legata ai caudillos delle procure e chi più ne ha più ne metta. E fare leggi dichiaratamente incostituzionali non viene vissuto come un fallimento del Parlamento, ma come un peccatuccio veniale, o il prezzo che si paga ai luoghi comuni. Ora il problema si sta riproponendo, negli stessi termini, a proposito del dl Cancellieri. Anche lì il Parlamento sta licenziando una norma che discrimina i condannati per alcuni reati, escludendoli irragionevolmente dalla possibile applicazione di un beneficio, quello della liberazione anticipata, per timore che la pubblica opinione non comprenda e, in tempi di politica debolissima e di informazione conformista, accusi il Parlamento di scarsa intransigenza nei confronti dei mafiosi, degli stupratori e chissà chi altro ancora. Noi, e altri irriducibili visionari, che leggono le leggi alla luce del dettato costituzionale, abbiamo segnalato al Parlamento ed alle forze politiche, che la soluzione è incostituzionale, ma il treno della demagogia giudiziaria è partito e probabilmente non si fermerà, così come avvenuto per la Fini Giovanardi e per il Dl Maroni Alfano ai tempi loro. Poi interverrà la Consulta e rimetterà le cose a posto, non senza che, nel frattempo, quella legge avvelenata sparga i suoi frutti avvelenati anch’essi: discriminazione, violazione dei diritti, dolore di chi ne soffrirà le conseguenze. Tutto nella norma, dirà qualcuno, il compito della Corte è di vegliare sulla tenuta costituzionale delle leggi, ma non è così. Quando si fanno norme consapevolmente incostituzionali perché non si ha il coraggio di scegliere, quando si delega di fatto al giudice delle leggi quello che dovrebbe essere il compito del Parlamento, si capovolge il corso democratico della funzione legislativa. Di questi tempi, in cui si straparla di sovvertimento delle regole del gioco democratico, sarebbe bene trarre dalla esperienza un qualche insegnamento, e tirare fuori un po’ di coraggio. Il che vuol dire che bisogna intervenire subito, in sede di conversione in legge del Dl Cancellieri su due aspetti. Il primo è la modifica delle norme previste in tema di liberazione anticipata eliminando ogni incostituzionale discriminazione. Il secondo riguarda proprio la legge sugli stupefacenti, che pure viene toccata dallo stesso Dl: con uno scatto di orgoglio e un po’ di coraggio si può introdurre in quella sede una normativa nuova che abbandoni gli eccessi punitivi e le irragionevolezze della Fini Giovanardi. Giustizia: decreto-carceri in Aula Senato lunedì, con stesso testo votato dalla Camera Agi, 14 febbraio 2014 La commissione Giustizia del Senato ha concluso l’esame del decreto carceri. I 389 emendamenti presentati, di cui 275 solo dalla Lega, sono stati tutti respinti. Ora il confronto si sposta in Aula. La discussione generale è prevista per lunedì pomeriggio. Il testo licenziato dalla commissione giustizia di Palazzo Madama resta quello approvato a Montecitorio. Dei 500 emendamenti presentati molti sono stati ritirati ed alcuni respinti e saranno riproposti da Lega e M5S per l’esame dell’Assemblea. Relatore è il senatore Psi Enrico Buemi. Il Pd, nonostante alcune perplessità, ha deciso di non presentare proposte di modifica vista l’imminenza della scadenza del decreto, spiega il democratico Felice Casson. Il decreto deve essere convertito entro il 23 febbraio. Giustizia: cento euro al giorno ai detenuti che vivono in celle troppo strette e va bene così di Nino Materi Il Giornale, 14 febbraio 2014 Il Tribunale di sorveglianza al ministero: "Per i reclusi uno spazio vitale di 7 metri, altrimenti vanno risarciti". Non ne facciamo una questione "politica", ma di civiltà. Non è umano che nelle carceri si viva come in carri bestiari. Ciò dovrebbe valere in tutto il mondo, ma soprattutto in Italia, cosiddetta "culla del Diritto". Va quindi salutata con favore l’indicazione contenuta in alcune ordinanze emesse la scorsa settimana dal Tribunale di sorveglianza di Venezia in cui si prescrive come il carcere lagunare di Santa Maria Maggiore debba garantire più spazio nelle celle (dai 3 ai 7 metri quadri di spazio vitale), pena il pagamento di 100 euro al giorno ai detenuti che si trovano in aree sovraffollate: insomma un vero e proprio risarcimento a favore di quei carcerati costretti a espiare la pena in condizioni logisticamente invivibili. Una linea di condotta prevista in attuazione del decreto 146 dello scorso dicembre, il cosiddetto "svuota carceri", e ora sollecitata dal Tribunale di sorveglianza alla luce dei reclami presentati da una quindicina di detenuti, in gran parte reclusi nel carcere veneziano. Ricorsi che - come riporta La Nuova Venezia - riguardano alcune strutture e servizi interni ritenuti non adeguati e poi lo spazio disponibile per ogni singola persona. Le prime istanze sono state respinte, mentre i giudici hanno accolto i reclami relativi allo "spazio vitale" ordinando all’amministrazione penitenziaria di garantire dai 3 ai 7 metri quadri per detenuto. Il ministero della Giustizia adesso potrà impugnare le ordinanze tramite l’avvocatura dello Stato entro 15 giorni. Sta di fatto che l’indicazione del Tribunale di sorveglianza è destinata a fare giurisprudenza e che se, anche gli altri Tribunali di sorveglianza italiani si allineassero alla direttiva dei loro colleghi veneti, lo Stato rischierebbe di versare risarcimenti per milioni di euro: un esborso però del tutto teorico, considerato che il decreto è privo di qualsiasi copertura finanziaria. Sta di fatto che le condizioni della maggior parte delle nostre carceri sono pietose e ben pochi sono, al momento, gli istituti di pena che riuscirebbero a garantire ai loro "ospiti" i previsti "7 metri di spazio vitale". "Queste ordinanze sono tra le prime in Italia - affermano i dirigenti del tribunale di Sorveglianza, interpellati da La Nuova Venezia -. Il reclamo può essere presentato quando inosservanze dell’amministrazione comportino attuale e grave pregiudizio ai diritti dei detenuti. Primo fra tutti il pregiudizio derivante dal sovraffollamento delle carceri, riconosciuto dalla Corte europea e dalla Corte Costituzionale". Il reclamo - spiegano gli esperti - mette in moto una sorta di "processo" davanti al magistrato di sorveglianza, con la convocazione delle parti. Così è avvenuto quando sul tavolo degli uffici di sorveglianza del Veneto sono arrivate le istanze di 15 detenuti, per la quasi totalità reclusi a Santa Maria Maggiore. Che cosa lamentavano i carcerati? Sostanzialmente una condizione di disagio nelle celle a cominciare dallo spazio a disposizione, inferiore a quei 7 metri per persona che il Consiglio d’Europa ha prescritto come superficie minima in una cella. Ma non basta, i detenuti hanno avanzato altre richieste: illuminazione naturale, bagno chiuso, possibilità di trascorrere otto ore fuori dalla cella. Contro i reclami si è costituito il ministero di Giustizia, chiedendo il rigetto degli stessi. Una posizione - quest’ultima - di avvilente retroguardia, considerato che ai detenuti non può essere negato il diritto di vivere in condizioni umane. Un paese civile, in tema carcerario, dovrebbe essere in grado di imporre due direttrici imprescindibili: certezza della pena e capacità di far espiare tutta la condanna in strutture moderne che concorrano al recupero del detenuto. In Italia, purtroppo, restano una chimera entrambe le cose. Giustizia: lime, lenzuola annodate e biglietto di scuse… ecco il galateo dei nuovi evasi di Rita Di Giovacchino Il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2014 Due "evasi di notte", per dirla con Totò, con tanto di sbarre segate e lenzuoli attorcigliati come corde per calarsi dalla cella ed è subito commedia all’italiana, fascino del bianco e nero, eterna gag di "guardie e ladri". I due detenuti fuggiti la notte di martedì dal carcere di Rebibbia, Giampiero Cattini e Sergio De Palo, sembrano davvero usciti da un film di Monicelli. Le facce dure, lo sguardo sornione da sfigati, non è difficile immaginarseli con un pigiama a strisce. Quanti anni era che non c’era un’ evasione così bella? Quasi da manuale, capace di allontanare lo spettro del sanguinario assalto al furgone fuori dal carcere di Gallarate della scorsa settimana, con gli spari, il fratello morto e la madre che incita alla fuga l’ergastolano Domenico Cutrì. C’era bisogno di qualcosa che ci tirasse su il morale e i due fuggitivi di Rebibbia ci sono riusciti, nei bar o in fila alle Poste non si parla d’altro. Ma come hanno fatto segare le sbarre senza che nessuno sentisse? Avevano complici? Sceneggiatura perfetta, senza sbavature: il piano è scattato attorno a mezzanotte, quando cambia il turno delle "guardie" e i rumori si sentono meno, con loro che si calano nel cortile interno, che sgusciano tra le auto parcheggiate, poi scavalcano il muro di cinta e si dileguano nella notte lungo la Tiburtina. Ma ieri pomeriggio, non erano passate neppure 24 ore, che già ne avevano ripreso uno, il Cattini, precedenti da balordo nel ramo stupefacenti. Il più debole tra i due, uno che si è lasciato trascinare in questa bravata dal siciliano trapiantato a Tor Bella Monica, dicono. Lo hanno trovato in casa di parenti a San Basilio, periferia sud: "Volevo rivedere mio figlio", ha detto dopo avere provato senza successo a scappare di nuovo. Che la fuga sarebbe durata poco lo avevano perfino scritto alla direttrice della "terza casa", dove si cerca di recuperare i tossicodipendenti, uno dei reparti meno pericolosi di Rebibbia, motivo per il quale non c’erano neppure le cellule di sorveglianza. Tra le righe del messaggio trovato sul tavolo gronda riconoscenza: "Con questo scritto di pugno nostro volevamo scusarci verso la dottoressa Passanante per il nostro momentaneo allontanamento, dovuto a problemi psichici legati alla tossicodipendenza. La nostra permanenza in terza casa ci ha purtroppo portato a comportamenti scorretti ma in questo percorso abbiamo trovato persone speciali pronte ad aiutarci. E che non merita questo. Ci scusiamo". Le lacrime e il sorriso, il dolce e l’amaro. L’amaro di sicuro non mancherà. Una fuga di 24 ore può allungare di anni la pena; i due fuggitivi sarebbero dovuti uscire nel 2018, ora rischiano una condanna superiore a quella che li condotti in carcere. Per questo le evasioni sono sempre più rare, anche quelle favorite dai permessi premio. Il costo è troppo alto e lo è anche per gli educatori, la cui fiducia viene tradita e che si trovano a rispondere della eccessiva fiducia concessa. Come è accaduto al giudice di sorveglianza del carcere di Marassi lo scorso novembre quando fuggì Bartolomeo Galliano, un serial killer con tre omicidi sulle spalle. Anche lui inviò un biglietto di scuse mentre scappava in Francia dopo aver rapinato una Fiat Panda a un automobilista di passaggio. Lì ci fu poco da sorridere, ma pochi giorni dopo fu ripreso. Giustizia: Luigi Pagano; per evasioni margine di rischio c’è, ma i nuovi sistemi funzionano di Valentina Errante Il Messaggero, 14 febbraio 2014 Annuncia un’inchiesta interna, sa che qualcosa non ha funzionato nel sistema ma per Luigi Pagano, numero due del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, l’evasione di ieri da Rebibbia non costituisce un dato allarmante. Pagano difende il regime di custodia attenuata al quale erano sottoposti i due evasi "perché da 30 anni funziona alla perfezione". Le modalità della fuga non sono l’indice di un problema di sicurezza? "Assolutamente no. Ho assistito a evasioni da carceri di massima sicurezza. È ovvio che l’episodio è il sintomo di una patologia nel sistema sulla quale faremo chiarezza. Non per cercare un responsabile, ma per capire come si possa migliorare l’organizzazione. Un margine di rischio esiste sempre e il fatto avvenuto ieri non inficia minimamente l’efficacia della custodia attenuata, in un’ottica di rieducazione dei detenuti. Quella cioè prevista dalla legge e dall’Europa". I sindacati di polizia penitenziaria lamentano un sottodimensionamento dell’organico. Pensa che possa essere questa una delle cause di quanto è accaduto? "A Rebibbia c’è una proporzione di 49 detenuti a regime di custodia attenuata per 39 agenti, ovviamente non tutti presenti nello stesso momento ma divisi per turni. Non si può mettere in discussione una misura che funziona da 30 anni e prevede un margine di rischio di evasione del 4% al primo allarme. Dobbiamo garantire ai detenuti un margine di autodeterminazione e non si può tornare indietro. Sono persone che devono tornare alla vita normale. Non possiamo apparire carnefici quando ci condanna Strasburgo per le condizioni carcerarie e poi ricorrere a misure rigide quando si verifichi un simile episodio. Anche per una questione economica (legata alle sanzioni europee) e non solo di umanità tutti i detenuti, tranne i più percicolosi, hanno diritto a otto ore al giorno di circolazione libera". Eppure l’evasione Cutrì è il segno che ci sono delle falle nei sistemi di sicurezza. "Quella è un’altra situazione. I trasferimenti dei detenuti, soprattutto di quelli molto pericolosi, costituiscono realmente un problema. E sul punto hanno ragione i sindacati quando parlano di numeri troppo bassi. Mancano gli uomini e le scorte non sono adeguate. Ma questo non dipende da noi". La decisione di ieri della Consulta inciderà sui numeri della popolazione carceraria. "Il conto non è facile su circa 20.000 tossicodipendenti detenuti, 8.000 dovrebbero tornare in libertà. I condannati in via definitiva dovranno fare un incidente di esecuzione, ma la decisione della Consulta inciderà soprattutto sugli arresti". Giustizia: Fp-Cgil; riordino ministero è colpo di grazia per settore e per mondo carceri Ansa, 14 febbraio 2014 "È del tutto inaccettabile che la Ministra Cancellieri, ancora in questi giorni sulle pagine dei giornali per presunti scandali relativi al piano carceri, si adoperi per licenziare frettolosamente un regolamento di organizzazione del Ministero della Giustizia che prevede tagli al personale, in applicazione della spending review". Lo sostiene la Funzione Pubblica Cgil, secondo cui se il regolamento entrasse in vigore "sarebbe un colpo di grazia alla giustizia ordinaria ed al mondo penitenziario tutto, in cui le condizioni di lavoro degli operatori e di vita dei detenuti sono inumane". Secondo il sindacato il merito del regolamento è "irricevibile": invece di "un vero decentramento si attuano di fatto dei tagli lineari e degli accorpamenti impraticabili che non potranno che rallentare il funzionamento delle strutture". Per questo ieri ha chiesto al ministro in un incontro di ritirare "immediatamente" il provvedimento e di aprire "una vera discussione" con le organizzazioni sindacali. "Per fortuna - rilevano tra l’altro Salvatore Chiaramonte e Fabrizio Fratini Segretari Nazionali Fp-Cgil - ieri è intervenuto in soccorso del mondo del carcere il pronunciamento della Consulta sulla incostituzionalità della Fini Giovanardi, una delle leggi carcerogene contro la quale lo scorso anno la Fp-Cgil, insieme ad altre Associazioni, ha raccolto le firme della società civile". Coosp: dopo trasferimento Prap abbandono generale "Il trasferimento degli uffici del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap) dalla Basilicata alla Calabria lascerà nell’abbandono generale e nella distanza sempre più concreta oltre 500 detenuti delle quattro carceri lucane, oltre a circa 450 poliziotti e 200 dipendenti dei diversi comparti". È quanto ha denunciato, in una nota, la segreteria generale del Coordinamento sindacale penitenziario (Coosp), evidenziando "l’emergenza penitenziaria, a causa di una discutibile attuazione da parte del ministro della Giustizia sul regolamento di organizzazione del ministero stesso - è scritto in una nota - e la riduzione degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche, con la soppressione di quattro provveditorati e due direzioni generali centrali tra cui quello del provveditorato regionale della Basilicata, a Potenza, trasferito al Prap di Catanzaro". Campania: con la nuova legge sulle droghe condanne da ricalcolare per duemila detenuti di Stella Cervasio La Repubblica, 14 febbraio 2014 Sarà più o meno "svuota carceri" rispetto all’omonimo decreto, la sentenza che ha depennato la Fini-Giovanardi? Un inaspettato rimedio oppure no, al sovraffollamento dei penitenziari, la bocciatura della normativa che considerava alla stessa stregua i reati per droghe leggere e pesanti? La sentenza è stata diffusa per il momento solo sotto forma di "comunicato", ma anche negli uffici giudiziari napoletani ci si interroga sugli effetti della pronuncia della Consulta. Se lo domandano magistrati, penalisti, associazioni per i diritti umani. Sui 7.950 detenuti di tutta la Campania, compresi quelli in attesa di giudizio, non meno di 2000 un terzo scontano pene per droga. Impossibile scorporare il dato sui reati di associazione e traffico internazionale da quello sui pusher di Scampia, o la cifra dei tossicodipendenti puniti per consumo da quelli che cumulano pene per rapina o estorsione ai familiari. Ma un dato napoletano interessante c’è: il Comando Interforze registra fra luglio 2012 e giugno 2013 1.576 denunce per stupefacenti. Di queste, 121 per produzione di droga, 1.425 per spaccio e 30 per associazione finalizzata a produzione e spaccio. Sui 4.300 detenuti rinchiusi a Poggioreale, Secondigliano e Pozzuoli, 1.500 è dentro per droga e di questi, 600 per droghe leggere. Il dato è presuntivo: sarebbe tale se rispecchiasse la media nazionale del 40 per cento di detenuti per droga, e di questi un altro 40 per droghe leggere. Sul totale di 4.300, 600 persone potrebbero essere i beneficiari della sentenza a Napoli e almeno 2.000 in tutta la regione. Stando ai dati delle visite ispettive dei Radicali, a Poggioreale i tossicodipendenti sono il 30 per cento, 5 più della media nazionale, e in cura presso il Sert ce ne sono 800. "Chi è in carcere preventivo o con sentenza definitiva - osserva Mario Staderini, presidente di Grande Napoli ed ex segretario dei Radicali italiani - dovrà presentare un’istanza per farsi ricalcolare la pena, quindi sicuramente servirà un intervento da parte del Parlamento e del Governo perché, non essendo previsto un automatismo, il paradosso è che si andrà ad intasare ulteriormente i tribunali. Il che rende ancora più necessario il provvedimento di amnistia". Secondo il presidente del Tribunale di Sorveglianza, Carmine Antonio Esposito, i definitivi non sarebbero coinvolti: "Adesso si dice che saranno in tanti a essere rimessi in libertà. Io aspirerei che gli istituti penitenziari fossero vuoti - osserva il magistrato - ma non sarà così. Di questa sentenza si avvantaggeranno gli ancora giudicabili e quelli che commetteranno nuovi reati. Va considerato anche l’eventuale riflesso sulle misure alternative di detenzione (art. 94 Dpr 309/90)". Esultano i penalisti: "Avevamo detto a gran voce che la Fini-Giovanardi era una follia - dice l’avvocato Domenico Ciruzzi - Su questo presupposto sbagliato abbiamo riempito le carceri di ragazzini, e su questo tipo di protesta la Camera penale di Napoli in primis e le altre hanno più volte affermato che questa disposizione avrebbe intasato ulteriormente la macchina della giustizia. Dispiace accorgersi che le associazioni di magistrati, tranne singole voci, come quella di Quatrano o Lomonte, non hanno usato la stessa durezza con cui le Camere penali hanno definito l’iniquità di questa legge". Troppo lunghi i tempi per arrivare a una svolta. L’avvocato Riccardo Polidoro ("Il Carcere possibile") commenta: "La cosa grave è che in questo paese si deve aspettare la Corte costituzionale, e nel frattempo la gente va in carcere. I giornali sbagliano titolo: non è "escono diecimila detenuti", ma "ne abbiamo mandati dentro diecimila che probabilmente non ci dovevano stare"". Il distinguo fra le droghe operato dalla Consulta, per i Radicali di Napoli è ben lontano dalla legalizzazione: "La nostra associazione - dice Staderini - ha raccolto 5000 firme per legalizzare almeno l’auto coltivazione". Moderato ottimismo per tutti, fuorché per i magistrati. "Il nostro lavoro? Aumenterà secondo il presidente Esposito ma non per quantità. La nostra attività a Napoli richiede sempre maggiore qualità, e questo in presenza di una riduzione vertiginosa di personale amministrativo. Le nuove norme vanno sempre più ampliando le misure alternative e la valutazione è affidata caso per caso al magistrato, tendendo a escludere sempre più gli automatismi". Cagliari: Sdr; nel carcere di Buoncammino il 60% è detenuto per reati legati alla droga Ansa, 14 febbraio 2014 "La sentenza della Corte Costituzionale, che ha cancellato la legge Fini Giovanardi per illegittimità costituzionale, conferma la necessità di trovare soluzioni alternative per il recupero dei tossicodipendenti, negando tale ruolo alla detenzione. Evidenzia inoltre l’obbligo per il legislatore di non creare mostri giuridici e offre spunti di riflessione". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, sottolineando che "la bocciatura della legge corrisponde a un’autentica svuota carceri": a Buoncammino, infatti, il 60% dei detenuti son legati a reati di droga. "La consapevolezza che la maggior parte del peso ricadrà sui magistrati e sui giudici - ha aggiunto Caligaris - non può far dimenticare che, per quanto riguarda il carcere di Cagliari, la problematica riguarda direttamente per spaccio o indirettamente per coltivazione di marijuana non meno del 60% degli attuali detenuti, circa 200 persone. Numeri che fanno pensare alla qualità delle norme approvate negli ultimi dieci anni". Bari: inchiesta su detenuti finti malati per avere scarcerazione, indagati alcuni medici Ansa, 14 febbraio 2014 La Procura della Repubblica di Bari ha aperto un’inchiesta su detenuti che avrebbero finto di essere ammalati per evitare di rimanere in cella. Nell’inchiesta sono indagati alcuni medici che avrebbero firmato i falsi certificati di malattia. La notizia dell’apertura dell’inchiesta è pubblicata dalla Gazzetta del Mezzogiorno. L’inchiesta sarebbe partita dalla vicenda di Cosimo Fortunato, 50 anni, ritenuto dagli inquirenti luogotenente del boss barese Savino Parisi. Nel giugno dello scorso anno Fortunato dovette lasciare il reparto del Policlinico riservato a detenuti con problemi di salute e venne ricondotto in carcere dopo che la Guardia di finanza aveva scoperto che aveva simulato crisi epilettiche. Roma: a Rebibbia Nuovo Complesso consegnati libretti universitari ai detenuti-matricole Il Velino, 14 febbraio 2014 Sono stati ufficialmente consegnati questa mattina, nel corso di una cerimonia nel teatro del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, i libretti ai quattro detenuti matricole che ai sono iscritti all’Università di Tor Vergata per l’Anno accademico 2013/2014. Alla cerimonia di consegna dei libretti alle matricole hanno partecipato, fra gli altri, gli Assessori Regionali Concettina Ciminiello (Pari Opportunità, Autonomie Locali e Sicurezza) e Lucia Valente (Lavoro) e il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Le matricole frequenteranno l’Università grazie al Progetto Teledidattica, del Garante dei detenuti che, da anni, consente ai reclusi di seguire le lezioni e di sostenere gli esami di profitto in carcere. La Teledidattica ha assunto un rilevo tale da essere indicato quale best practice dal ministero della Giustizia, che ha previsto che i reclusi di Alta Sicurezza in tutta Italia possano essere trasferiti a Rebibbia se decidono di iscriversi all’Università. "Per noi - ha detto il Garante Angiolo Marroni - quello di oggi è uno degli appuntamenti più importanti dell’anno perché vuol dire raccogliere i risultati di tanto lavoro. L’istruzione è un aspetto fondamentale che non solo favorisce l’affermazione di una cultura della legalità ma che incide anche sul reinserimento sociale dei detenuti. La poca istruzione è uno dei fattori che contribuiscono ad emarginare coloro che, scontata la pena, rientrano nella società. Stimolare i detenuti ad avvicinarsi alla scuola vuol dire garantire la piena tutela del diritto all’istruzione, uno dei più violati in carcere, che invece è patrimonio di tutti, indipendentemente dalle condizioni in cui ciascuno si trova". "Le esperienze che abbiamo vissuto oggi sono state molto toccanti - ha detto Concettina Ciminiello, assessore alle Pari opportunità e Sicurezza Regione Lazio - e raccontano sofferenze difficili da capire. La consegna dei libretti assume un grande valore, più cultura significa meno disagio sociale, aiuta a diventare persone diverse e sentirsi parte di una comunità. Studiare è un’occasione preziosa che contribuisce ad abbattere la recidiva fino all’80 per cento e facilita il reinserimento. Chi impara un mestiere durante la detenzione raramente torna a delinquere una volta scontata la pena. È sicuramente vero che ancora oggi ci sono molte difficoltà, il drammatico affollamento, e le condizioni di vita sono indubbiamente un ostacolo. L’esempio di Rebibbia in questo contesto di difficoltà è un’eccellenza, decisivo è il ruolo svolto dagli operatori del comparto penitenziario che tutti i giorni si confrontano con questa realtà. Come amministrazione regionale intendiamo continuare a sostenere questo necessario percorso, e come assessore alle Pari opportunità ritengo fondamentale che questo progetto coinvolga anche le donne, che fino a oggi purtroppo ne sono state escluse". "Sono contenta di aver partecipato alla cerimonia di consegna dei libretti universitari ad alcuni carcerati - ha dichiarato l’assessore regionale al Lavoro Lucia Valente - che oggi iniziano un’esperienza di studio. Dobbiamo continuare a fare, insieme al Garante e alle Università, tutto il possibile perché aumenti il numero delle persone che seguono un percorso universitario all’interno delle Carceri del Lazio. Il nostro compito, come Istituzioni, è quello di rendere più umana la quotidianità per i detenuti e creare le migliori condizioni per quando alcuni di loro usciranno fuori di qui. Oltre allo studio, per il reinserimento sociale dei detenuti, è fondamentale anche l’esperienza lavorativa all’interno delle Carceri, che, con il massimo impegno delle Istituzioni, mi auguro possa aumentare attraverso nuove commesse e nuove occasioni di lavoro". La Teledidattica è un settore importante del Progetto S.U.P. (Sistema Universitario Penitenziario) un modello ideato dal Garante dei detenuti e costituito da una rete istituzionale che mette insieme Crul (Conferenza dei Rettori delle Università del Lazio), Laziodisu, Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, le Carceri del Lazio, il Dap, la Regione Lazio, e le Università Roma Tre, Tor Vergata, Cassino, La Tuscia e La Sapienza. Grazie al PROGETTO S.U.P., attualmente sono 113 i detenuti che, nelle Carceri di tutto il Lazio, frequentano i corsi universitari. Nel 2005, i detenuti universitari nel Lazio erano appena 17. Prato: Ione Toccafondi, ex direttrice del carcere, nominata Garante dei diritti dei detenuti Adnkronos, 14 febbraio 2014 Ione Toccafondi, Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana ed ex direttrice del carcere della Dogaia, è stata nominata Garante dei diritti delle persone private della libertà personale dal sindaco di Prato, Roberto Cenni. Le candidature per questa figura erano state raccolte tramite avviso pubblico dal 4 al 21 di ottobre dell’anno scorso. La persona nominata avrà il compito di promuovere l’esercizio dei diritti fondamentali e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali delle persone private della libertà personale o limitate nella libertà di movimento che vivono nel Comune. Gli ambiti in cui opererà sono, in particolare, quelli di lavoro, formazione, cultura, assistenza, tutela della salute e sport. Il Garante resta in carica tre anni e i suoi compiti sono disciplinati dall’apposito regolamento approvato con delibera del Consiglio comunale il 31 luglio 2013 Monza: in carcere nuova emergenza per la legionella, un detenuto ricoverato Il Giorno, 14 febbraio 2014 Monza, nuova emergenza carcere per la legionella. Proibito l’uso delle docce nell’infermeria del penitenziario di via Sanquirico. L’emergenza sanitaria è scoppiata da più di un mese e ed ha coinvolto un solo detenuto della Casa circondariale. Da allora, però, "nulla è stato fatto", commenta Domenico Benemia, segretario regionale della Uil penitenziari. L’infezione ha colpito una persona che era ricoverata nel reparto infermeria dell’istituto monzese. "Appena si è scoperta la patologia, il primo provvedimento è stato proibire l’utilizzo delle docce da parte dei reclusi che dovessero transitare da quel reparto - aggiunge Benemia. Tuttavia ci saremmo aspettati, nei giorni immediatamente seguenti, un intervento di bonifica che, invece, a oggi ancora non sembra essere stato fatto". Il risultato è che le docce restano chiuse come da un mese e mezzo a questa parte e il problema non è stato risolto". E restano inagibili per le pesanti infiltrazioni d’acqua dal tetto, il teatro, la cappella, la palestra e alcune salette riservate ai colloqui fra gli avvocati e i detenuti. Alcuni interventi di impermeabilizzazione, nei mesi scorsi, sono stati realizzati ma "il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dovrebbe prevedere lavori definitivi". I problemi ci sono all’interno delle celle, nei corridoi, nelle aule didattiche e nei laboratori ma anche nelle camere riservate agli agenti, nel bar e nella mensa. E restano inagibili per le pesanti infiltrazioni d’acqua dal tetto, il teatro, la cappella, la palestra e alcune salette riservate ai colloqui fra gli avvocati e i detenuti. Ferrara: Teatro Nucleo e Asp hanno dato il via ad un nuovo progetto di teatro-carcere La Nuova Ferrara, 14 febbraio 2014 Il teatro in carcere è un’attività ormai consolidata in vari istituti penitenziari italiani, ma non affatto scontata. Non è semplice avviare e rinnovare determinati percorsi ma in molti da anni si stanno adoperando affinché il teatro e la recitazione entrino nella vita dei detenuti. Le funzioni di ciò sono molteplici e spesso intrecciate tra loro, ma legate da un unico comune denominatore: il reinserimento in società dell’individuo al termine della pena. Anche alcuni detenuti la cui pena prevista è il carcere a vita possono però fare teatro. Ferrara lavora da anni sul teatro in carcere, i progetti portati avanti nel corso del tempo sono diversi. Non si dimentichi "Cantiere Woyzeck", spettacolo rappresentato sul palco del Comunale. Nei giorni scorsi Teatro Nucleo e Asp hanno dato il via ad un nuovo progetto che vede il Teatro carcere di Ferrara al centro di un nuovo progetto europeo. Si tratta del quarto consecutivo, caso assai raro che testimonia il valore che la Commissione Europea riconosce al lavoro realizzato dal Teatro Nucleo presso il carcere di Ferrara. Questo è infatti uno degli elementi chiave del partenariato, ovvero una pratica teatrale professionale patrocinata dal Comune, che agisce in sintonia con l’amministrazione penitenziaria e dà risultati di qualità a livello pedagogico e artistico, in stretto rapporto col Terzo settore attraverso la collaborazione col Centro servizi volontariato. I partner europei sono Alarm Theater di Bielefeld in Germania, Teatro del Norte delle Asturie in Spagna, Associazione Ures Ter in Ungheria e infine Ministry of Justice Bafra Branch Office of Probation and Welfare Center in Turchia. A questi si aggiunge il Centre de Recherche et d’Interventions Sociologiques de l’Università di Liegi, in Belgio, il quale curerà monitoraggio e valutazione; questa partecipazione è strategica perché assegna un valore aggiunto al progetto, quello dello sguardo di un importante istituto di ricerca specializzato nello studio delle carceri europee. Le considerazioni finali saranno presentate sotto forma di dossier ed indirizzate al Parlamento Europeo, affinché vengano utilizzate per integrare le pratiche volte a migliorare il sistema carcerario. Pordenone: "A mani libere", in mostra le creazioni artistiche dei detenuti di Cristina Savi Messaggero Veneto, 14 febbraio 2014 Con le loro mani hanno plasmato mosaici, affreschi, disegni, che da ieri sono esposti nella saletta del Caffè letterario, in piazza della Motta, a Pordenone. Opere che hanno richiesto tempo, attenzione, cura, l’acquisizione di capacità interpretative e di espressione, nel segno di un cammino verso la normalità, verso una nuova dimensione di uomini. Sì, perché gli autori dell’esposizione, dal titolo emblematico "A mani libere", inaugurata ieri sera dal sindaco di Pordenone Claudio Pedrotti, sono persone detenute nel carcere cittadino. Che attraverso questa attività artistica e creativa, guidati dagli insegnanti, dagli educatori, dai volontari, sotto l’ala dell’Ambito urbano 6.5 e dell’Arsap di Pordenone, hanno potuto dare senso alla dimensione più difficile del carcere: quella del tempo. Dimostrando "che le persone contano molto di più della struttura" (il riferimento è alle condizioni indecorose del carcere pordenonese): così si è espresso il sindaco, ringraziando gli artisti per la "verità che esprimono le loro opere e il loro impegno". Un impegno che si rinnova e che, come ha sottolineato il direttore del Castello Alberto Quagliotto, "permette ai detenuti di occupare la propria fantasia, in maniera individuale e in gruppo, di esprimersi e scambiare idee, opinioni e confronti nell’aspirazione al bello, poco importa se raggiunto o meno". E infine di portare l’arte fuori dalle mura del Castello, aspirando anche in questo a qualcosa di normale. Qualcosa come trascorrere un’ora "fuori", vedere gente nuova, fare un brindisi e chiacchierare con qualche viso diverso dai soliti. È accaduto ad alcuni degli artisti-detenuti che ieri sera hanno potuto partecipare all’inaugurazione. "Sapere che credete in noi nonostante gli sbagli del passato ci rende forti, ci spinge ad andare avanti", racconta un giovane africano dal sorriso contagioso che attraverso l’esperienza del carcere dice di avere capito tante cose di sé. "Molti hanno potuto frequentare scuole, corsi, fare cose che non avrebbero neanche lontanamente pensato di fare", osserva un suo compagno. Visitare la mostra (aperta dalle 17 alle 20), oltre che un piacere, è un segno concreto di attenzione. Palermo: "In-formati", ragazzi detenuti all’Ipm Malaspina a lezione educazione bancaria Italpress, 14 febbraio 2014 Si terrà domani, alle 9, a Palermo, un incontro formativo con alcuni ragazzi detenuti nel carcere minorile Malaspina. L’iniziativa rientra nell’ambito di "In-formati", il programma formativo di UniCredit volto ad accrescere la capacità dei cittadini di realizzare scelte economiche consapevoli e sostenibili. Per UniCredit interverranno Enrico Giudice, Assunta Sanfilippo e Fabio Vazzana. Agli studenti sarà erogato il modulo formativo sul tema della imprenditorialità giovanile "da una buona idea a una buona impresa!". Il corso si prefigge l’obiettivo di diffondere la cultura d’impresa presso le nuove generazioni e di offrire strumenti e conoscenze di base per orientare i ragazzi nel percorso di trasformazione di una idea in una impresa. Roma: giovani detenuti Casal del Marmo diventano allenatori, terminato il 2° corso Figc Ansa, 14 febbraio 2014 Lo sport come strumento di integrazione sociale, imparare ad insegnare calcio per inserirsi nel mondo del lavoro. Si è concluso il 28 gennaio il secondo corso per aspiranti allenatori organizzato dalla Figc Lazio per i ragazzi detenuti all’interno dell’istituto di pena minorile di Casal del Marmo a Roma, uno dei tanti progetti realizzati nei centri di detenzione giovanile promossi dal Settore Giovanile e Scolastico della Figc. Giovani italiani, romeni, nordafricani e di altre nazionalità hanno ricevuto dal presidente del Settore Giovanile e Scolastico della Federcalcio Luca Pancalli un diploma che consentirà di seguire gratuitamente un corso Coni-Figc per allenatori di base quando usciranno dalla struttura di Casal del Marmo. Un primo, importante passo per un percorso che nei prossimi mesi potrebbe portare i giovani detenuti a lavorare per alcune società sportive, non solo nel Lazio ma anche in altre regioni. "È un’esperienza molto appagante - spiega la coordinatrice regionale del SGS Figc Lazio, Patrizia Minocchi - resa possibile da uno staff formato da preparatori atletici, psicologi, e medici davvero in gamba. Erano una ventina i ragazzi che hanno partecipato al corso e hanno passato tutti l’esame finale, che consiste nella realizzazione di una tesina e in una prova pratica sul campo. Molti di loro la notte prima dell’esame non hanno dormito per l’emozione". Il prossimo corso dovrebbe iniziare entro la fine di maggio: "Abbiamo anche deciso di realizzare un Docufilm - rivela Patrizia Minocchi - perché vorremmo riproporre questo modello didattico su tutto il territorio. Il calcio ha un linguaggio davvero universale ed è giusto che tutti possano vedere i risultati di questa bellissima esperienza". Immigrazione: dai Cie rimpatriato solo un detenuto su due, meno dell’1% degli irregolari www.stranieriinitalia.it, 14 febbraio 2014 Medici per i Diritti Umani pubblica i dati della Polizia di Stato: "Non sono solo inumani, anche inefficaci e irrilevanti. Vanno chiusi". I Centro di identificazione ed espulsione, oltre che inumani, sono inefficaci e irrilevanti. Meno della metà degli immigrati irregolari reclusi viene effettivamente rimpatriato. E quelli che sono davvero costretti a lasciare l’Italia sono comunque una goccia nel mare dell’irregolarità. A certificare il fallimento delle strutture dove oggi uomini e donne possono rimanere chiusi fino a un anno e mezzo solo perché non hanno un permesso di soggiorno sono i dati della Polizia di Stato diffusi da Medici per i Diritti Umani. Nel 2013 i trattenuti sono stati 6.016 (5.431 uomini e 585 donne), ma solo 2.749 (il 45,7%) è stato rimpatriato. Un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti), inferiore a quello, comunque fallimentare, registrato nel 2012, quando la percentuale è stata del 50,5%. Tra l’altro, il numero dei rimpatriati dopo il trattenimento nei Cie nel 2013 è appena lo 0,9% dei 294.000 immigrati che l’ISMU, all’inizio dello stesso anno, stimava fossero presenti in Italia. La Polizia ha calcolato in 38 giorni il tempo medio di permanenza nei Cie, molto meno del tetto di 18 mesi alzato nel 2011 dal centrodestra. Medu chiede però di scorporare il dato, "dal momento che rappresenta una media di tutte le persone transitate nei centri, includendo categorie di migranti trattenuti anche per periodi brevissimi, come ad esempio i migranti il cui trattenimento non è stato convalidato dall’autorità giudiziaria". Nelle loro visite nei Cie italiani, dal quale è venuto fuori il rapporto Arcipelago Cie, gli operatori di Medu hanno rilevato "numerosi casi di migranti trattenuti per periodi superiori ai 12 mesi, anche in condizioni di estrema vulnerabilità e di grave disagio psichico (si vedano i comunicati su Trapani Milo e Gradisca d’Isonzo)". "A conferma dell’aggravamento del clima di tensione e dell’ulteriore deterioramento delle condizioni di vivibilità all’interno dei centri di identificazione ed espulsione - segnala l’associazione - vi sono le numerose rivolte e proteste che si sono susseguite nel corso del 2013 e nel primo scorcio del 2014. Le istituzioni non possono continuare ad ignorare questo stato dei fatti ed è necessario che il governo affronti con urgenza la questione del superamento di strutture - i centri di identificazione ed espulsione - del tutto incapaci di garantire il rispetto della dignità umana e i più elementari diritti della persona". Mentre la politica non si muove, tra rivolte, proteste disperate e tagli al budget, il sistema Cie sembra comunque implodere. Otto centri, ricorda Medu, sono stati temporaneamente chiusi a causa di danneggiamenti o problemi di gestione, mentre i cinque Cie di Torino, Roma, Bari, Trapani Milo e Caltanisetta operano con una capienza molto limitata. "Per tutte queste strutture vale la considerazione fatta a proposito del Cie di Trapani Milo in occasione dell’ultima visita effettuata degli operatori di MEDU il 23 gennaio scorso: un luogo di inutile sofferenza. Sofferenza e disagio che colpisce in primo luogo i migranti trattenuti, ma che pervade e raggiunge in diverso modo tutti coloro che vi operano: dagli operatori degli enti gestori alle forze di polizia". Che fare? Medici per i Diritti Umani ha tre propose: "La chiusura definitiva degli otto Cie temporaneamente non operativi e la chiusura dei cinque centri di identificazione ed espulsione ancora aperti in ragione della loro palese inadeguatezza strutturale e funzionale; la riduzione a misura eccezionale, o comunque del tutto residuale, del trattenimento dello straniero ai fini del suo rimpatrio; l’adozione di misure di gestione dell’immigrazione irregolare, caratterizzate dal rispetto dei diritti umani e da una maggior razionalità ed efficacia". Droghe: Franco Corleone; bene bocciatura Fini-Giovanardi, ora si avvii una riforma seria di Annalisa D’Aprile Il Tirreno, 14 febbraio 2014 Promotore dell’appello firmato da giuristi e avvocati sull’incostituzionalità della Fini-Giovanardi, in prima linea nella battaglia alla legge che ha avuto "il solo effetto di riempire le carceri", da anni grida al fallimento della "war on drugs": è Franco Corleone, garante dei detenuti della Toscana. Diciamolo, ieri, con questa sentenza, si è tolto una bella soddisfazione? Sorride, poi serio risponde. "Questa vicenda, nata il 10 maggio del 2004, quando viene presentato in Senato il decreto legge che propone un cambiamento totale della Iervolino-Vassalli (legge anche quella proibizionista, voluta da Craxi, seppure poi modificata dal referendum del ‘93), si è finalmente chiusa. E con una sentenza che ha un grande valore, perché rivendica le ragioni dello Stato di diritto e il rispetto dei principi fondamentali della Costituzione. Il tema delle politiche sulle droghe è così delicato, condizionato da questioni sociali, penali, che non può essere liquidato con un dl su un’altra materia (le Olimpiadi di Torino), privando le Camere della discussione e imponendolo attraverso un voto di fiducia". Secondo il senatore Carlo Giovanardi (Ncd), la Consulta con questa decisione avrebbe "scavalcato il Parlamento". "È il Parlamento che ha violentato la Costituzione. E comunque la Corte costituzionale conferma che le riforme si fanno rispettando le regole. In questi 10 anni la politica è stata pavida, sempre in silenzio. Dopo quattro libri bianchi (curati da Forum droghe, Cnca, Antigone e Società della ragione, ndr) che riportavano i dati sull’impatto della Fini-Giovanardi non ha mai affrontato la questione. Con i danni che sappiamo: carceri sovraffollate da piccoli spacciatori e tossicodipendenti, inutile effetto della repressione. Ora, la sentenza che cancella quella legge rompe l’ideologia che la droga è droga, senza distinzioni. Almeno una differenziazione di sostanze nella legge Iervolino-Vassalli c’è". Il ritorno alla legge precedente è conseguenza dell’abrogazione, ma ora cosa succede? "Adesso si ripropone la necessità di una discussione sulle droghe, che va fatta con intelligenza e senza moralismi. Basta con la repressione, usata come chiave di volta per salvare le persone, come se fossero incatenate al male e al diavolo. Nel mondo, e anche in Paesi come Bolivia e Uruguay, si sta parlando di nuove politiche sulla droga, di legalizzazione delle foglie di coca e di cannabis per determinati usi. È ora che anche l’Italia partecipi a questa discussione". Quale sarà l’effetto immediato della cancellazione della legge? "Avrà effetti sul non ingresso in carcere in futuro. Diverso è il caso per chi sta scontando la pena, secondo alcuni giuristi però si potrà chiedere una revisione della condanna attraverso l’incidente di esecuzione". Droghe: Andria Pugiotto; se c’è un posto in cui è inutile tenere un tossico, quello è il carcere Il Resto del Carlino, 14 febbraio 2014 Intervista ad Andrea Pugiotto, ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Ferrara e Coordinatore del Dottorato di ricerca in Diritto costituzionale del medesimo Ateneo. Professor Pugiotto, innanzitutto è soddisfatto del pronunciamento della Corte? "Quando la ragionevolezza del diritto prevale sull’irrazionalità e la prepotenza procedurale del populismo penale, non si può che essere soddisfatti". Perché la Corte ha dichiarato incostituzionali le norme impugnate della legge Fini-Giovanardi? "Conosciamo solo il dispositivo della sentenza, non ancora le motivazioni. La Corte ha censurato l’eccesso di potere consumato dal Governo (e dalla sua maggioranza) che, nel 2006, agganciò al decreto legge sulle Olimpiadi invernali di Torino una riforma di sistema sulle tossicodipendenze. E, per portare a casa il risultato, usò la tecnica del maxiemendamento e del voto di fiducia: 23 articoli estranei alla materia oggetto del decreto in esame, non emendabili, approvati in una sola seduta, senza discussione, alla Camera come al Senato. E questo, costituzionalmente, non si può fare". Come mai si scelse di procedere in questo modo? "Il disegno di legge Fini, presentato nel 2004, non andava avanti, per il suo approccio proibizionista e punitivo che incontrava la contrarietà degli operatori del settore. Il centrodestra cedette alla tentazione di agganciare un vagone a un treno in corsa: i giochi olimpici erano alle porte, come anche lo scioglimento delle camere. Ora o mai più, si pensò. Ma non tutto è possibile, perché in uno Stato di diritto a tutto esiste un limite". Cosa comporta, dal punto di vista normativo, tale pronunciamento? "Sotto la scure della Corte sono cadute le norme che, equiparando droghe leggere e pesanti, inasprivano le pene (da 6 a 20 anni di detenzione), in forza di una presunzione di spaccio per chiunque detenesse una sostanza stupefacente oltre la soglia fissata da un decreto ministeriale. Rivivranno le norme penali precedenti, che la Fini-Giovanardi aveva abrogato, più miti quanto a misura delle sanzioni". Problema carceri. Cosa comporta la bocciatura della legge? "Avrà un importante effetto deflattivo. Tanto per capirci: al 31 dicembre 2013 erano detenuti in carcere per violazione della Fini-Giovanardi ben 24.273 persone. In pratica, un detenuto su tre. Stime attendibili calcolano in 10mila coloro che sono dietro le sbarre per violazione delle norme ora accertate come incostituzionali". E per chi sta affrontando ora il processo? "Quanto agli imputati a processo, l’abbattimento della pena accorcerà i relativi termini di custodia cautelare, con ulteriore abbassamento dell’attuale popolazione carceraria. E vorrei ricordare a tutti che, proprio in ragione del sovraffollamento endemico delle nostre carceri, l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani per violazione del divieto di tortura". Tutto questo genererà dei problemi sociali e di ordine pubblico? "Guardi, se c’è un posto in cui è inutile tenere un tossico, quello è il carcere. Peraltro, in forza dell’assunto secondo cui la droga è droga, la Fini-Giovanardi ha affibbiato lo stigma di drogato indiscriminatamente, senza distinzione tra piccolo consumatore occasionale e grande spacciatore, tra consumo di derivati della cannabis e commercio di eroina o cocaina. Aggiungo che i 10mila detenuti interessati non usciranno tutti e subito". Quale sarà quindi l’iter? "Sarà il giudice a ricalcolare la loro pena e, solo se interamente scontata, darà loro diritto alla libertà. O, se ne ricorreranno le condizioni, sarà il giudice ad ammetterli a pene alternative. Chi urla al lupo’, in realtà, insegue solo le proprie paure. E chi, tra i politici, le cavalca lo fa per acquisire consensi tanto facili quanto irrazionali". Dunque, lei sarebbe favorevole alla liberalizzazione delle droghe leggere? "Mi spiace contraddirla, ma già oggi le droghe leggere sono liberalizzate, perché si trovano ovunque nel mercato clandestino. Sono semmai favorevole a una loro legalizzazione: ne guadagneremmo tutti, in termini sanitari, di ordine pubblico, di governo di un diffuso fenomeno sociale. Soprattutto, contribuiremmo ad abbattere i profitti della criminalità organizzata dedita allo spaccio clandestino, profitti assicurati proprio da un approccio proibizionista al problema della tossicodipendenza". Droghe: Elia De Caro; ma la Iervolino-Vassalli è una buona legge, ora serve una riforma Redattore Sociale, 14 febbraio 2014 Elia De Caro (avvocato associato Antigone) ricorda quanto la normativa abbia creato carcerazione e quali fossero le lacune, colmate in modo restrittivo dalla Fini-Giovanardi. "Che la bocciatura sia solo un punto di partenza" Che la bocciatura della Fini-Giovanardi non crei nostalgia per la vecchia legge. "La decisione della Corte costituzionale deve essere solo il punto di partenza. La Iervolino-Vassalli non era una buona legge, anzi. La Fini-Giovanardi è stata tanto criticata proprio perché aggrava la legge precedente". Lo sostiene Elia De Caro, avvocato del foro di Bologna associato Antigone, che da anni si occupa della materia dopo un passato nei movimenti antiproibizionisti. "Con il ritorno alla Iervolino-Vassalli si amplia lo spazio di discrezionalità del giudice per stabilire i parametri se l’uso della sostanza stupefacente era personale oppure no", spiega. Così, prima dell’entrata in vigore della Fini-Giovanardi, nel 2006, i singoli Tribunali avevano stabilito i propri. Con fortissime discrepanze nel Paese: nei grandi centri spesso era il doppio che nei piccoli centri di provincia. Per altro, il motivo per cui sulla Fini-Giovanardi si è espressa la Corte costituzionale nulla ha a che fare con i contenuti della legge. È stata contestata in un processo a piccoli spacciatori per essere stata approvata nel decreto legge sui Giochi invernali di Torino sul falso presupposto dell’emergenza. "Certo, il lavoro sullo sfondo di movimenti antiproibizionisti e di associazione ha dato i suoi frutti, ma non è che la Corte entra nel merito dei contenuti", specifica De Caro. Secondo il Libro bianco sulla Fini Giovanardi curato da Antigone, Forum droghe, Cnca, Società della ragione Onlus, Fuoriluogo.it e Magistratura democratica, il 32,6 per cento dei detenuti italiani si trova dietro le sbarre per la Fini-Giovanardi. "Non che la Iervolino-Vassalli non creasse carcerazione", nota De Caro. Ma la differenza sostanziale resta: con la distinzione droghe leggere e pesante la pena comminata va dai sue ai sei anni, piuttosto che dai sei ai 20 previsti dalla Fini-Giovanardi. Droghe: la legge in vigore adesso… è un indovinello di Bruno Tinti Il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2014 Per fortuna non siamo a Sparta. Secondo Licurgo, infatti, chi proponeva una legge doveva farlo con il cappio intorno al collo; così, se la legge era sbagliata, lo si poteva impiccare subito. Ecco, se fosse così, dato il casino legislativo in materia di droga, sarebbero guai. 1A- Nel 1990 arriva il Dpr n. 309 (Iervolino-Vassalli). Art 73: lo spaccio di droghe pesanti è punito da 8 a 20 anni; quello di droghe leggere da 2 a 6. Al comma 5 è previsto "il fatto di lieve entità": da 1 a 6 anni per le droghe pesanti e da 6 mesi a 2 anni per quelle leggere. 1B- Nel 2006 arriva la legge n. 49 (Fini-Giovanardi) che modifica l’art. 73 della vecchia legge: nessuna distinzione tra droghe pesanti e leggere, lo spaccio è punito da 6 a 20 anni. Resta "il fatto di lieve entità", anche questo senza distinzione tra droghe pesanti e leggere: da 1 a 6 anni. Le critiche si sprecano: parificare droghe leggere e pesanti sembra irragionevole e le eccezioni di incostituzionalità fioccano. 1C- Il 24/12/2013 arriva il decreto legge 146 (lo chiamiamo Cancellieri & C?) che, secondo il concetto di legalità new age degli improvvisati legislatori attuali, apporta una minuscola modifica a questo tormentato art. 73: il fatto di lieve entità è ora punito da 1 a 5 anni. Sembra una cosa da poco ma, per via dei munifici sconti di pena previsti dallo svuota-carceri, significa che - in pratica - si visita la prigione in gita turistica e si esce subito. Come tutti i Dl, anche questo deve essere convertito in legge entro 60 giorni (cioè entro il 22 febbraio) altrimenti decade: niente legge nuova, abbiamo scherzato. La cosa ha, come vedremo, molta importanza. 1D- Oggi arriva la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato incostituzionale l’art. 73 della Fini-Giovanardi. Seguirà (quando non si sa) la motivazione. 2- Come è noto, la legge dichiarata incostituzionale sparisce dall’ordinamento e ne cessano gli effetti. Se esiste una legge precedente che regolamenta lo stesso fatto, torna in vigore. Nel caso di specie, quella che si deve (dovrebbe) applicare da ora in avanti, e anche per tutti i processi già celebrati e conclusi con una condanna, è la Iervolino-Vassalli. E già qui cominciano le grane perché le pene previste per i fatti di lieve entità erano inferiori (di molto) rispetto a quelle della Fini-Giovanardi. Di conseguenza, anche i termini di prescrizione lo sono. Quindi bisogna rifare i conti e vedere se la sentenza definitiva pronunciata a norma della Fini-Giovanardi arrivò prima della scadenza dei termini di prescrizione calcolati in base alla Iervolino-Vassalli. Se arrivò dopo, il condannato va scarcerato. 3- Il motivo per cui la Corte ha dichiarato incostituzionale la Fini-Giovanardi dovrebbe stare nel fatto che non si facevano distinzioni tra droghe leggere e pesanti. Però non si saprà niente di preciso fino al momento del deposito della sentenza. In ogni modo, se fosse così, tutti i condannati per droghe leggere potrebbero fare istanza di revisione del processo: in effetti avrebbe dovuto essere applicata una pena minore. 4- Rifare tutti questi processi sarà un casino mostruoso. Ma non è tutto. Perché, come si è visto, il comma 5 dell’art. 73 della Fini-Giovanardi è stato modificato dalla Cancellieri& C, legge attualmente in vigore, semplicemente quanto alla pena, ferma restando la unicità del reato quanto alle droghe leggere e pesanti, che dovrebbe essere proprio la ragione per cui la Corte ha dichiarato incostituzionale la Fini-Giovanardi. Il problema, ovviamente, sta nel fatto che la sentenza della Corte non si estende alla Cancellieri& C, legge estranea al procedimento di costituzionalità appena concluso e però certamente incostituzionale in base agli stessi principi presumibilmente valutati dalla Corte. Insomma le sentenze di condanna per lo spaccio di droga di lieve entità sarebbero emesse in base a una legge certamente incostituzionale. Paradossalmente i condannati per la Fini-Giovanardi uscirebbero di prigione e quelli per la Cancellieri & C vi entrerebbero. Per uscirne quando arriverà una nuova sentenza di incostituzionalità. 5- Una soluzione ci sarebbe. La Cancellieri & C è un decreto legge che va convertito, a pena di decadenza, entro 60 giorni; in questo caso, entro il 22 febbraio. Basterebbe non convertirlo e la Iervolino-Vassalli si applicherebbe pacificamente in tutti i processi di droga. Le pene per lo spaccio di lieve entità sono molto inferiori ma - d’altra parte - l’obiettivo non è quello di non incarcerare più nessuno e far uscire tutti quelli che sono in prigione? India: l’Onu insiste sui marò: "Questione bilaterale, Italia e India trovino una soluzione" di Virginia Piccolillo Il Corriere della Sera, 14 febbraio 2014 "Italia e India siedano a un tavolo e trovino una soluzione sui due fucilieri". Suona quasi beffardo l’appello giunto ieri dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nel momento in cui il governo Letta riceveva il colpo di grazia e a meno cinque giorni dall’udienza in cui la Corte suprema formulerà l’accusa di terrorismo per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Così le speranze accese in mattinata dall’intervento alle Camere del ministro degli Esteri, Emma Bonino, sembrano di nuovo affievolite. "Ban Kimoon mi ha assicurato comprensione e l’assicurazione di una sua successiva azione nei confronti delle autorità indiane", aveva detto la titolare della Farnesina ieri, riferendo della telefonata avuta con il segretario Onu. Un colloquio nel quale dopo le proteste per la riduzione della vicenda a "questione bilaterale" aveva ricevuto l’impegno del segretario Onu ad affrontare una questione che, al di là degli errori compiuti dall’Italia, coinvolge tutti i Paesi impegnati nelle missioni antipirateria nell’Oceano Indiano. Invece ieri sera il portavoce di Ban Ki-moon, pur riferendo delle preoccupazioni per una vicenda che "può avere ripercussioni sulle operazioni di sicurezza antipirateria e sullo stato di diritto" è tornato a parlare di Italia e India come di "due parti" che devono trovare una soluzione "concorde". Ma chi se ne occuperà? Oggi, tra gli ultimi atti del suo governo, Enrico Letta, riunirà il comitato Marò. Un incontro già programmata anche con il ministro della Difesa, Mario Mauro, e l’inviato Staffan De Mistura, di ritorno dall’India. Intanto a New York da Ban Ki-moon arriverà Catherine Ashton per "risollevare il caso", come ha annunciato ieri la Bonino respingendo le critiche, durissime, di Lega e Fratelli d’Italia, e rivendicando di aver "ottenuto" l’Unione Europea e la Nato: "Non è più, non può più essere una disputa bilaterale. Sono in gioco principi di fondo dello Stato di diritto, è in gioco l’applicazione delle convenzioni antiterrorismo, e di due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza". "Continueremo su questa strada convinti come siamo che il nostro obbligo prioritario è riportare in Italia in dignità i nostri due marò", ha promesso, riferendo anche di "lettere inviate al ministro degli Esteri indiano e al National Security Advisor", e di un nuovo canale aperto, quello con l’Alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay, "con la quale rimarrò in contatto e che incontrerò a Ginevra". Ieri sono arrivate proposte dal Parlamento: ridiscutere le future missioni antipirateria, hanno suggerito i presidenti delle commissioni Difesa di Camera e Senato, Pierferdinando Casini e Nicola Latorre. Mentre Gian Piero Scanu, capogruppo Pd in commissione Difesa alla Camera propone di far rientrare sotto l’egida Onu le missioni antipirateria. Francia: fornire telefoni cellulari a detenuti, proposta controllore generale delle carceri Ansa, 14 febbraio 2014 Autorizzare i detenuti ad avere il proprio telefono cellulare: è la proposta di Jean-Marie Delarue, controllore generale delle prigioni francesi, secondo cui la misura garantirebbe "più serenità". "Credo, che prima o poi, bisognerà autorizzare i telefoni cellulari in carcere", ha dichiarato Delarue, rivolgendosi all’Assemblea Nazionale di Parigi. Già nel 2011, il controllore generale aveva lanciato una riflessione su questo tema, precisando che una eventuale autorizzazione dovrebbe farsi con tutte le precauzioni del caso. Come il controllo dei tabulati telefonici su base regolare. Oggi, in Francia, i detenuti hanno soltanto accesso ai telefoni fissi dei penitenziari, che possono essere intercettati per motivi di sicurezza. Stati Uniti: vuoi curarti? fatti arrestare, il più grande centro di salute mentale è in carcere di Gabriella Meroni Vita, 14 febbraio 2014 Il New York Times entra nel "più grande centro di salute mentale d’America", che però è un carcere, e alza il velo sullo stato di abbandono dei malati psichiatrici. Che hanno come unica possibilità di essere curati quella di farsi arrestare. "Abbiamo abolito i manicomi per non chiuderci dentro i matti, e poi li abbiamo chiusi in prigione". "Il più grande centro di salute mentale in America è un enorme complesso qui a Chicago, dove vivono migliaia di persone che soffrono di manie, psicosi e altri disordini mentali, circondate da alte barriere e filo spinato. Solo una cosa: è un carcere. L’unico modo per essere curati è essere arrestati". Comincia così il reportage della domenica uscito ieri sul New York Times a firma di uno dei giornalisti di punta della testata, Nicholas Kristof. Un viaggio sconvolgente alla scoperta di una realtà difficile da accettare: i manicomi negli Usa sono di fatto le prigioni, e i malati psichici vengono sistematicamente ammanettati e rinchiusi anziché accolti e trattati come pazienti bisognosi di cure. Il Nyt non esagera, visto che "più della metà dei detenuti negli Usa hanno problemi mentali" (un dato che sale al 75% tra le donne), come dichiarato dallo stesso Dipartimento della Giustizia. E il giornalista racconta ciò che vede nel carcere di Cook County Jail (nella foto, un detenuto), diventato di fatto un ospedale psichiatrico, come ammette lo stesso sceriffo che lo accompagna: persone allettate, o che sentono voci, perse nelle loro visioni, o intente a parlare con figure invisibili. Il 60% dei detenuti infatti è affetto da malattie come schizofrenia, disturbo bipolare, psicosi, depressione grave. Non che siano tutti assassini, tutt’altro: per la maggior parte sono persone arrestate perché ricadute decine di volte negli stessi piccoli reati; è il caso del detenuto George, al sesto ingresso in carcere per resistenza a pubblico ufficiale: non voleva uscire da una lavanderia automatica in cui si era rinchiuso da solo. I dati che fanno da contorno al racconto danno un’idea precisa delle distorsioni del sistema: un malato psichiatrico su quattro negli Usa si trova in carcere, anziché in un ospedale; il 40% dei malati psichici incorre in un arresto almeno una volta nella vita; nel 1955 c’era un posto in psichiatria ogni 300 abitanti, oggi ce n’è 1 ogni 3000. E sebbene da allora, come nota il servizio, l’accesso agli psicofarmaci sia diventato enormemente più facile e diffuso, non è aumentata la tutela della salute mentale, e i malati più poveri e borderline si sono ritrovati senza assistenza. "Spesso si fanno arrestare per essere curate", confida una sorvegliante della sezione femminile. Anche perché i farmaci sono a pagamento, e molto costosi, per chi è privo di assicurazione sanitaria. "Abbiamo chiuso i manicomi, e i malati si sono ritrovati senza posti dove andare", sintetizza lo sceriffo Thomas Dart. "Quindi le carceri si sono trasformate di fatto in ospedali psichiatrici. È buffo: la stessa società che aborriva l’idea di rinchiudere i matti in manicomio, adesso li chiude in prigione". Svizzera: detenuto tunisino di 21 anni s’impicca nel carcere di La Croisée a Orbe Corriere del Ticino, 14 febbraio 2014 Un tunisino, detenuto nella prigione di La Croisée a Orbe (VD), si è impiccato ieri nella sua cella, ha indicato oggi la polizia cantonale vodese in un comunicato. L’uomo di 21 anni scontava una pena di qualche mese per rapina, tentativo di furto e violazione della legge sugli stupefacenti. I medici al loro arrivo non hanno potuto che constatarne il decesso, precisa la polizia. È stata aperta un’inchiesta. Secondo i primi elementi, il detenuto si è impiccato con i suoi pantaloni alle sbarre della porta della cella. Yemen: 10 morti e 29 evasi dopo attacco gruppo islamico al carcere centrale di Sanàa Nova, 14 febbraio 2014 È di 10 morti, 7 soldati e tre miliziani, e 29 detenuti evasi il bilancio dell’assalto lanciato ieri sera a Sanàa contro il carcere centrale della capitale yemenita, che si trova nella zona di al Jaraf, nella parte nord della città. A riferirlo è il ministero dell’Interno yemenita in una nota diffusa dall’agenzia di stampa nazionale "Saba". I 29 detenuti evasi sono membri del gruppo terroristico di al Qaeda, il che conferma l’ipotesi che dietro l’attacco di ieri sera, che ha provocato 7 esplosioni e un’ora di scontri a fuoco, ci sia la mano del gruppo islamico armato. Gli evasi, tra cui tre accusati di un attentato contro il presidente yemenita Abde Rabbo Hadi, hanno approfittato del fatto che le guardie erano impegnate a combattere per fuggire. L’attacco, spiegano gli inquirenti, è iniziato con l’esplosione di un’autobomba davanti al carcere e uno scontro a fuoco che ha costretto gli abitanti del quartiere a fuggire dalle proprie case. Stati Uniti: in Florida eseguita pena morte su 46enne condannato per stupro e omicidio La Presse, 14 febbraio 2014 Le autorità della Florida hanno eseguito la pena di morte nei confronti del 46enne Juan Carlos Chavez, condannato per aver violentato e ucciso un bambino di 9 anni nel 1995. L’uomo è stato pronunciato morto alle 20.17 ora locale, dopo un’iniezione letale nel carcere statale della Florida. Chavez minacciò Jimmy Ryce con una pistola quando il bambino scese dallo scuolabus in una zona rurale nella contea di Miami-Dade. L’uomo violentò il bimbo e gli sparò quando il piccolo provò a scappare, dopodiché smembrò il suo corpo. Dopo la tragedia i genitori di Ryce hanno lanciato una campagna chiedendo leggi più forti sul confino di persone condannate per reati sessuali una volta scontata la pena, se ancora considerate pericolose. Una legge approvata in Florida nel 1998 e nota come il Jimmy Ryce Act prevede che queste persone debbano dimostrare la propria riabilitazione prima che possano essere rilasciate. L’organizzazione fondata dai genitori del bambino, il Jimmy Ryce Center for Victims of Predatory Abduction, si batte anche per migliorare le procedure adottate dalla polizia nelle ricerche di bambini scomparsi e finora ha donato alle forze dell’ordine negli Usa e all’estero oltre 400 cani addestrati. Stati Uniti: giudice vieta a farmacia dell’Oklahoma di fornire farmaco per iniezione letale La Presse, 14 febbraio 2014 Un giudice federale ha impedito temporaneamente a una farmacia dell’Oklahoma di fornire al dipartimento delle carceri del Missouri un farmaco per l’esecuzione letale. La decisione è arrivata dopo che un detenuto condannato a morte nel Missouri, Michael Taylor, aveva avviato una causa legale, affermando che la farmacia Apothecary Shoppe di Tulsa fornirà il pentobarbital che dovrebbe essere usato nell’esecuzione fissata per il 26 febbraio. I legali dell’uomo sostengono che alcune recenti esecuzioni dimostrino che il farmaco potrebbe causare a Taylor "un dolore acuto, non necessario, persistente e disumano". Le autorità del Missouri non hanno confermato che la farmacia di Tulsa è la fonte del farmaco e per il momento non è chiaro se la decisione del giudice federale comporterà un rinvio dell’esecuzione. Un’udienza è stata fissata per martedì. Il 47enne Taylor si è dichiarato colpevole di aver rapito, stuprato e accoltellato nel 1989 una 15enne di Kansas City. Siria: evasioni militanti di al-Qaeda da carceri Iraq hanno alimentato jihad oltre confine Aki, 14 febbraio 2014 Una lunga serie di evasioni di militanti di al-Qaeda, tra i quali molti condannati a morte, dalle prigioni dell’Iraq ha alimentato nel corso degli ultimi mesi le file dei jihadisti che combattono in Siria. Le evasioni rientrano in una strategia molto precisa, alla quale al-Qaeda ha dato il nome di "Operazione Breacking the Walls" e che ha portato avanti tra luglio 2012 e luglio 2013, consentendo la fuga di oltre 600 militanti. Si tratta di terroristi ben addestrati, che oggi alimentano soprattutto la leadership e la manovalanza dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante, gruppo della galassia di al-Qaeda che in Siria ha profondamente cambiato la natura del conflitto e in Iraq tiene da settimane sotto scacco la provincia di Anbar. L’evasione più eclatante, che da sola ha riguardato quasi 500 militanti di al-Qaeda, è stata quella di luglio scorso dal carcere di Abu Ghraib, il più grande dell’Iraq. Tra gli evasi c’era anche Abu Aisha, che nella sua cella aspettava l’esecuzione della pena capitale, mentre oggi è tra i leader dello Stato islamico che tengono in mano Fallujah, città della provincia di Anbar. Abu Aisha era un meccanico prima dell’arrivo delle truppe Usa nel 2003. Unitosi al jihad, è stato arrestato prima dagli americani, poi nuovamente nel 2008 e nel 2010. Ha dedicato gli ultimi anni in carcere a studiare il Corano e la Sharia e a preparare fiducioso il suo ritorno al jihad. A luglio 2013 una forte esplosione provocò una frana in un muro di Abu Ghraib, con la complicità di alcune guardie, le celle dei militanti di al-Qaeda furono aperte e Abu Aisha, insieme a molti suoi compagni, poté fuggire. Lo Stato islamico diede a tutti gli evasi la possibilità di scegliere se andare in Siria o restare a combattere in Iraq. "Molti dei leader che conoscevo - ha raccontato, citato dal New York Times - scelsero subito il jihad in Siria. Altri combattenti si unirono a loro in seguito, perché sentivano che in Siria sarebbero stati più liberi. Io ho deciso invece di rimanere in Iraq con il mio gruppo". L’arrivo di queste centinaia di militanti dall’Iraq ha definitivamente cambiato la natura del conflitto siriano, che da scontro tra regime e ribelli si è trasformato in una guerra totale, con i jihadisti che combattono sia contro i lealisti che contro gli oppositori e guadagnano sempre nuove posizioni. Intanto le evasioni alimentavano anche il fronte iracheno di al-Qaeda. A settembre 2012, 47 condannati a morte sono fuggiti dal carcere di Tikrit e tra loro c’era anche Shaker Waheeb, figura quasi mitologica per i jihadisti, considerato per brutalità e capacità di leadership l’erede del capo iracheno di al-Qaeda, Abu Musab al-Zawahiri, ucciso nel 2006. Un video lo mostra dopo l’evasione, mentre uccide con un colpo alla testa tre camionisti nella provincia di Anbar. Per alcuni osservatori, le autorità irachene potrebbero aver avuto un ruolo nella serie di evasioni di militanti sunniti. Il premier sciita Nuri al-Maliki avrebbe fatto un ‘regalò al presidente siriano alawita Bashar al-Assad, che con l’arrivo dei jihadisti nel suo paese è riuscito a creare un allarme terrorismo che ha portato molte cancellerie internazionali a chiedersi se il suo regime non sia un male minore di al-Qaeda. "Il governo di Maliki ha fatto un favore al regime di Assad, dando credibilità alla sua lotta contro il terrorismo", ha commentato Abduljabbar Osso, un leader militare dei ribelli ad Aleppo. La pensa come lui Ahmad al-Aboud, altro comandante ribelle, secondo il quale il suo gruppo "ha sempre avuto difficoltà a procurarsi armi leggere dall’Iraq, mentre invece è molto semplice per lo Stato islamico far arrivare veicoli, armi e combattenti da oltre confine". La loro teoria è sostenuta anche da alcuni politici iracheni, come il parlamentare Shwan Muhammed, secondo il quale il governo ha sempre ostacolo le indagini sull’evasione da Abu Ghraib. "Per una settimana - ha detto Muhammed, che partecipa alle indagini sull’evasione - il governo non ci ha neanche permesso di avvicinarci al carcere". Afghanistan: rilasciati 65 detenuti dal carcere Bagram. Proteste Usa… "sono pericolosi" Adnkronos, 14 febbraio 2014 La autorità afghane hanno rilasciato 65 degli 88 detenuti del carcere di Bagram segnalati come "pericolosi" dagli Stati Uniti. "Sessantacinque prigionieri sono stati rilasciati dal carcere di Bagram, sono tornati in libertà questa mattina. La decisione è stata presa dalla commissione nominata dal presidente Hamid Karzai" per seguire la vicenda, ha detto un portavoce della prigione, il maggiore Nimatullah Khaki, in dichiarazioni all’agenzia di stampa Xinhua. Secondo il giornale afghano online Khaama Press, i detenuti sono stati trasferiti con un pullman dalla prigione di Bagram a Kabul. Per gli Usa, come si legge in una nota dell’ambasciata americana a Kabu, la "decisione del governo dell’Afghanistan di rilasciare" i 65 detenuti è "assolutamente deplorevole". I militari Usa hanno ceduto lo scorso anno agli afghani il controllo del carcere di massima sicurezza di Bagram, circa 60 chilometri a nord di Kabul, ora indicato come Centro di detenzione di Parwan. Da allora sono stati liberati centinaia di detenuti. Secondo le autorità afghane per i 65 prigionieri in questione non ci sono prove sufficienti per trattenerli in carcere. Nella nota dell’ambasciata Usa si ribadisce invece come "tra le persone che sono state rilasciate oggi ci siano individui responsabili, o complici, della morte di personale delle forze di sicurezza afghane, civili afghani, americani e personale delle forze della coalizione" e come le "prove contro di loro non siano mai state valutate seriamente". Karzai: Usa non si intromettano in rilascio talebani Nuove scintille tra il presidente afghano uscente, Hamid Karzai e gli Stati Uniti. Karzai ha replicato duramente alle critiche di Washington sul rilascio di 65 talebani dalle carceri afghane, operazione definita "profondamente incresciosa", affermando che, "l’Afghanistan è un Paese sovrano. Se le autorità giudiziare afghane decidono di liberare prigionieri questa decisione non è materia che possa riguardare gli Usa. Spero che gli Stati uniti la smettano di tormentare le autorità giudiziarie afghane". Stamane l’ambasciata Usa a Kabul ha avvertito le autorità afghane che "saranno responsabili delle conseguenze" che deriveranno dal rilascio di un alto numero di talebani. Libia: ministro Giustizia al Morghani ammette violazioni dei diritti umani nelle carceri Nova, 14 febbraio 2014 Il ministro della Giustizia libico, Salah al Murghani, ha ammesso che "nelle carceri libiche si verificano talvolta casi di violazioni dei diritti umani". Commentando all’emittente televisiva "al Jazeera" il rapporto della Ong Human Right Watch sulla situazione di diritti umani nel paese, il ministro ha ammesso il verificarsi di violazioni. "Si tratta di fatti che non neghiamo e molte delle cose contenute in quel rapporto sono vere - ha aggiunto il ministro - ma posso dire che stiamo lavorando per risolvere il problema". L’esponente del governo libico ha sottolineato inoltre come "il paese si stia incamminando lentamente verso una transizione democratica per diventare uno stato di diritto, ma sono tante le difficoltà che stiamo affrontando e riconosco che abbiamo anche commesso degli errori. Sappiamo che le violazioni dei diritti umani in Libia ostacolano il nostro cammino". Cina: persecuzioni religiosi, si teme per 13 cristiani arrestati dopo riunione studi biblici Ansa, 14 febbraio 2014 È allarme per la sorte di 13 cristiani cinesi che, secondo quanto denunciano due avvocati, sono stati arrestati a Pechino da oltre due settimane per aver organizzato una riunione per studiare la Bibbia alla periferia della capitale. Lo riporta il South China Morning Post. Secondo le informazioni rese dai due avvocati, finora alle famiglie non è stato notificato nulla di ufficiale. I fatti risalgono al 24 gennaio quando oltre un gruppo di cristiani si riunì a Pechino per un incontro di studi biblici da tenersi a casa dell’ex dissidente Zhang Wenhe, temporaneamente detenuto in quel momento. Appena arrivati, sono stati arrestati anche loro. Secondo i due avvocati il periodo di detenzione dovrebbe terminare il prossimo 25 febbraio anche se non si sa se saranno poi immediatamente rilasciati. In base alla legge cinese le persone possono essere trattenute in carcere per un massimo di 37 giorni dopodiché la polizia deve passare il caso alla pubblica accusa oppure rilasciare i detenuti su cauzione.