Giustizia: decreto-carceri, per sfoltire i detenuti superabili le regole generali di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 11 febbraio 2014 La legge 199/2010 non può bypassare la pericolosità sociale. Una mera sovrapposizione con l’ordinamento penitenziario priverebbe le nuove norme della loro efficacia. La legge "svuota carceri" del 2010 può essere applicata a prescindere dal criterio del me-rito e anche in deroga a quanto disposto dall’ordinamento penitenziario: l’unico limite è quello della pericolosità sociale. Con la sentenza 6138 depositata ieri, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso del procuratore generale della Corte d’Appello di Genova contro la decisione di concedere gli arresti domiciliari all’ex capo del Servizio centrale operativo (Sco) condannato a tre anni e otto mesi per le violenze avvenute alla scuola Diaz, nei giorni del G8 di Genova. I giudici della prima sezione penale hanno però detto no anche alla richiesta dell’ex dirigente di polizia di ottenere l’affidamento in prova. Sia il condannato sia la pubblica accusa si erano rivolti alla Suprema corte con l’intenzione di ribaltare la parte "sgradita" del verdetto, con il quale il Tribunale di sorveglianza aveva deciso di concedere gli arresti domiciliari al poliziotto, per gli otto mesi residui di pena, negandogli al tempo stesso la possibilità di svolgere il servizio sociale. Il tribunale aveva messo l’accento sull’estrema gravità dei fatti addebitati all’ex su-per poliziotto che aveva compiuto azioni proprie "dei peggiori regimi antidemocratici, in violazione di diritti fondamentali, di libertà, di tutela giudiziaria, della dignità della persona, riconosciuti in tutte le democrazie occidentali, nella nostra Suprema carta e nella stessa Cedu". Contro di lui ha giocato anche il clamore della vicenda e il conseguente "discredito internazionale". Altro dato sfavorevole la mancanza di un "serio atteggiamento di revisione critica del suo comportamento". Una chiusura verificata sia durante il processo, dove l’orientamento era quello di negare le responsabilità, sia rispetto alle vittime nei confronti delle quali non ci sono stati gesti riparatori. A fronte di questo, il tribunale ha preso atto di una relazione favorevole al condannato degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe), riguardo alle attività di volontariato intraprese, giudicando però questi elementi positivi "subvalenti" rispetto a quelli negativi. Il tribunale di sorveglianza, a cui la Cassazione si allinea, ha chiarito che il giudizio finale avrebbe pregiudicato non soltanto la richiesta di affidamento ai servizi sociali ma anche, in base all’articolo 47-ter dell’ordinamento penitenziario, la possibilità di usufruire della detenzione domiciliare impossibile, in base all’ordinamento penitenziario, in caso di giudizio di non meritevolezza. Un ostacolo che viene però superato dalla legge "svuota carceri" 199/2010 che consentiva di espiare ai domiciliari gli ultimi 18 mesi di pena residua indipendentemente da una preventiva valutazione di meritevolezza. Il beneficio era negato solo ai condannati per i reati previsti dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario (collegamenti con crimine organizzato e terrorismo), in caso "di pericolo di fuga o di commissione di altri delitti e di insussistenza della idoneità e della effettività del domicilio, anche in funzione di tutela delle persone offese dal reato". Lo "svuota-carceri" supera dunque l’ordinamento penitenziario, perché se così non fosse sarebbe priva di efficacia una norma che ha l’obiettivo, limitato nel tempo, di alleggerire il carico carcerario. Giustizia: ecco perché il carcere "chiuso" riduce la sicurezza di Roberto Galbiati e Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 11 febbraio 2014 Gli economisti dimostrano che senza misure alternative aumenta il tasso della recidiva. Chi sconta la pena all’esterno delle prigioni ha una recidiva del 48% più bassa rispetto ai detenuti incarcerati. Chi va con lo zoppo impara a zoppicare, recita un antico proverbio. E la saggezza popolare trova riscontro in vari studi di economisti - italiani e internazionali - su carcere e recidiva. Gli scienziati sociali lo chiamano "effetto dei pari" ed è la conclusione a cui giungono dopo una serie di studi quantitativi sulla propensione alla recidiva, cioè sulla probabilità di tornare a commettere altri reati e di rientrare in galera. Insomma, il carcere è una scuola criminale: quando entrano, i condannati rafforzano i legami con altri detenuti e allentano quelli con il resto della società; quando escono dal carcere dopo aver scontato la pena, gli ex detenuti diventano reciprocamente un punto di riferimento, influenzandosi a vicenda. Ben lungi dall’essere affermazioni apodittiche, queste conclusioni sono il risultato, ottenuto empiricamente, di una serie di ricerche che ormai da qualche decennio studiosi di varie parti del mondo portano avanti utilizzando le migliori tecniche di indagine quantitativa. Risultati preziosi in questo delicato passaggio politico-parlamentare sul carcere, perché smentiscono luoghi comuni e allarmismi in nome della sicurezza, che partono da un’idea distorta di "certezza della pena", intesa non come "certezza della qualità della pena" ma come pena da scontare interamente chiusi "dentro", a doppia mandata. E più sono le mandate, più "fuori" ci si sente sicuri. Al contrario, gli studi economici dimostrano che il carcere "chiuso" produce soltanto altro carcere e che il sovraffollamento (con il suo carico di promiscuità, invivibilità, degrado, insalubrità e morti, che si porta dietro) è un moltiplicatore della recidiva. Dunque, non "conviene" alla sicurezza collettiva. Piuttosto, è sulle misure alternative alla detenzione (scorrettamente equiparate a "libertà" o a "premi") che bisogna puntare per ridurre la recidiva. In questa direzione si muovono le misure legislative in corso di approvazione (dopo il via libera della Camera, il decreto "svuota carceri, che decade il 21 febbraio, è ora all’esame del Senato). Ma il passo è ancora claudicante perché ancora è troppo radicata la cultura carcero-centrica nonché l’idea, supportata da uno strepitio politico di fondo, che le misure alternative siano un regalo ai delinquenti e che solo il carcere garantisca la quiete degli onesti. Il problema non è limitato all’Italia. L’aumento della popolazione carceraria è ormai una costante in molti paesi occidentali. Negli ultimi trent’anni i detenuti sono cresciuti di oltre sei volte negli Stati Uniti e sono raddoppiati in molti paesi europei, fra cui Italia e Francia. Effetto automatico dell’aumento della popolazione carceraria è l’incremento sia delle persone alla prima esperienza di carcere sia dei recidivi. Di fronte a questo fenomeno è quindi lecito chiedersi se il carcere svolga o meno la sua funzione di "riabilitazione" o funga soltanto da parcheggio, dove soggetti ritenuti pericolosi o indesiderabili vengono isolati per un periodo più o meno lungo dal resto della società. In altre parole, la prima domanda è se il carcere riesca a favorire il re-inserimento sociale o sia soltanto uno strumento di controllo attraverso l’incapacitazione dei detenuti. A questa domanda se ne aggiungono altre: la detenzione aiuta a ridurre la recidiva? E ancora: il carcere duro, inteso come condizioni inumane e degradanti (costate all’Italia la condanna da parte della Corte di Strasburgo), può indurre gli ex-detenuti a delinquere meno? Il cittadino italiano, pur di fronte alla gravissima violazione dei diritti umani che si consuma nelle patrie galere, potrebbe pensare che al "costo" sopportato dai detenuti corrisponda un minor "costo" in termini di recidiva, e quindi di sicurezza collettiva, sentendosi cosi in pace con la propria coscienza. Agli occhi degli scienziati sociali però le cose si presentano in modo un po’ diverso. Uno dei punti cruciali del dibattito politico-parlamentare è l’uso sistematico di misure alternative alla detenzione, come la detenzione domiciliare e/o con braccialetto elettronico. Nella contrapposizione ideologica, i detrattori gridano allo scandalo del "regalo" a delinquenti pericolosi, i fautori replicano che il carcere è ormai un semplice strumento di vendetta. Come uscire da una simile impasse? Paragonare i tassi di recidiva di chi ha scontato la pena ai domiciliari con quelli di chi è andato in carcere è un’idea naif. In genere, chi va ai domiciliari è considerato meno pericoloso ed è normale che sia meno recidivo. Un recente articolo di Rafael Di Telia ed Ernesto Schargrodsky, apparso sul Journal of Political Economy, aiuta a comprendere meglio qual è l’effetto di misure alternative, come la sorveglianza elettronica. Il caso studiato si riferisce all’Argentina. Per risolvere il problema della selezione (il confronto tra pere e pere e non tra pere e arance), idealmente bisognerebbe assegnare in modo casuale condannati con caratteristiche simili a pene diverse. Gli autori approssimano questo esperimento ideale sfruttando la peculiarità del sistema giudiziario argentino, in cui gli imputati sono assegnati ai magistrati giudicanti in modo casuale: attraverso la storia delle decisioni dei singoli giudici, identificano quelli più o meno "garantisti" (cioè più o meno propensi all’uso di misure alternative) e in tal modo possono identificare una componente casuale nell’assegnazione a pene diverse. I risultati dello studio suggeriscono che i soggetti che beneficiano della misura alternativa recidivano il 48% in meno (praticamente la metà) dei detenuti incarcerati. Si potrebbe eccepire che l’Argentina è un caso particolare e ci si potrebbe chiedere perché aspettarsi un tale effetto di riduzione della recidiva, ovvero, perché mai la detenzione dovrebbe favorire la recidiva. Una semplice ragione è che l’aumento considerevole del la popolazione carcera ria negli ultimi decenni ha enormemente deteriorato le condizioni di detenzione. Ma come fare a capire se le condizioni di detenzione sono davvero fonte di maggiore recidiva? La risposta è in una serie di studi americani (Chen e Shapiro, American Law and Economics Review 2007 tra gli altri) e in uno studio italiano. Francesco Drago, Roberto Galbiati e Pietro Vertova (American Law and Economics Review 2011) hanno focalizzato la ricerca su un campione di circa 2omila ex detenuti italiani, utilizzando un elemento casuale nel processo di assegnazione del luogo di detenzione. La pena andrebbe scontata nel carcere più vicino alla residenza del condannato, ma questa regola è spesso disattesa per varie ragioni: dal sovraffollamento del carcere "naturale" a motivi di incompatibilità tra quel carcere e il detenuto. Il quale può quindi finire, in modo parzialmente casuale, in carceri dove le condizioni di detenzione sono più o meno buone, a prescindere dalla propria pericolosità. Questo processo rende possibile, con alcuni accorgimenti statistici, depurare l’analisi da fattori di confusione e consente di comprendere meglio quale sia l’effetto delle condizioni di detenzione sulla recidiva. In particolare, gli autori hanno analizzato l’impatto del numero di morti in carcere avvenute durante la detenzione, depurando l’effetto delle morti da altre caratteristiche inosservate dell’ambiente carcerario o, che potrebbero rendere le correlazioni spurie: l’analisi mostra che maggior sovraffollamento e morti in carcere sono fattori associati a una maggiore propensione a recidivare. Si potrebbe obiettare che, se il problema della recidiva sono sovraffollamento e condizioni che producono morti, basta costruire nuovi penitenziari o ristrutturare quelli dismessi. Ma, a parte i costi, quest’operazione risolverebbe davvero i problemi? Forse renderebbe le condizioni detentive meno in-sopportabili, ma non intaccherebbe uno dei fattori alla radice dell’aumento della recidiva a causa del carcere. Questo fattore è quello che gli scienziati sociali chiamano "effetto dei pari". Che equivale, appunto, al proverbio "stando con lo zoppo si impara a zoppicare": "dentro" si rafforzano i legami con altri detenuti e si allentano quelli con il mondo esterno; una volta "fuori", gli ex-detenuti diventano reciprocamente un punto di riferimento, influenzandosi a vicenda. L’evidenza empirica di queste affermazioni si trova in molti altri studi. Francesco Drago e Roberto Galbiati (American Economie Journal: Applied Ecouomics, 2012), utilizzando un campione di circa20mila detenuti italiani, mostrano come la propensione individuale a tornare a delinquere dipenda dal comportamento degli altri detenuti con cui si è condiviso il carcere. Lo stesso risultato lo ritrovano Patrick Bayer e altri (Quarterly Journal of Economics) utilizzando un campione di detenuti americani, e Aurelie Ouss (Harvard University, 2013) con riferimento a detenuti francesi. Insomma, il carcere è una scuola criminale. Del resto, più di un secolo fa (era il 18 marzo 1904) Filippo Turati denunciava: "Noi ci gonfiamo le gote a parlare di emenda di colpevoli, ma le nostre carceri sono fabbriche di delinquenti o scuole di perfezionamento dei malfattori". Giustizia: appalti sospetti per il piano-carceri, un dossier in Procura di Liana Milella La Repubblica, 11 febbraio 2014 C’è un dossier che scotta sui tavoli di palazzo Chigi. Riguarda le carceri e Angelo Sinesio, il commissario che le controlla. Prefetto di carriera caro al Guardasigilli Anna Maria Cancellieri. Era il suo vice a Catania quando lei era prefetto. Era il capo della sua segreteria tecnica quando lei era al Viminale. Ora è il suo uomo di fiducia per i penitenziari. Il rapporto parla di cattiva gestione negli appalti del Piano carceri, torta ricca di 470 milioni di euro. Il rapporto è pure sui tavoli dei pm di Roma Paolo Ielo (sì, quello di Mani pulite) e Mario Palazzi. A scorrerlo si resta sconcertati da una gestione che sembra ignorare le calde raccomandazioni della legge anti-corruzione su appalti e trasparenza. Dirà la procura se ci sono reati (abuso, falso, peculato, turbativa, eventuale corruzione). Il protagonista L’autore è Alfonso Sabella. Pm a Palermo con Caselli procuratore, minacciato da Cosa nostra, al Dap due volte, prima con Caselli, poi chiamato dal Guardasigilli Nitto Palma. Come direttore delle risorse Sabella "scopre" il mondo dell’appalto al posto della ristrutturazione. Più lucroso il primo del secondo. Propone un piano da 200 milioni per recuperare 70mila posti, a fronte di un Piano carceri da 700 milioni che ne produce solo 9mila nuovi. Il 22 ottobre 2013 Sinesio presenta alla Camera il Piano. Il 21 novembre Sabella scrive al direttore del Dap Giovanni Tamburino. Parla di "dati non corretti e circostanze non veritiere", di un "non fruttuoso impiego di risorse pubbliche". Oggi Sabella non è più al Dap, ma al ministero come vicecapo dell’organizzazione giudiziaria. Cercato da Repubblica rifiuta commenti. Matematica creativa Il Piano carceri sarebbe frutto di "un’appropriazione indebita" perché spaccia per suoi interventi fatti dal Dap e dal ministero delle Infrastrutture, "come i nuovi padiglioni di Modena, Terni, S. Maria Capua Vetere, Livorno, Catanzaro, Nuoro". Sabella: "A parte alcune ristrutturazioni, sono state intestate al Piano opere progettate, realizzate e pagate dal Dap e dal Mit, gonfiando virtualmente il numero dei posti che avrebbe realizzato il commissario". "Matematica creativa" per Sabella perché con 696,5 milioni si garantiscono 9.050 posti, poi con 470 se ne vantano 12mila. Anomalie nelle gare "con ribassi palesemente fuori mercato (in media il 48% con una punta del 54%) che determinano difficoltà tali da presumere che sarà impossibile finire i lavori". I consulenti oscuri La pietra dello scandalo è la fittizia "pubblica selezione" per il responsabile della struttura amministrativo-finanziaria che tiene la cassa da 500 milioni. Procedura "che non ha analogie dal ‘48". L’avviso "è stato pubblicato non sulla Gazzetta ufficiale, bensì solo sul link..., di un link..., di un link..., nel sito del Piano. Per trovare il bando bisogna cliccare su "trasparenza", poi "atti", poi "decreti commissariali", poi "decreti vari", poi "avviso pubblico di selezione". Solo gli autori potevano fare domanda in sette giorni". Se uno ci fosse arrivato sarebbe incappato in un indirizzo sbagliato "pianocerceri@interpec.it", dove la "a" di carceri è sostituita da una "e". Stipendio 10mila euro al mese. Attribuiti a Fiordalisa Bozzetti, commercialista di Firenze, moglie di Mauro Draghi, scelto dall’ex commissario Franco Ionta come coordinatore di tutte le progettazione. "Incompatibilità? Nessuno si pone il problema". Di Draghi Sabella scrive: "È un funzionario senza esperienze professionali nell’edilizia penitenziaria, prima ha progettato solo una cappella, e neppure dentro un carcere". "Dopo" sarebbe autore del progetto del carcere di Catania "che per i tecnici del Dap presenta gravissimi errori concettuali e progettuali". Voci pettegole lo indicano come il vecchio gestore del ristorante Mexico all’Aventino. Lo strano caso di Arghillà Arghillà è il carcere di Reggio Calabria. Per Sinesio "con 10 milioni e in 90 giorni il Piano ha fatto quello che il Mit doveva fare con 21,5 milioni e in 240 giorni". Per Sabella il Piano "ha realizzato sistemazioni esterne e riqualificazione interna, mentre il Mit prevedeva numerose altre opere". "Oggettivamente falso" che alla gara siano state invitate ditte affidabili del Dap, perché "le imprese invitate sono 10, di cui solo 3 nella lista Dap". Più affidamenti individuali che gare. L’appalto unico viene diviso in due con costi raddoppiati e violando le norme antimafia. Vecchie carceri in vendita? Alla Camera Sinesio smentisce, ma Sabella documenta che vuole vendere "San Vittore, Piazza Lanza, Regina Coeli, Giudecca e Santa Maria Maggiore". È "preoccupato per possibili illeciti appetiti che l’operazione può determinare". I balzelli del Rup Il Rup è il "responsabile unico del progetto". Per legge ha diritto allo 0,24% del prezzo a base d’asta. Per Sabella, Sinesio ha un solo Rup, l’ingegner Carmelo Cavallo, ex Dap, che al Piano prende il posto di Ionta, direttore delle carceri, commissario del Piano carceri e pure Rup per appalti da 700 milioni di euro. Bilancio nero Perché "ancora oggi i cantieri non sono stati avviati, né sono state affidate le direzioni lavori, per cui decorsi 4 anni dalla dichiarazione dello stato di emergenza e 2 dalla nomina di Sinesio, è avviato un solo padiglione a fronte di oltre 450 milioni immobilizzati nella contabilità speciale". Giustizia: Presidente Senato Grasso; bene amnistia e indulto, ma non vanno presi da soli Asca, 11 febbraio 2014 Amnistia e indulto possano essere "certamente un modo" per cercare una soluzione al problema delle carceri, ma "questi provvedimenti non vanno presi da soli, bensì nell’arco di una valutazione globale". Il presidente del Senato, Pietro Grasso, lo ha detto in un convegno a Trieste. Affrontando il tema della tossicodipendenza, Grasso ha osservato che "la legge Fini-Giovanardi è una legge carcerogena. Va rivista certamente". "Un solo provvedimento - ha aggiunto Grasso, parlando a un’iniziativa di formazione politica per i giovani organizzata dal senatore Francesco Russo (Pd) - non può risolvere il problema. Del resto, si è visto che anche in passato l’amnistia o l’indulto hanno dato un effetto immediato, ma poi si è tornati al problema". ùTra i provvedimenti da adottare, Grasso ha citato la depenalizzazione di alcuni reati con il contemporaneo aumento delle ammende, la diminuzione dell’uso della custodia cautelare, l’accelerazione dei tempi del processo, da perseguire anche attraverso la notifica degli atti per via telematica, e la revisione del sistema delle impugnazioni. Ricordando il messaggio alla Camere del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, Grasso ha ricordato che gli iter per le leggi sono stati avviati. "Spero che al più presto possiamo realizzare questo risultato", ha concluso. Giustizia: Polverini (Fi): mettere in campo misure decisive per problemi delle carceri 9Colonne, 11 febbraio 2014 "Visitando il carcere di San Vittore a Milano, come del resto in altri istituti di pena in Italia, la situazione che emerge è insostenibile. Il problema del sovraffollamento delle carceri è molto pesante e da tempo si sta chiedendo una riforma del sistema penale che riduca il numero delle detenzioni attraverso misure alternative e che torni a dare dignità anche al lavoro della Polizia Penitenziaria. Il Parlamento sta intervenendo con decreti svuota carceri che daranno la possibilità ai detenuti di uscire, ma non ci si sofferma mai a sufficienza sulle condizioni di stress a cui è sottoposto il personale che vi lavora. Da questo punto di vista è necessario sbloccare questa situazione anche con nuove assunzioni." Così la deputata Renata Polverini(FI) al Convegno organizzato oggi presso il carcere di San Vittore a Milano dalla Ugl Polizia Penitenziaria. "Il nostro Paese è al di fuori dalle regole comunitarie sia per quanto riguarda le condizioni dei detenuti sia per il personale che lavora all’interno delle carceri e occorre perciò fare di più. A questo punto, il Governo non ha più alibi e deve impegnarsi nel mettere in campo misure decisive per superare anche strutturalmente - e quindi con una riforma della giustizia - il problema delle carceri italiane". Giustizia: Dap; 13mila i detenuti musulmani, imam moderati contro rischio estremismo Ansa, 11 febbraio 2014 Circa il 35% dei detenuti nelle carceri italiane proviene da Paesi di religione islamica, principalmente dal Maghreb e soprattutto da Marocco e Tunisia. E un carcere su quattro ha un locale adibito stabilmente alla preghiera. È quanto emerge dallo studio "Le Moschee negli istituti di pena" del ministero della Giustizia - Dipartimento amministrazione penitenziaria, che sarà presentato domani a Roma, in un incontro sui "Musulmani in Italia" promosso dall’Università Niccolò Cusano (Unicusano). Su un totale di 64.760 detenuti al 30 settembre scorso (a fine anno si era scesi a circa 62.500 mila, ndr), circa 23 mila erano gli stranieri e 13.500 gli originari di Paesi musulmani. Spaccio di droga e furto i reati più diffusi, oltre a reati minori, come falsificazione di documenti o resistenza a pubblico ufficiale. Dallo studio emerge che i musulmani osservanti sono poco meno di 9.000, e in 52 istituti sui 202 censiti possono riunirsi in preghiera in salette adibite a moschee. Nelle carceri dove le carenze strutturali non lo consentono, la preghiera avviene nelle celle o nei momenti di socialità e nei cortili interni. Le carceri - si premette nello studio, con riferimento al rischio di una diffusione del radicalismo religioso - sono un luogo dove "gli estremisti possono creare una rete, reclutando e radicalizzando nuovi membri attraverso una campagna di proselitismo, facilitata anche dalle difficili condizioni di sovraffollamento e dalla mancanza di risorse, vanificando così i tentativi di rieducazione e di reinserimento". Per questo per chi è accusato di terrorismo è prevista "la rigorosa separazione dalla restante popolazione detenuta", al fine di ridurre i rischi di proselitismo. "È comunque doveroso ipotizzare che, anche nei circuiti comuni - prosegue l’analisi - vi possano essere detenuti integralisti di spessore", che possono trovarsi a contatto con "soggetti fragili, facilmente influenzabili". Da qui dunque l’opportunità, emerge dallo studio, di individuare "imam moderati", "mediatori culturali" e "personaggi carismatici" che possono favorire una "deradicalizzazione" dei soggetti più estremisti. I quali spesso citano la religione pur avendone una conoscenza superficiale, mentre figure religiose adeguatamente formate, "soprattutto se appartenenti agli stessi gruppi tribali, etnici e linguistici, possono efficacemente confutare tali convinzioni, indicando le parole più moderate scritte nei testi religiosi". Come sottolineato da Luca Bontempo, uno dei curatori della ricerca, frequentemente i detenuti si avvicinano alla fede mentre scontano la pena. "Il detenuto - sostiene Bontempo - trova conforto nella religione", che "dà la facoltà di ricreare il gruppo di appartenenza". Si calcola che vi siano una decina di convertiti all’anno, anche se è difficile farli rientrare in una categoria unitaria. Spesso si tratta di detenuti che non avevano salde convinzioni religiosa, ma che trovano nell’islam anche una protezione ed una nuova identità comunitaria. Fra i musulmani osservanti vi sono attualmente 181 imam, figure guida per la preghiera e di riferimento spirituale. A loro si aggiungono nove imam esterni che offrono con regolarità assistenza religiosa ai detenuti, una quindicina di mediatori culturali e circa 60 volontari. Un sistema di assistenza religiosa ancora "modesto", dichiara tuttavia Bontempo, tanto che si sta preparando con l’Ucoii (Unione delle comunità islamiche in Italia) un progetto di formazione di imam esterni che potranno entrare nelle carceri con regolare attestato. Giustizia: 120 vice-commissari di Polizia penitenziaria formati… ma senza incarico Firenze Post, 11 febbraio 2014 La situazione d’emergenza nelle carceri italiane è reale, dovrebbe essere risolta con un programma che ampli i posti a disposizione, ma finora è stata affrontata soprattutto con azioni volte a svuotare le carceri. Nel frattempo, con la penuria di finanziamenti dedicati a questo settore, si scopre che l’amministrazione penitenziaria aveva deciso che l’organico della Polizia Penitenziaria venisse rimpinguato con l’immissione di 120 vice commissari, che avevano seguito l’apposito corso di formazione, terminato nel gennaio 2013. Gli stessi hanno prestato giuramento, davanti al Ministro della Giustizia, in data 3 maggio 2013. Grazie a un’interrogazione parlamentare presentata il 29 gennaio dalla grillina Francesca Businarolo si scopre però che i neo vice commissari, pur percependo un adeguato stipendio, non presterebbero alcun servizio operativo. Pare che il dipartimento della Polizia Penitenziaria abbia cominciato il corso di formazione senza che prima fosse avviata la mobilità che avrebbe permesso di avere posti vacanti in organico e, dunque, di indire nuovi concorsi. Come scrive infatti la parlamentare, "tale anomalia sembra essere dovuta all’ingiustificabile ritardo nell’espletamento delle procedure per la promozione alla qualifica di commissario capo" dei vice commissari già in ruolo, cosa che, appunto, avrebbe lasciato spazio ai nuovi 120. Risultato? Dopo un anno dalla conclusione del corso, i 120 vice commissari non ricevono ancora alcun incarico operativo. Di contro percepiscono la busta paga adeguata al grado. Il calcolo è immediato: considerando che stiamo parlando di uno stipendio mensile lordo da 3.600 euro per 120 agenti, in un anno questo "pasticcio" sarebbe costato alle casse pubbliche qualcosa come 5 milioni di euro. Una cifra che certamente sarebbe stata molto più utile se destinata alle politiche carcerarie. L’interpellanza parlamentare, che configura anche l’ipotesi di un danno all’Erario di 5 milioni per un non corretto utilizzo delle risorse pubbliche, è in attesa di una risposta scritta dal ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri. Giustizia: dopo quattro anni assolto Sandro Frisullo "il carcere mi ha spezzato la vita" di Fiorenza Sarzanini Corriere della Sera, 11 febbraio 2014 I giudici della Corte d’appello di Bari hanno scagionato definitivamente il politico del Partito democratico Sandro Frisullo. Dopo essere stato assolto dall’accusa di corruzione, l’ex vicepresidente della giunta regionale della Puglia viene infatti dichiarato innocente anche rispetto alle accuse di associazione per delinquere e abuso d’ufficio. Secondo le indagini della Procura barese, il politico aveva favorito l’imprenditore Gianpaolo Tarantini in cambio di utilità e di incontri con alcune delle escort che frequentavano anche le serate di Silvio Berlusconi. Contestazioni gravi che nel marzo 2010 - quasi un anno dopo le rivelazioni di Patrizia D’Addario sulle feste dell’allora Presidente del consiglio - ne determinarono l’arresto e lo convinsero a dimettersi dopo che una delle ragazze, Terry De Niccolò, aveva raccontato a verbale e pubblicamente gli incontri. L’esito del processo non basta comunque a placare la rabbia e l’amarezza di Frisullo. "Sono stato assolto da tutti i reati per i quali ho subito il carcere e ben quattro mesi di custodia cautelare. Avevo dichiarato fin da subito la mia disponibilità ad essere sentito dalla Procura, e quando ciò è avvenuto (e cioè quattro mesi più tardi, ndr) ho riferito dei miei comportamenti dicendo sempre la verità ed escludendo in modo categorico qualsiasi dazione di denaro da parte di Tarantini. Ma "meritavo" il carcere e questo a pochi giorni dalla data delle elezioni regionali del 2010. Quella che ho vissuto è stata la più terribile pagina della mia vita. Un vero e proprio calvario. La violenza di un così brutale provvedimento contro la mia persona ha aperto una ferita difficilmente rimarginabile. Il carcere ti spezza la vita. E soltanto l’affetto dei miei famigliari, il sostegno e la stima di tante persone, la costante azione a favore del bene comune e della legalità mi hanno consentito di affrontare una prova così devastante". Frisullo si rammarica per la sua storia personale e politica cancellata da questa vicenda e aggiunge: "Ho avuto subito l’angosciante percezione di essere finito dentro un meccanismo che mi stritolava e che non mi avrebbe lasciato scampo. Un infernale e potente circuito mediatico-giudiziario mi aveva già condannato come un pericoloso tangentista e corrotto, ispiratore di un sodalizio criminale ben collaudato. Si cancellava così la mia storia, quella vera, quando da giovane sindaco avevo denunciato e testimoniato contro una pericolosa cosca contribuendo a smantellarla". Lettere: l’emozione di scoprire due umanità sofferenti di Tommaso Lazzarini ed Elisa Grassi (Liceo Copernico di Pavia, Quarta A) La Provincia Pavese, 11 febbraio 2014 La mattina del 25 Gennaio presso l’auditorium del liceo Copernico si è tenuto un incontro-dibattito per la presentazione del libro "Oltre la cura... oltre le mura" che descrive, attraverso esperienze personali, la collaborazione tra il reparto di chirurgia pediatrica del Policlinico San Matteo e il carcere Torre del Gallo di Pavia, nell’ambito di un progetto ispirato all’incontro tra due "umanità sofferenti", i piccoli pazienti del reparto di chirurgia pediatrica e un gruppo di detenuti del carcere. Sono intervenute le autrici del libro: la professoressa Gloria Pelizzo, chirurgo pediatra e direttore della struttura complessa di chirurgia pediatrica del Policlinico e la dottoressa Valeria Calcaterra, ricercatrice dell’Università di Pavia e pediatra presso lo stesso istituto. I promotori dell’evento sono due docenti del nostro liceo: la professoressa Luciana Fiammenghi (insegnante di Lettere) e il professor Dario Brera (insegnante di Scienze naturali) che hanno preso contatti con le relatrici, spinti dall’importanza dell’argomento e sicuri della grande opportunità di crescita che questo avrebbe rappresentato. A partire dalla presentazione del libro le dottoresse si sono concentrate sulla vita di reparto e su ciò che è il lavoro del medico: non solo il trattamento sanitario del paziente ma soprattutto l’aspetto umano, l’importanza del sostegno morale del medico al paziente ed alla sua famiglia. Il progetto protagonista del libro ha saputo trasformare una situazione di disagio in un incontro capace di donare speranza a entrambe le parti coinvolte, come è stato documentato attraverso la proiezione delle foto presenti sul libro stesso, molto emozionanti. L’esperienza e la forte passione delle autrici hanno reso l’incontro un importante momento formativo per quanto riguarda l’aspetto del lavoro del medico e un grande esempio di umanità che caratterizza questa professione. Al termine della conferenza, abbiamo raccolto alcune impressioni e commenti da parte dei presenti. Lo studente Federico Gallo commenta così l’iniziativa a cui ci è stata data la possibilità di partecipare: "Me la ricorderò anche negli anni a venire, la profondità degli argomenti toccati mi ha davvero colpito e sono sicuro che abbia toccato anche i miei compagni. Le dottoresse con chiarezza hanno saputo descrivere la figura del medico nel terzo millennio, cioè anche dal punto di vista estremamente umano, che si deve perciò avere caro il paziente specialmente come persona. Tra le tematiche che mi hanno suscitato maggiore interesse c’è stata l’esperienza del dolore, che nonostante non sia umanamente accettabile deve essere superato anche con l’aiuto della figura del medico. Questo argomento è forte, ma è stato doverosamente trattato con delicatezza e umiltà, con studenti alla soglia della maggiore età e chiamati a una responsabile scelta universitaria. In ultimo ho trovato preziosa la capacità delle dottoresse di trasmettere speranza ai pazienti fino anche all’ultimo momento". Il rappresentante d’istituto Giulio Bortoni ha così commentato: "Un’esperienza straordinaria, non ricordo di aver mai visto tanta partecipazione da parte dei miei compagni, una conferenza che ha saputo con grande semplicità mostrarci le due facce di questa professione a cui tanti miei coetanei aspirano. Splendida l’atmosfera che ho percepito in aula magna, il grande interesse accompagnato da momenti di forte commozione e riconoscimento verso coloro che hanno avuto il coraggio di raccontare esperienze personali davanti a un pubblico così giovane. Indescrivibile l’emozione che ho provato nel momento in cui una studentessa ha ringraziato la dott.ssa Pelizzo per aver salvato la vita della sua piccola sorellina. A nome mio e di tutti i rappresentanti degli studenti, mi sento di ringraziare profondamente la dirigente Lidia Bertuggia e i nostri docenti, che non solo ci appoggiano nelle nostre iniziative ma che promuovono in prima persona incontri di questa importanza. Mi sembra inoltre doveroso ringraziare le relatrici che sono intervenute, donandoci questa bellissima testimonianza che ha sicuramente arricchito chiunque abbia avuto la fortuna di ascoltarla". Calabria: la pena alternativa si sconta facendo volontariato, accordo tra Uepe e Csv di Domenico Marino Corriere della Calabria, 11 febbraio 2014 Parte a Reggio l’iniziativa del Centro servizi al volontariato e dell’Ufficio esecuzione penale esterna: i detenuti per reati minori impegnati nel sociale. Pene alternative al carcere per quanti sono condannati per reati minori, non associativi né di grande allarme sociale. Non è solo una possibilità per evitare il sovraffollamento dei penitenziari ma soprattutto un’occasione per rispondere appieno all’articolo 27 della Costituzione, insistendo sulla funzione rieducativa della pena. Sono gli obiettivi del progetto "Giustizia Riparativa" messo in cantiere dal Centro servizi al volontariato (Csv) di Reggio e dall’Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe). Sempre più spesso la magistratura di sorveglianza dà il via libera a quanti sollecitano una misura alternativa alla detenzione, anzitutto se si tratta di affidamento ai servizi sociali. Un iter che ai condannati non chiede solo un semplice impegno lavorativo, ma ha implicazioni umane e sociali importanti. Il servizio di volontariato, attraverso il filtro delle associazioni di volontariato e del terzo settore, mette i detenuti a stretto contatto con i più deboli (anziani, disabili, poveri), con la sofferenza vera. Oltre che impegnarli, a volte, pure nella tutela ambientale. Col via libera a questa nuova fase dell’iniziativa l’Uepe proporrà i detenuti interessati al Csv, che, a sua volta, indicherà le associazioni in cui svolgere i servizi. Si pensa di riuscire a coinvolgere un centinaio di soggetti, cui verranno chiesti almeno 4 ore di volontariato a settimana. La durata del servizio dipende dalla pena da scontare. L’esempio di Reggio, in Calabria, è stato seguito in altre province, a cominciare da Cosenza e Catanzaro dove i Centri servizi al volontariato hanno stipulato accordi analoghi con i locali Uffici esecuzioni penali esterna. Per non lasciare l’intervento solo a valle, il gruppo reggino ha organizzato iniziative a monte, nelle carceri, per scuotere da lì le coscienze dei detenuti. Incontri sono stati svolti tanto nel penitenziario della città dello Stretto quanto a Locri e Laureana di Borrello. In alcune sono stati coinvolti anche l’arcivescovo di Cosenza-Bisignano Salvatore Nunnari e il vescovo di Lo-cri-Gerace Giuseppe Fiorini Morosini, oltre a magistrati e ai familiari di vittime della ‘ndrangheta che hanno portato dietro le sbarre la loro sofferenza insanabile, le loro vite segnate quando non distrutte. I due presuli, in particolare, hanno sottolineato l’inconciliabilità tra la fede cattolica e la malavita, ricordando ai detenuti che la Madonna non accetta i comportamenti di chi spaccia, uccide o chiede il pizzo. Vibo Valentia: detenuto suicida, già 5 casi nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno Adnkronos, 11 febbraio 2014 Sale a 5 il numero dei suicidi nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno. Lo fa sapere l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, dopo l’ultimo episodio verificatosi a Vibo Valentia lo scorso 7 febbraio, quando Salvatore Manno, trentaseienne palermitano, si è tolto la vita impiccandosi nella sezione di Alta Sicurezza della Casa circondariale di Vibo Valentia. A rendere nota la vicenda è stato Riccardo Arena, direttore di RadioCarcere, e la Redazione di Ristretti Orizzonti. Salvatore Manno, che avrebbe finito di scontare la pena nel 2017, era stato arrestato nel 2009 e l’anno successivo condannato a 9 anni e 4 mesi nel cosiddetto processo "Cerbero", insieme ad altre 20 persone dei clan palermitani di Brancaccio, Porta Nuova, Santa Maria di Gesù e Borgo Vecchio, riconosciute responsabili dei reati di estorsione e traffico di droga. Il personale penitenziario non lo riteneva un "soggetto a rischio" per quanto riguarda gli atti di autolesionismo, anche perché in carcere aveva la possibilità di svolgere un lavoro, opportunità rara, soprattutto nelle Sezioni di Alta Sicurezza. Mantova: il recupero dell’Opg di Castiglione delle Stiviere fermo da un anno di Francesco Romani Gazzetta di Mantova, 11 febbraio 2014 Il complesso nel centro di Castiglione è da recuperare Volpi: non si sa più nulla del progetto, Comune in ritardo. Quando si parla di Opg a Castiglione si apre una serie di tematiche che sono sempre molto importanti per la città, eppure ultimamente se ne parla troppo poco. Questa la provocazione lanciata da Enrico Volpi, capogruppo in consiglio comunale per Insieme per Castiglione. "Parlare di Opg significa affrontare sia la tematica della riorganizzazione della struttura sanitaria di Ghisiola, avviata dal ministero, che quella del recupero del grande complesso edilizio nel cuore del centro storico del paese in via Ordanino - premette Volpi. Temi certamente diversi, ma sui quali la amministrazione può e deve fare molto di più". "Nel caso dell’Opg di Ghisiola è molto importante tenere alta la guardia e mantenere aggiornata la cittadinanza degli sviluppi della riorganizzazione. Il Comune di Castiglione deve farsi promotore di una forte iniziativa di sollecitazione e sensibilizzazione con l’obiettivo di ottenere il mantenimento, quale che sia il modello organizzativo finale, della totalità dei posti di lavoro. Il patrimonio professionale e di esperienza raggiunto dal personale non può essere disperso e l’impatto economico e sociale di una riduzione degli addetti non sarebbe sopportabile per la cittadinanza". Nel caso della ristrutturazione del complesso in centro storico, viceversa, le potenziali ricadute positive di un intervento risolutivo che consenta il recupero degli edifici di proprietà dell’Aler non vanno lasciate sfuggire. "L’azione del sindaco e dell’assessorato alla urbanistica devono essere più incisivi - dice Volpi. Un anno fa, il 7 marzo 2013 il vicesindaco Leoci dichiarava di aver invitato le due Aler (Brescia e Mantova) a discutere della eventualità di dividere in lotti il progetto Gregotti dopo quattro aste andate deserte. Ora che l’Aler è diventata una sola è stato sentito il nuovo presidente Isacchini al fine di decidere una volta per sempre che soluzione trovare? Che fine ha fatto il progetto di suddivisione in lotti del comparto annunciato tempo fa ? Sono chiari i motivi per i quali l’asta di vendita é andata deserta più e più volte?" . Per Volpi vanno chiarite quali sono le possibilità di dislocare il volume "utilizzando l’area per una definitiva sistemazione della viabilità del centro storico senza i vincoli delle costruzioni. A queste domande l’amministrazione comunale deve dare risposta, dimostrando una maggiore attenzione ed un maggiore impegno nell’indirizzo di entrambe le partite, fondamentali per il paese relazionando in consiglio su quanto sinora sia stato realmente messo in atto". Pescara: accordo tra Provincia e carcere, 10 detenuti al lavoro per scansionare gli atti www.pagineabruzzo.it, 11 febbraio 2014 L’accordo coinvolge 10 detenuti della casa Circondariale che hanno seguito un corso di formazione ad hoc durato un anno. Con la firma del protocollo d’intesa tra la Provincia, la casa Circondariale di Pescara e la Cooperativa sociale tipo B Alfachi, si dà avvio ad un importante progetto di dematerializzazione: vale a dire la conversione dei documenti cartacei in formato digitale. La trasformazione di 40mila fogli (documenti principalmente del settore ambientale) in file avverrà all’interno del carcere. L’attività durerà circa due mesi. Oggi la conferenza stampa per siglare l’accordo che coinvolge 10 detenuti della casa Circondariale che hanno seguito un corso di formazione ad hoc durato un anno. "La Provincia di Pescara ha già avviato dal 2 ottobre 2012 la nuova procedura di protocollazione che consente la digitalizzazione dell’intero flusso documentale - spiega il vicepresidente Fabrizio Rapposelli -. Abbiamo già promosso altri importanti progetti con il carcere di San Donato che hanno una valenza sociale e pratica da non sottovalutare". Con questo nuovo progetto l’ente avrà la possibilità di avviare la dematerializzazione anche per i documenti conservati nell’archivio "statico" e per il quale non si dispone ancora della versione digitale. "Il passaggio dalla carta al digitale ha prodotto importanti risultati nel campo dell’applicazione del Codice dell’amministrazione digitale, che fanno della Provincia di Pescara una delle prime in questo contesto. Di fatto, tutti gli uffici possono disporre e far circolare documenti già digitalizzati", è il commento del dirigente del Settore innovazione Ebron D’Aristotile. Nel complesso questa attività consente di rendere maggiormente efficiente l’amministrazione, attraverso la gestione informatica documentale e la razionalizzazione dei flussi documentali; di garantire la disponibilità della versione digitale dei documenti, rendendo più facile il ricorso all’invio di documenti tramite posta elettronica semplice e certificata, consentendo altresì l’invio mediante raccomandata online ai privati cittadini, non provvisti di Pec. Il progetto consente inoltre una maggiore rapidità nell’esecuzione di ricerche, rapidità nell’inoltro dei documenti agli uffici interessati, migliora la trasparenza dell’azione amministrativa, consentendo ai cittadini e alle imprese di avere accesso allo stato di avanzamento delle proprie pratiche ed ai relativi documenti, oltre che alla consultazione degli atti amministrativi da qualunque postazione, anche remota. Permette anche di risparmiare sulle spese postali (fino al 41%), sull’acquisto di carta e toner per stampanti e fotocopiatrici e di ridurre gli spazi necessari per l’archiviazione dei documenti. "Senza tralasciare - sottolinea il direttore del carcere Franco Pettinelli - il grande valore sociale del progetto in quanto consente al gruppo di detenuti, sotto la guida della Cooperativa Alfachi diretta da Francesco Lo Piccolo, di poter realizzare il loro progetto lavorativo. Detenuti che hanno seguito un percorso di formazione per la lavorazione dei documenti cartacei in file". "L’amministrazione penitenziaria - conclude Bruna Brunetti provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Abruzzo-Molise - è interessata a questi progetti che permettono il reinserimento sociale dei detenuti e di risolvere anche il problema del sovraffollamento del carcere, proprio grazie alla possibilità concessa di imparare un mestiere per restituire al territorio un cittadino che ha imparato a lavorare, perché molti detenuti non lo hanno mai fatto". Firenze: il Garante regionale Corleone; detenuto morto per overdose durante permesso Ansa, 11 febbraio 2014 Un detenuto toscano del carcere di Sollicciano è morto per overdose mentre si trovava in permesso premio. Ne da notizia, in una nota, il Garante dei detenuti della Toscana Franco Corleone che oggi ha svolto una visita nel carcere fiorentino. Secondo quanto spiegato da Corleone l’uomo, 38 anni, "si trovava in carcere per piccoli reati e sarebbe uscito definitivamente il prossimo 14 novembre". Per Corleone "questa morte ci obbliga ancora una volta a riflettere sulla tragedia che colpisce i soggetti più deboli e fragili e sulla necessità di costruire percorsi di cura e non di sola repressione per i tossicodipendenti". Corleone ricorda che "il presidente della Toscana Rossi, nelle scorse settimane ha firmato con il ministro Cancellieri un protocollo d’intesa finalizzato all’uscita dal carcere, attraverso percorsi accompagnati, di 300 persone tossicodipendenti. Si tratta di un’alternativa che deve trovare una rapida attuazione". Trovato morto nel parcheggio della Coop (Il Tirreno) Un uomo di 38 anni è stato trovato senza vita nel pomeriggio di ieri nel piazzale della Coop di Cerreto Guidi, in via Pianello val Tidone. Sul posto - insieme ai soccorritori - sono intervenuti i carabinieri della Compagnia di via Tripoli, guidati dal capitano Giuseppe Pontillo. Secondo quanto è emerso, l’uomo potrebbe essere morto in seguito a overdose: sul corpo non sono stati trovati segni di violenza. Il trentottenne, residente a Empoli, era conosciuto dalle forze dell’ordine ed era tuttora detenuto per reati legati agli stupefacenti. Proprio nella giornata di ieri si trovava in permesso dai parenti a Cerreto Guidi. E nel pomeriggio - mentre si trovava nel piazzale - ha accusato il malore che si è rivelato fatale. Una volta effettuati i rilievi, la salma è stata trasferita all’istituto di medicina legale a Firenze, a disposizione del magistrato che nelle prossime ore dovrà decidere se disporre o meno l’autopsia. Brogi (Pd): superare la Fini-Giovanardi "Questa è una situazione disastrosa. Chi ha problemi di tossicodipendenza non deve stare in carcere ma in comunità di recupero. Quello che è successo al detenuto di Sollicciano è la dimostrazione di un sistema che non funziona e che porta a tragedie come questa. Dobbiamo intervenire, superando legislazioni assurde e restrittive come la Fini-Giovanardi che da anni crea solo sovraffollamento delle carceri". Lo afferma, in una nota, il consigliere regionale Pd Enzo Brogi, in merito al detenuto di Sollicciano morto per overdose durante un permesso premio. Secondo Brogi "allo stesso tempo, è urgente individuare percorsi certi in comunità di recupero per le persone con problemi di tossicodipendenza". Per il consigliere Pd "se una persona ha bisogno di un percorso terapeutico per uscire dalla piaga della dipendenza non può essere reclusa in luoghi dove questo è del tutto impossibile, altrimenti - conclude - appena esce dal penitenziario la prima cosa che cerca è proprio la droga". Cosenza: il Prefetto si è recato in visita nella Casa circondariale di Castrovillari Ansa, 11 febbraio 2014 Il Prefetto di Cosenza Gianfranco Tomao, si è recato in visita nella Casa circondariale di Castrovillari su invito del direttore dell’istituto di pena Fedele Rizzo. Durante la visita, alla quale ha preso parte anche il Sindaco di Castrovillari, è scritto in una nota, il Prefetto ha ringraziato il direttore "per la grande professionalità e impegno con cui dirige una struttura complessa e delicata, garantendo il mantenimento di valide condizioni di ordine, sicurezza e decoro della stessa e si è congratulato con tutto il personale operativo per la competenza, il senso del dovere e l’abnegazione con cui svolgono la loro difficile missione". Analogo riconoscimento ha rivolto a tutti gli operatori, educatori, personale dell’area sanitaria e sociale per "l’impegno profuso e per la passione volta alla ricerca di percorsi educativi nel campo dell’istruzione, del lavoro e delle relazioni sociali nonché ai religiosi che prestano attività spirituale". Il Prefetto, nell’apprezzare l’accoglienza dei detenuti per i quali ha avuto parole di conforto e di incoraggiamento, ha evidenziato "la finalità educativa del periodo di detenzione che deve costituire, indubbiamente, arricchimento personale dal quale trarre insegnamento per il futuro". Al termine della visita Tomao ha assicurato l’impegno della Prefettura per una sempre maggiore condivisione dei bisogni connessi alla realtà carceraria. Il direttore ha ringraziato il prefetto per l’attenzione e la vicinanza dimostrata alla realtà carceraria. Torino: Sappe: aggredito da un detenuto Assistente Capo della Polizia penitenziaria Ansa, 11 febbraio 2014 Domenica di violenza nel carcere di Torino, dove ieri pomeriggio un detenuto italiano imputato di omicidio e ristretto nella VII Sezione del Padiglione A ha aggredito un Assistente Capo di Polizia Penitenziaria. "La situazione resta allarmante nelle nostre carceri. Il detenuto, già protagonista di altre aggressioni ad Agenti a Torino ed evidentemente rincuorato dall’impunità per i suoi precedenti, si è reso protagonista di una nuova violenta aggressione, colpendo con diversi pugni in faccia l’Assistente Capo di Polizia Penitenziaria che lo stava accompagnando nel cortile dei passeggi per l’ora d’aria. Al collega, al quale va la nostra solidarietà e vicinanza, il Pronto Soccorso dell’Ospedale Maria Vittoria ha diagnosticato 10 giorni di prognosi. Queste aggressioni sono intollerabili, tanto più se messe in atto da chi già ha colpito altri poliziotti. Noi non siamo carne da macello ed anche la nostra pazienza ha un limite... Sollecitiamo allora Governo e Amministrazione Penitenziaria a rivedere il sistema dell’esecuzione penale il prima possibile, altro che vigilanza dinamica nelle galere". La notizia arriva dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, per voce del leader Donato Capece. "La situazione, a Torino e nelle carceri italiane, resta grave: ma va detto che il Parlamento ignora colpevolmente il messaggio del Capo dello Stato dell’8 ottobre scorso, che chiedeva alle Camera riforme strutturali per il sistema penitenziario a fronte dell’endemica emergenza che tra l’altro determina difficili, pericolose e stressanti condizioni di lavoro per gli Agenti di Polizia Penitenziaria", tuona Capece, segretario generale Sappe. "Addirittura il Capo del Dap Tamburino, che nostro malgrado è anche Capo della Polizia Penitenziaria, ha avuto l’ardire di sostenere che l’Italia non sarà in grado di adottare entro il prossimo maggio 2014 quegli interventi chiesti dall’Unione Europea per rendere più umane le condizioni detentive in Italia. E le aggressioni ai poliziotti sono all’ordine del giorno" Capece torna a sottolineare le criticità delle carceri italiane: "Nei 206 penitenziari del Paese il sovraffollamento ha raggiunto livelli patologici ma il Capo Dap Tamburino alza le mani di fronte alla sentenza Torreggiani. Il nostro organico è sotto di 7mila unità. La spending review e la legge di Stabilità hanno cancellato le assunzioni, nonostante l’età media dei poliziotti si aggira sui 37 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgiamo". Estendere a Polizia Penitenziaria l’uso degli spray anti aggressione Dotare, in via sperimentale, anche le donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria, in analogia a quanto avviene per Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri, dello spray anti aggressione. La richiesta, al Ministro della Giustizia, arriva dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, per voce del leader Donato Capece. "Ieri c’è stata, nel carcere di Torino, l’ennesima aggressione a un poliziotto penitenziario in carcere da parte di un detenuto. Il numero delle aggressioni ai Baschi Azzurri, che prestano servizio nelle sezioni detentive e in carcere assolutamente disarmati e senza alcuna forma di difesa personale, è nell’ordine delle diverse centinaia all’anno. Servono strumenti di tutela efficaci, come può essere proprio lo spray anti aggressione recentemente assegnato - in fase sperimentale - a Polizia di Stato e Carabinieri. Mi auguro che il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri valuti positivamente questa nostra proposta e, quindi, assumi i provvedimenti conseguenti". Cremona: pacco sospetto indirizzato a detenuto, conteneva hashish e un cellulare La Provincia, 11 febbraio 2014 Un cellulare e involucri di hashish cuciti all’interno delle suole di un paio di scarpe da tennis. È quanto hanno trovato gli agenti della Polizia Penitenziaria all’interno di un pacco recapitato al carcere di Cremona e destinato ad uno dei detenuti. L’involucro ha insospettito immediatamente gli Agenti di Cà del Ferro che hanno trovato conferme alle loro supposizioni quando hanno fatto passare il pacco attraverso i raggi X. All’interno, insieme ad alcuni capi d’abbigliamento, le scarpe da ginnastica. Le due suole erano state scucite e ricucite dopo l’inserimento dello stupefacente e del telefono cellulare. Il pacco era destinato ad un detenuto straniero. Gli agenti della Penitenziaria hanno successivamente informato la procura. Trento: dalla Lega la "fiaccolata della legalità", dare maggiore potere a polizia locale Ansa, 11 febbraio 2014 La Lega Nord del Trentino organizza per sabato 15 febbraio, con partenza alle ore 18 da piazza Dante a Trento, una "fiaccolata della legalità e della sicurezza" per le vie del centro, tra cui via Prepositura e piazza della Portela. Il Carroccio, per sollevare l’attenzione delle istituzioni su quella che viene giudicata una vera "emergenza" sicurezza a Trento città e nelle valli, annuncia inoltre la presentazione di un ordine del giorno nel corso del Consiglio comunale straordinario convocato dalla minoranze. Un documento con cui i leghisti chiederanno al sindaco di Trento, Alessandro Andreatta, di autorizzare, con un’ordinanza, maggiore controllo del territorio da parte del corpo di polizia locale, dando ai vigili anche la facoltà di fermare e "schedare" persone ritenute "nullafacenti". Il segretario della Lega Nord del Trentino, Maurizio Fugatti, critica inoltre l’atteggiamento dei parlamentari del Patt, Franco Panizza e Mauro Ottobre, i quali - a suo giudizio - sarebbero "ipocriti" a causa delle posizioni opposte assunte in Trentino e in Parlamento. "Non ce l’abbiamo con il centrosinistra, che sul tema sicurezza ha manifestato sempre un certo buonismo - afferma Fugatti - ma con il Patt, i cui parlamentari alternano richieste di legalità e di presidio del territorio quando sono in Trentino a prese di posizione opposte quando sono a Roma, votando a favore dello svuota carceri, del reato di immigrazione clandestina e dei tagli alla sicurezza". Salerno: l’Istituto Alberghiero organizza due giorni di festa per gli allievi-detenuti www.salernotoday.it, 11 febbraio 2014 Martedì e giovedì, gli allievi della sezione carceraria dell’Istituto alberghiero "Virtuoso" cucineranno per le proprie famiglie. In questi due giorni, infatti, i detenuti inviteranno a pranzo le loro famiglie, che potranno condividere un’esperienza conviviale con i loro parenti attualmente ristretti. Gli allievi delle tre classi carcerarie si alterneranno nelle vesti di ristoratori e commensali, accogliendo i propri familiari in un ambiente reso particolarmente festoso dalla mise en place e dalle pietanze realizzate dal laboratorio di cucina della Casa circondariale. "L’iniziativa, curata dall’Istituto Virtuoso, è stata resa possibile grazie alla grande sensibilità del direttore Stendardo, che ha dato la propria disponibilità per la realizzazione di un incontro straordinario tra i detenuti ed i loro familiari dal profondo contenuto umano e sociale - esordisce Casaburi, Dirigente scolastico dell’Ipseoa Virtuoso - Sotto questo profilo, va rilevata la particolare importanza ed utilità del lavoro svolto all’interno della Casa circondariale dai docenti dell’Istituto Virtuoso, coordinati dal professore Claudio Napoli. Gli alunni delle tre classi, tutti detenuti della sezione Alta Sicurezza, con il loro comportamento collaborativo e la loro assiduità hanno ritrovato, grazie all’impegno scolastico giornaliero, contenuti educativi e modelli di comportamento ormai estranei alla loro esperienza quotidiana. Importante, infine, è il contributo offerto quest’anno alla manifestazione dell’Istituto professionale per l’agricoltura di Salerno. Grazie ad un protocollo d’intesa con il Virtuoso, infatti, le due scuole collaboreranno per questa e per altre iniziative legate alla filiera agro-alimentare" conclude Casaburi. Genova: "vite da profugo" in scena a sostegno raccolta di fondi per il teatro del carcere di Alice Martinelli Il Secolo XIX, 11 febbraio 2014 Un tempo sospeso dietro le sbarre. Una corsa a piedi nudi attraverso Paesi sconosciuti: Afghanistan, Pakistan, Senegal e Nigeria, via dalla guerra. Due viaggi diversi che hanno in comune l’attesa e il ritorno alla vita. A Genova, hanno in comune anche il teatro. Lo hanno spiegato Emmanuel, Kara, Pashupatti, Shahzeb, Waheedullah e Rahamathollah, giovanissimi stranieri richiedenti asilo, giunti in Italia da soli attraverso viaggi inimmaginabili. Lo hanno fatto ieri sera, salendo sul palco del Teatro Cargo di Voltri, e vestendo i panni di Ulisse e Telemaco per raccogliere fondi per il teatro del carcere di Marassi. Il Teatro Arca è l’unico caso in Italia di un teatro costruito ex novo dai detenuti all’interno di un istituto penitenziario. Il progetto, che impegna circa quaranta carcerati oltre ai detenuti-attori della compagnia "Scatenati", è stato finanziato dalla Fondazione Carige e dalla Fondazione San Paolo che hanno sostenuto anche gli spettacoli curati dalla Onlus Teatro Necessario. Ma da quando i contributi di Regione Provincia e Comune sono diminuiti, i lavori hanno avuto difficoltà a proseguire. "La raccolta fondi sta andando bene - spiega Sandro Baldacci, direttore artistico di Teatro Necessario - Tra donazioni libere e la campagna benefica "adotta una perlina" abbiamo raccolto circa 15mila euro. Ma ne mancano ancora molti per finire il teatro. Speriamo che questa serata permetta di portare avanti il nostro progetto". Così, quei sei giovanissimi dalle storie incredibili hanno messo in scena "Odissea", la loro Odissea, con la direzione di Laura Sicignano e l’aiuto dell’attrice professionista Sara Cianfriglia. Hanno sovrapposto il testo di Omero alle loro tristi avventure lunghe mesi e mesi. Fatte di montagne da scalare a piedi, di città di cui non ricordano il nome, di fame e di sete, di strade di campagna che allontanano per sempre da casa. Di trafficanti di esseri umani. Lo spettacolo ha introdotto poi la tavola rotonda "Dall’emarginazione al reinserimento sociale" organizzata dalla Camera Penale Ligure, dalla Sezione ligure dell’Associazione Nazionale Magistrati e dal Rotary Club Genova San Giorgio. Per riflettere sul carcere come luogo di educazione oltre che di pena. "Non sapevo niente di cosa fosse un teatro - racconta Kara, con l’accento che ricorda il suo Paese di origine, il Senegal - mi nascondevo sotto il palco, avevo quasi paura. Ma alla fine siamo riusciti a fare uno spettacolo". Poi interviene Salvatore Mazzeo, il direttore della casa circondariale di Marassi. "Ho trovato una somiglianza impressionante tra il disagio che hanno vissuto questi ragazzi e quello che vivono i detenuti. Noi facciamo degli spettacoli in carcere ma molti dei nostri detenuti-attori prima non sapevamo neanche cosa fosse, il teatro. Poi lo hanno conosciuto come strumento di scoperta delle proprie potenzialità". Quella struttura è stata realizzata quasi a costo zero per l’amministrazione penitenziaria, perché soldi non ce ne sono, spiega Mazzeo. "I due terzi della popolazione di Marassi è costituita da tossicodipendenti ed extracomunitari. Non ci sono certo colletti bianchi, grandi amministratori, politici. E quelle persone, che sono emarginate della società, non possono essere rinchiuse in un posto e fatte vivere in condizioni disumane. Serve dignità: meno carcere e più misure alternative. I tossicodipendenti devono frequentare le comunità terapeutiche, e per gli extracomunitari bisogna prevedere collaborazioni con i Paesi di origine per concordare misure diverse". "L’idea di creare un teatro all’interno del penitenziario è importante per aprire il carcere alla città - aggiunge Stefano Sambugaro, referente Osservatorio Carcere - È l’unico modo che il cittadino ha per entrare in un istituto di pena e questo gli permette di cogliere alcuni aspetti della vita dietro le sbarre che, forse, non avrebbe potuto cogliere altrimenti". Droghe: arriva oggi in Camera di consiglio della Corte costituzionale la Fini-Giovanardi Adnkronos, 11 febbraio 2014 Arriva oggi in Camera di consiglio della Corte costituzionale la Fini-Giovanardi, la legge sulle droghe leggere che secondo molti osservatori del sistema giustizia ha contribuito a riempire le carceri italiane determinando l’attuale sovraffollamento dei penitenziari. All’esame della Corte due aspetti del provvedimento rinviato alla Consulta dai giudici della Cassazione, di cui il secondo in subordine al primo. Secondo la terza sezione penale di piazza Cavour a prospettare aspetti di incostituzionalità’ sarebbe, in primo luogo, l’equiparazione di trattamento tra coloro che trattano droghe pesanti e chi invece si limita alle droghe leggere. Se la Consulta non dovesse ritenere rilevante tale equiparazione (contenuta nell’art. 4 bis della legge, la 49 del 2006, derivante a sua volta da un decreto legge del governo risalente al dicembre dell’anno prima e riguardante in prima battuta le Olimpiadi invernali di Torino), gli ermellini ritengono che, in subordine, debba pronunciarsi sull’effettiva necessità di invocare requisiti di necessità e urgenza, invocati dal governo di allora per le Olimpiadi e dunque non per i problemi legati agli stupefacenti. India: caro marò, l’accusa è di terrorismo. L’ira di Palazzo Chigi: "Reagiremo" di Virginia Piccolillo Corriere della Sera, 11 febbraio 2014 Il ministro della Difesa, Mario Mauro, volato a Nuova Delhi, li ha trovati "forti e liberi". Ma il futuro dei due fucilieri Massimiliano Latorre e Salvatore Girone è sempre più fosco. Da ieri l’accusa che la diplomazia italiana avrebbe dovuto scongiurare è stata formulata: terrorismo. Sia pure ridimensionata ad atto ci violenza che non prevede, come l’omicidio, l’impiccagione. Se la Suprema Corte, che ha rinviato tutto al 18 febbraio l’accoglierà, si verificherà il paradosso di due militari in servizio antipirateria (sia pure ceduti in affitto a una nave privata come prevede una legge ora da tutti aborrita) accusati di terrorismo, sarà compiuto. "Inaccettabile l’imputazione proposta da autorità indiane. Uso del concetto di terrorismo da rifiutare in toto. Italia e Ue reagiranno", twitta il presidente del Consiglio, Enrico Letta. E una nota di Palazzo Chigi minaccia: "Il Governo si riserva di assumere ogni iniziativa" qualora il governo indiano non "decida di portare il caso nella sua corretta dimensione" in linea "con la sentenza del 18 gennaio" della Corte che ha escluso la legge antipirateria. Un’accusa "inaccettabile per un Paese che fra pochi mesi assumerà la presidenza dell’Ue" ha dichiarato anche il ministro degli Esteri, Emma Bonino. Tesi condivisa anche da Catherine Ashton: "Che la legislazione usata riguardi il terrorismo ha enormi implicazioni per l’Italia, ma anche per tutti i Paesi impegnati nelle attività antipirateria", ha detto la rappresentante europea per la politica estera. Rivelando che le ultime pressioni sulle autorità indiane risalgono a meno di due settimane fa. Alla "amica Emma Bonino", la Ashton, ha ribadito il "sostegno Ue per ottenere questo risultato in un modo diretto e rapido". E il primo passo è stato un appello a tutti gli Stati membri. La Bonino che medita anche un ricorso all’Onu sarà ascoltata oggi dalle commissioni Esteri e Difesa. Parole dure anche dal ministro Mauro. "L’Italia non può e non vuole tollerare una violazione sistematica dei diritti di due suoi cittadini, e di essere messa alla stregua da uno stato terroristico". "Serve un arbitrato internazionale sotto l’egida dell’Onu", suggerisce l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi che ieri, in una conferenza stampa di Fratelli d’Italia, ha accusato: la decisione di rimandare i marò in India "fu un vergognoso errore di Monti su istigazione di Passera", "avallata sulla base di considerazioni economiche, addotte da entrambi e motivata con il danno che le imprese italiane avrebbero avuto con l’India se i due fucilieri fossero rimasti in Italia". Passera ha contrattaccato: "Terzi dopo aver ottenuto dalle autorità indiane il rientro natalizio dei nostri fucilieri sulla base di un formale impegno al loro ritorno in India, cercò di impedire che rientrassero nelle scadenze concordate, venendo così clamorosamente meno alla parola data. Il disagio di molta parte del governo fu enorme e io fui tra coloro che si dichiararono non disponibili ad avallare un comportamento tanto lesivo della dignità del nostro Paese". Ma basteranno stavolta le proteste e le minacce diplomatiche? Un minimo effetto lo hanno avuto stando alle parole in aula del procuratore G.E. Vahanvati che ha formulato un’accusa pasticciata: l’uso del Sua Act (la legge antipirateria) ma, proprio per rispettare l’impegno preso con l’Italia di non invocare la pena di morte, l’applicazione dell’articolo che parla di generica violenza e non di omicidio. Inapplicabile, secondo lo stesso avvocato della difesa. "Chiediamo che tale legge non sia presa in considerazione, visto che fra l’altro non è fra gli strumenti indicati dalla stessa Corte Suprema nella sentenza di gennaio 2013", ha protestato l’avvocato Mukul Rohatgi, chiedendo che i "militari rientrino in Italia da dove mancano da 2 anni". "Mi assumerò io la responsabilità di decidere" ha concluso il presidente del Tribunale. "Non riteniamo di essere un popolo di terroristi. Quindi rimandiamo al mittente queste fantomatiche accuse", chiede il presidente del Senato, Pietro Grasso. "Dobbiamo passare dalla richiesta di solidarietà all’azione", aggiunge il presidente della commissione Esteri del Senato Nicola Latorre. Mentre i Cinque Stelle Orellana e Del Grosso propongono: "Torniamo in India". D’Ambrosio Lettieri (Fi): governo faccia qualcosa per riportarli a casa "Tanto per non smentirsi la Corte Suprema indiana ha rinviato per l’ennesima volta l’udienza per decidere l’imputazione a carico dei nostri due marò che, dopo due anni, sono ancora lì illegalmente detenuti mentre non solo l’Italia ma tutto il mondo sta a guardare". Lo dichiara in una nota il senatore d’Ambrosio Lettieri, capogruppo Fi nella XII Commissione permanente Senato che aggiunge: "È scandaloso. Oltretutto, escludere la pena di morte per i nostri marò, non è per niente sufficiente, tantomeno rassicurante, considerato che non ci si può ancora fidare di un Paese e di una giustizia come quella indiana che da due anni li tiene praticamente in ostaggio in spregio a tutte le leggi internazionali in materia. Applicare la Sua Act, la legge antipirateria e antiterrorismo, per giudicare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone equivale a considerarli dei pirati e dei terroristi oltre a produrre un effetto boomerang sulla stessa lotta alla pirateria, vanificando gli sforzi sinora compiuti in favore della sicurezza in mare. Salvatore e Massimiliano sono innocenti e l’India è in una stuazione di palese illegalità. Il Governo italiano non può continuare a mantenere un profilo basso consentendo ad un Paese cosiddetto amico di colpire al cuore la dignità delle persone e di un intero popolo. Esiga senza mezzi termini l’appoggio internazionale e metta in atto ogni azione concretamente utile che non si riduca a flebili proteste o a visite di cortesia, per riportarli a casa". India: Giudice Corte Suprema; nessun accordo politico, la sentenza sarà in base a diritto Ansa, 11 febbraio 2014 Alla fine dell’udienza di ieri in Corte suprema, il presidente dell’aula n. 4, B.S. Chauhan, ha avvertito che, vista l’impossibilità per Italia e India di trovare una soluzione amichevole nella vicenda dei marò, la Corte ascolterà le parti e poi prenderà una decisione strettamente giuridica che prescinderà da eventuali implicazioni politiche. Lo scrive oggi The Indian Express. Il magistrato, sottolinea il quotidiano, ha avvertito che "se decideremo sul caso in base al merito, non ci preoccuperemo delle conseguenze nelle relazioni internazionali. Noi procederemo strettamente sulla base delle leggi". Il giornale osserva poi che dopo la presentazione da parte del procuratore generale G.E. Vahanvati della soluzione proposta per i capi d’accusa basata su una versione ‘light’ della legge per la repressione della pirateria (Sua Act) con una richiesta massima di 10 anni di carcere, il giudice lo ha interrogato sulla presenza anche della sezione 302 del Codice penale indiano. Chauhan ha infatti osservato che in base a questo articolo i due imputati potrebbero essere condannati a morte. Ma Vahanvati ha risposto che questo accade solo quando si è in presenza dei "casi più rari fra i rari", ma che quello dei due militari italiani non lo era. Molti media indiani riferiscono intanto della dura reazione italiana all’ipotesi di applicazione ai marò di una legge concepita per la lotta al terrorismo. Ma praticamente solo The Times of India lo fa con un richiamo in prima (‘Letta mette in guardia sulla vicenda dei militari italianì) di un articolo pubblicato poi in una pagina interna. Guinea Equatoriale: salviamo Roberto Berardi, l’italiano in carcere da più di un anno di Monica Ricci Sargentini Corriere della Sera, 11 febbraio 2014 La storia che vi stiamo per raccontare non è diversa da quella di tanti connazionali detenuti all’estero, circa tremila, di cui però ci si occupa molto poco. Roberto Berardi è un imprenditore italiano di 49 anni che da più di un anno è rinchiuso in una galera della Guinea Equatoriale con l’accusa di frode fiscale e condannato a 2 anni e 4 mesi di carcere o al pagamento di 1,2 milioni. La Repubblica di Guinea Equatoriale è guidata da Teodoro Obaing Nguema Mbasogo, un feroce dittatore che prese il potere nel 1979 in seguito ad un colpo di Stato. Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International in Guinea "le libertà di espressione e di stampa sono limitate, gli attivisti politici e le persone critiche nei confronti del governo subiscono vessazioni, arresti arbitrari e detenzioni". La Francia ha spiccato un mandato di cattura internazionale nei confronti di Teodoro Nguema Obiang Mangue, detto Teodorin e figlio del presidente, per appropriazione indebita di fondi pubblici e riciclaggio di denaro e negli Stati Uniti è in corso un processo contro di lui. La colpa di Berardi è di aver voluto lavorare nel Paese senza considerarne i rischi. Nel 2011 costituisce una società, la Ebola Construction, insieme a Teodorìn per poter costruire edifici civili. Il problema è che a un certo punto l’imprenditore si accorge che i conti non tornavano: nelle casse della società mancano molti soldi. Chiede spiegazioni. E per tutta risposta viene arrestato. "Ho chiesto chiarimenti - racconta lo stesso Berardi in un’accorata lettera di qualche mese fa - ottenendo come unico risultato quello di essere prelevato nella notte dalla mia casa, strappato alla mia famiglia e tradotto in carcere". Oggi le condizioni dell’italiano destano grandi preoccupazioni. Da due mesi è in isolamento. Non può ricevere visite. Il governo italiano sembra poter fare poco o nulla. In Guinea il nostro Paese non ha una rappresentanza diplomatica e del caso si occupa l’ambasciata italiana in Camerun. Con scarsi risultati. Qualche giorno fa l’imprenditore è riuscito a far arrivare al Tg1 una sua testimonianza audio corredata da una serie di foto che mostrano i segni delle torture subite. "Da più di un anno sono imprigionato e da due mesi sono in una cella di isolamento senza vedere luce e ricevo bastonate e frustate. La pressione è fortissima, spero di riuscire a resistere almeno per potere vedere i miei figli" è il suo accorato appello. Sulla vicenda è stata presentata un’interrogazione urgente al ministro degli Esteri. Degli italiani detenuti all’estero si occupa l’associazione Prigionieri del Silenzio. Della storia di Roberto Berardi, lo scorso novembre, si è occupato anche Chi l’ha visto Questa è una lettera che l’imprenditore ha scritto nel maggio 2013: "Temendo per la mia vita, scrivo nella speranza che qualcuno possa e voglia aiutarmi ad uscire da una situazione che mi vede protagonista e che mi ha portato, da incolpevole, ad essere detenuto nelle carceri della Repubblica di Guinea Equatoriale ormai da 4 mesi senza nessun capo d’accusa e senza prove a mio carico.. Mi chiamo Roberto Berardi, ho 48 anni e ho passato metà della mia vita in Africa come imprenditore edile e costruttore strade. Ho vissuto in vari stati africani, e negli ultimi 2 anni in Guinea Equatoriale, dove ho fondato un’impresa, la Eloba Costruccion. Conoscendo le leggi Africane e avendo sempre fatto del mio meglio per rispettarle, anche qui mi sono adeguato alla consuetudine che vuole che ogni imprenditore sia associato con un partner locale, e nel mio caso è stato espresso l’interesse da parte del Sig. Teodoro Nguema Obiang Mangue, vice Presidente nonché figlio del Presidente, Teodoro Obiang Nguema Mbasogo. Ovviamente lusingato, abbiamo iniziato la nostra collaborazione. Col tempo mi sono stati affidati diversi appalti, per avviare i quali, nella maggior parte dei casi, ho fatto affidamento sulle mie forze economiche, contando poi di rientrare dei miei esborsi a pagamenti effettuati. Sembrava procedesse tutto bene fino a quando ho riscontrato delle anomalie contabili e movimentazioni sui conti di cui non sapevo nulla. In una discussione con il Sig. Vicepresidente, mio socio al 60%, ho chiesto chiarimenti, ottenendo come unico risultato quello di essere prelevato nella notte dalla mia casa, strappato alla mia famiglia e tradotto in carcere. Accusato di furto, privato del passaporto, e sottoposto ad ogni genere di controllo, che peraltro non ha prodotto nessun addebito a mio carico e non ha riscontrato nessun comportamento scorretto o appropriazione indebita. Nonostante tutto, anche in assenza di accuse precise, vengo ancora detenuto, mi viene negata la possibilità di rientrare in Italia, e di rivedere i mie figli, ai quali manco da oltre un anno, privato di ogni sostegno economico, isolato dal mondo e privato di ogni contatto con l’esterno, senza poter ricevere cure mediche, e alimentazione insufficiente. La mia famiglia sta tentando in ogni modo di coinvolgere gli organi preposti del Governo Italiano, fino ad ora senza risultati. Governo Italiano, fino ad ora senza risultati. Prego chiunque ne abbia la possibilità di aiutarmi a tornare nel mio paese, raggiungendo il limite. Sono consapevole dei numerosi problemi che attualmente gravano sul nostro paese, ma spero che qualcuno trovi un momento per prendere a cuore il mio caso, tentando un intervento diplomatico con il Presidente Obiang e consentirmi di porre fine a questa ingiusta detenzione, prima che sia troppo tardi. Porgo i miei ossequi confidando nell’aiuto da parte della mia Nazione. Grazie". Australia: condizioni disumane per i bambini nei Centri di detenzione per immigrati Radio Vaticana, 11 febbraio 2014 La Commissione per i Diritti Umani dell’Australia (Ahrc) ha recentemente avviato una ricerca sulla situazione dei bambini detenuti nelle prigioni per gli immigrati. Le carceri in questioni sono quelle di Naurau e di Papua Nuova Guinea. Secondo la Commissione si tratta di bambini ai quali è negata la libertà di movimento e vivono in ambienti fortemente stressanti per la loro crescita. Lo riferisce l’agenzia Fides. Lo studio avviato dall’Ahrc serve a verificare l’impatto della detenzione sulla salute mentale dei piccoli. Secondo gli esperti quello che manca è la collaborazione del dipartimento australiano per l’immigrazione che ha dato sempre meno informazioni utili alla Commissione. Molti organismi per la tutela dei diritti umani condannano da tempo le condizioni "disumane" nelle carceri australiane di Naurau e Papua Nuova Guinea. Angola: dopo violenze nelle carceri finite su YouTube cacciati dirigenti del ministero Agi, 11 febbraio 2014 Un anno fa la popolazione angolana si indignava davanti alle immagini girate in una prigione di Luanda e finite su YouTube, in cui si vedevano alcuni agenti carcerari prendere a schiaffi e cinghiate un detenuto, davanti ad altri prigionieri costretti a restare seduti e a guardare la scena. Nei giorni scorsi il ministro dell’Interno Angelo de Veiga Tavares ha rimosso diversi dirigenti, fra cui il direttore nazionale delle carceri angolane. L’anno scorso il direttore del carcere di Viana fu rimosso e dal ministero venne diramata una nota che parlava di un "atto isolato" che non metteva in discussione la "dedizione dei dipendenti del ministero che ogni giorno lavorano per il miglioramento del sistema". n un anno si sono moltiplicate le rivolte nelle galere della capitale angolana. Nella più grave, avvenuta nel dicembre scorso, sono morte 9 persone mentre 22 sono rimaste ferite. Il ministro nel discorso di fine anno aveva avvertito sull’esigenza di "ristrutturare" i dipartimenti del ministero degli Interni per "garantire sempre più il rispetto per i diritti umani". Negli ultimi mesi le forze di polizia angolane sono state coinvolte non solo negli episodi di violenza nelle carceri ma anche nell’omicidio di due attivisti politici, rapiti e giustiziati nel 2012 per cui sono stati arrestati 4 agenti e nell’omicidio di un giovane militante di opposizione arrestato mentre appendeva manifesti e poi ucciso. Iran: anniversario rivoluzione, rilasciati alcuni prigionieri politici in carcere dal 2009 Adnkronos, 11 febbraio 2014 Sono stati scarcerati in Iran alcuni prigionieri politici arrestati durante le proteste antigovernative del 2009, scoppiate dopo la contestata rielezione dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad. Lo ha riferito il sito riformista Kalemeh, precisando che il provvedimento è un atto di clemenza in occasione del 35esimo anniversario della rivoluzione islamica che si celebra oggi. I detenuti scarcerati - ha sottolineato Kalemeh, senza precisare il loro numero - hanno scontato quasi tutta la pena che è stata loro comminata. Nella maggior parte dei casi si tratta di prigionieri ai quali mancavano pochi mesi prima di tornare in libertà.