In ricordo del benzinaio e amico Gianni che si è tolto la vita per troppa generosità Il Mattino di Padova, 10 febbraio 2014 La redazione di Ristretti Orizzonti ha deciso di dedicare le "Lettere dal carcere", la tradizionale rubrica del lunedì sul "Mattino", a Giovanni "Gianni" Zampieri, il gestore dell’area di servizio in via Gattamelata che si è ucciso mercoledì. Gianni e i detenuti del gruppo di cultura e informazione erano amici e le lettere raccontano perché. Chi vive una esperienza di carcere sa che poi, quando rientrerà nella società, troverà difficoltà, a volte rifiuti, a volte diffidenza. Oggi allora noi vogliamo ricordare una persona speciale che invece ha accolto le persone senza guardare al loro passato: Gianni, il gestore del distributore di benzina di via Gattamelata che si è tolto la vita forse per eccesso di generosità, perché avanzava un sacco di soldi ma nessuno pagava. Lui, l’avevamo conosciuto attraverso Francesca, sua moglie, insegnante che con noi aveva fatto il progetto scuole/carcere, ma poi tutta la sua famiglia, sua madre, i suoi figli avevano aperto le porte di casa a noi, che arrivavamo dal carcere: due serate incredibili, per festeggiare un’amicizia, con tanti volontari e tanti detenuti in permesso intorno a un tavolo, a conoscersi senza pregiudizi e senza paure. A Gianni vogliamo dedicare questa settimana il nostro ricordo. Ornella, Francesca, Lucia, Paola, Andrea, Elton, Dritan, Qamar, Clirim, Sandro, Alain, Gianluca, Marco, Roverto, Filippo, Bardhyl, Sofiane, Angelo, Mohamed, Bruno, Andrea. Un pensiero per la sua famiglia Mi ricordo quella sera che siamo stati invitati da Francesca a cena a casa sua. Subito mi sono sentito accolto e mi è sembrato di essere a casa mia in Albania per l’affetto che mi hanno dimostrato tutti. Per me è stato il permesso più bello, perché mi sono ritrovato tra gente che mi ha accettato per quello che sono. Dopo la cena mi hanno fatto vedere la loro casa, mi hanno parlato dei loro interessi. Gianni in particolare ne aveva molti, specialmente le macchine d’epoca di cui ti raccontava con gli occhi che brillavano di autentica passione. Era appassionato anche di animali, che trattava come se fossero parte della famiglia. Sono stato così bene che non riesco a trovare le parole per esprimere il mio dolore e il mio sgomento per quello che è successo. Faccio fatica a credere che sia successo davvero. Continuo a vedere nella mia mente il suo viso sempre sorridente e mi dispiace molto di non poter telefonare alla famiglia né di poter andare al funerale, visto che mi trovo in carcere. Mando da qui un pensiero alla sua meravigliosa famiglia e ci tengo a far loro sapere che di qualsiasi cosa avessero bisogno io ci sono. Elvin Aprirono la loro casa senza alcuna riserva In galera non hai molte occasioni di rivivere situazioni di calore familiare, di spensieratezza, di ritrovarti a una tavolata piena di gente che riesce a farti dimenticare che dopo qualche ora dovrai tornare nel buio del carcere. Una di queste rare, se non uniche, occasioni, ci è stata regalata da Francesca, Gianni e dalla loro famiglia. Alla fine dell’anno scolastico che ci ha visti impegnati con il progetto sulla legalità “Il carcere entra a scuola, le scuole entrano in carcere” di cui Francesca è una delle più convinte sostenitrici, siamo stati invitati da tutta la famiglia ad un cena nella loro casa, che ci hanno aperto senza riserve, senza timore, senza domande. Noi eravamo impacciati all’inizio, ci sentivamo un po’ storditi da quest’accoglienza inaspettata che si è manifestata subito con tanta umanità e semplicità; per alcuni di noi era il primo permesso, per altri no, ma comunque la prima volta dopo anni in un ambiente familiare, e siamo stati subito coinvolti e travolti dall’energia e l’entusiasmo di Gianni e della sua famiglia. Ci hanno avvicinato immediatamente al loro mondo, alla loro campagna, ai loro amati animali, alle loro passioni, che soprattutto Gianni ci ha descritto e ci ha trasmesso. Hanno addirittura voluto festeggiare con noi la laurea di una delle loro figlie, come se fossimo persone importanti. Abbiamo sentito che qualcuno aveva un’attenzione speciale verso il nostro star bene, Francesca era preoccupata che in cucina qualcosa potesse non essere di nostro gradimento, ma noi da anni non assaggiavamo sapori così. A questo enorme tavolo, ciascuno di noi parlava degli argomenti più vari, e loro ci domandavano del nostro futuro, dei nostri progetti e dei nostri sogni, nessuno era interessato al nostro passato. E la galera era così lontana. Gianni fotografava questi momenti, come se stesse preparando un album di famiglia. Ed è stata la prima volta da quando siamo in galera che ci sono delle nostre foto in cui sorridiamo spensieratamente. A questa cena ne è seguita una seconda all’inizio dell’anno scolastico e la famiglia di Francesca e Gianni ci ha accolto con calore, se possibile, ancora maggiore. Bruno Una persona con il cuore grande Quando ho visto il giornale ieri pomeriggio non volevo credere che non c’è più un uomo che era diventato un amico. A casa sua ho visto una famiglia meravigliosa, erano così felici che dentro di me mi sembravano uno più bravo dell’altro. Con Gianni ho parlato a lungo, ci siamo raccontati lui le sue belle cose, e io il motivo per cui sono in carcere da tanto tempo. Ad un certo punto mi ha invitato ad andare a prendere l’asinella che era vicina a casa sua nei campi e intanto mi ha raccontato che una volta erano passati i ladri e io c’ero rimasto malissimo e non capivo come si fa ad andare a rubare da una persona così, con un cuore grande e sorridente che ho ancora davanti gli occhi. Dieci minuti prima di andare via mi ha regalato un completo da portiere cui teneva tanto. Ieri quando sono rientrato in cella ho preso la maglia, la guardavo e mi dicevo che non era possibile. Pierin Per un po’ ci ha fatto dimenticare il carcere Com’è possibile accettare certe notizie, quando pensi che non c’è più quella persona che avevi incontrato in due indimenticabili occasioni e che ti ha consentito di rivivere il calore di una famiglia, anche se non era la tua? Tutto è partito da un invito di Francesca, insegnante, che con la sua scuola ha aderito al Progetto di confronto tra Scuola e Carcere, che prevede l’incontro degli studenti con alcuni detenuti della redazione di Ristretti Orizzonti, prima nelle scuole e poi in carcere. Si è creato così un legame che Francesca ha voluto estendere alla sua famiglia. Ricordo benissimo questa prima uscita a Due Carrare, una strada stretta, tortuosa, e ad un certo punto vediamo un signore che alzava le mani per attirare la nostra attenzione. Siamo arrivati, i cancelli già spalancati, un ampio spazio all’aperto, e prima ancora che spegnessimo i motori delle auto tutta la famiglia era attorno a noi. Un’accoglienza incredibile, sembravamo i parenti che non si vedevano da anni. Bellissimo! È stata la prima volta che abbiamo conosciuto Gianni, il marito di Francesca. La cena è stata tutto un crescere di entusiasmo, gioia, sorrisi, fotografie, voler conoscere i nostri programmi, farci sentire bene, come vecchi amici. Ed allora come puoi pensare che ora sia successo quello che i giornali hanno raccontato? Chi mi ha anticipato la notizia è stato un altro detenuto, che mi ha detto “Ti devo dare una notizia, brutta, bruttissima”, ripetendomi più volte la stessa cosa, che non potevo immaginare quello che era successo, una cosa grave, gravissima. Era veramente una notizia che mai avrei voluto conoscere: Gianni non è più con noi! L’incredulità, assieme ad altre emozioni e pensieri e al ricordo di quel “vero signore”, di una umanità sincera, si sono immediatamente spostati ai momenti belli vissuti grazie a lui e alla sua splendida famiglia, a quella che ora sarà la loro vita dopo questo distacco, come affronteranno i suoi cari il percorso futuro. Quello che conta è che non perdano mai di vista i tanti bei ricordi di una persona cara, che ha contribuito alla crescita di una famiglia speciale che noi non dimenticheremo mai. Giustizia: entro il 21 febbraio il decreto-carceri deve essere convertito in legge www.businessonline.it, 10 febbraio 2014 Dovrà essere votato al Senato entro il prossimo 21 febbraio il nuovo decreto Carceri, altrimenti non sarà valido. Il decreto carceri, insieme di norme approvate a fine 2013 dal governo per ridurre l’affollamento sul sistema carcerario, sottodimensionato rispetto al numero di detenuti, ha, infatti, ricevuto la fiducia dalla Camera dei Deputati e deve essere ora riesaminato e votato dal Senato. Il decreto prevede una serie di nuove regole per razionalizzare la gestione della popolazione carceraria, incentivando l’utilizzo, quando possibile e sicuro, di strumenti per fare eseguire le pene senza gravare ulteriormente sul sistema carcerario. I due principali obiettivi sono ridurre il numero di carcerati, e quindi il sovraffollamento, dando al tempo stesso più diritti ai detenuti. Tra le novità il braccialetto elettronico, che viene disposto dal giudice che dispone gli arresti domiciliari e che dovrà sempre prescrivere i sistemi di controllo elettronici per le persone che manda agli arresti domiciliari, salvo particolari necessità. L’obiettivo è rendere più comune ed esteso l’utilizzo di strumenti come il braccialetto elettronico, che aiutano a mantenere sotto controllo la persona ai domiciliari senza gravare sulle forze dell’ordine. Questi sistemi in molti casi disincentivano l’evasione, che spesso porta a dovere incarcerare la persona interessata, contribuendo ai fenomeni di sovraffollamento. Altra novità: diventa permanente la regola che permette di scontare nell’abitazione in cui si ha il domicilio la propria pena, se questa non è superiore a 18 mesi. La regola vale anche per la parte residua di una condanna. Il decreto, che dovrà essere approvato dal Senato, aumenta, in via temporanea, le detrazioni concesse ogni semestre con le liberazioni anticipate, facendo passare il termine da 45 a 75 giorni fino al 24 dicembre 2015; sull’affidamento in prova, stabilisce l’innalzamento a 4 anni (ma solo tramite periodo di osservazione), aumentando, per converso, i poteri di intervento del magistrato di sorveglianza; e per i detenuti, in generale, viene istituita la figura del Garante Nazionale, composto da 3 membri, in carica per 5 anni non prorogabili. Compito della neonata struttura, la sorveglianza nel rispetto dei diritti umani sia nelle carceri che nei Cie. Giustizia: petizione "incostituzionale escludere detenuti 4-bis dalla liberazione anticipata" Ristretti Orizzonti, 10 febbraio 2014 Escludere tutti i detenuti 4 bis o.p. è incostituzionale, in quanto viola sia l’art. 3 che l’art. 27 c.3 della Costituzione. I detenuti del circuito di Alta Sicurezza non vanno discriminati, se concretamente dimostrano di possedere la cosiddetta motivazione rafforzata (positiva evoluzione della personalità richiesta nella versione originaria del dl 146 entrato in vigore il 24.12.2013). La liberazione anticipata si applica non sulla base del reato commesso, bensì sulla base del comportamento e della positiva adesione al trattamento rieducativo, peraltro lasciato al singolo.. viste le carenze del nostro sistema. I detenuti del circuito di Alta Sicurezza già hanno restrizioni in particolare all’accesso alle misure alternative, tuttavia soffrono, al pari dei detenuti del regime ordinario, delle condizioni illegali di sovraffollamento. Per sottoscrivere la petizione: http://www.petizionepubblica.it/?pi=P2014N45912 Giustizia: "Protocollo Farfalla" tra carceri e servizi segreti… il ministro non ne sa nulla di Roberto Galullo Il Sole 24 Ore, 10 febbraio 2014 Martedì 14 gennaio in Commissione parlamentare antimafia, a chi gli chiedeva conto del famoso Protocollo Farfalla sullo scambio di informazioni tra i vertici delle carceri e i servizi segreti Giovanni Tamburino, Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, rispondeva che lui non ne sapeva nulla. Di più. Non gli risultava l’esistenza e, anche se fosse esistito, nulla gliene calava visto che dal 2010 esiste una convenzione e che, comunque, lui era a conoscenza di 14 casi in cui, in via amministrativa, erano state fornite informazioni ai nostri 007. Il tema, però, è estremamente delicato perché coinvolge un capitolo della storia italiana (antecedente alla convenzione di cui parla Tamburino) in cui il ruolo dei servizi segreti all’interno delle carceri è ancora tutto da scrivere. Del resto, come ha ricordato in commissione antimafia il deputato Claudio Fava (Sel), la stessa Commissione ha appreso dalla viva voce di alcuni magistrati palermitani e da Sebastiano Ardita, a lungo ai vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), che in passato è stato definito un protocollo, noto come Protocollo Farfalla, tra il Dap e i servizi di intelligence, in quel caso il Sisde, che naturalmente non poteva non avvenire con piena consapevolezza dell’allora ministro della Giustizia. Ergo: dello Stato. Proprio per questo motivo, Fava, il 9 dicembre 2013, mentre era in trasferta a Reggio Calabria con altri colleghi della Commissione parlamentare, ha posto in audizione una domanda secca all’attuale ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri. Eccola: "Le chiederei di dirci qualcosa in proposito. Immagino che lei sia a conoscenza di questo protocollo che permette l’accesso a esponenti delle nostre agenzie d’intelligence nelle strutture carcerarie di massima sicurezza, si presume per interloquire e anche per indurre a una possibile collaborazione, ma in genere per raccogliere tutti gli elementi utili che riguardano i detenuti al 41-bis. Quest’attività, sfuggendo a un controllo d’altro tipo, si può prestare anche a qualche uso surrettizio che va in altre direzioni. Se questo protocollo esiste, come ci sembra, in quanto confermato da una testimonianza in un processo a Palermo dal dottor Ardita, che cosa prevede? Che tipo di collaborazione costruisce? Qual è il livello di controllo e consapevolezza che il Ministro e il Ministero hanno sull’attività che i servizi svolgono nelle strutture di massima sicurezza?". Beppe Lumia, altro commissario antimafia (Pd) percorre la stessa autostrada: "Vorrei anche sapere, come già l’onorevole Fava, se può fornire alla Commissione antimafia notizie su tutti i contatti dei servizi in questi ultimi 3 anni nelle nostre carceri: con quali detenuti questi contatti sono avvenuti e che risultati hanno sortito? Gradiremmo, se possibile, averli anche naturalmente in una forma che lei riterrà opportuna. Capisco anche la delicatezza del tipo di informazione, ma penso che sia necessaria una vera verifica intorno al 41-bis anche da questo punto di vista, dato appunto lo scandalo ultimo. Lei sa che sulla trattativa più volte il 41-bis è stato oggetto di discussione. Mi pare che ritrovarci, a distanza di tanti anni, con questo fatto relativo a Riina rappresenti un elemento che deve finalmente orientarci a un lavoro di inchiesta serio, che ci metta in grado di capire bene cosa sta avvenendo". La risposta di Cancellieri è canonica: "Il Dap dispone di un certo tipo di informazioni, mentre altre appartengono alla magistratura. Per quanto riguarda le dichiarazioni del dottor Ardita, persona che stimo moltissimo, che è stato vice capo del Dap, e quindi conosce la materia, onestamente di questo protocollo col Sisde non sono a conoscenza. Posso prendere, però, l’impegno formale di assumere tutte le informazioni del caso e di riportarle in Commissione a Roma. Non dispongo di informazioni in questo senso. Sicuramente, se l’ha detto, ci sarà stato, ma non è argomento che sia stato portato alla mia attenzione". È toccato al presidente della Commissione antimafia, Rosy Bindi (Pd) prendere posizione per un impegno solenne ma solo a parole: "Dal momento che il ministro si è resa disponibile a un’ulteriore audizione da parte della Commissione sul tema dell’eventuale protocollo tra il Dap e i servizi, credo che possiamo rinviare questo argomento alla sede in cui il Ministro sarà in grado di fornirci gli elementi che le abbiamo richiesto, evidentemente anche nel rispetto delle funzioni diverse del ministero della Giustizia rispetto alla magistratura, che credo sia l’elemento fondamentale della nostra Carta costituzionale. Penso che questo sia un argomento molto importante e che lo si debba rinviare a quando il Ministro sarà in grado di offrirci le informazioni che ci ha assicurato". Ed il 30 gennaio il ministro Cancellieri torna davanti ai commissari antimafia e così conclude sulle domande relative al protocollo Farfalla e alla convenzione: "Quanto alla convenzione conclusa con l’Aisi nel 2010, di cui è stata fornita copia a codesta Commissione da parte dell’attuale capo Dap, dottor Tamburino e con la quale vengono disciplinati e resi trasparenti i meccanismi di collaborazione tra l’amministrazione penitenziaria e l’Aisi, è del tutto ovvio che tale convenzione, peraltro esplicitamente prevista da una fonte normativa, non possa in alcun modo consentire la deroga a disposizioni di legge vincolanti per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria. Mi riferisco in particolare al superamento del corretto rapporto tra l’amministrazione penitenziaria e l’autorità giudiziaria. Come è stato ben chiarito dal capo Dap durante le sue audizioni dell’8 e del 14 gennaio scorso, tutte le volte in cui personale dell’amministrazione penitenziaria o, più specificamente, personale di polizia penitenziaria viene a conoscenza di un fatto che costituisce notizia di reato è tenuto a informarne senza ritardo l’autorità giudiziaria competente. Sarebbe di estrema gravità un accordo o un atto di indirizzo che violasse questa fondamentale norma contenuta nel Codice di procedura penale. Chiunque la violasse ne risponderebbe anche penalmente. Sulla base di quanto mi è stato comunicato dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria escludo, dunque, che vi siano accordi tra il dipartimento e l’Aisi aventi contenuti diversi da quelli stabiliti nella convenzione già consegnata a questa Commissione". Dunque, come era logico attendersi, neppure il ministro della Giustizia ha risposto su questo benedetto Protocollo Fantasma. Il passato, chissà perché, in questo Stato non appartiene mai a nessuno. Se il protocollo è "farfalla", lo Stato, quanto a voli e silenzi fa di meglio: è "fantasma". Giustizia: caso Cutrì, appello procuratore alla famiglia "1 morto e 2 in carcere bastano" Ansa, 10 febbraio 2014 "Oggi è una bella giornata. Voglio fare un appello ai genitori di Cutrì. Lo stato democratico è forte, il nostro lavoro non è finito. Un figlio morto e due in carcere bastano e avanzano". A dirlo il procuratore di Busto Arsizio Gianluigi Fontana che ha condotto le indagini che hanno portato alla cattura di Domenico Cutrì. L’appello è, spiega poi, un invito a rientrare nella legalità dopo che la madre di Cutrì, nei giorni scorsi, si era augurata che il figlio non si costituisse parlando durante alcune interviste. Padre: appello procuratore? Non abbiamo niente da dire "Non abbiamo niente da dire, lasciateci in pace". Il padre di Domenico Cutrì, l’evaso catturato la scorsa notte, non ha voluto replicare all’appello lanciato dal procuratore di Busto Arsizio, Gianluigi Fontana, ai familiari che nei giorni scorsi avevano affermato di essere contenti che il figlio fosse libero. Fontana oggi ha spiegato che "un figlio morto e due in carcere bastano". Il padre di Cutrì, rispondendo al citofono, ha ribadito di non voler parlare con i giornalisti. I genitori dell’evaso hanno trascorso la giornata nel loro appartamento in un condominio a Inveruno (Milano), che si trova poco lontano dal covo dove si era rifugiato Cutrì. Anche tra i vicini di casa c’è poca voglia di parlare della vicenda. Berretta: soddisfazione per cattura Cutrì, ringrazio carabinieri "Ringrazio l’Arma dei Carabinieri che con un preciso intervento ha catturato il detenuto Domenico Cutrì". Lo afferma il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Berretta esprimendo soddisfazione per la cattura del detenuto fuggito lunedì scorso durante un trasferimento al tribunale di Gallarate. Berretta rinnova il "ringraziamento agli agenti di Polizia Penitenziaria per il lavoro che svolgono ogni giorno a servizio della giustizia". L’ergastolano e il fratello in carcere a Opera Sono stati trasferiti nel carcere milanese di Opera Domenico Cutrì, l’ergastolano evaso e arrestato la scorsa notte, e il suo fratello più giovane, Daniele, che è accusato di avere fatto parte del commando che l’aveva liberato. I due si trovano in un settore ad alta sicurezza. Domenico Cutrì, da quando i carabinieri del Gis hanno fatto irruzione nel suo ultimo covo, dopo esser stato arrestato, si è chiuso nel silenzio. Domenico Cutrì e il fratello Daniele sono stati rinchiusi in isolamento in due celle distanti l’una dall’altra della sezione K del carcere di Opera. La sezione K nel periodo di Tangentopoli ha ospitato numerosi politici arrestati. Lettere: attenti alla clemenza che uccide la certezza della pena di Alfredo Mantovano Il Mattino, 10 febbraio 2014 "Alla fuga dalla pena e alla lentezza della giustizia si cerca di rimediare con l’espediente della carcerazione preventiva, che fatalmente porta al sovraffolla-mento e alla tensione del carcere, ai quali si cerca di rimediare con gli espedienti degli indulgenzialismi (periodiche amnistie e indulti) e dei clemenzialismi giudiziari, che, accentuando la fuga dalla sanzione, portano a un ulteriore amplificazione dell’uso abnorme della carcerazione preventiva. E la politica criminale da pacata politica della ragione diventa agitata politica dell’espediente". Sembra scritto oggi, a commento dell’approvazione alla Camera del decreto "svuota carceri"; invece risale a 26 anni fa: è una pagina del manuale di diritto penale del professor Ferrando Mantovani, ancora oggi in uso in tante facoltà di giurisprudenza. Se il deputato leghista Gianluca Buonanno, nell’intervento pronunciato poco prima del voto di fiducia, sì fosse limitato a leggere questo brano non avrebbe avuto tanta eco mediatica: un articolato ragionamento non rende quanto un urlo. Ha preferìto sventolare le manette, e in questo modo - senza volerlo - ha dato una mano al governo: la sua protesta becera ha attratto tg e giornali più del contenuto del decreto, e ha contribuito a metterne in ombra gli aspetti più problematici. Al lavoro di conversione alla Camera va riconosciuto di aver messo qualche toppa: la liberazione anticipata "speciale" è stata esclusa per mafiosi, terroristi e pedo fili, ed è stato bloccato un meccanismo di costoso indennizzo per i reclami dei detenuti. Quella che è passata a Montecitorio, in attesa del varo definitivo del Senato, è però una legge che non risolve i nodi reali del sovraffollamento, e che sta già riversando i suoi effetti negativi sulla sicurezza dei cittadini. Due profili colpiscono nella vicenda: il primo è l’ulteriore vanificazione della pena definitiva. Il decreto si disinteressa di chi è in carcere in attesa del processo (e magari sarà assolto) e si concentra su coloro che sono già stati riconosciuti colpevoli in modo irrevocabile: costoro ricevono benefici ulteriori, e in misura più larga, rispetto a quanto già previsto dall’ordinamento. Il dato più clamoroso è l’abbuono di cinque mesi per ogni anno di reclusione inflitto, in virtù della liberazione anticipata "speciale": con le nuove disposizioni, il giudice dice dodici (mesi), ma nella realtà sono sette. Sì certo, a differenza della versione originaria uno sconto così largo non si applica più a mafiosi e terroristi: ma, posto che la Corte costituzionale potrebbe cogliere 1 a disparità di trattamento ed estendere quel che la Camera ha ristretto, lo sconto ampio interessa tutti gli altri delitti. Ci sono gli omicidi: solo in virtù di questo nuovo istituto, il condannato all’ergastolo in realtà è come se riceve una pena di 15anni e mezzo, destinata a essere ulteriormente abbattuta dalla semidetenzione e dall’affidamento in prova. Ci sono le estorsioni, il traffico di immigrati e lo sfruttamento della prostituzione, se non aggravati dalla finalità mafiosa. Ci sono le rapine e i furti nelle abitazioni. C’è, in altri termini tutto ciò che segna l’insicurezza quotidiana degli italiani, con una premialità tanto più generosa quanto più pesanti sono le condanne subite. C’è l’inserimento di tutto questo nel sistema europeo. Domanda retorica: se un cittadino rumeno particolarmente dedito al furto si vede punito in patria per questo reato con una pena che in media va dai tre ai cinque anni di carcere, preferirà esercitare la sua attività a Bucarest o a Roma? Il secondo aspetto è la incapacità di affrontare la questione con una azione di governo eh e potrebbe ottenere risultati senza cambiare un solo comma. Se il 40% degli ospiti delle carceri italiane è ancora in attesa di giudizio, o quanto meno di giudizio definitivo, il ministro della Giustizia potrebbe esercitare i suoi poteri disciplinari contro l’uso distorto della custodia cautelare; sarebbe sufficiente, invece che scomodare il Parlamento con decreti legge e con voti di fiducia, farsi aggiornare sui provvedimenti di riparazione per ingiusta detenzione che ogni giorno vengono adottati dagli uffici giudiziali italiani: a ogni indennizzo riconosciuto quasi sempre corrisponde un abuso della carcerazione preventiva. Azio-ni disciplinari avviate in modo serio e porta -te a compimento senza intenti vendicativi avrebbero il benefico effetto di calmierare manette troppo facilmente adoperate (non solo dal leghista Buonanno). Per restare nell’azione di governo, con molti Stati, dall’Albania alla Romania, i cui cittadini hanno commesso reati in Italia, e per questo sono nelle nostre carceri, esiste ottima collaborazione: perché non intensificare gli sforzi per far proseguire la detenzione nei Paesi di origine invece che da noi? Perché non verificare in concreto la buona volontà dichiarata in tal senso dai nostri partner? Da ultimo, gli spazi; ìl sovraffollamento non dipende da un eccessivo numero di condannati, ma dalla scarsità dei posti a disposizione: la popolazione carceraria italiana, in rapporto alla popolazione residente, è fra le più basse al mondo. I programmi di edilizia penitenziaria hanno reso disponibili 5.000 nuovi posti: che però non vengono utilizzati per carenza di personale. Se proprio si vuole investire il Parlamento, la sede giusta è la legge di stabilità, non un indulto mascherato: una deroga al blocco delle assunzioni perii personale penitenziario avrebbe effetti più positivi del "libera tutti". Quali provvedimenti si adotteranno fra un anno, quando gli indici dei reati più diffusi saranno in rialzo e le carceri continueranno a essere stracolme? Trento: attentato davanti al tribunale, rivendicazione anarchica "diamo voce ai detenuti" Il Trentino, 10 febbraio 2014 Mail anonima: "Ordigno contro tribunale per dare voce ai detenuti". Inviata al sito internet "Informa-Azione". Una rivendicazione per l’esplosione provocata all’esterno del Tribunale di sorveglianza di Trento è stata pubblicata su un sito Internet di area anarchica. Era accaduto poco dopo le 5 del 28 gennaio e, secondo le prime indagini della Digos della polizia, era stata provocata da un fornelletto di gas da campeggio chiuso in una pentola a pressione. Il botto, su una terrazza esterna, aveva rotto vetrate e controsoffitti, senza causare feriti. La rivendicazione risulta pubblicata ieri sul sito "Informa-azione", con la dicitura "riceviamo da mail anonima e pubblichiamo". Il messaggio contiene una serie di riferimenti a persone in carcere, quasi tutti privi di cognome. Viene spiegato che quello che viene definito "ordigno" è stato piazzato "per dare voce" a questi detenuti. Annunciando intanto per aprile una lotta nelle carceri. "I compagni in AS2 a Ferrara - si legge nella rivendicazione - hanno la censura e le restrizioni sulla posta da parecchi mesi e sono in isolamento. Nico, Chiara, Mattia e Claudio hanno delle pesanti restrizioni come i primi. A questi ultimi hanno vietato i colloqui con i familiari e con i loro affetti. Così facendo vogliono annientarli e tenerli zitti". "Si è piazzato l’ordigno a Trento - prosegue il messaggio in riferimento all’esplosione - contro i magistrati di sorveglianza per dare voce a loro e a tutti quelli che sono rinchiusi e lottano con dignità. Così si manda in anticipo un saluto ai prigionieri che inizieranno la lotta ad aprile, sperando che la lotta si infiammi. La magistratura e i benpensanti parlano di violenza, ma la nostra violenza rispetto a quella della magistratura e dell’apparato è poca cosa e le sofferenze e le uccisioni inflitte da loro ai detenuti, come mesi fa e successo a Trento. "Non siamo ipocriti come voi - conclude il messaggio - ci rivendichiamo la violenza anche contro le persone che sono responsabili di tutto questo. Solidarietà a Spyros Stratoulis, Tamara Vergara, Sabbi, Andrea, Gabriele, Monica Caballero, Francisco Solar e a tutti quelli che lottano e che hanno delle restrizioni da parte della magistratura". Sassari: processo per la morte in cella di Marco Erittu, Pino Vandi è tornato a casa di Nadia Cossu La Nuova Sardegna, 10 febbraio 2014 Una notizia forte che arriva nel bel mezzo di un processo che da mesi tenta di far luce sulla fine del detenuto Marco Erittu, trovato morto in una cella dell’ex carcere di San Sebastiano il 18 novembre del 2007. Pino Vandi - colui che il supertestimone Giuseppe Bigella indica come mandante dell’omicidio Erittu - ieri sera è tornato a casa. La corte d’assise ha infatti accolto la richiesta degli avvocati difensori Pasqualino Federici e Patrizio Rovelli e ha concesso i domiciliari all’imputato. Omicidio o suicidio? Su questo "dubbio" ruota il processo che si sta celebrando davanti alla corte d’assise di Sassari e che al momento vede un reo confesso del delitto rinchiuso in carcere e il presunto mandante che fino a ieri era a Badu ‘e Carros e che ora continuerà a scontare la pena nella sua casa di Sassari. Difficile non cadere nella tentazione di provare a interpretare la decisione della corte d’assise. Decisione che arriva in un momento particolarmente delicato del processo, con i confronti e gli "scontri" tra perizie (in particolare quelle sulla striscia di coperta che la vittima avrebbe utilizzato per impiccarsi) che stanno tenendo banco nelle ultime udienze. La perizia del professor Avato (che aveva ricevuto l’incarico dal presidente della corte d’assise Pietro Fanile) sembra prediligere l’ipotesi del suicidio. La relazione tecnica indica chiaramente le cause della morte di Marco Erittu: "Asfissia meccanica acuta. Le lesioni vitali presenti sul collo della vittima - aveva spiegato Avato lo scorso 27 gennaio in aula - mostrano una assoluta compatibilità con la striscia ricavata dalla coperta. Potrebbe anche essersi trattato di un atto dimostrativo da parte del detenuto, con un esito imprevisto". La vittima avrebbe cioè solo voluto attirare l’attenzione, fingendo di volersi suicidare, ma poi la situazione gli sarebbe sfuggita di mano. Ma dall’altra parte c’è la confessione del pentito Giuseppe Bigella che sta scontando la pena per omicidio in quanto si è autoaccusato del delitto: "Ho ucciso io Marco Erittu, l’ho soffocato con un sacchetto di plastica e poi mi sono fatto aiutare per simulare un suicidio". Il tutto sarebbe accaduto in una cella del braccio promiscui di San Sebastiano con la complicità di un agente di polizia penitenziaria (al momento ai domiciliari) e di un altro detenuto. A commissionare l’omicidio, sempre secondo il racconto di Bigella, sarebbe stato Pino Vandi che avrebbe avuto interesse a far sparire Erittu perché quest’ultimo sarebbe stato a conoscenza di informazioni importanti su un presunto coinvolgimento dello stesso Vandi in affari tra la malavita sassarese e quella nuorese. Nella prossima udienza, prevista per lunedì, la corte affiderà l’incarico per una nuova perizia sulla striscia di coperta a un esperto industriale tessile. Pescara: detenuti archiviano gli atti, progetto coinvolge Provincia e Casa Circondariale Ansa, 10 febbraio 2014 Dematerializzazione e archiviazione informatizzata di atti e documenti, al via progetto sperimentale di Provincia e Casa Circondariale di Pescara. Il protocollo d’intesa è stato siglato anche dalla Cooperativa Sociale tipo B Alfachi, costituita da detenuti, attiva nell’istituto in un laboratorio appositamente allestito. Presentano l’iniziativa, oggi, il direttore della Casa Circondariale Franco Pettinelli e il provveditore dell’amministrazione penitenziaria per Abruzzo e Molise Bruna Brunetti. Avellino: carcere di Bellizzi Irpino, detenuto tenta il suicidio e viene salvato dagli agenti Corriere dell’Irpinia, 10 febbraio 2014 Le carceri scoppiano. E proprio per questo continuano a ripetersi gesti autolesionistici da parte di detenuti in tutti i penitenziari d’Italia. Una situazione difficile da gestire per il personale della Polizia Penitenziaria, anche se, per l’ennesima volta è solo grazie all’intervento dell’agente di guardia e di un suo collega che a Bellizzi si è evitato di dover registrare una nuova tragedia, allungando la lista nazionale dei morti per suicidio in carcere. L’episodio è avvenuto la scorsa notte all’interno del padiglione riservato ai detenuti comuni nel carcere di Bellizzi Irpino. Proprio all’interno dell’istituto penitenziario di Contrada Sant’Oronzo, infatti, un detenuto extracomunitario ha stretto ad una delle sbarre della finestra un lenzuolo, tentando di strangolarsi. L’episodio non è sfuggito comunque al personale di guardia. In pochi secondi infatti l’uomo è stato liberato dalla sorta di cappio rudimentale usato per tentare di togliersi la vita. Il detenuto, comunque, non sarebbe neanche nuovo a tentativi di suicidio. Basti pensare che in qualche altra occasione aveva anche ingerito del detergente. Il detenuto ora è sorvegliato a vista nella sua cella. Non si esclude che si possa essere trattato di un gesto dimostrativo, per protestare contro sovraffollamento e condizioni detentive. A quanto pare, il detenuto che ha tentato il gesto autolesionistico, da tempo si lamentava anche del trattamento sanitario. Ma i medici della struttura carceraria avevano effettuato comunque tutti gli accertamenti necessari. Immigrazione: un giorno al "Centro" di Ponte Galeria… il Cie più grande d’Europa di Christian Raimo Europa, 10 febbraio 2014 Venerdì mattina sono entrato per la prima volta in un Cie, un centro di identificazione e di espulsione. Ero al seguito del senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, che portava ai detenuti del centro di Ponte Galeria una lettera che il presidente Napolitano aveva scritto in risposta a quella che gli era arrivata da una serie di detenuti che avevano protestato nelle settimane passate arrivando a cucirsi la bocca. Era la prima volta che entravo in un Cie, e mi è dispiaciuto che non l’avessi fatto prima. Avrei capito con una chiarezza cristallina alcune cose sulla politica italiana e europea degli ultimi dieci anni. Il Cie di Ponte Galeria è il più grande di Europa. Visto da fuori è una specie di caserma gigante. Si trova accanto alla Fiera di Roma. Anzi, a dire il vero, si trova attaccato al parcheggio dell’entrata Nord della Fiera di Roma. Non c’è nessuna indicazione che porti al Cie, sembra veramente un non-luogo nella landa della non-luoghità. Lasci la macchina in questo enorme parcheggio vuoto, la desolata stazione della ferrovia per Fiumicino da una parte, e scale mobili che non trasportano nessuno per ore dall’altra: Paolo Virzì l’aveva giustamente presa come location di Tutta la vita davanti. Questa caserma invisibile e enorme è - l’ha scritto più volte Manconi - pensata come una sorta di gabbia di gabbie. C’è una struttura esterna con altissime sbarre, e poi come a matrioska gabbie più piccole e poi più piccole. All’interno di queste gabbie ci sono delle stanze dove venerdì c’erano all’incirca 70 persone. Una struttura che sarà grande quasi un chilometro quadrato per 70 persone. Queste 70 persone vivono in delle stanze in otto, con letti attaccati a non più di quindici cm l’uno dall’altro. Probabilmente queste cose che scrivo molti di voi le sapranno già, io stesso ho letto vari articoli sui Cie, e capita che le immagini dei centri arrivino sui giornali almeno ogni volta che c’è una protesta clamorosa, materassi incendiate e bocche cucite. Ma quello su cui vorrei attrarre l’attenzione invece non è sull’emergenza ma la vita in un Cie in un giorno di febbraio qualunque. Una mattinata tarda, all’ora di pranzo. Questo perché molti di noi, per fortuna, saranno assolutamente convinti che i Cie sono dei posti orrendi, atroci, terribili… E questo è in parte vero: all’interno, per certi versi, sembrano delle baracche di stato. Ma la cosa più agghiacciante che non avevo realizzato prima di entrarci non è la loro violenta bruttezza, ma il loro non-senso. I Cie sono la versione aggiornata dei Centri di permanenza temporanea, i Cpt, creati dalla legge Turco-Napolitano, nel 1998 (sarebbe bello che domani il presidente della Repubblica prendesse le distanze e si scusasse pubblicamente per una legge e una visione giuridica sugli stranieri che porta il suo nome), i cie sono "strutture istituite per trattenere gli stranieri sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera". Per manifestare la propria indignazione, molto spesso si dice: "Sono prigioni!", oppure "Sono lager!". In realtà i Cie non sono né l’uno né l’altro. Non sono prigioni, perché non hanno nessuno scopo di riabilitazione o di punizione. Non sono lager perché non sono dei campi di lavoro. Sono dei luoghi limbici in cui non accade nulla, non si sa perché ci si è finiti, non si sa quando se ne uscirà, non si sa come se ne uscirà. Il 40 per cento è espulso, il 60 si disperde. Nel frattempo - un frattempo che può durare fino 18 mesi ma che per molti è un frattempo ciclico (la maggior parte delle persone con cui ho parlato, erano in Cie per la seconda, terza, anche decima volta) - la vita è ridotta alla nuda vita, per dirla con gli agambeniani: mangiare, bere, dormire, pisciare, cacare. La mensa, i letti, i bagni. I detenuti del Cie di Ponte Galeria sono sostanzialmente degli sfigati. La maggior parte delle storie che ho sentito venerdì erano quelle di ex-ragazzini o ex-ragazzine che sono andati via dal Marocco o dalla Nigeria che avevano tredici anni, sono arrivati in Italia nemmeno maggiorenni, e da allora vivono e lavorano in nero. Ogni tanto li beccano, li buttano qui. Poi escono. Poi tornano al paese d’origine. Poi tornano in Italia. Poi si rifanno un Cie. Etc… Molti sono in Italia da vent’anni, molti hanno qualche precedente penale: piccoli furti, risse, spaccio. Molti del resto arrivano al Cie dal carcere. All’insensatezza di portare in un centro d’identificazione uno che è stato in galera si aggiunge l’insensatezza per cui anche se si è espiata la pena, la Bossi-Fini prevede comunque l’automatica espulsione. Insensatezza per insensatezza, sono dieci anni che in Italia esiste il reato di clandestinità. I circa 700.000 stranieri che non hanno il permesso di soggiorno in Italia sono criminali; metteteci dentro anche i ragazzi stranieri che hanno appena compiuto diciott’anni. I detenuti del Cie sono sostanzialmente degli sfigati, ma - dopo averci chiacchierato cinque minuti - si rivelano sostanzialmente delle persone da ammirare. La storia più comune è quella di uno che a tredici, quattordici anni, riesce a nascondersi sotto il motore di un pullman o tra il telaio di un camion e attraversare varie frontiere, con il rischio di morire. Per me ogni volta che sento raccontare una storia del genere penso ai romanzi di formazione che leggevo a tredici anni, Huckleberry Finn o Zanna bianca. Che differenza c’è? Uno di quelli che si è cucito la bocca la settimana scorsa, un marocchino di vent’anni, racconta che stava lavorando come stagionale in Libia quando è scoppiata la rivoluzione anti-Gheddafi. La scelta era rimanere lì sotto le bombe o scappare coi barconi. Tu, dice a me, che avresti fatto? Durante la traversata un barcone che li precedeva è affondato, i cadaveri galleggiavano in mare, loro non si sono potuti fermare a caricarli sulla loro barca, perché sarebbero affondati. Tutti vestiti con le tute del magazzino, in ciabatte, camicie sopra le felpe, pigiami con sopra i maglioni. Si avvicinano a Manconi ed espongono con cognizione di causa la loro storia. La maggior parte non parla un italiano perfetto semplicemente perché parla romanaccio, abruzzese, pugliese… Ma sanno usare le parole, la retorica della giustizia e quella della pietà, sono consapevoli del non-senso della loro condizione. Sui parecchi letti è appesa una citazione del Corano. Davanti alle stanze da letto, in ognuna di queste strutture abitative c’è un’altra stanza con i materassi di gommapiuma buttati per terra, l’acqua che ha spaccato i muri. "Questa è il nostro salotto aperto", dice uno. "È un loft". Un altro mi racconta che si è girato tutti i Cie d’Italia "Me sò fatto Bologna, Trapani, Bari tre volte, Ponte Galeria due, Gorizia, Agrigento, Lampedusa…". Gli dico che potrebbe scrivere una guida ai Cie. "Questo di Ponte Galeria rispetto a Gorizia è meglio. Lì ti parlavano in sloveno". A Bari per accenderti una sigaretta devi sporgerti dalle grate e fartela accendere dalle guardie. "Dove ti hanno preso?" . "Al lavoro, a Pescara, faccio il pescatore". Un altro stava tornando a casa con la spesa, un altro stava aspettando un suo amico fuori dal bar, un altro l’hanno rimandato qui dalla Svizzera, un’altra dall’Olanda - avevano fatto richiesta d’asilo in Italia o erano stati identificati qui per la prima volta, e allora li hanno rispediti qui. Ma la verità è che l’Italia fa da guardania dell’Europa insieme a Spagna, Grecia, Malta, Ucraina: i soldi dell’Unione per il contrasto all’immigrazione servono a questo. In realtà si capisce bene che se c’è qualcosa che hanno prodotto i Cie in questi quindici anni di vita è una specie di dissuasione aggressiva alla regolamentazione. Hanno prodotto insicurezza, caos amministrativo, ingiustizia sociale, e sono stati uno spreco clamoroso di soldi. Luoghi senza senso hanno finito con il far diventare cronico un vuoto di legislazione provvisorio, alimentando una cultura dell’arbitrio di tipo tutto razzista. Nei Cie non si possono portare le penne e i libri con la copertina rigida: potrebbero essere oggetti contundenti. Nei Cie non ci sono spazi per fare qualunque tipo di attività; a Ponte Galeria c’è solo un campo da calcetto per gli uomini. Per le donne c’è una televisione. Dopo un’ora già mi vergogno a stare tutto questo tempo con loro: è un’invasione di un’intimità inesistente. Non mi possono offrire un caffè, che senso ha io che curioso nei loro letti arrugginiti con le lenzuola di carta. L’assenza di un’intimità crea una specie di regressione: sul muro ci sono scritte tipo "Le ragazze de L’est sono le più belle fighe" o "I miss my mom". Quando all’ora di pranzo Luigi Manconi legge la lettera di Napolitano (aiutato da Ricky Tognazzi venuto come testimone anche lui), e espone quella che di fatto è la sua strategia politica rispetto ai Cie: eliminarne la funzione per eliminarli di fatto; i detenuti applaudono e si crea una scena surreale. Una specie di patriottismo inedito, di amore per l’Italia che non saprei dove altro trovare. Cosa si può fare? È la domanda che mi rigiro da venerdì. Non sono inutili, meramente testimoniali queste visite lampo di politici e giornalisti? Ci pensavo oggi, e non per motivi meramente retorici e autoassolutori, e soltanto in un verso forse la mia risposta è no. Perché è evidente che i Cie non hanno funzionato per nulla dal punto di vista giuridico e sociale, ma hanno funzionato e molto dal punto di vista simbolico. E se è vero che dei tredici Cie ora ne sono aperti cinque e sono sempre più vuoti, è anche vero che la loro fine simbolica non sarà così immediata. Se pure chiuderanno, questo arbitrio, questo potere oppressivo razzista troverà altri non-luoghi in cui incarnarsi, ne sono convinto. Per questo sarebbe giusto invaderli i Cie. Far sì che siano luoghi visitati ogni giorno, all’attenzione costante dell’opinione pubblica, pieni di iniziative, le più varie. Sarebbe giusto che le prefetture venissero invase di richieste di visite. Sarebbe giusto che i professori ci portassero in gita le scolaresche. Anche se domani fossero svuotati, sarebbe giusto poterne ammirare la violenza del pensiero che ha alimentato architetture del genere, gabbie di gabbie, una specie di pollaio macroscopico. Quest’è l’Europa del 2014. Soltanto con una riscrittura simbolica di questi luoghi cambierà qualcosa sul serio. Immigrazione: Manconi (Pd); nel Cie di Torino violenze contro gli stranieri reclusi di Massimo Numa La Stampa, 10 febbraio 2014 Violenze contro i reclusi del Cie? Lo denuncia il senatore Pd Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani del Senato, ieri in visita nel centro che ospita 37 uomini e 11 donne. Gli replica Rosanna Lavezzaro, dirigente dell’Ufficio stranieri: "Non ci sono state segnalazioni di violenze da parte delle forze dell’ordine. Ma approfondiremo quanto denunciato dal senatore. Gli esiti dell’indagine saranno trasmessi alla procura, come è stato sempre fatto in questi casi". Moduli devastati I "trattenuti" nel Cie di Torino sono quasi tutti maghrebini o centroafricani. Tutti (o quasi) pregiudicati anche per gravi reati. I posti, nel complesso ristrutturato nel 2010 (costo 11 milioni di euro) sarebbero in teoria 200male ultime devastazioni ne hanno dimezzato la capienza. I fabbricati incendiati sono chiusi, porte e finestre sigillate. "Sanzioni ingiuste" Con Manconi, anche i senatori pd Stefano Esposito e Miguel Gotor. "Il dato fondamentale è che i tempi di permanenza sono intorno ai 34 giorni. La legge prevede 18 mesi al massimo, mentre i tempi di espulsione nei Cie sono tra i 34 e i 45 giorni. Ci sono almeno 16 mesi totalmente inutili rispetto allo scopo per il quale è stato realizzato il Cie, sono una pena assolutamente superflua, totalmente inutile che nessun tribunale ha inflitto e che viene comminata a persone che non sono responsabili di un reato per quella pena, sarebbe una sanzione ingiusta, perché alcuni ospiti i reati, tra l’altro, li hanno già scontati con la detenzione in carcere".Ancora: "Il Cie è insensato, questi 16 mesi che richiedono enormi energie di enormi spese e di enormi sofferenze imposte alle persone". Manconi non parla di chiusura ma almeno di riduzione a due mesi, al massimo, di permanenza dei "sans papiers" all’interno dei centri italiani. Su undici ne restano aperti solo cinque. Le violenze sarebbero durante le rivolte del 2013. Manconi: "Naturalmente noi riferiamo quel che ci dicono gli ospiti di questa struttura. Racconti che sono una parte della verità, non necessariamente la verità. Un numero significativo di "trattenuti" ci ha riferito come, in passato, si siano verificati atti di violenza nei loro confronti". Lo fa davanti ai dirigenti dell’Ufficio stranieri della questura, ai funzionari della prefettura e della Croce Rossa. Un "non" carcere Pietro Di Lorenzo, Siap: "Da chi ha un ruolo istituzionale ci aspetteremmo più senso di responsabilità e più cautela nel farsi portavoce di denunce così pesanti e prive di qualsiasi riscontro. Getta un marchio di infamia sulle forze dell’ordine che operano tra mille difficoltà". Il resto è un triste viaggio in una struttura che non è un carcere ma che di fatto lo è. Alte recinzioni, forte presenza di militari, poliziotti, carabinieri e finanzieri. Secondo Manconi non va bene. Alimenterebbero "la tensione a causa di un "militarizzazione soffocante". Gli replica il Sap, altro sindacato di polizia: "Senza il presidio, il Cie di Torino sarebbe stato già distrutto. Le posizioni di Manconi - dice il consigliere nazionale Sap Massimo Montebove - non tengono conto della realtà". Rabbia e disperazione I "trattenuti" raccontano le loro storie, spesso drammatiche. Complicatissime e quasi sempre senza speranza. Gente disperata, che stringe fra le mani fogli spiegazzati, documenti di ogni Paese, foto di donne e bimbi. Grandi tragedie e piccoli problemi. Come il cibo passato dalle mense di Settimo. "Arriva freddo e non è gradevole", dicono molti. Osservano i responsabili della Cri: "Certo non sono ricette da Masterchef ma è cibo di qualità e rispetta le usanze religiose. È anche sui nostri tavoli. Lo stesso". Droghe: legge Fini-Giovanardi, all’esame della Consulta stretta s uso dei decreti d’urgenza di Cludia Fusani L’Unità, 10 febbraio 2014 Il senatore Carlo Giovanardi è irrequieto in questi giorni. Ma non è, come si potrebbe pensare, per i timori sulla legge elettorale o per la tenuta della legislatura. Il fatto è che tra martedì e mercoledì la sua legge, quella firmata a suo tempo con Fini che negli anni ha riempito le carceri di fumatori di hashish trasformandoli in spacciatori, potrebbe essere dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale e quindi decadere. Ma se già questa è di per sé una notizia, lo è ancora di più il fatto che la colpa dell’affossamento della Fini-Giovanardi potrebbe essere il decreto utilizzato per approvarla. Nel mirino dei supremi giudici non ci sono infatti le dosi minime o massime e la parificazione, quasi, del consumatore allo spacciatore. Bensì il fatto che la norma è stata approvata con un decreto urgente perché destinato ad approvare le misure per la spesa e la sicurezza delle Olimpiadi invernali del 2006 a Torino. Insomma, la solita questione dell’abuso dello strumento della decretazione più volte richiamata, invano, dal presidente Napolitano e prima di lui anche da Ciampi. E mai vera come in quell’occasione: che c’entrava infatti una norma sulle droghe con i giochi olimpici? Nulla. L’eccezione di costituzionalità è stata portata avanti in questi anni da un gruppo di docenti del diritto e tecnici ed esperti sulle tossicodipendenze. Tra i firmatari dell’appello ci sono Stefano Anastasia, Presidente de La Società della Ragione (sul cui sito è scaricabile la storia del ricorso e la giurisprudenza in materia), Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti per la Regione Toscana, l’avvocato ed ex parlamentare dei Verdi Luigi Saraceni, il professore Andrea Puggiotto (università di Ferrara). Il ricorso sarà discusso domattina in pubblica udienza dai supremi giudici (relatore Maria Cartabia) e sarà probabilmente deciso già mercoledì. Ed ha una sua particolare attualità visto che il vizio di mescolare in nome dell’urgenza pizza e fichi, cioè materie che nulla c’entrano l’una con l’altra, ha fatto ritirare prima di Natale il decreto salva-Roma. Ma analoghe critiche hanno riguardato il decreto Imu-Bankitalia. E il rischio è in agguato tra gli otto provvedimenti in scadenza entro febbraio. Prima fra tutti il nuovo ex salva-Roma. "Se la Corte mantiene ferma la sua giurisprudenza - spiega Franco Corleone - è chiaro che si va verso una dichiarazione di incostituzionalità della Fini-Giovanardi e relativa riviviscenza della norma fino al 2005. Vorrebbe dire che ancora una volta la politica non ha saputo intervenire delegando la questione ai giudici. Come è successo un mese fa con la legge elettorale". La storia della Fini-Giovanardi merita un veloce ripasso. Il decreto legge 30 dicembre 2005, n. 232, era un provvedimento necessario e urgente perché diretto a fronteggiare le spese e le esigenze di sicurezza delle Olimpiadi invernali di Torino. L’articolo 4 prevedeva un’ipotesi speciale di sospensione dell’esecuzione di pene detentive nei confronti di tossicodipendenti recidivi, mirando così a favorirne il recupero. "In sede di conversione parlamentare - si legge però nella memoria-appello dei promotori - quello stesso articolo diventa il pretestuoso aggancio normativo per una riforma di sistema di tutt’altro segno, 23 nuovi articoli introdotti per equiparare sul piano sanzionatorio sostanze stupefacenti "leggere" e "pesanti", inasprendone le pene". Lo scandalo, già allora, fu clamoroso. Ma il presidente Ciampi si trovò con le spalle al muro: il decreto fu convertito in legge pochi giorni prima dello scioglimento delle Camere e, soprattutto, a ridosso dei Giochi olimpici. Un treno che non poteva essere fermato. E che infatti, nonostante il parere contrario del Comitato per la legislazione e le critiche del dibattito parlamentare, non fu frenato. Da allora, contro la decretazione d’urgenza e in nome del vincolo dell’omogeneità e dei criteri di necessità e urgenza, ci sono state ben sei pronunce della Consulta, due appelli del presidente Napolitano (2011 e 2012) e la lettera, sempre del Quirinale, ai presidenti di Camera e Senato e alla presidenza del Consiglio. Era il 27 dicembre scorso. Il problema si chiamava salva-Roma. Droghe: legalizzare la cannabis? una convenienza "sconvolgente" di Alessandro De Pascale Il Manifesto, 10 febbraio 2014 Italia. I risultati finora inediti di uno studio commissionato nel 2013 dall’allora governo Monti. La proibizione della cannabis implica un costo fiscale di circa 38 miliardi, a fonte di 15 per la cocaina e di 6 per la cocaina. Il governo di Mario Monti studiò il possibile impatto sulle nostre finanze pubbliche della legalizzazione delle droghe leggere e della prostituzione. Erano i suoi ultimi mesi di vita, culminati col varo della Legge di Stabilità 2013 con tagli alle pensioni, introduzione dell’Imu sulla prima casa e aumento dell’Iva. Poco prima era stata la volta del decreto "crescitalia", intervenuto in diversi ambiti (commercio, professioni, trasporti, benzinai, farmacie) sul tema delle liberalizzazioni. Per far quadrare i conti, si ragionava di conseguenza sui numeri e nemmeno a costo zero visto che quel governo tecnico, il secondo nella storia repubblicana dopo quello Dini (1996), provocherà la più consistente crescita mensile del debito pubblico degli ultimi 15 anni: 15,4 miliardi (998 euro a residente, neonati compresi). La legalizzazione delle droghe leggere venne così presa in rapida considerazione nell’estate del 2012, quando nei corridoi di Palazzo Chigi iniziarono a girare stime e report su come ridurre l’enorme debito pubblico italiano. Tra i calcoli, anche l’onere per l’erario del mercato illecito degli stupefacenti: "La proibizione della cannabis implica un costo fiscale di circa 38 miliardi di euro, a fronte di 15 miliardi per la cocaina e di 6 per l’eroina". Regolamentare le droghe con la stessa procedura applicata al mercato dei tabacchi e degli alcolici, potrebbe viceversa generare introiti statali impressionanti. La completa legalizzazione, quindi la "tassazione della vendita di eroina, cocaina e cannabis, sulla base dei livelli di consumo di queste sostanze nel nostro Paese, porterebbe nelle casse dello Stato 30 miliardi di euro l’anno", si legge in uno di questi report. Una montagna di quattrini, equivalente per intenderci al valore dell’intera manovra finanziaria varata da Monti. In cinque decenni, potrebbe azzerare l’intero debito pubblico italiano, da tempo vicino ai 2.000 miliardi di euro (circa il 127% del Pil). Con la legalizzazione della sola cannabis, le cosiddette droghe leggere (marijuana e hashish), "applicando la stessa normativa fiscale del mercato dei tabacchi e delle bevande alcoliche, l’erario nazionale incasserebbe circa 8 miliardi l’anno dalla tassazione sulle vendite". Non per niente il consumo di stupefacenti nel nostro Paese è superiore alla media europea: primi nel Vecchio continente per la cannabis (4 milioni di persone ne fanno uso quotidianamente), terzi per la cocaina (nell’ultimo mese 4,1 milioni), mentre non desta allarme l’uso di quelle sintetiche. C’è poi la pesante aliquota applicata alle sigarette, superiore al 75%, che genera notevoli introiti con l’obiettivo dichiarato di scoraggiarne la vendita e ridurne il consumo. Le entrate statali sono tuttavia sottostimate. All’appello manca l’impatto economico sulle politiche educative, sanitarie e legate al crimine indotto dal proibizionismo, come anche la tassazione del reddito dei venditori delle sostanze psicotrope. Per farsi un’idea del suo valore, basta ricordare che le droghe sono la benzina che fa muovere la criminalità organizzata: soltanto le narcomafie italiane incassano da questo business illecito circa 60 miliardi di euro l’anno. Legalizzarle sarebbe di conseguenza l’unico modo per non far finire questo fiume di denaro nelle mani della malavita. Altra voce di risparmio indiretta, i notevoli costi dell’apparato repressivo (forze dell’ordine, magistratura e istituti penitenziari) per la "guerra alla droga". Anche in questo caso, si tratta di una cifra enorme: "L’applicazione della legge Fini-Giovanardi sugli stupefacenti costa all’incirca 2 miliardi l’anno". Numeri del tutto in linea con quelli riportati nello studio "Il costo fiscale del proibizionismo: una simulazione contabile", realizzato per l’Università degli Studi La Sapienza di Roma dal ricercatore Marco Rossi nel settembre 2009. Per calcolare i benefici economici della legalizzazione, esistono del resto rodati metodi internazionali. Anche volendo, questa strada allora non era però percorribile, poiché già allora, il governo Monti, aveva infatti i giorni contati. Lo ricordò il ministro per la Cooperazione Internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi: "È un problema da discutere in tempi lunghi che non può realizzarsi nel breve periodo di governo che mi è stato affidato". Nel governo Monti, il primo delle larghe intese, il centrodestra aveva inoltre ancora piena maggioranza alle Camere. E stiamo parlando dello stesso schieramento politico che in sede europea contrastò la riduzione del danno della Strategia sulle droghe dell’Ue 2005-2012, pretendendo di imporre agli altri Paesi europei quali interventi attuare in materia. Sempre il governo Berlusconi, in questo caso il terzo, è inoltre responsabile di aver approvato nel 2006 l’attuale legge sulle droghe, la più repressiva d’Europa, dentro un maxi-emendamento al decreto sulle Olimpiadi invernali di Torino votato a Camere sciolte e con doppio voto di fiducia. Gli effetti della norma si vedono soprattutto nel sovraffollamento degli istituti penitenziari: la metà dei nostri 66mila detenuti sono infatti tossicodipendenti, consumatori o piccoli spacciatori. Per superarla, in Parlamento sono stati presentati diversi disegni di legge che ripristinano la differenziazione tra droghe leggere e pesanti. Quello del Movimento 5 Stelle renderebbe inoltre "non punibile la coltivazione di massimo quattro piante di cannabis indica", previo "pagamento di una tassa di concessione governativa", consentendo inoltre "la cessione a titolo gratuito di una quantità di massimo 5 grammi di sostanza per uso personale". Altro ddl simile, quello depositato lo scorso 7 gennaio dal senatore Luigi Manconi (Pd), presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani. A favore della legalizzazione anche il segretario di Sel, Nichi Vendola, contrario quello del Partito democratico, Matteo Renzi, che definisce "schizofrenico un Paese in cui si passa dal proibizionismo più totale alla liberalizzazione delle droghe leggere. Iniziamo a cambiare la Fini-Giovanardi, che è una leggiaccia, per rimettere la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti e mettiamo in prova chi è stato arrestato per detenzione di droghe leggere". Ma cosa pensano gli italiani della legalizzazione della legalizzazione delle droghe leggere? Secondo un sondaggio condotto a gennaio 2014 da Swg, la maggioranza dei nostri concittadini sarebbero favorevoli. Soltanto il 37% della popolazione ritiene che il consumo di cannabis debba continuare ad essere punito come il consumo di droghe pesanti. Droghe: California e Colorado, l’economia dei due Stati Usa salvata dalla cannabis Il Manifesto, 10 febbraio 2014 La legalizzazione delle droghe leggere esplosa nell’ultimo anno negli Stati Uniti è figlia della crisi economica e dei buchi nei bilanci statali. La California è stato il primo Stato a legalizzare la cannabis nel 1996 per scopi terapeutici, facendo poi da apripista anche tra quelli che ora ne consentono l’uso ricreativo. La decisione è stata presa non per facilitare l’assunzione di droga ma come iniziativa in grado di portare nelle casse pubbliche 1,4 miliardi di dollari l’anno, grazie alla tassazione, diminuendo allo stesso tempo i costi per forze dell’ordine e carceri locali, pieni di persone che avevano commesso crimini minori collegati al possesso di marijuana. Quando nel 2010 è arrivato il via libera dell’allora governatore dello Stato, il Repubblicano Arnold Schwarzenegger, la California era sull’orlo del baratro a causa di un buco di bilancio che aveva raggiunto i 60 miliardi di dollari. Oggi le cose sono cambiate radicalmente grazie al rigore sociale, alle politiche di riduzione della spesa e perché no, alla tasse sulla vendita della marijuana, tanto che la scorsa primavera il nuovo governatore, il Democratico Jerry Brown, ha annunciato che la California non rischia più la bancarotta ma può anzi contare oggi su un surplus di 1,4 miliardi di dollari. La cifra esatta generata in anno dalle imposte sulla cannabis. La fallimentare strategia della "war on drugs", lanciata nel 1971 dall’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, starebbe insomma volgendo al termine, a partire proprio da dove era iniziata oltre 50 anni fa. Se prima c’era soltanto l’Olanda ad aver unilateralmente legalizzato la vendita delle droghe leggere nei suoi 670 coffee-shop, ora lo è anche in parte degli stessi Usa: in 18 Stati la vendita della cannabis per uso terapeutico, mentre in altri 11 addirittura la distribuzione commerciale. Oltreoceano è così nato un nuovo business, il cui valore potrebbe raggiungere nei prossimi quattro anni i 10 miliardi di dollari Le multinazionali, ovviamente, non sono restate a guardare e scommettendo nella fine del proibizionismo si sono tuffate a capofitto nel nuovo business. Piccole e grandi aziende dell’industria della cannabis sono così sbarcate in Borsa con ottimi risultati. C’è ad esempio MediSwipe, gruppo che produce bevande a base di marijuana, il cui titolo a gennaio ha registrato un balzo del 70%, oppure GreenGro Technologies, che produce tecnologie per la coltivazione di cannabis (+40%). Crescono anche le ditte biomedicali o farmaceutiche come Medbox, macchinari per ospedali anche per le cure alternative a base di marijuana (+16,6%) o GW Pharmaceuticals (2,6%). Un mercato che può soltanto continuare a crescere, visto l’imminente arrivo in diversi Stati a stelle e strisce dei distributori automatici touchscreenche che vendono pacchetti con 800 diverse varietà di marijuana. In Colorado, dove è stato legalizzato anche il consumo ricreativo, soltanto il primo giorno è stato incassato un milione di dollari, il 40% dei quali sono tasse. I tour operator stanno così inserendo nei loro pacchetti visite ai centri produttivi per seguire la crescita delle piante e comprare cannabis. A dettare a livello mondiale l’inversione di rotta è stata una petizione presentata alle Nazioni Unite nell’ottobre 2011 dalla Global Commission on Drug Policy, composta da esperti, ex presidenti sudamericani e importanti personaggi pubblici, come l’ex numero uno dell’Onu Kofi Annan. Il loro rapporto dimostra che questo nuovo approccio umano e sociale in chiave antiproibizionista, attuato in alcuni Paesi europei, in Canada e in Australia, abbia portato per i consumatori maggiori benefici rispetto alla criminalizzazione e alla repressione. Proprio in Sudamerica, l’Uruguay è finora il Paese che si è spinto più avanti: dall’aprile 2014 sarà la prima nazione al mondo a garantire ai suoi residenti maggiorenni un consumo procapite fino ai 40 grammi al costo di un dollaro l’uno e rilasciare licenze per la produzione. Anche nella vecchia Europa, dopo la depenalizzazione del possesso e della coltivazione per uso personale in diversi Stati (persino in Russia) è tempo di primi bilanci. Il Portogallo è stato il primo a seguire questa strada nel luglio 2001 con un’importante esperimento legislativo in materia, che lo ha reso sulle droghe il Paese più liberale del Vecchio continente. Tredici anni dopo i risultati sono più che incoraggianti: l’uso delle droghe tra i giovani si è ridotto, l’epidemia di Aids tra i consumatori è stata fermata, la delinquenza legata al narcotraffico è diminuita, mentre sono viceversa aumentati i sequestri di sostanze. Droghe: intervista a Marco Pannella "Mi hanno contestato in tre. Ci sono anche i filmati" di Anna Tarquini L’Unità, 10 febbraio 2014 Una vita da antiproibizionista e poi ti ritrovi in piazza, nell’Italia di oggi senza più memoria, e vieni fischiato e apostrofato come venduto. E nessuno riconosce la tua storia. Al nome di Marco Pannella sono legate tante delle nostre battaglie degli anni 70 dal divorzio all’aborto, ma quella per la liberalizzazione della droga leggera in Italia si può dire che se l’è inventata lui. Eppure sabato dalla manifestazione degli antiproibizionisti l’hanno insultato con la violenza attuale di molte piazze, soprattutto virtuali. E a nulla è servita la sua replica pacata... "Guarda che tuo nonno mi chiedeva di lottare per la depenalizzazione della droga leggera". Una frizione annunciata. Pochi giorni prima il Movimento antiproibizionista aveva intimato a Radicali di non partecipare al corteo. Ai Radicali e anche ai ragazzi della Cannabis Social Club, quelli che in Puglia combattono per la cannabis terapeutica. Pannella le hanno detto "l’apartheid l’hai inventato tu", le hanno detto "venduto", le hanno detto "studia bene". Cinquant’anni di antiproibizionismo e cosa si è trovato in piazza? "Intanto devo dire che me ne avete tolti dieci, sono sessanta. Cosa ho trovato in piazza, esattamente quello che tutta la stampa italiana non ha detto. Ho trovato solamente, ho i testimoni e i video, solamente abbracci, sorrisi, foto da fare insieme, senza eccezioni. Tranne un paio di boss fuori dalla grazia di Dio perché avevano i megafoni ed erano solo loro che potevano urlare. Ed erano quelli che ci avevano diffidato dall’andare al corteo perché sgraditi e chiedevano alla Digos di mandarci via come disturbatori". Erano del Movimento antiproibizionista? "Erano i loro tre energumeni. Ma poi, Movimento anzi proibizionista? Ma quando mai sono esistiti, chi sono? Mi importa dire che abbiamo le riprese video, c’erano solamente, solamente abbracci, sorrisi e poi questi pazzi furibondi che credevano che ci fosse della gente che condivideva con loro questa reazione. Devo dire che è stata molto bella la cosa. Perché così ci sono stati migliaia di ragazzi che hanno vissuto in prima persona la cosa, come la racconto adesso e ora dovranno spiegare a tutti... No, ma quale caos, era tutto calmo..". Così capiranno e potranno raccontare come funziona la comunicazione. Io metto nel conto anche questa parte della storia, in positivo, la dimostrazione che la gente, come hanno dimostrato anche i nostri referendum, per strada c’è. Partecipa. Su una cosa invece è importante fare attenzione; la diffida che noi abbiamo ricevuto da questi è sintomo di alcune cose di cui dobbiamo guardarci, noi voi, tutti quanti". Cioè? "Dicono che sono sempre stato con gli americani contro la pace, poi con i palestinesi, poi addirittura con i Croati. Per loro noi siamo dei criminali, venduti, berlusconiani e via dicendo. Un documento da nazi-comunisti trogloditi. Gli albanesi si sarebbero vergognati in confronto". Le hanno anche detto: "Lei sta sempre in Tv", un paradosso anche questo per i radicali se qualcuno ricorda le battaglie con il bavaglio sulla bocca? "Chi? Quegli energumeni. Perché invece non c’è stato uno che mi avesse dato uno spintone. C’è stata sì una persona che mi ha detto... però sei stato con Berlusconi... Con Berlusconi? Guarda, a piazza Argentina, lo abbiamo dato in diretta. Tutto qua". Ecco, perché il punto è questo. Lei era stato già contestato nel 2011 alla manifestazione degli "Indignados" e poi anche dai militanti radicali per il dialogo con Berlusconi. Pensa che le abbia nuociuto sul piano dell’immagine l’alleanza con Forza Italia per i referendum sulla giustizia? "I militanti radicali sono tutti e nessuno. Quello che c’è alla luce del sole è che Berlusconi ha firmato lui, lui, non un compagno del Pd, i dodici referendum. E ha firmato, si è pronunciato ufficialmente, parlo di quello che è successo a Largo Argentina. Poi l’amnistia e l’indulto e poi continuità del governo. Questo è l’accordo con Berlusconi. È venuto lui a farlo qui. Poi per il resto abbiamo mai avuto una lira?" Quindi come lo definisci l’episodio di ieri, il segno di una crisi della rappresentanza politica, ignoranza? "Guarda questi hanno preso l’iniziativa definendosi antiproibizionisti. Siccome la manifestazione era stata annunciata anche dalle radio tutti quanti avranno pensato che era anche una cosa radicale. Abbiamo riempito piazza Navona per una vita. Ma ai loro che sono venuti, i militanti più stretti, in realtà, loro non gli avevano detto "abbiamo diffidato i radicali a non venire". Chi era in piazza mi ha festeggiato con gioia come un vecchio zio che finalmente potevano vedere. Io ritengo che i ragazzi avranno poi detto agli organizzatori, ma siete matti? Ma a tutti ho detto, vedrete che la notizia sarà che mi avete contestato". Le hanno dato del "venduto" in piazza. Ho sentito che guadagna duemila euro, niente vitalizi. Come mai? "Io mi sono sempre dimesso da parlamentare per fare entrare i compagni. Allora il risultato qual è: che quello che subentrava al livello previdenziale si rifaceva all’intera legislatura, mentre ero io dimissionario e non scattava la legislatura. Per cui io adesso guadagno 2.350 euro. Non ho vitalizio, ho la pensione". Pannella tra due giorni ci sarà la sentenza della Consulta sulla Fini-Giovanardi. Se dovessero dichiararla incostituzionale per la parte che riguarda l’equiparazione delle droghe pesanti a quelle leggere cosa accadrà? "Vedremo che succede, noi abbiamo vinto due referendum sulla depenalizzazione. Cambieremo immediatamente questi ministeriali che hanno fatto lo zelo proibizionista e raccontano un mucchio di palle. E chiederemo immediatamente che non ci siamo più questi rappresentanti addetti da sempre a fare la campagna antidroga come l’hanno fatta cioè a favore della criminalità". Droghe: domani Arci e Giovani Democratici in piazza contro la legge Fini-Giovanardi www.sienafree.it, 10 febbraio 2014 Sarà allestito un gazebo informativo in Piazza di Madonna delle Nevi, a Siena, mentre a Roma la Consulta si pronuncerà sulla costituzionalità della legge Arci e Giovani Democratici di Siena uniscono le forze contro la legge Fini-Giovanardi, in vista della mobilitazione in programma a Roma sabato 8 febbraio e del pronunciamento della Corte Costituzionale sulla sua costituzionalità, fissato per martedì 11 febbraio. In contemporanea con il secondo appuntamento, martedì 11 febbraio, dalle ore 9.30 alle ore 12, in Piazza di Madonna delle Nevi, a Siena, Arci e Giovani Democratici allestiranno un gazebo per informare i cittadini sulla legge entrata in vigore nel 2006 per disciplinare il consumo di stupefacenti e sulle conseguenze che ha provocato in termini di sovraffollamento delle carceri, aumento dei costi per la macchina giudiziaria e crescita dei profitti delle narcomafie. "La legge Fini-Giovanardi - affermano Serenella Pallecchi e Sergio Kuzmanovic, rispettivamente, presidente dell’Arci provinciale di Siena e segretario dei Giovani Democratici di Siena - ha portato in otto anni a decine di migliaia di arresti, millenni di galera per la somma delle condanne e a una crescita assurda e paradossale dei profitti delle narcomafie, con tante vittime e persecuzioni che reclamano verità. Questa legge, insieme alla Bossi-Fini sull’immigrazione, ha reso la condizione delle carceri in Italia una vera e propria emergenza, un caso nazionale che ci pone fuori dagli standard europei e che è paradossale di fronte all’impunità riservata dal nostro sistema giudiziario ad autori di reati di ben altra natura, i cui effetti danneggiano la salute dell’intera società". "Fin dalla sua entrata in vigore - continuano Pallecchi e Kuzmanovic - numerosi tribunali, tra cui la Corte di Cassazione, hanno sospeso i processi per dubbi sulla costituzionalità e molte contestazioni sono state sollevate sia sull’iter della legge - che invece di essere discussa in Parlamento è stata approvata tramite un decreto che riguardava un altro argomento, le Olimpiadi invernali di Torino 2006, senza che ci fosse motivo d’urgenza - che sull’equiparazione delle sanzioni per droghe pesanti e leggere, violando, peraltro, la normativa europea. Su tutto questo, finalmente, l’11 febbraio si esprimerà la Corte Costituzionale, un’occasione che potrebbe aprire scenari completamente nuovi e che coglieremo per informare i cittadini sui veri contenuti di questa legge cercando di coinvolgere anche altri territori oltre a Siena". Anche a Savona la campagna dei Giovani Democratici "Liberitalia" Contro la legge Fini-Giovanardi attinente alla disciplina penale riguardante le droghe leggere. Martedì 11 febbraio arriva in tutte le piazze di Italia la campagna dei Giovani Democratici: "Liberitalia". Tale iniziativa si pone come scopo primario quello di evidenziare alla cittadinanza l’incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi attinente alla disciplina penale riguardante le droghe leggere. Sarebbe davvero clamoroso scoprire, che questa disposizione che da anni riempie nostre carceri, è in realtà incostituzionale. Per questo motivo, i Giovani Democratici, che da sempre si sono impegnati affinché finisca l’insensata equiparazione tra droghe leggere e quelle pesanti, elaborando anche un documento nel Congresso Nazionale tenutosi a Siena nel 2012, saranno in piazza per confrontarsi con la gente. Anche Savona vedrà una massiccia mobilitazione come spiega il neo Segretario Claudio Caravatti: "La nostra è una battaglia di civiltà. La Fini - Giovanardi è una legge iniqua e proibizionista, figlia di un’epoca passata che non potrà più funzionare. Da anni riempie ingiustamente le carceri italiane, equiparando il consumo di droghe pesanti e leggere, dimenticando la riabilitazione del dipendente da droghe pesanti e privando il cittadino della libera scelta su questo tema. Chi ha fatto questa legge - conclude Caravatti - sapeva di sbagliare, ed è testimoniato dalle sue modalità di approvazione nel 2006. Per questo martedì saremo in piazza per parlare con i ragazzi, sentire cosa vogliono e farci portatori delle loro istanze". Le carceri italiane esplodono: dei sessantaseimila detenuti in sovrannumero, più di un terzo sono finiti dentro per reati connessi alla legge antidroga. Una volta dichiarata incostituzionale la Fini-Giovanardi, si dovrà modificare la normativa creando così i presupposti per una nuova fase storica nel nostro Paese. India: i marò italiani a processo. Il ministro Bonino "l’Italia ha molti assi nella manica" di Marco Ventura Il Messaggero, 10 febbraio 2014 "In India per essere vicino ai miei uomini". Il ministro della Difesa, Mario Mauro, vola al fianco dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone alla vigilia del giorno più importante, oggi, per l’udienza davanti alla Corte Suprema che deve decidere come processarli e se escludere o no la pena di morte. Un gesto forte. Il fuoco di sbarramento è partito ieri già con Emma Bonino, ministro degli Esteri. Terroristi i nostri fucilieri di Marina? "No, rappresentavano l’Italia. E l’Italia non è uno Stato terrorista". La pena di morte? "Non basta escluderla, questo dev’essere scontato", non dev’essere neppure applicata la legge anti-terrorismo e anti-pirateria, il Sua Act, che ne prevede l’automatismo in caso di omicidio. "Sarebbe inaccettabile, lo Stato italiano non può accettare d’esser preso per terrorista". Quanto alla formulazione del capo d’imputazione: "Dopo due anni ancora non c’è e anche questo è inaccettabile". Un altro rinvio? "Dovrà essere breve, ma intanto tutta la nostra macchina di reazione si metterà in moto". La più alta magistratura indiana dovrà stabilire se il tribunale speciale potrà usare il famigerato Sua Act, se la fucilazione sarà esclusa e se Latorre e Girone potranno tornare in Italia in attesa del processo (sono accusati di aver ucciso due pescatori del Kerala scambiati per pirati). La Bonino minaccia, senza entrare nel dettaglio, un’offensiva politico- giuridico-diplomatica. "Abbiamo molti assi nella manica, tutte le carte sono sul tavolo. A partire dalla forte alleanza internazionale, europea e non solo, per nulla scontata, costruita con un grandissimo lavoro in questi mesi e che vorremo utilizzare a fondo". Le indiscrezioni dall’India parlano con insistenza di applicazione del Sua Act, ma non della pena di morte. E resta la possibilità del ventisettesimo rinvio in due anni. Le premesse non sono le migliori. Nessuno di questi scenari soddisferebbe l’Italia, che potrebbe ricorrere alla Corte permanente d’arbitrato dell’Aja contestando la giurisdizione di Delhi (l’incidente è avvenuto fuori dalle acque territoriali indiane e riguarda militari coperti dall’indennità "di funzione") oppure al Tribunale dell’Onu per la legge del Mare ad Amburgo. La Bonino ammette che c’è una strumentalizzazione politica: "plausibili" le ricostruzioni che vogliono Latorre e Girone ostaggi dell’offensiva nazionalista contro "l’italiana" Sonia Gandhi, leader del Partito del Congresso al governo. In India si voterà ad aprile-maggio. Per il pentastellato Alessandro Di Battista, solo dopo le elezioni "si sbloccherà definitivamente la situazione", i marò non sono colpevoli di nulla, sono "obbedienti e l’ubbidienza" tra i militari "è un valore". Al fuoco di sbarramento partecipano Forza Italia, Udc e Fratelli d’Italia. Un riferimento esplicito alla battaglia dell’India per il seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu lo fa Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato: "L’India spieghi all’opinione pubblica mondiale se è un grande Paese che legittimamente aspira a quel seggio, o se è uno Stato in cui le regole sono calpestate dagli interessi dei partiti e dalla prossima campagna elettorale". Anti-governativo il tweet di Mara Carfagna (Forza Italia): "Letta voli a New Delhi, no al Quirinale. Si occupi degli italiani, non di se stesso". E Carlo Fidanza, il capodelegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo a cui è stato negato il visto per Delhi, chiede l’intervento del presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz. India: caso marò; la Corte Suprema rinvia ancora, per l’accusa vale la legge antipirateria Corriere della Sera, 10 febbraio 2014 Letta su Twitter: "Inaccettabile imputazione proposta". Rinviata a martedì 18 febbraio la decisione da parte del giudice. Troppa differenza nelle posizioni di accusa e difesa. Così la Corte suprema indiana rinvia di nuovo, al 18 febbraio, la decisione sull’imputazione dei due marò italiani. La Procura generale ha infatti presentato un’ipotesi di accusa che si basa sulla legge anti-pirateria (Sua Act), in una versione però "light", senza evocare una richiesta specifica di pena di morte. ma ipotizzando un’accusa per violenze in base ad un articolo della legge che comporta fino a dieci anni di carcere. La posizione del governo italiano è netta: "Inaccettabile l’imputazione proposta" scrive in un tweet il presidente del Consiglio Letta appena conosciuti i motivi del rinvio. "Abbiamo riproposto con forza la richiesta che i marò tornino in Italia" in attesa di una soluzione sul processo ha detto Staffan de Mistura Nell’udienza il giudice ha ascoltato la pubblica accusa, che ha confermato la richiesta dell’applicazione nella vicenda della legge per la repressione della pirateria (Sua act), e la categorica opposizione ad essa da parte dell’avvocato della difesa italiana Mukul Roahtgi. A questo punto il giudice ha detto: "Capisco che di fronte a questa situazione sono io che devo decidere", e ha rinviato per questo l’udienza al prossimo 18 febbraio. Da parte sua Roahtgi ha annunciato la presentazione di una specifica memoria di opposizione all’applicazione del Sua Act per il processo dei Marò. Nell’illustrazione della sua posizione il procuratore generale E.G. Vahanvati ha chiarito che nelle intenzioni del governo il Sua act dovrebbe essere applicato senza una specifica richiesta di pena di morte. Bonino: i marò terroristi? Inaccettabile L’idea che ai due marò, detenuti in India per la morte di due pescatori, possano essere condannati a dieci anni in base a una legge sull’antiterrorismo è "inaccettabile", secondo il ministro degli Esteri Emma Bonino. Il ministro degli Esteri Emma Bonino interviene sulle indiscrezioni secondo cui l’India vorrebbe processare i due fucilieri di marina italiani Girone e Latorre in base a una legge antiterrorismo che prevede una condanna fino a 10 anni: "I due marò terroristi? Questo è inaccettabile" dice il responsabile della Farnesina. "Sconcertante il fatto che dopo due anni ancora non ci sia un capo di imputazione". Lunedì 10 febbraio la nuova udienza per i due militari italiani accusati della morte di due pescatori nel Kerala. India: tensioni per l’anniversario dell’esecuzione di due separatisti Kashmir, 200 arresti La Presse, 10 febbraio 2014 Tensioni a Srinagar, nella parte del Kashmir controllata dall’India. I separatisti, che vogliono unirsi al Pakistan, hanno indetto tre giorni di sciopero per commemorare le esecuzioni di due indipendentisti, avvenute a Nuova Delhi, e il governo indiano ha dispiegato migliaia di soldati nelle strade per far rispettare il coprifuoco. Per evitare proteste le autorità hanno arrestato circa 200 noti attivisti separatisti e hanno messo i loro leader agli arresti domiciliari. Molti cittadini sono rimasti a casa, ma alcune decine di indipendentisti del "Fronte di Liberazione del Jammu e Kashmir" hanno sfidato il divieto di uscire e hanno provato a manifestare nel centro della città, gridando "Vogliamo libertà" e "Ridateci i corpi dei nostri martiri". I tre giorni di protesta sono stati indetti appunto in ricordo di due separatisti: Mohammed Afzal Guru e Mohammed Maqbool Butt. Il primo è stato ucciso segretamente per impiccagione il 9 febbraio del 2013 in un carcere di Nuova Delhi, in quanto accusato di essere coinvolto in un attacco del 2001 al Parlamento in cui morirono 14 persone, e molti in Kashmir ritengono che a Guru non sia stato garantito un processo equo; la condanna a morte del secondo indipendentista invece, Mohammed Maqbool Butt, era stata eseguita nello stesso carcere di Nuova Delhi nel 1984, con l’accusa di avere ucciso un funzionario dell’intelligence indiana. I separatisti chiedono di riavere indietro i corpi dei due per la sepoltura, mentre attualmente i loro resti sono stati sepolti in carcere. Il Kashmir è diviso fra una zona controllata dall’India, a prevalenza induista, e una a maggioranza musulmana, controllata dal Pakistan. I separatisti chiedono l’indipendenza del Kashmir indiano da Nuova Delhi e la possibilità di unirsi al confinante Pakistan. Nord Corea: il governo ritira l’invito a all’inviato Usa per colloqui su americano detenuto La Presse, 10 febbraio 2014 La Corea del Nord ha ritirato per la seconda volta l’invito rivolto all’inviato Usa per i diritti umani, Bob King, che doveva fare visita a Pyongyang per colloqui sul caso di Kenneth Bae, missionario statunitense detenuto nel Paese da 15 mesi. La portavoce del dipartimento di Stato Usa, Jen Psaki, ha detto che l’amministrazione è "profondamente delusa" dalla decisione, che sembra essere una forma di protesta contro le prossime esercitazioni militari congiunte tra gli Stati Uniti e la Corea del Sud. Il regime nordcoreano definisce le manovre una prova di invasione, ma Psaki ha assicurato che le esercitazioni non hanno nulla a che fare con il caso di Bae, condannato in Corea del Nord con l’accusa di aver complottato per rovesciare il governo. Psaki ha rinnovato l’appello per il rilascio immediato dell’uomo, aggiungendo che Washington continuerà a lavorare attivamente per garantire la sua liberazione. d agosto la Corea del Nord aveva ritirato un invito rivolto a King, affermando che Washington aveva commesso una grave provocazione usando jet B-52 durante le esercitazioni militari con la Corea del Sud. La settimana scorsa Bae aveva detto in un’intervista al quotidiano Choson Sinbo di essere stato informato che King sarebbe venuto a incontrarlo entro la fine di febbraio. Intanto il dipartimento di Stato ha fatto sapere in una nota che il reverendo Jesse Jackson, attivista per i diritti civili, si è offerto di andare a Pyongyang su richiesta della famiglia di Bae.