L'amore entra dentro l'Assassino dei Sogni. Seconda parte di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 6 dicembre 2014 Testimonianza di un Uomo Ombra al seminario di Ristretti Orizzonti sugli affetti in carcere del primo dicembre 2014. "Non c'è cosa più bella per un uomo ombra che sentire scivolare le sue lacrime sul viso perché quelle gocce d'acqua salata gli ricordano che è ancora umano". (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com). Poi riguardo mia figlia. E mi sembra di vedere il più bel panorama della mia vita. È infagottata in un corto cappotto che nasconde la sua bella figura. Per fortuna s'è messa gli stivaletti con i tacchi bassi perché sta male che le figlie sono più alte dei padri. Ahimè! Purtroppo è più alta di me lo stesso anche con le scarpe basse. Indossa un bel paio di pantaloni. Noto che però sono troppo aderenti per i miei gusti. Vedo comunque che le stanno bene. I suoi occhi mi sorridono. È contenta. Poi con una mano afferro la sua. E andiamo a sederci. Lei si mette nel mezzo. Io da una parte. Il fidanzato dall'altra. Nadia, il mio Diavolo Custode con la sua carrozzina, si mette dietro. Come al solito, mi protegge le spalle come fanno gli angeli. Poi mia figlia inizia a parlarmi nell'orecchio. La mamma ti saluta. La sua voce è calda. Non è potuta venire perché doveva lavorare in lavanderia. Io l'ascolto in silenzio. E mi ha detto di dirti che ti vuole tanto bene. Intanto approfitto per farmi una scorpacciata di baci. Papà. Le sue labbra sono morbide. Io però te ne voglio di più. Tento di dividerli in parti uguali con il mio cuore. Mi ha detto di darti un bacio da parte sua. Uno a lui. Mirko ti viene a trovare prima di Natale. Uno a me. E ti porterà i bambini. Non riesco però a resistere dalla voglia di imbrogliare il mio cuore. Lorenzo a scuola è bravissimo. E incomincio a fare due a me. E prende sempre dieci. Uno a lui. Michael invece è bravo a giocare a pallone. Lui è scemo e non se ne accorge. E lo stanno facendo giocare nella squadra di quelli più grandi di lui. Il mio cuore non capisce niente di matematica. La partita scorsa ha segnato due reti. Poi quando è accanto al cuore di mia figlia si ubriaca d'amore. Uno su rigore. E non capisce più nulla. Poi ha fatto il giro del campo per prendersi gli applausi. Lo posso fregare come voglio. Mi hanno chiesto cosa ci regala per Natale nonno Melo Mi dispiace per lui, ma per mia figlia farei questo e altro. Papà. Ad un tratto mi ricordo che si stanno avvicinano le feste. Se sei d'accordo… E decido di metter via qualche bacio per i giorni tristi che verranno. Ho pensato di fare come l'anno scorso. Abbraccio di continuo mia figlia. E ai bambini ci facciamo i regali insieme. Mi sembra di abbracciare l'universo. Così ti faccio risparmiare. E mi godo l'energia che emana il suo cuore. Papà. Accanto a lei mi sento vivo. Stai tranquillo a casa va tutto bene. Ed era un po' di tempo che non mi sentivo così bene. Tu piuttosto come stai? Mi sento felice. Ti vedo più magro. Sento il suo respiro che sa di amore. Mangia. Lei si rannicchia contro di me. Non mollare proprio adesso. Sembra un pettirosso. Sono sicuro che prima o dopo uscirai. Io non mi muovo. Me lo sento. Batte solo il mio cuore. Lo sai che sono una strega. Non riesce a stare fermo. Io ti aspetterò sempre. Forse perché trabocca di felicità. Di solito vivo giorno per giorno. Quando invece sono accanto a mia figlia mi sembra di vivere in attesa di un domani. Da quando ho incontrato la mia compagna e sono nati i miei figli non ho più paura di morire perché adesso so che rimarrà in questo mondo e in questo universo il mio amore per loro. Anche la nascita dei miei nipotini mi ha portato luce e sole nella mia tomba e nel mio cuore. Probabilmente non li vedrò mai crescere come è accaduto per i miei figli. E li vedrò crescere solo nella mia mente, ma ci penseranno loro a realizzare i miei sogni come stanno già facendo mia figlia e mio figlio. Non mi sembra vero di stare a contatto fisico con la mia bambina. Dio come è cresciuta. Come mi è mancata. E come mi manca. Penso che in tutti questi anni molte volte ho avuto la tentazione di smettere di lottare contro l'Assassino dei Sogni. Di smettere di scrivere per fare conoscere l'esistenza in Italia della "Pena di Morte Viva". E di smettere di studiare, pensare e resistere. Lei e mio figlio però mi hanno sempre spinto in questi lunghi ventitré anni ad andare avanti. E mi hanno reso migliore di quello che pensavo di essere. Senza di loro là fuori non ce l'avrei mai fatta a vivere prigioniero tutto questo tempo. Penso che questo è uno dei giorni più belli che passo con mia figlia. E il mio cuore, che non sta mai zitto e che vuole rovinare sempre tutto, mi ricorda che forse è l'ultimo che passerò in questo modo con lei. Mi ricorda pure che l'ergastolano inganna se stesso quando pensa e spera un giorno di uscire. Ed io lo mando al diavolo. Mando a quel paese sia lui che l'Assassino dei Sogni. E mi godo questi attimi di felicità. Penso che si può fare a meno della libertà, ma non dell'amore perché quello che manca più in carcere è proprio l'amore. Penso che l'amore ti dà una ragione per vivere o morire, ma ti può dare anche il motivo per amare il mondo anche da una cella. Penso che mi sono rimasti solo i miei sogni. Solo loro sono ancora vivi. Penso che i buoni con il codice penale nel cuore hanno deciso che gli ergastolani siano meno umani degli altri. Non è però così. Gli uomini ombra hanno bisogno d'amare più degli altri perché l'amore è l'unica cosa che li può migliorare. E li può aiutare a farli rimanere vivi. Continua. Non posso accettare che le nostre responsabilità ricadano su un figlio, una madre, una moglie di Lorenzo Sciacca Ristretti Orizzonti, 6 dicembre 2014 Il giorno 1° dicembre, all'interno della Casa di reclusione di Padova, si è tenuto il convegno "Per qualche metro e un po' di amore in più", organizzato dalla redazione di Ristretti Orizzonti di cui faccio parte. Il senso di questo convegno è stato di cercare di sensibilizzare sia la società che il mondo politico perché venga emanata una nuova legge, che aiuti le persone detenute a mantenere un rapporto affettivo con la propria famiglia. Questa nostra iniziativa è una delle tante battaglie che abbiamo fatto in passato su questi problemi, che non riguardano solo noi detenuti, ma interessano i nostri familiari e tutta la società. Bisognerebbe che il mondo che sta al di fuori di queste sbarre capisse che far mantenere un rapporto affettivo con i propri cari umanizzerebbe i nostri animi. Spesso veniamo dipinti come mostri, ma i mostri non esistono. Esistono uomini che hanno commesso errori, uomini che hanno fatto anche delle scelte di vita sbagliate, ma togliendogli la possibilità di amare in maniera umana un proprio figlio, siamo sicuri che questa non sia la causa del diventare futuri mostri? Io sono un uomo che i reati li ha commessi per una scelta di vita, che oggi si sa assumere la propria responsabilità, ma non solo sotto l'aspetto della condanna, gli anni di carcere sono sempre difficili da accettare, al contrario della propria responsabilità interiore. Oggi sono in grado di accettare di avere la responsabilità per essere quello che sono stato, non mi do più alibi, ma non riesco ad accettare che le nostre responsabilità possano ricadere su un figlio, una madre, una moglie, questo è inaccettabile, considerando che viviamo in un Paese ritenuto civile. Sono stato figlio di un carcerato, sono stato padre carcerato e tutto quello che ho vissuto nell'infanzia l'ha vissuto mio figlio. Purtroppo oggi non posso sapere cosa sarebbe diventato mio figlio e che scelte avrebbe preso, perché lui non c'è più, ma ho ragione di pensare che non gli sarebbe venuto difficile seguire le mie orme. Un figlio che cresce con un genitore carcerato, fondamentalmente non conosce il genitore, conosce solo quella parte negativa del padre, cioè il reato, ma le sue abitudini, le sue manie, la sua parte buona non la conosce. Inizia a credere che il suo genitore è solamente vittima delle istituzioni e che delle divise, quegli agenti che controllano durante i colloqui, sono la causa del suo allontanamento. Un figlio viene privato della possibilità di ricevere amore da un genitore. Con questa idea distorta sono cresciuto, e il risultato? Bè il mio certificato di detenzione parla chiaro: "fine pena 2037". Sono stato da poco nel carcere di Regina Coeli, lì ci sono voluti ben 14 anni per togliere un muretto alto un metro con sopra un vetro nelle sale dei colloqui, come imponeva il Regolamento penitenziario del 2000. Non voglio credere che dovranno passare altrettanti anni per poter avere nel nostro Paese delle leggi che ci aiutino a mantenere un rapporto umano con le nostre famiglie. Il 1° dicembre non dovete farlo cadere nel dimenticatoio, dovete prendere atto che permettere al detenuto di mantenere dei rapporti affettivi decenti è anche una forma di prevenzione. Report dal Seminario nazionale di studi "Per qualche metro e un po' di amore in più" di Sara Viganò (volontaria del Servizio Civile presso Arci Genova) www.genovaonline.com, 6 dicembre 2014 Nell'attesa dell'inizio del seminario, mentre ancora nessuno si è accomodato e ci si appresta a porgere saluti a sguardi conosciuti o cari, non posso fare a meno di notare il via vai che coinvolge l'intero spazio adibito al convegno. Tra la confusione dei saluti e dei nuovi arrivi spiccano al mio sguardo i passi a tre delle persone ristrette che approfittano dell'attesa per passeggiare. Rifletto e penso a quanto la ristrettezza influenzi i gesti e i movimenti quotidiani. E di come, soprattutto in un giorno come quello di oggi che potrebbe rappresentare un momento di rottura rispetto ai ritmi costanti e ripetitivi dell'istituto, sia comunque affrontato con le consuetudini apprese. Il seminario tenutosi presso la Casa di Reclusione di Padova "Due Palazzi" ha visto la partecipazione di numerose figure impegnate nella tutela e nella garanzia dei diritti dei detenuti, quali operatori sociali, volontari, operatori giuridici, politici, professori e professionisti legati al carcere e alla giustizia e di testimoni diretti in qualità di genitori detenuti e famigliari. La premessa del seminario nazionale di studi è quella di configurare la sicurezza sia sociale sia del singolo, attraverso la fruibilità di ciò che di più caro e importante ognuno ha, ovvero i legami famigliari: solamente mantenendo saldi i legami tra le persone ristrette e la loro famiglia (genitori, coniugi e figli) potrà essere messo in atto il principio su cui si fonda l'Ordinamento Penitenziario del 1975, ovvero il principio di reinserimento sociale a fine pena. Lo scopo del seminario era di avviare, attraverso la partecipazione attiva degli stessi soggetti, una proposta di legge relativa all'umanizzazione della reclusione e, nell'attesa di una sperata approvazione di tali riforme normative, avviare diverse proposte, ovvero azioni che ogni Istituto detentivo può mettere in atto con una semplice circolare dell'Amministrazione Penitenziaria. La giornata prende avvio con l'intervento del Direttore del carcere di Padova, Salvatore Pirruccio il quale, una volta effettuati i saluti di inizio e i ringraziamenti, spiega come la tematica del giorno sia di grandissima importanza, non soltanto per i detenuti ma soprattutto per i famigliari. L'avvio del seminario pone come incipit ciò che l'Ordinamento Penitenziario prevede "entro certi limiti" per il mantenimento delle relazioni affettive e di come, nonostante ciò, ci siano delle grandi differenze tra i diversi istituti di pena circa la gestione e la facilitazione delle stesse. Il Direttore spiega con estrema chiarezza come, oltre al detenuto, anche la famiglia subisca dei grossi traumi legati alla detenzione di un componente del nucleo. Il trauma dell'arresto, il mancato sostentamento economico, i trasferimenti in luoghi lontani rispetto la residenza famigliare, sono tutti fattori che influenzano il recepimento e le decisioni inerenti al mantenimento del rapporto tra il soggetto detenuto e i suoi affetti. Da qui, Salvatore Pirruccio racconta come il carcere di Padova si impegni affinché possa migliorare la condizione di pena in cui è immesso il detenuto e la sua famiglia, ricordando come ciò che viene previsto dall'Ordinamento Penitenziario sia il minino di partenza, dal quale però si può crescere ed ampliarne le previsioni. Padova, rispetto alla maggior parte delle carceri italiane risulta essere "all'avanguardia" rispetto a tale problematica. Infatti, per quanto riguarda i colloqui visivi, se l'O.P. Prevede 6 ore mensili, a Padova si va oltre e vengono aumentati (compatibilmente con gli spazi) su richiesta dei detenuti e/o dei familiari, oltretutto con la possibilità di essere prenotati attraverso una telefonata o via mail per ridurre i tempi di attesa. Oltre a ciò, vengono incrementati anche i colloqui effettuati con terze persone, poiché anch'esse risultano di grande importanza per il reinserimento sociale del ristretto, amici e persone care, per far si che non si rompa il collegamento con il territorio e mantenere i legami creati. Vengono autorizzati anche i colloqui domenicali, della durata di 4/5 ore, nelle quali si può anche pranzare con i famigliari. A Padova si è soliti festeggiare anche la festa del papà per qualche ora. Per i colloqui con i figli minori, in particolare per facilitare i rapporti con i più piccoli e garantire un minimo comfort, all'interno delle sale colloqui vi sono distributori di bevande e snack e l'importantissima presenza di operatori di Telefono Azzurro che intrattengono i figli per permettere ai coniugi di svolgere il colloquio liberamente, oppure scegliendo di stare tutti insieme nella ludoteca ed effettuare i colloqui in questo ambiente, decisamente più accogliente per il minore. Per quanto concerne il numero di telefonate previste dalla legge in materia, alle 4 telefonate previste nel mese (una a settimana della durata di 10 minuti) ne vengono aggiunte due al mese che il detenuto può scegliere di effettuarle quando meglio crede. Un'altra prassi assolutamente importante attuata presso il carcere padovano è la possibilità di utilizzare Skype il martedì (giorno esente dai colloqui visivi) per collegamenti della durata di 10/20 minuti con i famigliari, oltre a quelli telefonici tradizionali. Intervenendo a sua volta, Ornella Favero, direttore responsabile di Ristretti Orizzonti, sottolinea come le proposte realizzate a Padova siano possibili e fattibili in ogni carcere, ma purtroppo questo non avviene È il momento per certi versi più atteso, quello delle testimonianze di due persone detenute che testimoniano sull'importanza di aumentare lo spazio di umanità per consolidare i legami affettivi. Il primo detenuto riferisce di come, per via dell'impossibilità di mantenere con continuità e degnamente i rapporti famigliari, sia rimasto. La testimonianza del secondo detenuto invece spiega come anche la famiglia sia vittima della reclusione del soggetto e di come, una volta reintrodotti in società anche se soltanto per un permesso, per il detenuto/ex detenuto ci sia bisogno di reinventarsi un ruolo. Lui stesso utilizza paragona il detenuto ad un malato al quale non venga riferita la realtà dei fatti per evitare che si appesantisca la sua situazione. Si evitano così i problemi al malato, ed il malato evita di raccontare le sue malattie. Tra gli interventi previsti nella mattinata vi è quello del professor Pugiotto, docente di Diritto Costituzionale, il quale affronta la questione della "Castrazione della sessualità del detenuto come problema di legalità costituzionale". Il docente, riprendendo un seminario del 2000 su questi temi, sostiene come vi sia uno stretto legame tra lo spazio carcerario e la dimensione affettiva del detenuto. Per lo stesso, i due elementi sono collegati dalla ristrettezza, da una parte degli spazi fruibili, determinata dalla detenzione, dall'altra limita l'identità del detenuto che viene spinto in una dimensione infantile. "In spazi ristretti il corpo rimpicciolisce e i gli uomini rinchiusi ritornano bambini. Come i bambini, infatti, hanno una limitata libertà d'azione, sono sorvegliati a vista e perdono la propria autodeterminazione". Il processo di regressione trova una somatizzazione nella negazione della sfera affettiva e sessuale che per l'adulto risulta essenziale. Secondo il professor Pugiotto la "castrazione di fatto" equivale ad una pena accessoria che si aggiunge alla pena muraria. Un detenuto, infatti, per poter usufruire di spazi di intimità deve aspettare, quando possibile, l'approvazione di un permesso premiale. Questo non vale per coloro che sono ancora in attesa di giudizio e in taluni casi nemmeno per chi è già giudicato. Pugiotto si appella quindi ai dettati costituzionali che non vengono rispettati non permettendo la sessualità e l'affettività in carcere, come l'articolo 27 inerente la finalità educativa della pena e l'articolo 32 rispettivo della salute intesa non come mancanza di malattia ma come stato di benessere psico-fisico. Al termine dell'intervento del Professore, è la volta di Carmelo Musumeci, condannato all'ergastolo, che racconta delle telefonate, di come avvengono e di quanto racconta ai nipotini, cercando di non far passare loro un messaggio contro le istituzioni. "Melo" ricorda poi quanto detto da Papa Francesco sulla pena di morte e sul miglioramento delle condizioni carcerarie e sull'ergastolo: "Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi o a lottare non solo per l'abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l'ergastolo. Nel codice penale del Vaticano, non c'è più, l'ergastolo. È una pena di morte nascosta". Musumeci annuncia poi la sua possibile partecipazione ad una visita, insieme alla Comunità Papa Giovanni XXIII, convocata a colloquio da Papa Francesco. Seguono le testimonianze di quattro giovani donne, figlie di genitori ristretti. La prima racconta, con forte coinvolgimento emotivo, di come ha iniziato il percorso tra le carceri italiane all'età di sei anni e delle difficoltà collegate: le perquisizioni, la mancanza di un genitore nella crescita e nell'età adulta, difficoltà durante i colloqui per via del vetro divisorio, la difficoltà a raccontare la detenzione dl padre. Quest'ultima ha deciso di tenerla nascosta a lungo per paura di essere emarginata dalla rete amicale e "finire nell'ombra", fino a quando ha trovato il coraggio ed iniziato pian piano, a cominciare dal fidanzato, a spiegare la sua storia reale. Nonostante la detenzione del padre, non ha mai smesso di sentire il bisogno di alimentare il rapporto con lui. La seconda figlia che dà voce al suo vissuto è entrata in carcere ai colloqui all'età di 14 anni. Anch'essa si lascia andare ad un momento di commozione che coinvolge tutta la sala, raccontando di come, al momento dell'arresto, inizia l'incubo dei perché da parte della comunità e delle sue conoscenze. Delle difficoltà ad accettare la realtà, "ti metti in croce", ma di come, nonostante ciò, l'amore prevalga su tutto e sia "l'unica campana di vetro che possa proteggerti". La terza figlia ha iniziato il percorso recentemente, quando era già maggiorenne, e spiega come la difficoltà maggiore sia stata infondere sicurezza ai suoi genitori, entrambi detenuti, riguardo al fatto che lei stesse bene. La quarta testimonianza è fornita dalla figlia di Carmelo Musumeci, la quale ha cercato finora di far vivere alcuni momenti della propria vita al padre, attraverso telefonate in compagnia, lettere e cartoline con le destinazioni di ogni suo viaggio. Si torna poi agli interventi "tecnici" con lo psichiatra Diego De Leo, professore ordinario di Psichiatria alla Griffith University, Australia. De Leo, uno dei maggiori esperti internazionali di suicidio, nonché direttore del "Australian Institute for suicide research and prevention", ha affrontato il tema dei suicidi in carcere e della prevenzione attraverso l'affettività partendo dalla seguente domanda: "la possibilità di mantenere rapporti più umani con le famiglie per le persone detenute potrebbe costituire una forma di prevenzione dei suicidi?" Prevenire il suicidio è molto difficile poiché non è una malattia che può essere diagnosticata. Dal punto di vista dell'osservazione psichiatrica, il carcere dovrebbe avere un elemento di facilitazione intrinseco, ovvero la continuità di osservazione per via della detenzione. Oltre a ciò, il professor De Leo ha raccontato di come in carcere, al di là della tendenza al suicidio, vi sia anche il fattore di contagio: l'influenza psicologica è come un'infezione contagiosa. De Leo si è domandato, infine, come si potrebbero creare elementi di protezione al suicidio. Sicuramente, è la sua risposta, l'aumento della somministrazione di antidepressivi non diminuisce il tasso dei suicidi e non li previene. L'isolamento e la mancanza di relazioni portano ad un innalzamento dei suicidi: avere delle relazioni, secondo De Leo, fa la differenza, migliora le comunicazioni e l'opportunità di essere compresi emozionalmente anche e soprattutto in carcere. E questo determina "la protezione del suicidio". La possibilità di mantenere i rapporti più umani con la famiglia per le persone detenute potrebbe consentire una forma di prevenzione dei suicidi. A seguito dell'intervento dello psichiatra tocca ai politici presenti: Alessandro Zan deputato di Libertà e diritti, Sergio Lo Giudice senatore del PD e Gessica Rostellato del Movimento 5 Stelle. Tutti e tre spiegano le rispettive proposte di legge inerenti il tema dell'affettività e del loro impegno a portarle avanti. L'introduzione dell'intervento di Zan parte dalla citazione di W. Churchill ovvero di come " la qualità di una democrazia si misura da quella della vita nelle sue carceri". Le proposte che porta con sé sono: diritto all'affettività in carcere attraverso la possibilità di più permessi, di poter avere contatti fisici, affettivi e sessuali, prevedendo luoghi adeguati e privi dell'incombenza dei controlli visivi, e incremento delle telefonate e dei minuti a disposizione, ritenendo sadica la prassi attuata fino ad oggi con i 10 minuti a settimana. Per Lo Giudice, la proposta di legge inerente l'affettività equivale alla ripresentazione della legge "Bernardini", la quale introduce la possibilità di avere dei rapporti in ambiente riservato e la previsione di momenti di incontro più ampi (1 pomeriggio al mese). Anche questa proposta prevede un maggior numero di telefonate. Sempre Lo Giudice sottolinea, infine, come la mortificazione dell'uomo detenuto sia determinata anche dalle carenze affettive, non soltanto dal sovraffollamento. Gessica Rastellato ricorda come, fino ad ora, in Parlamento si sia affrontata la tematica carcere soltanto riguardo alla dimensione minima prevista delle celle e non dei bisogni di affetti e della necessità di incrementare personale educativo e supporto psicologico. La proposta da lei presentate prevede un numero maggiore di spazi per poter avere e mantenere relazioni personali e più intime; la liberalizzazione delle telefonate; spazi che consentano visite della durata fino a 24 ore; maggior tutela dei bambini durante i controlli; più impegno per l'avvio di case-famiglia protette. Prende poi la parola Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, la quale richiama a gran voce la necessità di coinvolgere e informare la società tutta, il bisogno di valorizzare le testimonianze e di coinvolgere chi è più restio a farsi complice di "cose" serie. Moro suggerisce come bisognerebbe trovare qualcuno di credibile come possibile testimonial, magari coinvolgendo le Arti, da cantanti ad attori. Enrico Sbriglia, Provveditore dell'Amministrazione penitenziaria per il Triveneto, avvia il suo apporto al seminario sostenendo la fragilità di un sistema complesso quale è il carcere, sistema di comunità che ha bisogno di continui aggiornamenti: basta poco per frantumarlo. In carcere, l'enunciazione di un diritto è il modo più facile per depennarlo: "il carcere si scrive bianco ma si legge nero, si scrive rieducazione si legge disperazione, si scrive legalità e si legge indifferenze ed abuso, o addirittura l'abuso dell'indifferenza". A sostegno della tutela dei diritti dei minori, Sbriglia sostiene come essi non abbiano colpa e si domanda: "possibile che serva una legge per capirlo?" Il provveditore parla di democrazia del dolore all'interno dei luoghi detentivi, nella quale tutti devono soffrire, e sostiene il rilancio di un'idea culturale laica e rispettosa della Costituzione ai politici, se si vuole veramente sicurezza, se si vuole veramente cambiare. Riprendendo la parola, Ornella Favero si rivolge all'Amministrazione Penitenziaria, ed in particolare al Provveditore Sbriglia, affinché venga emanata una circolare che serva da adeguamento a tutti gli istituti di pena perché riescano ad apportare migliorie, come accade a Padova . Pronta la risposta di Sbriglia: le carceri rispondono in modo diverso da Padova perché le persone sono diverse. È necessario smuovere la coscienza morale. Il seminario, dopo una breve pausa pranzo, riprende i lavori attraverso l'intervento delle Dott.ssa Annamaria Alberghetti, componente dell'Osservatorio Carcere Ucpi (Unione Camere Penali Italiane), che, attraverso un filmato, mostra le condizioni detentive in due carceri del Brasile, ove, nonostante gli spazi non proprio accoglienti, è comunque previsto e favorito un momento di intimità. Emerge il rispetto della sessualità quando i detenuti si appartano nelle celle. Alla "Cadeia Pública de Salvador", le sale colloquio presenti non vengono utilizzate poiché vengono prediletti gli spazi della socialità. Vi è la testimonianza della moglie di un detenuto, la quale ha scritto un articolo provando a pensare come se tutte le limitazioni relative agli affetti non ci fossero più. Prende parola Mauro Palma, presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell'esecuzione penale e consigliere del ministero di Giustizia, il quale sottolinea come, su 47 paesi del Consiglio d'Europa, soltanto 11 di questi prevedono visite all'interno di carceri prive di supervisione. Cita alcuni elementi delle Regole Penitenziarie Europee, tra cui come le situazioni di detenzione non devono portare pregiudizio alla dignità umana nel presente ne devono essere tali da poter evolvere in situazioni contrarie alla dignità umana; le restrizioni imposte alle persone detenute devono avere un criterio di proporzionalità rispetto agli obiettivi legittimi e non essere sproporzionate ad essi; ultimo elemento citato sostiene come la vita in carcere debba essere il più vicino possibile alla vita fuori dal carcere. Palma continua e sottolinea come la pena detentiva è quella della privazione della libertà. Ogni altra restrizione è una pena ulteriore. "Le restrizioni dei diritti non devono essere tali da far perdere il contenuto del diritto stesso". Lo stesso individua dei punti problematici da sottoporre ad analisi della Corte Europea: - le pene non possono diventare pene corporali, legati al corpo e alla psiche: la situazione di astensione sessuale e restrizione affettiva può essere dannosa? - la privazione di un soggetto di poter generare di far parte del percorso educativo dei figli lede il diritto del coniuge. - proporzionalità, deve misurarsi in base a ciò che l'ordinamento giuridico vuole tutelare: è proporzionata la tutela di un bene (affettivo in questo caso) vietandolo in senso complessivo e indiscriminato a tutti i detenuti? Favero suggerisce la riunione degli stati generali della pena, invitandoli ad effettuarla presso il carcere Due Palazzi, con la presenza di detenuti e di operatori che vivono le problematiche quotidianamente. È il tempo della testimonianza di un detenuto il quale è uscito da poco dal regime di 41bis. Da alcuni giorni spiega, si vocifera rispetto allo smantellamento della sezione di alta sicurezza del carcere di Padova con la conseguente deportazione in altro istituto e l'allontanamento ulteriore dai propri cari. In seguito vi è la testimonianza di un altro detenuto che "ha cresciuto i propri figli per telefono e tramite lettere" a causa della distanza. Denuncia come i 10 minuti di telefonata alla settimana non sono sufficienti, non bastano per parlare con figli e genitori. "I miei figli sanno che sono loro padre soltanto perché portano il mio cognome". Emerge la necessità e l'appello al diritto alla regionalizzazione della pena e alla non deportazione in luoghi lontani ed irraggiungibili. Desi Bruno, garante dei detenuti dell'Emilia Romagna denuncia la non apertura delle Icam prevista per il primo gennaio del 2014. Si appella come Ornella Favero all'indispensabilità di utilizzare le circolari del Dap affinché vengano attuati i miglioramenti apportati in alcuni istituti come Padova, affinché vengano favorite più telefonate e di durata maggiore. La Bruno suggerisce di provare a partire dai famigliari per provare a smuovere la coscienza pubblica e ricorda come "vedere i figli non è un premio ma un diritto". Siamo quasi al termine del seminario ma non può concludersi senza l'apporto fornito da Lia Sacerdote, responsabile dell'associazione Bambini Senza Sbarre, la quale porta il punto di vista dei bambini sostenendo come questo sia radicale per il carcere poiché i bambini possono cambiare le cose, tutelando i loro diritti inalienabili. In conclusione interviene Rita Bernardini, segretario dei Radicali italiani la quale sviluppa un discorso che va a toccare diverse problematiche carcerarie. Soffermandomi in particolare su quelle inerenti l'affettività, la Bernardini sostiene l'innocenza dei bambini e di come, nonostante ciò, gli stessi subiscano un torto ed una violazione dei loro diritti. Bisogna assolutamente pensare alle conseguenze del distacco prolungato sui minori. Gli ultimi brevi interventi sono del frate minore francescano Beppe Prioli, a sostegno del diritto a vedere i famigliari e di Maurizio Mazzi della Conferenza regionale Volontariato e Giustizia del Veneto il quale sostiene l'importanza di questa campagna. Il seminario, attraverso l'intervento di ogni soggetto legato per diverse ragioni all'ambiente carcerario, ha ricoperto i partecipanti con un'ondata di speranza e buoni propositi per la lotta alla tutela dei diritti e dell'affettività. Dalla pagina Facebook di Ristretti Orizzonti appare tra le note la seguente riflessione: "Negare l'affettività in carcere significa dare al detenuto una pena accessoria ingiustificata e colpire la sua famiglia, trasformandola in una vittima". Giustizia: Santi Consolo (Capo Dap); la mia sfida sarà di cambiare le strutture del carcere Adnkronos, 6 dicembre 2014 Priorità "qualità vita detenuti e operatori, confronto con tutti. Da S. Vittore all'Ucciardone verificherò le condizioni di vita negli istituti di pena. Impegno per dare risposte all'Europa". I detenuti "possono fare manutenzione alle strutture". "La mia sfida è dare una svolta alle strutture penitenziarie. Un progetto che anche a livello europeo possa far guardare all'Italia come a un modello positivo". In un'intervista all'Adnkronos il magistrato Santi Consolo, nominato nuovo capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria (Dap) il 1 dicembre scorso dal Consiglio dei ministri, traccia le linee programmatiche della sua azione. "La priorità è la qualità di vita dei detenuti, la tutela dei loro diritti -spiega- e insieme il miglioramento delle condizioni di lavoro degli operatori e la collaborazione con il mondo del volontariato. Voglio confrontarmi con tutti: operatori, sindacati, Polizia penitenziaria. Perché il Corpo dei baschi azzurri è il nerbo della struttura: sono questi uomini e donne a lavorare a diretto contatto con i detenuti e in prima linea nell'opera di rieducazione". "Auspico che l'insediamento possa avvenire prima di Natale", prosegue Santi Consolo, già vice capo del Dipartimento durante la presidenza di Franco Ionta fino al 2011. "Voglio verificare in maniera diretta - anticipa - l'effettiva condizione all'interno degli istituti di pena per vedere anche le condizioni di lavoro di quanti vi operano. Metterò a punto un preciso programma di confronti, da S. Vittore all'Ucciardone". Consolo traccia quindi alcuni obiettivi: "Stenta a decollare la legge Marino per quel che riguarda l'abolizione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Su questo versante - assicura il nuovo capo del Dap - farò delle verifiche per capire come è possibile attuare in tempi ragionevoli il nuovo assetto che prevede la cura e l'assistenza alle persone con disabilità mentali. L'obiettivo - rimarca - è avere la collaborazione degli enti locali e delle regioni, chiudendo gli Opg". E assicura: "Con il Guardasigilli, Andrea Orlando, ho una grande sintonia, e un sentire comune sentire. I problemi di cui abbiamo parlato sono quelli che il ministro vuole risolvere: avremo una collaborazione proficua e rispetterò l'indirizzo del ministro che chiede chiarezza, verifiche e soluzioni alle indicazioni che l'Europa ci ha chiesto. Mi impegnerò al massimo per dare risposte". Quanto al sovraffollamento, "ho un'ambizione: quella di realizzare mini-progetti possibilmente approvati anche con la cassa delle ammende, per realizzare dei lavori all'interno degli istituti di pena che migliorino le condizioni abitative e per quanto possibile vadano ad ampliare anche gli spazi detentivi. Tra i detenuti - fa notare il capo del Dap - ci sono idraulici, piastrellisti e operai che possono lavorare e fare ordinaria manutenzione nelle case circondariali. In questo modo si fanno lavorare i detenuti, come avviene in altri Paesi europei, senza la necessità di intervenire con mega appalti che costano milioni di euro". "Grande attenzione - assicura ancora Consolo - sarà dedicata anche alle detenute madri. Ad esempio, l'Icam di Milano (Istituto a custodia attenuata per detenute madri con prole fino a tre/sei anni) è un'ottima struttura, Luigi Pagano fece un buon lavoro. In relazione all'Icam bisogna valutare le esigenze a livello territoriale" e anche in questo caso il criterio di azione deve essere "il rispetto della dignità delle persone detenute". Per Consolo, "la detenzione va reinterpretata: deve essere un'occasione di lavoro ma anche di utilizzo del tempo perché il detenuto acquisti delle abilità professionali. Mi ha molto impressionato - fa notare il capo del Dap - un'esperienza maturata in Spagna, dove si è fatto un censimento della capacità professionali dei detenuti. Si è verificato, sul campo, che ciascuno creava dei gruppi di lavoro per insegnare agli altri il proprio sapere, dalla lavorazione del vetro o del ferro ad altre abilità. Ho incontrato un detenuto che teneva corsi di lingua, la traccia è questa". Quanto alla sorveglianza dinamica, Consolo spiega: "Da sempre ho avuto un senso di ripulsa nel vedere che le porte del carcere continuano ad aprirsi con chiavi ottocentesche. L'automazione è uno degli obiettivi, perché la sorveglianza non può essere affidata solo all'occhio dell'operatore. Serve la tecnologia più moderna per rendere il più possibile agevole ed efficace il lavoro di chi è preposto alla sicurezza". "Il mio metodo - taglia corto il capo del Dap - è lavorare in squadra. Tutte le scelte devono essere condivise e portate avanti con entusiasmo. Ciascuno dovrà avere dei compiti specifici per raggiungere risultati. Solo così si possono cambiare le cose". Capece (Sappe): apprezzamento per parole di Santi Consolo "Mi sembrano assolutamente positive e di buon senso le parole dette oggi in un intervista da Santi Consolo, neo Capo del Dap, circa gli impegni che intende assumere come nuovo responsabile dell'Amministrazione Penitenziaria. Noi siamo pronti a collaborare lealmente, fattivamente e concretamente, come primo e più rappresentativo Sindacato del Corpo di Polizia Penitenziaria. Perché da tempo sostentiamo che un altro carcere, un'altra idea di detenzione, in Italia è possibile". Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri. "Da tempo diciamo più misure alternative, con impiego in lavori di pubblica utilità, per i detenuti meno pericolosi e più lavoro in carcere. Il detenuto che in carcere ozia non si rieduca, ma esce anzi ancora più incattivito di quando vi è entrato. Nonostante le statistiche dicano che il condannato che espia la pena in carcere ha un tasso di recidiva del 68,4% contro il 19% di chi ha fruito misure alternative e addirittura l'1% di chi è inserito nel circuito produttivo", aggiunge. "Noi che rappresentiamo le donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria impegnati 24 ore al giorno nella prima linea dei padiglioni e delle sezioni detentive delle oltre 200 carceri italiane siamo assolutamente d'accordo con i contenuti del noto messaggio che il Signor Presidente della Repubblica ha inviato al Parlamento affinché si avvii nel nostro amato Paese una indispensabile e decisa inversione di tendenza sui modelli che caratterizzano la detenzione, modificando radicalmente le condizioni di vita dei ristretti e offrendo loro reali opportunità di recupero", sottolinea. "Ma anche garantendo ai poliziotti penitenziari più sicure e meno stressanti condizioni di lavoro, tenuto conto che le tensioni connesse al sovraffollamento determinano quotidianamente moltissimi eventi critici nelle carceri - atti di autolesionismo, tentati suicidi, risse, colluttazioni - che se non fosse per il nostro decisivo e risolutivo intervento avrebbero più gravi conseguenze. Negli ultimi vent'anni anni, dal 1992 al 2013, le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno salvato in Italia la vita ad oltre 18mila detenuti che hanno tentato il suicidio ed ai quasi 118mila che hanno posto in essere atti di autolesionismo, molti deturpandosi anche violentemente il proprio corpo. Per questo auspichiamo preso un incontro con il nuovo Capo Dap Santi Consolo". Giustizia: sulle carceri scontata presa posizione Comitato ministri del Consiglio d'Europa di Rita Bernardini www.radicali.it, 6 dicembre 2014 Non mi sorprende affatto la presa di posizione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa. Avevo già avuto modo di rilevare come l'organismo chiamato a vigilare sull'esecuzione delle sentenze della Corte Edu, si fosse rivelato sempre di più organismo politico "di parte" e non obiettivo. Che i rimedi preventivi e risarcitori previsti dalla legge n.117/2014 nei confronti dei detenuti che hanno subito "trattamenti inumani e degradanti" in violazione dell'art. 3 della Cedu, non fossero "effettivi" come richiesto dalla sentenza Torreggiani è denunciato non solo dalle nostre (radicali) lotte e prese di posizione, ma dalla lettera che il Conams (Coordinamento Nazionale dei Magistrati di Sorveglianza) ha inviato il 13 novembre scorso al Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Sono i Magistrati di Sorveglianza a parlare di "incertezze e lacune del testo normativo", di "gravi contrasti giurisprudenziali", di "complessità delle istruttorie", di "assoluta inadeguatezza delle risorse e dei mezzi di cui dispongono gli Uffici di Sorveglianza". Sono i Magistrati di Sorveglianza ad affermare che è "facile prevedere che sarà molto esiguo il numero dei casi decisi e risolti secondo gli standard prescritti dalla Giustizia europea in termini di effettività, rapidità ed efficacia dei rimedi accordati". Sono intanto oltre 150 i cittadini che stanno dando vita al "Satyagraha di Natale con Marco Pannella" con obiettivi puntuali, "affinché nel nostro Paese si affermi la legalità nell'amministrazione della Giustizia (da anni straziata insieme alla vita di milioni di persone a causa dell'irragionevole durata dei processi penali e civili) e si rimuovano le cause strutturali che fanno delle nostre carceri luoghi di trattamenti inumani e degradanti". Giustizia: il lavoro rende liberi anche i detenuti? Non è detto. Quella brutta puntata di Report di Michele Passione (Camera penale di Firenze) Il Garantista, 6 dicembre 2014 Su questo giornale sono stati pubblicati due interessanti articoli sul tema del lavoro, dentro e fuori dal carcere, a firma di Caputo e Di Vito. Nel mentre, Report di domenica scorsa ha affrontato l'argomento sostenendo l'idea del lavoro gratuito per i detenuti quale positiva e includente forma di espiazione della pena, richiamando esperienze estere ed evidenziando che nessuno applica la novella legislativa, che favorirebbe i lavori socialmente utili. Sul punto, l'imbarazzante passerella cui sono stati sottoposti gli interpellati ha finito col chiudere il cerchio, con il segnale lanciato all'opinione pubblica: altro che "lavorare meno, lavorare tutti", meglio sostituire l'assunto con "lavora e taci". Vediamo. La legge 94/2013 ha introdotto la possibilità, per detenuti e internati, di svolgere lavoro volontario e gratuito, nell'esecuzione di progetti di pubblica utilità, nonché attività di sostegno (che non pregiudichino quella lavorativa) delle famiglie delle vittime di reati da loro commessi. Dette attività, entrambe, costituiscono espressione della progressività del trattamento verso l'accesso a misure alternative più ampie. Come si vede, e come si evince dal raffronto con la disciplina del lavoro penitenziario, di cui all'articolo 20 O.P., che "non ha carattere afflittivo, ed è remunerato", il lavoro costituisce il principale elemento del trattamento (che brutta parola!), e non può mai essere declinato come violazione dei diritti. Certo, mentre il mantra nazionale è l'affievolimento dei diritti del lavoro per la pretesa estensione delle opportunità ad un maggior numero di soggetti, il rischio è che anche in questo settore si (ri)proponga la contrapposizione tra gli ultimi (i detenuti) e i penultimi (i lavoratori, magari precari), come bene ha scritto Mario Di Vito. Ed allora, occorre chiarirsi. È inaccettabile la proposizione di un'adesione entusiasta dei detenuti, che pure è stata mostrata in tv, ovviamente derivante (oltre che da un'inconsapevolezza dei loro diritti) dall'alternativa mal posta: meglio 22 ore chiusi a guardare la tv, o rendersi utile? Il lavoro rende liberi, secondo un'accezione diversa da quella scritta più volte rubata all'ingresso dei campi, perché costituisce la più importante forma di estrinsecazione e sviluppo dell'essere umano, e perché su di esso si fonda la nostra Repubblica. Come detto, il lavoro socialmente utile è altra cosa dal lavoro penitenziario, dentro o fuori le mura, e di esso costituisce una species, tutt'affatto particolare. Proprio in questi giorni sono stati pubblicati i dati sui detenuti lavoranti, aggiornati al 30 giugno 2014; dal 34,46% del 1991, la percentuale dei lavoranti sui detenuti presenti è passata al 24,27%, Questa è la realtà dei fatti, con la quale dovrà confrontarsi il nuovo Capo (anche questa, che brutta parola) del Dap. Infine, dovendo esprimere un auspicio, mi piace ricordare che la redazione di Ristretti Orizzonti, insostituibile motore di ricerca per chiunque (anche per il ministero e il Dap) si occupi di carceri e diritti, rischia di chiudere entro dicembre, se non raggiungerà la cifra di cui ha bisogno. Da mesi è in rete una richiesta di aiuto; mi piace pensare che gli avvocati penalisti non la faranno cadere nel vuoto. A proposito, per chi non lo sapesse, a Ristretti lavorano i detenuti. Giustizia: il carcere deve offrire le stesse opportunità a tutti i condannati... di Liberato Guerriero (Direttore Centro Penitenziario Napoli Secondigliano) Ristretti Orizzonti, 6 dicembre 2014 Nella trasmissione televisiva "Report" del 30 novembre scorso si è offerta l'immagine di un Istituto dove le opportunità di lavoro sono riservate a "pochi", e nemmeno ai più "meritevoli": eppure bastava girare l'angolo e si vedeva un pezzo di giardino coltivato da altri detenuti (comuni, alcuni dei quali con problemi psichiatrici) o, un po' più in là, un'area coltivata da detenuti di altro reparto. Oltre alla lavorazione dei rifiuti citata quasi per dovere, dove 26 detenuti "comuni" lavorano alle dipendenze di una cooperativa. O, anche, di un Istituto dove la "risorsa" della manodopera dei detenuti è sprecata nonostante le tante esigenze della struttura. Si sarebbe potuto raccontare delle ristrutturazioni interne fatte solo con manodopera di detenuti guidati da personale di polizia penitenziaria e senza ricorso a ditte esterne: non solo la manutenzione delle pareti e degli spazi comuni colorati, ma anche degli interventi sugli impianti idrici ed elettrici, della totale ristrutturazione del bar, della mensa, dell'armeria, della caserma e di tante altre piccoli grandi cose che per chi vive questo mondo non sono altro che la "quotidianità". Ma a parere dello scrivente è proprio la storia degli uomini intorno a cui è stata costruita quella parte della trasmissione, con dovizia di particolari sulle loro storie criminali e assoluto silenzio sui loro percorsi penitenziari (inutile perder tempo con queste cose) a rappresentare l'affermazione della grandezza dello Stato di diritto, di quello Stato che, quando le circostanze lo richiedevano, li ha sottoposti al durissimo regime dell'art. 41bis dell'Ordinamento penitenziario e, quando le condizioni sono cambiate, ha loro offerto le opportunità che lo stesso Ordinamento Penitenziario prevede per tutti i condannati. Ripeto: per tutti i condannati. E senza scomodare concetti propri dell'etica ("perdono", "espiazione", "colpa", "pentimento" etc. etc.) si rivendica semplicemente l'applicazione del "diritto", cioè della Costituzione della Repubblica Italiana e della Legge 354/75, nei cui testi la parola "vendetta" è bandita. Per completezza di informazione si potrebbe aggiungere che questi detenuti hanno lavorato gratis per quasi 4 anni, prima ristrutturando la cappella dell'Istituto (messa a posto senza ricorso a ditte esterne) poi rimettendo in funzione le serre (ferme da tempo per mancanza di fondi), infine ripulendo il terreno al fine di renderlo idoneo ad essere coltivato. I prodotti delle prime coltivazioni sono stati donati alla Caritas ed il ricavato è stato destinato ad assistenza di famiglie bisognose di cui si occupano associazioni di volontari nel quartiere di Scampia: il tutto a riflettori spenti, senza alcuna costrizione, con il solo piacere di sentirsi utili per qualcosa o per qualcuno. Questa breve replica per i tanti che lavorano in questo Istituto. Grazie. Giustizia: reati "lievi" depenalizzati di fatto, restano nel codice ma non vengono sanzionati di Antonio Ciccia Italia Oggi, 6 dicembre 2014 Al via la depenalizzazione di fatto. E cioè il reato rimane scritto nel codice, ma, se è particolarmente tenue, non si applica nessuna sanzione. Lo schema di decreto legislativo attuativo della legge 67/2014 è stato approvato in prima lettura dal consiglio dei ministri del 1° dicembre 2014 e codifica la speciale causa di non punibilità per inoffensività del fatto. Quindi, il colpevole ha commesso un fatto che rientrerebbe nella norma incriminatrice, ma visto che è di particolare tenuità, allora l'imputato viene prosciolto. La persona offesa, quindi, non potrà ottenere il risarcimento dei danni nel processo penale, ma potrà chiedere il risarcimento solo con una causa civile. Peraltro se il fatto è tenue, molto probabilmente la persona offesa non impegnerà energie e soldi per una causa civile. Le modifiche al codice penale introdurranno un nuovo articolo 131-bis, che spiega le condizioni alle quali il colpevole non subirà alcuna punizione. Ecco perché si parla di depenalizzazione in concreto: perché il fatto rimane sulla carta un reato, ma in concreto la sua illiceità viene neutralizzata. L'istituto in sé non è una novità: è conosciuto e applicato nell'ordinamento minorile (art. 27, dpr 448/88) e in quello relativo alla competenza penale del giudice di pace (art. 34, dlgs 274/2000). Ora lo speciale beneficio (che consente di accorciare i processi) viene esteso a tutti, con riferimento ad alcune categorie di reato. Il futuro articolo 131-bis del codice penale, stando allo schema di decreto legislativo esclude la punibilità nei reati per i quali è prevista la pena della reclusione o della reclusione o dell'arresto domiciliari non superiore nel massimo a cinque anni, oppure la pena pecuniaria, sola o congiunta alle sanzioni detentive. Così per fare alcuni esempi rientrano nella nuova previsione le percosse e le lesioni personali semplici, l'omissione di soccorso, la diffamazione, la violenza privata e la minaccia, la violazione di domicilio, il danneggiamento e la truffa. La soglia di pena massima era già stabilita dal parlamento nella legge delega. Ma la particolare tenuità è individuata non solo in base al livello sanzionatorio della fattispecie incriminatrice. L'articolo 131-bis cp aggiunge altri requisiti. Per i reati che stanno sotto soglia la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. I presupposti sono quindi due: particolare tenuità dell'offesa e comportamento non abituale. Come spiega la relazione allo schema di decreto legislativo la particolare tenuità dell'offesa riguarda la "modalità della condotta" e l'esiguità del danno o del pericolo. Tra gli indici forniti non si trovano il grado e l'intensità della colpevolezza, che però possono essere considerati in relazione alle modalità della condotta. Sta di fatto che ai giudici è dato un rilevante potere discrezionale. Il secondo indice è costituito dalla non abitualità del comportamento. La relazione riferisce che il concetto di "non abitualità" del comportamento implichi che la presenza di un precedente giudiziario non sia di per sé sola ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in presenza ovviamente degli altri presupposti. L'"abitualità" si riscontra invece quando una persona commette reati in serie: la relazione cita l'esempio del caso di un furto seppure in sé minimo ma che risulti costituire un anello di una catena comportamentale. Tra l'altro, parlandosi di non abitualità del "comportamento" e non del "reato", rimane aperta la possibilità di applicazione dell'istituto anche al reato abituale, purché ovviamente esso presenti tutti i caratteri della particolare tenuità e, in particolare, la reiterazione della condotta non possa in concreto integrare una "modalità" della condotta particolarmente indicativa di gravità del reato. La persona offesa ha ben poca voce in capitolo: può solo essere sentita dal giudice prima che il giudice emetta una sentenza predibattimentale, ma non ha diritto di veto. Naturalmente se si va in udienza preliminare o in sede di dibattimento la persona offesa potrà interloquire nella pienezza del contraddittorio. Tuttavia è evidente che la depenalizzazione di fatto emarginerà la persona offesa, la cui presenza nelle fasi del procedimento potrebbe introdurre elementi ostativi a una rapida definizione del processo con la nuova formula di proscioglimento per non imputabilità a causa della particolare tenuità del fatto. La possibilità di far valere le proprie ragioni risarcitorie in sede civile potrebbe risultare una vuota tutela se si considerano costi e tempi della giustizi civile, che potrebbero disincentivare il danneggiato. Giustizia: custodia cautelare, una buona riforma… chissà se verrà applicata di Rinaldo Romanelli (Componente della Giunta Ucpi) Il Garantista, 6 dicembre 2014 Nella seduta del 4 dicembre è stato approvato alla Camera il disegno dì legge di riforma delle misure cautelari personali già licenziato in prima lettura e poi oggetto di alcune modifiche al Senato. E bene ricordare che quando si parla di misure cautelari personali ci si rapporta con istituti limitativi della libertà personale di un individuo che non è ancora stato giudicato in via definitiva per un determinato reato. Per l'applicabilità vi devono essere determinati presupposti e specifiche esigenze. I presupposti sono determinati dall'esistenza di gravi indizi dì colpevolezza, mentre le esigenze cautelari consistono, anche alternativamente, nel pericolo di: inquinamento probatorio, fuga o reiterazione del reato. Ciò premesso, sono da salutare con favore le ragioni che hanno ispirato la modifica tese a limitare il ricorso alla custodia cautelare in carcere alle sole ipotesi in cui ogni altra misura non sia in concreto idonea ad assolvere le esigenze di cautela. Sono stati rafforzati gli obblighi di motivazione con la precisazione che il pericolo di reiterazione del reato non deve solo essere concreto, ma anche attuale e la sussistenza delle esigenze cautelari non può essere desunta solo dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede. Devono essere esplicitate nella motivazione le ragioni per le quali ogni altra misura meno afflittiva non sia idonea a soddisfare le esigenze di cautela e il giudice non può limitarsi a richiamare le argomentazioni esposte nella richiesta formulata dal pm. Se applicata quando non è strettamente necessaria la carcerazione preventiva si risolve, infatti, in un'anticipazione di pena illegale, come autorevolmente affermato di recente anche dal Pontefice. Si tratta di un apprezzabile tentativo di riequilibrare il regime dello misure cautelari personali orientandolo al rispetto del principio costituzionale di non colpevolezza in ragione del quale non è tollerabile alcuna limitazione della libertà personale prima di una condanna definitiva, se non in casi di assoluta e comprovata necessità. Resta in ogni caso da verificare, quando il testo diverrà legge dopo l'approvazione del Senato, se la giurisprudenza ne farà un'applicazione rispettosa dei principi che lo ispirano, o assumerà una posizione conservatrice mantenendo l'attuale prassi applicativa che, sovente, anche in assenza di stringenti esigenze di cautela, fa ricorso a misure limitative della libertà personale ispirate alle finalità proprie della pena. La lettura del nuovo testo normativo fa sorgere, infatti, due interrogativi. apparentemente in contraddizione tra loro, ovvero: era effettivamente necessaria una modifica del regime della custodia cautelare? E una volta approvata, cambierà effettivamente qualcosa? Non si può tacere ed è opinione generalmente condivisa, che il complesso delle norme che attualmente disciplinano le misure cautelari siano già molto chiare nel loro contenuto e difficilmente equivocabili nelle loro finalità. Nessuno si sentirebbe di affermare che, in base al testo codicistico vigente, non esista già un principio di graduazione in ragione del quale la carcerazione preventiva sia prevista come extrema ratio, quando cioè ogni altra misura sia inidonea ad assolvere la cautela. Allo stesso modo, è stato più volte in varie forme chiarito dalla giurisprudenza della Suprema Corte come l'attualità del "pericolo" sia un attributo della sua concretezza. Un pericolo non "attuale" non è neppure "concreto" è, semmai, meramente eventuale, potenziale, teorico e dunque, non è sufficiente a consentire la limitazione della libertà personale. Lo stesso deve osservarsi in relazione alla previsione di nuova formulazione in ragione della quale le situazioni di concreto od attualo pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del fatto. Il principio è pacificamente acquisito dalla giurisprudenza di legittimità, in base alla quale la gravità del fatto è solo uno degli elementi da valutare, unitamente agli eventuali precedenti penali, alla personalità dell'indagato, allo stile di vita che conduce, alle modalità della condotta, alla tipologia del reato e ad ogni altra circostanza utile. E allora perché si sente l'esigenza di intervenire con una modifica normativa che positivizzi questi principi e soprattutto, perché più di un quarto della popolazione carceraria (18.748 su 54 mila circa) è costituta da detenuti in attesa dì giudizio? La risposta è nella prassi applicativa che è espressione di un certo orientamento culturale sposato da molti giudici di merito, secondo il quale nel nostro sistema l'effettività della pena è vista come una chimera perché quando il processo non è spazzato via dalla prescrizione, l'accesso alle misure alternative al carcere è concesso con troppa larghezza. In altri termini, molti giudici pensano che in carcere, alla fine, non ci vada a finire nessuno o quasi e comunque, per un periodo troppo breve. A ciò si aggiunga che il processo è visto come uno strumento di controllo sociale, piuttosto che come un momento di verifica della fondatezza della pretesa punitiva dello Stato. Ne consegue un'applicazione sistematica e quotidiana della custodia cautelare in carcere ben al di là del dovuto, in funzione di anticipazione di pena, prevalentemente in ragione della gravità del fatto contestato al recluso di turno ed in funzione dell'allarme sociale che esso desta. Questa prassi è resa possibile dall'ampio margine di discrezionalità che necessariamente la norma lascia all'interprete che la deve applicare ed al fatto che la Cassazione, pur enunciando i principi di diritto di sopra richiamati non è giudice di merito, ma solo di legittimità e laddove il provvedimento cautelare sia adeguatamente motivato, non può riformarlo sostituendo la propria valutazione del fatto a quella del giudice della cautela. Ed allora le modifiche normative (pur apprezzabili nel loro intento) forse non erano necessarie, perché le previsioni codicistiche sono già rispettose dei principi costituzionali ed è possibile che non determinino alcun effetto concreto nella prassi applicativa. Se la previsione sia corretta o meno lo vedremo nel prossimo futuro, certo è che il legislatore, una volta tanto, si muove nella direzione giusta (ne sono un indice anche l'introduzione dell'istituto della messa alla prova, l'irrilevanza del fatto, la pressione per la chiusura degli Opg, la volontà di riforma della responsabilità civile dei magistrati) speriamo che qualcuno lo segua. Caserta: garante dei detenuti subito! Provincia con un alto numero di problemi carcerari di Domenico Letizia (Segretario Associazione Radicale "Legalità e Trasparenza") Il Garantista, 6 dicembre 2014 In occasione della nuova proposta nonviolenta e di Satyagraha lanciata da Rita Bernardini, segretaria di Radicali Italiani e da Marco Pannella riteniamo indispensabile ritornare a focalizzare con forza l'attenzione sulla questione carceraria in provincia di Caserta. La provincia di Caserta vede la presenza di varie strutture penitenziarie: Santa Maria Capua Vetere, Arienzo, Carinola, senza dimenticare l'Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. In questi anni abbiamo svolto visite ispettive in tali strutture, evidenziandone le innumerevoli problematiche (nella struttura penitenziaria dì Santa Maria Capua Vetere continua a mancare l'acqua per molti mesi dell'anno e continua a registrarsi uno spaventoso sovraffollamento carcerario), raccogliendo le denunce dei parenti dei detenuti e ribadendo la proposta di "Amnistia per la Repubblica". Tali emergenze sono ancora allo stato attuale vive e concrete, continue violazioni dei diritti umani delle individualità che vivono la comunità penitenziaria. Chiediamo l'istituzione del Garante provinciale di Caserta delle persone detenute; tale istituzione è presente in molte Provincie d'Italia, e nella nostra proposta di diritto e legalità chiediamo l'aiuto del quotidiano "Cronache de Il Garantista". Ribadiamo, attraverso il Satyagraha, la necessità del diritto alla conoscenza attraverso la conoscibilità e il costante aggiornamento dei dati riguardanti le carceri e la conoscibilità dei dati riguardanti i procedimenti penali pendenti. Teniamo a ribadire che attraverso l'istituzione del Garante provinciale dei detenuti si potrà promuovere l'esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi provinciali per le persone private della libertà personale nella provincia di Caserta. Proporre e organizzare iniziative, momenti di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti umani delle persone private della libertà personale e dell'umanizzazione della pena detentiva, anche con iniziative congiunte o coordinate con i comuni della provincia casertana, particolarmente in quei comuni dove sono presenti strutture penitenziarie. Il Garante provinciale svolgerebbe il doveroso compito di segnalare alle autorità competenti il mancato o l'inadeguato rispetto dei diritti delle persone detenute, mediante un'assidua opera di informazione e una costante comunicazione sulla condizione dei luoghi di reclusione, in merito alle segnalazioni che giungano al proprio Ufficio, anche attraverso l'attivismo dì individualità o di associazioni, che riguardino violazioni di diritti, garanzie e prerogative delle persone private della libertà personale. Porrebbe sottoscrivere protocolli d'intesa con gli Istituti di pena e con gli uffici del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e di quella per la Giustizia minorile, per l'espletamento delle sue funzioni, anche attraverso visite nei luoghi del casertano predisposti alla detenzione. Non dimentichiamo la possibilità di eventuali collaborazioni con la Seconda Università di Napoli, nonché con il mondo del volontariato, dell'associazionismo e del privato sociale del casertano che opera nel campo penale e penitenziario o che si occupa dello stato delle persone private della libertà personale. Il nostro è un primo appello a tutte le personalità dell'associazionismo, del mondo accademico, della politica e dell'informazione che possa prendere a cuore tale richiesta, cercando di ribadire la necessità dello "stato di diritto contro la ragion di stato" a partire proprio dalla giustizia giusta. Nei prossimi giorni siamo pronti ad intraprendere scioperi della fame a staffetta per non far calare l'attenzione sulla nostra proposta nonviolenta. Lecce: detenuti parcheggiatori al "Vito Fazzi"? Il progetto rimandato a data da destinarsi www.leccenews24.it, 6 dicembre 2014 Solo qualche giorno fa, una puntata di Report aveva riacceso i riflettori sul tema delle carceri italiane, un argomento non facile da affrontare e che presenta mille sfumature diverse: dal sovraffollamento alle condizioni, spesso al limite, in cui sono costretti a vivere i detenuti, dalla carenza di attività rieducative, al numero di suicidi avvenuti dietro le sbarre. E solo per citarne alcuni. Nell'inchiesta della nota trasmissione di Rai3, dal titolo "Il Risarcimento" che ha fatto non poco discutere all'indomani dalla messa in onda, non tutti sono stati d'accordo con la provocazione lanciata nel servizio. Insomma, la proposta di far lavorare obbligatoriamente tutti i detenuti in salute, ad alcuni ha fatto storcere il naso, un po' per la rappresentazione fatta degli istituti di pena del Belpaese descritti come luoghi dove le persone rinchiuse vivono a spese della collettività, gravano sulle casse dello Stato, mangiano a sbafo e oziano tutto il giorno, un po' perché costringere i carcerati a svolgere un mestiere gratuitamente farebbe tornare indietro nel tempo a quando esistevano i lavori forzati. "Tutti i detenuti in salute dovrebbero essere obbligati a lavorare, perché nel lavoro c'è il loro recupero e anche quello delle spese giudiziarie, oltre a quelle per il mantenimento in carcere - spiega Milena Gabanelli - invece nella maggior parte delle carceri italiane i detenuti giocano a carte o guardano la televisione. E il 70% quando esce torna a delinquere". Senza entrare nel merito delle polemiche va detto che esiste realmente una legge secondo cui i condannati in via definitiva possono lavorare per saldare le spese processuali o risarcire le vittime dei loro reati. In teoria, però, dovrebbero essere retribuiti. C'è poi un'altra legge che permette di impiegare gratuitamente i detenuti in lavori di pubblica utilità, come la pulizia dei parchi, delle strade, dei muri, degli argini dei fiumi o del fango delle alluvioni. Insomma, sulla carta sarebbe possibile ma in pratica? Nel Salento qualcosa sembrava muoversi grazie ad un'intesa raggiunta e siglata tra il carcere di borgo San Nicola e la Asl di Lecce. La delibera dell'accordo del 27 ottobre, prevedeva, infatti, l'impiego di non più di 10 detenuti in piccoli lavori di manutenzione degli stalli di sosta e della segnaletica sia all'interno del parcheggio dell'Ospedale "Vito Fazzi", sia nel perimetro della Cittadella della Salute, il Poliambulatorio di piazza Bottazzi. Ai dirigenti della Casa circondariale era stato affidato il compito di selezionare i detenuti, mentre l'organizzazione del lavoro, dei relativi orari e la dotazione delle attrezzature necessarie era stata affidata alla Azienda sanitaria leccese. I 10 reclusi nel penitenziario alle porte del capoluogo barocco avrebbero così dovuto prestare servizio a titolo gratuito dalle 8.00 alle 13.00, esattamente dal 10 novembre, giorno in cui il progetto avrebbe dovuto prendere il via. Come fa notare l'associazione "Salute Salento" qualcosa nell'iter sembra non aver funzionato. Come si legge nella nota, nei giorni scorsi la direzione dell'Istituto penitenziario ha comunicato alla Asl che si sta procedendo all'individuazione dei soggetti idonei a partecipare al progetto ma, a quanto è dato sapere, la selezione dei detenuti "meritevoli" di rieducazione e reinserimento sociale, in attuazione dell'art. 27 della Costituzione, si è rivelata più difficile e complicata del previsto. Non solo, altrettante difficoltà si stanno incontrando nella destinazione dei "tutor" che dovranno controllare il comportamento dei "lavoratori", magari alle prese con gli automobilisti che lasciano la macchina in sosta, al fine di segnalare eventuali inadempienze o comportamenti scorretti. Torino: "Marte, cose buone da dentro", temporary store prodotti delle carceri piemontesi www.alinews.it, 6 dicembre 2014 Dai mobili da giardino di design alle eleganti borse, dalla bigiotteria all'oggettistica, dai biscotti al caffè, vino e birra - articoli che raccontano storie di un mondo difficile, il carcere, verso il quale permangono nell'opinione pubblica pregiudizi e distacco. Dopo il successo dello scorso anno che ha visto oltre duemila passaggi in meno di venti giorni, Marte, cose buone da dentro, il temporary store dei prodotti delle carceri piemontesi realizzato con il coordinamento e il sostegno economico della Compagnia di San Paolo, ha riaperto oggi in via delle Orfane 24D. Si chiama Marte, cose buone da dentro, perché spesso il carcere è percepito come un pianeta lontano abitato da un popolo oscuro, da dimenticare e punire per i suoi errori - invece, dare a queste persone un obiettivo professionale e di vita significa motivarli alla legalità anche in vista dell'uscita dal carcere. "È dal 2006 che la Compagnia è impegnata in ambito carcerario con obiettivi concreti e precisi, come favorire l'inserimento sociale e lavorativo dei detenuti, educarli alla legalità, migliorare la qualità della vita in carcere. L'iniziativa che presentiamo oggi è particolarmente meritoria perché realizza un modello di economia del carcere molto innovativo, aperto al mercato e orientato all'auto-sostenibilità economica, ha commentato Luca Remmert, Presidente della Compagnia di San Paolo, non solo permette di far conoscere ed apprezzare prodotti del carcere normalmente disponibili in commercio, di cui alcuni esportati nel mondo, ma contribuisce a risvegliare la sensibilità dell'opinione pubblica verso un mondo, quello del carcere, che troppo spesso emerge solo per eventi drammatici". I prodotti sono in vendita a prezzi di mercato: provengono infatti dall'"industria del carcere", dove competenza, efficienza e spirito creativo si coniugano con una forte motivazione personale verso nuovi obiettivi di vita. Il ricavato dalle vendite dei prodotti servirà a potenziare progetti verso l'autonomia e il recupero dei detenuti. L'allestimento del negozio è stato coordinato e curato dall'Associazione La Casa di Pinocchio, con una scelta degli arredi ha privilegiato il second hand. L'Officina del Riuso di Torino ha fornito tutti gli arredi e i complementi di Marte. Il temporary store (aperto fino al 24 dicembre) è il risultato del lavoro congiunto di dodici cooperative e associazioni impegnate negli istituti di pena del Piemonte. L'emporio è nato su impulso del Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria per il Piemonte e la Valle D'Aosta, con il contributo progettuale ed economico della Compagnia di San Paolo, il cui lavoro per il miglioramento della situazione negli Istituti penitenziari data fin dal 2006 con un impegno di oltre 16 milioni di euro. Progetto Libero, le linee guida della Compagnia di San Paolo in ambito carcerario, sostiene progetti di lavoro, formazione, ristrutturazione edilizia, mediazione culturale, attività per il tempo libero per il recupero e il miglioramento della qualità di vita dei detenuti. Inoltre, mercoledì 25 e giovedì 26 febbraio prossimi la Compagnia di San Paolo organizza a Torino il convegno nazionale "Guardiamoci dentro" con l'obiettivo di evidenziare il lavoro attento, paziente e costante svolto da direttori, educatori, operatori di Polizia penitenziaria, cooperative sociali, associazioni, volontari, ecc. per offrire alle persone recluse una detenzione rispettosa della dignità e occasioni concrete di reinserimento sociale nel solco del dettato della Costituzione italiana. Gorizia: aperta solo una sezione su quattro e lo spazio per "l'ora d'aria" è di pochi mq Messaggero Veneto, 6 dicembre 2014 Nonostante siano stati spesi 800mila euro per la ristrutturazione, nella Casa Circondariale di Gorizia rimane aperto solo un braccio su quattro e lo spazio per l'ora d'aria è di pochi metri quadrati". "Durante questo anno di battaglie politiche per il ripristino dello stato di diritto - afferma Michele Migliori, segretario dei Radicali goriziani - abbiamo visitato tutte le carceri della regione, dove la situazione di criminalità ed illegalità dello stato è presente quanto in tutto il resto del paese. A Gorizia, nonostante siano stati spesi 800mila euro per la ristrutturazione, rimane aperto solo un braccio su quattro e lo spazio per l'ora d'aria è di pochi metri quadrati". Con la visita alla casa circondariale di Udine, effettuata assieme alla segretaria nazionale di Radicali Italiani Rita Bernardini, i Radicali di Gorizia terminano le visite negli istituti penitenziari per l'anno 2014. "La nostra battaglia sulla giustizia - continua Migliori - va anche oltre le carceri. Una giustizia giusta significa maggior sicurezza, maggior rispetto dei diritti, sia in ambito penale che civile. Una giusta giustizia significa anche maggiori investimenti. Dalla mezzanotte di ieri sono in sciopero della fame assieme ai membri dell'Associazione Radicale "Trasparenza è partecipazione" e a Don Alberto De Nadai, garante dei diritti dei detenuti e padre della Comunità Arcobaleno. Milano: continua lo sportello gratuito per i detenuti offerto dall'ordine degli avvocati www.milanotoday.it, 6 dicembre 2014 Continuano ad essere operativi gli sportelli di orientamento legale presso le carceri milanesi, frutto di un accordo siglato tra l'ordine degli avvocati di Milano e il provveditorato per l'amministrazione penitenziaria, il tribunale di sorveglianza e la camera penale. Lo sportello - gratuito - è operativo dal 24 novembre a San Vittore, dal 27 novembre a Opera e dal 28 novembre a Bollate. Lo sportello è pensato sia come punto informativo sia come centro di educazione alla giustizia, nell'ottica del principio della rieducazione del condannato. Ai detenuti vengono fornite indicazioni sugli adempimenti per avviare una causa, ma anche informazioni sugli strumenti alternativi ai processi. E poi informazioni sul patrocinio gratuito e sull'accesso ai servizi del giudice di pace. E ancora informazioni di altro genere e istruzioni sulle modalità operative e pratiche per farsi assistere da specialisti. Viterbo: Ufficio giustizia riparativa; premiati vincitori Concorso "Un logo per medi@re" Da Ufficio stampa Provincia di Viterbo Ristretti Orizzonti, 6 dicembre 2014 La tavola rotonda sulla giustizia riparativa e mediazione penale che si è svolta martedì scorso a palazzo Gentili, è stata la giusta occasione per premiare i vincitori del concorso per le scuole "Un logo per medi@re". Agli studenti delle quinte classi del Liceo artistico Orioli, Istituto tecnico Paolo Savi e Istituto magistrale Santa Rosa che hanno partecipato al progetto, era stato, infatti, affidato il compito di dare vita a un logo per l'Ufficio di giustizia riparativa della Provincia di Viterbo. "Il coinvolgimento attivo delle scuole - afferma l'assessore provinciale alle Politiche sociali, Andrea Danti - credo possa essere considerato il punto cardine di questo importante progetto. La Provincia ha da sempre creduto nell'Ufficio di Giustizia riparativa per la sua importanza, ma anche per la capacità che ha di sensibilizzare i cittadini. E chi, se non un giovane, rappresenta il destinatario migliore di questo importante lavoro? Inoltre, i partecipanti, oltre ad aver fatto un percorso teorico importante, hanno potuto mettere in mostra tutte le proprie capacità e la propria creatività. Qualità che si sono, poi, concretizzate nella nascita di un logo che d'ora in poi rappresenterà, e farà riconoscere a tutti, l'Ufficio di giustizia riparativa della Provincia di Viterbo. Voglio ringraziare la curatrice del corso Viola Buzzi e tutti i collaboratori del progetto; inoltre un sentito grazie va a presidi, professori e alunni delle scuole che hanno partecipato con grande entusiasmo e interesse". La vittoria del concorso è andata a Dario Trifelli del Liceo artistico Orioli; secondo posto per il duo Cristian Calabrò e Andrea Ranieri dell'Istituto magistrale Santa Rosa; terzo classificato l'Istituto tecnico Paolo Savi con Elisa Satriani. "I nove incontri promossi nelle tre scuole - spiega la curatrice del concorso, Viola Buzzi - hanno avuto un duplice obiettivo: in primis stimolare la creazione di un logo-marchio originale per l'Ufficio; oltre a quello di sensibilizzare il servizio e i temi che affronta, che poi sono quelli della giustizia riparativa e della mediazione. Un percorso che ha promosso il lavoro di gruppo attraverso linguaggi scientifici e artistici sia nel suo sviluppo in classe che nella stesura. Ora il nuovo traguardo fissato e quello di riuscire a raccogliere i risultati raggiunti in un e-book, un video, materiale fortemente divulgativo per questa eccellenza, una pratica innovativa e virtuosa, da poco presente sul territorio". Pescara: "Un ponte di note", e "Il mondo a quadretti"… i detenuti protagonisti del Natale www.giornaledimontesilvano.com, 6 dicembre 2014 "Un ponte di note", per abbattere le barriere del carcere e "Il mondo a quadretti", la mostra degli scatti realizzati dai detenuti del carcere di Pescara nell'ambito del corso di fotografia tenutosi all'interno della Casa circondariale. iniziative fortemente volute dall'Amministrazione Alessandrini. La mostra, allestita presso la Sala D'Annunzio dell'Aurum di Pescara, verrà inaugurata il 7 dicembre alle ore 19.00 e sarà visitabile dal 7 al 10 dicembre 2014. Il corso è stato promosso dal Garante per i Diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Pescara, Fabio Nieddu, unitamente al fotografo di Pescara Stefano lista e con la collaborazione del gruppo carcere della Croce Rossa Italiana. Domenica 7 dicembre 2014, alle ore 21.00, presso la Sala D'Annunzio dell'Aurum di Pescara, si terrà la serata-evento dal titolo "Il mostro ha paura". L'iniziativa è patrocinata dalla Presidenza del Consiglio della Regione Abruzzo e dalla Presidenza del Consiglio comunale di Pescara e cofinanziata dai Lions Club di Montesilvano. Sempre questa mattina è stata presentata l'iniziativa "Un ponte di note", che nasce per unire culture e nazionalità diverse, annullare le differenze sociali e abbattere persino le barriere del carcere. Una finalità contenuta in un progetto speciale, "La Città in Coro", promosso dall'Associazione Scuola cantora con la compartecipazione del Comune di Pescara e finanziata dalla Regione Abruzzo, che coinvolge i bambini delle classi quarte e quinte della scuola primaria dell'Istituto comprensivo 1 di Pescara, il coro della Scuola cantora e quello dei detenuti della casa Circondariale di Pescara. Alla conferenza hanno partecipato il sindaco Marco Alessandrini, l'assessore alle Politiche Sociali Giuliano Diodati, il maestro Andrea Zappone, motore del progetto, la direttrice dell'Istituto Maria Luisa Sasso. Tre voci diverse, unite in un'unica e imponente formazione di 200 elementi che si esibirà in un particolare Concerto di Natale dal palco dell'Auditorium Flaiano mercoledì 10 dicembre alle ore 21, diretta dal Maestro Andrea Zappone, motore di progetto ed evento. Ingresso libero. "Questo progetto è l'ennesima testimonianza di vivacità associativa - così il sindaco Marco Alessandrini - la migliore risposta alle tentazioni dell'individualismo. Sociale, cultura, arte, sono mondi non più paralleli, ma uniti dall'intento di aiutare la comunità ad affrontare i tempi che corrono, anche quando sono difficili e bui. Questo progetto è speciale perché riesce a intrattenere e a educare all'accoglienza". "Assisteremo all'atto terminale di un progetto nato l'anno scorso ma destinato ad andare lontano - aggiunge l'assessore alle Politiche Sociali Giuliano Diodati. È un progetto di inclusione sociale, che ha coinvolto anche l'Istituto Circondariale di Pescara. Nato incontro dopo incontro fra mondi diversi, a cui hanno partecipato i bambini dell'Istituto comprensivo di Pescara 1, che culminerà con un coro unico di bambini, detenuti e le voci che alimentano l'associazione che è un'esperienza speciale per tutti e un'occasione che dei soggetti così sensibili non avrebbero altrimenti avuto". "Un'esperienza bella e già vissuta, per questo lieti di riproporla - spiega la professoressa Maria Luisa Sasso - i bambini si sono sentiti monto coinvolti, sono ragazzi che vivono in un ambiente difficile, che ha svantaggi sociali rispetto ad altri ambienti della città, una posizione che consente a piccoli e famiglie di apprezzare che c'è qualcosa che viene fatto per loro. E questa magia diventa la musica che ascolteremo insieme alla città". "25 anni fa nacque musica in concerto - conclude il maestro Andrea Zappone - la musica divenne un "pretesto" per insegnare ai bambini ad avere la testa sulle spalle. Un gruppo di genitori alcuni anni fa ha deciso di fare volontariato per i bimbi delle elementari. Sono diventati un coro che non ha fatto mancare la propria voce quando crollò la scuola di San Giuliano di Puglia, né a l'Aquila per il terremoto e mercoledì, ancora una volta con i bambini di via Sacco, Fontanelle e di via Salara, insieme ai detenuti che hanno aggiunto altro valore all'evento". Il progetto è speciale, perché ricade nel Programma Attuativo Regionale a sostegno di "Politiche per la coesione sociale", che hanno l'inclusione e la vivibilità come importanti basi di riferimento. L'Associazione Scuola cantora opera quotidianamente in questi ambiti, avvicinando alla musica migliaia di minori, fondendo le storie e il bagaglio sociale di ognuno affinché diventino voci di un coro capace di rappresentare tutti. Con "La città in coro" il Comune di Pescara, operando attraverso il Servizio Politiche Comunitarie, ha sposato la finalità dell'Associazione Scuola cantora guidata dal Maestro Andrea Zappone, affidando al progetto un'alta valenza sociale per gli ambiti che coinvolge, che vanno dal carcere ad aree urbane particolarmente sensibili. Il risultato è uno strumento per l'esplorazione artistica e la promozione dei talenti cittadini di straordinario effetto, anche attraverso nuove forme artistiche quali sono i "cori polifonici integrati", che diventano uno spazio unico per esprimere la propria creatività. Sono questi i mondi che mette insieme il coro dell'Associazione, formazione che da anni raggruppa amatori del canto a partire dai familiari dei bambini formati dal maestro Zappone e, per questo evento gli studenti dell'Istituto Comprensivo 1 e i detenuti della Casa Circondariale di Pescara. India: italiani detenuti; concluso appello Corte Suprema, sentenza nei primi mesi del 2015 Ansa, 6 dicembre 2014 La Corte Suprema indiana ha concluso ieri l'esame dell'appello presentato dalla difesa di Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, i due italiani condannati all'ergastolo con l'accusa di avere ucciso a Varanasi il compagno di viaggio Francesco Montis. Dopo l'intervento ieri della difesa e oggi dell'accusa, il giudici hanno chiuso il dibattimento e si sono riservati il giudizio. Secondo fonti legali, la sentenza sarebbe prevista nei primi mesi del 2015. Nella seduta, durata circa due ore, ha constatato l'Ansa, il Pubblico ministero ha ribadito la tesi che Montis è stato strangolato, probabilmente con un oggetto non determinato, dai suoi amici nella stanza dell'hotel all'alba del 4 febbraio 2010. A sostegno di questo ha riproposto ampi brani del referto dell'autopsia e della sentenza dell'Alta Corte che ha confermato la condanna all'ergastolo. I giudici della seconda sezione presieduta da Anil R.Dave hanno sollevato però diverse obiezioni riguardanti soprattutto la modalità e i tempi del decesso, e l'assenza di un certificato medico relativo all'arrivo di Montis nell'ospedale. Inoltre hanno formulato rilievi circa la mancanza di prove sui movimenti avvenuti nel percorso fra la camera e l'uscita dell'hotel nelle ore in cui sarebbe morto il giovane sardo. In particolare, non esiste un resoconto delle immagini riprese dalle telecamere fisse. Ieri l'avvocato difensore Haren Rawal aveva sostenuto che i due italiani sono stati condannati solo su prove circostanziali e non dirette. "La legge indiana - ha sottolineato nella sua arringa - dice che quando si tratta di prove circostanziali nessuna deve essere obiettabile". Inoltre il legale aveva aggiunto che le evidenze mediche non erano sufficienti a provare le tesi dell'accusa e che il movente del delitto passionale è basato su pregiudizi locali di comportamenti che in Occidente sono considerati normali. Dato anche che la Corte sarà chiusa per festività natalizie, dal 18 dicembre al 2 gennaio, la sentenza sarà presumibilmente pubblicata nei primi mesi del prossimo anno. Stati Uniti: per neri poco lavoro e il quintuplo di carcerati, l'integrazione rimasta un sogno di Paolo Mastrolilli La Stampa, 6 dicembre 2014 È quasi mezzanotte, uno pensa che sia arrivato il momento di andare a dormire. Dalla Seconda avenue, però, comincia a salire un rumore. Non sono i motori delle auto, ma voci. Un coro, sempre più forte, che grida: "I can't breathe", non posso respirare. Il traffico si blocca: qualcuno impreca, altri suonano i clacson, altri applaudono. Da qualche giorno, da qualche settimana, questa scena sta diventando abituale in mezza America. Giovedì sera si è ripetuta a New York, Washington, Boston, Chicago, Pittsburgh, Phoenix, dove è avvenuto l'ultimo omicidio di un nero disarmato da parte di un poliziotto bianco. La protesta ormai è un fenomeno nazionale, che nasce dagli episodi di violenza delle forze dell'ordine contro i neri, ma ormai raccoglie tutto il risentimento che esiste nella società americana per la discriminazione e le diseguaglianze razziali, economiche, sociali. Oltre duecento arresti giovedì sera a New York, dove i manifestanti hanno bloccato il traffico dal ponte di Brooklyn a Times Square. Nuove azioni di disobbedienza erano in programma ieri sera, con neri e bianchi a calpestare insieme l'asfalto. Quelli arrabbiati per il caso Garner, ma anche quelli che si sentono esclusi in un Paese dove l'economia si è ripresa, il mercato del lavoro a novembre ha creato 321.000 posti, ma troppe persone si considerano vittime della diseguaglianza. Pure il fronte conservatore ha iniziato a muoversi. L'ex Presidente Bush ha definito "difficile da capire il verdetto del Grand Jury", che ha scagionato l'agente Pantaleo dall'uccisione di Eric Graner. Commentatori della televisione Fox come Bill Ò Reilly e Charles Krauthammer dichiarano che "il poliziotto ha usato una forza ingiustificata, contro un uomo che non rappresentava una minaccia. Doveva quanto meno essere incriminato per omicidio colposo". Questi conservatori ammettono che il sistema giudiziario ha sbagliato, ma non attribuiscono l'errore al pregiudizio razziale, perché le statistiche dimostrano che ci sono almeno altrettanti casi di bianchi uccisi per errore da agenti neri. Stranamente hanno ricevuto un appoggio proprio dai famigliari di Graner. "Non credo - ha detto sua figlia Erica alla Cnn - che la razza abbia avuto un ruolo nella sua morte. Penso piuttosto che sia stato l'ego del poliziotto a ucciderlo: mio padre era grande, e lui voleva fare l'eroe, dimostrando che poteva abbatterlo". Anche la madre di Graner, Gwenn Carr, ha dato ragione alla nipote: "Non è stato il razzismo a ucciderlo, ma la violenza di poliziotti impreparati e convinti di poter fare quello che vogliono". Gli esperti di diritti umani dell'Onu, ieri, hanno espresso "legittima preoccupazione" per la mancata incriminazione da parte del Grand Jury dei poliziotti. E proprio i poliziotti nel frattempo se la sono presa con il sindaco de Blasio, perché li ha offesi parlando di come ha addestrato il figlio mulatto, Dante, a evitare gli incontri pericolosi con le forze dell'ordine. Pat Lynch, presidente della Patrolmen's Benevolent Association, ha detto che gli agenti "si sono sentiti buttati sotto un Treno dai commenti del sindaco". Una partita molto delicata per De Blasio, che deve rispondere alla domanda di giustizia che viene dai suoi elettori, ma nello stesso tempo non può perdere le forze dell'ordine di cui ha bisogno per evitare una nuova esplosione di criminalità a New York. Anche ieri sera, all'imbrunire, i manifestanti sono tornati a marciare sulla zona downtown di Manhattan. E sul resto dell'America, che spera di essere arrivata ad un momento di svolta. Medio Oriente: a 6 anni alla sbarra come terrorista, paga per l'attentato compiuto dal padre di Michele Giorgio Il Manifesto, 6 dicembre 2014 Tre bambini palestinesi pagano per l'attentato compiuto dal padre contro i quattro rabbini. Le autorità israeliane fanno pagare a tre bambini palestinesi di sei, quattro e due anni l'attentato compiuto dal padre, Ghassan Abu Jamal, assieme al cugino Oday, lo scorso 18 novembre nella sinagoga di Har Nof, in cui sono stati uccisi quattro religiosi ebrei e un agente di polizia. Un attacco sanguinoso, compiuto a colpi di ascia oltre che di pistola, ma con il quale i tre bimbi non c'entrano nulla. Nati e cresciuti a Gerusalemme, i figli di Ghassan Abu Jamal, non hanno più l'assicurazione sanitaria, revocata dall'Istituto nazionale delle Assicurazioni nel quadro delle misure repressive decise dal governo Netanyahu per mettere fine all'"Intifada di Gerusalemme". I bambini seguiranno in Cisgiordania la madre, Nadia, alla quale è stata tolta la residenza a Gerusalemme e che sarà espulsa dalla città nel giro di qualche giorno, con ogni probabilità quando i bulldozer demoliranno la sua abitazione nel sobborgo di Jabal al Mukhaber, un'altra punizione collettiva decisa dal governo. Nadia rifiuta di riceverci, non parla ai giornalisti. I parenti spiegano che la donna prova a rendersi invisibile, perché spera ancora nel ricorso che il centro israeliano per i diritti umani Hamoked ha presentato all'Alta Corte di Giustizia contro l'espulsione da Gerusalemme. "Stanno punendo i bambini per le azioni del padre. È una vendetta, senza alcuna base giuridica", ha commentato il direttore esecutivo di Hamoked, Dalia Kerstein. Sono minime però le possibilità che i giudici possano andare contro le decisioni prese dal governo, punitive verso i familiari di coloro che commettono atti di violenza, per scoraggiare i palestinesi di Gerusalemme non solo dal compiere attacchi ma anche dal protestare nelle strade contro l'occupazione israeliana della zona araba e i blitz dell'ultradestra israeliana sulla Spianata delle Moschee. Diversi palestinesi che non hanno commesso reati, in questo momento pagano per gli attentati compiuti da parenti. A Silwan, ad esempio, gli al Shaludi - padre, madre e cinque figli - cercano una casa da affittare. Fino a qualche settimana fa avevano una abitazione. È stata demolita il 19 novembre come punizione collettiva per l'uccisione da parte di Abdel Rahman al Shaludi di una bimba ebrea, Chaya Zissel Braun, di tre mesi, e di Karen Mosquera una studentessa sudamericana. Abdel Rahman si sarebbe lanciato volontariamente contro una fermata del tram. Non ha mai potuto dare la sua versione dell'accaduto perché dopo il presunto attacco è stato ucciso dalla polizia. Espulsioni, revoca dell'assicurazione sanitaria e della residenza a Gerusalemme, demolizioni punitive di case non sono pratiche nuove. Durante la seconda Intifada, tra il 2001 e il 2005, riferisce il gruppo per i diritti umani B'Tselem, le autorità israeliane hanno demolito 664 edifici palestinesi, per punire chi partecipava alla rivolta. Queste "regole di deterrenza" come le ha spiegate il portavoce della polizia Micky Rosenfeld, tornano ad essere impiegate. E con ogni probabilità saranno portate avanti anche nei prossimi mesi, come parte della campagna elettorale del Likud e degli altri partiti di destra per le elezioni legislative del 17 marzo, che punterà soprattutto sulla "sicurezza" e il "contenimento" dei palestinesi. Se l'ultimo outsider in ordine di tempo della politica israeliana Moshe Kahlon, esponente della destra ma avversario di Benyamin Netanyahu, cercherà con una sua lista di catturare il voto degli israeliani che protestano contro l'alto costo della vita e i bassi salari, il premier durante la campagna elettorale batterà sul tamburo di guerra. "Netanyahu ama presentarsi come il garante della sicurezza del Paese - spiega l'analista Lior Lehrs, del Centro studi strategici "Mitvim" - e farà di tutto per utilizzare a proprio vantaggio questo aspetto. Certo avranno un peso anche i temi economici ma la sicurezza resta il punto centrale per molti israeliani che, negli ultimi anni, si sono spostati ancora di più a destra". Il pugno di ferro contro i palestinesi è la via con la quale Netanyahu conta di arrivare a un nuovo mandato. Assieme, naturalmente, all'espansione delle colonie israeliane in Cisgiordania e Gerusalemme Est, altro tema che sta a cuore all'elettorato di destra. E il premier non esiterà a sfidare Europa e Stati uniti che hanno criticato a più riprese le nuove costruzioni israeliane nei Territori occupati. Appena due giorni fa le autorità israeliane hanno comunicato che spenderanno altri 50 milioni di shekel (12,5 milioni di dollari) per finanziare la costruzione di parchi giochi per bambini, di spazi verdi e la nuova illuminazione stradale nella colonia di Har Homa, tra Gerusalemme e Betlemme. Colonia che viene indicata dagli esperti come uno dei maggior ostacoli alla restituzione di Gerusalemme Est ai palestinesi nel quadro di un eventuale accordo tra Olp e Israele. Gran Bretagna: Corte suprema accoglie ricorso, i detenuti possono di nuovo ricevere libri Ansa, 6 dicembre 2014 La corte suprema britannica ha dichiarato illegittima la legge che vietava l'invio di libri ai carcerati in Inghilterra e in Galles. Dopo un'azione legale avviata da Barbara Gordon-Jones, che sta scontando l'ergastolo in un carcere della contea di Surrey, un giudice della Corte suprema inglese ha dichiarato che non ci sono buone ragioni per restringere l'accesso ai libri ai detenuti. Il bando era stato introdotto nel novembre del 2013 per limitare le possibilità di far entrare droga dentro le carceri, ma i detenuti avevano protestato affermando che i libri aiutano il percorso di riabilitazione. Ai prigionieri era comunque garantito l'uso delle biblioteche penitenziarie, che spesso però non hanno cataloghi aggiornati e il cui accesso non è sempre garantito a causa della mancanza di personale. Costa d'Avorio: detenuti in sciopero fame, protestano per lunga carcerazione senza processo Reuters, 6 dicembre 2014 Alcune centinaia di detenuti hanno cominciato uno sciopero della fame in più carceri della Costa d'Avorio per protestare contro la durata della loro reclusione, che in molti casi va avanti dagli scontri avvenuti dopo le elezioni del 2010 e in molti casi senza la celebrazione di un processo. Lo sciopero, attualmente in corso, è cominciato il 1 dicembre con 500 detenuti, mentre ora il numero sarebbe sceso a circa 200. "La ragione fondamentale dello sciopero, a parte la durata della detenzione, è la nostra salute che peggiora e la lontananza dalle nostre famiglie", ha detto un detenuto della prigione Maca, nella città di Abidjian, nel sud del paese.