Sesso e affetti in carcere: ne vogliamo parlare? di Sergio Lo Giudice (Senatore Pd, insegnante, attivista per i diritti Lgbt) www.huffingtonpost.it, 4 dicembre 2014 Chi pensa al carcere pensa alla privazione della libertà personale. Ma troppo spesso il carcere è anche negazione di umanità. È certamente privazione di affettività, lacerazione di relazioni familiari, crudele negazione di un abbraccio o di una carezza, innaturale rimozione della sessualità di corpi giovani e meno giovani, ma sempre sottoposti ad astinenze sessuali forzate per lunghi anni, spesso decenni, a volte per sempre. Privazione, in fin dei conti, della possibilità di vivere la reclusione in uno stato, se non di un'improbabile serenità, almeno di equilibrio psicofisico tollerabile. Figli, coniugi e conviventi a loro volta pagano sulla loro pelle la pena che i loro congiunti ristretti si trovano a scontare: è violato così lo stesso articolo 27 della Costituzione che recita che la responsabilità penale è personale. Bambini che incontrano i genitori nelle fredde stanze dei colloqui dopo lunghe file d'attesa che iniziano di primo mattino; intere famiglie costrette ad inseguire i trasferimenti da una città all'altra per un rapido incontro in presenza di estranei, genitori anziani spesso lontani dal luogo di detenzione condannati - anche loro - a qualche sporadica telefonata avidamente cronometrata. Dieci minuti alla settimana, tanto può durare al massimo una chiamata: una limitazione assurda e priva di logica alla possibilità di mantenere quel legame con i propri affetti che sarebbe lo strumento migliore per un ripensamento reale sui propri errori. C'è chi, dietro le sbarre, ha perso tutto tranne la speranza di rivedere quei figli che intanto si sono laureati, chi a casa ha una sorella o un fratello con cui condividere il dolore per una madre o un padre che é venuto a mancare, o un compagno o una compagna da abbracciare, accarezzare, baciare. Il primo dicembre ho partecipato al convegno "Per qualche metro e un po' di amore in più" organizzato da Ristretti Orizzonti nella casa di reclusione di Padova. Per la prima volta ho sentito la viva voce di figlie e figli dei reclusi raccontare il loro dramma e rinnovare il ricordo di quei bambini costretti in dieci minuti di telefonata da condividere con tutta la famiglia o in incontri frettolosi dietro a un vetro. E poi c'è il dramma di una sessualità estirpata, di atti rubati di autoerotismo illegale (in carcere sono atti osceni in luogo pubblico) di un'omosessualità oltraggiata dall'essere spesso oggetto di costrizione, di un tasso di contagi da Hiv superiore che fuori dalle mura, perché anche un preservativo in carcere è illegale, di giovani donne e giovani uomini che, fuori, sono a loro volta condannati a un'astinenza che spesso produce la rottura dei rapporti familiari. Della tragedia aggiuntiva di chi finisce la pena e si ritrova completamente solo. Il convegno ha prodotto il documento "Facciamo entrare l'affetto in carcere", una serie di proposte concrete per una detenzione più umana: dalla liberalizzazione delle telefonate all'aumento dei giorni di permesso premio, dai colloqui con la famiglia senza il controllo visivo alla maggior frequenza degli incontri ordinari. Pochi mesi fa ho depositato in Senato con una ventina di colleghi un disegno di legge sulle relazioni affettive e familiari dei detenuti, una proposta già depositata nella scorsa legislatura dalla deputata radicale Rita Bernardini, che va in questa direzione. Un incontro al mese di tre ore con il proprio coniuge o partner senza controllo visivo in locali adeguati ad ospitarli, il diritto a trascorrere mezza giornata con i propri cari in apposite aree, qualche giorno di permesso in più da trascorrere a casa con i propri affetti. Piccole proposte di civiltà che tolgano ai detenuti la pena accessoria, inutile e socialmente dannosa, della negazione del cuore e del corpo. Giustizia: la versione soft dei lavori forzati, per quella certa sinistra che ama il carcere di Mario Di Vito (conduttore di Radio Città Aperta) Il Garantista, 4 dicembre 2014 La puntata di "Report" andata in onda domenica sera su Rai Tre fondata su dati sbagliati e su un'idea ormai diffusa: il reo non va riabilitato, ma sfruttato. Accendi la televisione, ti dicono che il sistema carcerario italiano costa circa 2,8 miliardi di euro ogni anno, e che quindi ogni detenuto pesa sulle nostre tasche per circa 4.000 euro al mese. Questo il passaggio che più ha fatto scalpore della puntata di Report andata in onda domenica scorsa su Rai Tre, in prima serata. Messa giù così, i risultati possono essere solo due, e molto simili tra loro: da una parte si pensa che, come al solito, lo Stato va sperperando cifre inverosimili invece di stringere la cinghia come stanno facendo un po' tutti, dall'altra parte si è portati a pensare che ancora lo Stato dia ricche prebende a ladri-stupratori-assassini-e-mafiosi. In fondo, comunque, tutto questo rientra nell'assurda normalità di questi ultimi tempi: il tono dell'italiano medio quando si parla di carcere e giustizia è sempre apocalittico, e la linea di pensiero (ahinoi, molto in voga pure a sinistra) è che, in Italia, ci sono troppo pochi arresti e siamo immersi in un regime d'impunità permanente nel nome del latrocinio e del buonismo generalizzato. Nell'immaginario comune, il carcerato è colui che vive senza fare niente nella stanza di un hotel a cinque stelle, con tre pasti al giorno, la televisione e il parquet lucido per terra. A questo punto, in epoca di populismo esasperato e demagogia a buonissimo mercato, arriva Report e rilancia: lavoro obbligatorio per i detenuti. Spunta anche il super magistrato Nicola Gratteri a pontificare che "i carcerati che rifiutano il lavoro, rifiutano lo Stato". Questo però vuol dire, allo stesso tempo, dare un'informazione sbagliata e un punto di vista disonesto sulla reale situazione delle patrie galere. L'informazione sbagliata riguarda il costo di ogni detenuto: nei 4.000 euro calcolati dalla trasmissione di Rai Tre vanno considerate anche le spese per il personale, la manutenzione, le uscite fisse. Nessuno ha mai fatto un discorso del genere sulle scuole o sugli ospedali: provate a fare il calcolo di quanto costano i malati di cancro, metteteci dentro il prezzo delle medicine che passa la mutua, gli interventi, gli stipendi dei chirurghi e dei primari. Seguendo questa linea di pensiero si può arrivare a sostenere che i malati di cancro siano una spesa sociale elevatissima e che quindi andrebbero eliminati. Spostate il modello di cui sopra sui carcerati e giungete alla conclusione: ammazzarli non si può - farebbe troppo "soluzione finale" - ma si possono sempre tirare fuori i cari vecchi lavori forzati come viatico per mettere a posto gli asfalti dissestati delle nostre città, abbattendo le spese della manodopera. L'inviata di Report è pure andata a sentire qualche funzionario pubblico, mettendolo alle strette perché non conosce la legge italiana sul lavoro volontario dei detenuti per lo opere di pubblica utilità. La verità però è che questa possibilità negata non va imputata agli enti pubblici, ma alla magistratura di sorveglianza che, dati alla mano, di permessi lavorativi ai detenuti ne concede con il contagocce. Fin qui le notizie sbagliate. Il punto di vista disonesto, invece, è nel ricatto morale alla base di tutto il discorso; se voi foste un imprenditore in crisi di liquidità o un comune strozzato dal Patto di stabilità, per fare un lavoro chi scegliereste, un lavoratore che poi va pagato o un carcerato che fa tutto gratis? La domanda, va da se, è da respingere come ennesimo tentativo di mettere gli ultimi contro i penultimi, sport parecchio in voga negli ultimi anni. Asso nella manica fondamentale per evitare i temi davvero importanti e focalizzare l'attenzione su particolari di sicuro effetto emotivo, ma, a conti fatti, irrilevanti. Se provi a spiegare che le carceri italiane versano in condizioni "disumane e degradanti" ti rispondono che, con lo crisi economica, anche chi sta fuori dalle sbarre non se la passa bene e l'argomento ha scarsa presa su un'opinione pubblica sempre più cinica e individualista. Vuoi mettere se insinui il dubbio che ì carcerati sono dei nullafacenti che costano 4.000 euro al mese, lo share è assicurato. Infine c'è un piano teorico: dall'Illuminismo in poi è prevalsa la tesi che la pena dovrebbe servire a riabilitare il reo; dovrebbe provare ad avere un senso cioè e non essere soltanto un modo facile per separare i buoni dai cattivi. Il lavoro gratuito, che a questo punto non sarebbe volontario ma obbligatorio, diventa così una grave violazione dei diritti, oltre che una pesante dose di concorrenza sleale nel mondo del lavoro. Senza considerare che - pochi e mal sovvenzionati, ma non è colpa dei detenuti - dei percorsi di reinserimento professionale per i detenuti già esistono in diversi istituti italiani. Report però ha parlato. E gli italiani, soprattutto quelli di sinistra, hanno ascoltato: basta farsi un giro veloce su Facebook o su Twitter per comprendere in che misura l'idea dei lavori forzati sia tornata di moda. In maniera soft, però, che in qualche modo ci si dovrà pur distinguere dalla destra. Giustizia: Tamburino; sovraffollamento risolto. Il lavoro? retribuzioni detenuti troppo alte intervista di Gianni Barbacetto Il Fatto Quotidiano, 4 dicembre 2014 È rimasto per nove mesi in una terra di nessuno: né confermato, né sostituito al vertice del Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. La sua ibernazione è finita la sera del 1 dicembre, quando il Consiglio dei ministri del governo Renzi ha finalmente deciso il sostituto di Giovanni Tamburino, che dal febbraio 2012 ha diretto le carceri italiane. "Auguro buon lavoro al mio successore, Santi Consolo, un magistrato esperto in materia penitenziaria che sono convinto proseguirà ciò che abbiamo realizzato in questi due anni". Dottor Tamburino, avete dovuto fare i conti con l'affollamento delle carceri. Sì. La sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti dell'uomo, nel gennaio 2013, ci ha imposto di risolvere il sovraffollamento entro il 2014. Lo abbiamo fatto: nessun detenuto oggi ha meno di 3 metri quadrati di spazio. Lo abbiamo fatto perché uno Stato di diritto non può accettare una detenzione in condizioni degradanti. E perché altrimenti lo Stato avrebbe dovuto pagare risarcimenti milionari ai detenuti. Il problema è stato risolto facendoli uscire di cella… L'indulto del 2006 aveva ridotto la popolazione carceraria da 61 mila a 39 mila persone. Sono usciti in 22 mila. Una misura per nulla efficace: in un anno, ben 4 mila erano già rientrati in cella; e tre anni dopo, nel 2009, eravamo tornati al punto di partenza: superata di nuovo la soglia dei 61 mila, con un picco di 68 mila nel 2010. Da quell'anno comincia invece una lenta decrescita, fino a oggi: 54 mila, su 47-49 mila posti disponibili (l'oscillazione dipende dalle ristrutturazioni in corso). Che cosa ha determinato il calo, dopo il fallimento del mega-indulto? La legge Severino ha bloccato le cosiddette "porte girevoli", cioè gli ingressi in carcere per pochi giorni per migliaia di arrestati in flagranza di reato: ora restano nelle strutture di polizia fino al processo per direttissima. Poi la misura determinante è stata l'aumento della "liberazione anticipata", ossia lo sconto di pena di 75 giorni (prima erano 45) ogni sei mesi passati in carcere. Uno sconto che però non rafforza certo la certezza della pena… È una misura che può non piacere, lo capisco. Ma intanto non è indiscriminata e automatica, come un indulto, bensì decisa caso per caso dal magistrato di sorveglianza. È distribuita nel tempo, dunque le uscite sono più facilmente assorbibili dalla società. E poi era l'unica strada da percorrere in tempi rapidi per evitare le sanzioni della Corte europea. Si potrebbero costruire più carceri... Sì, lo si deve fare. Ma ci vogliono tempi più lunghi. Dal 2012 a oggi abbiamo ricavato 3 mila posti in più. Ho inaugurato sei nuovi istituti. E c'è in corso un piano per arrivare a creare 11 mila posti in più. Del resto, la nostra normativa ci penalizza in rapporto all'Europa. Perché? Perché gli standard europei prevedono 7 metri quadrati per un detenuto più 4 metri a testa per ogni persona in più in cella. In Italia gli standard sono più alti: impongono 9 metri più 5. Eppure ce l'abbiamo fatta: aumentando i posti e diminuendo i detenuti. All'Italia resta il record dei detenuti in attesa di giudizio? No. Questa è una distorsione statistica. Noi chiamiamo detenuti in attesa di giudizio tutti coloro che non hanno ancora ottenuto una sentenza definitiva in Cassazione: così sono il 29 per cento della popolazione carceraria, quasi uno su tre. Ma per comparare le cifre con i dati degli altri Paesi, dovremmo contare soltanto i detenuti in attesa di primo giudizio: in Italia sono il 15,9 per cento, non molto più che in Francia e in Germania e in linea con la media europea. Bilancio dei suoi due anni e tre mesi al Dap? Abbiamo risolto il problema dell'affollamento. Avviato la costruzione di nuove carceri. Trasformato le modalità della detenzione e avviato il processo di rinnovamento dell'amministrazione. Entro l'aprile 2015 chiuderemo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e gli internati saranno affidati a strutture sanitarie (Rems) e non penitenziarie. Avrei voluto fare di più, in particolare sul lavoro per i detenuti: non siamo favoriti dalla legge che impone retribuzioni troppo alte (almeno due terzi di quelle esterne). L'innovazione è necessaria ed esige la continuità con le trasformazioni avviate. Ma sono certo che il mio successore continuerà il lavoro. Giustizia: come "cambiare verso" al Dap di Riccardo Polidoro (responsabile Osservatorio carcere dell'Unione Camere penali) Il Garantista, 4 dicembre 2014 Il neo eletto Capo Dipartimento Santi Consolo dovrebbe partire da vere forme di occupazione e recupero dei detenuti e da un maggior peso del giudice di merito nei piani individuali. Dal 1983 il capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è sempre stato un magistrato. Non vi è alcun obbligo. Scelte giuste? Viste le condizioni in cui versano le nostre carceri si direbbe di no, come confermano anche i giudizi della Corte europea dei Diritti dell'uomo. Per valutare tale tipo di preferenza che ha caratterizzato le nomine, occorre conoscere quali sono i compiti del capo del Dap: sovrintende a circa 50mila lavoratori, a circa 80mila detenuti compresi quelli in misura alternativa, alla manutenzione di 205 istituti dì pena, alla costruzione di nuove carceri, deve avere rapporti con Enti Locali, associazioni di volontariato, sindacati. Un programma di lavoro che spaventerebbe il più esperto dei manager, ma che si ritiene possa essere affidato a persone che hanno tutt'altro curriculum, per quanto lo stesso possa essere colmo di successi giudiziari. Non è sfuggita a tale logica la nomina di Santi Consolo, magistrato, già vice-capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria dal 2010 al 2011. Una scelta, dunque, che almeno sulla carta non porta alcuna - pur a nostro avviso necessaria - novità. Formuliamo gli auguri per il nuovo incarico e attendiamo la svolta, che ovviamente dipenderà anche dai provvedimenti che in tema di Giustizia, il Parlamento e il Governo emaneranno. Consigliamo al neo-nominato, di vedere la trasmissione "Report" andata in onda domenica scorsa sullo stato delle nostre carceri. Programma che ha il merito di aver esplorato il tema economico strettamente legato alle problematiche relative alla detenzione. Un'impostazione nuova per un servizio televisivo, che ha messo in evidenza l'assoluta ignoranza di alcuni parlamentari, rappresentanti del Governo e di Enti locali sulla normativa vigente in materia. I "non saprei" e i "non è di mia competenza" sono state dichiarazioni allarmanti, se poste in relazione con il costo mensile di ogni detenuto - circa 4.000 euro - in un momento in cui il Paese è lacerato da una perdurante crisi economica. Va immediatamente chiarito che i 4.000 euro corrispondono alla cifra spesa per l'organizzazione di quel settore del ministero della Giustizia che è rappresentato dall'Amministrazione penitenziaria. Di tale somma, per il detenuto sono spesi 100 euro al mese per pranzo, colazione e cena (3,50 euro al giorno) e circa 24 centesimi al mese per il trattamento della personalità ed assistenza psicologica (0,8 centesimi al giorno). Il resto, circa 3.900 euro al mese, è speso por il personale (80%), per la manutenzione delle strutture (4%), per il loro funzionamento (3%), per il corredo, le cure sanitarie, l'istruzione del detenuto (13%). Che tali voci di spesa siano precise o meno non importa, quello che è certo è che la gestione dell'Amministrazione penitenziaria rappresenta una vera e propria catastrofe economica, laddove vi è una spesa enorme che non garantisce un risultato conforme alla legge. Il Governo, poi, per evitare ulteriori condanne e sanzioni, è stato costretto a emanare un provvedimento che prevede il risarcimento di 8 euro al giorno, per i detenuti che sono stati ristretti subendo un trattamento disumano e degradante. È dalle macerie di questo disastro che il nuovo capo del Dipartimento dovrà partire se vorrà effettivamente "cambiare verso". Le Camere penali e le Associazioni sono più volte intervenute per sollecitare una maggiore attenzione per il lavoro in carcere e all'esterno, per le misure alternative alla detenzione, per l'aumento delle risorse destinate al trattamento, al personale specializzato, ma soprattutto per una nuova visione del carcere che può autogestirsi, con la stessa forza lavoro che è all'interno della struttura. È questa la svolta che si attende. In questi ultimi anni, invece, le risorse sono diminuite in percentuali rilevanti, che hanno soprattutto interessato servizi e beni destinati ai detenuti, lasciando gli stessi in balia dell'ozio totale, senza alcun progetto rieducativo e lavorativo, che possa avviare quel processo di reinserimento nella società. Il ministro della Giustizia ha recentemente dichiarato che "sul carcere paghiamo molti ritardi", che "è una grande sfida culturale che è ancora assediata da numerosi nemici", che bisogna andare "controcorrente rispetto a campagne demagogiche e populiste che fanno leva sulla paura" (Ansa, 27 novembre 2014): non possiamo che essere d'accordo, ma tutto ciò presuppone una nuova idea di carcere, visto come estrema ratio, un diverso modello di pena, che possa effettivamente rispettare la sua funzione rieducativa, e soprattutto un sistema processuale più efficace e snello. Ad esempio, perché non dare la possibilità al Giudice di Merito (colui che meglio conosce i fatti relativi alla condanna e lo stesso autore del reato) d'infliggere una misura alternativa, di prevedere un totale di ore da dedicare a servizi sociali o a lavori socialmente utili? Lasciare tale compito al solo Magistrato di Sorveglianza (che non conosce il processo, ma decide sulla scorta di veline inviate dalla Polizia) è del tutto fuori da ogni logica e provoca un inutile sovraccarico di lavoro, che tra l'altro sconta ritardi enormi che spesso rendono inutile lo stesso provvedimento. Saprà il Ministro portare avanti la più volte invocata "sfida culturale"? Il neo nominato capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è pronto ad affrontare questa battaglia tanto giusta, quanto impopolare? Vedremo. Lo Camere penali faranno la loro parte. Giustizia: liberazione anticipata "speciale" ai condannati per criminalità organizzata di Angelo Terragno (Avvocato Foro di Lecce) www.laleggepertutti.it, 4 dicembre 2014 La misura può essere concessa anche ai detenuti per reati gravi: non basta l'invio di un'informativa contraria della direzione distrettuale antimafia. I detenuti che rispondono positivamente al trattamento penitenziario hanno diritto alla riduzione della pena, anche quando sono reclusi per associazione a delinquere. La liberazione anticipata può essere loro negata solo in presenza di un "collegamento attuale" con realtà criminali che deve essere provato. È prevista una riduzione di 45 giorni sul residuo della pena da scontare, per ogni semestre di detenzione in cui il richiedente abbia tenuto una condotta ritenuta idonea alla concessione della misura, indipendentemente dal reato per cui è recluso. Il Governo ha introdotto nel corso del 2013 una forma speciale di liberazione anticipata, come provvedimento straordinario per rispondere all'emergenza del sovraffollamento carcerario. Coloro i quali si trovano reclusi a partire dal 2010 possono ottenere una riduzione di pena maggiore di 30 giorni rispetto a quella ordinaria. Sarà concedibile fino al 31 dicembre 2015. L'opera di rieducazione consiste in una serie di attività lavorative e didattiche in ambito carcerario, dirette a offrire al detenuto degli strumenti per un'efficace reinserimento in società una volta terminata la reclusione. La Magistratura di Sorveglianza, organo preposto al controllo della fase esecutiva della pena, è chiamata a giudicare sulla base di criteri oggettivi come la popolazione carceraria risponda alle opportunità offerte dal sistema penitenziario. La valutazione positiva della condotta del detenuto dipende dall'adesione alle attività offerte: non potrà ottenere alcuna riduzione di pena chi si sia limitato ad osservare passivamente le prescrizioni imposte. Il detenuto che invece nel corso della detenzione si impegna in attività di studio o lavorative, dimostra di aver intrapreso quel percorso di rieducazione cui la pena è finalizzata. L'unica condizione ostativa alla concessione della misura è l'attualità di collegamenti del richiedente con la criminalità organizzata. La direzione distrettuale antimafia infatti, può intervenire nel corso del procedimento per la concessione della liberazione anticipata, segnalando elementi da cui si possa stabilire la presenza di una incompatibilità con la misura richiesta. La natura del divieto è chiara: non è possibile concedere alcun beneficio a chi mantenga un legame con le realtà devianti che lo hanno portato a delinquere e da cui si presume non si è distaccato nel corso della detenzione. Occorre però fornire una prova di questo collegamento che non può essere in alcun modo desunta per il semplice fatto che un individuo stia scontando una condanna per un reato associativo. Il particolare giudizio che si instaura è diverso da quello ordinario: si ragiona in base a prove indiziarie, senza dover arrivare a chiarire se un fatto sia avvenuto o meno al di là di ogni ragionevole dubbio. L'invio di un'informativa da parte degli inquirenti deve basarsi su indizi precisi, puntuali o comunque verificabili. Una contestazione priva di questi caratteri viola il diritto di difesa del detenuto poiché non è espressa la natura dell'addebito. Il giudice è quindi libero nella sua valutazione in quanto per poter negare la concessione della liberazione anticipata, l'attualità del collegamento deve accertarsi in concreto basandosi su elementi specifici [1], non potendosi presumere alcuna incompatibilità neanche per coloro i quali vengono indicati come i vertici dell'associazione. [1] Cass. sent. n.11661 del 27.02.2008. Giustizia: Orlando; responsabilità civile dei magistrati? una risposta da dare all'Europa www.clandestinoweb.com, 4 dicembre 2014 "La responsabilità civile dei magistrati deve correre, perché dentro il provvedimento che affronta anche il funzionamento della legge Vassalli, che con 4 condanne in 10 anni evidentemente non ha funzionato benissimo, c'è anche una risposta da dare all'Europa, che ci chiede di tutelare meglio i nostri cittadini rispetto alle violazioni del diritto europeo". Questo quanto affermato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, nel corso della trasmissione radiofonica "Bianco e Nero" su Rai Radio1. La responsabilità civile dei magistrati, è una riforma che sta tentando di farsi strada nell'intrigato mondo dell'iter del governo. Nella giornata di ieri invece il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera alla non punibilità dei reati più lievi e il giudizio del ministro della Giustizia è stato il seguente: "Abbiamo escluso responsabilità che derivino da interpretazioni, abbiamo previsto responsabilità per lo Stato che derivino da violazioni di legge e travisamento dei fatti, abbiamo ristretto l'ipotesi di rivalsa sul magistrato solo in caso di negligenza inescusabile. Non è una depenalizzazione: il carcere non c'è per questo tipo di reati per cui viene prevista l'archiviazione". Sempre a proposito dell'azione giudiziaria rispetto ai cosiddetti reati irrilevanti, Orlando ha poi affermato: "La Lega nord fa propaganda su questo punto ma sbaglia, perché l'estensione a dismisura dei reati al fianco di una diminuzione dei tempi di prescrizione, su cui il governo vuole intervenire, ha finora prodotto meno sicurezza e meno deterrenza. All'interno di una ipotesi di reato, la norma riguarda soltanto le fattispecie più lievi: ad esempio, un furto ma di scarsissima entità, un danneggiamento ma quasi irrilevante. Ed è facoltà del pm stesso chiedere al giudice l'archiviazione perché ritiene che non valga la pena di arrivare fino in Cassazione; ma è facoltà della vittima richiedere il risarcimento pecuniario e soprattutto di opporsi all'archiviazione andando avanti con il procedimento". Anm: in responsabilità civile eliminare filtro e travisamento fatto Nel testo di riforma della responsabilità civile dei magistrati, pur essendo state eliminate "alcune criticità che avevano evidenti profili di incostituzionalità, come l'azione diretta, o che toccavano l'interpretazione delle norme" rimangono ancora "due punti critici: l'eliminazione del filtro e il travisamento del fatto e delle prove". A ribadire la posizione dell'Associazione nazionale magistrati è stato il presidente Rodolfo Sabelli, al termine dell'incontro avuto con il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Quanto al primo punto, il filtro per l'ammissibilità dei ricorsi, "abbiamo ribadito che dovrebbe essere reintrodotto, - ha spiegato Sabelli - un intervento che sarebbe tra l'altro coerente con gli strumenti deflattivi previsti dalla riforma del civile". Sul travisamento, il presidente dell'Anm ha poi sottolineato che "rischia di essere un cavallo di Troia che può trascinare il tema della responsabilità civile sul piano dell'interpretazione". Sul punto Sabelli ha ribadito la richiesta della eliminazione o, in alternativa, "introdurre puntelli che chiariscano il rapporto tra travisamento e interpretazione. Attendiamo di vedere quali saranno i chiarimenti e gli interventi in sede interpretativa", ha concluso, riferendosi a quanto assicurato dal ministro. Giustizia: i penalisti al Quirinale da Ernesto Lupo "pronti a dare contributo per riforma" Ansa, 4 dicembre 2014 I penalisti sono pronti a "fornire il loro più responsabile contributo alla non più differibile riforma della giustizia penale", in un momento caratterizzato da "rapide trasformazioni degli equilibri politici e istituzionali". È quanto ha assicurato la giunta dell'Unione delle camere penali, che ieri su invito del presidente della Repubblica, è stata ricevuta al Quirinale dal consigliere Ernesto Lupo. Nel corso dell'incontro il presidente dell'Ucpi Beniamino Migliucci e i componenti della giunta hanno anche manifestato il "loro apprezzamento per gli interventi e i richiami al Parlamento del capo dello Stato sulle questioni della giustizia, sulla tutela delle garanzie di libertà e sulle condizioni dei detenuti e delle carceri". Giustizia: stallo sulla riforma della prescrizione per il nodo dei "processi in corso" di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 4 dicembre 2014 Il ministro della Giustizia Andrea Orlando fa sapere che lunedì sera il governo "non ha fatto in tempo" a inserire all'ordine del giorno le "modifiche" alla prescrizione, che quindi slittano al "prossimo Consiglio dei ministri". Per quanto sembri surreale, il guardasigilli aggiunge che la riforma - sebbene pubblicamente "venduta" come approvata il 29 agosto (sia pure "salvo intese"), nell'ambito del ddl delega di riforma del processo penale - "necessita di alcuni affinamenti". Evidentemente, a via Arenula e a Palazzo Chigi non sono bastati tre mesi per "affinarla", visto che finora era rimasta nel cassetto ed è stata riscoperta soltanto dopo le polemiche suscitate dalla sentenza Eternit, cioè dieci giorni fa, ma, a quanto pare, senza che neppure quella vicenda abbia contribuito ad "affinare" il testo (fantasma) del 29 agosto. Il nodo è politico: le "divisioni" nella maggioranza, con il Pd che spingerebbe e l'Ncd che invece frenerebbe, nonché le resistenze di Forza Italia, anche se le evocate "divisioni" spesso sembrano un gioco delle parti fatto apposta per giustificare ritardi, inerzie, "mali minori" rispetto a temi indifferibili, come la riforma della prescrizione, nonostante i richiami di Europa e Ocse (si veda, tra l'altro, l'ultimo rapporto, a pagina 7). Il nodo politico, in questo caso, riguarda sia il diverso sistema di calcolo sia, e soprattutto, l'applicabilità delle nuove norme (meno favorevoli per l'imputato) ai processi in corso. È il legislatore che deve decidere se e come derogare al favor rei, prevedendo eventualmente che il nuovo sistema di calcolo valga anche per i processi in corso. Ma è una scelta che la politica non sembra disposta a fare, né in un senso né nell'altro, lasciando la patata bollente ai giudici, se mai la riforma sarà approvata. Il testo elaborato dal ministero della Giustizia e "approvato" il 29 agosto non conteneva alcuna norma transitoria. La contiene, invece, il testo elaborato, successivamente, dalla commissione Gratteri, insediata a Palazzo Chigi dal premier e presieduta dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria (che Renzi avrebbe voluto come ministro) incaricata di formulare proposte sulla lotta alla criminalità organizzata nonché su altri temi, dal carcere alla prescrizione, non senza interferenze con l'azione di via Arenula. Nella proposta Gratteri sulla prescrizione, le nuove norme si applicherebbero solo ai fatti successivi alla loro entrata in vigore e, a differenza del testo di via Arenula (che sospende la prescrizione dopo la condanna di primo grado), i termini si interrompono dopo la richiesta di rinvio a giudizio, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, la richiesta di giudizio immediato, la richiesta di decreto penale di condanna e il decreto di citazione davanti al Tribunale monocratico (in alternativa, si propone che la prescrizione si fermi al momento di esercizio dell'azione penale con la formulazione dell'imputazione). In caso di durata irragionevole del processo, scatterebbero degli sconti di pena. In attesa che il governo metta nero su bianco la propria proposta e la porti in Parlamento (come ddl o emendamento), sarà la commissione Giustizia della Camera ad affrontare il nodo politico della "transitoria". Delle tre proposte di legge all'esame, solo quella di Scelta civica esclude l'applicabilità delle nuove norme ai processi in corso (norma peraltro condivisa dall'Anm). Quelle del Pd e dell'M5S non dicono nulla. Nei prossimi giorni, i relatori Sofia Amoddio (Pd) e Stefano Dambruoso (Sc) presenteranno un testo base, sintesi delle tre pdl e delle numerose audizioni di giuristi e magistrati effettuate dalla commissione fin da giugno, en attendant il governo che aveva annunciato il suo ddl come imminente. Le parole d'ordine sono, secondo la Amoddio, "cautela" ed "equilibrio". Nel frattempo il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli invita l'Esecutivo a fermarsi lasciando andare avanti la Camera poiché le proposte parlamentari sono un "intervento forte" mentre quello del Governo è "timido". Poiché la prescrizione è un istituto di natura sostanziale, si ritiene che le relative norme valgano solo per il futuro. La legge ex Cirielli, che tagliava i termini di prescrizione e quindi era più favorevole agli imputati, venne però applicata anche ai processi in corso. Il legislatore potrebbe quindi prevederne l'applicazione retroattiva. In ogni caso, esigenze di certezza spingerebbero verso una norma transitoria, in un senso o nell'altro. Giustizia: ddl misure cautelari; scontro nella maggioranza, Ncd minaccia disertare lavori Public Policy, 4 dicembre 2014 Scontro nella maggioranza durante il comitato dei nove della commissione Giustizia alla Camera durante l'esame degli emendamenti presentati in aula alla proposta di legge per la riforma della custodia cautelare. Secondo quanto riferiscono fonti parlamentari, la discussione è nata tra la presidente della commissione Giustizia, Donatella Ferranti (Pd), e il viceministro della Giustizia, Enrico Costa (Ncd), in merito all'emendamento presentato da Alessandro Pagano (Ncd) che punta a reintrodurre nel testo una norma stralciata durante l'esame in commissione (contenuta nell'ex articolo 16). La proposta di Ncd interviene sugli illeciti disciplinari dei magistrati tentando una stretta: l'emendamento prevede l'attivazione automatica della valutazione dell'azione disciplinare nei confronti dei giudici nei casi di assoluzione dei soggetti che hanno ricevuto misure cautelari e che richiedano un risarcimento allo Stato. Quindi, in altre parole, con una sentenza di assoluzione gli atti potranno essere trasmessi in automatico al Consiglio superiore della magistratura per valutare l'attivazione di un'azione disciplinare. Contrario alla norma il governo (e tutto il Pd) che in aula darà parere contrario all'emendamento. Ncd - riferiscono fonti parlamentari - minaccia di disertare i lavori della commissione Giustizia. La norma, nonostante il parere contrario del Pd e dell'esecutivo, era stata inserita durante il passaggio al Senato grazie ai voti di Ncd, Forza Italia e Lega Nord. Durante l'esame in commissione alla Camera, però, il Pd ha raggiunto un nuovo accordo con il partito di Angelino Alfano per stralciare la norma: l'intesa - riferiscono fonti di governo - prevedeva che la norma sarebbe stata inserita in un pacchetto ad hoc sulla responsabilità disciplinare dei giudici, a cui il governo lavora. Però con la presentazione in aula dell'emendamento Pagano di fatto Ncd fa marcia indietro. A preoccupare il governo è la minaccia dell'abbandono dei lavori della commissione Giustizia (come già avvenuto nei giorni scorsi al Senato con il ddl sulle unioni civili) in vista dell'esame del ddl Responsabilità civile dei magistrati che governo e maggioranza vogliono approvare in via definitiva al più presto, entro fine dicembre. Su questa materia, infatti, pesa la procedura di infrazione aperta dall'Unione europea, che diventerà esecutiva a partire dal 2015. La Corte europea ha condannato l'Italia a causa del sistema di risarcimento per chi viene pregiudicato da un errore di un giudice commesso nell'applicazione del diritto comunitario. Giustizia: i Garanti dei detenuti da Orlando; a primavera gli "Stati generali" delle carceri www.gomarche.it, 4 dicembre 2014 È stato un incontro molto positivo, ci siamo raccordati per collaborare insieme e per realizzare iniziative importanti per il mondo del carcere". Commenta così l'Ombudsman regionale Italo Tanoni l'incontro che ha avuto martedì (2 dicembre) con il Ministro della giustizia Andrea Orlando. Il colloquio è avvenuto nell'ambito di una riunione che il Guardasigilli ha convocato presso la sede del Ministero a Roma, con i Garanti dei detenuti di Marche, Umbria, Toscana, Piemonte e Campania. In apertura dell'incontro il Ministro Orlando ha presentato il nuovo Capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, Santi Consolo, nominato dal Consiglio dei Ministri pochi giorni fa. "Il Ministro - riporta Tanoni - ha annunciato che convocherà, probabilmente ad aprile, gli Stati generali delle carceri". In preparazione di questo appuntamento nazionale, Tanoni ha spiegato che è stata avviata una collaborazione con il Garante dei detenuti dell'Umbria, per realizzare due convegni preparatori, i cui esiti saranno discussi nel corso degli Stati generali. "I temi scelti sono due: il rapporto carcere-società civile, con un'attenzione particolare al ruolo del volontariato, e il progetto di istituire il patrocinio gratuito per l'assistenza legale dei detenuti non abbienti". Altro tema al centro dell'incontro il rapporto dei garanti con l'amministrazione penitenziaria, "non sempre facile - commenta Tanoni - soprattutto per quanto riguarda i trasferimenti dei detenuti per motivi familiari e i colloqui con i figli minori". Su questi aspetti Orlando ha comunicato l'intenzione di inviare a breve una circolare per superare alcune criticità. Tra le notizie accolte con maggiore soddisfazione l'imminente nomina del Garante nazionale dei detenuti. "È una figura che da tempo noi garanti regionali sollecitiamo - commenta Tanoni - A breve sarà nominato dal Ministro, insieme ai componenti di un direttivo che lo affiancherà in questa difficile funzione". Garante valdostano incontra il Ministro (www.aostasera.it) Al centro del confronto: il lavoro in carcere, l'inserimento nelle comunità terapeutiche, il diritto all'affettività, la nomina del Garante nazionale ma anche l'applicazione della norma volta a risarcire i detenuti soggetti a detenzione degradante. Incontro ieri fra una delegazione dei garanti regionali, fra cui quello valdostano Enrico Formento Dojot, e il Ministro della giustizia, Andrea Orlando. Al centro del confronto: il lavoro in carcere, l'inserimento nelle comunità terapeutiche, il diritto all'affettività, la nomina del Garante nazionale ma anche l'applicazione della norma volta a risarcire i detenuti soggetti a detenzione degradante, che prevede uno sconto sulla pena ancora da espiare o un indennizzo economico. "La misura si sta dimostrando inefficace - sottolinea Formento Dojot - come dimostrano le declaratorie di inammissibilità pronunciate da molti Magistrati di Sorveglianza in ordine alle istanze dei detenuti, ivi compresi i ristretti della Casa circondariale di Brissogne. Nei fatti, quindi, la misura non sortisce effetti e il periodo di detenzione degradante non viene riconosciuto. Durante l'incontro il Ministro ha "assicurato l'istituzionalizzazione della rete dei Garanti, in stretta collaborazione con il Garante nazionale". Giustizia: caso Uno Bianca; respinta la richiesta di Fabio Savi per sconto di pena La Presse, 4 dicembre 2014 "Non sussistono gli estremi per l'accoglimento dell'istanza" perché "difettano i presupposti relativi al principio della retroattività o della ultrattività in mitius". Così la Corte d'Assise di Bologna (due giudici togati e quattro popolari) si è espressa in merito all'istanza presentata da Fabio Savi, il "lungo" della banda della Uno Bianca: il 54enne, detenuto nel carcere di Spoleto, chiedeva di usufruire, a posteriori, del rito abbreviato e del relativo sconto, che avrebbero portato la pena dall'ergastolo a 30 anni e, in sostanza, lo avrebbero fatto uscire dal carcere. In particolare il legale del forlivese, Ada Maria Barbanera, si rifaceva nell'istanza a una sentenza della Corte Costituzionale e a una della Corte europea (Scoppola contro Italia). L'avvocato sostiene nella richiesta che "per il principio di uguaglianza, la modifica mitigatrice della legge penale debba riverberarsi anche a vantaggio di coloro che hanno posto in essere la condotta in un momento anteriore". Lo scorso 5 novembre nel corso dell'incidente di esecuzione, a Bologna perché quella bolognese è l'ultima delle tre sentenze passate in giudicato dopo Pesaro e Rimini, il pm Valter Giovannini, procuratore aggiunto di Bologna e coordinatore vent'anni fa delle indagini, aveva chiesto che l'istanza venisse respinta dichiarandola inammissibile. La corte (presidente Michele Leoni, relatore Paola Passerone) ha accolto la richiesta ma al contempo dichiarato l'istanza della difesa ammissibile. La banda della Uno Bianca, così chiamata dal tipo dell'auto utilizzata nella maggior parte dei delitti, per sette anni, dal 1987 al 1994, seminò il panico tra Emilia-Romagna e Marche, facendo 24 morti e oltre 100 feriti. L'unico non poliziotto dei fratelli Savi (gli altri sono Roberto e Alberto) non ha mai chiesto perdono per quanto commesso. Venne condannato all'ergastolo come i fratelli e Marino Occhipinti, mentre a Pietro Gugliotta e Luca Vallicelli, elementi minori della gang, vennero comminati rispettivamente 28 anni (diventati poi 18) e, patteggiati, 3 anni e 8 mesi di carcere. Toscana: il Garante Franco Corleone; finalmente smettiamo d'ingolfare tribunali e carceri di Annalisa D'Aprile Il Tirreno, 4 dicembre 2014 Il Garante dei detenuti della Toscana commenta il via libera del Consiglio dei ministri alla non punibilità dei reati più brevi e spiega perché il sistema giudiziario ora funzionerà meglio. La giustizia è intasata e non assicura il perseguimento dei reati, con la depenalizzazione dei reati minori invece, le cose potrebbero funzionare meglio. Ne è convinto Franco Corleone, garante dei detenuti della Regione Toscana. Con l'approvazione del decreto legislativo che prevede la non punibilità dei reati più lievi ci sarà una più rapida definizione, con decreto di archiviazione o con sentenza di assoluzione, dei procedimenti iniziati nei confronti di soggetti che abbiano commesso fatti di penale rilievo caratterizzati da una complessiva tenuità del fatto, evitando l'avvio di giudizi complessi e dispendiosi che non necessitano di sanzione penale. Il provvedimento, voluto dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, prevede che l'archiviazione possa scattare per tenuità del fatto per tutti i reati sanzionati con una pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni o con una sanzione pecuniaria, prevista da sola o in aggiunta al carcere. I reati compresi sono quelli contro il patrimonio, come furto semplice, danneggiamento, truffa, ma anche violenza privata o minaccia per costringere a commettere un reato. "A me pare che dopo tanti anni di grida manzoniane sulla sicurezza e anche sull'accentuazione di reati da colpire con la galera, questo sia un segno rilevante e intelligente. Un diritto penale minimo e mite, misure prudenti e non avventate che non danno come unico indirizzo la repressione, ma che danno ai giudici la possibilità di graduare interventi e azione penale. Finalmente un'inversione di tendenza" commenta Corleone. Quali saranno gli effetti concreti della non punibilità dei reati più lievi? "Intanto si eviterà di ingolfare i tribunali, già intasati. E poi si tratta di una misura importante perché dovrebbe impedire che reati come la cessione di stupefacenti o la coltivazione di marijuana abbiano processi dai tempi biblici, mentre potrebbero essere chiusi con l'archiviazione. E il segno positivo di questa norma si rifletterà anche sul carcere: perché il sovraffollamento è determinato dal funzionamento della giustizia". Trova che il provvedimento abbia dei limiti? "Non vorrei che fosse uno strumento per ‘le persone per benè, perché in quei casi è troppo semplice. Voglio dire che la tenuità del fatto va anche con la considerazione del soggetto (la sua vita, la sua condotta, la famiglia, il lavoro) che può rafforzare nel giudice la decisione di non procedere, e questo andrà valutato anche nel caso di un soggetto con precedenti, visto che l'effetto del provvedimento è sgravare i tribunali da procedimenti inutili". Quali altri strumenti potrebbero alleggerire aule di tribunale e penitenziari? "La messa alla prova ad esempio, una misura che viene dal carcere minorile e che riguarda sempre reati che non superano i 4 anni di detenzione. Il soggetto chiede la sospensione del processo presentando un progetto di reintegrazione sociale che, in qualche modo, restituisce il danno inflitto. In Toscana sono più di 500 i casi di richiesta di messa alla prova. Ma il problema, per ora, è che manca una rete di associazioni riconosciute dal tribunale che renda possibili i progetti. Comunque, il futuro non è più avere al centro processo e carcere, ma avviare un processo di consapevolezza del danno fatto e riparazione del danno". Attualmente qual è la situazione nelle carceri? "Ora ci sono 54mila detenuti, erano 70mila: la situazione è migliorata in modo incredibile, ma bisogna diminuire ancora questo numero. Per questo, il ministro Orlando ci ha presentato una serie di misure più efficaci della pena da scontare in prigione e anche la depenalizzazione di altri reati minori. Inoltre, ci ha assicurato che gli Opg (Ospedale Psichiatrico Giudiziario, ndr.) per il 31 marzo 2015 saranno chiusi e non ci saranno altre proroghe. Dopodiché io continuo a "sognare" una nuova legge sulle droghe, non possibile con questa maggioranza". Piemonte: il Garante Bruno Mellano; garantire effettività rimedio risarcitorio a detenuti Ansa, 4 dicembre 2014 Il Garante dei detenuti del Piemonte, Bruno Mellano, lancia "un accorato appello a garantire l'effettività del rimedio risarcitorio", introdotto in Italia nel 2014 dopo che la Corte Europea per i Diritti dell'Uomo ha messo sotto osservazione il nostro paese sul fronte delle "pene inumane e degradanti". L'appello arriva in occasione di un convegno su questo tema tenuto questa mattina a Palazzo Lascaris, sede del Consiglio regionale del Piemonte a Torino. "Il rimedio risarcitorio - dice Mellano - deve essere garantito non solo per buonismo, ma anche perché l'Italia rischia nel maggio 2015 di pagare sanzioni altissime. La Corte europea dei Diritti dell'Uomo ha concesso al nostro paese di dotarsi di uno strumento interno, il rimedio risarcitorio, che prevede l'accorciamento della detenzione o un risarcimento in denaro per compensare il detenuto di una pena scontata in condizioni inumane o degradanti, a partire dal sovraffollamento. Ma la magistratura di sorveglianza di alcune Regioni, fra cui il Piemonte, hanno adottato una interpretazione restrittiva del rimedio compensativo risarcitorio, che ne compromette l'effettività". Nel convegno - al quale sono intervenuti moderati da Mellano la docente di diritto Laura Scomparin, il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Torino Marco Viglino, il provveditore regionale delle carceri di Piemonte e Valle d'Aosta Enrico Sbriglia - l'avvocato penalista Davide Mosso ha fornito alcuni dati relativi al Piemonte. Su 449 procedimenti di cui 259 pendenti, ha detto, 177 sono stati giudicati inammissibili, 5 rigettati, e in un solo caso il rimedio risarcitorio è stato accolto, accordando 11 giorni di sconto pena a un detenuto. La convinzione emersa dal convegno è che il tema oggetto dell'incontro sia importante ma non possa essere risolto entro il maggio 2015. I provvedimenti finora messi in atto rischiano di non rivelarsi efficaci nel lungo termine, se non accompagnati da interventi strutturali. È stata suggerita l'ipotesi di un'amnistia o di un indulto, considerati non come punti di arrivo bensì come condizioni per ripartire, questa volta con il piede giusto. Liguria: Sappe; nelle carceri tante difficoltà... e la Polizia penitenziaria è sola www.genovapost.com, 4 dicembre 2014 "Siamo consapevoli dei riflessi negativi che la detenzione può produrre sul soggetto detenuto, basti pensare che nelle carceri liguri in poco più di 15 giorni sono stati salvati 2 detenuti dal tentativo di suicidio": è il Sappe, Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria ligure a chiedere che le istituzioni intervengano ascoltando le nostre proteste, per prevenire gli eventi critici che si stanno susseguendo nelle carceri liguri, ribadendo che non c'è allarme ma sicuramente bisogna alzare il livello di attenzione. "Siamo consapevoli - afferma Michele Lorenzo segretario regionale ligure - che una morte in carcere è comunque una sconfitta per lo Stato e ad arginare i casi di tentato suicidio e gli eventi critici che si palesano negli istituti c'è, purtroppo, solo la Polizia Penitenziaria. Non voglio nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto scaturire se questi detenuti non sarebbero stati salvati dal poliziotto di turno". "L'ultimo caso in ordine cronologico si è verificato nell'istituto genovese di Marassi dove si è veramente sfiorata la tragedia in quanto un detenuto straniero ha tentato il suicidio tramite impiccagione. Evento che sarebbe riuscito se non fosse intervenuto il poliziotto di turno che ha fatto scattare l'allarme con la procedura prevista per questi casi; quindi intervento del 118 e, nell'immediato, le operazioni di primo soccorso sul posto. Ora al detenuto, solo grazie al tempismo e la professionalità del poliziotto di turno, gli è salva la vita ed è ricoverato in ospedale sotto la vigilanza della Polizia Penitenziaria". "Auspico che la nostra Amministrazione dimostri gratitudine verso quel poliziotto penitenziario al quale il Sappe manifesta pubblico riconoscimento. In Liguria dall'inizio dell'anno sono stati sventati 27 tentativi di suicidio dei quali 9 a Marassi. Su questi numeri bisogna ragionare. Al di la delle motivazioni personali che spingono il detenuto a questa estrema decisione, incitiamo le componenti politiche e in particolar modo il ministro Orlando, ad intervenire implementando l'organico non solo della Polizia Penitenziaria che in Liguria è carente di circa 300 unità ma anche del personale medico specialistico, come educatori, assistenti sociali e psicologi. Stiamo insistendo - conclude Lorenzo - che alla Polizia penitenziaria gli venga erogata una formazione professionale maggiormente rispondente agli effettivi bisogni connessi alla sicurezza del sistema carcere ad esempio indire corsi di primo soccorso, di antincendio, sull'uso del defibrillatore e di legittima difesa. Tale proposta è stata più volte rappresentata ai vertici della nostra Amministrazione, sia genovese che romana. Ad oggi nessuna risposta". Lecce: droga in carcere e assenteismo, indagato un assistente della Polizia penitenziaria Corriere Salentino, 4 dicembre 2014 Droga introdotta nel carcere di Lecce grazie alla disponibilità di un assistente della Polizia Penitenziaria. Panetti di hashish e dosi di subutex (una sostanza stupefacente con effetti simili a quelli dell'eroina) consegnati da una parente stretta di un detenuto alla presunta divisa sporca. Che, a sua volta, provvedeva ad affidare lo stupefacente nel carcere di Borgo San Nicola. Non solo. Nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, il procuratore aggiunto Antonio De Donno contesta anche un caso di assenteismo del berretto azzurro che avrebbe fatto redigere un falso certificato medico da una dottoressa compiacente per non presentarsi sul posto di lavoro. Complessivamente, per questa brutta vicenda, risultano indagati in tre: l'assistente della polizia penitenziaria, di 47enne, residente in comune dell'hinterland di Lecce; la dottoressa, 54 anni, di Lecce e una 42enne, parente stretta del detenuto. Le accuse, a vario titolo, sono quelle di concorso in truffa aggravata, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati e detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti aggravato dall'ingente quantitativo L'ingresso di cospicui quantitativi di droga in carcere - secondo quanto ipotizza la Procura - sarebbero stati ripetuti. Sono contestati più episodi tra il dicembre del 2008 e il maggio del 2009. Il parente del detenuto - questa è l'ipotesi accusatoria - affidava i panetti di hashish e il subutex al graduato all'esterno di Borgo San Nicola. A sua volta, l'assistente provvedeva a introdurre lo stupefacente in carcere e a consegnarlo direttamente al detenuto. Il berretto azzurro è accusato insieme alla dottoressa anche di truffa aggravata. Il 21 luglio di due anni fa, il graduato avrebbe infatti comunicato al personale addetto della Casa Circondariale l'assenza dal servizio per una malattia mai accertata. L'assistente avrebbe anche prodotto come giustificazione un certificato medico con la firma apparente del medico di base - da cui risultava che fosse affetto da una sospetta cervicalgia - in realtà contraffatto dalla dottoressa leccese. In tal modo il graduato avrebbe beneficiato di una retribuzione ingiustificata. Inoltre, il magistrato inquirente contesta sia all'assistente che alla dottoressa di aver alterato il certificato facendolo apparire come emesso dal medico di base approfittando del rapporto di prestazione d'opera che intercorreva tra i due dottori. L'avviso di chiusa inchiesta non corrisponde ad una sentenza di colpevolezza ma un passaggio necessario per un confronto giudiziario che ora attende la versione dei singoli soggetti coinvolti. Cagliari: nel carcere di Uta scatta l'allarme anti-evasione, ma erano operai al lavoro La Presse, 4 dicembre 2014 Ieri nel nuovo carcere di Uta (Cagliari) è scattato l'allarme anti fuga, ma non c'era nessuna evasione in atto. Come racconta il deputato Mauro Pili (Misto), la sirena è scattata a causa dei lavori in corso nel muro perimetrale che si è allagato per l'abbondante pioggia. "Nel bucare il muro per far defluire l'acqua piovana - spiega Pili - è stato reciso un cavo sensore e l'allarme fuga è scattato mandando in tilt la struttura". Oltre il falso allarme, il risultato è che al momento il penitenziario non avrebbe il sistema di sicurezza funzionante. Ma non sarebbe l'unico problema. "Il muro perimetrale - continua infatti il deputato - doveva essere presidiato sia sui camminamenti che da un sistema di sensori posizionati all'esterno del carcere, ma da giorni il servizio non è coperto per mancanza di agenti". Secondo quanto riferisce Pili, oltre 50 agenti penitenziari sono in malattia. Una situazione definita "al limite del lecito" con turni di servizio anche di dodici ore, "incertezza del servizio da svolgere, stress da un carcere ingestibile con meno del 50% del personale necessario per una struttura tanto vasta quanto incontrollabile". "Emerge una situazione talmente grave che conferma lo scandalo di un carcere costato 95 milioni e che si trova persino senza allarme di fuga. È evidente - continua il leader di Unidos - che chi ha assunto la grave responsabilità di questa situazione deve risponderne personalmente visto che la forzata apertura era solo funzionale a premi e carriere, da conquistare ad ogni costo sulla stesse pelle dei lavoratori. Tutto questo - annuncia Pili - sarà oggetto di un nuova interrogazione parlamentare". Milano: teatro "Errare humanum est. Il carcere minorile spiegato ai ragazzi" di Albarosa Camaldo Famiglia Cristiana, 4 dicembre 2014 Una serata molto speciale e commovente al Piccolo di Milano. I ragazzi del carcere minorile, insieme all'associazione Puntozero, mettono in scena i loro errori, ma, soprattutto, il desiderio di ripartire. Se sei un ragazzo di 16, 17 anni e hai commesso un errore, anche un grande errore, e ti trovi chiuso in pochi metri di cella, mentre i tuoi coetanei corrono all'aria aperta, si fidanzano, vivono una vita normale, devi trovare un modo per ricominciare, comprendere lo sbaglio per non ripeterlo, ma non puoi farlo da solo. All'Istituto Penale per Minorenni Cesare Beccaria di Milano, oltre agli educatori, alla polizia penitenziaria, tra le altre associazioni, agisce con passione Puntozero, fondata da Giuseppe Scutellà, arrivato lì, vent'anni fa, come obbiettore, e ancora attivo oggi con la sua compagna. l'attrice Lisa Mazoni. Tramite la loro associazione, avviano costantemente percorsi didattici e rieducativi con laboratori di cinema e di teatro, finalizzati a far riflettere i giovani detenuti che spesso provengono da un ambiente deprivato di valori e di stimoli positivi. Allestiscono così spettacoli come Errare humanum est che ora è uscito dal teatro del carcere ed è andato in scena al Piccolo Teatro di Milano, come una lezione spettacolo, dedicata a tutti i ragazzi, per sensibilizzare le nuove generazioni, spesso inconsapevoli della gravità delle condanne inflitte per esempio, a causa dell'intimidazione di un coetaneo. Quando entri al Piccolo Teatro per assistere allo spettacolo, ti accorgi subito che non è una serata come le altre: ti accolgono alcuni giovani, posizionati agli angoli della sala, già in costume di scena, guardandoti negli occhi, pieni di curiosità, non chini sui loro smartphone come i loro coetanei che stanno entrando in sala. Scutellà sale sul palco e inizia a spiegare con parole semplici, ma toccanti, come funziona un Istituto penale minorile, e come ti senti spaesato e spaventato quando arrivi dopo aver compiuto un reato. Racconta poi con dovizia di particolari l'efferato delitto di Novi Ligure, compiuto da due ragazzini, Erika e Omar, che i giovani in sala non hanno mai sentito nominare, data la loro età, ma che ascoltano sbigottiti. Per stemperare la tensione, Scutellà chiama sul palco tre studenti del pubblico per mostrare come nascono i laboratori teatrali di Puntozero, stimolando cioè i ragazzi a improvvisare due scene di crimine: un atto di bullismo e una rapina, storie vere, ma raccontate con ironia, sottolineando però le pene a cui va incontro chi, con leggerezza, compie un reato. Salgono poi sul palco Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro, che racconta la sua esperienza di giovane supplente di lettere proprio al Beccaria, e don Gino Rigoldi, il cappellano del carcere da più di quarant'anni. Don Gino ha conosciuti tanti ragazzi, ognuno con la sua storia drammatica, ognuno che dice "deve diventare protagonista del suo cambiamento, grazie alla conoscenza dell'errore - e prosegue - ci deve essere una punizione o uno stop per i ragazzi che hanno sbagliato, ma io so che i ragazzi cambiano e cambiano tanto, perché io li ho visti, ma devi stare loro vicino; quando mi chiedono se sono un educatore io rispondo che sono un rassicuratore, perché devi ascoltarli. Devi guardare ogni singola persona che hai davanti e capire cosa gli serve e fare un progetto specifico per lui. Capita di sbagliare, ma l'importante è cambiare e andare avanti, e non sentirsi soli, infatti stasera guardando le persone presenti sento di avere un bel rinforzo nel mio lavoro". Infatti quello che preoccupa don Gino è il reinserimento dei ragazzi nella società, una volta usciti dal carcere, e la ricerca di un lavoro in un tempo di crisi. Infatti come diceva Cesare Beccaria in Dei delitti e delle pene, testo fondamentale che quest'anno compie duecento cinquanta anni, è molto importante rieducare e non solo punire chi ha sbagliato così da poter reinserire l'individuo nella società. Anche Lisa Manzoni di Puntozero si preoccupa molto del loro reinserimento nella società: il teatro offre una possibilità lavorativa ai ragazzi perché oltre a recitare, possono imparare molti lavori: il tecnico delle luci, l'elettricista, il sarto nel preparare i costumi, infatti il teatro è un piccolo mondo che contiene tanti altri lavorati, così offre diverse possibilità future. Con il sostegno della Fondazione Marazzina, che ha già ristrutturare il teatro del carcere Beccaria, così da darci un luogo per fare le prove, abbiamo il sogno di aprire sempre il nostro teatro anche alla cittadinanza, così che diventi luogo di incontro e di confronto e anche una occasione di lavoro per i nostri ex detenuti che spesso continuano a collaborare con noi. Si arriva così alla parte centrale dello spettacolo: i giovani detenuti recitano in due sequenze, lo scontro tra i Montecchi e i Capuleti tratto da Romeo e Giulietta e il dramma di Antigone. Coinvolgente il momento in cui, inseguendosi sul palco e in platea, i ragazzi mostrano, attraverso la finzione shakespeariana, come è ancora attuale la lotta tra bande rivali di adolescenti e, nonostante i costumi dell'epoca, recitano con i capelli a cresta, sembrano i loro coetanei che si spintonano, si provocano, arrivano alle mani, così da suggerire come in ogni epoca sia sottile il passaggio tra il gioco e l'infrazione della legge. Recitano con grinta, con passione, ogni frase diventa efficace, anche quando, affiancati da Lisa, recitano una scena da Antigone di Sofocle. Illustrano la ribellione a una legge non giusta cioè il divieto per Antigone di seppellire il proprio fratello, ma, nonostante gli ideali giusti che la muovono, la pena si abbatte su di lei inesorabile, perché ha trasgredito la legge. E i ragazzi rappresentano il coro greco che partecipa alla tragedia di Antigone in una sintonia di intenti di gesti, di espressioni. Nelle due emozionanti sequenze appare anche un bambino, Enea, il figlio di Lisa e Giuseppe, cresciuto con loro in palcoscenico e nei laboratori insieme ai ragazzi che lo guardano con tenerezza, ne seguono con attenzione i movimenti. È anche lui il frutto di tanto lavoro in carcere, il segnale di una vita nuova che rinasce anche da un luogo di dolore e sofferenza, da chi, pur essendo libero, condivide il destino di chi è stato meno fortunato. Fa parte dello spettacolo anche il rap di Josh, uno dei ragazzi che, attraverso le parole e la musica, raccolte nel Cd Errare Humanum est, prodotto con il laboratorio musicale di Giuseppe Vaciago e Suonisonori, si fa portavoce di tutti i suoi "fratelli" italiani e stranieri cantando in Tutto passa la speranza di un futuro, perché anche la musica diviene uno strumento di riscatto. Puntozero dimostra che il teatro diventa un'occasione di stare insieme in modo costruttivo, poiché quando un giovane, per la sofferenza che porta dentro, in cella non ha voglia di parlare, trova il modo di aprirsi grazie alla recitazione di storie diverse o simili alla sua, ma soprattutto impara ad interagire in modo costruttivo con gli altri e riceve stimoli preziosi che lo portano a ragionare su quello che ha commesso. La recitazione dei classici consente di smuovere meccanismi di autoanalisi poiché in teatro, come nella vita, impari che ogni gesto ha un valore e una conseguenza precisa su di te e su chi ti sta attorno. Se sbagli la battuta devi recuperare, per non danneggiare il compagno che parla dopo di te, così impari a lavorare in gruppo, a seguire le istruzioni in modo poi da applicare la disciplina appresa a qualunque altro lavoro. E vedendo i ragazzi recitare, il pubblico è convinto che potranno trovare un giorno la loro strada, come sono riusciti a rendere vere le parole e i gesti che hanno interpretato, mentre nel finale i detenuti festeggiano, mischiandosi al pubblico, così da portare con sé gli sguardi di approvazione e di entusiasmo di adulti e coetanei. "Errare humanum est. Il carcere minorile spiegato ai ragazzi". Testo e regia Giuseppe Scutellà. Con Giuseppe Scutellà, Lisa Mazoni e i giovani detenuti dell'Istituto Penale Cesare Beccaria e la compagnia Puntozero. Al Piccolo Teatro Grassi è andato in scena dal 26 al 30 novembre. Bari: la Fondazione Petruzzelli entra in carcere per la creazione di un coro di detenuti www.ilquotidianoitaliano.it, 4 dicembre 2014 Nella sede della Casa circondariale di Bari ha avuto luogo la Conferenza Stampa di presentazione della Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli, di un Laboratorio Corale da realizzarsi proprio all'interno del penitenziario. L'iniziativa è realizzata dalla Fondazione Petruzzelli in collaborazione con la direzione del carcere di Bari e il Comune di Bari. A illustrare i dettagli del progetto Massimo Biscardi, Sovrintendente della Fondazione. L'attività istituzionale del Teatro Petruzzelli, a partire dal 2015, si arricchirà di iniziative dedicate a fruitori diversi da quelli tradizionali. Una delle categorie a cui intendiamo rivolgere costante attenzione è quella delle persone detenute. A partire da Gennaio 2015, grazie alla proficua collaborazione con la Direzione della Casa Circondariale di Bari, il Teatro Petruzzelli darà vita ad un percorso strutturato e fattivo, che coinvolgerà i detenuti in maniera diretta. I detenuti che aderiranno seguiranno, sempre all'interno della Sezione Penale maschile e femminile, delle lezioni settimanali tenute da un musicista del Teatro Petruzzelli, scelto per la sua esperienza in ambito corale e didattico. Un aspetto innovativo, rispetto a simili iniziative, è rappresentato dalla possibilità di creare un Coro misto, composto da gruppi maschili e femminili, in prossimità di future esibizioni pubbliche. Scopo dell'iniziativa è portare i valori che caratterizzano il canto corale all'interno del carcere: l'ascolto reciproco, lo stare insieme, la condivisione, sono tutte attitudini richieste e sviluppate da questa pratica. Questi elementi hanno una forte valenza educativa, formativa della persona e della socialità. I detenuti coinvolti nel progetto avrebbero l'opportunità di partecipare non ad un semplice svago, ma ad un'attività che richieda impegno, costanza, concentrazione. All'iniziativa di carattere sperimentale parteciperanno sempre anche due membri dello staff organizzativo del Teatro Petruzzelli. Inoltre la Fondazione Petruzzelli si propone di poter ospitare in futuro alcuni detenuti alle prove generali ed agli spettacoli della Stagione Concertistica, ove vi siano le dovute autorizzazioni della Magistratura. Il fine ultimo è quello di coinvolgere anche persone che non hanno la possibilità di frequentare le tradizionali sale da concerto e offrire loro l'opportunità di scoprire la bellezza della "musica d'arte". Per molti detenuti, alcuni dei quali sono extracomunitari, questa esperienza potrebbe costituire il primo ed unico contatto con la cultura e la bellezza che la nostra società può offrire. Roma: "Atletico Diritti", scendiamo in campo contro l'emarginazione sociale di Caterina Grignani La Repubblica, 4 dicembre 2014 È una squadra di calcio molto particolare costruita attorno a un unico verbo: integrare. Una rosa composta da migranti e studenti che, seppur con le difficoltà della matricola alla prima esperienza, si sta facendo strada tra le tradizionali e più attrezzate squadre della terza categoria capitolina. Tra la polvere dei campetti in terra di periferia si nascondono da sempre storie di ragazzi che giocano con passione. Chi per puro divertimento, chi per andare alla ricerca di una seconda possibilità. Tutto questo succede anche al campo Gerini, nello storico quartiere romano del Quadraro, tra il Tuscolano e il Parco degli Acquedotti. Qui gioca e si allena l'Atletico Diritti, una squadra molto particolare costruita attorno a un unico verbo: integrare. Una rosa composta da migranti e studenti che, seppur con le difficoltà della matricola alla prima esperienza, si sta facendo strada tra le tradizionali e più attrezzate squadre della terza categoria capitolina. Una realtà giovane. Che è nata a settembre grazie alle associazioni "Progetto Diritti" e "Antigone" e con il patrocinio dell'Università Roma Tre, con l'obiettivo di trasmettere, attraverso il calcio, i valori di integrazione e anti-razzismo. "I ragazzi che giocano con noi hanno alle spalle storie molto diverse - racconta Susanna Marietti, presidentessa dell'Atletico Diritti - c'è lo studente che affronta questa sfida sapendo di potersi divertire dando una mano a chi è stato meno fortunato; c'è il migrante fuggito dalle guerre del proprio paese e arrivato in Italia alla ricerca di una vita migliore". Un riscatto dalla sofferenza che sta cercando anche il giovane Fofana Makan, sbarcato in Italia dopo esser scappato dalle violenze in Mali: "Sono arrivato in Sicilia via mare e poi sono salito a Roma". Fofana parla poco l'italiano, ma attraverso il pallone abbatte qualsiasi barriera linguistica: "Qui ho ripreso a giocare a calcio grazie a questi ragazzi che non sono solo compagni di squadra, ma veri amici". Un muro invalicabile. Il progetto di integrazione dell'Atletico Diritti non si ferma qui. "Entreranno a far parte della nostra rosa anche alcuni detenuti delle carceri romane - spiega la presidentessa Susanna Marietti - ma siamo ancora in attesa dell'autorizzazione per tesserarli. Si sa, il sistema penitenziario italiano è molto spesso un muro invalicabile, ma noi non ci arrendiamo e non ci fermiamo davanti a nulla". In attesa di vederli in campo insieme ai propri compagni, i detenuti sostengono la squadra a distanza: le divise da gioco dell'Atletico Diritti sono gioco griffate "Made in Jail", la cooperativa sociale che dal 1983 opera nel carcere romano di Rebibbia. Una buona base di partenza. Per il momento, i risultati sportivi contano poco, anche se i sei punti ottenuti finora in altrettante partite rappresentano una buona base di partenza per l'Atletico Diritti, che vive grazie all'autofinanziamento (potete sostenere la loro campagna di crowd-funding su Indiegogo) per sostenere e coprire tutte le spese obbligatorie per poter affrontare un campionato di terza categoria. "Qui facciamo tutto gratis, ma allenare questi ragazzi è la più grande ricompensa - spiega il tecnico Domenico Blasi - siamo una squadra molto particolare con poche individualità, ma il messaggio che vogliamo trasmettere è il risultato più importante al quale ambiamo ogni domenica". Lo scoglio della lingua italiana. Fa eco al suo allenatore il capitano Daniel Abrham, arrivato in Italia da talmente tanti anni da aver imparato alla perfezione dialetto e cadenza tipiche di un romano doc: "Gli unici problemi sono rappresentati dalla comunicazione, ma non appena tutti avranno imparato l'italiano, riusciremo sicuramente a migliorare. Siamo un bel gruppo che scende in campo per divertirsi, con la giusta attenzione, ma senza prendersi troppo sul serio." Ironia che si scorge non solo nelle parole dei protagonisti, ma anche dal modo di affrontare il riscaldamento pre-partita, sempre con il sorriso sulle labbra. Quel sorriso di chi si sporca nella polvere giocando a calcio per lanciare un messaggio al mondo: "tutti in campo per gli stessi diritti". Immigrazione: no all'espulsione per traffico di droga in presenza di figli piccoli di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 4 dicembre 2014 Cassazione - Sezione IV. Sentenza 2 dicembre 2014 n. 50379. Il giudice non può espellere lo straniero, condannato per spaccio di stupefacenti se è padre di un bimbo di sei mesi. La Cassazione, con la sentenza 50379, estende il diritto del genitore a non essere privato del rapporto con il figlio, affermato dalla Corte dei diritti dell'Uomo in tema di adozione, affidamento e procreazione, anche alle misure adottate dallo Stato nei confronti di chi ha commesso dei reati legati alla droga. I giudici accolgono il ricorso contro il provvedimento di esplusione di un immigrato, sposato con un'italiana, con la quale non conviveva più da tempo e padre di un bimbo nato a luglio del 2013. La misura di sicurezza, giustificata dalla pericolosità sociale, era stata confermata dal giudice del rinvio che non aveva dato peso al fatto che l'imputato era, nel frattempo, diventato padre. La Cassazione ricorda invece l'obbligo di valutare l'applicabilità dell'espulsione alla luce del Testo unico sull'immigrazione (articolo 19, comma 2 lettera d) del Dlgs 286/98). La norma vieta, infatti, l'espulsione del marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio. Divieto di cui può beneficiare, in base ad un'interpretazione costituzionalmente orientata (sentenza 137 del 2000) anche chi non è sposato nè è convivente se padre di un bimbo in tenerissima età. Il principio della responsabilità genitoriale, dettato dalla Costituzione, deve impedire l' esplusione, prevista dal Testo unico della legge sugli stupefacenti di chi, pur avendo commesso reati legati alla droga ha un figlio che non ha ancora compiuto i sei mesi, valorizzando così l'intento del legislatore di individuare quali presupposti per l'applicabilità del divieto esclusivamente la relazione genitoriale e l'età del minore. Ad ostacolare il provvedimento di sicurezza c'è anche l'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo, che tutela la vita privata e familiare dalle ingerenze della pubblica autorità a meno che l'interferenza con il diritto fondamentale non sia giustificata da determinate condizioni, a cominciare dai motivi di ordine pubblico che spetta al giudice di merito valutare. L'articolo 8, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, non si limita però ad evitare intrusioni arbitrarie, ma impone allo Stato anche degli obblighi positivi riguardo al rispetto effettivo della vita familiare. Se risulta provata l'esistenza del legame i Governi devono adoperarsi per il suo sviluppo, adottando ad esempio le misure necessarie per i ricongiungimenti. Lo Stato gode di una discrezionalità nel disegnare i confini tra obblighi positivi e negativi, ma deve esercitarla senza perdere di vista il giusto bilanciamento degli interessi in gioco. Con questi deve fare i conti il giudice chiamato ad applicare l'espulsione mettendo sui piatti della bilancia l'interesse generale alla sicurezza sociale e quello del singolo alla vita privata familiare. Stati Uniti: Corte d'appello blocca l'esecuzione di detenuto con problemi mentali in Texas La Presse, 4 dicembre 2014 Una Corte d'appello federale degli Stati Uniti ha deciso di bloccare l'esecuzione della condanna a morte a carico del detenuto del Texas Scott Panetti, a sole otto ore da quando avrebbe dovuto subire l'iniezione letale. I suoi avvocati sostengono che l'uomo abbia problemi mentali e per questo non possa essere eseguita la pena capitale. Panetti è stato condannato a morte per avere ucciso 22 anni fa in una sparatoria i genitori della moglie dalla quale era separato. I legali del detenuto hanno anche presentato ricorso alla Corte suprema, che ha affermato che sulle persone con problemi mentali non possono essere eseguite condanne a morte perché non hanno la comprensione razionale ed effettiva del motivo per cui vengono punite. Egitto: 188 condanne a morte per l'assalto alla stazione di polizia di Kerbasa di Giuseppe Acconcia Il Manifesto, 4 dicembre 2014 Pene severissime per l'assalto alla polizia di Kerbasa dopo l'eccidio di Rabaa. La Corte penale di Giza ha condannato a morte 188 sostenitori dell'ex presidente Mohammed Morsi per l'uccisione di 11 poliziotti, il saccheggio di una stazione di polizia e per aver dato fuoco a veicoli dei poliziotti. L'episodio si riferisce al 14 agosto 2013: la notte dell'orrore di Rabaa al Adaweya, il massacro in cui sono morte forse duemila persone in seguito allo sgombero delle strade occupate dai Fratelli musulmani per protestare contro il golpe militare del 3 luglio 2013. L'attacco alla stazione di polizia di Kerdasa è diventata per i media pubblici e i sostenitori del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi il simbolo dell'uso della violenza da parte degli islamisti contro la polizia. Quelle immagini brutali sono state per mesi rilanciate dalla tv di Stato per giustificare la repressione del regime contro tutti gli islamisti, come se non esistano distinzioni tra moderati e terroristi. Il verdetto è stato pronunciato dallo stesso giudice che ha condannato a sette anni i tre giornalisti di al Jazeera, responsabili di aver raccontato i giorni di occupazione di Rabaa. Dei condannati solo 135 erano presenti in aula. Per l'avvocato della difesa, Bahaa Abdel-Rahman, due imputati sono morti durante il processo e non sono stati rimossi dalla lista dei condannati, incluso un minore. A conferma dell'approssimazione dei processi e di una giustizia diventata il braccio politico del presidente Sisi. "Le condanne a morte di massa stanno facendo perdere velocemente la reputazione di indipendenza che il sistema giudiziario egiziano un tempo aveva", ha commentato Sarah Leah Whitson, direttore di Human Rights Watch per il Medio oriente e il Nord Africa. "Anziché valutare le prove caso per caso, i giudici condannano in massa gli imputati senza riguardo per gli standard del giusto processo", ha aggiunto il think tank espulso dal paese dopo aver redatto un report dell'eccidio di Rabaa, che puntava il dito direttamente contro l'allora generale al-Sisi. Ora sulle condanne si pronuncerà il gran-mufti della massima istituzione sunnita, al-Azhar, che potrebbe commutare le pene in ergastolo. Lo stesso era avvenuto con i 528 e 683 imputati, inclusi i principali leader della Fratellanza (lo stesso Morsi rischia la forca), condannati a morte dalla Corte di Minya per gli scontri che hanno avuto luogo nella città dell'Alto Egitto dopo lo sgombero di Rabaa. Di queste, 220 pene capitali sono state approvate in via definitiva dai giudici egiziani. Nell'ultima analisi periodica all'Onu sui diritti umani in Egitto, Germania, Ungheria, Francia, Svizzera e Uruguay hanno sottolineato le violazioni sistematiche commesse chiedendo al governo di cancellare la pena di morte dal codice penale. Il maggior movimento d'opposizione, i Fratelli musulmani, subisce una delle repressioni più gravi dalla sua fondazione negli anni Venti. Il partito Libertà e giustizia è stato messo fuori legge, insieme al movimento e alla Coalizione per la legittimità che protestava per la deposizione di Morsi. Il movimento è stato dichiarato gruppo terroristico dopo l'attentato alla stazione di polizia a Mansura, il 24 dicembre 2013. Le elezioni parlamentari, tradizionale veicolo di cooptazione degli islamisti nel sistema, sono state fin qui cancellate. Scuole, organizzazioni caritatevoli e ospedali, diretti da esponenti del movimento, sono stati chiusi o messi sotto stretto controllo dell'esercito, come la scuola di Mansura, gestita dalla sorella del leader del movimento in prigione, Khairat al Shater. La Commissione parlamentare, incaricata di congelare i beni della Fratellanza, ha sequestrato i fondi di decine di Ong legate al movimento, decidendo il trasferimento di oltre mille associazioni, ora sotto controllo governativo. I beni di migliaia di esponenti della Fratellanza sono stati sequestrati, molti attivisti continuano a marcire in prigione senza accusa e a morire per le condizioni detentive o dopo lunghi periodi di sciopero della fame. Grecia: l'anarchico Nikos Romanos, sta per morire in carcere per sciopero della fame di Pavlos Nerantzis Il Manifesto, 4 dicembre 2014 Le autorità negano il permesso di studio al giovane detenuto Nikos Romanos, che digiuna da 25 giorni. In un paese in cui il governo, sottomesso ai desideri della troika, calpesta tutte le norme costituzionali e i valori umani, approva leggi di austerità - per salvare, come sostiene, "l' economia e il popolo", ma in realtà per servire interessi del capitale finanziario -, e crea una crisi umanitaria senza precedenti, scarcera trafficanti di droga e offre condizioni di lusso in carcere ai detenuti neonazisti di Alba Dorata e a personaggi politici condannati per corruzione, c'è un giovane detenuto che ha chiesto dalle autorità una cosa semplice: la possibilità di frequentare i corsi universitari, come prevede la legge. Solo che la giustizia greca, o meglio alcuni suoi giudici, fanno come il premier Samaras e il suo vice Venizelos: mettono in mostra i loro abusi di potere e violano lo stesso stato di diritto in nome della democrazia. Ieri il consiglio giuridico del Pireo ha rifiutato per la seconda volta la richiesta di questo giovane anarchico, il 21enne Nikos Romanos, al 25essimo giorno di sciopero di fame. La vita di Romanos è ormai a rischio, ma nessuno al governo ha preso fino a ieri l'iniziativa politica di rispondere a una richiesta: non solo per motivi umanitari, ma perché è del tutto legittima. "Non possiamo interferire con l'operato della giustizia. È colpa della legge", ha detto il ministro della Giustizia. E ha aggiunto che il governo sta elaborando un progetto di legge per consentire a Romanos di studiare dal carcere via internet. Il giovane anarchico ha però rifiutato, perché come fanno notare i suoi compagni "un permesso per seguire un corso universitario è anche una boccata di libertà". Intanto cresce la rabbia tra i giovani e così il rischio di una nuova ondata di violenze e di proteste, come nel Dicembre del 2008 con l' assassinio del giovane Alexis Grigoropoulos. Secondo alcuni media, Grigoropoulos era amico intimo di Romanos ed è morto tra le sue braccia. Martedi scorso e ieri, oltre 5.000 persone, malgrado il maltempo, sono scese in piazza ad Atene a sostegno di Nikos Romanos e altri anarchici detenuti, accusando l'autoritarismo dello stato e la violazione dei diritti umani. Alla fine della manifestazione, alcuni giovani hanno dato fuoco a cassonetti e auto parcheggiate nel quartiere di Exarchia, molto vicino al Politecnico. Nel carcere di Korydallos ad Atene, 75 prigionieri si sono astenuti dal cibo in solidarietà al detenuto anarchico. Il caso di Nikos Romanos, arrestato nel febbraio del 2013 insieme con altri tre giovani dopo aver rapito una banca in un paese vicino alla citta di Kozani (nella Grecia settentrionale), aveva subito evidenziato, forse più di ogni altro arresto, il modo feroce con il quale la polizia tratta i giovani che vengono fermati o arrestati durante manifestazioni. I maltrattamenti e le torture sono all'ordine del giorno, oltre al fatto che viene impedito loro di incontrare un avvocato e di comunicare con i propri genitori. Non a caso gli stessi giovani una volta lasciati liberi si lamentano spesso di avere forti stordimenti, dolori in testa, debolezza e sangue nelle urine. Dopo l'arresto di Romanos e dei suoi compagni, la polizia ha pubblicato le foto dei loro volti tumefatti, con evidenti segni di maltrattamento e di tortura, ma nessuno nel governo ha chiesto un'indagine, nemmeno quando la Lega Ellenica per i Diritti Umani ha dichiarato che sporgerà denuncia al Pubblico ministero della Corte suprema. La Corte europea dei Diritti umani ha peraltro condannato decine di volte la Grecia: per casi di tortura e per uso ingiustificato di violenza, spesso razzista, da parte degli agenti di polizia contro detenuti o semplicemente contro giovani fermati e trasferiti di forza alla sede centrale della polizia di Atene. Così è successo ieri con i giovani arrestati durante gli scontri con i Mat, gli agenti della polizia in tenuta antisommossa. "In questi ultimi anni, gli anni dell'uragano dei memorandum e della frenesia anti-migratoria, i pestaggi, i maltrattamenti, le umiliazioni dei detenuti da parte dei poliziotti tendono a diventare un fenomeno abituale", denuncia la Rete per i diritti politici e sociali. E tutto ciò come raccontano avvocati difensori, nel momento in cui in Gada, la stessa sede centrale della polizia "trafficanti di droghe e papponi di alto rango, sospetti di crimini molto gravi, senza essere ammanettati, aspettano il loro turno per essere interrogati, bevendo birre insieme ai loro amici". Romanos si definisce detenuto politico e combattente anarchico: "Ho agito per motivi politici", ha detto durante il processo in cui è stato condannato a 15 anni di prigione. Ha preso il diploma in carcere e poi ha dato gli esami, che tutti i greci considerano molto difficili, quasi "un'odissea per i giovani" per essere ammesso a un'università. Superato l'ostacolo, Nikos non ha accettato i 500 euro come premio dal ministro della Giustizia per essere stato ammesso: perché non vuole tradire le proprie idee. Chiede però il permesso di studio per frequentare i corsi universitari, come prevede la legge. Dalla settimana scorsa, Nikos è all'ospedale di Genimmatas dove i medici si rifiutano di applicare l'ordine del giudice istruttore di alimentarlo a forza. E vuole andare fino in fondo. Pakistan: l'avvocato Mushtaq Gill "Asia Bibi sta male. Aiutatemi a salvarla" di Alessandra Muglia Corriere della Sera, 4 dicembre 2014 Chi difende Asia Bibi muore. E per Mushtaq Gill, 33 anni, tre figli e una ong nel Punjab, ogni giorno potrebbe essere l'ultimo. "Hanno più volte tentato di farmi fuori, sono nel mirino degli estremisti, vogliono impedirmi di dare supporto legale alle vittime accusate di blasfemia in Pakistan" dice al Corriere questo difensore dei diritti umani, in Italia in questi giorni per parlare della donna pachistana cattolica, madre di 5 figli, che nel 2010 si è ritrovata condannata all'impiccagione dopo aver offerto da bere a due colleghe di lavoro, musulmane, ed essersi rifiutata di convertirsi all'Islam. "Abbiamo bisogno di voi, di supporto internazionale, dovete mettere pressione al nostro governo perché elimini quella legge: è diventata un'arma per perseguitare le minoranze, soprattutto i cristiani", si accalora Gill alla vigilia del suo intervento all'università Cattolica di Piacenza. Molti di quelli che prima di lui hanno condotto questa battaglia sono stati eliminati: l'ultimo a maggio, l'avvocato Rashid Rehman. Nel 2011 il ministro per le Minoranze Shahbaz Bhatti e Taseer, governatore del Punjab, la regione con la più alta percentuale di cristiani (il 4%) in un Paese dove oltre il 95% degli abitanti è musulmano, per lo più sunnita (solo il 13% è sciita). Da allora nessun politico pachistano ha più osato schierarsi dalla parte di Asia. Dopo 5 anni di carcere, in isolamento, e di processi faziosi (l'Alta Corte di Lahore ha confermato a ottobre la condanna a morte del 2010), lei è a pezzi: "Sta molto male, ha febbre alta e forti mal di testa, ha perso la speranza" riferisce Gill. Eppure per il futuro lui è ottimista: "Ci sono buone possibilità che la Corte Suprema annulli la sentenza, i suoi giudici sono meno soggetti alle pressioni dei gruppi radicali locali". Quei gruppi che mobilitano le folle per giustiziare i "blasfemi" prima che le condanne siano eseguite, come accaduto alla coppia di cristiani bruciata viva all'inizio di novembre nel Punjab, che Gill ha assistito. Una ferocia che fa orrore. "La comunità musulmana in Pakistan è la più estremista al mondo. Il Pakistan è la fortezza dell'Islam, è nato in nome dell'Islam dopo la "partizione" dall'India. Basti pensare che YouTube nel Paese è bloccato, per impedire la diffusione di filmati "sconvenienti". E che il 95% dei musulmani è su posizioni estremiste, favorevole alla legge antiblasfemia. Il fanatismo è andato aumentando dopo gli attentati dell'11 settembre". Germania: come il calcio prepara i giovani detenuti al reinserimento sociale di Mattia Rosini www.west-info.eu, 4 dicembre 2014 Il calcio entra in carcere per promuovere l'inserimento lavorativo. La Deutscher Fußball Bund (il corrispettivo tedesco della nostra Figc) e l'Agenzia federale del lavoro hanno appena rinnovato la loro partnership, avviata nel 2006 all'indomani dei mondiali di calcio in Germania. La collaborazione andrà avanti fino alla fine del 2016 e - fra le altre iniziative - sarà focalizzata sul reinserimento lavorativo dei detenuti del carcere minorile di Berlino. Il progetto "Anstoß für ein neues Leben" (impeto per una nuova vita) ha l'obiettivo di preparare i ragazzi al ritorno in società dopo il periodo di detenzione, rendendoli pronti per iniziare una formazione professionale o un impiego vero e proprio. Come? Giocando a calcio, naturalmente. I detenuti, dai 16 ai 24 anni, potranno allenarsi una volta a settimana, imparando in questo modo lo spirito di gruppo, il fair play e fondamentali social skills. Inoltre, sarà possibile provare a seguire le orme di Collina o Mourinho, frequentando un corso di formazione professionale da arbitro di calcio o da allenatore. Senza contare che saranno a disposizione consulenti per l'orientamento lavorativo e per la redazione del curriculum. Tailandia: colpevole di "lesa maestà", ex deputato condannato a 30 mesi di carcere Ansa, 4 dicembre 2014 Un ex deputato del partito di maggioranza thailandese è stato condannato oggi a due anni e mezzo di reclusione per lesa maestà, l'ultimo di una serie di casi derivanti dalla recente impennata dell'applicazione del provvedimento. La Corte penale di Bangkok ha punito Prasit Chaisrisa, ex parlamentare del partito Puea Thai, per le parole lesive della famiglia reale pronunciate durante un comizio lo scorso 7 maggio, due settimane prima del golpe che ha dato il colpo di grazia al governo di Yingluck Shinawatra. Prasit aveva parlato nel corso di un raduno delle "camicie rosse" fedeli a Yingluck, intitolato "Basta rovesciare la democrazia" in riferimento ai molteplici interventi dell'establishment militare e giudiziario thailandese contro le vittorie elettorali del clan Shinawatra nell'ultimo decennio. La sentenza è stata dimezzata rispetto agli originari cinque anni di reclusione in quanto l'imputato ha ammesso la sua colpevolezza, una prassi comune in casi simili. Prasit era detenuto da fine maggio, senza la possibilità di tornare libero su cauzione in attesa del processo. Negli ultimi sei mesi, sotto il governo del generale Prayuth Chanocha, i casi dell'applicazione della legge di lesa maestà sono aumentati esponenzialmente. Prayuth ha più volte ribadito la priorità che intende dare alla difesa della monarchia, stroncando sul nascere qualsiasi forma di dissenso. Il re Bhumibol Adulyadej, che venerdì compirà 87 anni, è sul trono dal 1946 ed è considerato semi-divino. Negli ultimi anni ha mostrato progressivi segnali di indebolimento, ma la questione della successione rimane un tabù sui media nazionali. Egitto: proseguono le manifestazioni contro la sentenza di assoluzione per Mubarak Nova, 4 dicembre 2014 Proseguono le manifestazioni al Cairo organizzate dai Fratelli musulmani contro la sentenza di assoluzione per l'ex presidente egiziano Hosni Mubarak, accusato di aver ordinato l'uccisione dei manifestanti il 25 gennaio del 2011. Si sono contate ieri notte, secondo quanto riferisce l'emittente televisiva "al Jazeera", almeno sei manifestazioni notturne in diverse zone del Cairo e di Alessandria. Una manifestazione si è svolta anche ad al Jiza contro l'attuale governo e per chiedere la liberazione degli oppositori in carcere. Nella giornata di ieri invece si sono svolte diverse manifestazioni studentesche di protesta contro il verdetto in favore di Mubarak. Mauritania: leader salafiti detenuti chiede ripresa dialogo con autorità Nova, 4 dicembre 2014 Il leader dei detenuti salafiti mauritani, Mohammed al Amin Ould Ambala, ha chiesto la ripresa del dialogo con le autorità mauritane. Secondo quanto riporta l'agenzia di stampa mauritana "Ani", l'esponente islamico ha chiesto l'intervento degli ulema di Nouakchott affinché convincano il governo ad avviare una fase di riconciliazione nazionale. Secondo il detenuto salafita "la violenza e le condanne a morte non risolvono il problema e non sono la cura".