L'amore entra dentro l'Assassino dei Sogni. Prima parte Ristretti Orizzonti, 3 dicembre 2014 Testimonianza di un Uomo Ombra al seminario di Ristretti Orizzonti sugli affetti in carcere del primo dicembre 2014. Un lettore, che ha letto molti miei libri, mi ha rimproverato perché faccio morire spesso i protagonisti dei miei romanzi. E gli ho risposto: L'ergastolano ostativo muore ogni giorno. E non può farci nulla. Apre gli occhi al mattino. E muore alla sera. E non può farci proprio niente. Io per non morire scrivo romanzi di notte. E per non morire io, faccio morire i miei personaggi al posto mio. (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com) Oggi, ventisette novembre, sono felice perché ho saputo che mia figlia verrà il primo dicembre 2014 al seminario che sta organizzando la redazione di Ristretti Orizzonti nel carcere di Padova per parlare di umanità e affetti nelle carceri italiane. E sono contento nel pensare che io e la mia "bambina" potremo stare insieme per delle ore. Seduti uno accanto all'altro. Mano nella mano. Come un padre e una figlia normali. Rammento spesso a me stesso: meglio morto che vivo. Eppure tutte le mattine continuo ad alzarmi dalla mia branda. Vorrei tanto tornare indietro. E cambiare alcune cose della mia vita. Poi scrollo lentamente e tristemente la testa perché è una cosa che non posso fare. Non posso tornare indietro e vivere la mia vita diversamente. Ogni uomo ha bisogno di sperare più di quanto possa sperare, ma la condanna alla "Pena di Morte Viva" te lo impedisce. Questa notte ho fatto un brutto sogno. Ho sognato di trovarmi in carcere. Ed è triste sapere che ormai persino i miei sogni sono condizionati dal carcere. Oggi, ventotto novembre, per tutto il giorno mi sono sentito un sepolto vivo. Ed ho pensato che nessun morto è più morto di un condannato alla "Pena di Morte Viva". Di tempo in carcere per pensare ne hai a volontà. E oggi riflettevo che non riuscirò mai a risorgere anche se ce la sto mettendo tutta. Più passano gli anni e più mi convinco che non passeggerò mai ai giardini con i miei nipotini. Non respirerò più all'aria aperta come un uomo libero. E magari fermarmi in un bar a bere un caffè forte corretto alla grappa. Ormai posso vivere solo giorno per giorno. Questa notte ho dormito male. Una guardia in uno dei soliti controlli notturni, mi ha sbattuto lo spioncino, mi ha svegliato e non sono più riuscito a dormire. L'Assassino dei Sogni è sempre presente, ti scruta, ti guarda, ti osserva. E alla fine ti mangia vivo. Oggi ventinove novembre, penso che la felicità è l'attesa di un istante di felicità. Ed io sto pensando per tutto il giorno e tutta la notte che fra meno di due giorni durante il seminario sull'affettività starò accanto a mia figlia. Nella mia sezione, al Polo Universitario, sto bene, ma sono l'unico ergastolano ostativo. Molti dei miei nuovi compagni escono in permesso. Ed altri finiranno la loro pena a breve. In questi giorni mi domando cosa ci sto a fare fra i vivi. E sto pensando di farmi trasferire in un'altra sezione o in un altro carcere dove posso scambiare qualche chiacchiera con altri cadaveri come me. Non è naturale questo modo di vivere. Non dovremmo vivere così, senza speranza, futuro e sogni, ma perché non ci ammazzano? È angosciante vivere nell'attesa di nulla o sapendo che non ci saranno altri giorni che questi. Sto perdendo la fiducia in me stesso. E nella possibilità che posso farcela. La verità è una sola, non riuscirò mai ad uscire dall'Assassino dei Sogni. Mi è rimasta solo la speranza di tentare con tutte le mie forze di morire in carcere da uomo libero. Oggi, trenta novembre sto pensando che domani l'uomo ombra e la figlia dell'uomo ombra saranno tutte e due, uno accanto all'altro contro l'Assassino dei Sogni. La notte è però ancora lunga. E l'alba lontana. Tanto vale che mi alzo dal letto e mi faccio quattro passi. Apro la finestra. E guardo fuori dalle sbarre. Non si vede né la luna né le stelle. Fa un freddo cane. L'aria è umida e gelata. Il vento mi frusta il viso. Decido di chiudere la finestra. E mi metto a passeggiare. Cammino avanti ed indietro per la cella. Osservo la notte. Cado assorto nei miei pensieri. E parlo con il mio cuore fino all'alba. L'ergastolano senza scampo si sente buttato via. Per sopravvivere diventa come un bambino perché si sente, ed è diverso, da tutti gli altri detenuti. E si costruisce un mondo di fantasia. Non è però lo stesso facile perché spesso mi sento un uomo distrutto. E infelice per non essere riuscito a fare felici le persone a cui voglio bene. Oggi primo dicembre. Abbraccio con lo sguardo tutto il corridoio. Muovo gli occhi in tutte le direzioni. Ad un tratto vedo che il mio cuore scappa. E mi chiedo dove cazzo sta andando? Finalmente la vedo. È in fondo. In mezzo a decine di persone. Cerco sempre di essere più forte delle mie emozioni, ma davanti a mia figlia non ci riesco mai. Serro le palpebre. Stringo i denti. E sorrido. Osservo mia figlia venire verso di me. Ha le spalle erette. E ha la cammina come sua madre. E mi accorgo che è la più bella. Forse è la più bella perché è mia figlia. E mi assomiglia. Forse però è solo bella. Ed io non c'entro nulla. In tutti i casi è bella come il sole del mattino. E non ha importanza se il merito è della mia compagna. Mi vede anche lei. Il sorriso le sale sulle labbra. I nostri due cuori sono più veloci di noi. Non perdono tempo. E si abbracciano per primi. Papà. Noi due invece perdiamo qualche istante a guardarci dritto negli occhi. Amore. Poi ci abbracciamo. Ti ho sognato ancora prima che nascessi. E ci baciamo sulle labbra. Ed io ti ho immaginato ancora prima di sognarti. C'è anche il suo fidanzato. Abbraccio anche lui. C'è anche il mio "Diavolo Custode". E l'accarezzo con gli occhi. Continua… Ristretti Orizzonti: "Telefonate illimitate e più colloqui per chi è detenuto" di Silvia Giralucci La Stampa, 3 dicembre 2014 "Papà, quando posso venire a trovarti?". "Presto, piccolo mio, presto. Appena starai un po' meglio". "Ma io sto già meglio papà". Ha 8 anni e un cancro al cervello il figlio di Lorenzo, rapinatore in carcere per una serie di rapine e 30 anni da scontare. È morto senza rivedere il papà perché la malattia non gli consentiva di attraversare l'Italia per andare un'ora a colloquio e il padre non poteva avere un permesso. Neppure per il funerale del figlio. È un caso limite, ma neppure tanto, sulla crudeltà di certe regole dell'ordinamento penitenziario italiano, che ha 40 anni e in alcuni suoi aspetti mostra pesantemente la sua arretratezza. Di questo e di come si potrebbe, con piccole modifiche, rendere le carceri più umane si è parlato a Padova in una Giornata nazionale di Studi organizzata da Ristretti Orizzonti, rivista della Casa di reclusione Due Palazzi, intitolata "Per qualche metro e un po' di amore in più". Le relazioni tra un detenuto e la sua famiglia oggi in Italia sono regolate così: una chiamata a un numero fisso di 10 minuti a settimana. Non importa se il detenuto ha genitori anziani che vivono in una casa e i figli in un'altra, o se ci sono figli da donne diverse che vivono in posti doversi. Non importa se i figli sono quattro e il primo è riuscito a prendersi da solo 5 minuti, così all'ultimo ne rimane solo uno. Al nono minuto la voce dell'agente si inserisce avvertendo che il tempo sta per finire e al decimo minuto - tempo per gli squilli compreso - la linea cade. I "colloqui visivi" sono consentiti per 6 ore al mese. Orari e giorni stabiliti. Ma ci sono famiglie per le quali è impossibile fare centinaia di chilometri ogni mese e così queste ore vengono perse. Come avvengono i colloqui? In uno stanzone affollato, 30 - 40 detenuti che incontrano ciascuno la sua famiglia. Bambini piccoli, mogli, genitori anziani. Sempre Lorenzo che, prima di essere detenuto è stato figlio di un detenuto: "Mi hanno chiesto di scrivere sull'intimità: ho pensato ai miei genitori. Il gesto più intimo che ho visto era la mano di mio padre che asciugava le lacrime sul viso di mia mamma durante un colloquio". Suela, una bella studentessa universitaria di Alessandria, padre ergastolano: "Entro nelle carceri da quando ho 6 anni, ho girato l'Italia con mia madre. Quando hai un genitore in carcere è un po' come se lo fossi anche tu. Ho sempre tenuto nascosto a tutti, persino al mio fidanzato, che mio padre fosse un detenuto perché avevo paura di diventare un'ombra anche io". Veronica, 29 anni, madre di due bambini: "Mio padre è stato al 41bis. Avevo 14 anni quando è sparito e ci ho messo un po' a capire che era stato arrestato. In quel momento per me e le mie sorelle è cominciata la tortura. Vederlo dietro un vetro, senza neppure poterlo toccare, è una cosa che ti strappa il cuore. E mi chiedo sempre: ma qualche telefonata in più quando noi figli ne abbiamo bisogno a chi potrebbe far male? A chi può far male l'amore, se non a noi che non l'abbiamo avuto?" "Salvare gli affetti delle persone detenute - spiega la direttrice di Ristretti Orizzonti Ornella Favero - non è buonismo, perché solo mantenendo saldi i legami dei detenuti con i loro cari, genitori, figli, coniugi, sarà possibile immaginare un reinserimento nella società al termine della pena". Le proposte di Ristretti Orizzonti per la campagna "Per qualche metro e un po' di amore in più" sono semplici: telefonate senza limitazioni di tempo, sia telefoni fissi sia a cellulari. "Una misura come questa servirebbe anche come protezione dai suicidi e come argine all'aggressività dei detenuti". Aumento delle ore dei colloqui da 6 a 12 ore mensili, con la possibilità di avere anche colloqui lunghi dove poter pranzare con i propri cari. Allestimento di postazioni per permettere ai detenuti di fare colloqui visivi via Skype con i familiari. E infine locali per i colloqui dignitosi, servizi igienici per i parenti, spazi per i bambini. Per molte di queste misure non servono nuove leggi, basterebbe la buona volontà. Padova, una prigione modello dove i detenuti non sono numeri di Damiano Aliprandi Il Garantista, 3 dicembre 2014 Salvare gli affetti delle persone detenute, anche come investimento sulla sicurezza perché solo mantenendo saldi i legami dei detenuti con i loro cari, genitori, figli, coniugi, sarà possibile immaginare un reinserimento nella società al termine della pena. E questo il messaggio lanciato durante il seminario "Per qualche metro e un po' d'amore in più" organizzato da Ristretti Orizzonti che si è tenuto lunedì scorso nel carcere Due Palazzi di Padova. Il convegno è stato aperto dall'intervento di Salvatore Pirruccio, il direttore del carcere, illustrando le sue concessioni che in altre carceri ancora non avvengono: "Voglio rendere tutti dotti di ciò che l'amministrazione di Padova fa per agevolare l'incontro tra i detenuti e famiglia. I colloqui visivi sono, per legge, sei ore al mese per legge, ma compatibilmente con gli spazi, ho concesso delle ore in più. Nel mio carcere ho autorizzato anche il colloquio con gli amici, proprio per non far perdere la realtà con il territorio. Altra attenzione riguarda i bambini. Durante la festa del papà, organizziamo gli incontri con i figli utilizzando delle sale apposite usufruendo il servizio di telefono azzurro che intrattiene i figli attraverso attività ludiche. Ho autorizzato anche i colloqui dominicali, a turno, di 4 o 5 ore e farli pranzare insieme. Inoltre ho concesso di far durare le telefonate , ovviamente ai numeri autorizzati, più ore rispetto a quelle minime e stiamo lavorando per ampliarle. Abbiamo anche allestito il colloquio tramite Skype". E ha concluso: "Ho dato l'ordine di non interrompere le telefonate, o i colloqui, perché per i detenuti è l'unica emozione che possono permettersi e l'attendono con ansia". Poi è stata la volta di Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, la quale accusa: "Ho chiesto al direttore del carcere di raccontare ciò che ha fatto, perché queste piccole conquiste in altre carceri non avvengono! È una miseria quello che viene concesso oggi ai detenuti e ai loro familiari. Il nostro Ordinamento penitenziario sta per compiere 40 anni: è importante che sia applicato nelle parti che restano innovative e che venga rinnovato in quelle invecchiate, come la parte riguardante gli affetti". Per migliorare le condizioni attuali non serve molto: "Bisogna liberalizzare le telefonate, magari con lo strumento della scheda telefonica. Consentire di mantenere contatti più stretti quando si sta male o quando sta male un famigliare potrebbe davvero costituire un argine all'aggressività determinata dalle condizioni di detenzione e una prevenzione dei suicidi. Oltre a questo, chiediamo che siano consentiti colloqui riservati e cumulabili". Ci sono, però, anche azioni che possono essere attivate subito, senza nemmeno cambiare le leggi, "come dare la possibilità di fare due telefonate in più al mese, concedere colloqui lunghi, aumentare le ore dei colloqui ordinari, consentire i colloqui via Skype per chi non può venire fisicamente, aggiungere agli attuali 45 giorni di permessi premio alcuni giorni nell'arco dell'anno da trascorrere con la famiglia". Tra gli interventi c'è stato quello di Carmelo Musumeci, ergastolano ostativo, il quale ha ricordato che lo Stato dovrebbe dimostrarsi migliore di ciò chi infrange la legge e "non si capisce perché da 23 anni - si domanda Musumeci - non ho diritto ad accarezzare mia figlia, giocare con i nipotini". Perché lo Stato ha paura dell'amore in carcere? "È un'assurdità - risponde l'ergastolano Musumeci - pensare che la rieducazione consista nel rinchiudere il detenuto, buttare via la chiave e abbandonarlo a se stesso!". E conclude: "Il carcere così com'è non è la soluzione, ma la malattia. Se sono come sono ora, non è grazie al carcere, ma all'affetto della mia famiglia che, nonostante i divieti, riesce a darmi". Mauro Palma, presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell'esecuzione penale e consigliere del ministero di Giustizia, annuncia che porterà la questione agli Stati generali della pena annunciati dal ministro: "Il parametro da tenere presente è quello del diritto, secondo cui la pena prevede una restrizione della libertà personale senza però ledere i diritti fondamentali, cioè senza introdurre pene accessorie, come quella della negazione degli affetti". Giustizia: Santi Consolo nominato Capo del Dap, delusione delle associazioni di Damiano Aliprandi Il Garantista, 3 dicembre 2014 Santi Consolo, su decisione del consiglio dei Ministri e suggerimento dello stesso ministro della giustizia Andrea Orlando, è il nuovo capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria. Quindi nessuna svolta storica tanto auspicata dalle associazioni per i diritti dei detenuti come Antigone, i Radicali e gli avvocati penalisti. Il Dap che si occupa di carceri e che ha, sotto di sé, la Polizia penitenziaria, rimane appannaggio dei magistrati. Santi Consolo, già vice capo del dipartimento durante la gestione Ionta fino al 2011, era stato nominato da pochi mesi come nuovo procuratore generale di Caltanissetta dopo aver ricoperto lo stesso incarico nella procura di Catanzaro. Sicuramente è un ottimo magistrato, però la speranza era si potesse interrompere con la tradizione, e non è stato così. Dal 27 maggio che il Dipartimento ero rimasto senza un capo nonostante il sistema penitenziario italiano sia ormai sorvegliato a vista dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e che a da maggio scorso ha concesso un anno di tempo all'Italia per rimettersi in carreggiata sul tema sovraffollamento dopo la storica sentenza del maggio 2013 sul caso Torreggiani. L'ultimo, prima della nomina odierna, a ricoprire l'incarico è stato Giovanni Tamburino, esautorato per scadenza del termine dei 90 giorni entro cui doveva essere riconfermato dal governo Renzi. Da allora erano partite le toto-nomine. In un primo momento si era pensato a Giovanni Salvi, attuale procuratore capo di Catania. Il suo nome era stato dato tra i favoriti già prima della mancata riconferma di Tamburino. Una scelta, quella di Salvi, che sarebbe rimasta nel solco della "tradizione", ponendo a capo del Dap un magistrato, stavolta inquirente come nel caso dell'ex capo del Dap Franco Ionta, rispetto alla parentesi del magistrato di sorveglianza avvenuta proprio con Tamburino. Tra gli altri nomi su cui si pensava potesse cadere la scelta, anche uno vicino al ministro Orlando, cioè Giovanni Melillo, ex procuratore aggiunto di Napoli e attualmente capo di gabinetto del Guardasigilli. Poi però tra i possibili candidati era stato più volte nominato un outsider: il professor Mauro Palma. A tirare in ballo il presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell'esecuzione penale, era stato Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone, in un articolo pubblicato sul Manifesto. Nell'articolo, Gonnella non aveva anticipato la possibile nomina, ma auspicato un cambio di rotta rispetto al passato sperando in un "capo del Dap che abbia il coraggio di non essere solo un funzionario pubblico". Di qui il nome di Mauro Palma, senza il cui contributo, aveva spiegato Gonnella "l'Italia avrebbe subito ben altra sorte a Strasburgo". L'auspicio di Gonnella poi era stato preso in seria considerazione dal sindacato della Polizia penitenziaria, il Sappe. Per il segretario generale del sindacato, Donato Capece, intervistato dal Manifesto, Mauro Palma sarebbe stata la "persona giusta" alla guida del Dap. "Dopo tanta approssimazione - spiegava Capece - c'è bisogno di un esperto, non necessariamente un magistrato o un dirigente interno, ma una persona illuminata. Con lui potremmo fare un percorso alternativo e forse è proprio lui l'uomo che potrebbe restituire dignità al nostro Corpo, attraverso la riforma della Polizia Penitenziaria". Fino però ad arrivare alla tarda serata di lunedì quando, il Cdm, ha conferito l'incarico a Santi Consolo come capo del Dap, dove in passato ha rivestito il ruolo di vicecapo del Dipartimento durante la dirigenza di Franco Ionta. Dal gennaio scorso il magistrato era alla guida della Procura generale di Caltanissetta. Nel corso della sua carriera. Consolo è stato giudice e poi sostituto pg a Palermo, sostituto Pg in Cassazione e anche procuratore generale a Catanzaro. Tra il 1998 e 2002 è stato anche consigliere togato al Csm. Giustizia: Santi Consolo (Dap); lotta al sovraffollamento e riforma retribuzione detenuti Ansa, 3 dicembre 2014 "L'aspetto del sovraffollamento delle carceri è certamente uno dei primi nodi che dovrò affrontare. Si dovrebbe puntare, credo, sul recuperare spazi detentivi in economia ma anche sullo sperimentare, compatibilmente con la sicurezza, forme di libertà maggiori dei detenuti all'interno degli istituti di pena". A parlare è il neo capo del Dap Santi Consolo. Sessantatré anni, dal 1978 in magistratura, una breve esperienza al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria come numero due, ora si accinge ad assumerne la guida. Ieri la nomina del Consiglio dei Ministri. "In realtà - spiega - mi è stata comunicata ufficialmente questa mattina". La palla, perché l'iter burocratico possa essere completato, passa ora al ministro della Giustizia. "Sarà il Guardasigilli - spiega - a chiedere al Csm di mettermi fuori ruolo. Verosimilmente, prima di Natale il Plenum dovrà deliberare e potrò insediarmi". "Sono lontano dal Dap dal 2011 - dice - Dovrò aggiornarmi bene sullo stato delle carceri e su tutti i problemi che dovrò affrontare, relazionarmi con chi ha ricoperto posizioni di vertice, fare una graduatoria delle urgenze. Chiaramente ogni cosa sarà discussa col ministro e si faranno le scelte necessarie". I problemi da affrontare, certo, non saranno pochi. A cominciare da quello del sovraffollamento. "Un aspetto da tenere in grande considerazione - dice - è certamente quello del benessere dei detenuti. Bisognerà fare una ricognizione degli spazi detentivi, recuperare in economia quelli recuperabili e sperimentare, compatibilmente con la tutela della sicurezza, forme di libertà maggiore al'interno degli istituti di pena". "Si dovrebbe arrivare a considerare, quando è possibile, la cella soltanto come luogo di pernottamento e sfruttare le aree comuni del carcere per incentivare l'organizzazione di percorsi formativi di lavoro, la socialità e creare abilità per il futuro reinserimento nel mondo del lavoro". Consolo pensa anche a una riforma della disciplina sulla retribuzione dei carcerati. "Non bisogna cadere negli eccessi. Il problema c'è, ma non si può pensare a un azzeramento della retribuzione. Tranne quando è il detenuto a scegliere di lavorare gratis, la paga si può abbassare (oggi il parametro è quello delle retribuzioni sindacali) ma ci deve essere comunque una soglia sostenibile. Ce lo impone l'Europa". "Una compensazione almeno parziale con le spese di mantenimento in carcere è ipotizzabile - aggiunge. Ma non si può dire al detenuto: da domani cominci a lavorare ma non guadagni". Le disponibilità economiche sono esigue. "Con le somme a disposizione - dice Consolo - si deve ragionare bene sulle soluzioni. Le improvvisazioni non sono pensabili. Tempo fa io avevo proposto una modifica: ridurre la retribuzione ma non per non spendere i soldi residui, bensì per distribuirli meglio e pagare un maggior numero di carcerati". Il neo capo del Dap punta anche sulla differenziazione dei circuiti carcerari a seconda della pericolosità dei detenuti. "Le limitazioni - spiega - devono essere proporzionate alle esigenze di sicurezza". Consolo segue da sempre le problematiche legate alle carceri. Il suo primo incarico fu quello di magistrato di sorveglianza in Sardegna. "Ho fatto anche io qualche anno di galera", scherza. Poi la nomina a pretore e successivamente a giudice di corte d'assise a Palermo. E ancora, la procura generale come pubblica accusa nei processi per gli omicidi Dalla Chiesa e Giuliano. Dal 1998 al 2002 è stato al Csm dove ha presieduto la commissione antimafia. Poi l'esperienza alla procura generale della Cassazione e il Dap. Prima di ricoprire la carica di procuratore generale di Caltanissetta, ultimo suo incarico, ha guidato la Procura generale di Catanzaro. Volontariato fondamentale all'interno del pianeta carcere (Redattore Sociale) Le priorità del neo eletto capo dell'Amministrazione penitenziaria nominato l'altro ieri dal Consiglio dei ministri. L'incarico era vacante dallo scorso 27 maggio. "Nomina, segno di continuità nell'attenzione nei confronti del pianeta carcere". "Attenzione alla tutela dei diritti dell'uomo", "benessere all'interno degli istituti, dai detenuti agli operatori", e un'alta considerazione per il volontariato: "ha un ruolo fondamentale". Sono queste le prime considerazioni a caldo del nuovo capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria (Dap), Santi Consolo, nominato ieri nel corso del Consiglio dei ministri, dopo che per più di sei mesi sul nuovo capo del Dap si sono ricorse solo voci e indiscrezioni. Dopo una mattinata fitta di incontri al ministero della Giustizia a Roma, Santi Consolo racconta a Redattore sociale le sfide per il suo nuovo incarico. "Ho accolto la nomina con grande soddisfazione - spiega Consolo - perché è un ruolo che mi è congeniale: in magistratura ho iniziato come magistrato di sorveglianza. Questa nomina è segno di una continuità nell'attenzione nei confronti del pianeta carcere". Già vice capo del dipartimento durante la gestione Ionta fino al 2011, Santi Consolo (nato a Gangi, nel palermitano, il 4 settembre 1951) nel corso della sua vita professionale ha ricoperto diversi incarichi: è stato sostituto procuratore ad Enna e Nicosia, giudice a Palermo, sostituto procuratore generale a Palermo, procuratore generale a Catanzaro e Caltanissetta. Inoltre, dal 1988 al 2002 è stato componente del Consiglio superiore della magistratura; dal 2010 al 2011 è stato vice capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria. Nella breve parentesi all'interno del Dap, tra le altre cose, ha riscosso anche l'apprezzamento del personale. E il Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria), in una nota pubblicata in occasione del suo ritorno in magistratura, sottolineò la "professionalità, la preparazione e la grande serietà del magistrato siciliano che siamo sicuri avrebbe potuto dare molto alla nostra amministrazione". Come già preannunciato dalla nostra Agenzia, Santi Consoli ha avuto la meglio su tutta una serie di candidati che nel corso dei mesi sono stati sotto la lente dell'esecutivo. Tra questi, vanno ricordati i nomi di Mauro Palma (presidente della Commissione del Ministero della Giustizia per l'elaborazione degli interventi in materia penitenziaria), Giovanni Salvi (procuratore capo di Catania, iniziale favorito), Giovanni Melillo (ex procuratore aggiunto di Napoli e attualmente capo di gabinetto del Guardasigilli). Un'attesa lunga sei mesi. Dunque, nonostante il sistema penitenziario italiano sia ormai sorvegliato a vista dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, che a maggio scorso ha concesso un anno di tempo all'Italia per rimettersi in carreggiata sul tema sovraffollamento dopo la storica sentenza del maggio 2013 sul caso Torreggiani, era dal 27 maggio che il Dipartimento non aveva più un capo. Ultimo a ricoprire l'incarico è stato Giovanni Tamburino, esautorato per scadenza del termine dei 90 giorni entro cui doveva essere riconfermato dal governo Renzi. Da allora, e fino a ieri, più nessuna notizia ufficiale, come del resto anche per altri dipartimenti. Volontariato "fondamentale". Per Consolo, ora, ci sarà un passaggio di consegne delicato da Caltanissetta, dove da procuratore generale è impegnato in processi importanti come quello delle stragi del 1992, a Roma, dove "vi è urgenza di colmare un vuoto - spiega Consolo - e di relazionarsi con tutti quelli che all'interno del dipartimento hanno voglia di collaborare". Un nuovo incarico che vedrà il nuovo capo del Dap impegnato sul fronte del "benessere" all'interno degli istituti, "benessere dei detenuti - aggiunge Consolo - che finisce anche per essere benessere degli operatori che lavorano in questo settore". Al volontariato il riconoscimento di un "ruolo fondamentale" all'interno del pianeta carcere. "Oggi ce lo dice pure il Papa - spiega Consolo: tutti dobbiamo essere sensibili alla sofferenza altrui e cercare di alleviarla. Il volontariato è un'attività nobile, di sostegno, ineludibile. Va considerata con la massima attenzione". Servono più attenzione a diritti umani e benessere dei detenuti (Redattore Sociale) Parla il nuovo capo dell’Amministrazione penitenziaria Santi Consolo: "Il benessere dei detenuti finisce anche per essere benessere degli operatori che lavorano in questo settore". Fatta la nomina, ora bisogna attendere che Consolo possa lasciare l’incarico di procuratore generale a Caltanissetta. Attenzione ai diritti umani, al benessere dei detenuti e al volontariato. Sono questi i primi impegni annunciati a caldo dal nuovo capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap), Santi Consolo, la cui nomina è arrivata durante il Consiglio dei ministri di lunedì 1° dicembre. Classe 1951, siciliano, Consolo è stato sostituto procuratore ad Enna e Nicosia, giudice e sostituto procuratore generale a Palermo, infine procuratore generale a Catanzaro e Caltanissetta, ma nasce come magistrato di sorveglianza. La nomina va a riempire un vuoto a capo del Dap che è durato più di sei mesi e chiude così il lungo totonomine sul successore di Giovanni Tamburino. Consolo non è nuovo all’Amministrazione penitenziaria, dove ha ricoperto l’incarico di vice capo fino al 2011, e dopo una giornata di riunioni al ministero della Giustizia, racconta il suo futuro impegno all’interno del Dap. "Ho accolto la nomina con grande soddisfazione - spiega Consolo - perché è un ruolo che mi è congeniale: in magistratura ho iniziato come magistrato di sorveglianza. Questa nomina è segno di una continuità nell’attenzione nei confronti del pianeta carcere". Un incarico non facile, quello di capo Dap, soprattutto dopo la condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per il sovraffollamento carcerario: "Dobbiamo avere molta attenzione a certe problematiche che attengono alla tutela dei diritti dell’uomo - spiega Consolo. Occorre avviare un discorso collaborativo con la giustizia per quello che si può fare in una situazione che sicuramente non è facile". Nonostante i nodi da sciogliere, Consolo si dice fiducioso. E i dati sulle presenze in carcere in calo fanno ben sperare. "Sono fiducioso perché sono convinto di trovare delle professionalità all’altezza del ruolo - ha spiegato Consolo. Il volto della Polizia penitenziaria sta cambiando perché all’interno abbiamo nuove professionalità. La maggior parte sono diplomati o laureati, persone che hanno acquisito anche una grande sensibilità e attenzione alla sofferenza detentiva. Anche il personale amministrativo è molto qualificato. Se riusciamo ad essere tutti quanti collaborativi per obiettivi di miglioramento, sicuramente si avranno dei risultati. Mi occuperò del benessere all’interno degli istituti, benessere dei detenuti che finisce anche per essere benessere degli operatori che lavorano in questo settore". Per Consolo, un ruolo fondamentale all’interno del pianeta carcere è quello del volontariato: "Oggi ce lo dice pure il papa: tutti dobbiamo essere sensibili alla sofferenza altrui e cercare di alleviarla. Il volontariato è un’attività nobile, di sostegno, ineludibile. Va considerata con la massima attenzione". Fatta la nomina, ora bisognerà attendere che Consolo possa lasciare il precedente incarico e assumere quello nuovo. L’attuale ruolo di Consolo a Caltanissetta, infatti, richiede dei passaggi di consegna delicati. "Attualmente sono ancora procuratore generale a Caltanissetta e mi sto occupando in prima persona di processi abbastanza delicati, come le stragi del 1992 - spiega - Devo prima cercare di dare continuità all’ufficio". Tempi tecnici che, spiega Consolo, "non dipendono da me. Spero si acceleri perché vi è urgenza di colmare un vuoto e di relazionarsi con tutti quelli che all’interno del dipartimento hanno voglia di collaborare. Spero possa accadere quanto prima e che possa cominciare da subito ad assumere iniziative che siano di coordinamento e di indirizzo". Giustizia: nomina di Santi Consolo a Capo del Dap, i commenti di volontari e operatori Ristretti Orizzonti, 3 dicembre 2014 Elisabetta Laganà (Cnvg): congratulazioni a Santi Consolo La Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia esprime le sue congratulazioni a Santi Consolo per la sua nomina a Capo Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria. Questa nomina, che avviene dopo circa sei mesi di attesa dal termine del mandato del Presidente Tamburino, era vivamente attesa, dato anche il rapido scorrere dell'anno di osservazione assegnatoci dall'Europa a seguito della decisione del 5 giugno scorso che ci ha valutato come "sorvegliati speciali" fino al prossimo maggio. La popolazione detenuta, pur essendo significativamente diminuita, è ancora eccessiva di migliaia di unità rispetto alla capienza delle nostre carceri, tuttora sovraffollate. Molte cose sono state fatte, ma un anno passa rapidamente. Per sostenere l'operazione di riforme avviata e lavorare celermente per la messa in regola del nostro sistema penitenziario era necessaria la nomina del Capo Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria. L'anno di tempo concesso dalla Cedu richiede rapidi passaggi e cambiamenti che necessitano di cabine di regia e di risoluto governo del sistema, perché quest'anno possa davvero essere l'occasione per una rivoluzione culturale in termini di costruzione di alternative al carcere e di rovesciamento dell'ottica di centralizzazione della pena detentiva come pena principale. L'urgenza della situazione delle carceri richiede che la questione non sia ulteriormente rimandata; perché rimandare significa aggiungere altri capitoli alla sofferenza del sistema, insistere nelle tragedie che quotidianamente si consumano nelle nostre carceri, come i recenti drammatici suicidi. Molti i problemi ancora aperti delle nostre carceri: dalla qualità della vita negli istituti, al problema del lavoro, alla necessità di una maggiore attenzione alla tutela degli affetti, al tema dei diritti in generale. E, non ultimo, il problema degli Opg, i cui internati, per lo più persone deboli tra i deboli e con pochissimo potere contrattuale, sulle quali grava un forte impianto discriminatorio e di pregiudizio associato ad una concezione penale palesemente arcaica, attendono da troppo tempo una definitiva chiusura degli istituti nei quali sono trattenuti. Su questo problema il dottor Consolo, spesso incontrato dalla Cnvg nelle sue funzioni di Vice Capo Dipartimento, si era personalmente impegnato con intensità, visitando tutti gli istituti, cercando insistentemente soluzioni, per quanto riguardava la parte dell'Amministrazione Penitenziaria, per dimettere definitivamente le persone in situazioni più rispettose della loro condizione. Formuliamo quindi al Presidente Consolo, di cui riconosciamo competenza e autorevolezza, i nostri più sentiti auguri di buon lavoro, ai quali si aggiunge un vivo ringraziamento per le parole espresse sul Volontariato come ruolo fondamentale e ineludibile nel pianeta carcere da considerare con grande attenzione, nell'ottica di un percorso di continuità e collaborazione sancito anche dalla firma del Protocollo di intesa del 13 novembre scorso. Luigi Pagano (Dap): nomina Consolo scelta di qualità Ha competenza per decidere, può intervenire su problemi contando su contributo squadra Amministrazione. "Esprimo soddisfazione per la nomina di Santi Consolo. Unisce qualità e pragmatica, spero possa insediarsi presto". Luigi Pagano, reggente del Dap fino all'insediamento del nuovo capo Dipartimento, commenta così all'Adnkronos la nomina decisa ieri dal Consiglio dei ministri del magistrato Santi Consolo, attualmente procuratore generale di Caltanissetta, al vertice del Dap. "Era necessario - spiega Pagano - che fosse designata una persona che avesse legittimità e competenza per decidere. Soprattutto in un momento così delicato che vede tante tematiche sul tappeto". "La soddisfazione è doppia - ribadisce il reggente del Dap - perché Consolo già conosce la macchina del Dipartimento, ha lavorato a lungo in questa realtà e può intervenire sui problemi contando sul pieno contributo di una Amministrazione che è vitale e funziona al meglio non solo sull'ordinario ma seguendo scelte strategiche e progetti precisi". "In questo periodo - sottolinea Pagano - la squadra del Dap ha lavorato con una visione corale e strategica: Consolo troverà sulla sua scrivania questo valore aggiunto. Sono sicuro - conclude - che saprà utilizzarlo e valorizzarlo". Marroni (Garante Lazio): buona notizia nomina Consolo "La nomina di Santi Consolo a capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria è una buona notizia non solo perché mette fine ad una vacanza che durava da mesi ma anche perché pone, al vertice del Dap una persona seria e preparata che conosce bene i problemi del sistema penitenziario italiano". Lo dichiara, in una nota, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. "Con il consigliere Consolo - ha aggiunto il Garante - abbiamo già lavorato con profitto ai tempi della sua precedente esperienza quale capo vicario al Dap. Oggi, con la nomina ai vertici dell'amministrazione penitenziaria, spero che possa trovare nuovo impulso l'azione volta ad elevare la qualità complessiva delle carceri italiane. La riduzione del numero dei detenuti non è che il primo passo: occorre dare piena applicazione all'articolo 27 della Costituzione, che prevede la pena come percorso di recupero sociale del reo, e garantire migliori condizioni di vita e di lavoro nei nostri istituti di pena. Obiettivi, questi, che sono certo sono fra le priorità del nuovo capo del Dap". Capece (Sappe): Consolo può dare una svolta al Dap "La nomina del magistrato Santi Consolo a Capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è una notizia positiva, che potrebbe dare una svolta all'impantanamento nelle quali si trovano le politiche penitenziarie". È quanto afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe, commentando la nomina di Santi Consolo al vertice del Dap, decisa ieri sera dal Consiglio dei ministri. "È persona preparata, concreta e realista - sottolinea Capece - che con l'esperienza di vice capo Dipartimento ha già dimestichezza con questi temi. Mi auguro si renda conto che non può essere la vigilanza dinamica la soluzione all'invivibilità nelle celle (e quindi al miglioramento delle condizioni di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria) ma si debba lavorare per introdurre l'obbligatorietà del lavoro dei reclusi". Il leader dei baschi azzurri del Sappe sottolinea che "i quasi 10mila detenuti in meno in un anno (erano 64.323 il 31 ottobre 2013, sono ora 54.207) sono indubbiamente il frutto delle molte leggi chiamate svuota carceri entrate in vigore negli ultimi anni. Ma il merito di essere riusciti a distribuire i detenuti d'Italia in modo da allocarli nelle camere detentive, con almeno tre metri quadrati di spazio vivibile per ciascuna persona detenuta - conclude Capece - va attribuito solo alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria che negli ultimi mesi sono stati chiamati dal Dap a sopperire alle gravi lacune di capacità gestionali dei nostri dirigenti dell'amministrazione penitenziaria". Sarno (Uil-Pa): bene nomina Consolo ma servono terapie d'urto "La nomina di Santi Consolo a Capo del Dap è certamente da annoverare tra le poche buone nuove che arrivano dal pianeta carcere. Nella sua passata esperienza da Vice Capo abbiamo avuto modo di poter stimare le qualità umane e professionali del dottor Consoli", aggiunge Sarno. Lo afferma Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-pa Penitenziari, a proposito della nomina di Consoli, che aveva già svolto l'incarico di vice capo Dap tra 2010 e 2011. "Proprio perché abbiamo molto apprezzato la nomina di Santi Consolo - aggiunge Sarno - non possiamo non rimarcare anche il nostro rammarico per l'ennesima occasione persa dalla politica di nominare un capo proveniente dalle file della dirigenza penitenziaria. Nonostante il notevole calo delle presenze detentive registrato negli ultimi mesi (54.428 al 30 novembre), il nostro sistema penitenziario continua ad essere molto malato - conclude Sarno - perché le terapie propinate sono sempre state poco più che dei palliativi. Occorrono terapie d'urto". Giustizia: l'inchiesta di "Report", le carceri e la voglia di lavori forzati di Mario Di Vito www.contropiano.org, 3 dicembre 2014 Accendi la televisione e ti dicono che il sistema carcerario italiano costa circa 2.8 miliardi di euro ogni anno, e che quindi ogni detenuto pesa sulle nostre tasche per circa 4.000 euro al mese. Questo il passaggio che più ha fatto scalpore della puntata di Report andata in onda domenica scorsa su Raitre. Messa così, i risultati possono essere solo due, e per di più molto simili tra loro: da una parte si può pensare che, come al solito, lo stato sperpera cifre inverosimili invece di stringere la cinghia come stanno facendo un po' tutti, dall'altra si può essere portati a pensare che lo stato conceda "ricche prebende" a ladri-stupratori-assassini-e-mafiosi. D'altra parte, il tono dell'italiano medio quando si parla di carcere e giustizia è sempre apocalittico, e la linea di pensiero dominante (che ormai ha sfondato anche ampiamente a sinistra) riguarda il fatto che, in Italia, ci sarebbero troppo pochi arresti e un regime d'impunità permanente in nome del latrocinio e del buonismo generalizzato. Nell'immaginario comune, il carcerato è colui che vive senza fare niente nella stanza di un hotel a cinque stelle, con tre pasti al giorno, la televisione e il parquet lucido per terra. Basta farsi un giro in qualsiasi penitenziario italiano per capire che la realtà è ben diversa, ma i luoghi comuni sono duri a morire. A questo punto, in epoca di populismo esasperato e demagogia a buonissimo mercato, arriva Report e rilancia: lavoro obbligatorio per i detenuti. E a confermare la richiesta a "furor di popolo" ecco un'intervista al super magistrato Nicola Gratteri secondo il quale "i carcerati che rifiutano il lavoro, rifiutano lo stato". Insomma il lavoro considerato non come necessario strumento di socializzazione e reinserimento sociale per i detenuti in nome di un sistema che dovrebbe puntare al recupero del carcerato, ma visto come un risarcimento dovuto allo Stato in termini economici, monetari. I lavori forzati, né più né meno, anche se in versione apparentemente soft. Discutere di temi e problemi simili come ha fatto Report domenica scorsa è pericoloso assai: si dà allo stesso tempo un'informazione sbagliata e si fornisce un punto di vista disonesto sulla reale situazione delle patrie galere. L'informazione sbagliata riguarda il costo di ogni detenuto: nei 4.000 euro calcolati dalla trasmissione di punta di Raitre vanno considerate anche le spese per il personale, la manutenzione, le spese fisse. È un po' come la storiella dei 30 euro al giorno dati ai richiedenti asilo, che in realtà vanno a un complesso sistema di istituzioni e figure professionali e non certo agli aspiranti rifugiati. Trasferite il modello di cui sopra sui carcerati e giungerete alla conclusione suggerita dal programma: ammazzarli non si può - anche se c'è chi da tempo spinge per il ritorno della pena di morte - perché farebbe troppo "soluzione finale", ma si possono sempre tirare fuori i cari vecchi lavori forzati come viatico per mettere a posto gli asfalti dissestati delle nostre città e, allo stesso tempo, far fare qualcosa alle migliaia di reprobi che affollano le carceri del Belpaese. Particolarmente divertente è stato il momento in cui Report è diventato per qualche minuto Striscia la Notizia, con l'inviata che è andata a intervistare i funzionari di qualche comune italiano mettendoli alle strette perché non conoscono la legge italiana sul lavoro volontario dei detenuti per le opere di pubblica utilità. La verità però è che questa possibilità negata non va imputata agli enti pubblici, ma alla magistratura di sorveglianza che, dati alla mano, di permessi lavorativi ai detenuti ne concede con il contagocce. Il punto di vista disonesto, invece, è nel ricatto morale alla base di tutto il discorso: se voi foste un imprenditore in crisi di liquidità o un comune strozzato dal Patto di stabilità, per fare un lavoro chi scegliereste, un lavoratore che poi va pagato o un carcerato che fa tutto gratis? La domanda, va da sé, è da respingere come ennesimo tentativo di mettere gli ultimi contro i penultimi, sport parecchio in voga negli ultimi anni. Infine c'è un piano teorico: dall'Illuminismo in poi è prevalsa la tesi che la pena dovrebbe servire a riabilitare il reo, dovrebbe provare ad avere un senso cioè, non deve essere soltanto un modo facile per separare i buoni dai cattivi. Il lavoro gratuito, che a questo punto non sarebbe volontario ma obbligatorio, rappresenterebbe così una grave violazione dei diritti, oltre che una pesante dose di concorrenza sleale nel mondo del lavoro. Senza considerare che - pochi e mal sovvenzionati, ma non è colpa dei detenuti - alcuni percorsi di reinserimento professionale per i detenuti già esistono in diversi istituti italiani e sono semmai quelli che vanno ampliati, incentivati e resi trasparenti. Report però ha parlato. E gli italiani, soprattutto quelli "di sinistra", hanno ascoltato: basta farsi un giro veloce su Facebook o su Twitter per comprendere in che misura l'idea dei lavori forzati sia tornata rapidamente di moda. In versione soft, naturalmente, perché in qualcosa ci si dovrà pur distinguere dalla destra. Giustizia: carceri, il governo nella strada giusta, ma serve uno sforzo maggiore di Francesco Lai (Componente della Giunta dell'Unione Camere Penali) Il Garantista, 3 dicembre 2014 Sono passati alcuni mesi dall'introduzione nel nostro Ordinamento penitenziario della norma che prevede il riconoscimento di un ristoro in favore di quei detenuti o internati che abbiano subito una sensibile compressione dei loro diritti durante il periodo di espiazione della pena, o anche solo di una parte di esso, essendo stati sottoposti a condizioni detentive inumane e degradanti, con conseguente e grave pregiudizio. La ragione che aveva indotto il Governo ad intervenne in via d'urgenza con il decreto legge n. 92 di fine giugno scorso era data dall'impellente necessità di adottare incisive misure di contrasto al cronico dramma del sovraffollamento carcerario, per il quale il nostro Paese era stato condannato, per violazione dell'art. 3 Cedu, dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, con la nota sentenza Torreggiarli. Provvedimento, quest'ultimo, che aveva gettato una pesante ombra su tutto il sistema penitenziario italiano. E anche vero, però, che quello dei rimedi risarcitoli ha rappresentato un intervento tampone, volto ad evitare nell'immediato l'applicazione di sanzioni per mano europea, ma che sconta notevoli problemi di tipo applicativo, come sta emergendo nelle ultime settimane. Oltre al danno la beffa, determinata dalla difficoltà di ottenere quanto spetta a fronte di un'inumana detenzione. Assistiamo, difatti, a vere e proprie difformità di carattere interpretativo della norma da parte della Magistratura di Sorveglianza, al cui interno parrebbe essersi già formato un contrasto giurisprudenziale di difficile soluzione circa le condizioni di ammissibilità della domanda, tra quanti ritengono necessario il requisito della gravità e dell'attualità del pregiudizio e coloro che invece reputano sufficiente la sua mera allegazione, a prescindere che sia in atto al momento della proposizione della domanda. La problematica e la necessità di porre rimedio ad una situazione deprecabile sono state ripetutamente segnalate dall'Unione delle Camere Penali anche alla politica. In merito, estremamente apprezzabile quanto affermato dal viceministro della Giustizia Enrico Costa il quale, condividendo i rilievi dell'Unione Camere Penali, nel rispondere ad un'interrogazione parlamentare, ha assicurato che, nell'ipotesi di permanenza delle divergenze applicative della norma, si sta concretamente valutando l'opportunità di procedere ud un intervento legislativo finalizzato a por fine, si spera, ai problemi interpretativi che, inutile dirlo, ricadono sull'anello debole della catena, i detenuti. Gli sforzi profusi dal Governo in questi ultimi mesi, sebbene si muovano verso la giusta direzione, quella di garantire ai detenuti un'esperienza carceraria dignitosa ed aderente al dettato costituzionale, non sono però sufficienti perché, come detto, sono figli del momento emergenziale e quindi privi di quella necessaria ponderazione che dovrebbe riguardare una sistematica rivisitazione di tutto il sistema penitenziario. Il dibattito, come è noto, sebbene mai sopito, nelle ultime settimane ha ripreso vigore e si è sviluppato da più parti. Ultima, in ordine di tempo, è stata la trasmissione televisiva d'inchiesta Report di Milena Gabanelli il cui contenuto, benché non sempre condivisibile, ha comunque fornito alcuni spunti di sicuro interesse. Temi, come quello del lavoro ai detenuti, che tramite la loro opera potrebbero ripagare la società del vulnus arrecatole nel momento in cui hanno sbagliato. Eppure, coloro che possono lavorare, all'interno o all'esterno degli Istituti penitenziari, sono solo una minima parte di tutta la popolazione carceraria, la maggior parte della quale passa le proprie giornate a guardare la televisione, leggere i giornali (quando arrivano), fare avanti ed indietro per i corridoi e, in sintesi, oziare. E questo è solo un piccolo esempio. Spesso, nel discutere di funzione e finalità del trattamento sanzionatorio, evochiamo il principio costituzionale della rieducazione come stella polare, punto di riferimento da perseguire perchè fondamentale nel recupero dell'individuo e per il suo rientro alla società. Troppo di frequente dimentichiamo, però, che anche il lavoro rappresenta un diritto fondamentale di ogni cittadino, anche di chi, avendo infranto il patto sociale con la consumazione di un reato, si trova nella condizione di restituire alla collettività ciò che le ha tolto. L'esecuzione di una prestazione lavorativa all'esterno del carcere ed a titolo gratuito muove certamente e coerentemente in questa direzione. In alcuni paesi europei, come l'Irlanda, la Svezia o la Norvegia, questa è una realtà con la quale la gente convive abitualmente, senza motti di repulsione, nella consapevolezza che anche chi ha sbagliato può e deve contribuire con il proprio lavoro al progresso sociale. Una forma di riconciliazione che passa per la necessaria collaborazione di tutti, ad iniziare dalle Pubbliche amministrazioni che però, in Italia, ignorano il tema o, peggio, se ne disinteressano. Perchè non debitamente informate. O chissà per quale altra "misteriosa" ragione. Il lavoro non retribuito in Italia deve rappresentare un'alternativa al carcere, su questo non v'è dubbio alcuno. Una forma di lavoro sociale rispetto al quale, nel nostro Paese, siamo ancora lontani anni luce dal dare segni di vera civiltà. Dal rappresentare il vero Paese delle libertà civili e democratiche. Su questo auspichiamo che il Governo ed il Parlamento si impegnino nell'immediato, magari individuando gli Stati Generali sul carcere come l'occasione nella quale possa apporsi il primo mattone di una vera riforma. Affinché l'Italia, per dirla con Jean Jacques Rousseau, non sia quel Paese in cui "l'uomo è nato libero e ovunque si trova in catene". Giustizia: depenalizzati piccoli reati. La Lega "l'Italia diventerà patria dei delinquenti" di Errico Novi Il Garantista, 3 dicembre 2014 Il Governo depenalizza i reati bagatellari, per i lumbard è un "ignobile regalo al criminali". Il governo ha varato il disegno di legge sulla non punibilità dei reati meno gravi. Cioè sui reati che prevedono non più di 5 anni come pena massima. Il provvedimento non cancella il reato ma esclude il carcere. Una semplice misura di buonsenso, che per il momento è solo un progetto. La legge dovrà superare l'esame del Parlamento e la probabile campagna giustizialista che ragionevolmente unirà una parte della destra e una parte della sinistra. Ieri ha già iniziato la Lega di Salvini, il quale ha dichiarato: "Pazzesco. Il governo Renzi ha depenalizzato alcuni reati "lievi", per cui niente galera per chi commette furto, danneggiamento, truffa e violenza privata. Con la sinistra al potere, l'Italia diventa il paradiso dei delinquenti, Non mi rassegno, la Lega farà opposizione totale a questa foiba". Convinto che le vere difficoltà sarebbero venute dall'Anni, dalla responsabilità civile, insomma dai giudici e non dal Parlamento, il guardasigilli Andrea Orlando si trova all'improvviso in una tempesta politica. A scatenarla è il decreto legislativo che introduce la non punibilità per i reati bagatellari, a condizione che siano segnati da una particolare "tenuità del fatto". La misura è stata varata nella tarda serata di lunedì, in un Consiglio dei ministri finito a mezzanotte. Da Palazzo Chigi il ministro della Giustizia è uscito con un conflitto ancora aperto sulla prescrizione tra il Pd e l'Ncd di Alfano, Ecco, credeva che i grattacapi gli potessero venire da lì, oltre che dalle tensioni con le toghe. E invece il vortice mediatico fa partire una grancassa impressionante su quel mini decreto che pareva l'unica cosa destinata a scorrere liscia. Macché. Il segretario della Lega Matteo Salvini dice che grazie al governo l'Italia diventerà il "paradiso dei ladri". Il capogruppo del Carroccio in commissione Giustizia Nicola Molteni parla di "decreto salva-ladri, l'ennesimo regalo ai criminali". E vai. Prova la Pd Donatella Ferranti, che della commissione Giustizia di Montecitorio è presidente, a replicare: "Qui si tratta solo di evitare processi e dispendio di energie e risorse per il classico furto di una mela", e perciò le accuse dei leghisti sono "infondate, in cattiva fede e strumentali". Ma non basta. Alla sfuriata padana si associa innanzitutto Giorgia Meloni: "I nemici del governo Renzi? Sicurezza e certezza della pena". Poi seppur con toni più misurati, anche Forza Italia con Gasparri e l'Ncd con Formigoni. Interviene Enrico Costa, che nell'esecutivo rappresenta gli alfaniani in qualità di viceministro della Giustizia: "I reati irrilevanti non possono intasare i tribunali". Finché Orlando non pronuncia una difesa ufficiale: "Non è una depenalizzazione: il carcere non c'è per questo tipo di reati per cui viene prevista 1' archiviazione". La Lega, dice il ministro, "fa propaganda su questo punto ma sbaglia, perché l'estensione a dismisura dei reati al fianco di una diminuzione dei tempi di prescrizione, su cui il governo vuole intervenire, ha finora prodotto meno sicurezza e meno deterrenza". Il provvedimento riguarda "soltanto lo fattispecie più lievi all'interno di una ipotesi di reato: ad esempio un furto ma di scarsissima entità, un danneggiamento ma quasi irrilevante. Ed è facoltà del pm stesso chiedere al giudice l'archiviazione, e della vittima richiedere il risarcimento pecuniario e soprattutto opporsi all'archiviazione andando avanti con il procedimento". Dopodiché "le critiche sollevate sono una forma di ipocrisia, molto spesso questi tipi di reato sono ‘bruciati' dal meccanismo della prescrizione: le Procure che sono ingolfate e che si occupano di questioni molto più serie li tralasciano o quantomeno li lasciano in secondo piano". Tutto chiaro. Anche il fatto che, come ricorda il ministro, "siamo tutti d'accordo a intervenire sulla proscrizione e sui tempi dei processi". Poi si tratterà di fare i conti con le toghe, perché il guardasigilli ribadisce che sulla responsabilità civile non sono in vista retromarce. Ma prima bisognerà che si plachi l'urlo leghista per la clemenza di Stato sulle bagatelle. Giustizia: finalmente non si verrà più processati per il furto di una mela di Giovanni Flora (Componente della Giunta dell'Unione Camere penali) Il Garantista, 3 dicembre 2014 Da tempo immemorabile non solo gli studiosi di diritto penale, ma anche tutti coloro che, a vario titolo, si occupano di giustizia penale, predicano che lo strumento della tutela penale, la pena debba costituire la extrema ratio. "De minima non curat Praetor", diceva una saggia massima latina. Sia che si concepisca il diritto penale come sistema di norme poste a presidio dei beni fondamentali della persona umana, della società e dello Stato; sia che lo si veda come forma coercitiva di controllo sociale, la conclusione non cambia: la tutela penale deve intervenire quando tutte le altre forme di protezione giuridica (civile, amministrativa, conciliativa) del bene giuridico si rivelano insufficienti. Quanta sarebbe preferibile che funzionassero adeguatamente i controlli sociali "democratici", come la famiglia, la scuola, le aggregazioni spontanee culturali, sportive, di quartiere. La recente approvazione da parte del Consiglio dei Ministri dello schema di decreto delegato che recepisce le proposte elaborate dalla commissione presieduta dal professor Francesco Palazzo, in tema di non punibilità dei reati caratterizzati dalla "particolare tenuità del fatto", segna una decisa inversione di tendenza. È una scelta coraggiosa e merita un giudizio positivo di fondo. Dal testo che è stato possibile consultare, la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto può comportare l'archiviazione del procedimento, quando è accertata dal Gip, su richiesta del Pubblico Ministero o può comunque essere dichiarata in qualunque stato e grado del procedimento, compresa la fase esecutiva (con modifica in tal senso degli artt. 129, 469 e 652 c.p.p.). Si evita così di instaurare o proseguire procedimenti penali "inutili". Naturalmente ciò avverrà solo quando non debbano prevalere più favorevoli cause di proscioglimento, come quando si debba ritenere che il fatto non sussiste, o non costituisce reato e non è previsto come reato, oppure manchi una condizione di procedibilità o, infine, il reato sia estinto per prescrizione. Bisogna infatti precisare che la causa di non punibilità in questione lascia sussistere la responsabilità civile e quindi legittima la persona offesa a richiedere in sede civile il risarcimento del danno eventualmente subito. Non solo, ma la persona offesa, che ne abbia fatto richiesta, deve essere avvisata della richiesta di archiviazione e può proporre motivata opposizione. Quindi non e ‘è nessun disinteresse per la persona offesa dal reato. I parametri di valutazione della speciale tenuità sono due: esiguità del danno o del pericolo per il bene protetto, modalità della condotta tali da non denotarne una scarsa tollerabilità sociale (questo forse il significato da attribuire alla valutazione delle modalità della condotta in funzione di una valutazione di tenuità del fatto e che può concernere anche il basso grado della colpa e la modesta intensità del dolo). A queste valutazioni se ne deve poi aggiungere un'altra, più semplice: non deve trattarsi di comportamento abituale. Occorre essere, insomma, certi della assoluta assenza di pericolosità sociale dell'autore. Siamo dunque in presenza di una sorta di "depenalizzazione in concreto" di fatti in teoria rientranti in figure criminose anche di medio spessore (puniti con la reclusione fino a cinque anni), ma realizzati con modalità tali da renderli non bisognosi di sanzione penale. Del resto un istituto in tutto simile è già stato da anni sperimentato con successo nel settore della giustizia penale minorile. Non solo, ma esso è presente anche in altre legislazioni o come criterio di giudizio per l'esercizio discrezionale dell'azione penale (nei Paesi dove quello è il regime dell'azione penale), o in base a nonne contenute nel codice penale che consentono di raggiungere lo stesso risultato. Nell'alternativa tra modificare la regola della obbligatorietà dell'azione penale (tale, come si sa, solo "sulla carta") dettandone i criteri legislativi di esercizio selettivi, oppure introdurre un istituto già sperimentato nel campo della giustizia minorile, si è scelta, saggiamente, questa seconda strada. Certo, ancora una volta, ci si affida, come si leggeva nei manuali più risalenti, al "prudente apprezzamento del Giudice" (e del Pubblico Ministero che avanza la richiesta); in modo che sempre più forte si sente l'esigenza di una reale capacità di controllo del Gip che potrà essere tale solo in un ordinamento giudiziario dove le cartiere di Giudici e Pubblici Ministeri sono separate. Certo non mancheranno le questioni sia teoriche sia pratiche di non facile soluzione. Per esempio: la giurisprudenza già conosce numerose ipotesi di non punibilità, per assenza di tipicità, di comportamenti privi di lesività o di "significativa" lesività del bene protetto. Si pensi al falso grossolano, al falso innocuo, al falso inutile, o al "peculato" per l'appropriazione da parte del militare di bossoli di proiettili esplosi. Sarà interessante verificare il confine tra queste ipotesi di assenza di tipicità per assenza di lesività e di non punibilità per particolare tenuità di una offesa da ritenersi comunque presente. Ma il nuovo istituto potrà certamente contribuire ad alleggerire l'eccessivo carico dei processi in modo più razionale, scongiurando le pericolose e inammissibili scorciatoie dell'allungamento dei tempi di prescrizione o della limitazione selvaggia delle impugnazioni. Evitando che vadano sotto processo pensionati che hanno rubato scatolette di tonno e pasta dagli scaffali del supermercato, magari nascondendole sotto il vecchio cappotto, o giovani che in un momento di rabbia, subito sopito, abbiano preso a calci, lesionandola, la macchina dell'ex fidanzata o la abbiano costretta a scendere dal motorino per farle ascoltare la proprie "buone ragioni". Giustizia: non punibilità "piccoli reati", una scelta che si basa su valutazioni di realismo di Carlo Enrico Paliero Il Sole 24 Ore, 3 dicembre 2014 Il decreto legislativo esaminato dal Consiglio dei ministri si inscrive nella strategia di politica criminale orientata, da un lato a comprimere lo spazio pletorico assunto, nel nostro ordinamento giuridico, dalla pena detentiva, dall'altro lato a imprimere un moto deflazionistico ai carichi processuali, come noto per larga parte costituiti da episodi di criminalità spicciola, o comunque medio-piccola. In questa chiave va letta la "miniriforma" sostanzial-processuale che punta a introdurre nel sistema una nuova clausola di esclusione della punibilità per i fatti di minima rilevanza, tradizionalmente definiti dalla penalistica "reati bagatellari" (le Petty Offences dei sistemi anglosassoni, o i Bagatelldelikte degli ordinamenti di lingua tedesca), in ossequio all'antico brocardo, di origine romanistica minima non curat praetor. Questa fenomenologia è trattata, altrove, o attraverso meccanismi processuali di selezione dei fatti di particolare tenuità offensiva da parte degli uffici del pubblico ministero (in Francia e nei Paesi anglosassoni utilizzandosi tout court il potere discrezionale di esercizio dell'azione penale di cui il pubblico ministero è fornito), o (come in Austria) attraverso norme di natura sostanziale, inserite nel codice penale, che riservano al giudice, in dibattimento, di esentare da pena i fatti ritenuti, alla luce di dettagliati criteri, non meritevoli della pena in quanto, appunto, "esigui". La via italiana sembra coniugare sincretisticamente fra loro questi due modelli. Si prevede, infatti, l'introduzione di una norma sostanziale (il nuovo articolo 131-bis collocato a ridosso delle norme che regolano la discrezionalità del giudice nella commisurazione della pena da infliggersi al condannato) che individua i requisiti che, in concreto, un fatto di reato deve rivestire per essere giudicato "particolarmente tenue" e quindi non meritevole di pena; l'applicabilità dell'istituto viene però in prima battuta riservata al pubblico ministero, che ha il potere, in presenza di quei requisiti, di chiedere l'archiviazione del fatto esiguo (così dispone l'articolo 2 del decreto che modifica l'articolo 411 del Codice di procedura penale: toccherà poi al Gip disporre o meno l'archiviazione per tale motivo). L'istituto, riservando a domani un'ulteriore analisi, può riguardare fattispecie di reato in astratto anche di media gravità (la pena massima che ne consente l'applicazione è di cinque anni di detenzione), ma caratterizzate, nel caso concreto, da contenuti di minima offensività del bene giuridico protetto, essenzialmente per l'esiguità del danno cagionato, o del pericolo suscitato, cui devono peraltro aggiungersi in funzione caratterizzante particolari modalità della condotta tenuta che rivelino una scarsa intollerabilità sociale del comportamento; e in questo contesto ben potranno trovare valorizzazione il carattere particolarmente lieve della colpa, se il reato è colposo, o la bassa intensità del dolo, se doloso. Giustizia: sui "piccoli reati" non punibili. Lega e Fi all'attacco, ma il Pd difende il decreto Adnkronos, 3 dicembre 2014 La giustizia torna a rendere incandescenti i rapporti tra maggioranza e opposizione. Pomo della discordia, il decreto legislativo del Cdm di ieri sera sulla non punibilità di reati di lieve entità. Si va dalla truffa alla bancarotta semplice, dalla violazione di domicilio all'omissione di soccorso, dall'appropriazione indebita all'interruzione di pubblico servizio. A dare fuoco alle polveri è la Lega, prima con Nicola Molteni che parla di decreto salva-ladri, poi con lo stesso segretario Matteo Salvini. "Pazzesco - scrive il leader del Carroccio su Facebook - il governo Renzi ha depenalizzato alcuni reati "lievi", per cui niente galera per chi commette furto, danneggiamento, truffa e violenza privata. Con la sinistra al potere, l'Italia diventa il paradiso dei delinquenti. Io non mi rassegno, la Lega farà opposizione totale a questa follia". Il primo in Forza Italia a esprimere contrarietà è il vice presidente del Senato: "Bisognerà esaminare con molta attenzione il provvedimento - dice Maurizio Gasparri. Il diritto penale non può essere piegato a esigenze che i cittadini potrebbero difficilmente comprendere. Un conto è semplificare la gestione delle vicende penali, altro è lasciare impuniti crimini che possono destare allarme sociale". Non ci sta Donatella Ferranti (Pd), presidente della commissione Giustizia: "A ogni provvedimento sulla giustizia riparte la grancassa leghista sul governo salva-ladri, ma qui si tratta solo di evitare processi e dispendio di energie e risorse per il classico furto di una mela". Le accuse sono quindi "infondate, in cattiva fede ed evidentemente strumentali" anche perché il decreto "è l'attuazione di una delega già approvata dal Parlamento e riguarda reati bagatellari puniti con la sola multa o con una pena inferiore ai 5 anni, reati insomma per i quali la custodia cautelare in carcere è già adesso esclusa. Il vaglio spetterà sempre al pm e al giudice, che terrà ovviamente conto anche delle considerazioni della vittima". Scende in campo anche Walter Verini, capogruppo Pd in commissione Giustizia, che chiama in causa le pregresse responsabilità del centrodestra: "L'introduzione di misure di non punibilità per reati di lieve entità non metterà certo a repentaglio la sicurezza dei cittadini, ma potrà consentire al Paese di avere una giustizia più celere ed efficace", afferma Verini. "A nessuno - aggiunge - può essere consentito di agitare paure" e che "siano proprio Matteo Salvini e Maurizio Gasparri a muovere paure è francamente paradossale. Al segretario della Lega e al senatore di Forza Italia vorrei ricordare che è con i governi di centro destra, da loro sostenuti, che sono state varate leggi, come la ex Cirielli, che hanno evitato il carcere a chi aveva compiuto gravi reati ai danni della società". Mentre il procuratore capo di Torino Armando Spataro accoglie "con grande favore" il provvedimento anche come "intelligente strumento di deflazione dei carichi di lavoro gravanti sulle Procure e sugli organi giudicanti penali", dall'interno della maggioranza Roberto Formigoni (Ncd), invita "il governo, e soprattutto il ministro Orlando, a chiarire già dalle prossime ore, con grande attenzione e con dovizia di particolari, il provvedimento riguardante l'archiviazione dei ‘fatti di particolare lievità' assunto ieri dal Consiglio dei ministri. C'è molto allarme, giustificato. È diffuso in tutta Italia, per il ripetersi di episodi di criminalità e in special modo per l'intrusione nelle abitazioni private". Giustizia: riforma custodia cautelare, potrà essere disposta solo per comprovata gravità Il Tempo, 3 dicembre 2014 Ipotesi di modifica del codice di procedura penale, che limita la discrezionalità del giudice. Approda in Aula il provvedimento che prova a delimitare e limitare l'ambito di applicazione della custodia cautelare in carcere. Il Parlamento ha preso atto della necessità di ripristinare una cultura delle cautele penali fondata sul rispetto della presunzione di innocenza e non di colpevolezza, modificando il codice di procedura penale in un'ottica di determinazione effettiva dell'idoneità della custodia in carcere come extrema ratio e di limitazione della discrezionalità del giudice nel valutare le esigenze cautelari, attualmente individuate nel pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione dei reati. Il provvedimento prevede l'obbligo di considerare queste condizioni non soltanto concrete ma anche attuali, nel senso che il rischio che la persona possa fuggire deve ritenersi imminente e non desunto esclusivamente dalla gravità del titolo del reato per cui si procede, precisando che la carcerazione preventiva può essere disposta solo per crimini di comprovata gravità, per i quali è prevista una pena non inferiore a 5 anni e per i reati concernenti il finanziamento illecito dei partiti, e soprattutto quando le altre misure coercitive o interdittive risultino inadeguate. I giudici saranno tenuti, non soltanto a valuta-re rigorosamente ogni opzione alternativa, ma anche a spiegare le motivazioni che ne hanno determinato l'eventuale esclusione. Giustizia: oltre 180 Raccomandazioni dell'Onu all'Italia… dalle carceri ai rom Public Policy, 3 dicembre 2014 Delle oltre 180 raccomandazioni arrivate dall'Onu all'Italia, rilevate nel corso dell'ultima sessione, a Ginevra, dedicata alla revisione periodica delle Nazioni Unite, "25 riguardano processi di ratifica; 26 le istituzioni nazionali indipendenti, includendo anche il garante dei detenuti; 2 il tema dell'istruzione; 2 la protezione dei diritti dei minori; 5 sono in materia di protezione dei diritti delle donne; 20 riguardano il principio di non discriminazione; 5 il contrasto ai crimini di odio e al discorso politico di matrice razzista; altre 5 sul ruolo e sul mandato dell'Unar (Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali; Ndr); 3 la protezione delle categorie vulnerabili; 6 il divieto di tortura e il sovraffollamento carcerario; 5 riguardano il principio di non discriminazione in base all'orientamento sessuale; 13 il contrasto alla violenza di genere". Lo ha detto, durante un'audizione nella commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Gian Ludovico De Martino, presidente del Comitato interministeriale per i diritti umani. E ancora: "8 riguardano il contrasto alla tratta di esseri umani; 3 il divieto delle punizioni corporali; 3 il funzionamento del sistema della giustizia; 3 la tutela della libertà d'espressione e del pluralismo dei media; 5 la promozione dei diritti economici, sociali e culturali; 3 la tutela dei diritti dei disabili; 13 i diritti delle comunità rom, sinti e camminanti; 25 la promozione e protezione dei diritti dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati; 4 l'aiuto sociale allo sviluppo e 2 la protezione dei diritti della minoranza slovena". L'ambasciatore è stato audito in merito alla procedura di revisione periodica delle Nazioni Unite (Universal Periodic Review - Upr), per l'esame della situazione dei diritti umani in tutti gli Stati membri. Giustizia: Pannella "sì, faccio lo sciopero della fame per Provenzano…. è uno scandalo?" di Errico Novi Il Garantista, 3 dicembre 2014 Nella Conversazione settimanale di domenica Valter Vecellio ha paventato il rischio che pur di oscurare i Radicali non parleranno di Pannella neppure ora che difende Provenzano. Nessuno scomporsi neanche di fronte a questo nuovo sciopero della sete, iniziato a mezzanotte anche per chiedere la revoca del 41 bis all`ex boss della mafia. Può darsi avesse ragione Vecellio a "Radio Radicale". Può darsi invece che si vedranno fronti arricciate e nasi storti. Che lo scandalo un po` ci sarà. Il che è cosa grave quanto l'embargo inflitto ai Radicali da gran parte del sistema informativo. Anzi forse lo scandalo è peggio. Perché nell'oscuramento di Pannella e dei suoi compagni c'è almeno una volontà strategica. Nello scandalo per la difesa di un ex boss definito incapace di intendere dai medici del San Paolo di Milano, dove giace in un folle 41 bis, in quello scandalo c'è qualcosa di peggio. L`abbrutimento del senso comune, a essere sintetici. Lo stesso abbrutirsi del senso comune che fa sembrare normali 60 suicidi l'anno in cella, e poi si traduce in scandalo di fronte a un risarcimento universale di 8 euro per chi è stato costretto in 12 in una stessa gabbia, con il gabinetto a fianco al lavandino dove si sciacquano le stoviglie. "Criminali e coglioni". Ecco, Pannella ha solo due parole. Vanno bene per lo Stato - governo e Parlamento - e forse anche per chi fa una strana propaganda sulle carceri. E chiede magari di trasformare in obbligo il diritto al lavoro dei detenuti. "Il governo, le Camere non hanno capito quello che ha detto il presidente della Repubblica. Da Napolitano non si è levato un monito qualsiasi, Napolitano ha parlato dell`obbligo di fuoriuscire da una condizione criminale". "Criminali e coglioni", liquida Pannella, "perché continuano a non vedere un problema persino di immagine: e cioè il fatto che la loro pratica dell`illegalità li qualifica come eredi coglioni dei regimi degli anni Trenta e Quaranta. Sono eredi coglioni della shoah. E per questo", è l'apparente paradosso di Pannella, "bisogna dargli una mano, e come al solito dobbiamo pensarci noi. Devono innanzitutto uscire da questa feroce condizione di illegalità". La cosa bella, si può dire, del leader radicale è che nella sua invettiva c'è persino la consapevolezza dell'impermeabilità altrui. Sa che questa nuova iniziativa potrebbe non bastare, proprio per quell'inerzia che lui chiama coglionaggine. Chiunque, consapevole di questo, si arrenderebbe prima di cominciare. Lui invece si carica di più. Il nuovo Satyagraha è iniziato stanotte dunque. Oggi il leader radicale sarà a Perugia, dove incontrerà il sindaco Andrea Romizi. Poi, alle 16, sempre a Palazzo dei Priori, terrà una conferenza stampa in cui annuncerà ufficialmente il ritorno allo sciopero della sete. Lui ricollegherà la nuova lotta alla condizione generale delle carceri, in particolare all'orribile sequenza di suicidi, all'incompatibilità con il carcere dello stato di salute di molti detenuti. E perciò alla vicenda Provenzano. "Se si scandalizzeranno per Provenzano? Beh, quello è un caso eloquente. Non intende, non parla, è in uno stato clamorosamente incompatibile con la detenzione, eppure gli applicano una misura che serve a impedire di dare ordini all'esterno. Sì, un po` di scandalo ci sarà. Nemmeno troppo. Ma se c'è qualche reazione stronza meglio, così spariamo ancora più forte". Nel confronto con molti suoi predecessori l`attuale ministro della Giustizia Orlando non fa una brutta figura: al suo attivo ha già tre o quattro provvedimenti svuota carceri e tentativi di depenalizzazione, compreso il decreto presentato ieri in Consiglio dei ministri che introduce la non punibilità per i reati particolarmente tenui. Preoccupano però i rigurgiti che vengono dalla pancia della società e si intrecciano con l'indifferenza del Parlamento. Il tutto assume a volte la forma di proposte paradossali come quelle di Nicola Gratteri nell'ultima puntata di Report. Lì il messaggio era: i detenuti costano troppo, almeno facciamoli lavorare. Cosa vorrebbe dire Pannella per scuotere gli italiani dalla miopia sulle carceri? "Che questo atteggiamento viene dalla coglionaggine. Mi spiace ripetermi, ma non siamo di fronte a grandi criminali: quelli che se ne fregano dei detenuti e permangono nell`illegalità sono criminali coglioni, si comportano come eredi dei regimi della shoah". Una svolta in termini di politica generale sulla detenzione, un indulto magari, non sarebbe anche una via dignitosa di dar seguito alle parole di Napolitano proprio ora che il presidente esce di scena? "Ma basterebbe che se le rileggessero, le parole di Napolitano. Lui parla di obblighi, cazzo. Da massimo magistrato della Repubblica. Dice che bisogna uscire dalla condizione di Stati che, in quanto tali, hanno comportamenti e mentalità criminali. Sarebbe l'unica via capace di salvarli. E comunque a nient'altro Lui la denuncia l'ha non c'è stato nessuno o quasi Napolitano non si può chiedere fatta. La cosa incredibile è che si sia reso conto di quanto il presidente è stato temerario". Liguria: Sappe; escalation di eventi critici negli istituti di pena, non preoccupa ma allerta www.cittadellaspezia.com, 3 dicembre 2014 "Il numero degli eventi critici avvenuti in Liguria è indice di costante allerta per la Polizia Penitenziaria. Se pur siamo consapevoli che vi è una riduzione della popolazione detenuta grazie ai vari interventi legislativi resisi necessari dopo il monito del parlamento europeo, è pur vero che gli eventi critici non sono direttamente proporzionali al calo numerico dei ristretti": a porre il problema il segretario Michele Lorenzo segretario regionale del Sappe. "A Genova una detenuta ha letteralmente demolito la stanza del reparto ospedaliero dove era ricoverata. La Polizia Penitenziaria è intervenuta, con le dovute cautele, per far sì non si procurasse delle lesioni a causa della sua escandescenza. Quindi attimi di tensione e di fasi concitate durante le quali la detenuta ha letteralmente demolito alcuni arredi del reparto oltre alle spalliere del letto. Non è il primo caso - commenta - ma questo è stato particolarmente problematico, risolto solo con l'aiuto del personale sanitario con il quale si è riusciti a contenere l'impeto della detenuta. Ad Imperia, invece, mentre era in atto una manifestazione sindacale per denunciare la carenza d'organico della Polizia Penitenziaria e la richiesta della presenza costante di un direttore, si è appresa la notizia che un detenuto italiano è stato salvato dalla Polizia Penitenziaria mentre, nella propria cella, tentava il suicidio". "La nostra protesta si focalizza proprio su Pontedecimo, l'unico istituto penitenziario femminile della Regione. Già il 14 ottobre scorso c'è stata una protesta collettiva delle detenute ed è cronaca di queste ore che in solo 24 ore si sono verificati 2 eventi critici ossia una cella incendiata (sabato 29) e il giorno seguente (domenica 30) un'aggressione alla poliziotta di turno la quale ha riportato delle lesioni ed alla quale vanno i nostri auspici per una pronta guarigione. Oggi nei 6 istituti Liguri sono presenti quasi 1.400 detenuti dei quali circa 700 sono ristretti a Marassi. Sempre alta è la presenza di stranieri con 766 detenuti. Nel primo semestre del 2014 la Polizia Penitenziaria in Liguria ha sventato ben 16 tentati suicidi, intervenuta in 155 casi di autolesionismo, 33 colluttazioni e 229 trasporti urgenti in ospedale. Numeri che sicuramente non preoccupano ma che sarebbe bene non sottovalutare specialmente quando in Liguria vi è una carenza della Polizia Penitenziaria di 314 unità". Lombardia: in Consiglio regionale mozione unanime per tariffario psicologi penitenziari Italpress, 3 dicembre 2014 Adeguare i compensi minimi degli psicologi penitenziari a quelli degli analoghi profili professionali in servizio presso l'Azienda Ospedaliera cui fa riferimento la struttura penitenziaria. Questo l'impegno che Consiglio regionale chiede alla Giunta con una mozione, proposta del Patto Civico, approvata all'unanimità. Il documento, illustrato da Lucia Castellano (Patto Civico), richiama l'attenzione sul fatto che attualmente il trattamento economico di questi professionisti è notevolmente inferiore a quello dei colleghi con analoghe qualifiche, che prestano servizio presso la stessa Azienda Ospedaliera. Nella mozione si fanno presenti le situazioni pressanti di gestione delle emergenze che gli psicologi penitenziari devono affrontare (rischio suicidario dei detenuti, atti di autolesionismo, aggressività). Castellano, illustrando la mozione, ha ricordato le responsabilità anche penali degli psicologi che prestano servizio presso le strutture carcerarie, soprattutto nelle fasi dell'inserimento dei detenuti. Il tema era stato sollevato anche dalla Commissione consiliare Carceri, presieduta da Fabio Fanetti (Lista Maroni). Nel dibattito sono intervenuti i consiglieri Maria Teresa Baldini (Gruppo Misto-Popolari per l'Italia), Marco Carra (Pd), Stefano Carugo (Ncd), Paola Macchi (M5S), Fabio Fanetti (Maroni Presidente), Anna Lisa Baroni (Fi), Antonello Formenti (Ln), Fabio Pizzul (Pd) e l'Assessore Mario Mantovani. Grosseto: Sappe; 40enne tenta di uccidersi in carcere, salvato dai compagni di cella Il Tirreno, 3 dicembre 2014 Un detenuto quarantenne ha cercato di impiccarsi in bagno, l'allarme del sindacato della penitenziaria. Ha tentato di uccidersi nella sua cella del carcere di Grosseto, dove è rinchiuso per i reati di tentata estorsione e sequestro di persona. Protagonista, nel tardo pomeriggio di lunedì 1 dicembre, un detenuto di origine napoletana, quarantenne, tossicodipendente e con problemi psichiatrici. L'uomo ha cercato di impiccarsi nel bagno della sua cella ma per fortuna è stato salvato dai suoi compagni che hanno dato l'allarme e hanno chiesto l'intervento degli agenti di polizia penitenziaria. "Per fortuna l'insano gesto non è stato consumato per il tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari e degli altri detenuti con i quali l'uomo condivide la cella, ma l'ennesimo evento critico accaduto in un carcere italiano è sintomatico di quali e quanti disagi caratterizzano la quotidianità penitenziaria", denuncia Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria che esprime ai poliziotti che hanno salvato la vita al detenuto "apprezzamento e l'auspicio che venga loro concessa una ricompensa ministeriale". Il sindacalista sottolinea che "negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 17mila tentati suicidi ed impedito che quasi 125mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze". La situazione nelle carceri, comunque, resta allarmante. "Per fortuna delle istituzioni, gli uomini della penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio in carcere, come a Grosseto, con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità, pur in un contesto assai complicato per il ripetersi di eventi critici - conclude Capece. Ma devono assumersi provvedimenti concreti: non si può lasciare solamente al sacrificio e alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria la gestione quotidiana delle costanti criticità delle carceri toscane e del Paese tutto". Sesto San Giovanni (Mi): accordo con Tribunale per far scontare "pene lievi" in Comune Adnkronos, 3 dicembre 2014 Lavorare in Comune a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, per scontare la pena per "guida in stato di ebbrezza". Il Comune ha sottoscritto una convenzione con il Tribunale di Monza per "accogliere lavoratori di pubblica utilità". I condannati per guida in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti potranno chiedere di scontare la loro pena lavorando per la collettività. "Questa convenzione - dice il sindaco Monica Chittò - viene incontro a due esigenze importanti: da una parte permettere a chi ha sbagliato di ripagare il proprio debito in maniera più costruttiva e utile alla collettività e dall'altra rafforzare i settori comunali coinvolti, sempre a beneficio dei cittadini". La convenzione, che durerà tre anni dalla data della firma con il Tribunale, prevede che i lavoratori di pubblica utilità possano essere impiegati in vari settori: nelle attività di manutenzione della città e degli impianti sportivi; nella sistemazione dei fascicoli dell'archivio; nella collaborazione con i dipendenti dei servizi per l'infanzia; nell'allestimento e riordino degli ambienti; nel supporto alla squadra di operai per la manutenzione degli stabili comunali; nel supporto agli operatori dei servizi Cultura e Biblioteca; nel supporto alle attività di inventario, nell'attività di riordino di archivi o, infine, in lavori di ufficio esecutivi. La Spezia: aula, aree verdi e sentieri. Inizia il percorso di reinserimento dei carcerati www.cittadellaspezia.com, 3 dicembre 2014 Prende il via giovedì il progetto che vedrà otto detenuti impegnati nella pulizia dei sentieri. Sono otto, carichi di entusiasmo e voglia di riscattarsi agli occhi della comunità. Alcuni sono italiani, altri stranieri, tutti under 50. Sono i detenuti che da giovedì inizieranno il progetto che li vedrà impegnati nella pulizia dei sentieri del Parco delle Cinque Terre, come attività di reinserimento sociale e di utilità per la comunità. Il primo step sarà quello della formazione in aula a cura di Isforcoop e sarà seguito da una fase intermedia durante la quale gli otto carcerati, selezionati tra quelli che rientrano nelle categorie comprese nell'articolo 21 della Legge penitenziaria, si prenderanno cura di parchi e giardini in città per prendere dimestichezza con la mansione e con le attrezzature. Poi sarà la volta dei sentieri del Parco presenti sul territorio del comune della Spezia e dintorni (visto che l'amministrazione spezzina ha finanziato in parte il progetto). Il progetto ha preso le mosse da una lettera inviata agli enti spezzini qualche tempo fa da un gruppo di detenuti che si mettevano a disposizione per la comunità. Dopo una discussione in commissione consiliare il Comune si è fatto carico di portare avanti la proposta, trovando l'interesse del Parco nazionale delle Cinque Terre e della direzione della Casa circondariale di Villa Andreino. Ieri mattina l'assessore al Progetto Tramonti, Davide Natale, il funzionario Federico Colombo e il direttore del Parco Patrizio Scarpellini, alla presenza della direttrice del carcere Cristina Bigi e dell'educatrice Licia Vanni hanno incontrato i detenuti. "Abbiamo riscontrato grande interesse e voglia di fare, non senza un po' di emozione, dovuta anche alla voglia di riscatto - spiega Natale. Si tratta di un progetto formativo, al termine del quale i partecipanti riceveranno un attestato del lavoro svolto, che sarà spendibile una volta scontata la pena". Pisa: accordo con l'Uepe, detenuti faranno i volontari nel parco regionale di San Rossore Ansa, 3 dicembre 2014 Il parco regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli ha stipulato un'ulteriore convenzione con l'Ufficio per l'esecuzione penale esterna di Pisa che porterà persone condannate a svolgere attività di vero e proprio volontariato a favore della collettività nella Tenuta di San Rossore. Lo rivela l'ente in una nota. La direzione del parco, si spiega, "collaborerà con l'Ufficio per l'esecuzione penale esterna nel redigere un progetto individuale per ogni singolo soggetto che vorrà svolgere attività di volontariato: nelle prossime settimane inizieranno a prestare servizio le prime due persone, che per scontare pene alternative al carcere saranno impiegate nei vari settori dell'amministrazione e gestione del parco". Già quest'anno. conclude la nota, il parco "ha attivato varie occasioni per prestare servizio nella Tenuta di San Rossore: dai tirocini retribuiti ai campi di volontariato con la partecipazione di decine di giovani provenienti da tutta Italia impegnati in varie attività organizzate nell'area protetta (pulizia degli arenili, monitoraggio ambientale, presidio del territorio, interventi di ripristino della cartellonistica e di altri manufatti nei sentieri). Viterbo: detenuti al lavoro all'orto botanico, l'accordo tra carcere, Università e Provincia www.viterbonews24.it, 3 dicembre 2014 Stipulato un accordo tra l'ateneo, la Provincia e la casa circondariale di Viterbo. Il carcere non solo come luogo di espiazione ma soprattutto come strumento per il reinserimento nel mondo libero. Con questo obiettivo Università della Tuscia, Provincia di Viterbo e Casa circondariale (rappresentati dai rispettivi responsabili: il rettore Alessandro Ruggeri, il presidente Marcello Meroi e la direttrice Teresa Mascolo) stipulano una convenzione che permette a due detenuti (per ora) di lavorare per sei mesi nell'orto botanico, acquisendo competenze poi spendibili in futuro, di ottenere al termine l'attestazione di giardiniere e di poter guadagnare 400 euro al mese. I primi ad usufruire della possibilità sono stati due detenuti stranieri di 45 e 30 anni (un albanese e un rumeno) selezionati in base alle attitudini e all'affidabilità, oltre al fatto che devono scontare una pena residua piuttosto limitata. "Una perfetta collaborazione fra enti - sottolinea il rettore Ruggeri - che permette anche di dare un aiuto al nostro orto botanico che ha vissuto momenti di sofferenza". "Sinergia davvero felice - spiega la direttrice Teresa Mascolo - e iniziativa che dà valore aggiunto alla loro giornata". "Un bel progetto di sensibilità sociale - sottolinea il presidente Meroi. È sempre assai positivo che le Istituzioni uniscano le loro forze per il bene del territorio". I detenuti sono seguiti dal tutor Giorgio Chioccia ("Abbiamo acceso una fiammella di speranza") e dalla professoressa Monica Fonck (curatrice dell'orto botanico): "Si comincia con la potatura, poi gestione della serra e tutti gli altri lavori. È una sfida coinvolgente e per ora perfettamente riuscita grazie a due tirocinanti molto motivati". "L'Università della Tuscia - chiosa la direttrice generale Alessandra Moscatelli - è particolarmente sensibile a questi temi. Formazione e studio vanno a braccetto. Per esempio offriamo ai detenuti che si iscrivono la possibilità di non pagare tasse il primo anno. Inoltre i neo giardinieri potranno partecipare alla selezione per braccianti agricoli da utilizzare sempre nell'orto botanico". "L'esperienza permette - conclude Teresa Mariotti, funzionaria dei servizi sociali - di acquisire competenze spendibili sul mercato del lavoro. Riceviamo da altri detenuti richieste di informazioni e di partecipazione che contiamo di poter soddisfare". Tutti d'accordo, insomma, sulla validità del progetto e sulla necessità di proseguire l'attività e magari anche di allargare il numero dei partecipanti. Caserta: giovedì convegno "Più lavoro meno recidiva, riflessioni sulle ultime normative" www.campanianotizie.com, 3 dicembre 2014 Frutto della neonata collaborazione tra l'Uepe (ufficio esecuzione penale esterna del Ministero della Giustizia) di Caserta, di cui è direttrice la dott.ssa Giuseppina Levita, e la Commissione Provinciale di Caserta per la realizzazione della parità dei diritti e delle opportunità tra uomo e donna, presieduta dall'avv. Rossella Calabritto, si terrà, il giorno 4 dicembre 2014, ore 16:30, una tavola rotonda sul tema "Detenute: più lavoro meno recidiva - riflessioni sulle ultime normative", che ha ricevuto il patrocinio morale della Provincia di Caserta e del Comune di Vitulazio. L'iniziativa avrà luogo nell'Auditorium Giovanni Paolo II di Vitulazio e vedrà confrontarsi - dopo i saluti iniziali di Don Pasquale Violante, parroco di Vitulazio; del dott. Tommaso Contestabile, provveditore del Dap per la regione Campania; e della dott.ssa Giovanna del Monte, assessore alle politiche sociali del Comune di Vitulazio - la dott.ssa Giovanna Spinelli, magistrato di sorveglianza di Santa Maria C.V., la dott.ssa Carlotta Giaquinto, direttrice della Casa Circondariale "F. Uccella" di Santa Maria C.V., la dott.ssa Maristella Di Mauro, assistente sociale dell'Uepe di Caserta, la dott.ssa Gabriella D'Ambrosio, assessore provinciale alle Pari Opportunità, l'avv. Francesca Sapone, Consigliera di Parità della Provincia di Caserta, l'imprenditrice Luciana Delle Donne, fondatrice della cooperativa sociale "Officine creative" di Lecce e Don Gianni Branco, presidente della cooperativa sociale "Città Irene" di Capua. L'idea di partenza della tavola rotonda - e cioè il lavoro, e in particolare il lavoro delle donne detenute, vero e non assistenzialistico, come forte vaccino contro la recidiva - nasce a margine del decreto ministeriale firmato dal Guardasigilli Andrea Orlando - di concerto con i ministri dell'Economia e del Lavoro - che punta a riunire sotto un unico regolamento le norme successive alla legge Smuraglia per favorire l'attività lavorativa dei detenuti finalizzata sia alla loro rieducazione sia al reinserimento nella società. Il decreto del Ministero della Giustizia n. 148 del 24 luglio 2014, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 22 ottobre 2014 e, quindi, entrato in vigore il 6 novembre 2014, prevede 30 milioni di euro (più di venti per il 2013 e 10 dal 2014) sotto forma di sgravi fiscali e contributivi per le imprese che assumono, per un periodo non inferiore a trenta giorni, lavoratori detenuti. "Questo provvedimento - ha dichiarato il Ministro Orlando - è un tassello importante per l'attuazione del dettato costituzionale che assegna alla pena una funzione rieducativa e per orientare chi ha scontato la sua pena al reinserimento nel tessuto sociale ed economico-produttivo. I detenuti che in carcere non svolgono alcuna attività hanno nel momento del loro ritorno nella società un altissimo tasso di recidiva: la media scende invece drasticamente per chi ha seguito percorsi iniziati all'interno del carcere e proseguiti all'esterno in misura alternativa o nelle forme previste dall'art. 21 dell'Ordinamento penitenziario. I dati di esperienza - conclude il Guardasigilli - dimostrano che l'effetto dell'inserimento sociale dei detenuti è dunque anche un fattore fondamentale per la sicurezza dei cittadini". Al termine della tavola rotonda ci sarà un rinfresco offerto da Medea Resort hotel di Triflisco, Bellona, servito dagli alunni dell'I.P.S.S.A.R.T. di Teano, guidato dal dirigente scolastico, prof. Francesco Mezzacapo. Sia il Medea Resort che l'istituto professionale di Teano hanno offerto questo loro contributo, credendo fermamente nel progetto dell'incontro. Udine: pestaggio fra detenuti albanesi, la denuncia del sindacato di polizia penitenziaria Il Friuli, 3 dicembre 2014 Forse il pretesto del furioso pestaggio tra detenuti albanesi avvenuto lunedì 1 dicembre in una cella del primo piano del carcere di Udine è tra i più futili, ossi a l'incapacità di convivere, seppur tra le sbarre, con persone diverse. O forse le ragioni sono da ricercare in screzi di vita penitenziaria o in sgarbi avvenuti fuori dal carcere. Fatto sta che lunedì sera nel carcere di Udine tre detenuti albanesi se le sono date di santa ragione. E se non fosse stato per il tempestivo interno dei poliziotti penitenziari le conseguenze della rissa potevano essere peggiori. La denuncia arriva dal Sindacato più rappresentativo e con il maggior numero di poliziotti penitenziari iscritti, il Sappe, che denuncia come resta sempre alta la tensione nelle carceri italiane. Spiega Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, oggi in visita proprio nel carcere di udinese di via Spalato. La rissa tra detenuti a Udine è sintomatico di una emergenza penitenziaria che permane, nonostante tutto, sedata in tempo dai bravi poliziotti penitenziari in servizio che mi auguro vengano premiati per l'ottimo intervento operativo. Non so come si possa parlare di emergenza superata, visto che in Friuli Venezia Giulia si sono contati, dal 1 gennaio al 30 giugno 2014, 8 atti di autolesionismo, 2 tentati suicidi sventati in tempo dalla Polizia Penitenziaria, 17 colluttazioni e 5 ferimenti. Tolmezzo è la prigione con il maggior numero di episodi di autolesionismo (quando un detenuto si lesiona il corpo ingerendo chiodi, pile, lamette, o procurandosi tagli sul corpo): sono stati 4 in se mesi. Gli altri, sono avvenuti a Pordenone, Gorizia, Udine e Trieste. A Pordenone e Tolmezzo si sono verificati i 2 tentati suicidi sventati dai poliziotti ed anche le colluttazioni e i ferimenti: 2 ferimenti e 4 colluttazioni a Tolmezzo, 3 e 13 a Pordenone. La situazione nelle carceri resta dunque sempre allarmante, nonostante in un anno il numero dei detenuti sia calato, in Friuli Venezia Giulia, di oltre duecento unità: dagli 812 del 31 ottobre 2013 si è infatti passati agli attuali 600, mentre a livello nazionale sono oggi detenute 54.207 persone rispetto alle 64.323 dello scorso anno (10.116 in meno). Capece sottolinea infine che nel corso della mia vista nelle carceri friulane di Udine e Tolmezzo ho trovato dei poliziotti penitenziari molto determinati, che credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d'identità e d'orgoglio. Agenti, Sovrintendenti, Ispettori, Funzionari che lavorano ogni giorno, nel silenzio e tra mille difficoltà ma con professionalità, umanità , competenza e passione nel dramma delle sezioni detentive italiane. A loro va il plauso mio personale e del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe". Rossano Calabro (Cs): Uil-Pa; detenuto aggredisce assistente capo di Polizia penitenziaria Ansa, 3 dicembre 2014 Un assistente capo della Polizia penitenziaria è stato aggredito ieri pomeriggio, al rientro delle attività di socialità in comune, da un detenuto ergastolano del circuito ad alta sicurezza, di origine campana, ristretto nella casa di reclusione di Rossano, che l'ha colpito con testate, calci e pugni. L'intervento di altri operatori ha evitato il peggio. Il poliziotto è stato accompagnato al pronto soccorso dell'ospedale dov'è stato visitato e curato, riportando una prognosi di sette giorni. A rendere noto l'episodio è stato Gennarino De Fazio, segretario nazionale della Uilpa Penitenziari. "L'ennesima vile ed immotivata aggressione ad un appartenente al Corpo di polizia penitenziaria, pur rientrando oggettivamente fra i rischi del mestiere - ha sostenuto De Fazio - è indice di un processo riorganizzativo dell'Amministrazione penitenziaria che se pur ha consentito di superare le censure della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo è ancora lungi dall'essere completato. E se ciò è inconfutabilmente vero su scala nazionale, ancor di più lo è in Calabria dove da oltre 4 anni non viene nominato un Provveditore regionale titolare e dove i circuiti detentivi differenziati, così come il nuovo modello organizzativo solo teorizzato dall'amministrazione centrale, sono un lontano miraggio. Proprio ieri il Consiglio dei Ministri ha nominato Santi Consolo, già procuratore generale a Catanzaro, Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria dopo quasi otto mesi di vacanza. Auspico che questa nomina dia nuova linfa all'iniziale progetto riorganizzativo dell'Amministrazione, ma che si faccia tesoro delle numerosissime osservazioni e proposte avanzate in questi mesi dal Sindacato, anche affinché l'immane sacrificio degli eroi silenziosi della Polizia penitenziaria non venga vanificato. La scorsa estate il carcere rossanese è stato oggetto di attenzione mediatica ed istituzionale per presunte irregolarità nella gestione e persino maltrattamenti. In quell'occasione abbiamo preferito tacere nel compiuto rispetto delle istituzioni di cui noi stessi, in altro ruolo, facciamo parte e nella convinzione che ogni accertamento e verifica oltre a rispondere ad elementari richieste di giustizia, democrazia ed umanità dell'esecuzione penale non possa che avvalorare e far emergere la diuturna e meritoria opera che la Polizia penitenziaria svolge in prima linea e quasi in solitudine nelle frontiere penitenziarie. Adesso ci auguriamo che le istituzioni tutte facciano chiarezza ed assumano i consequenziali provvedimenti anche su questo episodio". "La settimana prossima - ha concluso De Fazio - mi recherò personalmente nella Casa di Reclusione di Rossano per avere esatta e diretta contezza dello stato organizzativo e per portare la solidarietà della Uil-Pa Penitenziari al collega oggetto dell'ignobile aggressione, a cui auguro sin d'ora una pronta guarigione". Droghe: da Cassazione test retroattività per reati legati a nuove sostanze previsti dal Dl 36 di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 3 dicembre 2014 Saranno le Sezioni unite della Cassazione a dire se i reati legati all'uso delle droghe che sono state introdotte nelle tabelle delle sostanze stupefacenti per la prima volta col Dl 36/2014 sono punibili anche se commessi prima dell'entrata in vigore della norma. Con la sentenza 50055, la Cassazione chiama le Sezioni unite a esprimersi sulla rilevanza penale delle condotte che riguardano l'uso delle droghe introdotte nelle tabelle allegate al Testo unico sugli stupefacenti (Dpr 309/90) dopo che la sentenza della Corte costituzionale ha "travolto" la legge Fini Giovanardi (la 49/2006). La Consulta (32/2014) ha passato un colpo di spugna sulle tabelle e sui decreti di revisione per far rivivere quelle operanti prima della legge bocciata. Una black-list in cui figuravano sia le sostanze inserite fino all'entrata in vigore del Testo unico sia quelle frutto degli aggiornamenti, ma dalla quale mancavano le numerosissime sostanze che avevano allungato l'elenco dopo l'avvento della Fini Giovanardi (27 febbraio 2006) fino al 5 marzo 2014, data di pubblicazione della sentenza della Consulta. Un vuoto normativo che ha indotto il Governo ad adottare il Dl 36/2014, applicabile dal 21 marzo 2014, con il quale sono state reintrodotte quattro tabelle con l'indicazione di circa 500 sostanze cancellate dall'effetto Consulta. La Cassazione ricorda che esiste il principio in virtù del quale la normativa sugli stupefacenti non si può applicare se le condotte hanno "a oggetto sostanze droganti non incluse nel catalogo di legge". E si interroga sul da farsi. I giudici rinunciano a dare una risposta in autonomia e chiedono lumi alle Sezioni unite, sottolineando che il problema è stato affrontato da alcune Procure della Repubblica con conclusioni diametralmente opposte, cosi come accaduto in dottrina. Secondo una scuola di pensiero, in nome della irretroattività della legge penale, va applicato il trattamento più favorevole al reo. La sentenza della Consulta avrebbe messo in atto un'abolitio criminis "rispetto a tutti i fatti concernenti le sostanze introdotte per la prima volta nelle tabelle dal 2006", con effetto sia sui processi in corso sia sulle sentenze passate in giudicato, che andrebbero revocate in conseguenza dell'abolizione del reato (articolo 673 del Cpp). A supporto di questa tesi ci sarebbe anche l'articolo 2 del Dl che, riguardo agli atti amministrativi adottati prima della sentenza della Consulta, precisava che questi continuavano a produrre effetto. Mentre, in sede di conversione, il verbo "continuano" è stato sostituito da "riprendono": un cambio in corsa fatto per fugare i dubbi sull'intenzione di introdurre una disciplina retroattiva. Per chi invece sostiene la tesi della punibilità, anche la sostituzione del verbo è compatibile con l'evidente intenzione del legislatore di prevedere una disposizione transitoria introducendo le sostanze cancellate dalla Consulta. Ci sarebbe, infatti, un margine di manovra nel limitare la retroattività della legge più favorevole, quando si scontrano interessi di rilevanza costituzionale. Droghe: un'indagine via web per i consumatori di Susanna Ronconi Il Manifesto, 3 dicembre 2014 In tempi di brain imaging e, in Italia, di emarginazione (e povertà) per quei ricercatori che vogliano conoscere stili e modelli di consumo di droghe attraverso le parole dei protagonisti, è una buona notizia quella della traduzione in italiano della Global Drug Survey (Gds) 2015, la più vasta ricerca indipendente sui consumi: grazie a un gruppo volontario messo insieme da Forum Droghe è ora accessibile on line anche in italiano, e sarà possibile anche da noi compilarne i questionari dettagliati, scegliendo le parti che più interessano o sono coerenti con il proprio stile di consumo. Cos'ha di diverso questo monitoraggio? Prima di tutto non dipende da governi o agenzie internazionali, è promosso da un team europeo di ricercatori indipendenti coordinato da Adam Winstock, psichiatra di Londra; poi, ha un approccio che assume la prospettiva dei consumatori, pragmatico e ovviamente non giudicante, ma soprattutto attento sia alle ragioni dei consumatori per le loro scelte che alle strategie individuali mirate a un consumo sicuro. E sono proprio i consumatori a fornire, con la loro vasta partecipazione, un quadro dettagliato non solo delle sostanze d'uso (incluse quelle legali e quelle emergenti) ma anche delle modalità, delle strategie di controllo e limitazione di rischi e, di contro, di episodi problematici. Si tratta di una conoscenza non accademica finalizzata alla consapevolezza e al benessere di chi consuma: l'obiettivo dichiarato di Gds è quello di utilizzare le informazioni raccolte per costruire un quadro realistico e aggiornato, nella prospettiva di elaborare il più dettagliato manuale di "uso sicuro" di droghe, basato sulle competenze dei consumatori, perché "se i governi continuano a ripetere che è necessario "dire di no" alle droghe, milioni di persone nel mondo continuano a "dire di sì", ma cercano di evitare rischi e possibili danni" (Gds). Tanto che oltre alla ricerca il progetto Gds produce due servizi importanti: un manuale di riduzione del danno redatto grazie alle informazioni fornite dai partecipanti alla ricerca dello scorso anno (High Way Code, solo in inglese); e Drugsmeter, un automonitoraggio on line, grazie a cui è possibile testare autonomamente il proprio consumo, per accrescere consapevolezza e limitare rischi. Nel 2014, 80.000 consumatori di tutta Europa e da Australia, Brasile, Stati Uniti, hanno partecipato in modo anonimo e senza filtri alla ricerca, e i risultati sono stati diffusi a livello globale raggiungendo oltre un milione di persone. Nel 2015 Gds è ancora più accessibile: tradotta in 10 lingue, incluso appunto l'italiano, conta di coinvolgere almeno 120.000 partecipanti e fornirà i suoi risultati on line nel giugno 2015. L'obiettivo dichiarato di facilitare il contenimento di danni e rischi, la facile accessibilità via web e la numerosa partecipazione globale dei consumatori porta il monitoraggio Gds fuori da due tradizionali "tunnel della ricerca", quello che porta a concentrare gli studi più approfonditi sulla quota (minoritaria) di popolazione variamente istituzionalizzata; e quello che porta a lavorare su campioni limitati quando si tratti di fare ricerca su popolazioni "invisibili perché normalizzate" nel loro consumo. Non solo i numeri colpiscono, nella ricerca, ma anche l'estrema varietà di stili, sostanze e culture del consumo, altrimenti davvero difficili da raggiungere. Si può partecipare alla ricerca fino al 20 dicembre 2014 sul sito: www.globaldrugsurvey.com/gds2015. Guinea Equatoriale: la nuova fiaccolata per Roberto Berardi, detenuto dal gennaio 2013 www.latinatoday.it, 3 dicembre 2014 A poco più di un anno dall'altra fiaccolata, i familiari e gli amici dell'imprenditore pontino detenuto dal gennaio 2013, tornano in piazza per chiedere aiuto e sensibilizzare le istituzioni. L'accorato appello della madre. poco più di un anno da un'iniziativa simile e a quasi due dalla sua carcerazione nella Guinea Equatoriale, i familiari e gli amici di Roberto Berardi sono pronti ad una nuova mobilitazione per chiedere aiuto ma anche per sensibilizzare le istituzioni. Per giovedì 18 dicembre è prevista una nuova fiaccolata per chiedere la liberazione dell'imprenditore pontino detenuto dal gennaio 2013. Il corteo partirà alle 18.30 in piazza San Marco per poi concludersi davanti la Prefettura. Questa volta a parlare è la madre di Roberto Berardi, Silviana Malafronte, che insieme ad amici e familiari ha costituito un comitato, e lo fa in una lunga nota pubblicato sulla pagina Facebook dedicata al figlio. "È trascorso poco più di un anno da analoga iniziativa, qualche azione diplomatica è stata effettuata, purtroppo con esiti negativi, al punto che il detenuto signor Roberto Berardi successivamente alle visite ufficiali dei nostri ambasciatori, viene puntualmente frustato, privato del cibo e ristretto in cella d'isolamento senza alcuna luce dove si trova ormai da oltre 11 mesi. La triste vicenda è già stata trattata dagli organi di informazione nazionali e locali che vedono il Sig. Berardi Roberto privato della libertà personale, senza alcuna accusa e con un processo "farsa", ristretto nelle carceri della Guinea Equatoriale, senza dignità e senza aver diritto neanche alla somministrazione dei pasti" scrive Silviana Malafronte che ricorda con sofferenza le precarie condizioni del figlio ridotto a 50 chili e che ha subito 5 attacchi di malaria. "Vogliamo restituire Roberto all'affetto dei suoi familiari ed amici, seppur provato, ma in vita, onde evitare di versare lacrime sulla sua bara, perché questa sarebbe una sconfitta per tutti e per la nostra città". Ed è una data non casuale quella del 18 dicembre, come spiega la stessa donna. "Un altro Natale senza Roberto ci rende più tristi, noi oggi, nella ricorrenza del Natale di Latina ed in prossimità delle imminenti Festività Natalizie, siamo ancora più addolorati, senza nulla da festeggiare". Venezuela: Hrw; 41 morti il bilancio della rivolta in carcere, inchiesta imparziale sui fatti Ansa, 3 dicembre 2014 Sono già 41 i detenuti morti nel carcere venezuelano di Uribana, nello stato di Lara (centro ovest del paese), a causa di una presunta intossicazione con medicinali rubati nella farmacia del penitenziario durante una rivolta, mentre Human Rights Watch (Hrw) ha chiesto al governo di Nicolas Maduro di autorizzare "un'inchiesta esaustiva ed imparziale" sulle circostanze della morte dei prigionieri. Humberto Prado, portavoce della Ong Osservatorio Venezuelano delle Prigioni (Ovp), ha diffuso oggi il nuovo bilancio di vittime, precisando che almeno una decina di altri detenuti sono attualmente ricoverati in condizioni gravi o in coma. Le autorità hanno riconosciuto finora solo 35 morti. Il deputato William Ojeda, presidente della commissione parlamentare che si occupa di politica penitenziaria, ha ribadito la settimana scorsa che i prigionieri di Uribana sono morti dopo una rivolta scoppiata il 24 novembre, quando, "non avendo droga a disposizione, hanno pensato di mescolare medicine e alcol", ma d'altra parte il direttore del carcere, Julio Cesar Perez, è stato arrestato dalla Guardia Nazionale. José Miguel Vivanco, responsabile di Hrw per l'America Latina, ha detto da parte sua che il governo di Caracas deve "agire per migliorare le condizioni nelle prigioni e affrontare il problema della violenza interna", ricordando che "migliaia di detenuti sono morti nei carceri venezuelani negli ultimi anni, e decine in quello di Uribana dal 2013", quando almeno 63 detenuti sono morti e altri 120 sono rimasti feriti durante scontri con le forze dell'ordine scatenati da una perquisizione interna alle celle. Stati Uniti: pena di morte; ultimi appelli per malato mentale, domani su lettino iniezione di Alessandra Baldini Ansa, 3 dicembre 2014 Ultimi appelli alla Corte Suprema degli Stati Uniti per un malato di mente in Texas che dovrebbe essere messo a morte domani. I legali di Scott Panetti, condannato all'iniezione letale per aver ucciso gli ex suoceri davanti alla ex moglie e ai figli, hanno chiesto ai giudici di Washington di fermare la mano del boia e determinare se chi soffre di gravi disturbi psichiatrici debba essere esente dalla pena capitale. "Non c'era dubbio che Panetti fosse gravemente malato di mente prima, durante e dopo il delitto per cui è stato condannato", ha detto la legale dell'uomo, Kathryn Kase, nel ricorso alla Corte in cui si afferma che lo stato mentale del detenuto "è ulteriormente peggiorato dal giorno dell'ultimo esame psichiatrico nel 2007". Nel 2002 i giudici di Washington hanno vietato le esecuzioni dei minorati mentali che, si legge nella sentenza, violano il bando della Costituzione sul ricorso a pene crudeli e inusuali. Hanno pero' sempre dato luce verde ai malati di mente a patto che il condannato "capisca razionalmente le ragioni per cui viene messo a morte". Altri ricorsi dell'ultim'ora sono in corso davanti ad una Corti d'Appello. Secondo Ellen Stewart-Klein, assistente procuratore dello stato del Texas, "lo stato mentale di Panetti è stato enormemente esagerato dai suoi legali". Ieri intanto Il Texas Board of Pardons and Paroles ha respinto all'unanimità la richiesta dei legali di un rinvio di 180 giorni per consentire una nuova perizia psichiatrica o un invito al governatore Rick Perry di commutare la condanna all'ergastolo. Panetti, che ha 56 anni, è stato condannato a morte nel 1995 al termine di un processo in cui si è difeso da solo presentandosi in aula vestito da cowboy e chiedendo alla corte di convocare oltre 200 testimoni tra cui il Papa, Gesù Cristo, JFK, una serie di attori e attrici e molte persone già defunte. L'uomo - sostengono gli avvocati - non capisce le ragioni della sua condanna: ritiene che sia il frutto di uno stato di "guerra spirituale" tra "i demoni e le forze delle tenebre da un lato, e dall'altro Dio, gli angeli e le forze della luce". Panetti ha una lunga storia di problemi mentali: una diagnosi di schizofrenia a 20 anni, mentre per 13 volte prima del delitto era stato ricoverato per disturbi psichiatrici. Il caso è finito per tre volte davanti alla Corte Suprema, l'ultima in ottobre, è la decisione non è stata a favore del condannato. Il caso Panetti è stato al centro di una mobilitazione internazionale e anche negli Usa è tornato a sollevare i dubbi sull'applicazione della pena di morte: "Una società civile non dovrebbe mettere a morte nessuno. Ma certamente non può pretendere di aderire ad alcuno standard morale accettabile di colpevolezza se uccide qualcuno come Scott Panetti", aveva scritto il New York Times in un editoriale del 23 novembre. Iran: Manconi; chieste a Larijani risposte su diritti umani, per tavolo negoziato nucleare Ansa, 3 dicembre 2014 La possibilità di accesso dell'Onu e delle grandi organizzazioni per i diritti umani in Iran e in tutti i luoghi "dove si possano sospettare violazioni dei diritti umani", e una risposta sui "numerosi episodi di trattamenti inumani e degradanti, se non di tortura, nelle carceri iraniane" denunciati in un recente rapporto delle Nazioni Unite. Sono questi due dei quattro "punti critici" su cui il presidente della Commissione sui diritti umani del Senato, Luigi Manconi, si è soffermato in un incontro con Mohammad Javad Larijani, segretario generale dell'Alto Consiglio per i diritti umani in Iran. Questioni poste sulla base di rapporti circostanziati e su cui ha chiesto un testo scritta. Manconi ha anche parlato con Larijani di "segnalazioni attendibili" su "politiche di discriminazione" nei confronti di iraniani di fedi evangeliche, vittime di "persecuzioni" e "numerose" incarcerazioni. Ha infine citato l'esecuzione di Reyhaneh Jabbari, la giovane "accusata di aver ucciso il suo aggressore", ha ricordato Manconi, che per "l'opinione pubblica mondiale è un episodio rappresentativo, nella sua estrema manifestazione, di una condizione di non parità delle donne in Iran". E ha ricordato che il numero delle esecuzioni pone l'Iran "tra i primissimi paesi al mondo" per la pena di morte. È prioritario, ha insistito Manconi, che il negoziato internazionale sul nucleare iraniano prosegua "contestualmente all'affermazione della necessità della tutela dei diritti umani fondamentali", di cui "in Iran si perpetua la violazione". L'incontro odierno, ha precisato l'esponente Pd, era stato chiesto dall'ambasciata iraniana in Italia, e si inserisce in una serie di iniziative della presidenza della Commissione, che ha fra l'altro incontrato anche la presidente del Consiglio della Resistenza iraniana, forza di opposizione in esilio. Iniziative, ha detto, che non riguardano la politica estera del governo e del parlamento, "ma l'attività di vigilanza e analisi sulla tutela dei diritti umani" della sua Commissione. Iran: appello per salvare la vita di un prigioniero politico curdo, Mansour Arvand dal Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana www.ncr-iran.org, 3 dicembre 2014 La Resistenza Iraniana chiede alle organizzazioni in difesa dei diritti umani un'azione efficace che risponda alle richieste fatte dai detenuti in sciopero della fame nella prigione di Orumieh e da altri detenuti politici nelle prigioni del regime iraniano. Sabato 29 Novembre, che ha segnato il 10° giorno dello sciopero della fame lanciato da 29 detenuti politici nella prigione centrale di Orumieh, le autorità del regime hanno improvvisamente trasferito il detenuto politico Mansour Arvand nella prigione di Mahabad. Arvand è accusato di "moharebeh" (inimicizia verso Dio), la sua condanna a morte è stata recentemente confermata dalla Corte Suprema dei mullah e rischia perciò l'esecuzione. Dopo di ciò gli agenti della Squadra Speciale armati di manganelli e di pungoli elettrici, hanno circondato la sezione dei detenuti politici della prigione centrale di Orumieh, temendo le proteste dei compagni di cella di Mansour Arvand e per intimidire i detenuti. Inoltre, per tormentare e umiliare ulteriormente i detenuti, le autorità della prigione li hanno costretti a spogliarsi completamente e a subire ispezioni "inusuali" prima delle visite dei familiari. 29 detenuti politici della sezione 12 della prigione centrale di Orumieh, sono in sciopero della fame dal 20 Novembre per protestare contro il trasferimento di delinquenti comuni nella sezione dei prigionieri politici, per aver mandato dei detenuti politici nella sezione dei criminali pericolosi e per aver imposto enormi pressioni ai detenuti e ai loro familiari. Tra i dimostranti vi è anche Ali Afshari, attualmente in gravi condizioni di salute dopo essere stato privato delle cure mediche necessarie dato che soffre di varie malattie. Per impedire che la notizia dello sciopero della fame trapelasse all'esterno, le autorità della prigione hanno tagliato tutte le linee telefoniche della struttura sin dal pomeriggio di sabato. Gli aguzzini hanno minacciato i detenuti in sciopero della fame che se continueranno la loro proteste, verranno trasferiti ancora più delinquenti comuni nella loro sezione. In seguito a ciò tutti i detenuti politici della prigione di Gohardasht e molti delle prigioni di Sanandaj, Zahedan e Bandar Lengeh hanno dichiarato il loro appoggio allo sciopero della fame dei prigionieri politici di Orumieh. La Resistenza Iraniana chiede a tutte le organizzazioni in difesa dei diritti umani di intraprendere un'azione efficace per salvare la vita del prigioniero politico Mansour Arvand e per rispondere alle richieste dei detenuti in sciopero della fame e degli altri prigionieri politici detenuti nelle carceri del regime iraniano.