Giustizia: carceri, il molto fumo e il poco arrosto del Governo Renzi di Valter Vecellio www.jobsnews.it, 31 dicembre 2014 Il presidente del Consiglio, nel corso della sua conferenza di fine anno, sfodera un sorriso a ventiquattro carati. L'eloquio è quello delle grandi occasioni, gli aggettivi enfatici si sprecano, sparge soddisfazione e compiacimento. "La situazione nelle carceri", dice, "è sostanzialmente risolta, come ha dimostrato il pronunciamento della Corte europea su questo". Condivido che siano inumani i tempi di un processo così lungo, ma anche su questo si sta intervenendo; aggiunge che i detenuti in attesa di giudizio sono scesi da 11 mila a circa 8 mila. Nel corso del 2014 sarebbero aumentati di circa quattromila, i posti disponibili nelle carceri, ora giunti a 49mila; E ancora, in risposta a una domanda su amnistia e indulto evocati nel messaggio alle Camere dal presidente Giorgio Napolitano, risponde che "il messaggio del presidente era molto ampio, riguarda tanti strumenti, e non solo quelli di clemenza. Va letto nella sua interezza, noi lo abbiamo fatto, e abbiamo risposto con una deflazione del sistema". Secondo Renzi la crisi del sistema carcerario quest'anno si è ridotto del 20 per cento. Così fosse, e non è detto sia, resta comunque un 80 per cento; ed è questo 80 per cento, evidentemente, la carne del problema. Renzi invita a leggere i numeri. Nell'ultimo rapporto Istat si legge che nelle carceri, alla fine del 2013, si contano 62.536 detenuti: il 4,8 per cento in meno rispetto all'anno precedente. Le donne sono il 4,3 per cento, gli stranieri più di un terzo (34,9 per cento). Lavora poco meno di un detenuto su quattro (23,3 per cento), in massima parte (84,3 per cento) alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria. Per quanto riguarda l'indice di affollamento delle carceri (il rapporto tra detenuti presenti e posti letto previsti), il dato è in calo e si attesta a 131,1 da 139,7 del 2012. La situazione è più critica nel nord dove ci sono 142,3 detenuti per 100 posti letto, ma anche nel mezzogiorno a al centro i valori sono ben lontani da quello ottimale. Alla fine del 2013 sono 25.332 le misure alternative alla detenzione in corso (affidamento in prova al servizio sociale, semilibertà, detenzione domiciliare, libertà vigilata, libertà controllata, semidetenzione), in aumento del 10,1 per cento rispetto all'anno precedente. Nel 7,9 per cento dei casi queste misure coinvolgono le donne, nel 16,6 per cento persone straniere e nel 13,1 per cento individui con dipendenza da alcool e droghe. Le misure più utilizzate sono l'affidamento in prova al servizio sociale (43,9 per cento) e la detenzione domiciliare (40,2 per cento). Il 2014 è segnato da una riduzione consistente del numero di detenuti: circa diecimila in meno in dieci mesi (dati al 30 settembre 2014). Dai 64.047 ristretti di fine novembre 2013 si è arriva a quota 54.195. I posti disponibili nei 202 istituti sono però 49.347: resta un eccesso di circa 5 mila detenuti. Ad ogni modo c'è chi, come la segretaria di Radicali italiani Rita Bernardini mette in discussione questi dati: "Se si vanno a spulciare le cifre pubblicate dallo stesso ministero di Giustizia, si vede che i posti realmente disponibili sono molti meno dei 49.494 dichiarati. Ci sono sezioni ancora non agibili perché da ristrutturare o perché manca il personale. Ma non solo: a Mamone, per esempio, in provincia di Nuoro, ci sono 392 posti disponibili e i detenuti sono 126. Lo stesso a Fossombrone, Ancona, e così via. Insomma, la media si abbassa con questi espedienti ma l'indice di sovraffollamento nella maggior parte dei casi è più alto di quello dichiarato. C'è poi un problema su come si calcolano i 3 metri quadri che ciascun detenuto deve avere a disposizione perché il posto sia considerato regolamentare: la Cassazione ha più volte ribadito che si deve calcolare la superficie calpestabile, al netto degli arredi". Al di là delle cifre, che possono essere utilizzate come una pelle di zigrino, il fatto è che il Governo aveva assicurato che la riforma della giustizia sarebbe stata approvata "entro giugno"; giugno poi è diventato "entro la fine dell'anno", assicura il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Ci siamo, dunque; e la riforma? Una promessa mancata. Per quanto riguarda la promessa e annunciata responsabilità civile dei magistrati, è stata approvata al Senato, ma non alla Camera. Doveva esserlo entro fine dicembre (l'Unione europea ha aperto una procedura di infrazione che sarà esecutiva dal 2015, 40 milioni di euro più 36mila al giorno) ma l'iter è tutt'altro che concluso, e i contenuti della norma per ora sono ingiudicabili. Ferie dei magistrati. È l'unica cosa fatta, anche se non si tratta di un intervento specifico in tema di giustizia, piuttosto di un tentativo di riordino della pubblica amministrazione: hanno introdotto un articolo bis per cui le ferie saranno di soli 30 giorni. Qui giova riprendere quanto dichiara l'ex PM di "Mani Pulite Piercamillo Davigo, ora giudice di Cassazione. Davigo sostiene che il provvedimento in realtà le ferie le allunga, che solo i fuori ruolo hanno ridotto le ferie; e che, per astruse ragioni, i vecchi 45 giorni di ferie in realtà sono diventati 75. "Dilettanti allo sbaraglio, c'è da avere paura" dice Davigo riferendosi al governo. "Noi riteniamo che la norma abroghi quelle precedenti" risponde il Guardasigilli. Chi ha ragione? Ancora non si è capito. Intercettazioni. Intercettiamo tre volte la Francia, cinque volte la Germania; 3.372 quelle del Regno Unito; l'Italia è a quota 124.713. Saranno anche giustificate, ad ogni modo comportano una spesa non indifferente. Secondo l'Eurispes 284 milioni di euro solo nel 2010. Di una riforma delle norme relative alle intercettazioni se ne parla da anni. A luglio Renzi assicura che prima di metter mano alla materia vuole sentire l'opinione dei giornalisti; e prima ancora i famosi "saggi" nominati da Napolitano avevano fatto presente la necessità di ridurre l'uso delle intercettazioni che dovevano essere uno strumento di "ricerca della prova" e non del reato. Il tutto si trova ora in un limbo di cui non si ha traccia o notizia. Prescrizione. Anche qui, molto fumo e pochissimo arrosto. Più di un giurista avverte che evitare l'estinzione del reato rischia anzitutto di allungare i tempi dei processi, nostro cronico problema. Ad ogni modo, l'unico pacchetto approvato alla Camera il 26 febbraio scorso consiste nel raddoppio dei tempi di prescrizione per i reati ambientali. Ma il Senato e le commissioni latitano. Custodia cautelare e indagini preliminari, vale a dire gli aspetti più scandalosi e inefficienti della nostra giustizia: anche qui siamo in alto mare. Le "riforme strutturali" chieste dall'Europa contro il sovraffollamento carcerario non sono neppure state concepite, e tra non molto le corti di giustizia europee ci presenteranno un salatissimo conto da saldare. Chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari: rinviata. Il primo aprile è scaduto il termine fissato dalla legge per la chiusura degli Opg. Ma gli Opg esistono ancora: il Governo ha infatti approvato un decreto di proroga per un altro anno, e stabilito la chiusura di tutti gli Opg entro il 31 marzo 2015, pena il commissariamento delle regioni. Al momento sono 750 le persone ancora internate. Bambini in carcere. La vicenda del piccolo Giacomo, cresciuto in carcere con la madre condannata per reati gravi, ha riacceso i riflettori sulla situazione dei bambini in carcere e segnato una svolta: lo scorso ottobre la Corte costituzionale ha stabilito che la madre potrà essere ammessa alla detenzione domiciliare speciale. Secondo i giudici, infatti, a prevalere è "l'interesse del bambino". Secondo i dati del Dap, sono 40 bambini fino a tre anni presenti in carcere, mentre le mamme detenute sono 39. C'è poi il capitolo dei suicidi in carcere. Nel 2014 oltre quaranta casi accertati. Avevano un'età media di 40 anni, 37 gli italiani, due le donne. 37 detenuti si sono impiccati, 5 si sono asfissiati con il gas del fornelletto da camping in uso nelle celle, uno si è dissanguato tagliandosi la carotide con una lametta da barba. Le carceri nelle quali si sono registrate più vittime sono Napoli-Poggioreale (4) e Padova Casa di Reclusione (3). Gli ultimi due casi, l notte di Natale. Carlo B., 31 anni, detenuto nel carcere di Trani si impicca con una corda rudimentale alle 7 del mattino. Stava scontando una condanna per detenzione di hashish; sarebbe uscito, per fine pena, a febbraio. Non ce l'ha fatta ad aspettare un paio di mesi. L'altro detenuto si chiamava Massimiliano A., 44 anni; si suicida nel carcere Pagliarelli di Palermo, impiccandosi con un lenzuolo. Era in attesa di appello dopo una condanna in primo grado. Tecnicamente, dunque, ancora innocente. In cinque anni (2009-2014) ben 19 detenuti si sono tolti la vita nel periodo delle festività natalizie tra il giorno della vigilia di Natale e il giorno dell'Epifania, con una frequenza doppia rispetto al resto dell'anno. Un rapporto del Centro Studi di Ristretti Orizzonti sulle carceri in Italia documenta che i casi di suicidio accertati negli ultimi 14 anni (2000-2014) sono stati 843. Nello stesso periodo, le morti per altra causa sono state 2.368. Questa la situazione, questi i fatti. Giustizia: carceri, luci e ombre di un anno all'insegna di drammi e soluzioni inadeguate di Damiano Aliprandi Il Garantista, 31 dicembre 2014 Troppi suicidi, pochi diritti, tra le poche note liete il calo del sovraffollamento: dai 64.047 ristretti di novembre 2013 si è arrivati a quota 54mila. Si chiude l'anno, se ne apre uno nuovo. L'anno che cambia è anche tempo di bilanci, di sguardi verso l'orizzonte che può aprirsi, indicare una meta, e mostrare nubi che si addensano. Il carcere è stato uno dei temi caldi di questo 2014 e - nonostante il Ministro Orlando dica il contrario - si è concluso con l'emergenza ancora in corso. Quando si parla del carcere - parola ebraica che non a caso vuol dire "tumulazione" - bisogna inevitabilmente fare la conta delle morti e l'anno si è concluso con 130 morti, tra i quali ben 43 suicidi. Nel corso dell'anno - grazie alla spinta della Corte europea - si è messo mano alle normative, sono stati corretti errori e si è cercato di abbattere, con esiti, purtroppo non risolutivi, il sovraffollamento. Le leggi abrogate e quelle approvate Nel mese di febbraio la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale la legge Fini Giovanardi che equiparava le droghe leggere a quelle pesanti ed era causa di molti ingressi in carcere. Ma il problema permane perché, ad oggi, più di tremila detenuti stanno ancora scontando la pena di una legge dichiarata illegittima. Sempre a febbraio - tramite il decreto legge "svuota-carceri", poi convertito in legge - è stato ampliato l'utilizzo del braccialetto elettronico, si e imposto un maggior ricorso ai domiciliari e si è introdotta la messa alla prova. Il decreto ha stabilito pene più lievi ed ha escluso l'arresto in flagranza per il "piccolo spaccio"; ha previsto libertà anticipata speciale per i detenuti che danno prova di un'effettiva rieducazione, ma ha escluso - un distinguo che l'Unione delle Camere Penali non ha condiviso - i reati per associazione mafiosa e altri reati gravi come lo stupro e ha contemplato l'espulsione come misura alternativa alla detenzione per i detenuti stranieri per pene non superiori ai due anni. Sovraffollamento Indubbiamente il 2014 è stato segnato da una riduzione del numero di detenuti: circa diecimila in dieci mesi (dati al 30 settembre 2014). Dai 64.047 ristretti di fine novembre 2013 si è arrivati infatti a quota 54.195. Ma l'emergenza non si è comunque arginata poiché i posti disponibili complessivamente nei 202 istituti sono 49.347 e resta un eccesso di 5mila detenuti. Il Governo si è mosso per la riduzione del sovraffollamento spinto dalla sentenza Tor-reggiani pronunciata l'8 gennaio 2013 dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Rinvio della chiusura degli Opg Il primo aprile era scaduto il termine fissato dalla legge per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Ma gli Opg esistono ancora. Il Governo ha approvato un decreto di proroga per un altro anno e ha stabilito la chiusura di tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 31 marzo 2015, pena il commissariamento delle regioni. Al momento sono ancora 750 le persone internate e - come abbiamo già denunciato su questa pagina - secondo la relazione sul Programma di superamento degli Opg trasmessa al parlamento dai ministri della Salute, Beatrice Lorenzin, e della Giustizia, Andrea Orlando, aggiornata al 30 settembre, sarebbe irrealistico pensare di chiudere le strutture entro il 15 marzo del 2015, come previsto dall'ultimo decreto legge. Ma il ministro Orlando - proprio sul Garantista - ha promesso che il termine verrà rispettato e tra pochi mesi vedremo se sarà di parola. Bambini dietro le sbarre La vicenda del piccolo Giacomo, cresciuto in carcere con la madre condannata per reati gravi, ha riacceso i riflettori sulla situazione dei bambini in carcere e segnato una svolta: lo scorso ottobre la Corte costituzionale ha stabilito che la madre potrà essere ammessa alla detenzione domiciliare speciale. Secondo i giudici, infatti, a prevalere è "l'interesse del bambino". Secondo i dati aggiornati ad oggi dal Dap, sono 40 i bambini fino a tre anni presenti in carcere, mentre le mamme detenute sono 39. Ma c'è ancora difficoltà per l'applicazione della legge del 21 aprile 2011 sulla valorizzazione del rapporto tra detenute madri e figli minori. Nel corso dell'esame parlamentare del provvedimento, il dibattito si era concentrato sulla acclarata necessità di conciliare, da un lato, l'esigenza di limitare la presenza nelle carceri di bambini in tenera età, dall'altro, di garantire la sicurezza dei cittadini anche nei confronti delle madri di figli minori, le quali abbiano commesso delitti. Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria aveva affrontato il problema dei bambini in carcere avviando a Milano la sperimentazione di un tipo di istituto a custodia attenuata per madri (Icam). Tale modello è stato realizzato in una sede esterna agli istituti penitenziari, dotata di sistemi di sicurezza non riconoscibili dai bambini. A oggi il Governo ancora non ha adeguatamente investito in tale struttura e quindi decine di bambini sono costretti a vivere dentro le patrie galere. L'altro problema è quello della troppo ampia discrezionalità dei magistrati di sorveglianza. Nonostante la leggi contempli anche la detenzione domiciliare per le detenuti madri, non sempre il magistrato la concede. Uno dei motivi principali è anche la residenza inesistente oppure inadatta, e colpisce soprattutto le detenute straniere e rom. Per sanare questo problema, la legge contempla anche la realizzazione delle case famiglia protette, ma ad oggi non se ne è stata realizzata nemmeno una. Il Capo del Dap Dopo ben sei mesi di posto vacante, è stato nominato come nuovo capo del Dap il magistrato Santi Consolo. Dapprima sostituto procuratore ad Enna e a Nicosia, poi giudice e sostituto procuratore generale a Palermo, infine procuratore generale a Catanzaro e Caltanissetta. Notizia accolta con entusiasmo da parte delle associazioni come Antigone, è stata la nomina di Mauro Palma come vicecapo dell'Amministrazione penitenziaria. Garante nazionale dei detenuti È passato un anno da quando è stata approvata la legge che prevede l'istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o comunque private della libertà, ma ad oggi ancora non è stato istituito. A denunciarlo è l'associazione Antigone che ha lanciato una petizione per chiedere al governo di indicare subito al Capo dello Stato tre persone esperte in diritti umani così come la legge richiede. "Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - si legge nella petizione - sia messo nelle condizioni di poter decidere. Si passi dalle enunciazioni ai fatti e si provveda a una nomina nel segno della competenza, dell'esperienza, dell'impegno civico a sostegno delle persone private della libertà". Satyagraha dei Radicali Dalla lotta per porre fine alla tortura praticata nei confronti dei detenuti ristretti nelle nostre carceri alla critica del 41 bis che sta ammazzando Provenzano, dallo sciopero della fame e della sete di Marco Pannella a quello di Rita Bernardini, segretaria di Radicali Italiani, dagli appelli diffusi e sottoscritti da numerose personalità alle lettere inviate al Capo dello Stato, anche quest'anno che si chiude, l'unico partito che si è battuto con coerenza e ostinazione per la difesa dello stato di diritto di questo Paese è quello dei Radicali. Da tempo l'iniziativa radicale su carceri e giustizia si esprime attraverso il Satyagraha, per risvegliare l'anima della democrazia. Il suo obiettivo non può essere più chiaro: chiedere alle nostre istituzioni di porre in atto tutti i provvedimenti legislativi volti ad eseguire quanto richiesto dalla Corte di Strasburgo con la sentenza Torreggiani e cioè a rimuovere le cause strutturali e sistemiche del sovraffollamento carcerario che generano i trattamenti disumani e degradanti nelle nostre carceri (violazione dell'art. 3 della Convenzione - Tortura). I Radicali, inoltre, ancora perseguono la loro lotta per la proposta di "amnistia per la Repubblica" per la quale sono state raccolte nuove adesioni. Giustizia: Antigone promuove petizione "Napolitano nomini Garante nazionale detenuti" Adnkronos, 31 dicembre 2014 A un anno dall'approvazione della legge che prevede l'istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute "ancora non si è provveduto alla nomina", spiega in una nota Antigone, l'associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, che ha promosso una petizione, tramite la piattaforma change.org, diretta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, chiedendo "che il suo ultimo atto, prima di lasciare il Quirinale, sia quello di nominare il garante". "Nel corso del suo mandato il Presidente Napolitano ha posto grande attenzione al problema delle carceri, stimolando il Parlamento e il Governo a porre rimedio a situazioni gravissime - afferma Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - Il Garante è una figura che molte democrazie si sono date e che le Nazioni unite ci chiedono di far nascere al più presto. Per questo - conclude Gonnella - auspichiamo si passi dalle enunciazioni ai fatti e si provveda a una nomina nel segno della competenza, dell'esperienza, dell'impegno civico a sostegno delle persone private della libertà". Oltre allo stesso Patrizio Gonnella, i primi firmatari della petizione sono Luigi Manconi (senatore, Presidente della Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani) e Franco Corleone (Garante dei detenuti della Regione Toscana). La petizione si trova a questo link: http://chn.ge/1vm2K6Y Giustizia: Antigone; nel 2014 carceri meno affollate e in calo anche i reati, segno di civiltà Radio Vaticana, 31 dicembre 2014 Nella conferenza stampa di fine anno il premier Matteo Renzi si è soffermato su vari temi e, in particolare, sulle risposte date dal governo per affrontare la crisi del sistema penitenziario. Renzi ha ricordato alcuni dati, tra cui la riduzione del 20% dell'affollamento nelle carceri, l'aumento del 10% dei posti nelle celle e il calo del 7,7% dei reati. Sono questi miglioramenti sufficienti? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Patrizio Gonnella presidente dell'Associazione Antigone, impegnata nel tutelare i diritti nel sistema penale "Dei miglioramenti ci sono: nell'ultimo anno sono calati di 10 mila i detenuti. E questo è il segno di una condanna europea che è avvenuta anche perché - lo ricordo - molte associazioni come Antigone hanno presentato centinaia di ricorsi per trattamento inumano e degradante. Avevamo un tasso di affollamento in Europa elevatissimo. Ci superava solo la Serbia! Questo non significa che i problemi siano risolti. Abbiamo ancora più detenuti rispetto ai posti letto regolamentari, c'è la questione dell'umanizzazione della vita detentiva, c'è la questione dei diritti, tra cui quelli della salute. La salute va assicurata, tantissimi detenuti ci scrivono perché sono in stato di abbandono terapeutico. C'è ancora un carcere che è organizzato in modo antico. C'è un dato positivo che rassicura l'opinione pubblica: diminuiscono i detenuti e non crescono i reati. Vuol dire che le politiche che vanno nel segno di una maggiore apertura non producono questioni che ci devono allarmare dal punto di vista della sicurezza". Questo nonostante la crisi che, invece, potrebbe alimentare i reati… E questo è segno di una grandissima civiltà. Tutti fanno grande fatica, ma non c'è la tentazione di superare la crisi facendo del male agli altri, rubando agli altri. Io penso - non lo dico perché sono su Radio Vaticana - che un grande contributo sicuramente è di Papa Francesco, perché ha dato un messaggio di solidarietà che è arrivato alle persone. C'è un nesso causale evidente nel messaggio pubblico di quelli che possiamo riconoscere come i grandi opinionisti di massa. E sicuramente, tra questi, c'è il Pontefice. Ci sono anche i massimi vertici dello Stato e ha avuto un grandissimo ruolo in questo senso il presidente Giorgio Napolitano che noi rimpiangeremo: non è frequente che un capo dello Stato, per vari anni, abbia posto il tema della giustizia, del carcere, degli ospedali psichiatrici giudiziari al centro della sua agenda pubblica. L'unico messaggio alle Camere, in dieci anni, è stato su questo terreno, rivolto agli ultimi. Noi dobbiamo evitare, invece, che chi - come nella politica - per prendere quattro voti di più, parli alla pancia delle persone alimentando intolleranza, paura, violenza. Quei discorsi li dobbiamo bandire dal nostro discorso pubblico. Il premier Renzi ha anche fatto capire che l'amnistia e l'indulto non sono le riposte più adeguate al sovraffollamento nelle carceri… Noi dobbiamo non emettere provvedimenti emergenziali "una tantum" che poi, tutto sommato, non sono delle vere soluzioni. E noi lo sappiamo. Però, penso che effettivamente un po' sia vero che dobbiamo guardare al sistema nella sua complessità. Ad esempio, ha fatto molto bene al sistema l'abrogazione del reato in ottemperanza all'obbligo di espulsione del questore, per quanto riguarda gli immigrati irregolari. Andare a finire in carcere solo perché non avevi il documento a posto, era un eccesso punitivo e violento nei confronti di chi già proveniva da un percorso di vita fatto di sofferenze. Nel 2011 erano entrate 15 mila persone con questo titolo di reato, nel corso dell'intero anno. Fortunatamente, ora questo titolo di reato non c'è più: quella persona, solo per questo "reato" andava in carcere e conosceva un mondo di criminalità che di certo lo aiutava ad entrare in circuiti di illegalità ben più significativi. È proprio un errore, anche dal punto di vista economico. Giustizia: mense delle carceri affidate a cooperative sociali, no del ministero alla proroga Avvenire, 31 dicembre 2014 La Cassa delle ammende non finanzierà per il 2015 le cooperative di detenuti che si occupano di mense dentro le carceri e servizi di catering al di fuori di esse. È l'esito dell'incontro che si è svolto nella mattinata agli uffici di via Arenula, tra i rappresentanti delle dieci cooperative coinvolte nel progetto, il ministro della Giustizia Andrea Orlando, il capo gabinetto Giovanni Melillo e i vertici del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap). "Il capo gabinetto del ministro ha detto che si cercheranno delle soluzioni individuali, per ogni singola cooperativa, in modo che non si perda l'esperienza", commenta all'uscita dall'incontro Luigi Pagano, vice direttore del Dap. La strada da seguire perciò è ancora tutta da costruire: "Il capo dipartimento Santi Consolo ha chiesto un po' di tempo per capire la situazione, è stato nominato da due settimane". La sostanza però è che senza i 4 milioni circa all'anno versati dalla Cassa delle ammende (il fondo alimentato dalle multe comminate dai tribunali) il progetto della gestione delle mense carcerarie affidato direttamente a cooperative di detenuti rischia di saltare in toto. Sono dieci le realtà coinvolte, provenienti da 9 tra le più importanti case circondariali italiane. In tutto, sono strutture dove si trovano ristretti 7 mila detenuti. Di questi, sono in 170 quelli che hanno lavorato dal 2004 ad oggi per le cooperative incaricate della gestione delle mense. Sono la Ecosol a Torino; la Divieto di sosta a Ivrea; la Campo dei miracoli a Trani; L'Arcolaio a Siracusa; La Città Solidale a Ragusa; Men at Wotk e Syntax Error a Rebibbia; Abc a Bollate (Milano); Pid a Rieti e la Giotto a Padova. "Secondo il progetto avrebbero dovuto implementare le commesse esterne e rendersi autosufficienti ma purtroppo non è successo", continua Luigi Pagano. Il numero due del Dap non mette in discussione gli esiti positivi di questa sperimentazione: il tasso di recidiva drasticamente ridotto per chi ha fatto parte del progetto, l'indotto per i dipendenti e le ore passate fuori dal carcere. Ma non basta: "Il Dap non può costringere la Cassa delle ammende a pagare, per quanto siano presieduti dalla stessa persona", aggiunge. Questo è un altro dei lati paradossali di questa vicenda: il Capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è anche presidente della Cassa delle ammende, la quale però ha poi un consiglio d'amministrazione che prende le decisioni collegialmente. E che questa volta ha deciso di non finanziare più le cooperative che avevano cominciato dieci anni fa a impiegare detenuti nella ristorazione. Verso nuove forme di finanziamento pubblico? Le Cooperative dei detenuti che si occupano dei pasti in dieci carceri italiane non saranno chiuse ma dovranno essere ripensate nel loro insieme. È questo il senso dell'intervento del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, a poche ore dall'incontro con i rappresentanti delle cooperative che da tempo denunciano il rischio che il ritorno alla gestione statale del servizio finisca per rendere vane le esperienze di recupero dei detenuti. "Non si tratta di tornare a vecchie formule e non escludiamo la possibilità di una gestione esterna, ma va ripensata tutta l'architettura che sarà diversa da quella attuale", ha affermato il Guardasigilli nel corso di una conferenza stampa al ministero di via Arenula. Orlando ha tenuto a precisare che "non abbiamo preso in considerazione sospensioni per la vicenda di Roma" legata all'inchiesta su mafia capitale. Il 15 gennaio scadrà la sperimentazione con cui lo Stato aveva affidato ad alcune cooperative sociali l'appalto delle cucine. "La proroga non è più rinnovabile - ha spiegato Orlando. Ci siamo presi un mese di tempo per ripensare il sistema nel suo insieme e utilizzare la cassa delle ammende per nuovi finanziamenti". Dall'1 febbraio, dunque, Orlando ha ipotizzato che sarà definita una "tabella di marcia per la gestione integrata di questi servizi. Bisognerà verificare caso per caso e vedremo se ci saranno nuove forme di finanziamento pubblico". Finanziamenti che, come ha ribadito il ministro, non saranno più erogati dalla Cassa delle ammende. Si deciderà a fine gennaio (Redattore Sociale) Si deciderà a fine gennaio. La Cassa delle ammende per 10 anni ha versato in media 4 milioni di euro all'anno affinché 10 cooperative di detenuti gestissero il servizio mensa di nove carceri. I risultati positivi ci sono stati, ma non basta per il rinnovo. Il faccia a faccia è durato quattro ore e mezzo, ma alla fine l'esito ha confermato quanto stabilito il 21 dicembre: la Cassa delle ammende, il fondo alimentato dalle multe comminate dai tribunali, non rifinanzierà più i dieci progetti di mense in gestione a cooperative di detenuti cominciato nel 2004. O almeno, non nello stesso modo in cui la partita è stata gestita fino ad oggi. Il Guardasigilli Andrea Orlando e il Capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria (nonché presidente della Cassa delle ammende) Santi Consolo si sono presi ancora il mese di gennaio "per valutare caso per caso" le situazioni delle dieci cooperative coinvolte in questo progetto. Tutto nasce nel 2004, quando la Cassa versa il finanziamento iniziale del progetto. Obiettivo: offrire un servizio di maggiore qualità, portare fuori i ristretti dalle celle, creare occupazione, visto l'effetto molto positivo che ha sulla riduzione della recidiva. La cooperativa Ecosol sta a Torino; la Divieto di sosta a Ivrea; la Campo dei miracoli a Trani; L'Arcolaio a Siracusa; La Città Solidale a Ragusa; Men at Work e Syntax Error a Rebibbia; Abc a Bollate (Milano); Pid a Rieti e la Giotto a Padova: sommate insieme producono lavoro per 170 detenuti e 40 operatori sociali. Si trovano negli istituti penitenziari più importanti d'Italia: insieme contano 7mila detenuti. E i risultati del progetto si vedono, come dichiara il 17 marzo Giovanni Tamburino, l'allora presidente del Dap: "Il giudizio è fortemente positivo: non si torna indietro, anzi si va avanti". Ma i tempi sono cambiati e i 4 milioni di euro in media utilizzati per finanziare il progetto non sono più a disposizione della Cassa delle ammende: "Secondo il progetto iniziale le cooperative avrebbero dovuto implementare le commesse esterne e rendersi autosufficienti ma purtroppo non è successo", spiega Luigi Pagano, attuale numero due del Dap. E così, se ci sarà, il finanziamento sarà vincolato ad una singola realtà e non più complessivo. Paradossale che l'ente finanziatore sia presieduto dallo stesso capo del Dap, ma così dice il sistema. Le decisioni sui finanziamenti erogati dalla Cassa delle ammende vanno poi stabiliti collegialmente dal Cda, esterno al Dipartimento. "Per quanto piccola, c'è ancora una speranza", commenta Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa Giotto. È uno degli firmatari delle lettere del 28 luglio, dell'8 ottobre e del 18 dicembre con cui le cooperative hanno chiesto un'incontro al ministro Orlando. Evento che si è verifcato per la prima volta. "È un segnale", dice Boscoletto, consapevole che i problemi sono solo rimandati al primo febbraio. "Adesso è il momento di darci reciprocamente fiducia per costruire un bene che non è solo nostro, ma di tutta la società civile", aggiunge il presidente di Giotto, che sottolinea come la priorità sia quella di salvaguardare il patrimonio di esperienza e professionalità acquisito negli anni dai detenuti attraverso questo progetto. La partita ormai è ai supplementari: entro un mese, però, bisognerà vedere chi la spunterà. Per tutte le mense dove il progetto non riceverà finanziamenti la gestione delle mense tornerà in mano al Dap, come prima del 2004. (lb) Garante del Lazio: proroga troppo breve "Nella riunione di oggi, con una proroga solo fino al 31 gennaio, e non di 6 mesi come chiedevo, si sono concessi tempi troppo brevi per risolvere un problema che però esiste. Ora il rischio è che alcune cooperative possano chiudere, che la qualità del cibo peggiori e che diminuisca la cifra riconosciuta ai lavoratori per il lavoro svolto delle mense". È l'opinione del Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, in merito alla decisione presa oggi al ministero, a seguito di un'apposita riunione, sulle 10 cooperative sociali che svolgono il servizio mensa in altrettante carceri finanziate dalla Cassa Ammende. Un sistema che ora il ministero intende interrompere. Questo significa trovare altre forme di finanziamento per coprire costi tra i 4 e i 5 milioni di euro all'anno. E al momento non è ancora chiaro come. "Nella riunione odierna - afferma il garante - si è ipotizzato di ricorrere ad altri fondi ministeriali o anche a fondi Ue. In linea generale è giusto che la Cassa Ammende non sia usata a questo scopo, perchè è nata per avviare i progetti, non per finanziarli in via continuativa". La Cassa, che si finanzia soprattutto, ma non solo, con le sanzioni pecuniarie, dispone oggi di circa 100 milioni di euro. E in passato fondi furono usati anche per l'edilizia carceraria, finalità che non rientrava fra quelle per cui era stata istituita. Le 10 cooperative operano nel servizio mensa di altrettante strutture carcerarie, tra cui Bollate, Rebibbia, Torino, Padova, Ragusa, Siracusa, Rieti, Trani. Complessivamente, forniscono pasti per circa 7mila detenuti. E sono 150 i detenuti che lavorano per le coop. "Attualmente - spiega Marroni - sono a tutti gli effetti dipendenti delle coop e ricevono un conseguente stipendio. Ovviamente, se si tornerà a una gestione interna, il detenuto che lavora in mensa sarà inquadrato sotto l'amministrazione penitenziaria e sarà molto probabilmente rimodulato anche il compenso". Non tutte e 10 le coop, inoltre, sono in condizioni analoghe. Alcune hanno diversificato nel tempo le proprie attività e possono pensare di restare in piedi da sole, altre vivono quasi esclusivamente del servizio mensa e ora sono quindi più esposte. Il ministero non intende tagliarle fuori tout court, ma vuole rivedere le loro funzioni. "Ma i tempi sono molto stretti - sottolinea Marroni - anche perchè il capo del Dap, Santi Consolo, ha detto oggi che gli incontri con le coop inizieranno dopo il 15 gennaio. E nei mesi scorsi le cooperative avevano più volte chiesto di essere sentite". Sulle cooperative "non abbiamo fatto una scelta ideologica" e "non è escluso che alcuni servizi possano continuare ad essere gestiti dalle stesse cooperative, ma va ripensata l'intera architettura del sistema e le sue forme di finanziamento", perchè "Cassa Ammende deve essere usata per nuovi processi, per gestire delle start up per il lavoro nelle carceri". Lo ha detto il ministro della Giustizia Andrea Orlando in merito alle 10 cooperative che organizzano il servizio mensa in alcune carceri con cui oggi c'è stata una riunione. penitenziaria, valuterà caso per caso l'attività svolta dalle 10 coop in altrettante strutture carcerarie e deciderà il da farsi. Ma in ogni caso ci sarà un superamento del sistema che oggi prevede la copertura dei costi da parte di Cassa ammende, ente che al Dap fa capo e che è nato per favorire progetti di reinserimento dei detenuti. Orlando ha spiegato che "non si è presa in considerazione una sospensione sulla scorta delle vicende di Roma Capitale" e delle cooperative implicate nell'inchiesta. "Noi - ha detto - abbiamo avuto l'incombenza di gestire una proroga di un anno che si esaurisce il 31 dicembre e che non è rinnovabile, in base a quanto stabilisce la delibera della Cassa Ammende del dicembre 2013. Cassa Ammende deve essere usata per fare nuovi processi , per gestire delle start up per il lavoro nelle carceri". Quindi per il servizio mensa gestito dalle 10 cooperative, servizio che quindi in parte potrebbe tornare alla gestione interna, "si cercheranno altre forme di finanziamento pubblico. E intanto dal 1 febbraio si definirà una tabella di marcia per capire quali progetti possono sostenere. La cooperazione deve avere la funzione di portare il lavoro dentro il carcere, di garantire un più significativo livello di occupazione all'interno del carcere". Verini (Pd): proseguire con coop detenuti nelle cucine "Auspichiamo che l'esperienza ormai decennale delle cooperative di detenuti che in diverse carceri italiane gestiscono le cucine possa non solo continuare, ma essere estesa ad altre situazioni". Così Walter Verini, Capogruppo Pd in Commissione Giustizia alla Camera. "Questa esperienza - prosegue il parlamentare - è unanimemente giudicata positiva. Èun'esperienza di lavoro concreta durante la pena, un esempio che favorisce i processi di rieducazione e di reinserimento dei detenuti, che evita le recidive dopo la fine della detenzione, investendo così in sicurezza per tutti i cittadini. Per questo Confidiamo molto nella sensibilità del Ministro Orlando e dei nuovi dirigenti del Dap perché non si interrompa questa importante testimonianza di carcere umano". "Dopo i risultati raggiunti per combattere il disumano sovraffollamento - conclude Verini - dopo i provvedimenti che vanno nella direzione di favorire la messa alla prova, le pene alternative, occorre proseguire con determinazione perché le carceri italiane siano sempre più luoghi dove si sconta una giusta pena ma si lavora per dare speranze e chances di nuova vita e reinserimento sociale a chi ha sbagliato. Come prescrivono la Costituzione e i principi di umanità". Giustizia: Cassazione; è evasione se suonano al citofono di notte e il detenuto non risponde www.blitzquotidiano.it, 31 dicembre 2014 Quando la polizia giudiziaria, in piena notte, è andata a bussare alla sua porta l'uomo, un detenuto agli arresti domiciliari, non ha risposto al citofono. E la Cassazione gli ha confermato la condanna per evasione. L'uomo si era giustificato sostenendo di non aver udito lo squillo sordo del citofono perché dormiva e che il tentativo di verifica della sua presenza in casa non era motivo sufficiente per dedurre l'arbitrario allontanamento dal luogo di restrizione, proprio perché effettuato in piena notte. Ma per i supremi giudici, la Corte d'Appello di Roma ha ragione e la verifica è stata ritenuta sufficiente per acclarare la sua assenza illegittima dal proprio domicilio. È quanto stabilito nella sentenza n. 53550 del 23 dicembre 2014. Secondo i giudici di Piazza Cavour, "l'accertamento dell'evasione va effettuato secondo le normali regole in tema di libero convincimento senza alcuna previsione di prova legale". La questione, secondo la Suprema Corte, "va affrontata sotto il profilo dell'adeguatezza di una motivazione fondata sulla modalità di accertamento sopra indicata. Tale adeguatezza va considerata in relazione all'onere che non può che fare carico alla parte sottoposta al regime di detenzione domiciliare di porsi in condizione di garantire la possibilità di effettivo controllo della sua presenza in casa, in qualsiasi orario". Anche a notte fonda, dunque, e pertanto è da considerarsi illegittimo il ricorso del detenuto che non ha risposto nonostante i ripetuti tentativi della polizia. Conclude la sentenza: "l'aver dato atto che la polizia giudiziaria che svolgeva i controlli ha proceduto alla ricerca della persona presso il domicilio mediante l'uso delle apposite suonerie e con azione ripetuta è motivazione adeguata ed esente da vizi logici". Giustizia: Pannella "sciopero fame e sete per difendere ragioni di Napolitano su carceri" Il Velino, 31 dicembre 2014 "Ritengo che la risposta data ieri dal presidente del Consiglio alla domanda della giornalista di Radio Radicale sia totalmente opposta a quello che il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica indicava, cioè costituire obblighi, di fronte alla situazione evidenziata nel messaggio, agli occhi della legalità europea e della stessa Costituzione italiana". Lo ha detto ieri sera a Radio Radicale Marco Pannella. "Siccome la posizione del presidente Renzi è a mio avviso manifestamente contraria e opposta a quella che il presidente della Repubblica ha indicato come obblighi nel messaggio costituzionale rivolto alle Camere - ha detto Pannella - diceva obblighi e diceva di fare subito, questa sera preannuncio che, non so se entro dopodomani, mi farò ricoverare (mi si chiede di essere prudente e a ragione) perché intendo riprendere uno sciopero assoluto della sete e della fame a difesa del presidente della Repubblica e del suo messaggio, trattato in modo indecente dal Parlamento attuale italiano. Gli obbiettivi li chiarirò, ma sono in netto sostegno della posizione espressa dal presidente della Repubblica in modo inequivocabile. Siccome la storia del nostro presidente della Repubblica è la storia di chi ha notoriamente sangue dei Savoia e avrebbe potuto diventare Re - ha concluso Pannella rivolgendosi a Napolitano - se non è ancora possibile che la storia radicale venga conosciuta, è ora che almeno la tua storia di grande valenza per la sua singolarità venga conosciuta dal popolo Italiano. Giorgio, grazie della tua storia, occorrerà che la singolarità della tua storia venga conosciuta altrimenti sembrerà che ci sia stato solo il comunismo reale e non invece contribuiti come il tuo in nome del quale lottiamo oggi per il popolo italiano ". Lettere: se la detenzione è inumana la pena va ridotta di Maurizio de Tilla (presidente Associazione Nazionale Avvocati Italiani) Specchio Economico, 31 dicembre 2014 Finalmente una buona notizia. L'Europa ha promosso l'Italia nel sovraffollamento carcerario, che è diminuito e si avvia alla possibile normalizzazione. Il risultato è stato raggiunto con una serie di leggi volte ad escludere forme di detenzione inutilmente afflittive, preservando però la sicurezza di un indiscriminato svuotamento degli istituti carcerari. Per evitare la sanzione dell'Europa per le "celle disumane" si è corsi ai ripari con una pena ridotta ed un ristoro al giorno per ogni detenuto. Tutto scaturisce dalla decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo dell'8 gennaio 2013, in base alla quale la situazione di sovraffollamento carcerario viola l'articolo 3 della Convenzione europea di diritti dell'uomo. La sentenza di tale Corte ha accertato che la situazione di sovraffollamento carcerario ha in Italia un carattere sistematico. Per riparare alla grave accusa annunciante sanzioni, il Governo ha varato con decreto legge nel quale stabilisce che, se il detenuto ha subito una detenzione inumana o degradante, ha diritto ad un risarcimento, consistente in una riduzione della pena detentiva ancora da espiare. La percentuale della decurtazione è pari al 10 per cento del periodo durante il quale il trattamento penitenziario è stato illegittimo. Se poi il pregiudizio si sia protratto per un periodo inferiore ai quindici giorni o se il periodo di pena ancora da scontare non sia tale da consentire l'applicazione della riduzione, si opera la riduzione della misura possibile, corrispondente alla pena detentiva ancora da espiare, e si liquida, a favore del detenuto interessato, la somma di euro 8 per ogni giornata di trattamento carcerario illegittimo. I soggetti che non si trovano più in stato di detenzione alla data di entrata in vigore del decreto potranno proporre azione risarcitoria entro sei mesi dalla sua entrata in vigore. È questa la presa d'atto legislativa che, nella politica carceraria degli ultimi tempi, non si è prestata alcuna attenzione alle condizioni inumane dei carcerati. Si discute se il carcere aperto aumenta la sicurezza. Si è affermato ciò in un articolo di Donatella Stasio e Daniele Terlizzese, e cioè che "il carcere aperto aumenta la sicurezza". L'asserzione è importante, ma non va equivocata. Ed infatti si riferisce ad una ricerca compiuta dall'Università di Essex e dall'Einaudi Institute for Economics Finance, secondo la quale a parità di pena da scontare nelle patrie galere, chi ha avuto la fortuna di trascorrere più tempo in un carcere "aperto" ha una recidiva inferiore di chi invece è stato detenuto più a lungo in un tradizionale carcere chiuso. Il modello individuato è quello del carcere di Milano Bollate, che costituisce un prototipo di carcere aperto inaugurato nel 2000: celle aperte tutto il giorno, nessun sovraffollamento, giornate operose fatte di lavoro, studio, formazione professionale, attività ricreative e sportive, affettività e progressivo reinserimento nella società attraverso il ricorso a benefici carcerari e alle misure alternative. Il discorso è valido. Ma bisogna fare i conti con la natura dei reati commessi, isolando i detenuti più pericolosi che non possono ovviamente rientrare nel carcere aperto. Ma i problemi della giustizia penale non sono solo questi. Si è denunciato che per gli arresti domiciliari e per l'uso dei braccialetti elettronici i controlli sono inesistenti. Pochi agenti e verifiche ogni 17 giorni. Dopo la riforma del 2010, 14.039 detenuti hanno lasciato il carcere per i domiciliari. È capitato che alcuni detenuti ai domiciliari abbiano compiuto furti e rapine. Il fenomeno è increscioso, ma non è certamente numericamente rilevante. Invero, se la politica legislativa tende a diminuire la presenza in carcere e ad aumentare le "pene domiciliari", bisogna attrezzarsi nella vigilanza. Il rimedio dei "braccialetti" si è rivelato insufficiente. Non si parla però dell'incredibile numero di errori giudiziari che affliggono la giustizia. Ogni anno in Italia si contano 2.400 errori giudiziari o ingiuste detenzioni. Tutti i risarcimenti per gli errori che i Tribunali commettono ammontano ad una considerevole cifra: 46 milioni di euro all'anno. Tanto ha speso lo Stato italiano nel 2011 per gli errori giudiziari, e 231 milioni tra il 2004 e il 2007. In media ogni anno 2.139 procedimenti per ingiusta detenzione. Sono dati riportati da Paolo Bracolini, nel libro "La Repubblica dei mandarini". Il record di assoluzioni e risarcimenti si registra a Napoli. Seguono Bari con 382 procedimenti per ingiusta detenzione, Catanzaro con 246, Lecce con 194, Reggio Calabria con 179, Messina con 144, Roma con 135, Palermo con 69. Su 144 mila cause dinanzi alla Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo, 14 mila, pari a circa il 20 per cento, vengono dall'Italia, messa peggio della Romania con l'8,3 per cento, dell'Ucraina con il 7,1, della Serbia con il 5,9, della Polonia con il 3,2 per cento. Solo Russia e Turchia hanno casi superiori di malagiustizia: 35.350 pari al 24,4 e 17.150 pari all'11,9 per cento. Lettere: meno carceri, più controllo e studio della personalità, così si rieducano i minori di Bruno Ferraro (Presidente Aggiunto Onorario di Corte di Cassazione) Libero, 31 dicembre 2014 Ogni qualvolta si discute di repressione, redenzione e carcerazione, si sentono affermazioni secondo cui la custodia cautelare (cioè prima della condanna definitiva) andrebbe disposta solo in casi di effettiva necessità. Si dice anche che occorre impedire la fuga dell'accusato e la reiterazione del reato valutando elementi soggettivi ed oggettivi specifici. In via di principio si può convenire, salvo a rimanere coerenti alla premessa quando ci si confronta "a caldo" con fatti di delinquenza che scuotono la pubblica opinione e suscitano allarme sociale. Pensavo a questo quando, tanto per fare un esempio, un ragazzo di diciassette anni, nel marzo 2014, è stato finalmente tratto in arresto dopo avere, per due anni, pestato a più riprese la fidanzata maggiorenne, nonché il padre di lei e chiunque altro avesse osato intromettersi per impedire il pestaggio. Il Tribunale dei minori ne ha disposto il collocamento in comunità ed il padre di lui ha approvato il comportamento del figlio dicendo "ha fatto bene ad alzare le mani, poiché non è dato ad alcuno estraneo intromettersi mentre è in atto un litigio con la fidanzata". Dirà qualcuno che con simile genitore non è dato aspettarsi un figlio diverso. Più in generale, le carenze dei genitori generano quasi sempre il disagio giovanile e, comunque, trattandosi di ragazzi, la linea morbida è di prammatica. Così ragionano da tempo gli esperti e così si esprime anche il nostro legislatore, a partire dalla riforma del penale minorile nel 1989. Principio cardine del processo penale minorile è l'esigenza di acquisire elementi sulla personalità dell'imputato e in particolare sulle condizioni e risorse personali, familiari, sociali ed ambientali del minorenne, al fine di accertarne l'imputabilità ed il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto e disporre le adeguate misure penali, nonché gli eventuali provvedimenti civili. Per questo, sono previste particolari formule decisionali indulgenziali. Per questo è esclusa l'obbligatorietà delle misure cautelari. Per questo è previsto un pubblico ministero specializzato, come pure un collegio ed un giudice di sorveglianza formati da magistrati ed esperti forniti di adeguata cultura minorile. Per questo infine è previsto un programma educativo, alternativo alla reclusione, elaborato da un'equipe a prevalente composizione educativa ed approvato dal giudice di sorveglianza, prima di essere sottoposto alla formale accettazione del minore. Sulla base di tali tasselli è giusto affermare che il carcere per i minori è un'ipotesi residuale e vi si fa ricorso solo in casi estremi, utilizzando peraltro strutture attrezzate per il recupero e la rieducazione: è sufficiente visitare Casal del Marmo a Roma per rendersene conto, tenendo nel debito conto l'elevato numero di minori di origine straniera (in particolare nomadi). Il problema, come al solito, è quello dei controlli. Se questi funzionano, si può essere sufficientemente tranquilli sull'esito del programma di rieducazione. Me ne resi personalmente conto, quando, operando da Procuratore della Repubblica per i minorenni nel Molise, disposi un efficiente controllo di polizia sui minori sottoposti agli arresti domiciliari, avendo da alcuni di essi l'affermazione che il carcere era meglio dell'essere rinchiusi in casa "come topi in trappola". Un controllo di sola polizia ancora oggi? Meglio, invece, un controllo "di rete", chiamando alla collaborazione la miriade di forze anche sociali operanti sul territorio. Meglio ancora, ed in aggiunta, un'attività di mediazione culturale penale, facendo capire al reo che il male commesso ha bisogno della riparazione e della riconciliazione con la vittima. Discorso difficile ma non impossibile! Lettere: i rumori del carcere di Emanuela Cimmino (Funzionario Giuridico Pedagogico) Ristretti Orizzonti, 31 dicembre 2014 "Volevo provare a raccontare una giornata tipo attraverso i rumori, volevo provare a scrivere un articolo che più che letto potesse essere ascoltato, mi sono affidata all'istinto, alla penna, ai suoni, ho perfino consultato un'esperta di Linguistica"… non so se ci sono riuscita ma mi sono divertita. "Now We Are Free", è la musica del film The Gladiator, a farmi da sveglia, le lancette sulle 06:15 mi annunciano che è mattina, una nuova giornata è iniziata. La mente pensa a cosa dovrò andare incontro, istanze da stilare, colloqui da effettuare, "ops" è mercoledì, c'è l'équipe, l'Ufficio Educatori sarà come ogni terzo giorno della settimana stracolmo di operatori, tante le voci sussurranti, timbri differenti, suoni e rumori che si mescoleranno tra loro prevaricando su quei pochi attimi di silenzio, desiderato e prezioso per concentrarsi. Ma dall'altra parte sarà un piacere sentire l'eco di quei rumori, ricchi di contenuti. "Kruuu Kruuu" il caffè è pronto, "Gru Gru" giro le chiavi nella fessura della porta di casa, "Blin Blin" il suono di quella odiosa ascensore che scende al sottopassaggio lentamente, neanche abitassi al trentaquattresimo piano di un grattacielo di Manhattan. "Brum brum" metto in moto l'auto. Durante il tragitto verso il carcere, a farmi compagnia la musica della mia stazione radiofonica preferita, abbasso il finestrino, respiro aria pulita, mi pare di sentirla parlare, a pochi metri dal cancello della Casa di Reclusione, rallento, spengo la radio "Bip", un unico suono, il mio respiro, un unico rumore, quello del cancello che si apre, quando in cielo non tuona. "Ciao, buongiorno, come stai?" È il saluto al collega al blocco house, sta per finire il suo turno. Parcheggio l'auto, "Sbamp" chiudo lo sportello. Nel cortile, i rumori della porta carraia che si apre, le voci dei detenuti in art. 21 op che si recano ai loro posti di lavoro, prendono i carrelli, le rotelline girano sul manto stradale "Gniii Gniii Gniii", ascolto i loro discorsi, il carcere è un altro pianeta ed anche i rumori non sono comuni, sono i rumori del carcere. Da lontano, dalla finestra là in alto, si sente la voce di Max, lo spaccista, sento perfino il fischiettio di Sasà, mentre dal Giardino del Personale c'è Nico che fischietta "Fiuuuuu", anche lui, ma sulle note dell'Ave Maria di Lourdes, come a ricordare che un altro giorno è iniziato e ci affida alla Madonna, lui che di fede ne ha tanta. E sono passati solo due minuti dall'ingresso, eppure quanti stimoli, suoni, rumori, già interiorizzati. Salgo le scale degli uffici amministrativi, "Pipìpipì" passo il beige, sono le ore 8:00, mi incammino verso l'ufficio, quello in fondo a destra, accompagnata dal buongiorno A., buongiorno G. buongiorno a te M. C'è chi scherza, chi sbadiglia "Yahmn yahmn", gli uffici aprono, come si fa con le serrande alzate degli esercizi commerciali, si sente accendere i pc, qualcuno accende la radio per ascoltare le notizie del mattino; siamo alle solite, la politica, la cronaca, mai una news bella. Qualcuno nel corridoio, domanda: Caffèèèè??Ci vuole un buon caffè, per avere una giusta carica. Lo sguardo è sulla posta in arrivo, tante sono le istanze da smaltire, richieste di liberazione anticipata, benefici premiali ed in questo periodo anche i reclami. Mettiamoci all'opera! Buon giorno dott.ssa, lo sa, sono tutto emozionato, fra pochi giorni mia sorella partorisce , spero di andare in permesso e potere vedere il nipotino, è il suono della voce del lavorante che fa le pulizie in ufficio Dott.ssa ma la mia 199? quando potrò uscire? Mi mancano tre mesi, è la voce di un altro... Suoni e rumori, porte che sbattono per il vento, motori nel cortile che si accendono e si spengono, c'è movimento, ci sono le traduzioni, arriva il furgoncino con i nuovi giunti. "Drin Drin", il telefono squilla, chiamano dalla sezione, c'è C. che chiede di essere ascoltato, M. vuole sapere se il permesso di necessità è partito, ha saputo che il nonno si è aggravato, dalla cornetta si percepiscono i rumori di dentro "Scrick", intanto la stampante si inceppa, quella si inceppa sempre e "Grr Grr Grr", la carta stropicciata resta impigliata nell'ingranaggio. Esco dall'ufficio, mi incammino verso l'uscita, scendo le scale, salgo le scale, arrivo in portineria, "Bippppp" è il suono del metal detector, "Buon giorno educatrice", buon giorno dott.ssa, buon giorno Emanuela, sono le voci dei colleghi, dove vai di fretta? I passi in carcere, perfino i passi hanno un loro suono, veloce, forte, raramente dolce e soave, il respiro ha un suono, affannoso, ansioso, tranquillo. Arrivo al transito, le prime chiavi, il rumore di quelle enormi chiavi color dorato, "Slam" la porta viene chiusa, viene aperto il primo cancello con sbarre, ancora "Slam", viene chiuso, "Slam", girano le chiavi. Nel corridoio, sento il detenuto che si affaccia al magazzino, chiede una maglietta, quella cucita dalla mamma, c'è O. in tuta che imbianca la parete; passo in cucina, mi piace osservare i detenuti vestiti di bianco con mestoli ed ai fornelli, mi incuriosisce vedere cosa bolle in pentola, "Plu Plu Plu" il ragù è quasi pronto, al suono si unisce il profumo. Arrivo in sezione, nuovamente le chiavi "Glin Glin" nella fessura arrugginita, "Slam" il cancello viene chiuso. Improvvisamente mi sento catapultata su una navicella spaziale, un po' stordita, c'è C. che urla dalla sua cella detentiva, a destra e sinistra lunghi corridoi, in fondo enormi finestre dalle quali entra la luce che mi abbaglia la vista, non riesco ad individuare chi c'è in lontananza, vedo una sagoma arrivare, è il collega con le chiavi appese alla cintura, sembra S, Pietro, ma lui è troppo giovane, è un 25enne in divisa, simpatico, determinato. "Buon giorno" - "Buon giorno", "Prego", il collega apre la stanza adibita per l'udienza con gli operatori penitenziari. In lista ci sono pure io? Dott.ssa ma qualche volta posso venire pure io - esclama il collega che sembra aver bisogno di parlare, la moglie dovrà partorire, vive a 700 km e lui è in ansia e speranzoso per il distacco. I colloqui con i ristretti iniziano, proseguono a raffica, alcuni tranquilli, altri vengono gestiti ora con modalità di maternage ora usando toni autorevoli. I suoni sono le voci, i timbri fanno trapelare stati d'animo, speranze, dolori. Le emozioni belle e brutte hanno un suono. C'è chi ride, chi sorride, chi entra con la faccia triste ed esce sorridente, sollevato; chi entra con espressione neutrale ed esce turbato, c'è chi racconta di tutto e chi ha bisogno di essere spronato, chi tace chi risponde a domande fatte. Suoni in continuazione, un'unica pausa, di pochissimi secondi, tra una persona e l'altra, il tempo di trascrivere sull'agenda colloqui l'ultimo periodo. Punto. "Salve, prego, prego, si sieda". Allora come sta? "Diiiiiiiiin, Diiiiin", qualcuno dalla cella bussa il campanello, "Assistente, assistente", chiama B., c'è movimento, prima lo spesino poi il porta vitto, le docce, apri e chiudi, chiudi ed aprile il cancello della sezione, "Slam, Slam, Click Click", percepisco ogni minimo segnale, riesco a sentire perfino la sigla del telegiornale, poi quella della pubblicità delle fette biscottate, suoni e rumori, rumori e suoni di una sezione in movimento, sembra stare in una piazza dove si svolge la vita. C. si è tranquillizzato, nessuno più urla. "Tic Tic Tic" batto i tasti sulla tastiera, devo scrivere la relazione per l'udienza, "Tic Tic Tic" c'è da scrivere l'invito alle assistenti sociali ed alle psicologhe per il corso di formazione sulla gestione dei detenuti affetti da dipendenza, organizzato nell'ambito del Benessere , "Tic Tic" le mani sulla tastiera vanno velocemente come se stessi suonando il pianoforte sulle note di Pour Adelaine di Richard Clayderman; dei miei studi di musica, ricordo ancora qualcosina. La collega di scrivania, legge ad alta voce, la collega di fronte risponde a telefono, lo stomaco brontola, altri suoni, altri rumori, la concentrazione scema, "chi vuole un chewing-gum "?domanda il segretario. È giovedì, è l'ora del laboratorio del racconto, nella zona passeggi, le voci dei detenuti, il "Plin Plin" dei pesi, il respiro affannoso di chi ha fatto la corsa, osservo la comunicazione, dal vetro, delle mani, mi pare sentire la loro conversazione, la famiglia, l'avvocato. Dalla sala musica, il suono della chitarra, A. è proprio bravo ad interpretare le canzoni di Fabrizio De Andrè. Mi incammino al transito con passo veloce" Tak Tok Tak Tok", è tardi, il collega dice di vedermi pallida, mi offre un cioccolatino, "Click Click" le enormi chiavi aprono la porta verniciata di verde, "Slam", viene chiusa alla spalle. Ore 15:40 circa, "Pipìpipì" passo il beige, scendo le scale, raggiungo l'auto. Al block house "Arrivederci educatrice" Ore 6:30, la sveglia suona, il sabato mi regalo a letto quindici minuti in più, devo alzarmi, è il mio turno. Un'altra giornata è iniziata, sentirò altri rumori, da ascoltare, interpretare, capire, interiorizzare, ricordare e dimenticare, sono i rumori del carcere. Roma: il Garante; l'Atac elimina la navetta da Rebibbia, bimbi bloccati in carcere Ansa, 31 dicembre 2014 Lettera del Garante per i detenuti del Lazio al sindaco Marino alla vigilia della soppressione del servizio. Da Atac e Comune di Roma un brutto regalo di natale per i figli dei carcerati di Roma, a Rebibbia: la navetta per uscire dal carcere verrà eliminata. I figli dei reclusi sono pochi a Roma, ma devono stare con i loro genitori nella struttura di reclusione. Per aiutarli in una vita difficile anche per loro era stata istituita la navetta Atac che una volta a settimana li portava a trascorrere alcune ore fuori dalle mura grigie della casa di detenzione di Rebibbia. Ora l'Atac, per via dei tagli al servizio, la eliminerà dal primo gennaio: per questo il Garante per i detenuti Angiolo Marroni ha scritto una lettera al sindaco Ignazio Marino pregandolo di evitare il taglio di un piccolo ma significativo servizio finora rivolto ai bambini più deboli. "Ripristinare il servizio navetta di Atac che, settimanalmente, garantiva le uscite ai bambini che si trovano nel nido del carcere di Rebibbia Femminile". Marroni ha scritto anche agli assessori ai Servizi Sociali e ai Trasporti Francesca Danese e Guido Improta e al presidente di Atac Roberto Grappelli. Il servizio navetta assicurato dall'assessorato ai servizi sociali del Comune di Roma per il tramite dell'Associazione di volontariato "A Roma Insieme: Leda Colombini", che da oltre 20 anni si occupate di questi minori consentiva ogni sabato ai bambini da 0 a 3 anni ospitati nel Nido della Casa circondariale Femminile di Rebibbia di passare qualche ora lontano dalle celle. "Sebbene siano tutti d'accordo che i bambini in carcere non debbano proprio entrare - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - la realtà, nella nostra regione, è quella di una media di 15 minori di età compresa tra 0 e 3 anni costretti a passare i primi mesi della vita fra celle e sbarre con un unico momento di distrazione settimanale che, purtroppo, sta per cessare per il taglio dei fondi destinati al servizio sociale. Io non so quante centinaia di euro Atac risparmierà con l'abolizione della navetta. Quel che mi chiedo è, se in nome della spending review, la Capitale d'Italia possa sacrificare i diritti dei bambini di Rebibbia, privandoli anche di questo esile filo che li lega al mondo esterno". Reggio Emilia: la Garante; problemi con il riscaldamento e numeri elevati nelle presenze Ristretti Orizzonti, 31 dicembre 2014 Lunedì 29 dicembre, Desi Bruno, Garante regionale delle persone private della libertà personale, si è recata agli Istituti penali di Reggio Emilia; nella visita, è stata accompagnata dal direttore, Paolo Madonna, da personale della Polizia penitenziaria, e ha effettuato colloqui con i detenuti. Dopo la significativa riduzione del numero delle presenze, non si ravvisa alcun profilo di sovraffollamento: risultano essere presenti 296 persone all'interno delle due strutture: 146 (164 in carico), presso l'Ospedale Psichiatrico Giudiziario (Opg) e 150 (5 le donne) presso la Casa circondariale; fra questi ultimi, 98 sono i condannati in via definitiva, 26 tra gli ammessi al lavoro all'esterno e in regime di semilibertà. Appaiono migliorate le condizioni igienico-sanitarie e strutturali del carcere: una carenza in passato più volte segnalata (sia nei rapporti semestrali a cura dell'Ausl di Reggio Emilia, che direttamente dalla Garante). Sono stati effettuati già da diversi mesi i lavori di riparazione del tetto al fine di eliminare le infiltrazioni di acqua dal soffitto in alcune sezioni detentive, anche se permangono zone ancora interessate da infiltrazioni. Permane la criticità relativa al funzionamento dell'impianto di riscaldamento, già segnalata dalla Garante lo scorso inverno: si è potuta constatare una temperatura insufficiente in alcuni spazi detentivi, nonostante, a più riprese, e ciclicamente negli anni, tanto la Direzione abbia segnalato i disservizi alla ditta appaltatrice delle fornitura dell'energia termica ed elettrica (che pilota l'impianto a distanza, da Vicenza), quanto il Provveditorato regionale abbia richiamato agli obblighi contrattuali la ditta, invitandola a garantire i 20 gradi negli ambienti interni. Sono stati visitati gli spazi del magazzino destinato al deposito delle merci, che sta venendo riqualificati con il lavoro dei detenuti. Sono risultati particolarmente idonei gli ambienti della sezione detentiva in cui sono collocati gli ammessi al lavoro all'esterno e i semiliberi. In generale, la struttura offre particolari potenzialità, in termini di spazi, che potrebbero essere pienamente valorizzati con il coinvolgimento di progetti imprenditoriali: in questo senso è annunciato l'imminente avvio di una lavorazione interna, grazie ad una cooperativa sociale, con l'impiego iniziale di 3 detenuti in attività lavorative. Di notevole ampiezza è l'area agricola, ma, allo stato, limitatamente utilizzata per carenza di risorse. In questo senso la Garante intende sensibilizzare imprenditori agricoli per la definizione di un progetto che possa valorizzare i terreni a disposizione. Con riferimento all'Opg, con un numero decisamente alto di ricoverati, anche in relazione all'imminente data prevista per la chiusura - 31 marzo 2015 - l'ufficio del Garante sottolinea un duplice dato: la presenza di 14 detenuti condannati in cui l'infermità di mente è sopravvenuta durante l'esecuzione della pena (nella previsione del processo di superamento dei manicomi giudiziari, dovranno essere ospitati nelle apposite sezioni di cura e riabilitazione, una volta create presso gli istituti di pena); e la presenza di 5 persone in osservazione psichiatrica provenienti da regioni esterne al bacino d'utenza previsto (Emilia-Romagna, Marche, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Province di Bolzano e Trento), con i detenuti delle carceri regionali che, in caso di necessità di osservazione psichiatrica, vengono inviati presso la Casa Circondariale di Piacenza, con equipe medico-specialistica dell'Ausl di Piacenza. Per rendere plausibile la chiusura della struttura entro il 31 marzo 2015, la Garante torna a segnalare la necessità di porre freno agli ingressi delle persone provenienti da altre regioni, e di favorire i programmi di dimissione dall'Opg, con la presa in carico da parte dei servizi sanitari territorialmente competenti. Grazie ad una puntuale definizione operativa di progetti fra direzione del carcere ed enti locali (in particolare, i Comuni di Reggio Emilia e di Albinea), un buon numero di detenuti risulta essere impiegato in lavori di pubblica utilità all'esterno del carcere, in attività che vanno dalla manutenzione degli alloggi dell'edilizia residenziale pubblica, alla manutenzione dei cimiteri e del verde pubblico. Ai detenuti che prestano la loro attività a favore della collettività viene corrisposta una somma a titolo di rimborso spese. Firenze: Giachetti, Pannella e Bernardini passano il Capodanno in carcere a Sollicciano Dire, 31 dicembre 2014 Capodanno a Firenze per Roberto Giachetti vicepresidente della Camera e deputato PD. Insieme a lui ci saranno Marco Pannella, leader storico dei radicali e l'attuale segreteria Rita Bernardini. La location non poteva che essere il carcere, quello di Sollicciano, che dalle 21.00 di domani, mercoledì 31 dicembre li accoglierà per trascorrere insieme ai detenuti l'ultimo giorno dell'anno e per brindare all'inizio del nuovo. L'obiettivo dell'iniziativa - spiegano in una nota - è di tenere alta l'attenzione, anche nei momenti di festa, sulle condizioni di vita dei detenuti e delle carceri. Parma: Mattiello (Pd) fa visita a Massimo Carminati, che gli dice "non mi manca nulla" di Luca Romano Il Giornale, 31 dicembre 2014 "Sto bene, non mi manca nulla. Grazie per la visita". Queste le parole che l'ex Nar Massimo Carminati, insieme ad una stretta di mano, ha scambiato con il deputato Pd Davide Mattiello, componente delle Commissioni Giustizia e Antimafia, andato a trovarlo in carcere a Parma, dove è detenuto in regime di 41 bis, il carcere duro. Massimo Carminati, vestito con un maglione e pantaloni di colore scuro, è apparso in buone condizioni al deputato Pd che è andato a trovarlo. "Abbiamo scambiato poche battute - ha detto Mattiello - tornerò presto nel carcere di Parma". Il 13 dicembre scorso Carminati fu spostato dal carcere romano di Rebibbia a quello di Tolmezzo (Udine) per "incompatibilità ambientale". Il giorno di Natale Carminati è stato trasferito dal carcere di Tolmezzo (Udine) a quello di Parma, sempre in regime di 41 bis previsto per i mafiosi. A Parma sono detenuti diversi boss mafiosi di grosso calibro. Da aprile di quest'anno anche Riina, che prima era nella prigione milanese di Opera. A rischio video sorveglianza carcere "Ho appena concluso la visita al carcere di Parma: ho incontrato Carminati, che sta bene, ma è a rischio il sistema di video sorveglianza del carcere. I sistemi di video sorveglianza e di videoregistrazione del super carcere di Parma sono a rischio continuo di collasso perché l'impianto elettrico non è adeguato e servono urgentemente almeno 8 gruppi di continuità". A raccontarlo è il deputato Pd e componente delle Commissioni Giustizia e Antimafia, Davide Mattiello, che per primo lo ha incontrato nel carcere di Parma. "Questa - spiega Mattiello - è l'esigenza principale emersa dall'incontro con la dirigente della struttura, dott.ssa Monastero, dai funzionari di Polizia Penitenziaria e del Gom, che mi hanno accolto con grande disponibilità. Noi dobbiamo preoccuparci tanto che il 41 bis funzioni verso l'esterno, impedendo le comunicazioni dei boss con le organizzazioni criminali, quanto che il 41 bis funzioni all'interno, garantendo il massimo della sicurezza ai detenuti stessi. Questo non soltanto per rispettare lo spirito della Costituzione e la dignità della persona, ma anche per creare quelle condizioni che possono far maturare nei boss detenuti la decisione di collaborare con la giustizia". "Auspico che Massimo Carminati, che ho incontrato nella sua attuale condizioni di isolamento giudiziario - conclude Mattiello - possa proprio decidersi in questo senso: ha tante cose da raccontare, che ci aiuterebbero a spezzare molti legami ancora in essere tra criminalità e politica. Tornerò nel carcere di Parma e spero di trovarvi risolti i problemi che oggi ho riscontrato". Pordenone: i Radicali alla Casa Circondariale del Castello "questo carcere è fuorilegge" Messaggero Veneto, 31 dicembre 2014 Notizie buone e notizie meno buone dalla visita effettuata ieri dai Radicali friulani al carcere di Pordenone. Al sopralluogo e incontro con i detenuti hanno partecipato Stefano Santarossa, del comitato nazionale, e Andrea Frusteri, componente della direzione del partito. "La visita ha confermato che la casa circondariale di Pordenone è inadeguata e fuorilegge", hanno sostenuto i due, che non hanno ricevuto informazioni sull'avvio dei lavori per il nuovo carcere a San Vito: "L'iter è bloccato, tutto si ferma alla comunicazione del 3 luglio". I detenuti al Castello sono 66 su una capienza prevista di 41 con un sovraffollamento del 161 per cento: 20 sono detenuti comuni, gli altri risiedono in una sezione protetta. "Non esiste neppure il rispetto dei metri quadrati previsti per detenuto" hanno riferito i due esponenti dei Radicali. Ma la nota positiva è che "la situazione è mitigata dalla possibilità di avere le celle aperte: ciò permette una maggiore socializzazione e un clima più vivibile, sia fra detenuti che con il personale". Tra i dati emersi dall'incontro, 19 sono i detenuti in attesa di giudizio e 27 gli stranieri. Esistono inoltre alcuni casi di malattie infettive tra gli ospiti del carcere e 10 sono i tossicodipendenti. "Vanno incentivate le occasioni di lavoro all'interno e all'esterno - hanno riferito Santarossa e Frusteri. Attualmente tre persone sono in stato di semilibertà e lavorano all'esterno, 11 lavorano all'interno". Ai detenuti sono stati distribuiti i moduli previsti dall'iniziativa dei Radicali, denominata Satyagraha, per l'adesione allo sciopero della fame. Cagliari: Sdr; si chiude l'anno 2014 a Uta, con buoni propositi ma ancora tanti problemi Ansa, 31 dicembre 2014 "Il 2015 si annuncia come l'anno della svolta per i detenuti e gli Agenti della Polizia Penitenziaria del Villaggio detentivo di Cagliari-Uta. Abbandonata la struttura del viale Buoncammino da circa un mese, cessata l'emergenza sovraffollamento, decisamente migliorate le condizioni igienico-sanitarie delle celle, la vita quotidiana presenta però ancora molte problematiche soprattutto relativamente alla funzione rieducativa della pena e alla Sanità". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", delineando luci ed ombre sulla situazione penitenziaria a conclusione del 2014. "Le lezioni scolastiche sono sospese ormai da novembre - sottolinea - e la biblioteca non è ancora agibile e non lo sarà purtroppo per diverse settimane in quanto deve essere allestito il locale che dovrà ospitare i libri e i tavoli per le attività di studio e ricerca. Ferme anche le iniziative culturali che l'Area Trattamentale aveva promosso a Buoncammino, con incontri programmati su argomenti di attualità e problematiche sociali, e i corsi di formazione. Sono stati però incrementati i lavori all'interno delle sezioni come quelli relativi alle cucine affidate ai detenuti per la sezione maschile e alle detenute per quella femminile, ai porta vitto, agli scrivani e alla pulizia degli ambienti. Diversi detenuti usufruiscono dell'articolo 21 che consente loro di svolgere lavori all'esterno". "Ancora in alto mare - evidenzia la presidente di Sdr - la Sanità Penitenziaria. Nella nuova struttura non sono stati ancora attivati, perché mancano i collegamenti, l'apparecchio radiologico, indispensabile per garantire gli esami diagnostici per escludere la presenza di malattie polmonari contagiose. Non è in funzione neppure il riunito odontoiatrico per le cure e sono ancora in fase di adeguamento i locali per la fisioterapia. È presente il defibrillatore che però risulta in prestito dal servizio del 118 e non è stata neppure impiantata la preannunciata Tac per problemi di spazio. L'area sanitaria, che comprende il Centro Clinico con 22 posti letto per degenti comprese due postazioni per l'osservazione psichiatrica, è ancora sprovvista di telefoni". "L'anno si conclude con alcune forti criticità anche al Femminile dove le 24 donne recluse - ricorda ancora Caligaris - sono costrette a convivere in celle con tre letti, uno dei quali a castello. La principale difficoltà deriva dalla scarsità del numero delle Agenti donna per turno di sorveglianza che impedisce di rendere agibile un'altra sezione della struttura. Un'altra problematica è dovuta alle condizioni di salute psichica di qualche detenuta e alla presenza di una donna di 82 anni di età, costantemente monitorata". "Da non sottovalutare inoltre le oggettive difficoltà per raggiungere il Villaggio Penitenziario da parte dei familiari anche per la totale assenza di indicazioni stradali. L'attività dell'associazione - conclude - ha permesso di effettuare circa 300 colloqui e di accrescere ulteriormente i numeri dell'archivio con oltre 400 profili di cittadini privati della libertà. Con molti di loro sono stati intrattenuti rapporti diretti e/o epistolari e con segnalazioni da parte di familiari anche di detenuti sardi reclusi in Istituti della Penisola. L'impegno profuso tuttavia non è bastato a colmare la solitudine e a risolvere i problemi di numerose persone che, lontane dai parenti o abbandonate, non effettuano colloqui e sono prive di sostegno finanziario". Cagliari: "Buoncammino divenga Casa volontariato e cultura", proposta Amici Sardegna Ansa, 31 dicembre 2014 Una "Casa per il volontariato e la cultura" nelle vecchie celle del carcere di Buoncammino. La proposta arriva della associazione Amici di Sardegna in collaborazione con altri movimenti ed è stata presentata questa mattina in una conferenza stampa davanti ai cancelli dell'istituto penitenziario ormai vuoto dopo il trasferimento dei detenuti a fine novembre nella nuova struttura di Uta. Il primo passo - ha spiegato il presidente dell'associazione, Roberto Copparoni - è il coinvolgimento del Comune: "Chiediamo che faccia propria la nostra proposta, per velocizzare le procedure, offrendo un proprio stabile, penso alla scuola di via Falzarego ora inutilizzata, per ospitare la documentazione ancora nel carcere. Poi si potrebbe aprire: il Comune potrebbe garantire la copertura assicurativa, al resto ci penserebbero centinaia di volontari. Siamo in un'area strategica, a un passo da Castello, anche per il turismo". Tutto questo per l'immediato mentre "per il futuro possiamo pensare anche a una progettazione con fondi europei. O magari chiedere una mano alla Fondazione Banco di Sardegna". Si dovrebbe costituire una vera e propria cittadella ma nel frattempo occorre aspettare che la struttura passi dal Ministero alla Regione e poi eventualmente al Comune. "Deve diventare un luogo di incontro - ha concluso Copparoni - che si sostituisca al luogo di sofferenza che è sempre stato. Cagliari ha bisogno assolutamente di uno spazio come questo. Nel maxi-progetto ci sono biblioteche, sale convegni, spazi eventi. Bisogna fare in fretta questa è una grande opportunità". Lecce: detenuto suicida, rigettata richiesta di risarcimento avanzata dai parenti di Barbara Pirelli (Avvocato del Foro di Taranto) www.studiocataldi.it, 31 dicembre 2014 Come scriveva Oscar Wilde: "la vita carceraria fa vedere le persone e le cose come sono in realtà. Per questo ci si trasforma in pietra". E come dargli torto? Molte persone in carcere si trasformano in pietra, appunto, assumendo atteggiamenti ostili nei confronti del mondo esterno e manifestando durezza d'animo. Altri, i più deboli, non ce la fanno a sostenere la vista del "cielo a grate" e decidono di togliersi la vita. Ed ecco una vicenda giudiziaria di cui si è occupato il Tribunale di Lecce che ha ad oggetto una richiesta di risarcimento danni proposta dai genitori e dai fratelli di un detenuto, che, ristretto in stato di custodia cautelare in carcere, si toglieva la vita. I parenti attribuivano la responsabilità del gesto all'amministrazione carceraria perché a conoscenza delle intenzioni suicide del detenuto il quale, nel corso di un interrogatorio relativo ad un procedimento diverso da quello in cui era stata applicata la predetta misura, aveva esternato la sua intenzione di togliersi la vita. Le parole del congiunto non erano state prese in considerazione e non erano state adottate le opportune misure volte ad evitare che egli mettesse in atto il proposito del suicidio. Si costituiva in giudizio il Ministero della Giustizia che eccepiva la prescrizione del diritto esercitato dagli attori invocando comunque il rigetto per infondatezza della domanda. L'eccezione relativa alla prescrizione non veniva accolta in quanto il termine di prescrizione era stato interrotto con richiesta di risarcimento danni. La domanda dei familiari però veniva respinta perché secondo il Tribunale non era emerso alcun profilo di responsabilità imputabile al personale dipendente dal Ministero della Giustizia. Secondo il Tribunale non era stato provato che il Direttore della Casa Circondariale di Lecce, la Polizia Penitenziaria ed altre persone fossero stati informati della dichiarazione resa dal detenuto durante l'interrogatorio. In buona sostanza la notizia che il detenuto aveva espresso la volontà di suicidarsi veniva riportata dal suo difensore ma questa testimonianza risultava poco credibile in considerazione del fatto che lo stesso non aveva informato di ciò il Direttore della Casa Circondariale ed inoltre non aveva comunicato al suo assistito che l'udienza per la trattazione del ricorso, avverso l'ordinanza con cui il Tribunale del Riesame aveva confermato il provvedimento impositivo della menzionata misura custodiale, era stata rinviata. Era emerso chiaramente che la Casa Circondariale non fosse a conoscenza delle intenzioni suicidarie del detenuto; dagli atti poi era emerso che il detenuto, in seguito ad un'aggressione subita da parte di un altro detenuto e della ricezione di una lettera anonima contenente delle minacce, era stato trasferito in un'altra sezione dove si trovavano ristretti i detenuti c.d. "precauzionali", i quali sono sottoposti al regime denominato di "grandissima sorveglianza". Ancora, dall'esame dei testi escussi nel corso del giudizio, tra i quali l'educatrice ed il cappellano, era emerso che l'uomo non aveva mai avuto alcun comportamento, ovvero assunto qualche atteggiamento che lasciasse anche lontanamente presagire una possibile condotta suicida o autolesionistica. Il Tribunale precisava, inoltre, che il fatto che l'uomo quella mattina avesse rinunciato a recarsi in cortile con gli altri detenuti della sezione non poteva far sorgere il sospetto che l'uomo volesse compiere l'insano gesto perché i testi avevano riferito che il detenuto aveva giustificato tale decisione affermando che intendeva leggere un libro e che già altre volte era capitato; in quella giornata anche altri detenuti avevano deciso di restare in cella anziché recarsi in cortile. Infine, l'uomo era apparso ai compagni di cella tranquillo e di umore normale, tanto che preparò loro il caffè. Argomentando oltre, il giudicante ha ritenuto di non ravvisare alcuna trascuratezza nell'operato del Pubblico Ministero su delega del quale il detenuto fu interrogato perché nella relazione, presente in atti, con cui gli venne trasmesso il relativo verbale alcun cenno veniva fatto alla dichiarazione da costui resa in ordine al suo possibile suicidio. In conclusione, il Tribunale aderendo anche ad un ragionamento ipotetico ha ritenuto che quand'anche il Direttore della Casa Circondariale di Lecce fosse stato reso edotto del contenuto della predetta dichiarazione "se la Cassazione dovesse confermare la mia detenzione mi ucciderò", nulla poteva far supporre in maniera ragionevole il gesto anche perché la Suprema Corte non aveva ancora deciso se andava rimesso in libertà o sottoposto ad un regime di sorveglianza ancora più stretto di quello in atto. Per tutte queste ragioni il Tribunale di Lecce, in composizione monocratica, in persona del Giudice dott. Maurizio Rubino, in data 20 agosto 2014, ha rigettato la domanda attorea ed ha condannato gli attori alla rifusione delle spese sostenute dal convenuto pari ad € 5.870,00 per compensi, oltre ad accessori come per legge. Catanzaro: a Capodanno visita delegazione Radicali alla Casa circondariale Ugo Caridi Ansa, 31 dicembre 2014 "Mentre il Presidente del Consiglio dichiara di aver risolto il problema della carceri senza fare né amnistia né indulto e che, per questo, nessuno ormai parla più di questi provvedimenti per risolvere il problema del sovraffollamento, i Radicali, anche in Calabria continuano il loro sostegno al Satyagraha di Marco Pannella e Rita Bernardini col digiuno a staffetta e, per giovedì primo dell'anno, torneranno in visita alle 10 alla casa circondariale Ugo Caridi di Catanzaro per verificarne le condizioni". Lo rende noto Giuseppe Candido che farà parte della delegazione di Radicali calabresi in visita alla struttura "grazie all'interessamento dell'on. Rita Bernardini che l'ha fatta autorizzare dal Dap, e sarà composta anche dai militanti calabresi Rocco Ruffa, Cesare Russo, Sabatino Savaglio, e Antonio Giglio consigliere comunale di Catanzaro e iscritto al Partito Radicale". "È un Satyagraha - prosegue Candido - con obiettivi specifici: oltre all'amnistia e all'indulto di cui, secondo il premier, nessuno più parlerebbe e che, invece, costituiscono per i Radicali gli unici provvedimenti in grado, strutturalmente e subito, di portare nell'alveo della legalità costituzionale e sovranazionale il nostro Paese, tra gli obiettivi c'è quello di garantire il diritto alle cure ai detenuti, poi, l'introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura, la revoca del 41bis a Bernardo Provenzano, l'abolizione della detenzione arbitraria e illegale del 41bis, che anche Papa Francesco ha detto essere una forma di tortura, e che, da anni ormai, i Radicali chiamiamo tortura democratica; una forma di detenzione tanto illegale pure per l'Onu che, a luglio, ha richiamato il nostro Paese e che, invece, abbiamo deciso di estendere ad altri reati oltre che a quelli di mafia. Poi gli obiettivi proseguono chiedendo di interrompere le deportazioni in corso dei detenuti dell'alta sicurezza, di rendere effettivi i risarcimenti ai detenuti che han subito e in alcuni casi continuano a subire trattamenti inumani e degradanti, e di nominare subito il Garante Nazionale dei Detenuti. E, noi in Calabria, aggiungiamo il dialogo col presidente della Regione, Mario Oliverio, per continuare a chiedergli, anche per la nostra terra che, come per l'accoglienza, in tema di diritti umani ha sempre dato lezioni, di istituire subito il Garante Regionale". Bologna: detenuti islamici a lezione di diritto, per scrivere la Carta contro i radicalismi Corriere della Sera, 31 dicembre 2014 L'idea di frate Ignazio De Francesco. Alla Dozza un corso tenuto da professori e imam. La Costituzione riletta con gli occhi dei detenuti arabi e musulmani, diritti e doveri declinati attraverso la propria cultura, i propri usi e costumi. Una piccola costituente, composta da una trentina di reclusi della Dozza, che avrà il compito di stilare una personalissima Carta dei principi fondamentali secondo le singole sensibilità. Un modo per integrare e integrarsi, evitando ogni forma di radicalismo. È lo scopo del corso "Diritti, doveri, solidarietà. La Costituzione italiana in dialogo con il patrimonio culturale arabo-islamico", un percorso di sette mesi e ventiquattro lezioni nato da un'idea di frate Ignazio De Francesco, islamologo e volontario dell'Avoc (associazione volontari carcere), con la collaborazione dell'Ufficio del garante regionale delle persone private della libertà e del Centro per l'istruzione per gli adulti di Bologna, che ormai da anni si occupa dei corsi scolastici all'interno del carcere. Tutti i mercoledì, fino a maggio, le porte della Dozza si apriranno per accogliere insegnanti, professori universitari, mediatori, imam ed esperti di cultura islamica. Si parlerà di primavera araba, del ruolo della famiglia e della donna nel mondo musulmano, di Sharia e in generale delle costituzioni arabo-islamiche. "Si tratta di detenuti che già frequentano la scuola della Dozza e che studieranno il rapporto tra la nostra Costituzione e il diritto islamico. Un'iniziativa molto importante che si propone di facilitare il loro inserimento ed evitare qualsiasi forma di integralismo. Un modello che cercheremo di esportare anche in altri istituti della Regione", auspica la garante regionale Desi Bruno. Non è l'unica buona notizia che arriva da via del Gomito. Per la prima volta da dieci anni a questa parte la popolazione carceraria della Dozza è scesa al di sotto del livello di guardia. I detenuti sono 622, più della metà (358)stranieri e 64 donne, a fronte di una capienza regolamentare di 482 persone e di una tollerabile di 700. Solo tre anni fa erano in 1.200 a dividersi il poco spazio a disposizione, con celle abitate anche da sei detenuti per volta. Un risultato a cui si è arrivati grazie a recenti modifiche legislative, a un maggior ricorso agli arresti domiciliari e a un minor utilizzo della custodia cautelare in carcere. "È diminuito soprattutto il flusso in entrata ma certamente sono molte più rispetto al passato le persone che escono, anche grazie all'allargamento delle misure alternative - dice l'avvocato desi Bruno. Con questi numeri si aprono nuove prospettive, ci sono più spazi a disposizione e gli agenti possono lavorare con maggiore serenità. È tutto un altro mondo". Resta la nota dolente del lavoro che non c'è. Sono infatti pochissimi i detenuti che riescono a trovare un impiego dentro e oltre le sbarre. Le associazioni fanno quello che possono ma i numeri di chi riesce ad accedere a un lavoro sono bassissimi. Torino: la Coop "Liberamensa" dal carcere cucina per le feste, ma il servizio è a rischio di Andrea Lavalle La Repubblica, 31 dicembre 2014 La cooperativa che gestisce i pasti dei detenuti e organizza un catering anche per l'esterno ora potrebbe perdere i finanziamenti ministeriali. E dover rinunciare a dipendenti e lavoro. La sera del 31 dicembre, anche quest'anno, su molte tavole torinesi si cenerà con i menu preparati dai detenuti del carcere "Lorusso e Cutugno" di Torino, ma potrebbe essere l'ultima volta. Il menù alla carta, con antipasti, primi, piatti tradizionali come le lenticchie e molti dolci si colloca in un momento difficile per la cooperativa. Liberamensa infatti, il progetto della cooperativa Ecosol che gestisce la cucina della Casa Circondariale, è a forte rischio per via dei tagli imposti dal Ministero della Giustizia alle attività delle cooperative in carcere. Da mesi sia i garanti dei detenuti delle rispettive regioni e i responsabili delle cooperative che organizzano il servizio mensa nelle carceri, si sono incontrati con il ministro della Giustizia Andrea Orlando e con i suoi funzionari per cercare di trovare un accordo. Se i fondi non dovessero essere rinnovati, la cooperativa Ecosol si vedrebbe costretta a licenziare oltre l'80% dei 35 detenuti attualmente assunti. Il progetto è stato avviato nel 2005 con l'assunzione di 22 detenuti affiancati a 3 giovani cuochi professionisti per il confezionamento dei pasti all'interno della Casa Circondariale. Attraverso Liberamensa i detenuti hanno la possibilità di occupare il tempo in modo attivo, percepire un reddito che li aiuti a sostenere la famiglia d'origine e acquisire una professionalità spendibile anche all'esterno. Una prassi virtuosa che abbatte drasticamente le percentuali di recidiva all'uscita dal carcere. Il successo dell'esperienza del servizio mensa ha portato la cooperativa Ecosol a estendere al mercato esterno le attività di ristorazione, ampliando gli spazi della cucina e aumentando i posti di lavoro. Prima una pasticceria, poi servizi di catering, coffee break e un ristorante, che grazie alla cura delle materie prime utilizzate, sempre certificate, e alla qualità dei prodotti offerti, hanno trovato un buon riscontro da parte di una clientela sempre più numerosa. Da qualche anno Liberamensa ha iniziato a offrire dei menu speciali su ordinazione per natale e capodanno. E mentre nella cucina centrale del carcere fervono i preparativi per San Silvestro, si spera che da Roma arrivino buone notizie. Santa Maria Caia Vetere (Sa): aggressione in carcere, detenuto prende a pugni poliziotto di Biagio Salvati Il Mattino A distanza di tre mesi dalla violenta aggressione subita da un agente penitenziario da parte di un detenuto ex pugile, si ripete un film già visto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove ieri mattina, intorno alle 8,30, si è registrato un caso simile. L'aggressione è stata commessa nel reparto Tevere durante la cosiddetta verifica numerica da parte del personale di polizia penitenziaria: un detenuto del circuito "Alta Sicurezza" (ovvero gli ospiti che sono destinatari di pene legate ai reati associativi) - stando a quanto si apprende - avrebbe colpito violentemente con diversi pugni un vi ce-sovrintendente lì in servizio il quale avrebbe riportato diverse lesioni al volto. Una volta medicato nell'infermeria del carcere, l'agente penitenziario è stato poi trasferito al locale ospedale Melorio. Lo scorso settembre, fu un altro agente a riportare un grave trauma e lesioni per aver cercato di calmare un detenuto romano, di circa due metri di altezza, andato in escandescenza durante la visione della partita della sua squadra del cuore. Deldetenuto che ieri mattina, a causa di futili motivi, si è scagliato contro l'agente penitenziario, si conoscono le iniziali: A.L. ed è originario del Napoletano. Sta scontando una pena definitiva. Non sono del tutto chiarii moti vi dell'aggressione, giudicati futili, ma l'episodio ripropone le condizioni di disagio e sottodimensionamento che vive la popolazione degli agenti penitenziari a fronte di un sovraffollamento della popolazione carceraria. L'aggressione dello scorso settembre diede inizio a una protesta del personale che si astenne per circa un mese dalla consumazione del pasto alla mensa di servizio determinando una dura azione del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) culminata con una convocazione di una delegazione presso il Dipartimento a Roma. In quella sede, dopo un incontro dei vertici del Dap e sulla base della forte azione del sindacato, a Santa Maria Capua Vetere sono stati destinati alcuni rinforzi: in particolare, un contingente di personale di 25 unità proveniente da diverse sedi del territorio nazionale. Un'azione che ha consentito dì dare un po' di respiro all'organico in un istituto come quello sammaritano dove è stata superata la soglia dei 1.000 detenuti "dopo la frettolosa apertura del nuovo padiglione Senna", recita una nota del Sappe "che ha incrementato di circa 400 detenuti la popolazione carceraria". In particolare, sono 400 anche i detenuti ristretti in regime di Alta Sicurezza. Il Segretario nazionale del Sappe, Emilio Fattorelli, in una nota "e sprime tutta la propria solidarietà al collega vilmente colpito augurandogli una veloce guarigione ed un presto rientro in servizio" evidenziando che "nello stesso tempo, il Sappe si farà promotore nelle sedi competenti per mettere in atto tutte le iniziative opportune per comprendere il fenomeno e far si che non si ripetano in futuro episodi del genere". Pontremoli (Ms): le ragazze dell'Ipm presentano "Scrivolando", un nuovo giornalino La Nazione, 31 dicembre 2014 Presentato ieri mattina il giornalino "Scrivolando" dell'Istituto penale femminile minorile (unico in Europa) di Pontremoli. Il numero zero del periodico dedicato all'onorevole Enrico Ferri (che in tempi lontani lanciò l'idea del giornalino), vuol far emergere "il lato umano che spesso si scorda esista nei carceri". L'iniziativa editoriale varata dal direttore Tiziana Di Donna offre nuove opportunità alle minori che stanno scontando la pena per errori commessi. "Dietro piccoli o grandi drammi c'è soprattutto l'impossibilità di essere ascoltate" commenta la dottoressa Di Donna. "Mi auguro che questa iniziativa possa guidare ognuna delle ragazze dell'Ipm nella costruzione di una nuova ripartenza - spera il sindaco Lucia Baracchini". L'istituto penale femminile è stato inaugurato nel dicembre 2010, nella vecchia struttura del carcere sorta nel 1908. L'edificio è riservato esclusivamente alle ragazze in espiazione di pena per aiutarle al reinserimento esterno. In media ospita una cinquantina di detenute all'anno. Ma che cosa pensano le giovani ospiti dell'Ipm? "Caro Babbo Natale - scrive Valentina - quest'anno non ho fatto la brava. Ma sappi che io la sono. Come regalo di Natale vorrei la salute di mia madre e la felicità di tutte le persone a cui voglio bene". "Parte da Pontremoli questa sfida per il reinserimento - commenta il Sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri - che si può vincere attraverso un modello che fa riferimento all'educazione e alla cultura". Trapani: nel carcere di Castelvetrano i detenuti realizzano un murales ispirato a Matisse di Filippo Siragusa Giornale di Sicilia, 31 dicembre 2014 A conclusione di un corso di arti grafiche e computerizzate organizzato dall'Euro. Un cielo ampio, di colore azzurro intenso, attraversato in lungo e in largo dal volo degli uccelli. È una metafora di speranza e libertà, quella raffigurata nell'opera murale che otto detenuti della Casa circondariale di Castelvetrano hanno creato a conclusione di un corso di arti grafiche e computerizzate organizzato dall'associazione Euro di Palermo. L'imponente decorazione è stata realizzata con tecniche miste su una superficie di circa tre metri per otto, traendo ispirazione da un celebre dipinto di Henri Matisse. Il percorso formativo ha coinvolto gli allievi per complessive 450 ore, svolte nel periodo tra aprile ed ottobre, con moduli specialistici condotti prevalentemente da docenti qualificati in discipline informatiche: attraverso studio teorico ed esercitazioni pratiche al pc sono state trattate materie come informatica di base, grafica vettoriale e grafica applicata alla comunicazione. I corsisti, inoltre, hanno potuto seguire un modulo di tecniche grafico-pittoriche e decorative, messe a frutto, poi, nella rappresentazione figurativa su parete, sotto la guida del docente Vito Lombardo. Monza: la musica dietro le sbarre… così rock e pop diventano maestri di vita di Paolo Giordano Il Giornale, 31 dicembre 2014 Con Franco Mussida della Pfm nel carcere di Monza per "Co2", progetto Siae per la riabilitazione dei condannati. A Elvio, che uscirà nel 2018, piace moltissimo la colonna sonora di Nuovo cinema Paradiso. Invece Christian, quando è entrato qui nel 2008, ascoltava Metallica e Megadeth e tutta roba dura, ora preferisce Keith Jarrett. Ilir aveva l'intera discografia degli Scorpions, adesso sceglie l'hip hop. Lo ascolta in questa saletta della biblioteca del carcere di Monza, un po' spoglia ma piena di libri, e poi scrive quali emozioni ha suscitato ciascun brano: "Il rap mi toglie la malinconia". Elvio, Christian, Ilir e Mario e Alessandro e un'altra decina di ragazzi sono detenuti, qualcuno di loro sarà libero tra dieci o venti anni, e tutti partecipano al progetto "CO2" che è stato ideato da Franco Mussida della Pfm ed è diventato, sotto l'alto patronato del Presidente della Repubblica, una delle nuove sfide della Siae gestita da Gino Paoli: migliorare l'emotività dei carcerati e, quindi, contribuire alla rieducazione, che è poi il fine sostanziale della pena. Nei quattro istituti finora coinvolti (oltre a Monza, dove è nato anche il progetto "Potere alle parole Lab" del rapper Kiave, pure Opera, Rebibbia e Secondigliano) sono state installate le audioteche, ossia contenitori di brani che, grazie alle schede di ascolto, vengono "catalogati" a seconda dello stato d'animo che aiutano a raggiungere. Un progetto complicato e ambizioso cui hanno già dato il proprio assenso tanti artisti italiani, da Baglioni a Ron a Vecchioni. La musica come terapia. La musica come specchio nel quale finalmente riconoscere il proprio identikit. "In un luogo dove gli stati d'animo sono banditi, le canzoni aiutano a riflettere sui propri errori", spiega Mussida che in questo progetto mette anima e corpo con un obiettivo ben preciso: "La musica ha una spaventosa capacità evocativa quindi lasciamole fare ciò che sa fare meglio: facilitare le nostre emozioni". E in effetti, dando un'occhiata ai detenuti che ascoltano Superstition di Stevie Wonder oppure Bohemian Rhapsody dei Queen e Europa di Santana, tutti lì per lì distratti e poi sempre più coinvolti, si capisce la funzione maieutica del rock e del pop, quando è spiegato da chi lo conosce bene come Mussida, ed è ascoltato senza distrazioni. "L'idea di combinare musica ed emozioni è vincente", conferma Alessandro Cozzi, il responsabile della biblioteca che segue gli ascolti. Qui come nelle altre carceri, si distinguono tre fasi: l'ascolto libero, quello guidato e quello "libero e aperto a tutti" che ha un reale obiettivo ricreativo. Su tutto sono fondamentali le schede "post ascolto": aiuteranno a creare la "suonoteca" che, qualora il progetto diventasse operativo in tutte le carceri, sarebbe uno dei punti di riferimento riabilitativo dei condannati. A ogni canzone la propria finalità "terapeutica". Finora il sistema software che gestisce il progetto contiene un migliaio di brani che potrebbero diventare quindicimila in tre anni. "Al momento - e, quando lo dice, a Mussida si illuminano gli occhi - il risultato più evidente è stato il miglioramento del benessere psicologico di chi ascolta canzoni". A modo loro, quindi dicendolo con lo sguardo ma non con le parole, lo confermano anche Luigi e Mostapha, che hanno seguito la lezione battendo i piedi per seguire il ritmo sempre, anche quando risuona il tema portante del film Scandalo al sole , così romantico e sognante. Ciascuno ha ascoltato tanti brani, in media duecento, qualcuno oltre cinquecento, la maggior parte mostrando un'indole ottimista oppure pensierosa e, soprattutto comprimendo, nelle poche righe della scheda, frasi che talvolta lasciano schiudere una vena poetica totalmente imprevedibile. "Ho spacciato, ho spacciato tutto tranne che felicità - dice uno che riavrà la propria vita nel 2020 - e non avevo mai capito chi realmente fossi, la musica mi aiuta a farlo". Mentre parla, un suono metallico echeggia insistente: a scadenza fissa le guardie controllano la solidità delle sbarre. Nessuno ci fa caso perché a questa musica sono ormai abituati. Ed è l'unica che, una volta fuori di qui, si spera non tornino ad ascoltare mai più. Quando le canzoni nascevano in prigione, di Seba Pezzani "Salve, sono Bob Dylan. Vorrei ordinare il cofanetto Goodbye, Babylon. Devo fare un regalo a un amico. Si chiama Neil Young". Immaginate la costernazione di Lance e April Ledbetter che da qualche anno fanno della riscoperta della tradizione etnomusicale americana il proprio credo. Andando decisamente controcorrente, decisero di digitalizzare l'analogico attraverso la Dust To Digital casa editrice e discografica nata per recuperare opere di grande valore storico-musicale-culturale della tradizione. L'ultima fatica della Dust To Digital è Parchman Farm, un libro-cofanetto in cui si illustra l'importanza dei canti dei carcerati del famigerato penitenziario del Mississippi. Due cd incisi da Alan Lomax e da suo padre John, corredati da un libro di oltre cento pagine, con splendide foto d'epoca e testi di canti di lavoro. Con quello che sta succedendo a Ferguson, Missouri, Parchman Farm è un'opera attuale. Perché, il penitenziario di stato di Parchman non era altro che un'enorme piantagione correzionale per afroamericani. Gli stessi canti raccolti dai Lomax, in larga parte litanie scandite dai colpi d'ascia o di piccone del caposquadra, non differiscono da quelli degli schiavi delle piantagioni. Cantare a Parchman aveva lo stesso scopo dei canti delle piantagioni: non perdere la cadenza e, dunque, non restare puniti; scambiare parole con i compagni senza farsi udire dai sorveglianti. Negli anni dell'integrazione razziale carceraria, lo stesso Alan Lomax scoprì una sorta di razzismo alla rovescia. Un ergastolano di colore a cui aveva chiesto come mai i carcerati non cantassero più gli rispose così: "Non ci si riesce. I bianchi non sanno andare a tempo". Illuminanti sono le parole di William Ferris, docente di Storia e Folklore del Sud alla University of North Carolina e autore del seminale Il blues del Delta (Postmediabooks). "Questo cofanetto cattura le cupe condizioni di vita degli afroamericani nel penitenziario più famigerato della nazione e la musica che li aiutò a superarle. Per molti neri, ancor oggi, il mondo del penitenziario ricorda da vicino la vita nel mondo libero. Queste intense incisioni colgono la rabbia, la protesta e i sogni di quei carcerati". Immigrazione: rivolta nel Cara di Mineo, un arresto e due denunce Ansa, 31 dicembre 2014 Un nigeriano di 31 anni ospite del Cara di Mineo, Evans Owah, è stato arrestato dalla polizia e altri due connazionali sono stati denunciati in stato di irreperibilità in seguito ai disordini scoppiati ieri nella struttura dopo la mancata concessione di alcuni permessi di soggiorno per motivi umanitari. I tre devono rispondere di devastazione e saccheggio, danneggiamento seguito da incendio, resistenza a pubblico ufficiale e di altri reati. Altri responsabili sono in via di identificazione. Ieri una decina di nigeriani ha dato vita ad una rivolta durante la quale sono state incendiate e danneggiate quattro vetture, una delle quali della Cri, ed è stato saccheggiato un magazzino di distribuzione di vestiario, sigarette ed altri beni. La protesta è stata sedata dopo poche ore dalla polizia, che ha disperso i manifestanti con l'uso di lacrimogeni. L'arrestato, che avrebbe incitato i connazionali, durante i disordini si è procurato una ferita da taglio all'avambraccio sinistro. Trasportato in ospedale è stato medicato, giudicato guaribile in 15 giorni e dimesso. Le indagini si sono avvalse della collaborazione della folta comunità nigeriana presente al centro, che ha preso le distanze dai fatti stigmatizzando la condotta dei connazionali che hanno dato vita ai disordini, e delle immagini registrate dalle telecamere di video-sorveglianza del centro. L'arrestato è stato rinchiuso nel carcere di Caltagirone. Mondo: il 2014 è stato l'anno delle crudeltà crescenti di Tommaso Di Francesco Il Manifesto, 31 dicembre 2014 La guerra non si è arrestata come mezzo di risoluzione delle crisi ed è riesplosa, dopo il disastro balcanico degli anni Novanta, ancora una volta in terra europea. È stato infatti l'anno dell'Ucraina, dove la protesta contro il presidente Yanukovich, che vedeva in piazza tutti i settori della società ucraina, è diventata alla fine violenta e armata, con una forte presenza dell'estrema destra xenofoba e neonazista e soprattutto nazionalista ucraina in contrapposizione non solo alla Russia di Vladimir Putin ma fatto ben più grave alla forte componente russa interna all'Ucraina, di lingua russa e apertamente filorussa, quasi il 40% della popolazione e maggioranza nelle regioni dell'est e dall'economia fortemente collegata a quella russa. Uno scontro che provocherà alla fine la dichiarazione di secessione del Donbass. Su piazza Majdan era comparsa da febbraio l'intera leadeship mondiale a soffiare sul fuoco della rivolta, e la destra americana capitanata dal senatore repubblicano McCain che apriva così la sua campagna elettorale per le elezioni di midterm, subito rincorso da Obama che inviava da marzo su Majdan lo staff dell'intelligence Usa e lo stesso capo della Cia John Brennan. L'Unione europea, senza politica estera di fatto e alle prese con la sua crisi economica, a fine 2013 aveva di fatto innescato la miccia voltando le spalle alle richieste di Kiev di un prestito che garantisse la crisi ucraina dal default salvaguardando la possibilità che il paese rimanesse insieme neutrale, fuori dai blocchi, e ancorato economicamente sia all'Ue che alla Csi, la Comunità degli stati indipendenti. Così la Ue si è consegnata nelle mani della Nato che dalla fine dell'89 invece di sciogliersi si è rilanciata con la guerra "umanitaria" del 1999 contro l'ex Jugoslavia, dislocando alla frontiera russa e in tutti i paesi dell'ex Patto di Varsavia, basi militari, sistemi d'arma, avvio di scudo antimissile, ferreo controllo dei bilanci militari e rilancio del mercato della armi Usa. La reazione della Russia è stata dura con la riannessione della Crimea, già provincia russa e il sostegno logistico agli indipendentisti delle regioni dell'est, subendo per questo sanzioni e ricatti. Ora dalle 80 vittime della repressione di piazza Majdan e dalle 40 vittime della strage di Odessa ad opera dei gruppi neonazisti, siamo a più di cinquemila morti di una guerra civile senza esclusione di colpi. Mentre il nuovo governo di Kiev sta erigendo un nuovo muro al confine russo e il parlamento vota la fine della neutralità verso l'adesione alla Nato, vale a dire l'organismo "responsabile della crisi ucraina, denuncia l'ultimo numero della prestigiosa rivista americana Foreign Affairs. A somma di crudeltà, il 2014 è stato anche l'anno della nascita dello Stato islamico (Isis), il Califfato. Una nascita sorprendente? Mica tanto. Se solo si riflette sul disastro provocato dall'intervento militare della Nato contro Gheddafi nel 2011, in aperto sostegno agli insorti islamisti. Ora la Libia è nel caos di una guerra civile feroce, mentre in Cirenaica è stato proclamato l'"Emirato islamico" e Bengasi è il santuario di armi e miliziani che alimenta la guerra civile in Siria. Dove gli "Amici della Siria", cioè buona parte dell'Occidente a guida Usa e le petro-monarchie sunnite hanno tentato, non riuscendoci, la stessa operazione libica. A costo di decine di migliaia di morti, per gran parte civili. L'Isis è nato da quella devastazione, prima in Siria e grazie alle armi e all'addestramento nelle basi militari della Turchia (baluardo Nato), poi nel nord dell'Iraq. Eppure con l'uccisione di Osama bin Laden, Al Qaeda era una "missione compiuta" dell'Amministrazione americana, invece è rinata con migliaia di miliziani di Al Nusra in Siria e si è inverata in un nuovo scellerato e giovane movimento ultra-islamista, il Califfato, in Iraq - proprio nelle zone, come Falluja, che videro le imprese sanguinose dell'occupazione e della guerra americana. Ora per combatterlo corrono ai ripari bombardandoli, cioè bombardano l'impresa degli "Amici della Siria" che hanno messo in piedi, e aiutando al ribasso i combattenti kurdi che finora l'Occidente ha considerato "terroristi". Un rovescio per gli Usa, che hanno visto con il disastro libico e l'assassinio dell'ambasciatore Usa Chris Stevens l'uscita di scena del segretario di stato Hillary Clinton e il capo della Cia David Petraeus; e con quello siriano-iracheno, la defenestrazione del capo del Pentagono Chuck Hagel. Come se non bastasse la crudeltà già sul campo, l'estate scorsa abbiamo assistito ad un nuovo massacro di palestinesi a Gaza. L'operazione "Margine protettivo" del governo israeliano d'estrema destra di Benjamin Netanyahu, lanciata ufficialmente per fermare i lanci di razzi di Hamas, in realtà per impedire sul nascere il governo di unità nazionale palestinese tra Fatah e Hamas, ha provocato 2.200 morti, settemila feriti, 89mila case distrutte, semi distruute e lesionate. Nel silenzio della comunità internazionale e dell'Italia che, fanalino di coda in Europa, non osa affrontare il nodo della nascita dello Stato di Palestina. Ultima ma proprio ultima la strage di pochi giorni fa di Peshawar dei talebani pakistani, a ricordare che la scia di sangue della guerra in Afghanistan, dove gli Stati uniti restano in armi, ritorna lì dove il movimento talebano è stato inventato. Si dirà che alla fine c'è una novità non crudele: il disgelo e l'annuncio di ripresa dei rapporti diplomatici fatto da Obama tra Cuba e Usa. Certo la speranza è grande, soprattutto all'Avana. Ma la vittoria repubblicana nelle elezioni americane di midterm dice che la loro forza in maggioranza nelle due Camere Usa si opporrà perché il disgelo sia reale e venga abrogata la legge Helms-Burton che impedisce gli scambi economici. E poi c'è la ripresa Usa, il Pil che aumenta del 5%. Così il mondo si ritroverà un'America più ricca (per i ricchi), con maggiore capacità di far pagare i costi della crisi (e quelli militari) altrove, come in Europa (v. la vicenda South Stream), più socialmente fragile visto che le riforme di Obama, come quella decisiva della sanità, non sono passate, e insieme più razzista come dimostra la litania di uccisioni di afroamericani, quasi una guerra civile, da parte della polizia. Davvero appena uno spiraglio di luce si apre ritorna il buio. Facciamo che cresca la speranza, impediamo che resti solo la prospettiva "umanitaria" della guerra. India: sui marò strategia italiana ribaltata con la scelta di puntare tutto su Modi di Danilo Taino Corriere della Sera, 31 dicembre 2014 Niente arbitrato, accordo politico con l'India: i rischi del piano di Palazzo Chigi. Nella lunga vicenda dei due marò, siamo tornati alla casella di partenza, al febbraio 2012: tutto è nelle mani della benevolenza dell'India politica e giudiziaria. Si può sperare che questa volta vada meglio: il governo indiano in carica, guidato da Narendra Modi, è più disposto di quello di allora a trovare una soluzione condivisa. Il dato di fatto, però, è che a dare le carte continua a essere solo Delhi: la strategia per strapparle l'iniziativa, o almeno per condividerla, era stata impostata da Emma Bonino quando era ministro degli Esteri del governo Letta ed era stata portata avanti da Federica Mogherini, prima di trasferirsi a Bruxelles, e dal ministro della Difesa Roberta Pinotti. Fino a poco più di tre mesi fa: poi, la questione è stata presa in mano dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, la strategia è stata abbandonata e tutto è stato riportato su un piano esclusivamente politico tra i governi dei due Paesi; un rapporto nel quale l'India è in posizione di forza e detta modi e tempi. Con risultati pessimi per Salvatore Girone, per Massimiliano Latorre e per la reputazione internazionale dell'Italia, come si è visto nei giorni scorsi. Ora si può fare il punto su ciò che sta avvenendo in questi giorni. Anche perché la vicenda ha assunto una valenza sempre più rilevante nella politica italiana dopo che Matteo Renzi ha criticato gli "inutili show" di alcuni "ministri dei governi precedenti", riferendosi all'ex titolare degli Esteri Giulio Terzi e forse a Emma Bonino; e ha detto che il governo di Delhi "nelle ultime ore ha aperto un canale di confronto diretto", con ciò di fatto smentendo i suoi ministri Pinotti e Paolo Gentiloni (Esteri) che avevano mostrato forte irritazione con l'India. Fin dall'estate, sul tavolo delle autorità indiane c'è una proposta di Roma per arrivare a una soluzione condivisa. Al tempo, aveva una sua logica e rispondeva a una strategia: ingaggiare in un confronto politico il nuovo governo di Delhi e in parallelo preparare il ricorso all'arbitrato internazionale. Due iniziative che si rafforzavano a vicenda: l'arbitrato avrebbe fatto pressione sull'India affinché accettasse un compromesso e la proposta di accordo bilaterale sarebbe stata, se respinta, un'argomentazione in più per ricorrere all'arbitrato. Questa costruzione è stata inspiegabilmente abbandonata. La decisione di azzerarla è avvenuta in contemporanea alla scelta di Renzi di prendere direttamente in carico la questione. Il che ha significato mettere ai margini i ministeri degli Esteri e della Difesa, fino ad allora alla guida del caso, e puntare tutto sulla ricerca di un rapporto diretto con Modi, in particolare con Ajit Doval, consigliere per la Sicurezza nazionale, una delle super spie più famose d'Asia. E ha comportato il congelamento del team giuridico di avvocati internazionali, guidato dall'inglese Sir Daniel Bethlehem, che nei mesi precedenti aveva preparato la soluzione italiana per arrivare a un compromesso con l'India o all'arbitrato internazionale unilaterale. A quel punto, la gestione del caso si è trasformata nell'esclusiva ricerca di una disponibilità della parte indiana a risolverlo. Il 16 dicembre scorso, è arrivato il risultato della svolta impressa da Renzi. Gli avvocati dell'Italia hanno presentato due mozioni alla Corte Suprema di Delhi con le quali chiedevano un prolungamento della licenza di Latorre e un permesso natalizio di tre mesi per Girone. Evidentemente incoraggiati dai colloqui con Doval. In realtà, l'avvocato dello Stato indiano si opponeva alle mozioni. E il presidente della Corte Suprema si mostrava irritatissimo dalla mossa italiana, letta come il tentativo di parte politica di imporre una soluzione violando l'autonomia della Corte: consigliava agli avvocati italiani di non presentare nemmeno le mozioni; consiglio umiliante ma perentorio. Tradotto: il governo Modi - come ha poi ribadito pubblicamente - vorrebbe "una soluzione diplomatica condivisa" con Roma ma deve rispettare l'indipendenza della sua magistratura, la quale lo ha fatto sapere con chiarezza. Un Paese europeo che non consideri l'India pienamente uno Stato di diritto è destinato a sollevarne gli automatici riflessi anticolonialisti. Alla fine, insomma, il nodo mai sciolto della vicenda è venuto al pettine: la confusione tra aspetto diplomatico del caso e aspetto giudiziario. Il nuovo pasticcio creato con la svolta degli ultimi mesi ha fatto tornare alla casella di partenza questo triste gioco dell'oca. Perché ora, tra l'altro, l'Italia si sta alienando la possibilità di dare inizio a un arbitrato internazionale unilaterale, impossibile da chiedere se con il governo di Delhi ci sono ancora aperte trattative, come hanno confermato gli indiani e lo stesso Renzi due giorni fa. Solo quando una trattativa è, dopo più tentativi, fallita, il ricorso all'arbitrato unilaterale ha chance di successo, non prima: quella era la strategia portata avanti fino ad alcuni mesi fa e poi abbandonata dal governo di Roma. Ora, resta solo la possibilità che Narendra Modi accetti un accordo, magari per un arbitrato su dove tenere (in Italia o in un Paese terzo) il processo a Girone e Latorre. Siamo in attesa della bontà sua. Medio Oriente: Ong; 300 palestinesi arrestati da Israele a Gaza nel 2014 Aki, 31 dicembre 2014 Le autorità israeliane hanno arrestato almeno 300 palestinesi nella Striscia di Gaza nel 2014. Lo rende noto l'Associazione per i prigionieri e gli ex prigionieri palestinesi, spiegando che due terzi degli arresti sono avvenuti durante i 51 giorni dell'offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza tra luglio e agosto scorsi. La maggior parte degli arrestati, ha poi detto l'ong, è stata rilasciata entro alcuni giorni dopo essere stati sottoposti a "torture e interrogatori approfonditi". Degli arrestati quest'anno a Gaza, 22 restano ancora dietro le sbarre. In totale, sono più di settemila i palestinesi attualmente in carcere in Israele, secondo dati del governo palestinese con sede a Ramallah. Siria: non solo vittime degli jihadisti…. quei cristiani rinchiusi nelle carceri di Assad Panorama, 31 dicembre 2014 Sono almeno 450 i cattolici e gli ortodossi sotto arresto per motivi politici nelle prigioni siriane. Medici, avvocati, intellettuali, donne, dissidenti. Sono almeno 450 i cristiani rinchiusi nelle prigioni siriane per motivi politici. L'accusa nei loro confronti è quasi sempre la stessa: "terrorismo", "collaborazionismo con Paesi stranieri", "indebolimento del sentimento patriottico". Secondo un rapporto diffuso dalla Rete siriana per i diritti umani, che ha stilato una lista di almeno 112mila detenuti politici rinchiusi nelle carceri del dittatore, il più grave pericolo che corre la comunità cristiana in Siria non viene dall'Isis, come saremmo abituati a pensare e che pure ha scatenato una guerra senza quartiere contro le etnie e le comunità religiose diverse. Viene dal regime e dalle forze paramilitari al servizio di Assad, ritenute responsabili negli ultimi quattro anni, secondo gli uomini di questa Ong che è ritenuta una delle più attive in Siria, di circa il 90% degli attacchi ai luoghi di culto cristiani presenti nel Paese. Una delle carte vincenti di Assad, il capo di Stato siriano appartenente a una frangia eretica dello sciismo e alleato con le milizie di Hezbollah, è sempre stata quella di aver cercato di proteggere le minoranze dalla furia degli jihadisti grazie a un regime pluriconfessionale dove è garantita comunque la libertà di culto delle minoranze alawite, cristiane e curde. La sua visita nei giorni di pasqua nella città cristiano-armena di Malouula, prima conquistata e saccheggiata dai ribelli fondamentalisti di Al Nusra e poi riconquistata dalle forze filogovernative, doveva diventare, sul piano propagandistico, il simbolo di un regime tollerante che rigetta l'Islam politico e l'estremismo salafita. Ma in un Paese storicamente attraversato da gravi tensioni claniche e religiose come la Siria, la verità non si piega facilmente alle esigenze di propaganda. Rimane vero però che, messi di fronte a una scelta, i cristiani siriani (2,5 milioni) preferirebbero forse stare sotto Assad che sotto i salafiti estremisti che stanno infuocando la Siria. C'è il fatto però che i cristiani si ritrovano spesso in mezzo ai due combattenti, vittime di entrambi gli eserciti in lotta. A Homs, nelle prime fasi della guerra, molti ricordano come le truppe di Assad distrussero la chiesa di San Giorgio, una delle più antiche presenti nel Paese, per vendetta. La stessa sorte toccò a tre villaggi cristiani vicini a Idlib, distrutti perché sostenevano l'Esercito Siriano Libero. Tra i detenuti politici cristiani nelle carceri di Damasco spiccano i nomi di Gabriel Mousa Kouriye, 52 anni, storico dissidente, il medico Samir Ibrahim, l'avvocato Khalil Maatuq. Inquietante la storia di Ibtisam Sukkariye, arrestata nel luglio 2013 con la figlia Mary, liberata recentemente. Tra i nomi meno noti elencati nel rapporto figurano un volontario della Mezzaluna Rossa siriana arrestato a Damasco. Nel rapporto la Ong siriana denuncia anche la scomparsa di cristiani finiti nelle mani dei jihadisti dell'Isis e di altri gruppi estremisti armati. Tra loro il gesuita italiano Paolo Dall'Oglio, definito "siriano di origini italiane", in mano all'Isis dal luglio 2013, e Hanna Musa, francescano di Idlib. A non meglio precisati gruppi di miliziani radicali è invece attribuita la scomparsa di due vescovi ortodossi, Bulos Yazigi e Gregorios Ibrahim. Siria: centinaia detenuti politici Homs in sciopero fame, denunciano anche abusi e torture Ansa, 31 dicembre 2014 Centinaia di detenuti politici siriani rinchiusi nel carcere di Homs, nel centro del Paese, sono da quattro giorni in sciopero della fame per denunciare la lunga detenzione, per lo più senza accuse né condanne formali, abusi e torture. Lo riferisce oggi l'Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus), secondo cui dal 2011 a oggi sono oltre 200mila i prigionieri di coscienza arrestati dal regime con l'inizio delle proteste pacifiche scoppiate circa quattro anni fa e le conseguenti violenze. Tra i detenuti politici, circa 12mila sono morti in carcere per le torture e le pessime condizioni sanitarie e alimentari. Il regime smentisce queste cifre e afferma che le persone arrestate dal 2011 a oggi sono "terroristi" o "collaborazionisti di Paesi stranieri che hanno complottato contro la Siria". Stati Uniti: cinque prigionieri del carcere di Guantanámo trasferiti in Kazakistan Ansa, 31 dicembre 2014 Due tunisini e tre yemeniti detenuti al carcere statunitense di massima sicurezza di Guantánamo, sull'isola di Cuba, sono stati trasferiti in Kazakistan: lo ha annunciato ieri il Pentagono. Nella prigione che il presidente Usa Barack Obama ha promesso di chiudere restano così altri 127 prigionieri. I cinque uomini, che erano detenuti senza alcun capo d'accusa o giudizio formale, si trovavano a Guantánamo da oltre 11 anni. Bahrein: capo opposizione sciita in carcere per 7 giorni, accusato incitamento a violenza Aki, 31 dicembre 2014 È stata estesa di sette giorni la custodia cautelare per il leader di al-Wefaq, il principale movimento dell'opposizione sciita in Bahrain, arrestato domenica. Lo ha riferito l'agenzia Dpa, citando le autorità giudiziarie della monarchia del Golfo, secondo le quali Ali Salman resterà in carcere almeno per un'altra settimana per essere sottoposto ad ulteriori interrogatori. L'arresto di Salman, rieletto sabato alla guida di al-Wefaq, ha scatenato una nuova ondata di scontri nel paese. Ieri la polizia ha sparato lacrimogeni e granate assordanti in diverse zone per disperdere i manifestanti. Alcuni testimoni parlano di dimostranti feriti dal fuoco degli agenti. Nel 2011 in Bahrain la comunità sciita scese in piazza sulla scia delle rivoluzioni della cosiddetta Primavera Araba per chiedere alla famiglia reale sunnita di lanciare un piano di riforme democratiche. La rivolta fu repressa nel sangue dalle autorità di Manama con l'aiuto di Riad, che inviò alcuni reparti militari per sedare la rivolta. Kuwait: blogger condannato a 4 anni carcere per commenti contro l'Arabia Saudita Aki, 31 dicembre 2014 Il blogger kuwaitiano Saleh al-Saeed è stato condannato a quattro anni di carcere per alcuni commenti ritenuti "ostili" nei confronti dell'Arabia Saudita e della sua leadership. Lo ha riferito l'agenzia d'informazione Dpa, precisando che al-Saeed, nel corso di un'intervista in tv, aveva accusato il regno del Golfo di offrire denaro e armi ai ribelli che combattono in Siria per rovesciare il presidente Bashar al-Assad e "distruggere il paese". L'avvocato del blogger in una precedente udienza del processo aveva difeso il suo assistito, spiegando che le sue parole intendevano spronare i leader sauditi a riconsiderare la loro politica sulla Siria. Al-Saeed può ora ricorrere in appello contro la sentenza.