Figli di Uomini Ombra: "figli di un Dio ancora minore" di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 29 dicembre 2014 Per un Uomo Ombra amare in carcere i suoi figli è difficile. Ogni tanto è anche doloroso, ma il più delle volte l'amore è l'unica cosa bella che abbiamo per non sparire del tutto nell'ombra. (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com). La direttrice di "Ristretti Orizzonti" Ornella Favero mi ha chiesto di scrivere un articolo su come i figli degli ergastolani siano "figli di un Dio ancora minore" rispetto agli altri figli di detenuti. I miei due figli per me sono sempre stati il mio mondo e il mio universo ed in passato mi hanno sempre chiesto "Papà quando vieni a casa?". Con il passare degli anni mi è sempre stato più difficile rispondere a questa domanda, perché i figli degli ergastolani non potranno mai sapere il giorno il mese e l'anno che i loro padri torneranno a casa. E sono, e si sentono diversi, da tutti i figli degli altri detenuti che prima o dopo vedranno il loro genitore uscire dal carcere. Mi ricordo che tanti anni fa, durante un colloquio nel carcere di Cuneo, mio figlio mi teneva il muso e non capivo il motivo perché di solito quando mi veniva a trovare era molto affettuoso. Chiesi alla mia compagna che aveva. Lei aveva scrollato leggermente la testa. E mi disse che Mirko ero stanco di sentire bugie e voleva sapere quando venivo a casa. La sua voce era profonda. Papà. Pensierosa. Non mi è facile crescere senza di te. Malinconica. Ti confido che mi sento diverso dagli altri ragazzi. Triste. A volte mi sento un orfano di un genitore ancora vivo. E nello stesso tempo arrabbiata. I miei amici non ti conoscono. Era una voce diversa. Non mi vieni mai a prendere a scuola. Sembrava la voce di un adulto. Gli insegnanti mi domandano sempre di te. E veniva dal cuore. Ho sempre detto che sei a lavorare all'estero. Ad un tratto abbassa lo sguardo. Loro però mi domandano perché non torni mai a casa. Fa su è giù con il capo. Papà. Sembrava sul punto di scoppiare a piangere. Sono stanco di dire bugie. Poi rialza gli occhi. Per favore. E mi guarda. Dimmi la verità. Il suo viso è scuro. Quando torni a casa? E incazzato. Mi sento perso. Mirko. Perduto. Non so come dirtelo. E debole. Credo che però è giusto che finalmente ti dica come stanno le cose. Il mio cuore infierisce. Perdonami se non l'ho mai fatto prima. E mi rimprovera che con mio figlio non posso fare come con i giudici e avvalermi della facoltà di non rispondere. Sappi che per me non è facile dirti la verità. Penso che con il mio cuore e la sua ironia farò i conti dopo quando rientrerò in cella. Ed ho cercato di tenertela nascosta per tutti questi anni. Intanto guardo mio figlio negli occhi. Ora però credo che sia giusto che tu sappi che sono stato condannato alla "Pena di Morte Viva". E mi accorgo di quanto è diventato grande. Sono un ergastolano. Aveva sei anni quando l'ho lasciato in manette circondato da una diecina di carabinieri. E la mia pena non avrà mai fine. Abbozzo un sorriso senza convinzione. Sarò sempre un'ombra in un muro. E penso amaramente che un ergastolano non dovrebbe avere figli perché l'amore paterno in carcere non ha i colori dell'amore di fuori. Figliolo. Penso che l'amore di un uomo ombra non potrà mai fare felice i propri figli. Mi dispiace che mi hanno maledetto e condannato ad essere cattivo e colpevole per sempre. Penso che i padri ergastolani per fare soffrire di meno i propri figli si dovrebbero togliere la vita. Amore. Penso che la morte per gli ergastolani ostativi sarebbe il destino migliore. Perdonami se per colpa mia sei figlio di un'ombra. Penso che è meglio che non penso. Poi smetto di parlare. Mio figlio chiudi gli occhi qualche secondo. Inspira a fondo. Io nel frattempo cerco di trattenere le lacrime. Poi ci ripenso. E libero le mie lacrime. Mio figlio fa altrettanto. E penso che per un uomo ombra non ci sia cosa più bella che piangere abbracciato al proprio figlio perché tu sei il passato e lui è il tuo futuro che non potrai mai più avere. Il Natale triste delle famiglie divise dalle sbarre Il Mattino di Padova, 29 dicembre 2014 Il Natale è una festa che dovrebbe riunire le famiglie, persino là dove ci sono conflitti e rancori, una festa che vive della presenza di tutti, nessuno escluso. Ma se in una famiglia c'è una persona detenuta, quella festa che unisce diventa la festa dell'assenza. Lo testimoniano, con tutto il dolore che porta vedere la gioia degli altri e la propria sofferenza, una persona detenuta che ha il figlio ammalato in ospedale, un altro detenuto che ha la famiglia lontana e non può neppure fare colloquio, la sorella di un detenuto, che il Natale l'ha passato con quel posto a tavola così tristemente vuoto. Lettera di Natale a Kevi, il mio bambino Questo è il quarto anno che non posso festeggiare Natale con te, e neppure il tuo compleanno il 21 dicembre, papà non può stare vicino a te. Non ti posso fare gli auguri di buon compleanno e portarti un regalino. Non posso starti vicino a Natale, ma non ti ho dimenticato. Ogni giorno ti penso, ogni giorno guardo le tue foto e i disegni che mi avevi portato. Quando sei nato io ero giovane e non potevo credere che ero diventato un padre. Mi ricordo quando avevi un mese e non smettevi di piangere e io dalla camera da letto mi alzavo e andavo a dormire in cucina. Non dimenticherò mai le tue prime parole, mi dicevi: tati .. tati .. tati. Adesso sei cresciuto, quest'anno sei andato a scuola ma io non ti ho potuto accompagnare il primo giorno di scuola e neppure gli altri. Mi sono perso tanto di te, tutto! Le colpe sono tutto mie se non ho potuto fare il padre come si deve. Per i miei capricci e per le mie stronzate tu devi crescere senza un padre. Ogni minuto, ogni giorno, ogni compleanno, ogni Natale papà ti ha pensato, ma quest'anno per me è l'anno peggiore perché tu sei in ospedale e non posso fare niente, soprattutto starti vicino. Tu puoi pensare qualsiasi cosa di me, perché non ti vengo a trovare, perché non ti posso fare i regali e gli auguri per il compleanno come per Natale. Tutte le colpe sono mie, ma non vuol dire che papà non ti vuole bene. Io sono disposto a fare tutto per te. Per te sono disposto a vendere anche il mio sangue, purché tu sia felice. Io ogni giorno ti penso e ogni notte prima di dormire prego per te, affinché tu possa uscire al più presto dall'ospedale e sempre prima di dormire guardo la tua foto che ho attaccato al muro vicino a me e ti do un bacio. Io non ho mai saputo fare il papà, non capivo che tu dei regali non te ne fai niente se il tuo papà non ti sta vicino. Ora con la tua sofferenza ho imparato cosa deve fare un papà, spero che non sia tardi. Prego ogni giorno per questo motivo, affinché, presto, io abbia la possibilità di dimostrarti che ho imparato davvero. Spero che tu riesca a perdonarmi. Buon Natale Kevi. Il tuo Papà Marsel H. Spero che questo sia l'ultimo Natale senza mio fratello a tavola È vigilia di Natale. Sono le sei di mattina e con mia sorella partiamo per Padova. Mio fratello è in carcere e andiamo a trovarlo. So che le feste per chi sta dentro sono particolarmente dolorose, allora ad ogni festività, cerchiamo di esserci. Eccolo entrare, si nota subito il suo sorriso perché è felice di vederci. Oggi siamo solo noi tre fratelli e quale gioia più immensa passare due ore insieme proprio alla vigilia di Natale. Si parla del più e del meno. Abbasso spesso la testa. Cerco di non fissarlo negli occhi per più di tre secondi proprio perché temo di non riuscire a controllare e farmi scappare qualche lacrima significherebbe rovinare questo momento così bello. In un colloquio così, la parte che preferisco di più è quando iniziamo a prenderci in giro e a ricordare i momenti passati insieme. Accidenti dovreste proprio sentirci… Poi, quando abbiamo esaurito i ricordi, iniziamo a fantasticare sul nostro futuro, sulle cose belle da fare quando avrà scontato la pena, ma soprattutto iniziamo a fantasticare su come passare il prossimo Natale. Il Natale di solito si festeggia a casa, ma ormai, da anni abbiamo perso il vero senso di cosa vuol dire essere una famiglia. Ed ogni volta, quando ci sediamo a tavola, penso a mio fratello, che non può venire. E mi accorgo che vorrei vederlo accanto a me per poterlo abbracciare, parlare e semplicemente vederlo mangiare insieme. Anche quest'anno è andata così, ma il prossimo lo festeggeremo insieme. Ormai sono cresciuta seguendolo in giro per le carceri. Ho cercato di stargli il più vicino possibile, ma la distanza non ci ha sempre permesso di seguirlo nelle diversi carceri in cui è stato. Ad esempio, una volta l'hanno trasferito in un carcere della Campania, a 900 km di distanza da noi, e abbiamo sofferto moltissimo perché non ce la facevamo ad andare a colloquio. Così non lo abbiamo visto per un anno intero. Da quando è arrivato a Padova facciamo più colloqui, ma si tratta sempre di poche ore al mese. E a volte gli impegni lavorativi e le possibilità economiche ci costringono a saltare qualche settimana. Ora, che ha scontato sette anni di carcere, abbiamo saputo che è nei termini per usufruire di qualche permesso premio. Ma ci rendiamo conto anche che questo non sarà semplice. Da ciò che ci racconta, sembra che le procedure sono lunghe, perché il magistrato deve valutare il comportamento, e altri aspetti che non conosco. Ormai questo è un altro Natale senza mio fratello. Il settimo. Ma ho fiducia nella giustizia e la mia speranza è che questo sia l'ultimo Natale senza di lui a tavola. Sono sicura che accadrà presto e allora mi alzerò alle cinque per andare al carcere di Padova, ma non entrerò per fare un'ora di colloquio. Invece, aspetterò fuori per vedere mio fratello uscire e lo porterò via con me per passare tutti insieme una vera festa in famiglia. Irena, sorella di un detenuto Natale senza di me… per la mia famiglia è un peso nel cuore Il Natale. Una festa grande, che fa riflettere. Ecco, quando sei una persona sensibile, quando senti, senti tutto: senti la grandezza, senti la miseria, e senti, fortemente, con tanto dolore, la mancanza. Quando poi sei ormai grande, senti la terribile forza della tua assenza per tutti coloro che ami e che ti amano. La senti quando sai di essere in galera e quindi sei impotente davanti ad un consueto, normale "Natale con i tuoi". Lo so già che i miei amati faranno tutto ciò che potranno per non dimenticarsi di me in questo ennesimo Natale senza di me. Ma in realtà la loro gioia esteriore sarà fortemente turbata dalla consapevolezza, ancora più forte ora, che io manco, e fa già male. Manco perché sono chiuso in carcere ed è ancora peggio, quasi che questa mancanza obbligata tutto l'anno, ogni anno in questa data spingesse tante persone, invece che a essere più generose, a giudicare… Una cosa del tipo "Pensa, il loro figlio è carcerato anche a Natale, come può essere, non hanno neanche il figlio a casa!". Sembra surreale, questa cattiveria, eppure è più concreta di quanto possa sembrare, è reale la sensazione di mancanza ed è vero che i miei cari saranno provati un'ennesima volta, perché, di natali senza, ne son passati tanti, forse fin troppi. Per la mia famiglia, il 25 dicembre non è un giorno di festa, è ciò che con semplicità si potrebbe definire un "peso" al cuore, un dolore in più in mezzo a tanti altri; perché la realtà puoi provare a stravolgerla come vuoi ma, come la gioia vera è gioia vera, il dolore è dolore, con tutte le sue sfumature. Quando sei solo con te stesso e ti metti in discussione puoi fare a finta per un pò di non vedere la tua responsabilità, ma non puoi mentirti sempre. Allora giungi, ragionando, a questo tipo di conclusione: sai, e non puoi più nasconderti, che anche il prossimo Natale sarà uno dei moltissimi momenti difficili della tua famiglia, l'unica vera speranza è che in mezzo a tutto questo dolore trovino almeno dei momenti di conforto. Io, qui, sto imparando a dialogare, come sto facendo ora scrivendo, a dialogare ragionando, altrimenti, se fossi ciò che ero, un detenuto, un ragazzo ancora, messo in cella a vegetare senza la possibilità di dialogare e confrontarsi… io starei urlando di dolore e di rabbia. Andrea Zambonini Giustizia: quelli che dal carcere usciranno solo in una bara di Emanuela Fontana Il Foglio, 29 dicembre 2014 Succede tutto in silenzio. Le guardie si avvicinano ai carcerati, non devono neanche sfiorarli. Gli uomini ombra sanno quello che c'è da fare. Bisogna solo indietreggiare lentamente. Quattro passi al contrario, tre gradini. È la linea di confine tra i liberi, che rimangono qui, e i morti vivi, che scompaiono dietro le sbarre senza l'orizzonte di un'altra occasione. Il permesso è terminato. Questi sei ergastolani potrebbero uscire da questo carcere solo da morti, a meno di non essere trasferiti. E allora sarà lo stesso, in un altro istituto. Usciranno non mai, ma nell'anno 9999, come è scritto, al modo di un film di fantascienza, sui documenti dei detenuti condannati all'eterno. Non sono solo ergastolani, sono ostativi: sono per la legge supercriminali, pluriassassini, non collaboranti. "Il carcere a vita esiste, siamo noi quelli che usciranno in una bara". Sono quasi settecento in Italia, un numero anche questo che sembra una cifra di altri mondi. Nessun beneficio di pena, esclusione dalle attività degli altri detenuti. Almeno dieci anni di carcere duro in regime di 41 bis: l'Asinara, L'Aquila, Spoleto. Alcuni hanno superato i trent'anni, di reclusione, qui a Padova sono tutti ergastolani più che ventennali. Alle battaglie radicali, guidate da Rita Bernardini e Marco Pannella, tutt'ora in sciopero della fame, si è unito meno di due mesi fa Papa Francesco: "L'ergastolo è una pena di morte nascosta", l'ha definito Bergoglio davanti ai giuristi dell'associazione internazionale di diritto penale. A Padova sono una cinquantina gli ostativi, in regime AS1, alta sicurezza, su 850 detenuti. Gli ergastolani veri, i 9999. Speranza di uscita dal carcere vivi: nulla. Nessun lavoro consentito. L'inutilità è la loro umiliazione più grande: "Vorremmo fare del volontariato", chiedono tutti questi ex boss. Possono solo leggere, pensare, scrivere. Per questo sono nella palestra del carcere ad ascoltare un seminario su "Carcere e affetti", invitati dalla rivista Ristretti Orizzonti. Parla anche Barbara, la figlia di Carmelo Musumeci: "Lui non c'è fisicamente ma è sempre accanto a me". Li chiamano gli ostativi perché si sono rifiutati di diventare collaboratori di giustizia: non collaborare, spiegano, non significa non pentirsi: "Io non collaboro perché non mando in carcere un altro al posto mio, sarebbe come ammazzare ancora", ripetono tutti. Tommaso, Agostino, Carmelo, Demetrio, Giovanni, Beppe il messicano. L'onore li ha armati di odio e l'onore li cristallizza adesso, più di vent'anni dopo, in un'intransigenza, in cui cercano un'estrema elevazione. "Secondo te - bisbiglia Tommaso Romeo, condannato per associazione di stampo mafioso e omicidi, ex nome di spicco della Locride - secondo te dopo l'inferno che ho passato, dopo 23 anni così, entrato a 28 anni e ora uomo di 51, potrei mai dire a un giovane di fare la mia stessa vita? Mi ritenevo, e mi chiamavano "un palmo sopra Dio". Prima considerati assassini, poi il 41bis, il carcere dell'Asinara "con il bagno turco aperto senza nessuna riservatezza", racconta Carmelo Musumeci. Le invisibili bestie feroci dimenticate. Chi sono diventati questi uomini dopo 19, 21, 23 anni di isolamento? "Sai cosa dico a mia figlia quando vedo che il mio nipotino osserva le guardie con il broncio? - continua Tommaso Romeo. Cerca di non farlo crescere nell'odio". "Cosa vorresti fare se uscissi di qui?". Sorride come si sorride delle cose impossibili. "Vorrei parlare ai giovani". Nel carcere di Padova hanno un'occasione speciale, irripetibile: per sei ore partecipano a un convegno, hanno un contatto con la gente libera. Le celle della sezione di alta sicurezza si aprono, i morti che camminano si mescolano al pubblico. Nadia Bizzotto, della Comunità Papa Giovanni XXIII, è l'angelo degli ergastolani. Consegna un regalo, un libro scritto da 36 carcerati per sempre, "Urla a bassa voce". Lentamente convoca i sei uomini ombra. Se l'è inventata Carmelo questa storia. A loro piace essere chiamati così. Dopo un minuto il libro regalo di Nadia sparisce. "Non siamo stati noi! Parola d'onore", giurano tutti gli ex mafiosi. "Ci facciamo rubare un libro sotto i nostri occhi, come ci siamo ridotti!". Ridono tutti. Ora hanno voglia di parlare. "Mi è morto mio padre, mia madre è molto malata, non ho più niente, cosa potrei fare ora? Vorrei solo fare qualcosa per rendermi utile alla società", spiega Agostino Lentini. Ritenuto esponente di spicco della cosca Calabrò di Alcamo, è stato condannato per svariati omicidi, coinvolto nel rapimento del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell'acido a 15 anni perché figlio di un collaboratore di giustizia. Ma qui, a contatto diretto con gli uomini ombra, è difficile capire se la malvagità è una condanna per sempre, o se esiste un misterioso percorso di cambiamento. Non collaborano per salvare le famiglie dalle ritorsioni. Non collaborano perché dopo un quarto di secolo si sentono "figli di una guerra" che non esiste più. Le giornate sono "Machiavelli imparato a memoria", la scuola insieme. "Io sto pagando per un uomo che non sono più io, io non sono più quello", continua Tommaso. "Io sto pagando per un uomo che non sono più io", continua Tommaso. "Dalle mie parti la società acclamava quelli che ora chiamano mostri. A un ragazzo in farmacia non gli davano nemmeno le medicine perché non si vendicava del padre. La mamma diceva: "Lui è buono". Poi l'ho ritrovato anni dopo, in carcere. Ergastolano. Si è vendicato" Anche lui in guerra. "Non voglio dire che siamo santi, ma siamo anche nati nell'era sbagliata". Il tempo è scaduto. Carmelo cerca continuamente il braccio, la mano, la guancia, della figlia, come un assetato che non sa a quale fonte abbeverarsi. C'è un tormentato legame che tiene uniti questi padri, non rinnegati nonostante tutto, ai figli, e a volte a incrollabili donne che aspettano, un legame non fino alla morte, ma fino alla vita. Perché, per un ergastolano, la sfida è contrastare "la tentazione di farla finita". Gli altri indietreggiano dopo che le guardie non li hanno nemmeno toccati. Come animali dello zoo, gli uomini ombra guardano gli ospiti che vanno via. I visitatori in basso, così adorati e invidiati, loro in alto, sui gradini, i morti vivi assassini per sempre. Giustizia: riforma? dalla prescrizione alla responsabilità civile, tutte le promesse mancate di Filippo Facci Il Foglio, 29 dicembre 2014 "Entro giugno": la riforma della giustizia doveva essere approvata entro giugno e su questo trovate infinite dichiarazioni. "Entro la fine dell'anno": la riforma è poi stata posticipata - il virgolettato è del Guardasigilli sull'Espresso del giugno scorso - ma difficilmente verrà attuata entro i prossimi tre giorni. Dunque possiamo dirlo, pur senza infierire: è una promessa mancata, e piuttosto notevole. L'anno è comunque finito, e un bilancino in tema di giustizia si può comunque azzardare. Responsabilità civile. Dei magistrati, ovviamente: è stata approvata al Senato ma non alla Camera. Doveva esserlo entro fine dicembre (l'Unione europea ha aperto una procedura di infrazione che sarà esecutiva dal 2015, 40 milioni di euro più 36mila al giorno) ma la vicenda pare tutt'altro che conclusa, e anche i reali contenuti della norma per ora restano ingiudicabili. I magistrati, per non sbagliare, hanno già annunciato uno sciopero per il 17 gennaio. Ferie dei magistrati. È l'unica cosa fatta, ma a essere pignoli non è un intervento specifico in tema di giustizia bensì di riordino della pubblica amministrazione: hanno introdotto un articolo bis per cui le ferie saranno di soli 30 giorni. Resta da verificare se un tizio che non è il primo venuto - l'ex pm Piercamillo Davigo, ora giudice di Cassazione - abbia detto o no una sciocchezza nel sostenere che il provvedimento in realtà le ferie le allunga, non il contrario. Davigo sostiene che solo i fuori ruolo hanno ridotto le ferie e che, per astruse ragioni, i vecchi 45 giorni di ferie in realtà sono diventati 75. "Dilettanti allo sbaraglio, c'è da avere paura" ha detto il magistrato a proposito del governo. "Noi riteniamo che la norma abroghi quelle precedenti" ha risposto il Guardasigilli Andrea Orlando. È così? Non se n'è saputo più nulla. Intercettazioni. Il programma Virus (Raidue) qualche giorno fa ha riconfermato quello che sappiamo tutti da tempo: intercettiamo tre volte la Francia, cinque volte la Germania per non parlare delle 3.372 del Regno Unito a fronte delle 124.713 che facciamo noi. Comunque si interpretino questi dati, e quale scusante si voglia opporre - tipo che da noi le investigazioni classiche costano troppo - resta un numero esorbitante. Anche perché la spesa - fonte Eurispes - è pure esorbitante: 284 milioni di euro per il 2010. Naturalmente di fare una riforma si è parlato tantissimo, come sempre: parlato, appunto. Siamo rimasti al luglio scorso, quando Renzi disse che sulle intercettazioni voleva sentire l'opinione dei giornalisti, come a dire l'opinione dei lupi sugli agnelli. Da ricordare che i cosiddetti "saggi" nominati da Napolitano ammisero la necessità di ridurre l'uso delle intercettazioni che dovevano essere uno strumento di "ricerca della prova" e non del reato. Prescrizione. Altro clamoroso bla bla. Chi ci capisce, infatti, sa bene che evitare l'estinzione del reato rischia anzitutto di allungare i tempi dei processi, nostro cronico problema. Unico pacchetto approvato alla Camera il 26 febbraio scorso: raddoppio dei tempi di prescrizione per i reati ambientali. Ma il Senato e le commissioni latitano. Magistrati in politica. Su questo "il Senato ha fissato regole chiare" disse nell'aprile scorso il piddino Felice Casson. Ma il provvedimento si limita a escludere che un magistrato possa candidarsi dove ha lavorato nei cinque anni precedenti: un problema che tante toghe passate in politica non avrebbero avuto, compreso Casson che era magistrato prima di candidarsi col Pd. Da allora, in ogni caso, i magistrati in politica sono solo aumentati. Oltre a quelli presenti in Parlamento e sparpagliati nei ministeri e nelle giunte di mezza Italia, ora abbiamo il freschissimo Alfonso Sabella alla Legalità romana (jolly pescato da Marino) senza contare che il presidente dell'Anticorruzione è un magistrato come lo è il presidente della commissione che presiede alla riforma della giustizia: quella che appunto non c'è. Custodia cautelare e indagini preliminari. Ossia gli aspetti più scandalosi e inefficienti della nostra giustizia. Siamo alla palude. Se n'è litigato moltissimo sui giornali, l'Associazione magistrati ha polemizzato a più riprese, forse qualcuno ne ha discusso da qualche parte, ma molto di più non sappiamo. L'obiettivo era abbandonare certa postura securitaria ("di destra") ed estendere le misure alternative al carcere, dunque abrogare quelle fabbriche di detenuti che sono la Fini-Giovanardi e la Bossi-Fini. La famosa Europa attende ancora le "riforme strutturali" contro il sovraffollamento carcerario: non i decreti svuota-carceri fatti dagli ultimi tre governi, e che, peraltro, hanno svuotato poco. Corruzione e dintorni. Se ne fa uno straparlare a ogni scandalo, o presunto tale: ma per ora ci teniamo la Legge Severino e basta. Si parla sempre di inasprire le pene (da 4 a 6 anni) e di cancellare il vitalizio ai politici condannati, ma intanto si è fatta solo la commissione presieduta da Raffaele Cantone. All'inizio dell'anno si affacciò un presunto "asse Pd-M5S" che doveva fare sfracelli in tema di corruzione e auto-riciclaggio e falso in bilancio e conflitto d'interessi: naufragato. Giustizia: reati tributari, con le nuove norme salterà un processo su tre di Valentina Maglione e Giovanni Parente Il Sole 24 Ore, 29 dicembre 2014 L'innalzamento della soglia di punibilità per omesso versamento dell'Iva e delle ritenute (dai 50 mila euro attuali a 150mila) previsto dall'attuazione della delega fiscale, farà cadere circa un terzo dei procedimenti pendenti nelle procure della Repubblica italiane. Se la norma sarà approvata in questi termini, del colpo di spugna beneficeranno tutti gli indagati e gli imputati non ancora definitivamente condannati. C'è però l'incognita auto-riciclaggio. Il nuovo reato, in vigore dal prossimo 1° gennaio, può far rivivere i reati-fonte. Uno su tre dei processi in corso per i reati di omesso versamento Iva e ritenute è destinato a essere archiviato. Sarà questo il primo effetto delle soglie di punibilità più elevate, previste dallo schema di decreto legislativo sulla certezza del diritto, esaminato in prima lettura dal Consiglio dei ministri della vigilia di Natale. L'intervento attua i principi stabiliti dalla delega fiscale, concentrando l'azione penale sulle ipotesi più gravi di frode e, allo stesso tempo, allentando la presa sulle violazioni più strettamente legate alla crisi economica. Si tratta, in particolare, dei reati di omesso versamento di Iva e di ritenute. Oggi il fascicolo in Procura viene aperto se la somma non versata supera i 50mila euro. Invece, se il testo esaminato dal Governo (e inviato alle commissioni parlamentari per i pareri) verrà confermato, la soglia per il penale salirà a 150mila euro. Per le violazioni sotto questo importo si applicherà solo la sanzione amministrativa. Un aspetto che inciderà anche sugli eventuali illeciti nel versamento dell'acconto Iva in scadenza domani. Oltre che sulle violazioni future, l'effetto si farà sentire sui fascicoli relativi agli anni scorsi e già al vaglio delle Procure. Questo perché si applica il principio del "favor rei", per cui le disposizioni penali più favorevoli valgono anche per il passato. In termini numerici, dovrebbe significare circa un terzo dei processi in corso. La stima deriva dalle prime valutazioni raccolte dal Sole 24 Ore presso magistrati e avvocati. Anche se occorrerà aspettare il testo finale del provvedimento per emettere un giudizio definitivo. La sensazione è che però, rispetto al valore medio del 30% a livello nazionale, ci saranno picchi più alti nelle aree a più forte prevalenza di piccole e medie imprese, dove l'importo dei mancati versamenti resta spesso sotto i 150mila euro. Si tratta di reati, tra l'altro, che sono aumentati negli ultimi anni, anche per effetto della crisi di liquidità, sia per colpa della congiuntura economica che per la difficoltà di accesso al credito, delle imprese e degli autonomi. Conti alla mano, se consideriamo le notizie di reato pervenute negli ultimi tre anni in 38 Procure tra quelle interpellate nelle scorse settimane, significherebbe archiviare circa 8.500 fascicoli su poco più di 25mila. A questo poi andrà sommato il dato sui procedimenti pendenti, anche alla luce del fatto che un numero elevato di fascicoli è stato "chiuso" nel 2014 e altri lo saranno anche nei prossimi anni per effetto della sentenza della Corte costituzionale dello scorso aprile (80/2014) che ha allineato le soglie di punibilità fino all'estate 2011 tra omesso versamento e omessa dichiarazione Iva. Più difficile è stimare l'impatto dell'altro intervento di "allentamento" proposto dal Governo, che riguarda il reato di dichiarazione infedele. Si tratta della violazione commessa da chi, per evadere le imposte sui redditi o Iva, indica in dichiarazione minori attivi o passivi fittizi. Oggi scatta la notizia di reato se l'imposta evasa supera i 50mila euro e se, contemporaneamente, il "fatturato" sottratto all'imposizione è superiore al 10% del totale di quello dichiarato o se, comunque, è superiore a due milioni. L'intervento previsto dal Governo mantiene la doppia condizione per la punibilità, ma eleva le due soglie, rispettivamente a 150mila euro e a tre milioni. Per far uscire dalle Procure i fascicoli con le violazioni più contenute, inoltre, la bozza di decreto legislativo esaminato dal Governo esclude il reato in tutti i casi in cui l'importo delle imposte - sui redditi e Iva - evase non supera il 3% di quelle dichiarate. Anche qui, stimare l'impatto è complesso. Così come per l'altra modifica in arrivo che consente di chiudere il fronte penale, nei casi di omesso versamento di Iva e ritenute e di omessa o infedele dichiarazione, se si chiudono i conti con il Fisco attraverso adesione, acquiescenza o altre procedure deflattive prima dell'apertura del dibattimento in tribunale. A fronte di una minor pressione del fisco sulle Procure, va considerata l'incognita dell'auto-riciclaggio in vigore da giovedì 1° gennaio. Il nuovo reato farà "rivivere" gli illeciti commessi in passato e già prescritti, perché dalla data del reimpiego delle somme ottenute dall'evasione inizierà a decorrere il nuovo termine di prescrizione. Va ricordato però che l'auto-riciclaggio non scatterà per chi aderirà alla voluntary disclosure per il rientro dei capitali. Giustizia: le Coop al Ministro "con noi si risparmia e i detenuti imparano un lavoro vero" di Francesca Paci La Stampa, 29 dicembre 2014 L'imperativo in questi mesi in Italia è risparmiare: che abbia speso troppo o male l'amministrazione deve far quadrare i conti hic et nunc, anche se sull'altare dei tagli vanno a finire esperienze virtuose come il sistema di cooperative sociali alle quali negli ultimi dieci anni sono state affidate le mense di alcune prigioni. La vicenda, raccontate in più puntate da La Stampa, è all'epilogo: domani i rappresentanti delle 10 cooperative interessate incontreranno il ministro della giustizia e il garante dei detenuti per provare a fermare il conto alla rovescia che il 15 gennaio 2015 vuole il passaggio delle consegne e il ritorno al vecchio regime, quello precedente alla sperimentazione del 2004, quando in nessuna prigione italiana c'erano cucine e i pasti venivano tutti confezionati dai reclusi assunti dal carcere e pagati con le mercedi (è il regime in vigore nelle altre 195 carceri italiane). Chi perde e chi vince in questa ennesima partita a scacchi tra bilancio dello Stato e portafoglio dei cittadini? Silvia Polleri è la presidente di Abc, quella delle 10 cooperative di questa storia che gestisce la mensa di Bollate, periferia di Milano, uno dei migliori istituti penitenziari d'Europa con una percentuale di ex detenuti recidivi tra le più basse (il 20% contro il 68% nazionale). La Polleri è parte in causa, ma una parte unanimemente riconosciuta come virtuosa dal momento che i suoi catering sono richiesti fino a Roma. È lei a spiegare fatto e antefatto: "Per dieci anni abbiamo fornito colazione, pranzo e cena a circa 350 ospiti di Bollate, formato e assunto 9 detenuti con uno stipendio di 1100 euro al mese e creato una professione nonché un futuro ai nostri dipendenti che imparano a essere camerieri, maître e chef super professionisti e che, quando possono uscire, utilizziamo già per catering esterni di altissima qualità. L'appalto scadeva nel 2014 e ci aspettavamo che venisse rinnovato, invece il ministero ha deciso che è più conveniente tornare alle mercedi, salari calmierati erogati dallo Stato per lavoro affidato ai detenuti a rotazione e non in base alle competenze. Ci hanno detto che non ci mandano via e che possiamo fare altro ma la ragion di esistere della Abc è la cucina dentro Bollate perché assumiamo personale che nella stragrande maggioranza non può uscire, vale a dire che senza appalto non c'è la cooperativa". L'obiezione della Polleri è di merito e di prospettiva: "Il risparmio è da dimostrare. Ogni mese fatturiamo all'amministrazione 12.500/13.500 euro per l'alimentazione di 350 detenuti a 1,29 euro a testa al giorno. In quella cifra facciamo rientrare lo stipendio di 9 detenuti, la manutenzione dei macchinari, il medico e l'attrezzatura. In pratica guadagniamo tutto dai catering esterni. Il ministero vuole tornare alla mercede pretendendo che costi meno pagare solo 10/12 persone 600 euro al mese, ma non calcola le altre spese tipo guasti e riparazioni. Inoltre, ed è il punto più importante, il lavoro a mercede non è lavoro, perché senza formazione non c'è cultura del lavoro, e non riduce la recidiva, mentre quasi nessuno dei nostri dipendenti torna a delinquere. Insomma, questa esperienza funziona e ottimizza: la direzione di Bollate ha calcolato che con noi risparmia circa 49mila euro l'anno". La Cassa ammende, con cui vengono pagate le mense delle cooperative, piange. Ci sono poi cooperative e cooperative, come prova Mafia Capitale. Ma un veterano dalla direzione delle carceri ammette che tagliare l'albero vivo è un errore: "Questo sistema non è vantaggioso economicamente ma lo è alla lunga perché crea circuiti virtuosi e ricolloca i detenuti con un guadagno netto per la società". Giustizia: inchiesta Mafia Capitale; alla Cooperativa "29 Giugno" Natale senza stipendio di Lorenzo De Cicco Il Messaggero, 29 dicembre 2014 I conti correnti sono bloccati dall'inchiesta Mafia Capitale. Dopo l'arresto di Buzzi la struttura è stata commissariata. Per gli inquirenti il business del consorzio si è gonfiato e consolidato grazie a sistemi collaudati di corruzione. I conti correnti sono ancora bloccati per le indagini su Mafia Capitale e così i 431 dipendenti delle cooperative satelliti della 29 giugno, l'organizzazione presieduta e amministrata da Salvatore Buzzi, secondo i pm il braccio destro di Massimo Carminati nel mondo degli appalti romani, a dicembre sono rimasti a secco: niente stipendi e niente tredicesime. Nonostante i servizi, fatta eccezione per le strutture di Castelverde, continuino ad essere erogati. È un intreccio di sigle che negli anni ha gestito un giro d'affari da decine di milioni di euro quello sgominato dalla Procura di Roma se è vero, come ancora oggi si legge sul sito della Cooperativa 29 giugno, che "il consorzio rappresenta una delle maggiori realtà nell'ambito dell'economia sociale romana". Un business che secondo gli inquirenti negli ultimi anni si è consolidato e gonfiato grazie a un sistema corruttivo collaudato. Ma c'è anche un altro lato della medaglia: le organizzazioni gestite da Buzzi hanno dato lavoro a centinaia di operatori del sociale, oltre ad avere favorito il reinserimento di detenuti ed ex detenuti. Perché quella della 29 giugno è una storia nobile - a partire dalla fondazione da parte di don Di Liegro e Laura Lombardo Radice - prima che venisse infangata dagli abusi scoperchiati dai magistrati di piazzale Clodio. In totale il Consorzio Eriches 29, che raggruppa le varie cooperative, dà lavoro a 1.300 dipendenti, quasi tutti impiegati nel settore dell'accoglienza a immigrati, rom, ma anche senza tetto e donne maltrattate. Oggi secondo i sindacati di base sono rimasti senza stipendio i 131 dipendenti della cooperativa Formula Sociale e i 300 addetti della coop Abc, entrambe commissariate. Per i 267 lavoratori della Cooperativa 29 giugno, spiega l'Usb, "gli stipendi sono stati sbloccati in questi giorni, quindi alcuni dipendenti li hanno già ricevuti, altri li avranno accreditati nelle prossime ore". Mentre per gli oltre 400 lavoratori delle coop le incognite restano. Il commissariamento Subito dopo l'arresto di Buzzi la 29 giugno è stata commissariata dall'autorità giudiziaria. A capo dell'organizzazione si è insediato un nuovo presidente, Bruno Flaviano, che l'11 dicembre aveva dichiarato: "Spero di sbloccare i conti e mandare in pagamento gli stipendi entro 10 giorni. La Guardia di Finanza sta vagliando conti e appalti". Un impegno sottoscritto proprio per rassicurare i 1.300 lavoratori del consorzio "Eriches 29". Dieci giorni fa i nuovi vertici della cooperativa avevano annunciato di avere "ultimato tutte le procedure amministrative per consentire lo sblocco dei conti correnti delle società sottoposte a sequestro" in modo da poter "procedere al pagamento delle retribuzioni del mese di dicembre per tutto il personale, entro il 24 dicembre". Ma i bonifici non sono ancora partiti per i 431 dipendenti di Abc e Formula. "Siamo persone oneste - protesta Valentina Greco, operatrice della Abc. Non dobbiamo pagare per le scelte scellerate di chi ci amministrò negli anni passati". Giustizia: inchiesta Mafia Capitale; Carminati a Parma, nello stesso carcere di Riina di Loredana Di Cesare Il Fatto Quotidiano, 29 dicembre 2014 Prima Roma, poi Tolmezzo e ora Parma, insieme a Totò Riina. Massimo Carminati, l'ex terrorista nero e presunto capo di Mafia Capitale, arrestato il 2 dicembre nell'inchiesta "Mondo di mezzo" della procura di Roma, è stato trasferito nel penitenziario emiliano, lo stesso in cui dallo scorso aprile è detenuto anche il vecchio boss di Corleone. Dopo una decina di giorni passati nel carcere friulano, al 41 bis, il regime duro previsto per i mafiosi, il giorno di Natale per il "guercio" è stato disposto un nuovo trasferimento. Questa volta in Emilia Romagna, nella casa circondariale di via Burla. Ritenuto di massima sicurezza, questo carcere ha ospitato esponenti di spicco della criminalità, tra cui un altro boss di Cosa nostra, Bernardo Provenzano. E sempre nello stesso penitenziario c'è l'ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell'Utri, che sta scontando la pena per concorso esterno in associazione mafiosa: per i giudici che lo hanno condannato a sette anni, è stato il tramite tra la mafia e Silvio Berlusconi. L'avvocato di Carminati, Giosuè Naso, ha dichiarato di non sapere perché sia stato disposto il trasferimento: "Non conosco le motivazioni dello spostamento - ha detto - Parma è un carcere più duro di Tolmezzo, ma suppongo siano da ricondurre alla presenza, a Parma, di un centro clinico più attrezzato". Infatti, l'ex Nar nel 1981, perse l'occhio sinistro: fu colpito da un proiettile esploso da un poliziotto. Un frammento della pallottola è ancora nel suo cervello, e necessita di cure quotidiane. "Ha un'ablazione totale del bulbo oculare - aggiunge il legale di Carminati - è costretto a una pulizia e a un cambio di cerotto tutti i giorni e c'è sempre un rischio teorico di infezione". Carminati, considerato dagli inquirenti al vertice della Mafia romana, dal 2 dicembre, giorno della sua cattura da parte del Ros dei carabinieri, di spostamenti ne ha effettuati già due: da Rebibbia, il 13 dicembre, viene spostato a Tolmezzo, in Friuli Venezia Giulia e, il 25 dicembre è pronto un nuovo trasporto, nella casa circondariale di Parma. La richiesta del trasferimento non arriva dunque dai legali dell'indagato, che comunque, accolgono favorevolmente la decisione, perché "agevola la famiglia e assicura meglio i diritti della difesa, consentendoci - sottolinea Naso - un trasferimento meno lungo e complicato per incontrare il nostro assistito". La decisione di spostare Carminati, come anche gli altri arrestati nell'inchiesta "Mondo di mezzo" dal carcere di Rebibbia, è stata motivata con "l'incompatibilità ambientale", perché molti dei coinvolti sono accusati di organizzazione a delinquere di stampo mafioso e hanno contatti saldi e ramificati nell'organizzazione criminale locale. E tenerli distanti impedisce qualsiasi forma di collegamento. E infatti, il giorno prima del "re di Roma" è stata la volta di Salvatore Buzzi, patron delle coop rosse e braccio sinistro di Carminati: il 12 dicembre è stato trasferito dal carcere di Rebibbia a quello di massima sicurezza di Badu e Carros in Sardegna. Il 41 bis per Carminati è stato disposto il 23 dicembre dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Mentre il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso - 416 bis - è stato confermato dal Tribunale. Giustizia: Antonino Marano, il recluso più longevo d'Italia, torna in libertà dopo 49 anni di Laura Anello La Stampa, 29 dicembre 2014 Arrestato la prima volta per furto, dietro le sbarre ha commesso due omicidi Antonino Marano è il recluso più longevo d'Italia. Entra in carcere da ragazzo nel 1965 per aver rubato melanzane, peperoni e una moto e resta dietro le sbarre per 49 anni per reati commessi nel penitenziario: due omicidi, due tentati omicidi e una condanna all'ergastolo. Oggi Marano, 70 anni, rilasciato dal Tribunale di sorveglianza di Torino, si affaccia in un mondo che non riconosce, "non ci sono più le botteghe e ai supermercati non trovo l'uscita, le bambine di 5 anni ora sono donne di 50, molti ragazzi mi chiamano nonno", racconta a La Stampa. Tutto cominciò in provincia di Catania, dove Antonino Marano viveva con la sua modestissima famiglia, padre bracciante e madre casalinga. E dove alcuni furti da lui commessi "in continuazione", come dichiara il giudice, gli valgono una condanna a quasi 11 anni. Si tratta di melanzane, peperoni, una bicicletta e una Motom 48, una moto che oggi è roba per collezionisti. Dopo tre scarcerazioni, nel giugno 1971 ritorna in cella e qui imbocca un tunnel che termina adesso, mezzo secolo dopo. Mezzo secolo in cui è stato coinvolto nelle risse, nelle vendette, nelle rivolte a colpi di coltello degli Anni 70-80. Nell'ottobre del 1975 il primo delitto nel carcere di Catania "per difendere mio fratello da un accoltellamento", poi per due tentati omicidi nel marzo e nel giugno 1976, un altro delitto nel luglio dello stesso anno "contro un disgraziato che aveva violentato un ragazzino in cella tutta la notte". Per i giudici Marano resta un temibile "killer delle carceri", ma negli ultimi anni alcuni volontari si sono espressi per tirarlo fuori, descrivendolo come un uomo sfortunato, con una ricchezza e una dignità interiore inaspettate. In tutti questi anni, Marano si è messo a dipingere madonne e angeli, "perché mentre pensavo di morire di dolore mi sono ricordato delle preghiere che facevo da bambino. E sono stato ascoltato". Brescia: la direttrice di Canton Mombello "il carcere è al collasso, chiudiamolo" www.bsnews.it, 29 dicembre 2014 Una situazione di continua emergenza, manutenzioni ordinarie e straordinarie ormai inefficaci: il carcere di Canton Mombello è da chiudere al più presto. A 100 anni esatti dall'ingresso dei primi detenuti nel carcere cittadino di via Spalto San Marco è la direttrice stessa della struttura, Francesca Gioieni, a lanciare l'ennesimo grido d'allarme sulle condizioni della struttura, a una settimana dalla chiusura della mensa degli agenti a causa della presenza di scarafaggi. A provocare i maggiori disagi negli ultimi giorni è l'impianto di riscaldamento. È la direttrice a raccontarlo sulle colonne di Brescia Oggi: "Negli ultimi giorni il riscaldamento è saltato più volte, servono continui interventi sulle tubature ormai rovinatissime, dobbiamo fare sforzi enormi per far funzionare il carcere. Non è possibile andare avanti in queste condizioni, questa non è una struttura degna del 2015, è inefficiente e ha costi di mantenimento altissimi". Seppure la situazione in merito al sovraffollamento sia notevolmente migliorata rispetto a inizio anno (da 470-480 a 330-340 detenuti), a livello generale le condizioni di vita dei carcerati e le difficoltà nella gestione della struttura, a partire dalla cronica carenza di personale, sia di sorveglianza che amministrativo, fanno dire a Francesca Gioieni che Canton Mombello "non è più in grado di garantire l'esecuzione della pena come previsto dal nostro ordinamento giuridico". La soluzione? "Canton Mombello deve essere completamente ristrutturato". Oppure ricostruito. Rimini: i detenuti rifiutano il cibo, dopo la protesta interviene il Garante Davide Grassi www.libertas.sm, 29 dicembre 2014 Oggi un incontro ai Casetti per risolvere il problema. E scoppia pure il caso permessi. Un giorno, e poi un altro, e un altro ancora. Spesso e volentieri il cibo, nei piatti di una decina di detenuti dei Casetti, arrivava avariato: insalata nera, mele marce. E le proteste erano partite immediate. Senza dare risultati, però. Al punto che i detenuti, tutti di una sezione cautelare, avevano deciso di rifiutarsi di mangiarlo, recandosi al sopravvitto, una sorta di spaccio interno, per comprarlo e poter così pranzare. Dal 23 dicembre fino a ieri è proseguita la protesta. Fino a quando della cosa è stato interessato il garante dei detenuti. Che si è subito attivato per capire cosa era accaduto. "Lunedì o martedì al massimo mi recherò ai Casetti per incontrare i detenuti - spiega il garante, Davide Grassi. Dopodiché comunicherò il tutto al direttore Candiano e al Provveditorato dell'amministrazione penitenziaria per verificare se esistano o meno delle irregolarità e riportare tutto alla normalità". Non solo cibo. Altri problemi sono sorti sempre ai Casetti in merito ai permessi per le vacanze di Natale. Ebbene, sembra che nove detenuti abbiamo ricevuto il No alla loro richiesta di poter tornare a casa a trovare i familiari il 23 dicembre, ovvero appena il giorno prima dell'eventuale uscita. Creando in loro ansie e malumori. Solo uno pare sia stato accontentato. Genova: oggi delegazione radicale visita il carcere di Marassi per Satyagraha di Natale Notizie Radicali, 29 dicembre 2014 Alle ore 12.30, all'uscita dal carcere, incontro con la stampa per fare il punto sullo stato del penitenziario. Nell'ambito del "Satyagraha di Natale con Marco Pannella", dirigenti nazionali e locali del Partito Radicale e di Radicali Italiani stanno effettuando, nei giorni delle festività di fine anno, numerose visite negli istituti penitenziari italiani. Il "calendario delle festività in carcere", ha visto, in particolare, la presenza di Marco Pannella e di Rita Bernardini il 24 dicembre a Regina Coeli, a Natale a Rebibbia e prevede, nella notte del 31 dicembre, la visita assieme al vicepresidente della Camera Roberto Giachetti presso il carcere di Sollicciano a Firenze. A Genova, l'associazione "Radicali Genova" ha organizzato una visita al carcere di Marassi per la giornata di lunedì 29 dicembre, a partire dalle ore 10. La delegazione radicale sarà composta da Deborah Cianfanelli (componente della Direzione di Radicali italiani), Marta Palazzi (segretaria dell'associazione "Radicali Genova"), Filippo Marcucci e Michele De Lucia. Tra gli obiettivi dell'iniziativa, l'affermazione della legalità nell'amministrazione della giustizia (da anni straziata insieme alla vita di milioni di persone a causa dell'irragionevole durata dei processi penali e civili) e la rimozione delle cause strutturali che fanno delle nostre carceri luoghi di trattamenti inumani e degradanti. Amnistia e l'indulto sono gli unici provvedimenti strutturalmente in grado, da subito, di riportare nella legalità costituzionale e sovranazionale il nostro Paese. Invitiamo tutti i cittadini a partecipare all'iniziativa, compilando il modulo disponibile sul sito ufficiale di Radicali italiani, www.radicali.it. Per informazioni Marta Palazzi (Radicali Genova): 3477608578. Catania: Radicali in carcere per le festività, il 31 tappa anche a Piazza Lanza Giornale di Sicilia, 29 dicembre 2014 Nell'ambito del "Satyagraha di Natale con Marco Pannella", dirigenti nazionali e locali del Partito Radicale e di Radicali Italiani effettueranno numerose visite negli istituti penitenziari italiani. Marco Pannella e di Rita Bernardini sono stati il 24 dicembre a Regina Coeli, a Natale a Rebibbia e, nella notte del 31 dicembre, assieme al vicepresidente della Camera Roberto Giachetti, presso il carcere di Sollicciano a Firenze. Il tesoriere di Radicali Italiani, Valerio Federico, sarà a Como il 6 gennaio. Al Satyagraha partecipano parlamentari ma non soltanto. Come per le due tappe siciliane, entrambe in programma il 31 dicembre. Al carcere Ucciardone di Palermo, alle 14.30, andranno Donatella Corleo, Gaetana Gallina e Giannandrea Dagnino che hanno aderito all'appello. A Palermo, ma al Pagliarelli, nei giorni scorsi si è tolto la vita un detenuto, si chiamava Massimiliano Alessandri, aveva 44 anni ed era fiorentino. Stava scontando una condanna a 8 anni. Al penitenziario catanese Piazza Lanza, alle 15, si recheranno: Luigi Alfio Francesco Recupero, Patrizia Magnasco, Stefano Burrello, Gianmarco Ciccarelli, Vito Pirrone. Messina: "serve un Garante per i detenuti", sit-in dei radicali davanti al Comune www.radicali.it, 29 dicembre 2014 Lo storico cavallo di battaglia dei Radicali, condiviso e fatto proprio dai consiglieri comunali Nina Lo Presti e Luigi Sturniolo, è stato oggetto di un sit-in finalizzato a sensibilizzare l'opinione pubblica: l'associazione Leonardo Sciascia, radicata nel territorio, ha voluto così manifestare la necessità e l'urgenza di un riconoscimento locale a tutela dei diritti fondamentali dei detenuti. Per questo è stata chiesta l'istituzione della figura del Garante. "Vorrei ricordare - ha affermato il portavoce dei Radicali Messina, Saro Visicaro - che da sette mesi giace presso il sindaco una nostra formale richiesta per la nomina del Garante dei Detenuti a Messina. Il nostro sit-in serve per ribadire l'urgenza di questo organo di garanzia, già previsto in decine di comuni, con funzioni di tutela delle persone private o limitate della libertà personale. Nel vuoto assoluto della politica, noi non possiamo non ascoltare il disagio di poveri cristi cancellato dal sonno delle istituzioni". Verona: Da Re lotta per le carceri, appello a sindaci perché facciano pressione sul governo L'Arena di Verona, 29 dicembre 2014 Mattia Da Re, leader di "Colognola eretica" e membro del Comitato nazionale di radicali italiani, da giorni è in sciopero della fame. Lo ha annunciato sul sito del movimento in una lettera aperta indirizzata ai sindaci, invitandoli a spendere la loro "autorevolezza per far conoscere ai concittadini la situazione di emergenza pubblica nella quale ci troviamo e l'urgenza di una "Amnistia per la Repubblica", unica strada per ripristinare la legalità". "Da tempo i parlamentari hanno deciso di non prendere provvedimenti per far uscire lo Stato da una tragica condizione rispetto alle sue stesse leggi e alle convenzioni internazionali. A nulla sono servite le condanne che il nostro Paese ha ricevuto da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo", dice Da Re, "a causa della durata dei processi e delle condizioni degradanti che travolgono i detenuti nelle carceri italiane. Per timore di perdere consensi, i nostri rappresentanti hanno cancellato dalla propria agenda la questione giustizia. Ciò rende ogni cittadino responsabile e potenzialmente vittima della malagiustizia; per questo", sostiene il giovane, "non possiamo sottrarci all'obbligo di agire ora, facendo il possibile per scongiurare che il Parlamento continui a non prendere i necessari provvedimenti". Da qui, come dice ai sindaci, è scaturita la scelta di Da Re senza però approdare in Consiglio: "Da semplice cittadino, non posso che starvi vicino in questa impresa, aiutandovi con l'unico mezzo a mia disposizione: il mio corpo. Per questo", ha scritto, "inizio uno sciopero della fame, con la certezza che in molti vorrete aiutarmi, aderendo al Satyagraha nella forma che più riterrete utile (la sottoscrizione dell'appello di Marco Pannella, il digiuno, l'organizzazione di una veglia o di una assemblea nel vostro Comune, l'iscrizione al partito radicale nonviolento transnazionale transpartito), per far sì che più persone diano corpo a questa iniziativa nonviolenta per la legalità e lo stato di diritto". Un appello che alla vigilia di Natale pareva non aver ancora sortito risposte: "Continuo ad avere fiducia nei nostri amministratori", ribadisce dal web Da Re, proseguendo lo sciopero della fame "e rinnovo l'invito ad aderire". Novara: Cisl-Fns; discarica abusiva nell'area del carcere, avviare subito la bonifica di Roberto Lodigiani La Stampa, 29 dicembre 2014 Novara, la denuncia dei sindacati degli agenti penitenziari: "C'è anche un braciere per incenerire il materiale". Una discarica abusiva. È stata scoperta sul retro della palestra nella caserma per gli agenti al carcere di massima sicurezza in via Sforzesca. A richiamare l'attenzione sono i sindacalisti del Sinappe, Daniele Squillace, e della Cisl-Fns, Armando De Nunzio: "Con il tempo è sorto un accumulo abusivo di rifiuti. A cielo aperto. Il materiale accatastato? Di tutto. Materassi a molle ormai marci, residui di vecchie lavastoviglie, frigoriferi, stampanti e fotocopiatrici, brande metalliche delle camere detentive. Oltre a essere pericolosa, perché la catasta è vicina al percorso di passaggio della pattuglia in auto, vi potrebbero trovare dimora animali infestanti e portatori di malattie". Non è l'unico problema evidenziato: "Nell'area dov'è l'uscita di sicurezza della palestra, è stato creato un braciere per incenerire il materiale. I residui delle combustioni sono ben evidenti sul terreno". La richiesta dei due delegati sindacali: "L'immediata interruzione delle procedure di ammassamento ed incenerimento dei rifiuti. E ovviamente che si accertino le responsabilità. Squillace e De Nunzio ieri mattina sono stati ricevuti dal prefetto Castaldo: "Avevamo lanciato un appello per essere ricevuti anche dal sindaco per presentare le perplessità sindacali sulla riorganizzazione dei servizi nella casa circondariale - dicono i due delegati sindacali. Come richiesto dal prefetto, per poterlo incontrare, abbiamo revocato lo stato di agitazione. Il colloquio è stato franco e concreto. Il prossimo passo: la convocazione in prefettura della direttrice e in seguito un nuovo confronto in carcere. Se un accordo non si trova, sarà ancora il prefetto a intervenire per favorire il superamento degli ostacoli". Napoli: nell'Opg di Secondigliano ultima festa da detenuti di Claudia Procentese Il Mattino, 29 dicembre 2014 L'impegno dei dirigenti: a marzo trasferimento nelle piccole residenze volute dalla legge. Dieci stecche di sigarette e sessanta pigiami. A passare trai tavoli imbanditi per il pranzo natalizio è un volontario vestito da Santa Clans che distribuisce i pacchetti, dono dell'arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe e della Comunità di Sant'Egidio, agli internati. Cosi si è conclusa l'iniziativa di beneficenza all'ospedale psichiatrico giudiziario di Secondigliano. Ma aperto resta il dibattito sulla chiusura di quello che non è un carcere, ma nemmeno un ospedale, perché il ricovero è coatto. La legge ha previsto il superamento dei 6 Opg (2 in Campania, a Napoli ed Aversa) presenti in Italia a partire dal primo aprile 2014, termine slittato a marzo 2015 a causa dei ritardi per le strutture alternative, le cosiddette Rems, Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza. "Sono i più carcerati dei carcerati - ha detto il cardinale - oltre alla detenzione vivono la difficoltà delle loro condizioni psicofisiche. Anche un pasto in compagnia o una sigaretta diventano una gioia, abbiamo l'obbligo di far sentire la nostra presenza che sia vicinanza quotidiana". Li chiamano sottovoce manicomi criminali, gli Opg. Luoghi, cioè, dove non viene applicata una pena, ma una misura di sicurezza il cui tempo varia a seconda della gravità del reato commesso, ovvero finché non si riduce la pericolosità sociale del soggetto che ha commesso l'azione delittuosa. Ed è sull'ambiguità di fondo del concetto dì pericolosità sociale che si sono consumati drammi nei drammi. A Secondigliano su 90 ristretti, la maggior parte ha commesso reati all'interno delle mura domestiche, dalla semplice lite all'omicidio. Nessun serial killer, dunque, come suggerirebbe il luogo comune, ma tra loro anche "un giovane - racconta un operatore - che ha finito di scontare un anno e mezzo in Opg perché ha fornito generalità false. Paradossale: reo solo perché portatore di disagio psichico". La Regione, intanto, ha individuato 2 sedi per le Rems, a Calvi Risorta (Caserta) e San Nicola Baronia (Avellino), con 40 posti, dove smistare i circa 200 ospiti oggi di Opg campani. Spending review della sanità pubblica? No, si dimezzano i posti perché la norma contempla in contemporanea il potenziamento dei dipartimenti Asl di salute mentale sul territorio. "Lavoriamo - commenta Carlo Binetti, direttore dell'Opg di Secondigliano da poco più di un mese - per portare avanti nel modo migliore possibile questa transizione. Continuano purtroppo ancora ingressi con un'alta percentuale di laziali, ma siamo ottimisti che anche i numeri possano essere cambiati in funzione di questo passaggio". Bocche cucite, sabato, sul rispetto della scadenza. "Nessun commento politico, ma solo parole di ringraziamento per aver assistito - ha dichiarato Giovanni Melillo, capo di Gabinetto del ministro della Giustizia, tra i partecipanti insieme al presidente della Corte di Appello di Napoli Antonio Bonajuto - a uno straordinario esempio di comunità di lavoro e umana formatasi intorno ad una delle realtà più difficili e tormentate della società moderna". L'unico riferimento è stato quello del presidente del Tribunale di Sorveglianza Carmine Antonio Esposito. Si è rivolto direttamente agli internati: "Nessun danno per voi, ma un vantaggio. Siamo impegnati tutti per rispettare la scadenza del 31 marzo, perché il ministro lo vuole, è un passo avanti sulla via della dignità umana". Una sfida nei prossimi mesi, secondo Antonio Mattone della Comunità di Sant'Egidio, sarà "capire come, dismessi gli Opg, i servizi di salute mentale si prenderanno carico degli internati". Tempio: rappresentazione teatrale in carcere, a Nuchis va in scena "Pagine Piccanti" www.sassarinotizie.com, 29 dicembre 2014 Martedì 30 dicembre alle 19 si svolgerà una rappresentazione teatrale con la regia di Alessandro Achenza anche presidente dell'associazione Trait d'Union che ha curato volontariamente l'allestimento della sala teatro dell'istituto di reclusione di Tempio Pausania. Il completamento della sala teatro è stato possibile anche grazie al contributo del Comune di Golfo Aranci e del suo sindaco, Giuseppe Fasolino che hanno voluto sostenere il lavoro che l'Associazione si impegna a svolgere per i detenuti ristretti nell'istituto penitenziario. "Pagine piccanti" è il titolo della commedia che conferma l'impegno di Alessandro Achenza e dei suoi associati, volontari nella formazione artistica dei detenuti, non solo come attori ma anche come attrezzisti, scenografi, fonici. Insieme agli attori della compagnia che da sempre calcano le scene dei teatri del territorio gallurese e non solo, ci saranno anche alcuni dei detenuti attori, che stanno seguendo il corso di formazione teatrale avviato da Achenza in questo istituto da circa un anno. Tratta liberamente dalla commedia musicale che ha segnato l'ascesa al successo dei commediografi italiani Garinei e Giovannini, "Pagine Piccanti" propone una rappresentazione ironica sottolineata da gustose battute e che racconta la storia di due sposini la cui felicità viene adombrata dalla pubblicazione di un libro osé (autore del quale è la moglie). Il marito si logora alla ricerca della fonte che ha ispirato la moglie nello scrivere tale romanzo, ma dopo una serie di fraintendimenti la verità sarà conosciuta e naturalmente il lieto fine assicurato. La scelta di privilegiare commedie leggere (lo scorso anno la compagnia ha esordito con uno spettacolo che voleva rievocare gli anni 50 e l'avanspettacolo di Macario, Sordi e Totò) è parte della filosofia dell'esperienza teatrale che Alessandro Achenza ha deciso di promuovere con la compagnia teatrale di questa casa di reclusione volendo favorire l'ironia, il gioco, la risata in luogo della drammaticità di testi impegnati: sorridere è una buona cura dello spirito e anche della mente . Allo spettacolo assisteranno oltre ai detenuti anche rappresentanti delle istituzioni locali di Tempio e della Gallura e del volontariato sociale attivo nel territorio. Sabato 03 gennaio ore 19 lo spettacolo teatrale sarà replicato al fine di consentire a tutte le autorità ed alla cittadinanza di Tempio di assistere alla rappresentazione. Martedì 6 gennaio alle ore 19: ad un anno dal loro ingresso in questo istituto per il primo concerto, The popular voices Gospel and friends, di Telti insieme ai detenuti cantanti di questo istituto, hanno costituito un gruppo integrato creando un coro di 60 elementi . "Il Miracolo del gospel" torna sul palco del teatro della casa di reclusione dopo il concerto del 2 settembre 2014 con nuove canzoni che sono state provate e riprovate per mesi tutti i sabato pomeriggio all'interno dell'istituto. Bologna: musica dal carcere in ospedale, progetti al via nel segno del Maestro Abbado www.bolognatoday.it, 29 dicembre 2014 Un coro alla Dozza e musica per i bambini ricoverati al Sant'Orsola perché "la musica rende tutto meno difficile" E ‘per onorare la memoria di Abbado, vogliamo costruire progetti come questi in cui la cultura sia anche intervento nel sociale" "Così come in ogni carcere c'è una compagnia teatrale, noi vorremmo che in ogni carcere ci fosse un coro e in ogni ospedale pediatrico un progetto terapeutico musicale". A parlare è Alessandra Abbado, figlia di Claudio Abbado e presidente dell'Associazione Mozart 2014, che dopo la morte del maestro - avvenuta il 20 gennaio 2014 - ha preso in mano i progetti in ambito sociale e terapeutico avviati in precedenza dal padre con l'Orchestra Mozart nella convinzione che la musica fosse un elemento di riscatto nel disagio e il fondamento della convivenza civile tra le persone. Si tratta dei progetti Papageno, che anima il coro polifonico del carcere bolognese della Dozza, e Tamino, che porta la musica ai bambini ricoverati nei reparti di pediatria del Sant'Orsola e a quelli seguiti dal servizio di neuropsichiatria dell'azienda Usl di Bologna). "La musica rende meno difficili le condizioni di chi sta in carcere ed è uno strumento terapeutico in ospedale - ha detto Alberto Ronchi, assessore alla Cultura del Comune di Bologna. Per onorare la memoria di Claudio Abbado, vogliamo costruire progetti come questi in cui la cultura sia un importante momento di crescita per i cittadini, ma anche di intervento nel sociale". Ronchi ha anche annunciato un'iniziativa per il 20 gennaio 2015 - primo anniversario della scomparsa di Abbado, "in uno spirito non eventistico, ma in quello che caratterizzava il maestro". Il progetto Papageno coinvolge i detenuti del carcere della Dozza di Bologna, uomini e donne di ogni età livello sociale e culturale. L'obiettivo? Portare il valore del canto corale all'interno del carcere: l'ascolto reciproco, lo stare insieme, la condivisione sono attitudini richieste e sviluppate da questa pratica, che hanno una forte valenza educativa, formativa della persona e della società. Dal 2011 a oggi sono 120 i detenuti coinvolti: 73 uomini e 47 donne. Attualmente al progetto partecipano 37 detenuti (17 uomini e 20 donne). Ogni anno vengono organizzati un saggio interno e un concerto pubblico, due appuntamenti che richiedono la partecipazione di circa 30 volontari dei cori Ad Maiora e Mikrokosmos e la partecipazione di 4/5 musicisti a seconda del programma. "La musica è importantissima per il carcere - ha detto Claudia Clementi, direttrice della Dozza: intanto perché il progetto si concretizza in un coro in cui persone diverse rinunciano alla loro individualità per realizzare qualcosa di comune e non è una cosa frequente per un carcere, poi perché è formato da uomini e donne, e anche questo è poco frequente. E poi perché i partecipanti non sono semplici fruitori di musica, ma sono essi stessi creatori di bellezza". Le prove sono dirette dal direttore Michele Napolitano e si tengono il lunedì mattina, un'ora e mezza nella sezione maschile e un'ora e mezza in quella femminile. Coristi e coriste si incontrano un sabato al mese per organizzare i concerti con la partecipazione di Ad Maiora e Mikrokosmos. "Quando cantano insieme nessuno capisce chi è il carcerato e chi il corista - ha detto don Giovanni Nicolini. Si crea una comunione della diversità in cui ognuno porta la sua voce e alla fine c'è armonia". Mauritania: condanna morte per apostasia, presentato appello Ansa, 29 dicembre 2014 Gli avvocati di un giovane condannato a morte in Mauritania per "apostasia", accusato di aver scritto su internet delle cose giudicate blasfeme nei confronti dell'Islam, hanno presentato appello contro la sentenza. I difensori di Mohamed Sheikh Ould Mohamed, 29 anni - rivelano fonti giudiziarie, hanno presentato l'istanza al tribunale di Nouadhibou, la città dove è detenuto da un anno. Il giovane mauritano è stato condannato a morte il 24 dicembre per apostasia dell'Islam per un articolo pubblicato su alcuni siti internet in cui aveva criticato decisioni prese da Maometto e i suoi compagni. L'annuncio della sentenza è stato salutato in aula e in città da grida di esultanza e caroselli di auto. Per l'accusa l'imputato "aveva parlato con leggerezza del Profeta" e meritava la pena di morte, prevista dal codice penale mauritano in caso di apostasia. Il giovane si era difeso affermando di non aver voluto offendere Maometto, ma "difendere uno strato della popolazione maltrattato, i fabbri", dal quale proveniva. "Se dal mio testo si è potuto comprendere quello di cui sono accusato - aveva detto - io lo nego completamente e me ne pento apertamente". Egitto: giornalista australiano di al-Jazeera in carcere da un anno Aki, 29 dicembre 2014 È un anno che il giornalista australiano di al-Jazeera, Peter Greste, è in carcere in Egitto con l'accusa di sostegno ai Fratelli Musulmani e diffusione di notizie false. Lo ricorda il ministro degli Esteri australiano Julie Bishop diffondendo speranze che l'uomo possa essere rilasciato prima della sentenza di appello prevista per il primo gennaio. "Stiamo facendo il possibile per riportare a casa Peter Greste e resto speranzosa di poter avere un messaggio in questo senso dal governo egiziano", ha detto Bishop all'Australian Broadcasting Corporation. Greste è in carcere dal 29 dicembre 2013 insieme al giornalista canadese-egiziano Mohamed Fahmy e a quello egiziano Baher Mohamed. Greste e Fahmy sono stati condannati a sette anni e Mohamed a 10 anni.