Giustizia: "Per qualche metro e un po' di amore in più" di Stefano Pasta La Repubblica, 25 dicembre 2014 La Campagna lanciata da Ristretti Orizzonti e la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. Bambini che incontrano genitori in luoghi inadatti. La polizia penitenziaria invitata "a sorridere" da una circolare. Settantadue ore all'anno di colloqui, una telefonata di 10 minuti a settimana e una sessualità non riconosciuta, ma dietro le sbarre anche masturbarsi può essere un rischio. Ristretti Orizzonti e la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia lanciano la campagna "Per qualche metro e un po' di amore in più". Tra bambini che incontrano genitori in luoghi inadatti e operatori invitati "a sorridere" da una circolare, il diritto all'affettività è confinato in 72 ore l'anno di colloqui e una telefonata di 10 minuti a settimana. Per rendere più umane le carceri, basterebbero provvedimenti semplici come autorizzare le schede telefoniche o skype. C'è poi tutto il tema della sessualità: dietro le sbarre anche masturbarsi può essere un rischio. La pena aggiuntiva. Giuliano, cresciuto tra amicizie per andare a rubare qualcosa o picchiare qualcuno, non si ricorda più neanche in quanti carceri è stato: "In diciotto anni, 22 o 23, da nord a sud, dalla Val d'Aosta a Favignana". Nel documentario di Silvia Giosmin "Nessuno mi piange", spiega come, dietro le sbarre, distaccarsi dall'affettività diventi una pena aggiuntiva: l'assenza di legami, un silenzio che dura anni, portano a quelli che in una poesia chiama "tortuosi pensieri tra il niente e il nulla... così scorre il marciume dell'umanità". Se fuori non hai nessuno che ti piange, ti chiedi: "Ma che cazzo me ne frega della vita?". È forse anche questo uno dei motivi per cui le prigioni italiane sono patogene, criminogene e producono il 70% dei recidivi in circolazione. Il giorno in cui ti metti la camicia bella. "Il colloquio è il giorno in cui ti metti la camicia bella, che aspetti tutta la settimana", spiega Giuliano. Chi un legame riesce a mantenerlo riceve "le lenzuola con il profumo di casa", che però negli anni rischia di evaporare. Magari perché ti trasferiscono in Sardegna e per la tua famiglia diventa un'impresa economica venirti a trovare, oppure cambi carcere e ci mettono 2-3 mesi prima di autorizzarti la telefonata settimanale. Del resto, quando sei un detenuto e hai solo 10 minuti alla settimana di chiamate è difficile essere un padre, un marito, un fratello, un amico presente. Dietro le sbarre, il diritto all'affettività rimane confinato in 72 ore di colloqui all'anno con le famiglie - l'equivalente di un weekend - più altre 24 ore a discrezione del direttore se hai dei bambini. Spesso il vuoto emerge quando esci: "La mancanza, per anni, di semplici abbracci porta forzatamente alla perdita di confidenza e intimità, si diventa estranei", racconta un detenuto. I bambini figli dei detenuti e l'invito al sorriso. Spesso sei ore al mese non sono sufficienti a mantenere un legame stabile e sincero; i colloqui si svolgono in spazi angusti e privi di intimità, dopo estenuanti attese, perquisizioni, lunghe procedure e poi... "Il colloquio è finito". In Italia, sono 100mila i bambini che una volta alla settimana vanno a trovare il padre o la madre. Frequentemente sono arrabbiati, tendono a perdonare il genitore, ma non sanno bene con chi prendersela. Solo il 35% degli istituti è provvisto di locali destinati alle visite dei bambini. Le prigioni sono luoghi talmente inadatti per i minori che, nel 2009, il Ministero ha dovuto fare una circolare per invitare gli operatori a sorridere quando li incontravano. Leggi inapplicate. La legge italiana sulle carceri del 1975 impone di dedicare "particolare cura a mantenere, migliorare o stabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie". L'articolo 24 delle Regole Penitenziarie Europee, approvate nel 2006 dai ministri del Consiglio d'Europa, stabilisce che i detenuti devono essere "autorizzati a comunicare il più frequentemente possibile con familiari e terze persone" e che "le relazioni familiari devono essere il più possibile normali". Anche masturbarsi è rischioso. Nel regolamento italiano, della sessualità, altro tema spesso posto dalle associazioni che operano nelle carceri, non si parla, non è né riconosciuta, né vietata. È un sottinteso, talvolta autorizzato soltanto a chi ha già una condanna, attraverso permessi premio di qualche ora o giorno durante i quali "coltivare gli interessi affettivi". Eppure, già una direttiva europea del 1985 chiedeva agli Stati dell'Unione di predisporre nei penitenziari degli appositi locali "per i rapporti affettivi". Lo hanno fatto molti paesi, alcuni in via sperimentale, altri in modo strutturale: Olanda, Danimarca, Svizzera, Svezia, Finlandia, Norvegia e molti Stati dell'Est. La Spagna prevede per tutti i detenuti otto colloqui mensili, nonché "la visita intima": tre ore due volte al mese con il proprio partner, purché si tratti di rapporti (etero o omosessuali) basati su "reale affettività". Che, per gli spagnoli, è verificata da colloqui continuativi nei sei mesi precedenti. L'Italia è rimasta invece al palo: "Perfino masturbarsi è vietato, perché considerato un atto osceno in luogo pubblico, che può costare sei mesi di liberazione anticipata", è stato denunciato il 1° dicembre in un seminario svoltosi nel carcere Due Palazzi di Padova. La campagna. Il seminario, organizzato da Ristretti Orizzonti, la rivista realizzata da detenuti e volontari dalla Casa di reclusione di Padova, è stata l'occasione per lanciare la campagna nazionale "Per qualche metro e un po' di amore in più", promossa dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. Chiede al governo di introdurre misure nuove per tutelare le famiglie dei detenuti e il diritto all'affettività dietro le sbarre. Tra le proposte: liberalizzare le telefonate, magari con lo strumento della scheda telefonica, consentire i colloqui riservati e contatti più stretti quando si sta male o quando sta male un familiare. Aggiunge la direttrice di Ristretti Orizzonti, Ornella Favaro: "Alcune di queste azioni potrebbero essere attivate subito, senza nemmeno cambiare le leggi, come dare la possibilità di fare due telefonate in più al mese, concedere colloqui lunghi, aumentare le ore dei colloqui ordinari, consentire i colloqui via skype per chi non può venire fisicamente". Giustizia: carcere, urgente cambiare veramente ed efficacemente di Susanna Napolitano (Magistrato di Sorveglianza di Bologna) Ristretti Orizzonti, 25 dicembre 2014 La Corte Europea dei diritti dell'uomo con plurime pronunce ha accertato la violazione dei diritti dei detenuti italiani per le riscontrate condizioni detentive altamente degradate dovute a un malfunzionamento strutturale e cronico del sistema penitenziario italiano che assimila il nostro Paese alle nazioni più incivili. Al durissimo giudizio della Corte Edu e alla moratoria di un anno data all'Italia per introdurre forme risarcitorie rispetto alle violazioni della Convenzione dei diritti dell'uomo, conseguenti, in particolare, al sovraffollamento, ha fatto seguito l'emanazione di importanti strumenti normativi nazionali (D.L. 146/2013 e L. 10 del 21.2.2014; L. 117 del 11.8.2014), che non solo consentono di dare ai detenuti rimedi compensativi (detrazione di pena o soluzione monetaria risarcitoria) per accertate gravi lesioni dei diritti patite durante la reclusione, ma rafforzano decisamente i poteri dei magistrati di sorveglianza sulle situazioni dannose riscontrate. È stata stabilita, infatti, la possibilità di impartire all'Amministrazione penitenziaria diretti ordini di adottare prontamente gli interventi necessari (salva, in caso di mancata esecuzione, successiva eventuale attivazione da parte del recluso di altro giudizio per ottenere l'adempimento di quanto prescritto). Pur tenendo conto di tale più penetrante tutela giudiziaria e delle condizioni detentive attualmente migliori anche a seguito dell'oggettiva diminuzione del sovraffollamento, il modulo carcerario così come concepito e vigente, a parere della sottoscritta, magistrato di sorveglianza per passione da 25 anni, deve essere totalmente ripensato. Non è sufficiente evitare solo il massimo degrado, è ora di operare un reale cambiamento. L'attuale istituto penitenziario italiano tipo è obsoleto e primitivo nella struttura e nel funzionamento. È infatti organizzato per salvaguardare principalmente le esigenze di mera sicurezza, per detenuti pericolosi e non pericolosi accomunati nel loro destino. D'altro canto, com'è noto, limitato e carente è il perseguimento della costituzionale finalità rieducativa della pena, e non solo per la penuria delle risorse messe a disposizione dallo Stato. Tutti siamo consci che queste ultime non saranno mai floride, soprattutto nell'attuale contingenza economica del Paese, ma occorre al più presto avviare una strategia di organizzazione penitenziaria che impieghi i fondi assegnati per assicurare il più possibile la concretizzazione reale ed estesa del dettato sulla pena previsto dall'art. 27 della Costituzione, a superamento autentico della sterile, meramente retributiva e annichilente esecuzione detentiva della sanzione inflitta. Come? Partirei da un dato negativo per arrivare ad un'ipotesi costruttiva. La mia esperienza professionale, dapprima attuata rispetto ai reclusi di carceri di non grandi dimensioni in Romagna (Rimini, Ravenna e Forlì) e, poi, con riguardo ai detenuti del complesso Istituto della città di Bologna, mi ha portato a credere che interventi rieducativi /trattamentali possano più agevolmente realizzarsi in strutture non troppo ampie ed essere efficaci se mirati a gruppi di detenuti circoscritti, non alla massa della popolazione carceraria reclusa in numero eccessivo nello stesso penitenziario. La realtà ci dice che Il carcere mastodontico, ideato per ospitare diverse centinaia se non migliaia di persone, è di per sé spersonalizzante, alienante e difficilmente consente il trattamento individuale, tanto voluto dalla nostra legge penitenziaria, o l'approccio dei distinti operatori coordinati in rete, come sempre dovrebbe essere. La struttura deprimente ha già l'effetto di per sé di mortificare e avvilire chi vi è recluso. In un Istituto di tale tipo emergono immancabilmente rigidità operative e comportamentali (si tende a ragionare e ad operare a compartimenti stagni), predominano le ferree regole di sicurezza e più complicate sono le interazioni tra i preposti ai vari settori (funzionari giuridico pedagogici, medici, psicologi, assistenti sociali, polizia penitenziaria ecc.). L'esterno (volontari e altri soggetti) fatica ad entrare, gli spazi e i tempi accordati ai terzi non sono certo adeguati, la farraginosa macchina burocratica livella tutti e tutto diventa più difficile. In carcere, oltre ai cicli d'istruzione istituzionale, sono state attuate e continuano a svolgersi alcune attività culturali/formative gestite dal volontariato di straordinario valore, valenza multietnica, conoscenza delle diverse culture e valorizzazione dell' identità individuale, ma poi il tutto viene fagocitato dal sistema segregante e indifferenziato. Il lavoro intramurario certo è fondamentale, ma non è assorbente di ogni altro aspetto rilevante nel trattamento (come invece praticamente era per l'ordinamento penitenziario del 1931). Nella realtà attuale è, in ogni caso, riservato solo a una minoranza della popolazione detenuta per ragioni di budget limitato a disposizione dell'Amministrazione penitenziaria,. Anche nel nord Italia (v. a Bologna il validissimo progetto "fare impresa" con tutor dell'impresa esterna, apprendimento formativo e lavoro interno, al termine, possibile assunzione lavorativa presso aziende del territorio), dove l'imprenditoria ha offerto grandi opportunità formative e occupazionali ai detenuti, la proposta riguarda, comunque, un numero molto ridotto rispetto al complesso dei ristretti. Pur incentivate le attività di volontariato utili per la collettività all'interno e all'esterno dell'Istituto, svolte, previa stipula delle necessarie coperture assicurative, rimangono residuali e non applicate su larga scala. Tuttavia l'impegno assicurato in tali occupazioni non è certo sufficiente per accedere alle misure alternative e realizzare un tempestivo reinserimento sociale. In particolare per i condannati definitivi recidivi e responsabili di reati non bagatellari è indispensabile una seria osservazione della personalità. È un dato di fatto che con le attuali risorse in termini di personale addetto al trattamento non tutti i detenuti riescono ad essere ascoltati e conosciuti dagli operatori in tempo utile e in maniera approfondita. Assolutamente infausta è l'estrema limitazione degli interventi degli esperti psicologi, il cui apporto è fondamentale per il cammino di riflessione di tutti i condannati (oltre alle categorie speciali, quali i sex offender e altri). Anche per questo spesso rimane del tutto incompiuto quanto articolatamente previsto dalla normativa penitenziaria (art. 13 L. 354/75, art. 27 Dpr 230/2000) su come attuare il percorso trattamentale e favorire l'analisi delle condotte antigiuridiche, delle motivazioni sottostanti, delle difficoltà fisio psichiche ecc. La decisione giudiziaria sul concedere o meno una misura alternativa diventa spesso molto difficile in assenza di elementi conoscitivi esaurienti sul vissuto della persona condannata: non basta la condotta regolare e l'impegno in attività lavorative/trattamentali per consentire una valutazione seria sulla pericolosità sociale del soggetto e sull'evoluzione della sua personalità. Non credo, tuttavia, anche disponendo di mezzi adeguati, che basti aumentare il personale in organico dell'Amministrazione penitenziaria per mutare un sistema carcerario che oggettivamente, così com'è e dov'è, non funziona come dovrebbe, al di là degli sforzi personali, alle volte quasi eroici, di alcuni. Veniamo allora al carcere che vorrei per questo Paese che non può continuare ad essere di ultima serie nella gestione della privazione della libertà in esecuzione della pena. Penso, innanzitutto, che occorrano circuiti detentivi strutturalmente realmente differenziati: un conto è il condannato c.d. ad alta sorveglianza o particolarmente pericoloso socialmente, altro è l'incensurato o chi non è a rischio elevato di recidiva nel delitto (quest'ultimo aspetto non coincide necessariamente con la gravità del reato commesso) e chi potrebbe avere, comunque, valide possibilità di recupero e di reinserimento. Ancora oggi, tra l'altro, continuano ad entrare in carcere persone, condannate definitivamente a pene modestissime, che per motivi vari (mancata presentazione della domanda alla Procura competente o altro) subiscono l'ordine di esecuzione della pena. Per loro vi è la possibilità di misura alternativa, la cui procedura di applicazione richiede, tuttavia, dei tempi di istruttoria, con la conseguenza di una forzata permanenza in un contesto spesso traumatico. Per molti altri, condannati a pene più corpose, occorre stimolare e/o cogliere la volontà di presa di coscienza e di riscatto, avviando un reale percorso introspettivo e di riflessione, verificando l'autenticità della motivazione al cambiamento e le possibilità di reinserimento esterno. Certo non tutti i reclusi vogliono distaccarsi dall'abitudine delinquenziale, così come non tutti i tossicodipendenti sono pronti ad abbandonare l'abito tossicomanico e criminogeno. Mandare questi ultimi indiscriminatamente in Comunità, a prescindere da una seria e professionale valutazione, non è utile né ragionevole. La decisione sull'assegnazione ai distinti circuiti penitenziari potrebbe essere amministrativa (come avviene ora) o giudiziale così come stabilito nell'encomiabile esperienza delle APAC brasiliane. In Brasile, com'è noto, si è dato riconoscimento ad associazioni di volontariato che gestiscono positivamente istituti penitenziari in esclusiva o unitamente all'Amministrazione pubblica. In Italia, tuttavia, potremmo essere più avanti di questa realtà estera : abbiamo già validamente sperimentato il funzionamento dell'equipe penitenziaria "integrata" con operatori interni dell'Istituto, operatori Ausl (Ser.T.) e la proficua interazione con il privato sociale rappresentato dalle Comunità di recupero. La custodia attenuata per tossicodipendenti che ho visto nascere negli anni 90 a Rimini in una casetta posta al di fuori del circuito penitenziario ordinario (anche qui l'elemento strutturale è stato di massima importanza), ha comportato l'assenza di blindi, di celle e la presenza di una condivisione trattamentale in un contesto adeguato di vivibilità, con personale di polizia penitenziaria avente specifica formazione (più rieducativa che custodiale). Superate le difficoltà iniziali date dalla diversità dei linguaggi usati e degli approcci personali, vi è comunque stata una proficua interazione che ha portato al reinserimento di vari condannati, considerate le turnazioni e la permanenza stabilita a carattere breve, solo per alcuni mesi. Tale modulo, poi, è stato applicato in alcune realtà penitenziarie italiane (anche se, per lo più, solo in sezioni all'interno della struttura ordinaria). Reinterpretato, si potrebbe proporre non solo per tossicodipendenti, ma anche per condannati senza problematiche di dipendenza, con il coinvolgimento di addetti degli enti territoriali (servizio sociale, sportello lavoro) e di psicologi/psichiatri Ausl. Ma la novità dovrebbe, soprattutto, consistere nel prevedere nella nuova organizzazione carceraria il determinante apporto delle associazioni del privato sociale (di cui per fortuna è ricca l'Italia) che hanno dimostrato di sapere veramente gestire le attività rieducative, con passione e motivazione. Non credo nel carcere privato, tuttavia, penso che per vivificare i vigenti moduli d'intervento, a volte troppo burocratici, per razionalizzare le scarse risorse statali e per raggiungere risultati apprezzabili sia assolutamente necessario coinvolgere, a pieno titolo, nella gestione trattamentale della pena persone appartenenti a organizzazioni impegnate nel sociale, di provata competenza. Non come un corpo estraneo, ma come componenti stabili dell'equipe penitenziaria, integrata anche da alcune essenziali figure professionali pubbliche territoriali, come sopra detto, previa verifica di attitudine e motivazione di tutti gli addetti. Ritengo, in ogni caso, che la supervisione dovrebbe, comunque, spettare a un Direttore dell'Amministrazione penitenziaria, rivestente funzioni di garanzia e supervisione delle attività, che potrebbe anche svolgere il proprio compito itinerando in più realtà carcerarie non di grandi dimensioni e ravvicinate territorialmente. La figura del Direttore dell'Istituto penitenziario è sommamente importante: per capacità e plurime competenze credo che, per lo più, abbia già dato buona prova gestionale, quale elemento di equilibrio tra sicurezza e trattamento, nonché di raccordo tra interno ed esterno. Sicuramente, in una progettualità come quella delineata la Direzione della struttura, difficilmente potrebbe essere sostituita nelle sue competenze da un Comandante della polizia penitenziaria. Polizia penitenziaria che, nel circuito differenziato per condannati di non elevata soglia di pericolosità di cui stiamo parlando, auspico veramente non sia impiegata più all'interno (salvo, se proprio si vuole, eventualmente poche unità debitamente formate), ma solo all'esterno dell'Istituto, come già è stato sperimentato in altre nazioni. All'interno: non solo esperienze lavorative e/o di volontariato, ma centrali momenti di riflessione individuali e di gruppo (v. modulo praticato, in genere, dalle Comunità) focalizzati ad analizzare comportamenti, esternare difficoltà psico sociali, modificare atteggiamenti, accentuare la responsabilizzazione del soggetto, favorire la consapevolezza critica e la crescita per, poi, efficacemente realizzare una progettualità di reinserimento. Nel complesso, dunque, oltre a Direttore polivalente e agli agenti di polizia penitenziaria essenzialmente indispensabili, i funzionari pagati dall'ente pubblico sarebbero solo le unità basiche (ragioniere, matricolista, educatore e pochi altri per l'Amministrazione penitenziaria ; medici, psicologo e psichiatra a carico dell'Ausl, assistente sociale e/o altro funzionario del Comune del territorio), verificando anche la possibilità di accorpare in un unico edificio alcuni servizi comuni a più realtà carcerarie vicine tra loro. Le strutture potrebbero essere reperite, anche in locazione o con l'acquisto/ristrutturazione di edifici esistenti nel territorio così come hanno efficacemente fatto molte Comunità e Cooperative, non a caso in contesti non alienanti (v. in Emilia Romagna la Coop. Generazioni che ha ristrutturato unità rurali immerse nel verde per nuovi moduli di cura e recupero di soggetti con infermità mentali, in alternativa all'internamento negli O.P.G., o le comunità dell'associazione Papa Giovanni XXIII e vari altri enti). A fronte della dispendiosità e inutilità della costruzione di nuove carceri, simili come concezione strutturale/funzionale a quelle esistenti, che di nuovo hanno solo l'imponente stanziamento economico, credo si debba provare a verificare, previo approntamento di un necessario studio manageriale delle risorse umane coinvolgibili territorialmente e dei necessari costi di realizzazione, la fattibilità, anche in sperimentazione pilota solo in alcuni territori, di un diverso sistema detentivo che sia una terza via tra l'arcaico istituto penitenziario statale attuale e una struttura di carcere privato, basato su uno staff interdisciplinare, formato per lavorare in rete, quale agile ponte per l'eventuale ammissione a misure alternative. Salvo che non si voglia decidere di condividere la soluzione di far subire la detenzione come extrema ratio a condannati a pene modeste, collocati in lista di attesa e incarcerati di volta in volta a seconda della capienza disponibile nei penitenziari per attuare effettivi percorsi trattamentali, il periodo di obbligata carcerazione, nelle more di una eventuale reinserimento esterno, dovrebbe essere gestito in maniera meno afflittiva/repressiva e più utilmente, facendo tesoro delle esperienze positive che, pur con tutti i limiti, sono state concretizzate in Italia, e avviando, con coraggio, un progetto di politica carceraria realmente diverso e attuativo dello spirito costituzionale. Giustizia: per i Radicali feste di Natale con i detenuti e il personale penitenziario Agi, 25 dicembre 2014 Nell'ambito del "Satyagraha di Natale con Marco Pannella", dirigenti nazionali e locali del Partito Radicale e di Radicali Italiani effettueranno numerose visite negli istituti penitenziari italiani. Marco Pannella, Rita Bernardini accompagnati da Isio Maureddu, Paola Di Folco, Mina Welby e Gianmarco Ciccarelli dalle ore 10.00 trascorreranno il Natale insieme ai detenuti e al personale penitenziario del carcere di Rebibbia. Al Satyagraha hanno finora partecipato, con uno o più giorni di sciopero della fame, oltre 600 cittadini fra i quali 236 detenuti del carcere di Sollicciano assieme al cappellano, don Vincenzo Russo. Natale in visita a Parma per Giachetti Oggi, 25 dicembre, dalle ore 11.00 il vicepresidente della Camera e deputato Pd, Roberto Giachetti sarà in visita presso l'Istituto penitenziario di Parma per portare, in occasione del santo natale, i saluti ai detenuti e per verificare le condizioni di vita all'interno del carcere. Come di consueto - informa una nota - Giachetti trascorrerà anche il Capodanno in visita nelle carceri, quest'anno sarà a Firenze presso il carcere di Sollicciano. Giustizia: la cella è troppo piccola e i mobili "ingombrano", il detenuto va risarcito di Gianpaolo Iacobini Il Giornale, 25 dicembre 2014 Se in cella l'armadio ingombra, il detenuto va risarcito. Questioni di spazio vitale. Ma non di logica. Perché è come se uno, al momento di comprar casa, chiedesse al venditore uno sconto in previsione del fatto che una volta arredato l'appartamento parte di esso non potrà essere goduta perché occupata dai mobili. Tra privati la richiesta sarebbe liquidata (nella migliore delle ipotesi) con una pernacchia. Ma quando di mezzo c'è Pantalone, le cose vanno diversamente. Non meraviglia, allora, che a Verona un carcerato si sia visto ridurre la pena e liquidare una manciata d'euro dal Tribunale di sorveglianza per via del mobilio che riduceva oltremodo la superficie calpestabile della stanza che lo ospitava dietro le sbarre. L'incredibile ma vero prende le mosse da un principio sacrosanto: in Italia da sempre ci sono troppi detenuti rispetto ai posti disponibili. A marzo del 2014, conferma il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, si registravano 59.728 reclusi in strutture con capienza complessiva di 49.131 posti, il 10% dei quali peraltro indisponibili causa lavori di ristrutturazione. Inevitabile doversi stringere. Tuttavia, per tutelare la dignità di chi vive in gattabuia, da tempo e per tempo, fissando quale limite quello del 28 maggio scorso, la Corte europea dei diritti dell'uomo aveva avvisato: ai detenuti vanno garantiti almeno 3 metri quadrati a testa. Magari costruendo nuove strutture carcerarie, pure per evitare il continuo ricorso a indulti, amnistie e condoni vari. Il termine stabilito, però, è scaduto invano. E per evitare condanne miliardarie ed una figuraccia planetaria, ad agosto il governo Renzi c'ha messo una pezza, forse peggiore del buco. Prevedendo per decreto un abbuono d'un giorno ogni 10 passati in carceri sovraffollate ed un indennizzo di 8 euro per ciascuno di essi. Inevitabilmente, sono fioccate le richieste risarcitorie. E i casi ai confini della realtà. Come a Verona, dove il magistrato di sorveglianza, dopo apposita perizia affidata ad un geometra, manco la guardina fosse un condominio ha argomentato: "Per individuare lo spazio vitale si deve far riferimento al concetto di superficie calpestabile, individuabile sulla base della legge sull'equo canone e coincidente con la pavimentazione depurata dallo spessore di eventuali colini perimetrali e pilastri". Non soddisfatto, ha passato minuziosamente in rassegna la voluminosità "di armadi, letti, tavoli, sedie, mobili pensili". In coda, il verdetto che fa giurisprudenza immobiliare: "Letti, tavola e sedie sono utilizzabili per varie finalità e quindi destinati a non ridurre lo spazio a disposizione del detenuto". Per armadi, radiatori e stipetti, che a differenza dei più versatili colleghi d'arredo evidentemente non possono aspirare ad essere altro da ciò che sono, vale regola diversa: "Sono suscettibili di unica ed esclusiva utilizzazione e vanno perciò scomputati dalla superficie lorda della cella". Alla fine, sebbene il Tribunale avesse deciso - bontà sua - di lasciare nel conto "le bottiglie dell'acqua e le scatole per la raccolta degli oggetti", togli questo e caccia quello ci si è accorti che "lo spazio residuo era di 0,4 metri quadrati inferiore al minimo". Così per la direzione del carcere è arrivata la bocciatura, mentre il ricorrente ha ottenuto uno sconto di pena di 45 giorni ed un rimborso di 464 euro. Una goccia nel mare: fino al 2016 si prevede di spendere, per situazioni del genere, più di 20 milioni, all'incirca 725.000 euro al mese. Tanto, pagano gli italiani. Giustizia: Rossomando (Pd); dare lavoro ai detenuti, investimento per il reinserimento Askanews, 25 dicembre 2014 "L'esperienza di un lavoro di qualità finalizzato ad un reinserimento dei detenuti, così come è stata proficuamente sperimentata nella casa circondariale Lorusso e Cotugno di Torino e nel carcere di Ivrea, con le cooperative sociali, non deve essere interrotta". Così Anna Rossomando, deputata del Partito Democratico, intervenuta in conferenza stampa a Torino. "Ben vengano tutte le verifiche sul come proseguire - continua la deputata torinese - ma è importante che il lavoro in carcere sia un vero e proprio investimento per il reinserimento sociale e non una mera voce di ‘costò. A questo proposito in questo campo, come in altri, nel significato del costo ci deve stare anche il beneficio sociale in termini di sicurezza per tutti i cittadini. È noto, infatti, che percorsi di risocializzazione abbattono la recidiva. Dall'inizio di questa legislatura sono stati fatti decisivi passi in avanti sull'emergenza carceri, in primo luogo sul tema del sovraffollamento; i numeri e non solo quelli parlano della bontà ed efficacia delle azioni di governo e parlamento. Sul futuro di questi importanti progetti per il lavoro in carcere dei detenuti ho presentato già nella giornata di ieri un interrogazione in commissione Giustizia insieme al collega Andrea Giorgis per chiedere al governo quali iniziative intenda avviare per dare continuità a questi progetti anche in forme diverse da quelle adottate finora". "Nei prossimi giorni, quando verrà fissata, e spero presto, - conclude Rossomando - a seguito del recentissimo insediamento dell'attuale dirigente del Dap Santi Consolo, la sua audizione in commissione chiederò se e quali determinazioni ci sono riguardo alla valutazione dell'esperienza dei progetti per il lavoro dei detenuti". Patriarca (Cnv): su coop mense Orlando ci ripensi "Affidare la gestione del vitto in carcere alle cooperative sociali è economicamente vantaggioso e socialmente utile. Spero che il ministro Andrea Orlando, che in questi giorni ha annunciato di voler puntare sul lavoro in carcere e sulle misure alternative, possa riconsiderare la decisione presa di riassegnare al Dap la gestione delle mense": Edoardo Patriarca, presidente del Centro nazionale per il volontariato (Cnv) e deputato Pd, intervenendo anche a nome del gruppo di lavoro sulle misure alternative "La certezza del recupero" commenta così la decisione del Ministero della Giustizia e del Dap di sospendere dopo un decennio di sperimentazione la gestione delle cucine del carcere da parte di dieci cooperative sociali. La scadenza è fissata alla fine di dicembre, mentre la proroga concessa è di soli 15 giorni. Quindi dalla metà di gennaio il servizio sarà sospeso nei due istituti di Rebibbia, a Milano-Bollate, Trani, Siracusa, Ragusa, Torino, Padova e Ivrea. "La sperimentazione - aggiunge Patriarca - ha portato a risultati concreti: l'abbattimento dei costi di gestione e la riduzione drastica della recidiva. La media è dell'80%. Ma tra i detenuti che usufruiscono di misure alternative e che vengono inseriti in percorsi professionali, solo 7 su 100 tornano a delinquere". Da un anno e mezzo il gruppo di lavoro "La certezza del recupero" sta lavorando per il riconoscimento a pieno titolo delle misure alternative alla pena e delle comunità di accoglienza. "Mi auguro che l'apertura di Orlando si concretizzi nel riconoscimento di un sistema che funziona. I fatti di Mafia capitale - conclude Patriarca - non devono condizionare le scelte né vanificare il lavoro quotidiano del volontariato e di tutto il terzo settore che opera nella legalità e che silenziosamente rende l'Italia un paese migliore. Anche dentro e fuori dal carcere". Giustizia: Mafia Capitale; per Carminati arriva il 41 bis, Orlando firma la richiesta Il Velino, 25 dicembre 2014 Sarà un Natale di carcere duro per Massimo Carminati. Il ministro Andrea Orlando ha infatti accolto la richiesta magistratura romana del carcere duro per il presunto capo di "Mafia Capitale", attualmente agli arresti nel carcere di Tolmezzo in provincia di Udine. Il trasferimento in Friuli Venezia Giulia era giunta nelle scorse settimane per motivi di sicurezza: ora per Carminati è previsto un nuovo trasferimento in un istituto per reclusi soggetti al 41bis, equiparandolo quindi ai grandi boss di mafia. Intanto l'autorità anti corruzione Raffaele Cantone ha notificato martedì l'avvio del procedimento per la richiesta di commissariamento di due appalti affidati da Ama, l'azienda comunale per il trattamento dei rifiuti, al Consorzio Nazionale Servizi (sede a Bologna) e alla Cooperativa Edera (sede a Roma). Sono i primi due appalti commissariati relativi all'inchiesta Mafia Capitale. Le due aziende hanno ora 15 giorni per presentare una loro eventuale memoria sull'appalto. Solamente il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, potrà però emettere i decreti di commissariamento. Dal punto di vista politico da registrare la dichiarazione del presidente del Pd e commissario romano del partito Matteo Orfini: "Alla ripresa abbiamo alcune cose importanti da fare come il dimezzamento delle commissioni. È una cosa che avevamo promesso e lo faremo nel nuovo anno", ha detto Orfini al termine dell'incontro con il sindaco e i consiglieri Pd di Roma Capitale. Lettere: il Natale dei ricordi di Emanuela Cimmino (Funzionario Giuridico Pedagogico) Ristretti Orizzonti, 25 dicembre 2014 "È Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano. È Natale ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza. È Natale ogni volta che permetti al Signore di rinascere per donarlo agli altri". (Madre Teresa di Calcutta). È un Natale di ricordi per chi lo festeggia dietro le sbarre, un Natale di sensazioni ed emozioni che prendono forma se non attraverso l'immaginazione, il ricordo, per l'appunto. Per il periodo di Natale ci sono molti più colloqui visivi, i bambini fanno visita ai padri ristretti ed alle madri ristrette, al blocco house associazioni di volontariato organizzano feste d'accoglienza con tanto di folletti che regalano giocattoli e distribuiscono biscotti al burro, le sale colloqui per l'occasione si tingono di rosso, c'è rosso ovunque, rosse le palline sull'albero, rossa la stella di Natale all'ingresso, rosso il cartellone sul quale lasciare un augurio, è rosso perfino l'abito del bambolotto che una bimba dai riccioli neri tiene in braccio e gioca assieme alla sua mamma. Mentre il transito è rimasto neutrale, è presso la rotonda dei Circuiti dove anche gli operatori penitenziari, quelli di turno, vivono il loro Natale in carcere che si notano un po' di addobbi. C'è un albero verde le cui palline sono di cartoncino, su alcuni rami ci sono fiocchetti di carta crespa realizzati dai detenuti che frequentano la sala hobby, il vaso decorato di stelle dorate realizzato invece da chi passa le sue ore pomeridiane nella sala pittura. Ed il presepe, questa volta il presepe è diverso, è molto più bello, i pastori sembrano parlare, sembrano osservare chi passa e chi si ferma ad ammirarlo. È stato realizzato a mano da detenuti che portano il ricordo della tradizione, quando a casa, si iniziava un mese prima a mettere su il presepio. A. fischietta "Tu scendi dalle stelle" mentre imbianca la parete accanto alla sala teatro, S. R. e B. provano "Astro del ciel" per la Messa del 25 dicembre, passa il cappellano per la prova delle letture, perfino M. che è musulmano e K. che è ortodosso vogliono partecipare alla celebrazione, perché quel momento in carcere diventa un incontro multiculturale e multi religioso. È Natale per tutti in carcere anche se non è il Natale di una volta, gli operatori dell'Area Trattamentale con l'aiuto dei volontari si inventano momenti per allontanare i pensieri tristi. Non tutti possono abbracciare i propri familiari, guardano il soffitto grigio e pensano e ricordano e raccontano all'educatore dei propri pensieri, di quelle sensazioni che in periodi come quello del Natale si fanno più forti, vogliono condividere lo stato d'animo, i ricordi dei sapori, dei rumori, dei suoni, di quando la famiglia riunita a tavola mangiava e parlava. M. di origine rumena racconta della tradizione di S. Nicolae, di bambini che la notte del 6 dicembre lasciano fuori le porte di casa le scarpe dove verranno riposti poi regali, F. che è albanese racconta la stessa tradizione di K. che è dell'Ucraina, del loro Natale che ha inizio il 7 gennaio, di dolci e di panini. Il loro racconto è fatto dei ricordi di olfatto, di gesti, di colori. È il Natale dei ricordi in carcere, quello fatto di sfumature e di usanze, di filastrocche e poesie, di lettere e biglietti d'auguri che i detenuti scrivono ai propri congiunti ma anche agli operatori. Lettere nelle quali esprimono stima, gratitudine e rispetto professionale. C'è A. che fa il volontario in biblioteca e si è inventato il momento della lettura delle fiabe sotto l'albero, non proprio sotto l'albero ma nella sala della socialità, M. che si è convertito, da ateo è diventato credente, evangelista, dopo il carcere vorrà fare il pastore, legge i salmi ai compagni di sezione; si fa leva sulla fantasia, la creatività, per far passare il Natale. E c'è chi lo vive in solitudine, isolato in cella, chi il Natale lo vive come occasione per fare revisione critica dei propri errori commessi, ancora di più di tutto l'anno, è il momento in cui si tirano le somme, per alcuni questo accade a Capodanno, in carcere accade a Natale. Ognuno si costruisce il suo simbolo e tiene stretto tra le mani un simbolo, un angioletto di pasta, un campanellino, un cappellino di lana, regali dei propri bambini, un oggetto qualsiasi autorizzato da portare con se in cella e sentirsi meno solo. È il Natale dei ricordi che prendono forma sulle pareti della cella, la nonna che pulisce il capitone, il babbo che fuma la pipa sulla poltrona, la mamma che prepara la tavola, ma c'è anche quel ponte sotto al quale S. ha trascorso due tre Natale, quel vicolo buio dove C. dopo la sua dose di eroina cadeva in estasi, G. con la pistola in mano puntata contro il commesso del negozio di orologi. Su quella parete prendono forma tutti i ricordi nel Natale in carcere, mentre fuori accade il bello ed il brutto. Piemonte: il Garante dei detenuti "sbagliato chiudere l'esperienza delle coop nelle mense" di Carlotta Rocci La Repubblica, 25 dicembre 2014 Mellano: "Sbagliato chiudere l'esperienza delle coop nel servizio mensa delle carceri. A Torino un'attività che funziona da decenni rischia di scomparire". "Qui si rischia di gettar via il bambino con l'acqua sporca", il garante regionale dei detenuti Bruno Mellano critica la decisione del ministero della Giustizia che ha cancellato con un colpo di spugna l'esperienza dei servizi mensa in carcere gestiti dalle cooperative. Esistono in dieci istituti penitenziari in Italia. A Torino Libera Mensa, a cui negli anni si sono affiancate altre cooperative, ha ormai una storia decennale; da aprile si è aggiunta anche l'esperienza di Ivrea. La questione - spiega il ministero con una circolare inviata alle carceri nei giorni scorsi - è tutta tecnica: oggi quei progetti sono finanziati dalla cassa delle Ammende che in origine doveva sostenere start up emergenti e non progetti già pienamente avviati". Il sospetto è che la decisione del ministero sia anche politica e che il titolare del dicastero Orlando, sull'onda dell'inchiesta Mafia capitale, abbia voluto fare piazza pulita dell'esperienza delle cooperative in carcere. "Rischiamo di chiudere un fiore all'occhiello in una situazione già disastrata delle nostre carceri - prosegue Mellano. Quello di Libera Mensa e Divieto di Sosta dovrebbe essere un modello da esportare nelle altre 200 carceri italiane non da cancellare". La parola fine scatterà il 15 gennaio. " Un tempo davvero breve per riorganizzarsi", commenta il direttore del carcere Lorusso e Cotugno Domenico Minervini che ha partecipato alla conferenza organizzata dal garante. "Sono qui amareggiato e allo stesso tempo imbarazzato - ha detto in quanto unico rappresentante del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - La pena deve essere utile e il lavoro è la punta di diamante dei percorsi trattamentali in carcere". La gestione delle cooperative nel servizio mensa per i detenuti, infatti, permette non solo di far funzionare il sistema penitenziario ma offre ai detenuti l'occasione di imparare una professione da spendere dopo aver scontato la pena. Libera mensa ha a libro paga circa 35 persone che lavorano più o meno 30 ore a settimana. Coop mense convocate da Orlando I responsabili delle dieci cooperative che organizzano il servizio mense nelle carceri, nell'ambito di progetti per il reinserimento dei reclusi, sono stati convocati, con i garanti dei detenuti delle rispettive regioni, dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, alle 10 di martedì 30 dicembre a Roma. Lo rende noto il garante dei detenuti in Piemonte, Bruno Mellano, che oggi a Torino aveva tenuto una conferenza stampa sul tema. Le cooperative sono attive nelle carceri di Torino, Ivrea, Bollate Roma, Rieti, Padova, Trani, Ragusa, Siracusa. Nei giorni scorsi il ministro Orlando aveva prospettato la decisione di riassegnare al Dap la gestione delle mense nelle case circondariali. "L'esperienza di un lavoro di qualità finalizzato ad un reinserimento dei detenuti, così come è stata proficuamente sperimentata nella casa circondariale Lorusso Cotugno di Torino e nel carcere di Ivrea - afferma Anna Rossomando, deputata del Partito Democratico, che oggi ha partecipato all'incontro di Torino - non deve essere interrotta". Campania: droghe nei penitenziari campani, traffico sgominato grazie ai cani antidroga www.campanianotizie.com, 25 dicembre 2014 Si è conclusa in queste ore la vasta operazione denominata "Silenzio Stampa" che ha visto impegnati i Reparti di Polizia di Napoli Poggioreale, Napoli Secondigliano, Napoli Palazzo di Giustizia, Santa Maria Capua Vetere e Benevento. I Funzionari di Polizia Comandanti di Reparto e l'Ufficio Sicurezza Polizia Penitenziaria - Nucleo Regionale Cinofili Campania- hanno strutturato una rete di controlli atti ad impedire l'introduzione e lo spaccio di droghe all'interno delle carceri della Regione. Le attività di Polizia Giudiziaria sono iniziate a metà novembre e sono terminate in queste ultime ore. Il dato emerso è davvero sconcertante ed evidenzia la professionalità dei Baschi Azzurri nel contrastare la criminalità organizzata. Nonostante la presenza dell'antidroga sia ormai una costante nei reparti penitenziari, alcuni detenuti e loro familiari non demordono e tentano, con qualsiasi stratagemma, di spacciare stupefacenti. Nel Nuovo Complesso di Secondigliano e nel Penitenziario di Benevento sono stati differiti all'Autorità Giudiziaria diversi detenuti che godevano della "Semilibertà", misura alternativa alla detenzione. Questi venivano bloccati dai cani antidroga Buk, Peppe, Anja e Zolly. I detenuti, nel rientro serale, portavano droga all'interno dei reparti con l'intento di spacciarlo ad altri detenuti. Sempre a Napoli Secondigliano un giovane ragazzo, familiare di un detenuto, veniva segnalato da Umea ed assicurato alla Giustizia per detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio. Nella Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere, i cani Umea, Ulla e Peppe consentivano tre sequestri di stupefacenti. Le persone coinvolte venivano differite alle Autorità. Nei controlli effettuati nel Palazzo di Giustizia due tossicodipendenti, bloccati dai cani poliziotto Buk e Zolly venivano differiti all'Autorità Prefettizia a seguito del sequestro delle droghe che detenevano. A Poggioreale la Polizia Penitenziaria del Reparto "Giuseppe Salvia" e i Cinofili di Benevento hanno arrestato una donna sessantenne, madre di un giovane detenuto. La donna ed i detenuti avevano in mente un complesso progetto di traffico di droga all'interno delle mura carcerarie. Sono stati i Pastori Tedeschi Barry e Zolly, del Distaccamento di Benevento, a rovinare il piano. La donna voleva consegnare la droga al figlio durante i colloqui, servendosi ovuli vaginali, e lo stesso figlio detenuto avrebbe pensato a spacciarla nelle sezioni. All'atto dell'accesso al Settore Colloqui però, Barry bloccava la donna indicandola come corriere di stupefacenti. Immediati gli accertamenti che consentivano di rinvenire un ovulo vaginale, appunto nelle parti intime della donna. A seguito di tali circostanze il Comandante della Polizia Penitenziaria di Napoli Poggioreale disponeva anche la perquisizione della casa della donna a Secondigliano. Nella casa sarà il cane antidroga Zolly a far rinvenire un notevole quantitativo di hashish, già diviso in dosi per essere spacciato. La donna, giudicata per direttissima, è stata condannata a due anni di reclusione ed i detenuti coinvolti rinviati a giudizio per gli atti criminosi posti in essere durante lo stato di detenzione. Nonostante il dato sconcertate, che dimostra come "il delinquere" sia una cultura ed una scelta di vita. Le Segreterie Cgil - Uil - Ugl - Sinappe Benevento, hanno manifestato "apprezzamento per i risultati ottenuti, evidente sinergia professionale degli Uomini dei Reparti e Personale dell'Antidroga Campania". Lucca: i Senatori Marcucci e Granaiola in visita al carcere, chiedono più spazi ricreativi di Jasmine Cinquini www.luccaindiretta.it, 25 dicembre 2014 Anche per questo Natale il Senatore Pd Andrea Marcucci da prova della sua vicinanza ai detenuti del carcere di San Giorgio e lo fa con una maggior serenità d'animo: proprio l'altro ieri (23 dicembre), infatti, la giunta Tambellini ha dato il via libera alla creazione del garante dei diritti dei detenuti, dando di fatto accoglienza alle richieste che il senatore, insieme ad alcuni colleghi, avanzava da tempo. A combattere in prima linea per il riconoscimento dei diritti dei carcerati è stata anche la Senatrice Manuela Granaiola, che ieri mattina (24 dicembre) ha accompagnato Marcucci durante la consueta visita pre-natalizia alla casa circondariale di San Giorgio. "Ringraziamo l'amministrazione Tambellini per aver finalmente accolto la nostra proposta - ha dichiarato Marcucci - quella del garante è una figura fondamentale, soprattutto per un carcere come quello di Lucca, afflitto da problemi di sovraffollamento e sicurezza: una verifica costante delle condizioni dei detenuti durante le varie fasi della loro permanenza è doverosa, tanto più che molte di queste persone sono ancora in attesa di giudizio e, dunque, innocenti fino a prova contraria, come stabilisce la legge". Durante la visita di questa mattina, i due senatori hanno richiesto un aggiornamento relativo al numero dei detenuti, sollecitando altresì tempestivi interventi di ristrutturazione e messa in sicurezza degli spazi comuni. In questo campo, vivo e costante è stato l'impegno della senatrice Granaiola, che a lungo si è battuta per la riapertura di questi ambienti dalla grande valenza formativa. "Proprio in relazione alle problematiche del sovraffollamento che caratterizzano il carcere di Lucca ho a lungo insistito per la manutenzione degli ambienti ricreativi, come la palestra e la biblioteca - ha spiegato la senatrice Granaiola - in questo ambiente e in un simile contesto vengono ad assumere un'importanza basilare le attività di socializzazione, anche in un'ottica di rieducazione e reinserimento dei detenuti". Napoli: Ronghi (Fi); per i detenuti di Poggioreale servizio di assistenza sanitaria privata www.napolitoday.it, 25 dicembre 2014 La proposta è di uno dei coordinatori di Forza Italia in Campania, Salvatore Ronghi, che insieme al consigliere Gennaro Nocera ha "ispezionato" il padiglione San Paolo destinato ai ricoveri. In visita nel carcere di Poggioreale: ieri il capogruppo alla regione ed il componente del coordinamento campano di Forza Italia, Gennaro Nocera e Salvatore Ronghi, sono entrati nel padiglione San Paolo, destinato ai ricoveri sanitari. L'obiettivo era "tenere alto il livello di attenzione delle istituzioni sulle condizioni dell'assistenza sanitaria ai detenuti". Nocera ha sottolineato che "il sovraffollamento è stato ridotto" ed è quindi "migliorata l'assistenza sanitaria". Il consigliere auspica che "l'impegno assunto dalla Regione Campania con uno stanziamento di 5 milioni di euro destinati anche alle necessarie ristrutturazioni logistiche, possa trovare in tempi brevi la sua piena attuazione". Le criticità sono numerose, "in particolare per l'ortopedia e per la neurochirurgia" le attrezzature sono obsolete. "Porremo, come Regione, il massimo impegno anche per supportare i vertici dell'Asl Napoli 1", ha concluso Nocera. Far "crescere i livelli qualitativi del carcere di Poggioreale nel suo complesso" è l'obiettivo evidenziato da Ronghi. "ma occorre fare molto di più, come politica e come Asl, per favorire processi di ristrutturazione della struttura carceraria, macchinari nuovi ed adeguati alle diverse problematiche sanitarie". La proposta è "mettere in sinergia l'assistenza sanitaria pubblica con quella privata", così da "garantire ai detenuti la piena accessibilità al pari di ogni altro cittadino". Firenze: manifestazione dei Radicali davanti a Sollicciano per chiedere amnistia e indulto gonews.it, 25 dicembre 2014 Questa mattina i radicali dell'Associazione "Andrea Tamburi" hanno manifestato davanti al carcere fiorentino di Sollicciano per chiedere i provvedimenti di amnistia e indulto. Il presidio rientra nella serie di iniziative che i radicali hanno in programma per il mese di dicembre in occasione della mobilitazione nazionale sul Satyagraha di Natale che culminerà la notte di San Silvestro quando il Vice-presidente della Camera, Roberto Giachetti, insieme al leader storico dei Radicali, Marco Pannella, e alla Segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, entreranno dentro l'istituto di Sollicciano. In merito alla manifestazione di questa mattina sono intervenuti Massimo Lensi e Maurizio Buzzegoli dell'Associazione "Andrea Tamburi": "Serve che la politica inizi ad occuparsi seriamente del problema penitenziario, le soluzioni finora messe in campo non affrontano strutturalmente i problemi che affliggono migliaia di detenuti e di agenti della polizia penitenziaria: servono amnistia e indulto". I due esponenti radicali hanno infine lanciato una richiesta al Presidente Enrico Rossi e al Consiglio regionale: "Auspichiamo che nella legge finanziaria da poco approvata venga riportata l'attenzione sulla sanità nelle carceri toscane: in particolare l'urgenza riguarda l'istituzione di un presidio sanitario nel carcere di Sollicciano". Caserta: per i Radicali una vigilia di Natale al carcere di Santa Maria Capua Vetere www.casertanews.it, 25 dicembre 2014 Si è svolto nella mattinata della Vigilia di Natale un sit-dei radicali di Caserta e una visita ispettiva al Carcere di Santa Maria Capua Vetere. Sono entrati nella struttura penitenziaria Domenico Letizia, Segretario dell'Associazione Radicale Legalità e Trasparenza e Fortunato Materazzo, accompagnati dall'ispettore Manganelli data l'assenza della direttrice Carlotta Giaquinto, mentre all'esterno c'erano in presidio al sit-in coi parenti dei detenuti, Luca Bove, membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani, gli avvocati Amedeo Barletta e Alfonso Quarto, assieme a Giuseppe Ferraro dell'Associazione Radicale "Certi Diritti" e alla militante Carmela Esposito. Letizia dichiara: "I reparti del carcere di Santa Maria Capua Vetere portano nomi di fiumi ma, ironia della sorte, qui non c'è acqua, nuovamente i detenuti lamentano l'assenza di acqua potabile nella struttura. Abbiamo visitato il reparto Tamigi oltre al nuovo reparto Nilo e a una struttura al coperto utilizzata per le file dei parenti in visita, mentre prima le attese avvenivano all'esterno. Più detenuti hanno lamentato prezzi troppo alti per beni di prima necessità. Questo perché la fornitura avviene attraverso un appalto esterno e, stando a quanto dicono, la ditta fornitrice proporrebbe offerte che poi non vengono rispettate al momento delle consegne. La merce, accusano i detenuti, viene in parte trattenuta anche se già pagata. Ritornando all'acqua, ci sono le autoclavi ma spesso capita che siano esaurite o che l'acqua non sia comunque potabile. I detenuti devono quindi acquistarla dall'esterno e a prezzi altissimi, come per tutti i beni di prima necessità. I detenuti ci hanno segnalato che le loro domande di trasferimento in altri penitenziari più vicini alle loro famiglie, non vengono prese in considerazione al punto che non arrivano neanche le risposte. Non abbiamo avuto i dati aggiornati che ci saranno inviati prossimamente, ma oralmente ci hanno spiegato che la popolazione detenuta è composta più o meno da 1.010 detenuti. Di questi il 30% sono immigrati e si segnala un aumento della presenza di tossicodipendenti". Quella di oggi, rientra nell'iniziativa nazionale che vede militanti radicali impegnati da Nord a Sud nell'entrare in visita nelle carceri della nazione. Visite autorizzate dal Dap che hanno minor forza rispetto a quelle tradizionali con deputati, senatori o consiglieri regionali. Al sit-in sono state raccolte 30 adesioni da parte di parenti dei detenuti che effettueranno 24 ore di sciopero della fame in sostegno al Satyagraha di Marco Pannella, Rita Bernardini e dei Radicali. Sempre Letizia dichiara: "Ho interrotto, per ora, lo sciopero della fame iniziato dalla mezzanotte di Domenica 21 Dicembre forte e grato del sostegno dei parenti dei detenuti che continuano il Satyagraha con Pannella e Rita Bernardini". Dichiara Luca Bove: "Purtroppo questa struttura è abbandonata dalle istituzioni, da anni denunciamo l'assenza di collegamento alla rete idrica della città di santa Maria Capua Vetere ma nessuno degli enti coinvolti cerca di risolvere il problema". Savona: è Natale, ma in carcere il panettone non può entrare… il "Modello 176" lo vieta di Stefania Orengo www.savonanews.it, 25 dicembre 2014 I buoni sono considerati tali in quanto danno sempre ai cattivi una seconda possibilità. I detenuti non sono contemplati in fondo alla lista di nessuno e a loro il panettone buonista di Natale non è concesso. Pinocchio era il peggiore dei bugiardi: truffe, contraffazioni e depistaggi. Nessuno poteva immaginare un elemento peggiore di lui. Eppure il perdono lo trasformò in un bambino vero e con un cuore. Capitan Uncino perseguitava i bambini rendendone la vita un incubo. Egli venne risparmiato da Peter Pan, l'unico ad aver riconosciuto in lui il vero bambino sperduto. Moby Dick era un mostro, una terribile balena che portava morte e distruzione sulle imbarcazioni che incrociavano la sua rotta: le baleniere. Una vittima-carnefice che infine riesce a salvarsi e a tenere lontani i suoi nemici. I carcerati di oggi sono stati dei cattivi e continueranno ad esserlo per sempre perché non esistono più buoni che siano in grado di perdonarli. La realtà delle Case circondariali italiane è tragica. La situazione interiore di ogni singolo carcerato è la tragedia elevata all'ennesima potenza. Esistono tante persone che hanno sbagliato: alcune lo hanno fatto perché non credevano di essere così in torto, altre invece perché pensavano che il loro errore restasse impunito ed altre ancora hanno commesso fatti e crimini così gravi che la parola sbaglio o errore non può essere utilizzata se non per biechi moralismi tipici da salotti televisivi. Dietro le pesanti porte di un carcere, che si chiudono una dietro l'altra, sempre con lo stesso suono metallico, sempre con lo stesso ritmo apatico, ci sono delle persone i cui nomi sono stati dimenticati e che preferiamo indicare come mostri, rifiuti, bestie. Spesso siamo talmente impegnati a giudicarle da non ricordare nemmeno che quei mostri, rimangono delle persone, nel peggiore dei casi con una coscienza che li tormenterà fino alla fine, non della pena ma della vita. A Natale siamo tutti più buoni. Compriamo regali costosi per le persone più importanti della nostra vita, oggetti banali per persone a cui l'etichetta ci impone di fare un pensiero e infine, senza perdere troppo tempo o troppa fantasia, regaliamo un panettone a chi proprio è in fondo alla nostra lista. I detenuti non sono contemplati in fondo alla lista di nessuno e a loro il panettone buonista di Natale non è concesso. Il modello denominato 176, affisso in ogni istituto, ricorda ai visitatori cosa è permesso e cosa non è lecito mettere nei pacchi destinati ad un carcerato. Essendo generalmente vietato ricevere e possedere generi che per loro natura, per il tipo di confezione o per l'uso che potrebbe farsi, siano difficilmente controllabili, il panettone in carcere non può entrare, se non su un piatto di carta e suddiviso in una fetta a testa. Si sente dire sempre più spesso che il Natale non piace, che è un periodo triste e che ci si vorrebbe chiudere in casa aspettando solo che passasse. Chi crede nel senso cristiano del Natale dovrebbe ricordarsi di viverlo a trecentosessanta gradi e non solo durante la messa del 25 dicembre, al mattino indossando il cappotto nuovo trovato sotto l'albero. Bisognerebbe ricordarsi che mentre ci si lamenta per i pranzi in famiglia spesso interminabili, in cui avanziamo quello che abbiamo nel piatto per inerzia, ci sono persone che il Natale lo passano in una stanza con altre cinque persone, probabilmente in un silenzio carico di rumore in cui nemmeno quell'unica fetta di panettone concessa riesce a lenire per qualche secondo la voce amara che li accompagna ogni secondo della loro vita: quella della loro coscienza. Palermo: la Caritas incontra i detenuti del carcere dell'Ucciardone di Leone Zingales La Sicilia, 25 dicembre 2014 La Caritas vicina ai detenuti. Inaugurata ieri mattina, nel carcere Ucciardone la cappella della Rotonda ristrutturata e restaurata dopo anni di abbandono. I lavori, realizzati dall'Opificio delle arti del maestro vetraio Calogero Zuppardo, sono stati promossi da frate Carmelo Saia, cappellano del carcere, in collaborazione con la Caritas e la Diocesi di Palermo, che hanno contribuito e sostenuto il rifacimento dell'altare, del tabernacolo e della vetrata. Posizionata nell'area centrale dell'istituto, la Rotonda appunto, la cappella era abbandonata e inutilizzata da anni. "Quando quattro anni fa arrivai per la prima volta in qualità di cappellano di questo istituto penitenziario - ha raccontato frate Carmelo Saia -, vidi questa cappella completamente inutilizzata e abbandonata. Capì da quel segno che occorreva fare un duro lavoro di riavvicinamento al Signore in chi ogni giorno viveva, agenti e detenuti, la difficile e sofferente realtà del carcere. Arrivai e dissi subito che io ero il cappellano di tutti: personale, poliziotti penitenziari e carcerati. Senza distinzione alcuna. Occorreva ripartire proprio da quella cappella, centrale rispetto alle altre sette distribuite la sezioni e posizionata nell'area della Rotonda, dove ci sono gli uffici e il personale". Così don Sergio Mattaliano: "Gesù nasce soprattutto nei luoghi di sofferenza come questo in cui ci sono persone private della libertà e degli affetti più cari". Sanremo (Im); Uil-Pa; detenuto aggredisce e ferisce un poliziotto penitenziario www.sanremonews.it, 25 dicembre 2014 "Quella delle aggressioni in danno al personale in servizio nell'istituto penitenziario di Sanremo è una delle problematiche più cogenti della difficile quotidianità penitenziaria del Corpo di Polizia penitenziaria della Liguria". "Abbiamo appreso solo ora che, ieri mattina un detenuto, ristretto nel Reparto Z (collaboratori di giustizia) ha aggredito con schiaffi e pugni un poliziotto penitenziario di Valle Armea che condotto all'Ospedale ha riportato una prognosi di 3 giorni": a dichiararlo è Fabio Pagani, Segretario Regionale della Uil Penitenziari. Lo stesso aggiunge: "Quella delle aggressioni in danno al personale in servizio nell'istituto penitenziario di Sanremo è una delle problematiche più cogenti della difficile quotidianità penitenziaria del Corpo di Polizia penitenziaria della Liguria, che a Sanremo, purtroppo, continua a pagare un tributo salatissimo. Al collega ferito la nostra più viva solidarietà e la nostra sincera vicinanza nell'auspicio che possa riprendere presto e bene la propria attività lavorativa. Da tempo denunciamo le gravi condizioni di difficoltà lavorativa del personale di Polizia Penitenziaria all'interno dell'Istituto di Sanremo che ha raggiunto i livelli massimi di insostenibilità - precisa il sindacalista - si è cercato invano di riportare quel dialogo tra Direttore e Rappresentanti del personale di Polizia Penitenziaria - oramai messo da parte dal Dirigente di Sanremo e forse, sarebbe il caso, conclude il sindacalista, che l'Amministrazione valuti seriamente di avvicendare e Direttore e Comandante". "Non sono stati capaci - termina Pagani - di garantire a tutto il personale di Polizia Penitenziaria di Sanremo almeno una festività (Natale o Capodanno) e al momento a pagare dazio restano solo gli uomini e le donne del Corpo sempre più abbandonati dalla propria Amministrazione Penitenziaria". Napoli: centocinquanta detenuti di Poggioreale a pranzo con la Comunità di Sant'Egidio di Anna Laura De Rosa La Repubblica, 25 dicembre 2014 Centocinquanta detenuti di Poggioreale a pranzo con la comunità di Sant'Egidio per festeggiare il Natale. Alle 13 i detenuti si sono seduti ai tavoli allestiti nella chiesa e hanno pranzato gomito a gomito con un gruppo di agenti, con il direttore Antonio Fullone, con il numero due del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Francesco Cascini, con i comici Maria Bolignano, Mino Abbacuccio e Gino Fastidio del programma televisivo "Made in Sud" e con i volontari della comunità. Tra le pietanze offerte, cannelloni, polpettone, frutta secca e di stagione, dolci e pandoro. Sul palco, i volontari hanno stappato una ventina di bottiglie per il brindisi finale, mentre un Babbo Natale ha distribuito felpe, sigarette, cioccolatini e carta da lettere. Risate, abbracci, applausi e tanti occhi lucidi. "Un altro carcere è possibile - ha detto il direttore Fullone - ci stiamo impegnando per il cambiamento, per un luogo più dignitoso che restituisca alla società persone migliori". I detenuti sono passati da circa tremila a mille e 900. E questo "ha consentito una ristrutturazione dell'area dei colloqui - ha aggiunto Cascini - non ci sono più banconi divisori ma tavolini con sedie. Restano dei problemi ma le condizioni sono migliorate. Queste iniziative dimostrano che non bisogna aver paura di chi ha sbagliato". Da gennaio per la prima volta a Poggioreale i reclusi potranno incontrare i propri cari due sabato al mese. Altre misure dovrebbero tentare di rendere le aree più adeguate ai minori. Restano i problemi del sovraffollamento. "Abbiamo organizzato due pranzi di Natale a Poggioreale - ha precisato Antonio Mattone della comunità di Sant'Egidio - cosa impensabile fino a qualche mese fa. È il segno del cambiamento in corso, sembra di non essere in un carcere. Ci vorrebbero tuttavia più operatori ed educatori per il recupero dei detenuti". La comunità di Sant'Egidio ha organizzato in tutto otto pranzi di Natale negli istituti di pena della Campania coinvolgendo 700 detenuti e 200 volontari. Nei prossimi giorni si imbandiranno tavole a Secondigliano e Pozzuoli. Ieri a Poggioreale sono intervenuti anche Giuseppina Troianiello, moglie di Giuseppe Salvia (il vicedirettore ucciso dalla camorra nel 1981), monsignor Lucio Lemmo, il cappellano don Franco e il presidente del tribunale di Sorveglianza Carminantonio Esposito. "Puntiamo all'umanizzazione della pena" ha detto Esposito, scatenando applausi a scroscio come quelli raccolti dai comici di Made in Sud. "Ci avete fornito battute per tutto il 2015" ha scherzato la Bolignano. Per tutta la durata del pranzo un uomo è rimasto fuori dal carcere. Luigi Castellano, figlio di un detenuto 76enne con problemi di salute ha chiesto, con il presidente dell'associazione ex detenuti Pietro Ioia, cure adeguate per il genitore. Il 27 dicembre il cardinale Crescenzio Sepe pranzerà all'Ospedale psichiatrico giudiziario del carcere di Secondigliano. Gela (Cl): in carcere incontro dei detenuti con il Vescovo e alcune Associazioni La Sicilia, 25 dicembre 2014 Scuola professionale dentro e fuori le pareti della Casa circondariale. I detenuti, attualmente sono 82 su una capienza di 96, ed otto di loro hanno scelto l'attività professionale agricola. Non solo studio sulle colture, ma anche pratica "grazie ad un appezzamento di terreno - ha spiegato la dott. Viviana Savarino - i detenuti studenti hanno la possibilità di uscire dalla struttura, coltivare l'orticello ed i prodotti vengono poi cucinati all'interno della struttura". Quindi dal coltivatore al consumatore direttamente, con l'energia che gli otto detenuti riescono a mettere nell'imparare anche un mestiere quale è l'agricoltore. Ma l'attività professionale non è l'unica. Visto che gli ospiti di contrada Balate hanno avviato il corso di digitalizzazione grazie anche ai due laboratori informatici istallati nella struttura. Ieri mattina l'appuntamento del direttore Gabriella Di Franco, direttrice anche del carcere di Piazza Armerina, ha voluto incontrare i detenuti di contrada Balate e le associazioni Sant'Egidio, Triskelion, Croce Rossa Italiana, Auser e la banda musicale "Francesco Renda" che svolgono attività ricreative all'interno della struttura. "Un volontariato - ha detto il direttore del carcere - presente nella struttura, che opera sinergicamente con i detenuti". Adesso, infatti, c'è in cantiere l'idea di un giornalino da realizzare all'interno delle pareti di contrada Balate. Una proposta giunta dall'Auser che il direttore sta ben vagliando "anche perché - ha detto il comandante della Polizia Penitenziaria Francesco Salemi - dobbiamo pian piano abituare i detenuti potersi esprimere attraverso la scrittura visto che il grado di istruzione non è tanto elevato". Il progetto della scrittura ricreativa avviato dalla comunità di Sant'Egidio rappresentata da Serena La Spina. "Un progetto - ha raccontato la rappresentante di Sant'Egidio - che permette ai detenuti di potersi esprimere attraverso le poesie. Lo scorso anno abbiamo pubblicato la prima edizione e adesso ci apprestiamo a realizzarne un'altra". E poi rivolgendosi agli ospiti della struttura ha detto: "Non fatevi togliere la speranza. Fuori c'è un mondo che vi aspetta, ma dovete stare bene attenti". Un messaggio ribadito dal vescovo don Rosario Gisana che nell'abbracciare i detenuti, alcuni arrestati per omicidio, altri per furti, altri ancora per reati di spaccio, ha ricordato loro che devono essere forti nel momento in cui ritorneranno in libertà. "Il Natale - ha detto - è il tempo di festa e voi starete lontani dalle vostre famiglie, ma in luoghi come questi, nei luoghi della sofferenza, si trova la giusta dimensione per andare avanti, per essere più forti e non cadere negli stessi errori". Per la cerimonia di ieri la banda di fiati "Francesco Renda" si è esibita in concerto, una musica diversa nelle orecchie dei detenuti molti dei quali nelle stesse ore hanno ricevuto la visita dei propri parenti i quali hanno portato abbigliamento, chi delle provviste per la festa. Una gara di solidarietà non solo fuori dalla struttura carceraria, ma anche tra gli stessi detenuti molti dei quali non hanno una famiglia che va da loro a fare visita. Natale è anche questo per coloro i quali hanno sbagliato e si ritrovano a saldare il conto con la giustizia. Reggio Emilia: Iori (Pd) e la Garante regionale dei detenuti Bruno in visita al carcere La Gazzetta di Reggio, 25 dicembre 2014 La parlamentare reggiana Pd e la Garante regionale dei detenuti si recheranno negli istituti penitenziari reggiani per verificarne le condizioni. "A Natale mi recherò nel carcere di Reggio Emilia per testimoniare la mia vicinanza ai problemi dei detenuti e richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica e della politica sulla drammatica situazione degli istituti penitenziari, una delle vere emergenze del Paese". Lo dichiara in una nota la deputata Pd, e membro della commissione Giustizia della Camera, Vanna Iori. "Un gesto - aggiunge - non certo di facciata, ma di concreta vicinanza a quegli uomini e a quelle donne che, nonostante stiano scontando una pena per aver commesso un reato, rimangono essere umani con piena dignità umana e che, come previsto dalla Costituzione, devono essere aiutate nel percorso di reinserimento nella società". "Il Parlamento - sottolinea la deputata - è intervenuto a più riprese sulla situazione carceraria, in particolare per il problema del sovraffollamento, ma molto resta ancora da fare: soprattutto occorre procedere a un ripensamento profondo del sistema penale e detentivo. Credo che sia fondamentale che tutti diano il proprio contributo: da parte mia ho presentato una mozione sul diritto alla genitorialità in carcere, che impegna il Governo, tra le altre cose, a favorire un contatto diretto e regolare di madri e padri detenuti o internati con i propri figli minorenni già dalla prima settimana dopo l'arresto". Ma non solo Vanna Iori in visita agli istituti penitenziari reggiani. Lunedì 29 dicembre, dalle 10, sarà infatti la volta della Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale della Regione, Desi Bruno. Finalità della visita: verificare le condizioni igienico-sanitarie e strutturali della Casa Circondariale e dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario (il termine per la chiusura è stato ulteriormente prorogato al 31 marzo 2015), ed effettuare colloqui con i detenuti Milano: il Natale del Cardinale Scola fra i detenuti di Bollate di Monica Guerci Il Giorno, 25 dicembre 2014 Il cardinale a Bollate: "Questa è una struttura di riferimento per l'Europa. L'ergastolo è una pena di morte nascosta - ha aggiunto in seguito - non si può rinchiudere tutto il futuro di una persona in una pena". Il teatro del penitenziario di Bollate non ricorda in nulla le alte volte e le luci calde di una chiesa. Ci hanno pensato le voci dei detenuti, riunite nel coro di Natale, a creare l'atmosfera. "Nella notte o Dio, noi veglieremo con le lampade, vestiti a festa, presto arriverai e sarà giorno", un salmo, un canto dopo l'altro, l'ala maschile del carcere è stata l'emozionante cornice della Santa Messa per Natale celebrata ieri pomeriggio dall'Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola nel carcere modello di Bollate. "Siamo in una struttura di sofferenza, qui cerchiamo di dare un senso a questa sofferenza provando a dare speranza, la visita del cardinale oggi dà forza a tutto ciò", le parole di Massimo Parisi, il direttore del carcere, a inizio messa. Seguono le parole di benvenuto dei detenuti. "Grazie cardinale per la vicinanza dimostrata oggi con la sua presenza. Il tempo non lo consentirà ma sarebbe bello per noi che lei ascoltasse la storia di ciascuno di noi, storie amare cardinale, ma averla qui ci dona speranza in un sistema carcerario sempre migliore. Benedica arcivescovo tutte le nostre attese". Prima di arrivare al teatro si passa dai corridoi puliti e colorati del carcere, l'arcivescovo è sorpreso, lo ammette subito davanti all'altare allestito per l'occasione. "Va detto, questa struttura è un punto di riferimento non solo per l'Italia ma per il resto dell'Europa e del mondo. Entrando in questo carcere si possono cogliere la creatività e l'inventiva messe in atto, certo il carcere resta il carcere e per chi lo sconta resta il tempo il peso della solitudine, della lontananza dagli affetti", il saluto prima della liturgia. Ancora il coro. "Io spero in te, o mio Signor, io spero in te, Gesù". "È un Dio che entra nella storia che abbraccia ciascuno di noi per riscattarci, nel Vangelo e nella storia Dio si rivolge a noi ogni giorno", le parole dell'arcivescovo racchiudono il senso della liturgia. "L'ergastolo è una pena di morte nascosta - Scola condivide le parole di papa Francesco - non si può rinchiudere tutto il futuro di una persona in una pena, occorre trovare forme medicinali alternative al carcere, come il lavoro fuori dal penitenziario". Ai detenuti il cardinale dona il suo pensiero, è un invito a un domani di speranza: "Ricordate che niente capita per niente, la storia è illuminata da Dio, anche la circostanza più sfavorevole ha dentro di sé una prospettiva". monica.guerci@ilgiorno.net Locri (Rc): il Vescovo Francesco Oliva ai detenuti "lasciate dietro alle spalle il peccato" Ansa, 25 dicembre 2014 "Possa essere questo Natale anche per voi una festa di luce, quella luce che rischiara il vostro cuore e vi dona la forza di andare avanti lasciando dietro le spalle le tenebre dell'errore e del peccato". Lo scrive il vescovo della Diocesi di Locri - Gerace, mons. Francesco Oliva, in un messaggio inviato singolarmente ad ogni detenuto del carcere di Locri in occasione del Natale. "Ho colto le vostre sofferenze e disagi. Ora, come pastore di questa Chiesa - prosegue - desidero farvi pervenire il mio saluto e la mia vicinanza. So che il vostro non può essere un Natale come desiderate, ma accoglietelo come una prova da superare, un'opportunità di riflessione. Il Signore che viene è il Dio che si fa vicino a tutti, in particolare a quanti, come voi, vivono una situazione difficile e pesante. Natale è lasciarsi incontrare da lui, affidarsi a lui, mettersi nelle sue mani, accettare senza imprecare questo tempo come occasione di rinnovamento per recuperare quella pace interiore che può darvi la forza di rialzarvi". Mons. Oliva ha inviato anche un Messaggio di auguri alla comunità diocesana attraverso il nuovo sito www.diocesilocri.it. "Questo annuncio del Natale, per me il primo come Pastore di questa Chiesa di Locri-Gerace - scrive il presule - ci dispone alla tenerezza, quella di una vita che nasce e si affida all'amore di chi l'accoglie. È accaduto a Betlemme, al Bambino di nome Gesù. Accolto dalla vergine Madre e da Giuseppe, dai pastori che vegliavano. Ma, ahimè, anche rifiutato da chi, maldisposto, come Erode vede in lui un antagonista ai propri sogni di potere e perbenismo, di prepotenza ed arroganza. Natale è incontro col Signore, e perciò pace, amicizia, riconciliazione. Il Signore che viene entra nella vita, nel mondo, persino dove c'è odio, discordia ed ingiustizia. Egli vuole rifare tutto nuovo: il mondo, la vita, le relazioni, gli affetti, il cuore. Con Lui tutto può (deve) cambiare". "Auguri a tutti - conclude mons. Oliva - agli uomini e alle donne che Dio ama, alle famiglie, ai bambini, ai giovani, ai lavoratori e a quanti desiderano un lavoro, agli emigrati ed immigrati, ai poveri, agli ammalati e sofferenti, agli anziani e abbandonati, a quanti sono oppressi dall'angoscia di una vita stanca e senza senso". Pescara: il Natale di suor Livia la "mamma dei carcerati" di Simona De Leonardis Il Centro, 25 dicembre 2014 Dal 2006 presta la sua opera al San Donato aiutando e confortando i detenuti. "In questi giorni i loro familiari arrivano da tutta Italia, ma c'è tanta solitudine". Ha sperimentato "la vera gioia" in Africa, tra i bambini della Costa d'Avorio "che non avevano niente e si accontentavano di tutto", e ha conosciuto "la miseria vera, la miseria interiore", nel carcere di San Donato dove presta la sua opera dal 2006. Eppure suor Livia Ciaramella, mamma Livia per gli oltre 250 detenuti del carcere di Pescara, in carcere ci capitò per caso ad agosto del 2006, invitata dall'allora cappellano don Marco Pagniello, oggi direttore della Caritas diocesana. "Mi colpì la grande povertà di cuore di tante persone che avevano bisogno di sostegno e di misericordia. E mi fermai". Abituata ad affrontare storie e coscienze appesantite da errori spesso indelebili per il segno che lasciano da chi li commette e da chi li subisce, suor Livia ha imparato a conoscere, tra le celle del San Donato, la geografia dell'animo umano. Dal papà adottivo che ha soffocato il figlio di 5 anni in preda a un raptus, ai fratelli in cella per aver partecipato all'omicidio dell'ultrà biancazzurro, al "bombarolo" che a gennaio di un anno fa appiccò incendi tra Chieti e Pescara per protestare contro sistema e burocrazia, fino ai casi di droga o violenza sessuale. "Il carcere è un luogo di sofferenza e di dolore, non per chi ci sta per qualche mese", racconta suor Livia, "ma per chi ha la detenzione lunga. Ai carcerati mancano la famiglia e i figli, ma chi non ha neanche una famiglia va incontro a gravi depressioni". L'ultimo caso è quello del ragazzo romeno che all'inizio di dicembre è stato salvato dagli agenti della polizia penitenziaria piombati nella cella mentre il giovane stava tentando di impiccarsi. "Ci ho parlato a lungo", riferisce suor Livia a cui spesso i detenuti si rivolgono per colloqui e aiuti materiali, "un ragazzo molto chiuso, lontano dalla famiglia". Perché poi, a sentire lei, che li vede ogni giorno, e ogni giorno ne raccoglie richieste e confidenze, la vera àncora di salvezza di chi sta dentro sono le famiglie che proprio in questi giorni stanno arrivando da ogni parte di Italia pur di ritrovarsi in un abbraccio con il proprio congiunto che, a parte la messa con il vescovo la mattina di Natale, farà il pranzo del 25 con i compagni di cella. "Gli ultimi a mollare sono i genitori, che aspettano i figli fino all'ultimo, soprattutto le madri, che vengono ad ogni colloquio, anche da lontano. E fa male vederle quando invece sono proprio loro, esasperate dal figlio tossicodipendente, che lo denunciano dopo mesi di silenzio. Da fuori", va avanti suor Livia, "non si immagina quanto è importante, per chi sta dentro, il sostegno dei familiari. Qualche tempo fa, ad esempio, Maravalle, il papà che ha soffocato il figlioletto, ha avuto un lutto in famiglia, il papà. Non voleva andare al funerale a Pineto, aveva paura del giudizio degli altri e invece tutta la comunità gli si è stretta in un grande abbraccio. E alla fine, nonostante tutto, si è sentito amato". Ma a parte i casi di profondo disagio psichico, ci sono varie categorie: "Dal tossicodipendente che va curato al delinquente abituale avido di denaro, perché è cresciuto con questi esempi, fino a chi è vissuto in totale povertà. Una volta accompagnai un giovane detenuto al funerale della madre, a Ponticelli, una casa al settimo piano senza ascensore, con il papà ai domiciliari che prendeva 200 euro di pensione e intorno al capezzale altri quattro fratelli: uno a uno me li sono ritrovati tutti al San Donato". Vuoti a perdere per la società qui fuori, "persone" per mamma Livia, che ha conosciuto la vocazione a 19 anni e che ha espresso subito il desiderio di essere suora missionaria. "Ho vissuto a Genova nelle case protette con le donne vittime della tratta, sono stata in Costa d'Avorio con i bambini che medicavo per le piaghe dell'Ameba e ora sto con i carcerati, perché è da questa parte che voglio stare. Qui ho visto vite rovinate per una cavolata, perché soprattutto l'ultima gioventù è fragilissima, non sa sopportare le piccole sofferenze e per gioco finisce a contatto con la droga e rovina tutto". Cresciuta tra via Alfonso da Vestea e la Madonna dei Sette Dolori, cinque fratelli, diplomata all'istituto Ravasco e con un papà figlio spirituale di Padre Pio, suor Livia sa ascoltare, ma anche farsi ascoltare dai detenuti: "Facciamo tanti laboratori, abbiamo allestito un presepe nella cappella, due volte alla settimana faccio lezione con alcune volontarie: con me sono tutti rispettosissimi, anche se a volte li sgrido. Ma la sera, quando ripenso alle loro storie, le metto davanti al Signore e piango". Milano: il "Piccolo" ospita gli spettacoli teatrali dei detenuti di San Vittore e del Beccaria Ansa, 25 dicembre 2014 I detenuti e le detenute del carcere di San Vittore e i ragazzi dell'Istituto penale per minori Cesare Beccaria di Milano sono alcuni dei protagonisti del festival "Osservatorio sul presente: legalità" che si terrà a Milano dal 6 novembre al 21 dicembre. In scena in tutte le sedi del Piccolo Teatro (Strehler, Grassi e Teatro studio Melato) sei spettacoli e otto incontri per raccontare il concetto della legalità e le storie di criminalità più buie della storia italiana. Come la strage di piazza della Loggia a Brescia che viene raccontata nello spettacolo "Il sogno di una cosa", dal 6 al 9 novembre al Piccolo teatro Strehler. Un'opera lirica in coproduzione con il teatro Grande di Brescia in occasione dei 40 anni dalla strage. Oppure lo spettacolo "Dopo il silenzio", dal 18 al 23 novembre al Piccolo teatro Grassi, che Francesco Niccolini e Margherita Rubino hanno tratto dal libro "Liberi tutti" del presidente del Senato Pietro Grasso. Detenuti e detenute del carcere di San Vittore metteranno in scena "San Vittore Globe Theatre" (19-20 novembre Piccolo teatro studio Melato) per mostrare come formazione ed arte possono creare occasioni di cambiamento. I detenuti minorenni del Beccaria andranno in scena con "Errare Humanum Est" (26-30 novembre Piccolo Teatro Grassi) una riflessione su disagio e devianza minorile raccontata da storie di strada della Milano urbana, tra la classicità dei versi di Shakespeare e il rap. "Con questo festival si mostra il valore civile del teatro - ha detto il direttore del Piccolo teatro di Milano, Sergio Escobar - senza che il messaggio diventi politico". Mauritania: detenuto salafita denuncia "trattenuto in carcere anche dopo il fine pena" Nova, 25 dicembre 2014 Un detenuto islamico salafita mauritano, Taleb Ould Hamdanahu, ha denunciato di essere stato lasciato in carcere nonostante abbia scontato tutta la sua pena. In un comunicato, ripreso dall'agenzia di stampa mauritana "Ani", l'uomo ha denunciato di essere ancora in carcere a più di due settimane dal termine della pena comminata dal tribunale di Nouakchott e di non sapere quando uscirà. Hamdanahu era stato condannato a cinque anni di carcere per terrorismo e si era rifiutato di partecipare al dialogo tra i detenuti salafiti e lo stato. Le autorità mauritane temono che dopo la sua scarcerazione possa ritornare tra le fila dei gruppi armati islamici. Germania: l'ex presidente del Bayern, Uli Hoeness, lascia il carcere per le feste di Natale Gazzetta dello Sport, 25 dicembre 2014 Dopo quasi sette mesi di reclusione per evasione fiscale, l'ex numero uno bavarese tornerà in famiglia per un periodo di permesso. Presto in semilibertà? A Natale si è tutti più buoni. Anche i giudici tedeschi, che hanno concesso un permesso speciale all'ex presidente del Bayern Monaco, Uli Hoeness, per lasciare il penitenziario di Landsberg e trascorrere le feste con la famiglia dopo quasi sette mesi di reclusione. Lo ha confermato un portavoce del ministero della Giustizia della Baviera all'agenzia Dpa. Sarà la prima volta che l'ex campione del mondo dormirà nel letto di casa dal 2 giugno scorso, il giorno in cui è diventata esecutiva la condanna a tre anni e mezzo di galera per evasione fiscale (27,2 milioni di euro). In carcere, Hoeness si è occupato della distribuzione delle divise carcerarie ai prigionieri: un lavoro da 1,12 euro all'ora, circa 7 euro al giorno, destinato a finire a breve. Secondo la Süddeutsche Zeitung, infatti, l'ex presidente pluri-vittorioso potrebbe godere presto dello stato di semilibertà, che gli consentirebbe anche di tornare a far parte del club bavarese. A 62 anni, sarebbe pronto per lui un posto al vertice del settore giovanile: "Era il suo desiderio lavorare con i giovani" aveva spiegato di recente il presidente del Bayern, Karl Hopfner.