L'amore entra dentro l'Assassino dei Sogni. Tredicesima parte di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 24 dicembre 2014 Testimonianza di un Uomo Ombra al seminario di Ristretti Orizzonti sugli affetti in carcere del primo dicembre 2014. "Ultimamente mi sto domandando spesso: per chi? Come? Perché continuare a scontare questa pena? Non è stoltezza vivere ancora?" (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com). Sentendo la testimonianza del mio compagno Biagio, mi viene in mente quando ero detenuto negli anni novanta nell'isola del Diavolo dell'Asinara sottoposto al regime di tortura. del 41 bis. Vivevamo come topi dietro le sbarre perché nelle isole le carceri sono spesso più facilmente luoghi di violenze e abusi istituzionali. E anche dopo l'Asinara, nelle altre carceri dove sono stato, la mia situazione non è certo migliorata. Le persone in carcere non possono che peggiorare se ci trattano come cani scemi in un canile. E a volte t'impediscono persino di abbaiare alla luna e per un cane abbaiare alla luna è tutto. Adesso Ornella annuncia l'intervento della garante dei diritti dei detenuti della regione Emilia Romagna, Desi Bruno. Non la conosco di persona ma ho letto di lei che è molto battagliera, passionaria con una grande coscienza sociale. (…) Alcune concessioni sono dovute alla sensibilità individuale dei Direttori, perché anche questo è un dato di cui far presente, perché quello che stamattina ho sentito non accade ovunque, alcuni direttori riescono a farlo, a utilizzare il quadro normativo, ampliandolo perché si può ampliare, ma ci sono dei Direttori che non ci pensano minimamente a fare tutto questo. Allora io sono molto contenta che a Padova si fa tutto questo, cioè si possano fare sei telefonate invece di quattro, si possa usare Skype, sono meno contenta che magari a Parma si faccia in un altro modo. (…) Possibile che permessi su alcune situazioni siano dati e altri Magistrati di Sorveglianza non li diano? Possibile che i permessi di necessità, l'articolo 30, qualcuno li da solo quando il detenuto ha un lutto in famiglia e c'è chi lo dà anche per la cresima, la comunione o un compleanno? Possibile che in questo Paese non si riesca a ragionare su un'uniformità sui fatti fondamentali della vita di una persona? (…) È un diritto mantenere i rapporti famigliari e consentire al genitore durante la detenzione di essere presenti nei momenti più importanti della vita dei figli, soprattutto minori, compleanni, primo giorno di scuola, recita scolastica, la festività, il Natale, ecc. ecc., partiamo da qui, partiamo dai famigliari, questo lo dico io che sono garante dei detenuti, perché bisogna fare delle cose che avvicinano e non delle cose che allontanano. Partiamo da qui per arrivare dove vogliamo arrivare, partiamo da questo ragionamento, non è un premio vedere i propri figli, io posso essere anche indisciplinato sul piano comportamentale, ma il rapporto con il figlio mi aiuterà a regolarizzarmi, ad avere un rapporto diverso con le istituzioni, io penso che questi siano momenti molto importanti da sottolineare. Le parola di Desi Bruno mi hanno fatto pensare che è quasi impossibile conciliare la vita da detenuto con quella di padre. Se è già difficile fuori fare il padre figuriamoci dentro. Non credo certamente di essere stato un buon padre come ha detto mia figlia nel suo intervento. E mi vengano in mente le parole di mia figlia, che aveva scritto dopo il primo permesso di tre ore con la scorta che mi avevano dato quando era nato mio nipotino. "Caro papà, non sai che bello è stato poterti avere lì con noi anche se per così poco tempo, anch'io avrei voluto dirti tante cose, ma spesso i silenzi dicono tanto di più perché penso che tra di noi non ci sia bisogno di troppe parole, nonostante la lontananza sei la persona che mi capisce di più al mondo! Ed io so sempre quello che provi, come sarebbe stato meraviglioso vedere come sarebbe stato bello vivere con noi, e come ti sentivi spaesato a vedere una vera casa dopo tanto tempo... e come deve essere stato brutto tornare in cella... Papà non sentirti mai solo perché io ti amo moltissimo e ti porto con me ovunque vado... Un bacio grosso grosso, ti voglio tanto bene. Tua Barbi". Ora c'è l'intervento di un altro mio compagno, Lorenzo, un bravo ragazzo con una storia difficile dietro le spalle a cui sono molto affezionato. Subito dopo Ornella annuncia l'intervento di Lia Sacerdote di "Bambini senza sbarre". (…) Noi lavoriamo perché il nostro gruppo è un gruppo di lavoratori della cura delle relazioni, ma i bambini possono veramente cambiare le cose, il loro è uno sguardo radicale, nel senso che il bambino non accetta certi vincoli e la Carta dei figli dei detenuti che è stata firmata sostiene che il sistema penitenziario non deve confliggere con la carta dei diritti dei bambini. La carta dell'ONU dei diritti dei bambini dovrebbe essere una carta che potrebbe modificare la vita degli adulti, il problema è che non viene rispettata. L'art.9 di questa Carta è proprio quell'articolo che dice che "la relazione tra figli e genitore deve essere mantenuta anche quando i genitori sono detenuti" e noi da sempre lavoriamo perché i bambini possano incontrare i genitori, e perché i genitori possano uscire dal carcere in permesso. Quindi in quella carta viene sottolineata l'importanza dei permessi premio. Noi speriamo che, adesso è un po' provocatorio, però che a Natale le carceri si svuotino perché i genitori vanno a casa. Le ultima parole di Lia mi ricordano che fra pochi giorni è Natale e mi stringo ancora di più a mia figlia. E mi viene in mente che quando era piccola per le feste sia a lei che a suo fratello gli compravo i giocattoli più belli e i più costosi. Forse più che per loro li compravo per me. La mia compagna non voleva. Brontolava quando venivo a casa pieno di doni per lei e i nostri figli. Diceva che erano troppi. Le rispondevo che io invece avevo avuto troppo poco. E che ora loro mi stavano vendicando. Sinceramente io non avevo avuto neppure quel poco. Non avevo mai avuto nulla. A parte il loro amore da grande. Continua … Giustizia: caro ministro Orlando, le nostre prigioni sono luoghi illegali di Rita Bernardini (Segretario dei Radicali Italiani) Il Garantista, 24 dicembre 2014 Caro ministro Andrea Orlando, proverò a chiarirti che cosa sia la pena "legale" perché ho ascoltato da Radio Radicale la tua conferenza stampa e molte delle affermazioni che hai fatto non mi tornano. Mi spiegherò con un esempio. Lunedì scorso ho visitato insieme a Marco Pannella e ai compagni radicali la Casa di Reclusione di San Gimignano e do subito atto al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e, in particolare al Dott. Luigi Pagano, che il tuo Ministero continua a consentirci di entrare negli istituti penitenziari per verificare le condizioni di detenzione nonostante nessuno di noi sia più parlamentare. Fatti i dovuti ringraziamenti, veniamo alle note dolenti. Partiamo dalle celle: in esse, nate per ospitare una persona, "vivono" due esseri umani, sia nell'alta sicurezza che nella media. Questo vuol dire che nessuno dei detenuti può usufruire di quei famigerati tre metri quadri, sotto la disponibilità dei quali la Corte di Strasburgo ha stabilito che si subiscono "trattamenti disumani e degradanti" in violazione dell'articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Due letti a castello, il tavolo, 2 sgabelli, gli armadietti ed ecco che lo spazio vitale viene meno. Il tuo Ministero ci ha provato a contestare questi calcoli, ma la Corte di Cassazione pochi giorni fa ha - per l'ennesima volta - risposto all'Avvocato dello Stato che i tre metri quadri debbono essere calpestabili, cioè al netto degli arredi. E che ne dici, caro Ministro, del gabinetto privo di finestra e di aerazione dove è allestita anche la cucina? E dell'acqua gelata che scende dai rubinetti di un colore e di un odore che è meglio non definire? Fra i 363 detenuti di San Gimignano, 260 stanno nei reparti dell'alta sicurezza. Ben 52 sono gli ergastolani, nessuno dei quali ha diritto alla cella singola. Come la mettiamo, caro Ministro, con l'articolo 22 del codice penale che stabilisce che la pena dell'ergastolo deve essere scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno? Lo sai che nella sezione dei detenuti comuni ci sono ergastolani che convivono durante il giorno con persone, anche giovanissime, che sono vicine alla liberazione o che devono scontare solo alcuni anni? A San Gimignano di lavoro per i detenuti non ce n'è e quel poco che c'è consiste nei lavori interni, poco qualificanti e poco spendibili all'esterno una volta scontata la pena: a turnazione, per non più di due mesi l'anno e per poche ore al giorno un recluso riesce a "guadagnare" dai 16 ai 120 euro al mese. Che rieducazione è possibile nelle condizioni descritte? Se aggiungiamo che il 90 per cento degli ospiti vive a centinaia di chilometri di distanza dal proprio nucleo familiare e che per fare i colloqui le famiglie devono spendere intorno al migliaio di euro ogni volta, chiunque comprenderebbe che le "deportazioni" effettuate dal Ministero della Giustizia, oltre ad essere illegali perché contrarie all'Ordinamento Penitenziario, sembrano fatte apposta per rovinare quei legami familiari di solidarietà umana indispensabili per un futuro ritorno alla vita civile. Proseguendo in questa descrizione della quale non è certo responsabile il personale tutto - qualificatissimo - che deve fare i conti con le scarse risorse disponibili e il grande sovraffollamento, ecco altre criticità che incrementano l'illegalità dell'esecuzione della pena. Gli agenti di polizia penitenziaria sono sotto organico di alcune decine di unità mentre gli educatori sono meno della metà di quelli previsti dalla pianta organica. Devo spiegare io al Ministro cosa significa questo? Significa che le relazioni di sintesi dell'area educativa non vengono chiuse per tempo e che l'accesso ai benefici previsti per i reclusi che hanno un ottimo comportamento, non arrivano mai. La sanità all'interno dell'istituto è a dir poco carente, se consideriamo che ci sono persone con gravi patologie che non ricevono le cure minime necessarie. Durante la conferenza stampa, caro Ministro Orlando, hai affermato che con la legge sui risarcimenti, lo Stato italiano ha "risparmiato" quasi 245 milioni di euro. Il tuo Ministero, con quella legge immonda, sta risparmiando sulla "tortura" che ha inflitto e continua ad infliggere alle persone private della libertà e consegnate nelle mani dello Stato. Sono stati i magistrati di sorveglianza (neanche loro ascolti?) a scriverti di "incertezze e lacune del testo normativo", di "gravi contrasti giurisprudenziali", di "complessità delle istruttorie", di "assoluta inadeguatezza delle risorse e dei mezzi di cui dispongono gli Uffici di Sorveglianza". Sono stati i magistrati di sorveglianza a dirti che è "facile prevedere che sarà molto esiguo il numero dei casi decisi e risolti secondo gli standard prescritti dalla Giustizia europea in termini di effettività, rapidità ed efficacia dei rimedi accordati". Puoi vantarti di questo? Puoi vantarti del fatto che a San Gimignano nessuno accederà agli sconti di pena che consisterebbero in un giorno ogni 10 giorni di trattamenti inumani e degradanti? Il dialogo che stiamo portando avanti con il nostro Satyagraha, richiede, caro Ministro, che ci sia lealtà. Noi radicali riteniamo che uno Stato democratico non possa essere l'artefice dell'esecuzione di una pena illegale costringendo per di più gli uomini e le donne che lo servono a violare la legge e a buttare nei rifiuti principi costituzionali, anche europei, che dovrebbero guidare l'esercizio del potere. Abbiamo letto, evidentemente, in modo dissimile il messaggio solenne del Presidente Napolitano al Parlamento. Più di 14 mesi fa il nostro Presidente aveva parlato di "obblighi" per il nostro Stato. Per la precisione, aveva scritto nero su bianco che "di fronte a precisi obblighi di natura costituzionale e all'imperativo - morale e giuridico - di assicurare un civile stato di governo della realtà carceraria, sia giunto il momento di riconsiderare le perplessità relative all'adozione di atti di clemenza generale". Noi Radicali, con Marco Pannella, a queste parole inequivocabili continuiamo ad ispirarci, cercando di farle vivere nella drammatica realtà di ogni giorno. Non siamo nemici, caro Ministro Orlando. Potresti raccogliere la mano che ti tendiamo per aiutarti ed essere aiutati a rendere meno incivile questo nostro Paese. Giustizia: un anno di battaglie radicali contro la tortura del carcere di Domenico Letizia Il Garantista, 24 dicembre 2014 Il Satyagraha, la protesta portata avanti da Marco Panella e gli altri militanti, è una speranza - forse l'unica - per tanti detenuti. Una nuova moratoria per l'abolizione della pena di morte è stata approvata all'Onu con più voti favorevoli degli scorsi anni. Un successo senza dubbio del lavoro incentrato sulla giustizia internazionale di "Nessuno tocchi Caino", "Non c'è Pace senza Giustizia" e del Partito Radicale Transnazionale e Transpartito. Determinante il blocco africano. Oltre a passare per consenso le risoluzioni sul bando delle mutilazioni genitali femminili e i "matrimoni forzati", l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato, approvandola per la quinta volta, una risoluzione sulla pena di morte che invita gli Stati a stabilire una moratoria sulle esecuzioni, in vista dell'abolizione futura della pratica. In Italia "giuridicamente" la pena di morte non vi è, ma il Satyagraha radicale vive e si fa portavoce di speranza nel denunciare lo stato della giustizia del nostro paese, dalle condizioni inumane e degradanti delle nostre carceri all'irragionevole durata dei processi (come hanno stabilito in un rapporto anche le Nazioni Unite). Impresse nella memoria di molti dovrebbero esservi le parole di Papa Francesco in occasione dell'incontro con i delegati dell'Associazione internazionale di diritto penale: "Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi o a lottare non solo per l'abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l'ergastolo. In Vaticano, poco tempo fa, nel Codice penale del Vaticano, non c'è più, l'ergastolo. L'ergastolo è una pena di morte nascosta ... Una forma di tortura è a volte quella che si applica mediante la reclusione in carceri di massima sicurezza. Con il motivo di offrire una maggiore sicurezza alla società o un trattamento speciale per certe categorie di detenuti, la sua principale caratteristica non è altro che l'isolamento esterno. Come dimostrano gli studi realizzati da diversi organismi di difesa dei diritti umani, la mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l'ansietà, la depressione, la perdita di peso e incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio. Questo fenomeno, caratteristico delle carceri di massima sicurezza, si verifica anche in altri generi di penitenziari, insieme ad altre forme di tortura fisica e psichica la cui pratica si è diffusa. Le torture ormai non sono somministrate solamente come mezzo per ottenere un determinato fine, come la confessione o la delazione - pratiche caratteristiche della dottrina della sicurezza nazionale - ma costituiscono un autentico plus di dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione". Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dichiarato tempo fa che non c'è da perdere nemmeno un giorno. E, invece, sono stati persi anni, mesi, giorni, vite umane straziate a migliaia. Una sofferenza inflitta per mano dello Stato che fa strame di leggi il cui rispetto è obbligato, leggi riguardanti i diritti umani fondamentali, scritte nella Costituzione italiana, nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nella Dichiarazione universale dei diritti umani nella storia della cultura occidentale di radice illuminista e anche in quella cristiana. "Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione" scriveva Voltaire, mentre impresso nella storia della cultura cristiana è il versetto, Ezechiele, 33 II, della Bibbia, che riporta: "Non voglio la morte del peccatore, dice il Signore, ma che egli si converta e viva". Anche nel casertano l'iniziativa nonviolenta, sotto forma dello sciopero della fame, organizzata dall'associazione radicale "Legalità e Trasparenza", continua ad essere speranza per i detenuti e per i loro familiari. All'iniziativa nonviolenta hanno preso parte attivisti del mondo del volontariato, il senatore Vincenzo D'Anna, gli avvocati Alfonso Quarto, Amedeo Barletta e Gennaro Iannotti, i dirigenti e militanti dell'Associazione radicale "Legalità e Trasparenza" e il rappresentante locale dell'associazione Radicale "Certi Diritti". Nelle ultime settimane sono state protocollate richieste d'incontro ai sindaci dei comuni di Caserta, Arienzo e Carinola per riuscire attraverso il dialogo ad illustrare l'urgente necessità della proposta nonviolenta di Marco Pannella e di Rita Bernardini, segretaria di Radicali Italiani. Proposta avanzata dai radicali casertani è quella di istituire il garante provinciale dei detenuti di Caserta. L'istituzione della figura dei garanti dei diritti delle persone private della libertà personale a livello regionale, provinciale e comunale, rappresenta la novità degli ultimi anni in materia penitenziaria. I garanti ricevono segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati o parzialmente attuati e si rivolgono all'autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie. I garanti possono effettuare colloqui con i detenuti e possono visitare gli istituti penitenziari senza autorizzazione, al pari dei membri del Parlamento. Compito del garante, soprattutto nel territorio casertano con un alto tasso di "piccoli crimini", dovrebbe essere quello di attivarsi quando viene segnalata una situazione che comporti la compressione di un diritto o il suo mancato esercizio, intervenendo presso le istituzioni competenti al fine di sollecitare ogni utile intervento e svolgendo attività di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti umani e sulla finalità rieducativa della pena e, soprattutto, avvicinando la comunità locale al carcere. Tenere alta e luminosa la fiaccola dei diritti umani in un paese che si considera democratico e liberale, pur non essendolo, è un lavoro enorme e difficoltoso, ma seminando speranza si può raccogliere solidarietà, umanità e cambiamento. Raccolta con gioia è l'adesione all'iniziativa non violenta dei radicali casertani di Pio Del Gaudio, sindaco di Caserta, che ha pubblicamente dichiarato: "Diritti umani dei detenuti: Una battaglia di civiltà. Ho annunciato ai rappresentanti delle associazioni radicali del territorio la mia adesione a quella che considero una battaglia di civiltà per i diritti umani dei detenuti. Nei prossimi giorni li incontrerò per conoscere i dettagli delle loro iniziative". Il percorso di conoscenza dei radicali casertani prosegue il 24 dicembre, giorno della vigilia di Natale con un sit-in dinnanzi ad uno dei luoghi della tortura legalizzata italiana, ovvero, nei pressi della casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere dove nuovamente è stata illustrata la proposta di "amnistia per la Repubblica" e dove sono state raccolte nuove adesioni tra i parenti dei detenuti alla iniziativa nonviolenta di Natale di Pannella e Rita Bernardini. Nuove preoccupanti segnalazioni sono state raccolte riguardo la struttura penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere, si registrano problematiche nel reparto "Tevere" della struttura. In futuro si tenterà di raccogliere informazioni sullo stato attuale della struttura anche con una nuova visita ispettiva. Anche a Caserta si tratta di affermare le ragioni dello Stato di Diritto, della democrazia, e dei diritti umani contro il potere e la coercizione della Ragion di Stato. Far divenire concretezza i documenti e le proposte riportate negli atti del convegno di Bruxelles del partito Radicale intitolati: "Ragion di Stato contro Stato di diritto". Radicali nelle carceri per le prossime festività, il Satyagraha con oltre 600 adesioni Nell'ambito del "Satyagraha di Natale con Marco Pannella", dirigenti nazionali e locali del Partito Radicale e di Radicali italiani effettueranno numerose visite negli istituti penitenziari italiani. Lo rende noto un comunicato stampa, nel quale si legge inoltre che il calendario delle festività in carcere, prevede, in particolare, la presenza di Marco Pannella e di Rita Bernardini il 24 dicembre a Regina Coeli, a Natale a Rebibbia e, nella notte del 31 dicembre, assieme al Vicepresidente della Camera Roberto Giachetti, presso il carcere di Sollicciano a Firenze. Il Tesoriere di Radicali Italiani, Valerio Federico, sarà a Como il 6 gennaio, mentre il Presidente, Riccardo Magi, sarà a Regina Coeli il 24 dicembre con Pannella e Bernardini. Al Satyagraha, fanno sapere, hanno finora partecipato, con uno o più giorni di sciopero della fame, oltre 600 cittadini fra i quali 236 detenuti del carcere di Sollicciano assieme al Cappellano, Don Vincenzo Russo. Giustizia: illegalità e iniquità, il tandem italiano di Alberto Burgio e Stefano Perri Il Manifesto, 24 dicembre 2014 In Italia i poveri sono più poveri della media europea: al 40% della popolazione va il 19,8% del reddito complessivo contro una media del 21,2%. Dai recenti dati dell'Ocse e del Social Institute Monitor Europe in tema di diseguale distribuzione del reddito (il manifesto del 17 dicembre), risulta confutato il principale mito ideologico dei liberismi vecchi e nuovi, l'idea secondo cui una maggiore diseguaglianza offrirebbe ai più ricchi cospicue opportunità d'investimento e quindi alimenterebbe la crescita, con beneficio di tutti. Il ragionamento (sul quale fanno leva da sempre le campagne della destra neoliberale e della stessa sinistra social-liberista) prospetta uno scenario nel quale, favorendo la crescita, la temporanea rinuncia alla giustizia sociale garantirebbe, poi, giustizia e benessere, poiché ben presto il maggior benessere "sgocciolerebbe" anche sui più poveri. Peccato che ogni evidenza - e la drammatica crisi nella quale ci dibattiamo - mostra il contrario. Non solo la diseguaglianza tende ad autoalimentarsi radicalizzando le sperequazioni, ma marcia altresì di pari passo con la stagnazione. L'ingiustizia, insomma, avvantaggia soltanto i più ricchi, mentre rovina la stragrande maggioranza della popolazione. E il liberismo si conferma per quel che è: un'arma letale, oltre che sul piano etico e della coesione sociale, anche sul terreno economico. Ma i dati Ocse e Sime offrono anche l'opportunità di riflettere su talune specificità del caso italiano, per ricavarne una rappresentazione sintetica degna di attenzione. La società italiana è sempre più diseguale. Questo è un trend europeo e globale, ma in Italia le sperequazioni appaiono particolarmente forti. Per citare il dato più significativo, al 40% più povero della popolazione italiana va il 19,8% del reddito complessivo, contro una media europea del 21,2. I poveri in Italia sono dunque più poveri rispetto alla media. Non bastasse, ciò che a questo punto si evita accuratamente di aggiungere è che anche questa medaglia ha, come tutte, il suo rovescio. Se i poveri sono più poveri, i ricchi sono sempre più ricchi, e molto probabilmente tra i due fenomeni sussiste qualche connessione. Basti anche qui il dato più rilevante: la ricchezza netta delle famiglie italiane aveva nel 2012 un valore pari a 8 volte il valore del reddito disponibile, mentre nel 2001 il rapporto era di "appena" il 6,7. Mentre il pubblico si impoverisce e si indebita, il privato registra dunque un significativo aumento delle proprie sostanze. Il dato sul quale si pone sempre l'accento per avvalorare l'impellente necessità delle cosiddette riforme strutturali è l'ingente debito pubblico, superiore ai 2.200 miliardi. Nessuno mai ricorda invece che la ricchezza netta delle famiglie italiane (le meno indebitate d'Europa) supera (dati del 2013) gli 8.700 miliardi di euro. Il che sarebbe un bene, intendiamoci. Se questa enorme ricchezza privata non fosse distribuita in modo disastrosamente iniquo (lo è in modo molto più sperequato del reddito: l'indice che misura la diseguaglianza della sua distribuzione è pari a 62,3%, contro il 33,3% dell'indice di concentrazione dei redditi, onde il 10% delle famiglie più ricche possiede oltre il 45% della ricchezza). Se non convivesse con una povertà diffusa e drammatica. Se, proprio in forza della sua collocazione, non concorresse al tempo stesso al declino del paese e al suo crescente indebitamento. Anche a proposito del debito pubblico - a causa del quale l'Italia è un sorvegliato speciale sui mercati finanziari e in Europa, ed è costretta a una continua riduzione di piani di spesa ormai incompatibili con la manutenzione del welfare - si impone un chiarimento, prima di trarre qualche rapida conclusione. Si sa - anche se si suole sorvolare - che il debito schizza in alto, irreversibilmente, quando, a partire dai primi anni Ottanta, governi e Banca d'Italia decidono di trasformare il grande capitale privato in prestatore, esentandolo di fatto dall'obbligo fiscale di contribuire in misura adeguata alla spesa pubblica, anche attraverso il cosiddetto divorzio tra Banca d'Italia e Tesoro. Il fatto che il debito italiano si raddoppi tra il 1981 e il 1995 (passando dal 58 al 121% del pil) non è la conseguenza di una spesa pubblica abnorme e meritevole di tagli draconiani, ma della scelta tutta politica di remunerare il capitale privato sollevandolo dalla gran parte degli oneri fiscali da una parte e limitando la crescita dei salari reali dall'altra. Anche questo intreccio perverso tra debito pubblico ed evasione fiscale ha molto a che fare con la diseguaglianza, in quanto il meccanismo di remunerazione del debito opera nel senso di un continuo e crescente spostamento di reddito dal pubblico al privato, e in particolare alla quota più ricca della popolazione, attraverso il pagamento degli interessi. Il risultato del processo è plastico, nella sua paradossalità. Da debitore insolvente (da anni in l'Italia l'economia sommersa è stimata rappresentare in modo stabile più del 15% del Pil), il capitale si trasforma magicamente in creditore, e costringe lo Stato a una spesa per interessi che dal 1992 è l'unica causa della crescita dell'indebitamento pubblico (e che, nel giro di trent'anni, ha comportato un esborso di oltre 2.100 miliardi, pari quasi all'intero ammontare del debito). Anche così si spiega il fatto che la proprietà del debito sia oggi per il 50% in mano ai privati italiani (famiglie, banche e altre istituzioni finanziarie). Il che, se da una parte riduce la dipendenza del paese dagli attacchi speculativi, dall'altra concorre ad accrescere la diseguaglianza tra chi prende gli interessi e chi paga le tasse. In questo quadro l'evasione fiscale (circa 140 miliardi annui) alimenta un ulteriore diabolico circolo vizioso poiché, oltre a essere una delle principali cause dell'alto debito pubblico, rende anch'essa sempre più diseguale la distribuzione del reddito, facendo sì che il prelievo fiscale colpisca soprattutto il lavoro dipendente (sul quale in Italia grava la più alta aliquota implicita di tassazione di tutta la Ue). Ora proviamo a rileggere queste risultanze dentro un quadro unitario e sintetico. Che cosa ne sortisce? Della crescente diseguaglianza e iniquità del sistema si è detto: la polarizzazione vede contrapposti settori sociali poveri (sempre più vasti e più poveri) a settori ricchi (proporzionalmente sempre più ricchi). Se a ciò si aggiunge che tale meccanismo di ripartizione/riproduzione della ricchezza nazionale funziona in presenza di una percentuale patologica di evasione/elusione fiscale e di un volume di corruzione stimato in circa 60 miliardi annui, ci pare se ne possa sinteticamente concludere che, nella sua odierna configurazione, l'economia italiana - il cosiddetto sistema-paese - non è soltanto un meccanismo fondato su ingiustizie economicamente rovinose, ma anche un sistema di dominio largamente basato sull'illegalità. Lasciandosi andare per l'ennesima volta, in questi giorni, a esternazioni politicamente impegnative a sostegno del governo in carica, il presidente della Repubblica ha perorato la causa della stabilità, ritenendo di potere così motivare, alla vigilia delle dimissioni, le proprie scelte e il proprio interventismo, a tanti autorevoli osservatori apparso spesso costituzionalmente discutibile. Sembra un po' il Sordi della "Grande guerra", che esortava a "fare i buoni" i soldati che, in fila, attendevano di essere spediti al fronte. Qualora potessimo permetterci di rivolgergli una domanda, gli chiederemmo se la stabilità alla quale si è riferito riguardi per caso anche questo stato di cose. Giustizia: Unione Camere Penali; il nuovo monito di Napolitano non resti lettera morta www.camerepenali.it, 24 dicembre 2014 "Salutiamo con estrema soddisfazione e favore le dichiarazioni del presidente della Repubblica Napolitano sul tema delle carceri. Il capo dello Stato, pur riconoscendo l'impegno del governo a risolvere i cronici problemi che da sempre attanagliano il sistema penitenziario italiano e i passi avanti in tal senso compiuti, ha spronato la politica a proseguire e perseverare sulla strada intrapresa, evidenziando come molto debba ancora esser fatto, confermando così estrema sensibilità e attenzione al tema delle carceri, che ha rappresentato l'oggetto del suo messaggio inviato alle Camere l'8 giugno 2013". Così in una nota l'Unione Camere Penali Italiane. L'Ucpi, "condividendo" il monito del capo dello Stato, sottolinea: "È necessario perseverare affinando gli obiettivi da raggiungere, affinché la detenzione in Italia sia scontata secondo i principi costituzionali: la rieducazione, il lavoro, la salute, la famiglia e gli affetti. Su questi ultimi di grande importanza il richiamo di Napolitano al problema della carenza di strutture destinate ad accogliere i bambini perché stiano vicini alle mamme detenute. Le dichiarazioni odierne sembrano recepire quanto la giunta dell'Ucpi ebbe modo di evidenziare in occasione della visita al Quirinale del 2 dicembre scorso". Altrettanto "positive - concludono i penalisti - sono le affermazioni del ministro Orlando, che ha confermato l'impegno dell'esecutivo a riformare l'assetto del sistema penitenziario mediante un maggiore ricorso alle pene alternative ed ha altresì assicurato che verrà rispettato, senza ulteriori proroghe, il termine del 31 marzo 2015 per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Vigileremo affinché il monito del capo dello Stato e i buoni propositi del ministro non rimangano lettera morta". Giustizia: Ass. Giovani Avvocati; subito Garante unico nazionale, a tutela diritti detenuti Il Velino, 24 dicembre 2014 Nominare subito un Garante unico dei detenuti, per permettere a chi si trova in carcere di non perdere mai la propria dignità: è questo il pressante invito levatosi nel corso dell'incontro tra i vertici di Aiga, l'associazione dei giovani avvocati italiani, e il coordinatore del Forum Giustizia e Responsabile Carceri del Pd, Sandro Favi, durante il quale si è parlato anche dell'attuale stato delle carceri italiane e soprattutto dei progetti ministeriali sul sistema carcerario nel corso. L'incontro, tenutosi venerdì, fa parte del ciclo "Con la politica in via Tacito 50" organizzati nella sede dell'associazione a Roma. L'Aiga ha evidenziato la necessità di procedere alla nomina del Garante unico dei detenuti, con funzione di coordinamento delle figure dislocate sul territorio e per consentire il confronto con le best practice che in alcune carceri d'Italia consentono di restituire dignità all'individuo che sconta la propria pena. "Riteniamo fondamentale - sottolinea la presidente di Aiga Nicoletta Giorgi - l'implementazione del lavoro all'interno degli istituti di detenzione e il coinvolgimento in esperienze educative e di recupero sociale". Con queste finalità va rivista anche l'edilizia penitenziaria. "Oggi le strutture dei nostri istituti - continua Giorgi - rispecchiano un'idea di detenzione volta a reprimere una delinquenza di stampo terroristico che negli anni di piombo ha insanguinato le nostre strade. Oggi i detenuti in carcere si sono resi colpevoli di tutt'altri reati e gli spazi devono essere utili ad ospitare progetti di recupero". Nel corso dell'incontro, Favi ha evidenziato progetti di lavoro che sono delle eccellenze: la pasticceria al carcere di Padova, la lavanderia a Torino e la falegnameria presso il carcere di Cosenza. Purtroppo, però, la burocrazia impedisce che tali attività possano essere implementate e anche mutuate facilmente. "È contro questa eccessiva burocratizzazione dei processi decisionali che la politica deve farsi avanti e divenire parte attiva nella semplificazione. Non si può più lasciare alla sensibilità e al coraggio del singolo direttore del carcere, come oggi accade, la gestione più o meno illuminata del periodo di detenzione. Da tempo è smentita l'equazione "più carcere uguale più sicurezza". Anzi, è stato ampiamente dimostrato come la recidiva si riduca proprio nel caso di soggetti che hanno potuto svolgere un'attività lavorativa all'interno del carcere". Per questo Aiga punta sul cambio di metodo, come nei tribunali, nel settore del sistema carcerario. Serve un monitoraggio costante del personale, della sua preparazione e dei risultati di certi progetti. Serve una progettualità di rinnovo, con una visione di insieme che crei rete tra gli Istituti penitenziari. Questo aspetto porterebbe programmi comuni di formazione scolastica che consentirebbero, anche in caso di trasferimenti, di non perdere l'investimento fatto nella scolarizzazione dei detenuti. Si creerebbe poi un senso comune della funzione carceraria, una forma di sostentamento negli intenti e nei progetti che solo la condivisione di metodi, notizie e direttive comuni può valorizzare e diffondere. A tal fine servono sicuramente fondi che oggi scarseggiano, ecco perché la proposta è anche quella di guardare all'Europa come possibile finanziatore. "Che fine ha fatto - chiede la presidente dei giovani avvocati italiani - il Programma di Stoccolma 2010-2014? Questo infatti non riguardava solo la lotta all'immigrazione o la detenzione di extracomunitari, ma indicava agli Stati membri una serie di misure da adottare per la difesa dei cittadini e la tutela dei loro diritti fondamentali, uomini, donne e bambini, nella lotta contro la criminalità nei suoi diversi livelli, e tra queste rientrava anche la costruzione di strutture carcerarie come più volte auspicato proprio nel nostro Paese". Giustizia: cooperative in carcere, dopo gli scandali anche le eccellenze sono a rischio di Francesca Sironi L'Espresso, 24 dicembre 2014 Dieci penitenziari. Dieci cucine. Dove i detenuti potevano lavorare sul serio. Percorsi positivi, apprezzati da tutti. Che il ministero vuole chiudere. Perché mancano i fondi, forse. Ma potrebbe essere anche colpa degli scandali romani. Che rischiano di macchiare gli esempi positivi. Ora, dopo le proteste, il Dap promette un incontro il 30 dicembre. Panettoni. Così buoni da aver conquistato premi e palati, da essere arrivati per Natale sulla tavola del Papa e del presidente della Repubblica. Così buoni forse anche perché sfornati da una pasticceria speciale : un laboratorio carcerario. La pasticceria è infatti quella del penitenziario di Padova, luogo non solo di suicidi e di racket - come ha rivelato l'Espresso - ma anche di speranza, grazie al ristorante-pasticceria gestito da una cooperativa chiamata Giotto, che impiegava detenuti dando loro formazione e stipendi dagli 800 ai 1000 euro. Arrivava, impiegava, al passato. Perché se non ci saranno contrordini il ministero della Giustizia e il dipartimento di amministrazione penitenziaria lasceranno morire il 15 gennaio tutte le sperimentazioni a livello nazionali per gli affidamenti esterni della ristorazione in carcere. Si tratta di 10 esperimenti sostenuti da 10 cooperative diverse che da 10 anni portavano successi (in termini di minor recidiva dei detenuti, migliori rapporti in cella, risparmi per le casse pubbliche, oltre che di qualità), in 10 carceri. Per queste piccole eccellenze rischia di essere finita. Con la scusa che non ci sono fondi. Scusa, tale pare, visto che da mesi erano al vaglio a tutti i gradi del Gabinetto proposte per rendere la sperimentazione stabile visti i risultati ottenuti, apprezzati dalle associazioni per i diritti umani come dagli ex ministri, dai funzionari di Stato come dalle famiglie. Le associazioni avevano più volte chiesto, insieme ai direttori dei penitenziari, un incontro con i vertici dell'amministrazione a riguardo. Ma la risposta da Roma è arrivata solo dopo la vasta campagna pubblica che si è mobilitata contro la decisione di sospendere questo piccolo progresso. In un comunicato del 20 dicembre il Dap scrive: "Nell'esprimere apprezzamento per la presenza e l'azione di tali imprese sociali nel contesto della esecuzione penale, si comunica che il capo del Dipartimento Santi Consolo, insediatosi nella tarda mattinata del 19 dicembre, dopo consultazione con le articolazioni apicali ha invitato i rappresentanti delle cooperative a partecipare a un incontro fissato per il 30 dicembre". Una speranza? Chissà. La fine sembrava certa fino a poche ore fa. Sotto la luce di un paradosso tanto più triste tanto può essere vera l'analisi che ha fatto del caso Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera: l'idea cioè che la politica, piuttosto che valorizzare, capire, e punire i responsabili delle eventuali storture, abbia preferito "buttare il bambino con l'acqua sporca", eliminare cioè la parola "cooperative" dai rapporti con la pubblica amministrazione, soprattutto in carcere - dove era nata la 29 giugno di Salvatore Buzzi - piuttosto che individuare i nodi marci che hanno permesso a un sistema come quello di "Mafia Capitale" di proliferare nel Sociale. Il doppio paradosso poi è che non solo questa decisione, formalizzata il 17 dicembre, punirebbe un'eccellenza, lasciando in cella decine di detenuti che avevano trovato un lavoro; ma restituendo queste gestioni all'amministrazione, le cucine rientrerebbero così fra le altre che rischiano di aggravare la nostra posizione nell'ambito di un'infrazione in corso con l'Unione Europea. La minacciata multa è legata alla retribuzione dei detenuti che lavorano per il Dap: troppo bassa secondo Bruxelles, perché calibrata su contratti vecchi ormai più di 20 anni. Così da mesi si discute se punire il nostro paese per "sfruttamento". Ed ora in questo calderone rischiano di finire anche le 10 cucine dei carceri di Trani, Siracusa, Ragusa, Rebibbia, Torino, Bollate, Padova, Ivrea, Rieti, che erano riuscite a iniziare un percorso diverso. Virtuoso. Targato "coop". Ora l'attesa è per l'incontro del 30 dicembre. Nella speranza che smentisca tutti quelli precedenti. Dando la possibilità ai detenuti di sfornare panettoni anche per il prossimo Natale. Giustizia: fuori le cooperative dalle mense, nelle carceri torna lo statalismo di Ilaria Sesana Avvenire, 24 dicembre 2014 Dopo dieci anni di affidamento alle cooperative sociali, la gestione delle mense in nove carceri tornerà nelle mani dell'amministrazione penitenziaria. Un passo indietro rispetto alle sperimentazioni che avevano dato lavoro e possibilità di riscatto a tanti detenuti, un passo avanti verso lo statalismo. Dopo dieci anni di affidamento alle cooperative socialità gestione delle mense in nove carceri italiane tornerà nelle mani dell'amministrazione penitenziaria. "Sperimentazione conclusa", aveva annunciato lunedì il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Che ha ribadito la sua decisione ieri, nel corso di un'intervista a Radio Rai 1: "Purtroppo abbiamo una disponibilità finanziaria limitata e decrescente. C'è tutto il settore del lavoro in carcere su cui vogliamo investire: non ci possiamo accontentare di qualche eccellenza". Da Torino a Padova, da Ragusa a Milano, la decisione di interrompere la sperimentazione viene bollata come "un passo indietro di dieci anni". E che mette a rischio il posto di lavoro di circa 120 detenuti e quelli di 40 operatori esterni che supportano i progetti delle cooperative. Ma non solo. "Ora che le cucine tornano in mano al Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria si tornerà a mense non in linea con gli standard sanitari - sottolinea Nicola Boscoletto, presidente del consorzio di cooperative sociali "Rebus" attivo nel carcere di Padova - con prodotti scadenti e maggiori costi per l'amministrazione". Contrari alla decisione, che si muove in una prospettiva di ritorno allo statalismo, anche i direttori delle nove carceri coinvolte nel progetto che, in tuia lettera inviata al Dap, hanno definito la sperimentazione "oltremodo positiva" per il miglioramento della qualità del vitto e per i minori costi rispetto alla gestione ordinaria. Ma non è solo una questione economica. "I detenuti assunti dalle cooperative - scrivono ì direttori - hanno avuto modo di sperimentare lavori veri che li hanno portati ad acquisire competenze e professionalità decisive per il loro reinserimento sociale". Il lavoro in carcere è il primo strumento per combattere la recidiva: chi sconta la pena senza fare nulla torna a delinquere nel 69% dei casi. Mentre chi ha avuto la possibilità di imparare un mestiere durante la detenzione torna a commettere nuovi reati solo nel 2% dei casi. "Ma questo vale solo per quanti si avvicinano a un lavoro vero, che si mette in gioco con le regole del mercato - sottolinea Nicola Boscoletto - e non per i lavori domestici che, al contrario, non abbattono nemmeno di un punto la recidiva". "Pazzesco. Dovrò licenziare 17 persone", commenta amareggiata Silvia Polleri, presidente della cooperativa Abc-La sapienza in tavola che gestisce la mensa del carcere di Bollate e un servizio di catering. Uno dei requisiti della sperimentazione prevedeva che, assieme alla gestione delle mense, le coop sviluppassero progetti collaterali. Ma ora tutto rischia di svanire in una nuvola di fumo, "il 15 gennaio devo riconsegnare le chiavi della cucina del carcere di Bollate. Non potremo rispettare le commesse già prese per catering e matrimoni. Dove cucineranno i dipendenti?" chiede Polleri. Anche "Syntax Error", la cooperativa che gestisce la mensa del carcere di Rebibbia, non riuscirà a mandare avanti il servizio di catering: "Abbiamo già avvisato i revisori dei conti, metteremo 11 persone in cassa integrazione", annuncia il presidente Maurizio Morelli. "Concordiamo con il ministro Orlando quando dice che bisogna riorganizzare il sistema del lavoro in carcere. Ma così si rischia di buttare il bambino con l'acqua sporca", commenta Pippo Pisano, consigliere della coop "L'arcolaio" che o-pera in carcere a Siracusa e che, oltre alla mensa, gestisce una pasticceria artigianale con altre sette persone. La cooperativa "Campo dei Miracoli", invece, ha avviato nel carcere di Trani una produzione di taralli artigianali. "Mi piange il cuore - sottolinea il presidente Salvatore Loglisci - perché so quali problemi vivono i dipendenti all'esterno. Dovrò dire a uno di loro che perderà il lavoro. E con questo la possibilità di pagare il mutuo della casa dove vive l'anziana madre". La sola speranza di un ripensamento è la riunione fissata a Roma il 30 dicembre con il nuovo Capo Dipartimento Santi Consolo. Giustizia: "io rapinavo banche e poste…. mi hanno salvato i bignè" intervista a cura di Lodovico Poletto La Stampa, 24 dicembre 2014 Torino, Sergio De Stefano è diventato pasticciere in carcere. "Perché sono finito in carcere? Perché facevo rapine: banche, poste, farmacie. Mi hanno arrestato l'ultima volta nel 2009 e mi hanno condannato a 6 anni e quattro mesi. E se, in galera, non avessi imparato un mestiere oggi sarei esattamente come allora, un disperato con la pistola in mano". Cinquant'anni compiuti ad ottobre, un passato fatto manette e rapine, di cattive compagnie, processi, comunità di recupero, e ancora rapine, manette e carcere. Oggi, però, Sergio De Stefano è un'altra persona. Con quel mondo, quegli amici-complici, dice, "Ho chiuso. Per la gioia di mia madre, che finalmente può vivere tranquilla. E anche per me, che adesso mi sembra di essere rinato". Lo racconta alle quattro del pomeriggio di questa antivigilia di Natale seduto ad un tavolino del bar pasticceria di zona Lingotto dove lavora ormai da un anno, tutti i giorni, dalle 6 alle 15: "Ma nei periodo delle feste c'è molto da fare e così mi capita anche di finire più tardi. Se lo faccio volentieri? Ma certo, questo è il mio lavoro". Scusi, De Stefano, com'è iniziata questa strada verso la redenzione? "È cominciata tanto tempo fa, dopo il mio ultimo arresto, nel 2009. In carcere c'era la cooperativa "Liberamensa" che aveva bisogno di personale. Io mi sono proposto, e mi hanno preso". Ma perché non se ne è rimasto tranquillo a fare nulla come gran parte dei detenuti? "Perché il carcere è un posto che ti uccide la voglia di vivere. Se non hai un'occupazione, finisce che te ne stai tutto il giorno in branda a guardare il soffitto. E quel poco che sapevi fare fuori da lì lo disimpari immediatamente. Se poi la condanna è lunga, puoi stare sicuro che quando esci la tua vita sarà anche peggio di prima". E la passione per la pasticceria com'è nata? "Quella per la cucina in generale ce l'avevo già. Mi era venuta a San Patrignano, in comunità, dove sono stato per diverso tempo. Ma al Lorusso e Cotugno ho fatto un altro passo avanti. In quel periodo c'era un pasticciere esperto che, come volontario, veniva ad insegnava a fare le cose. È grazie a lui che mi sono appassionato". E quando è uscito ha iniziato a cercare lavoro? "No. Il volontario, Enrico Beatrice, stava aprendo questa pasticceria e mi ha chiesto se volevo lavorare per lui. Ho accettato subito. All'epoca io ero ancora detenuto con l'articolo 21: cioè potevo uscire al mattino ma dovevo rientrare a dormire in carcere. E così mi alzavo alle 4, prendevo due bus, e arrivavo qui. Era dura, ma finalmente avevo un mestiere". Prima di finire in galera che lavoro faceva? "Lavoro? Niente. Io non avevo un mestiere. Di tanto in tanto andavo a fare il muratore, o trovavo qualcosa che durava due o tre giorni. La mia vita era un'altra". Dei colleghi detenuti che lavoravano con lei, ce ne sono altri che appena usciti hanno trovato lavoro? "Io so che uno di loro ha aperto un ristorante. Un altro lavora, ma non so dove". E Beatrice è soddisfatto? "Ha dato in gestione la pasticceria, ma ha chiesto che mi tenessero, perché pare che io sappia lavorare bene". E sua madre? "Adesso sono in affidamento ai servizi e vivo a casa sua. E ho una fidanzata. I vecchi compagni di allora non li vedo più. Lavoro, filo a casa e mi devo ritirare presto. Quel mondo per me non esiste più". Ha saputo che il governo vuol chiudere queste esperienze con le cooperative? "Che enorme stupidaggine". Giustizia: la corruzione, l'antimafia e il pericolo di terapie peggiori del male di Andrea R. Castaldo Il Mattino, 24 dicembre 2014 Di questi tempi, è difficile avvistare la stella cometa e raggiungere Betlemme. La sensazione diffusa in materia di giustizia penale è che si sia smarrita la bussola, navigando a vista nell'inseguire le emergenze, con un occhio ai sondaggi e gestendo demagogicamente gli umori di un'opinione pubblica disorientata e di fatto disinformata. Il rischio reale è avvitarsi in un vortice cieco, segnando un punto di non-ritorno. Nell'ordine: le indagini in tema di corruzione, la collusione evidente tra pubblica amministrazione e criminalità organizzata, la crisi di credibilità della classe politica consegnano un'immagine mortificante del Paese, deleteria per la perdita di chances di investimento e di attrazione di capitali esteri. Ma di fronte a un male endemico e conosciuto, la medicina appare un placebo. E consiste fondamentalmente in iniezioni di severità procedurale e rigore sanzionatorio, peraltro sbandierate su ricetta e rinviate ad applicazioni future. Stupisce del resto la precarietà delle scelte di politica criminale, di cui in un eccesso di finta democrazia si impadroniscono burocrati e tecnici improvvisati, anziché riservarle a giuristi esperti. Così il pendolo oscilla sistematicamente una volta nella direzione del giustizialismo, un'altra sulla via dei provvedimenti demenziali. Non occorre avere la memoria da elefante per ricordare che appena qualche mese fa l'agenda governativa vedeva tra le priorità la riforma della custodia cautelare e delle intercettazioni telefoniche. Argomenti tabù, ma legati a dati difficilmente smentibili: il numero sproporzionato, il costo eccessivo per le casse dello Stato, la reprimenda dell'Europa. Un detenuto su tre in Italia è in attesa di essere giudicato, è innocente sino a prova contraria, e nel frattempo i tempi della decisione definitiva restano eccessivamente lunghi. Un quadro desolante, specie se comparato con altri Paesi: in Francia il 25%, in Germania il 16.7%, in Inghilterra il 12.7% (2012 - Fonte: International Center for Prison Studies). Addirittura disarmante il numero di intercettazioni. Nel 2012 ne sono state autorizzate 124.713, a fronte delle 41.145 in Francia, 23.678 in Germania, 3.372 nel Regno Unito. Le statistiche, è vero, sono infide, ma una così marcata differenza la dice lunga e indirettamente conferma quel clima ansiogeno del sentirsi spiati, che ha progressivamente modificato le abitudini (e le conversazioni) della quotidianità. Chiedersi perché da noi (60 milioni di abitanti) si intercetti il doppio del totale di tre Paesi che vantano una popolazione di 212 milioni di individui resta un affascinante mistero. Che la causa risieda nella maggiore incidenza dei reati, nella scarsità di organico delle forze di polizia, non in grado di effettuare investigazioni classiche, o nel più prosaico motivo della spettacolarizzazione della giustizia attraverso la divulgazione dei contenuti in modo indiscriminato, certo è che la spesa per intercettazioni nel 2010 di ben 284.449.782 euro (Fonte Eurispes) non ha bisogno di commenti ed esige una riduzione quanto meno per ragioni di finanza pubblica. Ebbene, di queste riforme nessuno parla più, impantanate nella palude parlamentare. Così come egualmente sparito il progetto di contenimento della durata delle indagini preliminari, che serviva se non altro a recuperare un minimo di efficienza del sistema. Invece, vittima di un disturbo bipolare, gli ultimi proclami del governo sono all'insegna del repertorio tradizionale della severità: innalzamento delle pene per la corruzione (nel gradino inferiore passa da 4 a 6 anni, con un allineamento ingiustificabile con la concussione, di maggiore gravità, ma dall'identico minimo edittale), congelamento della prescrizione dopo la condanna di primo grado (un rimedio che eviterà - forse - l'estinzione del reato, ma allungherà i tempi di definizione del processo). All'orizzonte, l'ulteriore proposta di estendere al pianeta corruzione la legislazione speciale prevista per la mafia. Una deriva estremamente pericolosa, sia perché tecnicamente errata nel parificare condotte criminose di diverso disvalore, sia per gli effetti indiretti di un controllo pervasivo e strisciante della vita pubblica. Eppure, basterebbe pensare come appena nel 2012 era stata varata la riforma Severino, allora appoggiata da quasi tutti i partiti, e licenziata come una svolta epocale nella lotta alla corruzione grazie al pacchetto di misure di trasparenza introdotte nella P.A. e all'inasprimento delle pene, per convincersi che il quantum della sanzione non è un valido deterrente, ma conta semmai la percezione culturale e la semplicità delle regole amministrative. Il cammino dei Magi si annuncia tortuoso, il rischio di Erode più concreto. Giustizia: Ernesto Preziosi (Pd); tra Natale e Capodanno visiteremo numerose carceri Agi, 24 dicembre 2014 Tra Natale e Capodanno alcuni parlamentari visiteranno gli istituti di pena di varie province italiane insieme all'associazione "Argomenti 2000", presieduta dal deputato democratico Ernesto Preziosi. Scopo dell'iniziativa, richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica su una drammatica emergenza del Paese e compiere un gesto di concreta vicinanza a quella parte della popolazione fatta di uomini e donne che, pur scontando una pena, rimangono a pieno titolo cittadini, conservano la dignità della condizione umana e chiedono di essere aiutati ad un reinserimento nella società, così come previsto dalla Costituzione. "L'associazione ‘Argomenti 2000' - spiega Preziosi - ha redatto un documento che contiene una panoramica sui numeri della situazione carceraria, sui provvedimenti legislativi intervenuti nell'ultimo anno, su quelli che arriveranno prossimamente nelle Commissioni e in aula e alcune riflessioni e proposte, in particolare in tema di lavoro intra ed extra carceri e di ospedali psichiatrici giudiziari. Un report annuale sottoscritto da deputati e senatori che si riferiscono alla ispirazione cristiana, presenti in diversi partiti e da alcune associazioni impegnate nel mondo del volontariato in carcere". Oltre cinquanta i parlamentari che, a seguito dell'adesione al documento sulla questione carceraria, si recheranno in varie carceri italiane: Preziosi andrà al carcere di Villa Fastigi a Pesaro, Maria Amato visiterà quello di Vasto, Romanini e Patrizia Maestri visiteranno il carcere di Parma. Sandra Zampa visiterà il penitenziario minorile di Bologna, Emma Fattorini il carcere di Rebibbia e Vanna Iori quello di Reggio Emilia; altri parlamentari si recheranno nelle carceri di Brescia, Torino, Nuoro, Palermo, Ancona. "Un modo concreto - conclude Preziosi - per rendersi presenti in una situazione difficile e per testimoniare, così come affermato da papa Bergoglio, la necessità che il sistema penale vada a oltre la sua funzione propriamente sanzionatoria", ponendosi "sul terreno delle libertà e dei diritti delle persone". Giustizia: processo Stasi; in dubbio pro reo? … no, nel dubbio si condanna di Astolfo Di Amato Il Garantista, 24 dicembre 2014 C'è voluto qualche giorno per "digerire" la condanna che la Corte di Assise di Appello di Milano ha inflitto ad Alberto Stasi. Dopo due sentenze che lo avevano assolto ed un giudizio della Cassazione che aveva riaperto il processo, la sentenza di condanna costituisce un vero e proprio ribaltone. Una valutazione del merito della decisione è molto difficile, per chi scrive, non essendovi ancora stato il deposito della motivazione e mancando una conoscenza puntuale degli atti. Sembra che l'indizio principale sia costituito dalla perizia, svolta in Appello, sulle caratteristiche del modo di camminare di Stasi e sulla impossibilità che, con quel modo di camminare, le scarpe che indossava quando avrebbe scoperto il cadavere della povera Chiara non si siano sporcate di sangue. La perizia svolta in Appello, perciò, sarebbe stata decisiva ai fini della affermazione di responsabilità. Occorre anche dire, per completezza, che la difesa nega rilievo alla circostanza sulla base di un assunto del tutto diverso: la mancanza di macchie ematiche sarebbe da spiegare con il carattere idrorepellente delle suole e con la circostanza che, nel momento in cui le scarpe erano state prelevate dagli inquirenti, le eventuali macchie di sangue, ormai seccate, sarebbero state abrase nei percorsi fatti. Infine, è utile ricordare che durante il giudizio di rinvio innanzi alla Corte di Assise di Appello sono stati svolti anche altri accertamenti, quali quelli relativi alla bicicletta, al sellino ed ai pedali. Accertamenti senza esiti contrari per l'imputato. Tutto questo serve a mettere in evidenza che si è trattato di un processo indiziario, caratterizzato nel giudizio di appello a seguito di rinvio da un accertamento istruttorio particolarmente articolato e complesso. Ed è qui che sta il punto. Stasi, evidentemente consigliato dai suoi difensori, aveva scelto il rito abbreviato, nel momento in cui l'accusa aveva chiesto al giudice per l'udienza preliminare il rinvio a giudizio. Si tratta di una facoltà che il codice di procedura penale concede all'imputato: può chiedere che il giudizio si svolga allo stato degli atti e, cioè, sulla base dei risultati delle indagini del pubblico ministero e degli eventuali documenti prodotti dalla difesa. Per premio, considerato il risparmio di tempo e di energie che questa scelta comporta, la pena è ridotta di un terzo. Il che ha consentito alla Corte di Assise di infliggere a Stasi la pena di 16 anni di reclusione, invece dei 24 previsti per il reato di omicidio. La scelta del rito abbreviato è, in genere, guidata da due opposti ordini di considerazione. Si fa ricorso ad essa o quando le prove raccolte dal pubblico ministero sono così inconsistenti da rendere estremamente improbabile una condanna o quando le prove della colpevolezza sono così granitiche da rendere certa la condanna e conveniente la riduzione di un terzo. Nel caso di Stasi, come è agevole desumere dai primi due gradi di giudizio, la scelta era stata per il rito abbreviato essendo state ritenute inconsistenti le prove raccolte dal pubblico ministero. Il giudizio, perciò, fino alla Cassazione si è svolto su di un materiale probatorio ben delimitato. La Corte di Cassazione ha, viceversa, nella sostanza, chiesto che il materiale probatorio fosse ampliato attraverso ulteriori accertamenti. È legittimo? È vero che vi è una norma del codice di procedura penale che attribuisce al giudice il potere, nel giudizio abbreviato, di disporre nuove prove quando non può decidere allo stato degli atti. Ma si tratta di una norma di carattere eccezionale, e che, per di più, riguarda la sfera della valutazione del fatto e perciò dei poteri dei soli giudici di merito. Vi è molto da dubitare, quindi, della legittimità dei nuovi accertamenti svolti in appello, per giunta in sede di rinvio, e la cui concludenza è, comunque, esclusa dalla difesa di Stasi. La vicenda offre l'occasione per una riflessione. Essa dà conto di quanto avvenuto nella cultura giudiziaria. Il principio dell'ai di là di ogni ragionevole dubbio è stato ribaltato. La certezza è richiesta non per condannare, come previsto dalla legge, ma per assolvere: in tanto è possibile assolvere in quanto vi sia l'assoluta tranquillità della innocenza dell'imputato. Giustizia: caso Lonzi; ennesima richiesta di archiviazione della procura di Livorno www.radicali.it, 24 dicembre 2014 Dichiarazione di Irene Testa e dell'avv. Alessandro Gerardi, rispettivamente Segretario dell'associazione "Il Detenuto Ignoto" (direzione Radicali Italiani) e difensore di Maria Ciuffi. "La procura di Livorno, con riguardo alla morte di Marcello Lonzi, davvero non si smentisce mai. A fronte delle numerose e puntuali contestazioni avanzate dalla sig. Maria Ciuffi, madre del ragazzo morto, nei confronti dell'operato dei medici del carcere di Livorno nonché del prof. Bassi Luciani, ossia del medico che effettuò l'autopsia sul cadavere del detenuto, il sostituto procuratore della Repubblica, dott. Antonio Di Bugno, è tornato nuovamente a chiedere l'archiviazione del procedimento dopo che nello scorso mese di giugno il Gip gli aveva ordinato di svolgere ulteriori e più approfonditi accertamenti. Noi restiamo convinti, anche sulla scorta dell'ottimo e ben documentato parere pro-veritate eseguito dal prof. Bellocco, che intorno a questa triste vicenda ci siano ancora troppi aspetti non chiariti, non solo in relazione alle errate, imperite o addirittura omesse manovre di soccorso e di rianimazione operate dai medici della Casa Circondariale, ma anche con riferimento all'orario della morte e alle cause che hanno portato al decesso di Marcello Lonzi, che sicuramente non possono essere ricondotte semplicemente ai problemi di natura cardiaca di cui lo stesso sarebbe stato affetto, quanto piuttosto alle conseguenze di un "grave politraumatismo" di cui a nostro giudizio il detenuto sarebbe rimasto vittima all'interno del carcere livornese. Preannunciamo fin d'ora, quindi, che torneremo ad opporci con forza a questa ennesima richiesta di archiviazione e che insieme alla madre del ragazzo continueremo a batterci in ogni sede affinché venga fatta piena luce sulla morte di Marcello Lonzi". Lettere: il risarcimento per "detenzione inumana", una truffa ai detenuti di Achille della Ragione Ristretti Orizzonti, 24 dicembre 2014 Dedico questo breve contributo ai miei compagni di sventura rimasti nei gironi dell'inferno di Poggioreale, i più interessati a quanto esporremo perché costretti a vivere in gabbie disumane. La cella è di 12- 13 metri quadrati, oltre ad un vano cucina di un metro ed un cesso (non lo si può chiamare altrimenti) con una parvenza di doccia, che due volte alla settimana, per pochi minuti, vomita un liquido caldo dal colore sospetto e dall'odore indefinibile. Per lavarsi ogni giorno si usa una brocca con la quale ci si getta addosso un po' di acqua prelevata dal lavandino allagando tutto il vano, che andrà poi svuotato a colpi di ramazza, facendo convergere la pozzanghera verso un fetido buco tenuto a bada da un peso per evitare visite imbarazzanti: scarafaggi nel migliore dei casi, qualche volta, anche se non ho avuto l'emozione dell'incontro ravvicinato, luridi topi di fogna. Vi è molto sconforto nelle carceri, non solo per le condizioni di vita disumane, e per l'impossibilità di rieducarsi e prepararsi al reinserimento nella società, ma soprattutto perché a danno dei detenuti, nel silenzio assordante dei mass media, si sta compiendo l'ennesima truffa. La Corte di Strasburgo minacciava gravi sanzioni pecuniarie verso l'Italia, se non avesse reso i penitenziari più vivibili, per cui in tutta fretta è stato approvato un decreto legge, che prevede un abbuono di 1 giorno per ogni 10 trascorsi in celle sovraffollate o un risarcimento di 8 euro al giorno per chi ha già scontato la pena. Ma la normativa è stata resa inoperante per l'interpretazione data alla stessa dalla magistratura di sorveglianza, che sta dichiarando inammissibili la quasi totalità dei ricorsi con le più svariate motivazioni, costringendo a defatiganti ricorsi in Cassazione. Da qui l'unica possibilità il risarcimento monetario, che lascia il tempo che trova, perché non ci sono civilisti che per una istanza per ottenere qualche paio di migliaia di euro in media, non si facciano dare almeno 1000 di onorario e bisogna anche considerare che si può nominare un civilista dal carcere soltanto se si è in pendenza di un giudizio civile e non per istaurarne uno ex novo. La Corte di Strasburgo nel frattempo certa che "giustizia è stata fatta" ha bocciato le migliaia di istanze presentate in questi anni a partire dalla sentenza Torreggiani del gennaio 2013, in cui era stata condannata l'Italia ad un risarcimento cospicuo per aver tenuto alcuni detenuti(situazione normale) in celle dove disponevano di tre mq a testa (tenendo conto che in Europa negli allevamenti ad un maiale ne sono obbligatoriamente concessi 10). É veramente convinto lo Stato che far scontare ai detenuti la pena in modo disumano dentro carceri sovraffollate, senza alcuna attività, imbottiti di psicofarmaci, incattiviti ed esasperati, renda la società più sicura? Le carceri così come sono, sono inutili e dannose per i detenuti, per le loro famiglie, e per la società; invece di recuperare escludono ed emarginano, e rischiano di far uscire le persone peggiori di come sono entrate. I penitenziari si rendono vivibili garantendo ai detenuti quanto previsto dalla legge: semi libertà a metà pena, affidamento in prova quando mancano 4 anni dal fine pena, gli ultimi 18 mesi di reclusione ai domiciliari; provvedimenti che gradualmente svuoterebbero i penitenziari, tenendo conto che oltre 20.000 detenuti potrebbero beneficiarne, portando il numero dei reclusi in linea con quanto perentoriamente richiestoci dall'Europa. Un discorso a parte meritano i numerosi tossicodipendenti, che dovrebbero essere, prima che puniti, curati in apposite strutture. Potrei dilungarmi ricordando l'epidemia di suicidi, che andrebbe contrastata con un'inesistente assistenza psicologica, ma vorrei trattare dei non meno importanti mali dell'anima: la solitudine, la malinconia, la sofferenza, la nostalgia. Conosco un rimedio infallibile per combatterli: rimanere in contatto costante con i propri familiari, anche solo per telefono. In tutta Europa i detenuti (a loro spese) sono liberi di fare quante telefonate desiderano. Perché dobbiamo essere costantemente il fanalino di coda della civiltà? Per convincere l'opinione pubblica che indulto ed amnistia sono ineludibili (parole del Presidente della Repubblica) basterebbe che si montasse nelle piazze principali del nostro paese un cubo avente il volume di una cella, nella quale secondo le normative della Ue non potrebbero vivere 4 maiali e viceversa vivono, nei gironi infernali di Poggioreale e dell'Ucciardone, 16 esseri umani 23 ore su 24 ed invitare altrettanti cittadini ad entrarvi ed a rimanerci non 1 anno, non 10 anni, non fine pena mai, ma soltanto un'ora. Ne uscirebbero inorriditi e si affretterebbero a comunicare ad amici e conoscenti l'intollerabile situazione carceraria. Basilicata: dal Consiglio lucano sì all'appello dei Radicali su carceri e giustizia www.laprimapagina.it, 24 dicembre 2014 Garantire le cure ai detenuti; introdurre nell'ordinamento giuridico il reato di tortura; abolire l'ergastolo; rendere trasparenti e conoscibili i dati sulle carceri e sui procedimenti penali pendenti; rendere effettivi i risarcimenti ai detenuti che hanno subito trattamenti inumani e degradanti; nomina immediata del garante nazionale dei detenuti; prevedere la presenza dei detenuti agli Stati Generali delle carceri preannunciati dal ministro della Giustizia: sono i contenuti di un appello che il Consiglio regionale, attraverso una mozione approvata oggi a maggioranza (con 14 voti favorevoli di Pd, Pp, Pdl-Fi, Ri, Udc, Psi, e Romaniello del Gruppo Misto e 3 voti contrari di M5s e Pace del Gruppo Misto) ha inteso rilanciare oggi aderendo ad un appello del Partito radicale. L'iniziativa, proposta dai consiglieri Cifarelli, Spada e Giuzio (Pd), Benedetto (Cd) e Bradascio (Pp), riprende i contenuti dell'appello dal titolo "Amnistia per la repubblica. Gli obiettivi del nostro Satyagraha di Natale con Marco Pannella", lanciato nei giorni scorsi dai radicali italiani. "Ci uniamo alla lotta nonviolenta del leader radicale Marco Pannella - si legge nel testo dell'appello - affinché nel nostro Paese si affermi la legalità nell'amministrazione della giustizia (da anni straziata insieme alla vita di milioni di persone a causa dell'irragionevole durata dei processi penali e civili) e si rimuovano le cause strutturali che fanno delle nostre carceri luoghi di trattamenti inumani e degradanti". "Noi siamo convinti che l'amnistia e l'indulto siano gli unici provvedimenti strutturalmente in grado, da subito, di riportare nella legalità costituzionale e sovranazionale il nostro Paese. Non siamo soli: cerchiamo di far vivere con il nostro Satyagraha le parole contenute nel messaggio solenne del presidente Napolitano al Parlamento, quelle pronunciate da Papa Francesco il 23 ottobre scorso in occasione dell'incontro con i delegati dell'Associazione internazionale di diritto penale e quelle - chiarissime - pronunciate dal gruppo di esperti Onu sulla detenzione arbitraria a seguito di una visita ispettiva effettuata in Italia nel luglio scorso". Nel dibattito, introdotto dal capogruppo del Pd Cifarelli, sono intervenuti i consiglieri Mollica (Udc), Pace e Romaniello (Gm), Spada (Pd) e Perrino (M5s). Roma: bambini, restate in cella, il pulmino costa troppo di Luigi Lori Il Garantista, 24 dicembre 2014 Il Comune non ha i soldi per i bus, e i piccoli (da 0 a 3 anni) dovranno restare in cella, anche il sabato. Il Comune di Roma non ha più un euro, e così deve tagliare i fondi all'assessorato ai servizi sociali. E l'assessorato, al verde, taglia le convenzioni. In particolare ha tagliato la convenzione con l'Atac - che è l'azienda dei trasporti cittadina - la quale per vent'anni ha fornito il servizio -navetta per portare, tutti i sabati, dal carcere di Rebibbia a un luogo gestito da una Onlus ("A Roma Insieme"), i bambini piccolissimi, dagli zero ai tre anni, che vivono detenuti insieme alle loro mamme condannate al carcere. Di questi bambini proprio ieri si era occupato il Presidente della Repubblica, che aveva chiesto al Parlamento di fare qualcosa per loro, perché è assurdo che un bambino incolpevole debba scontare una pena detentiva, spesso molto dura. Per tutta risposta è arrivata questa notizia: i bambini che almeno il sabato avevano la libera uscita, non l'avranno più, Chiusi in cella sette giorni su sette. In questi giorni l'Atac ci ha comunicato a sorpresa che il servizio di navetta per il trasporto dei bambini da 0 a 3 anni "detenuti" con le loro madri nella Sezione Nido della Casa Circondariale Femminile di Rebibbia di cui ci occupiamo da vent'anni a questa parte con la nostra associazione, sarebbe stato interrotto a partire dal 1 gennaio 2015. La motivazione - dice la presidente Gioia Passarelli - consisterebbe nel taglio dei fondi destinati al servizio sociale di Roma Capitale da parte del Comune, tanto che l'Atac avrebbe messo in vendita le vetture destinate a questo tipo di convenzioni. La conseguenza - immediata di questa decisione che ci sconcerta e anche ci indigna - sarebbe che a partire da sabato 3 gennaio i bambini che vivono in carcere senza alcuna colpa, oltre a quella di essere nati, non potrebbero più usufruire dell'unico giorno da passare "in libertà" fuori dal carcere insieme ai volontari della nostra associazione, che da più di vent'anni li va a prendere con il pullman dell'Atac, messo a disposizione dal Comune di Roma. Oggi è stata presentata dal sindaco Marino la nuova giunta - continua la Passarelli - e la nuova assessora ai servizi sociali, Francesca Danese, presidente del Centro servizi volontariato del Lazio. Dal suo staff abbiamo avuto assicurazione che la Danese si occuperà al più presto dell'incresciosa vicenda, ma noi continueremo a vigilare fino a che il servizio non sarà ripristinato e per questo chiediamo il supporto della stampa e delle altre associazioni di volontariato che si occupano dì carcere. È di ieri, d'altra parte, il sostegno che ci è giunto dal presidente Napolitano - ricorda la Passarelli - quando si è riferito nel suo discorso al Csm al "mancato e lungimirante impegno di tutte le Istituzioni per dare attuazione alla legge n, 62 del 2001. Una legge firmata da Anna Finocchiaro che prevedeva che i bambini non dovessero più entrare in carcere insieme alle loro madri, attraverso l'istituzione degli istituti a custodia attenuata e le case-famiglia protette, per la quale - ha detto Napolitano - "non vi è forse stato un sufficiente investimento strutturale ed una visione integrata di assistenza e sostegno per i figli dei detenuti Napoli: Poggioreale non più carcere peggiore d'Europa, smembrata squadretta "cella zero" www.fanpage.it, 24 dicembre 2014 Poggioreale non è più il carcere peggiore d'Europa: meno sovraffollamento, sperimentazione di spazi di socialità e celle aperte, proposte per corsi di formazione. È il quadro tracciato dalla Garante dei Detenuti della Campania, Adriana Tocco. Che sulla cella zero dice: "La squadretta di sorveglianti è stata smembrata". Permangono, però, forti criticità per il diritto alla salute in carcere. Poggioreale non è più il carcere peggiore d'Europa. Il sovraffollamento, tra le cause della censura europea, è nettamente diminuito. Ora i ristretti non superano i 1800, e c'è una grande attenzione perché non debbano mai superare questa soglia. Certo, la capienza massima dell'istituto è di 1500, ma il miglioramento è notevole, considerando le condizioni nelle quali era la casa circondariale napoletana solo qualche mese fa. A snocciolare i dati relativi a Poggioreale e alle altre carceri campane è la garante dei detenuti della Regione Adriana Tocco, durante la tradizionale conferenza stampa di fine anno. Con il cambio della guardia e l'arrivo del nuovo direttore Antonio Fullone, si sta sperimentando anche il regime delle "celle aperte" per 8 ore al giorno, una novità assoluta per la casa circondariale partenopea. Non solo: aumentano le attività anche nelle altre carceri della Campania, come Carinola, "che non è più un carcere di alta sicurezza - spiega la garante. E ora c'è anche la possibilità di coltivare la terra. Stesso discorso per Sant'Angelo dei Lombardi, che pure ha una tenuta nella quale si producono vino e miele, e le donne del carcere di Santa Maria Capua Vetere hanno messo su una sartoria. Ci sono dei segnali di trasformazione, certo c'è ancora da fare sul fronte delle attività ma si nota la voglia di cambiamento". La sanità - Le carenze maggiori vengono riscontrate, ancora una volta, nel diritto alla salute in carcere. La sanità penitenziaria continua ad essere un elemento di forte criticità. I motivi sono molti e si intrecciano con la scarsità di posti letto all'interno degli ospedali che hanno un reparto destinato ai detenuti. Spesso è difficile, per i detenuti, ottenere medicinali e anche un ricovero. Tanto che la garante ha dovuto sollecitare singolarmente il ricovero per alcuni casi: "La risposta è stata celere, ma non si dovrebbe procedere così", commenta, tanto che "abbiamo proposto che nell'Ospedale del Mare, quando sarà operativo, sia predisposto un reparto per i detenuti. Le violenze - L'anno scorso sono state tante le denunce sulle condizioni disumane del carcere e sulla presunta "cella zero", la presunta cella degli orrori del carcere partenopeo: Fanpage.it ha mostrato, in un'inchiesta, come un cospicuo numero di detenuti, infatti, abbia denunciato maltrattamenti. Molti esposti sono finiti tra le mani della garante Adriana Tocco e in seguito, è stata aperta un'indagine da parte della magistratura, tutt'ora in corso. "La squadretta (di agenti) è stata smembrata - annuncia la Tocco. E la magistratura sta svolgendo le sue indagini. Sono stati interrogati molti detenuti, ma non ho ricevuto più altre denunce da quando c'è stato il cambio della guardia a Poggioreale con l'arrivo del nuovo direttore. Credo che non vi siano più maltrattamenti, naturalmente è tutto da verificare, ma non ho ricevuto altre denunce". L'affettività - I rapporti affettivi e amorosi, per le persone detenute, sono impossibili e nella maggioranza dei casi sono anche un tabù. Una privazione, questa, che incide negativamente non solo sulla singola persona e sui suoi diritti, ma sull'intera comunità detenuta. Per questo, c'è un'iniziativa-petizione di Ristretti Orizzonti "Per qualche metro e un po' d'amore in più", che chiede all'Europa di occuparsi anche delle famiglie dei detenuti e spinge per una legge che regoli in maniera meno repressiva la vita familiare e amorosa dei detenuti. Come? Una delle proposte, verso le quali la garante dei detenuti della Campania converge e sarà uno dei temi che porrà nel 2015 alle istituzioni, è quella di favorire colloqui lunghi e giornate con la famiglia. La commissione voluta da Matteo Renzi e coordinata Nicola Gratteri, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, ha ventilato tra le ipotesi quella del lavoro gratuito per i detenuti. Ipotesi che ha già incontrato la netta contrarietà di tutte le associazioni e i movimenti che si occupano di detenzione e garanzie nel sistema penale, e incontra anche il muro dei "no" dei garanti italiani: "Sono assolutamente contraria - risponde Adriana Tocco. E come me lo sono tutti i garanti". Il motivo, come intuibile, è che "in Italia non esistono i lavori forzati". Sassari: i periti nella cella dove è morto Saverio Russo, alla ricerca della verità di Gianni Bazzoni La Nuova Sardegna, 24 dicembre 2014 Sopralluogo della criminologa Roberta Bruzzone, si cercano nuovi elementi. Attesa per la copia dell'hard disk del carcere. Un contributo fondamentale per cercare la verità. Perché da una parte c'è una madre che non crede assolutamente alla tesi che il figlio si sia suicidato in una cella del nuovo carcere di Bancali ("non ne aveva alcun motivo"), e dall'altra gli elementi raccolti finora avrebbero permesso di escludere ipotesi diverse da quella di una azione (forse) dimostrativa finita tragicamente con la morte del detenuto. Da quel 6 settembre del 2014, quando Saverio Russo, 34 anni di Alghero, è stato trovato privo di vita nella sua cella, la famiglia ha cominciato una battaglia per capire realmente che cosa è successo quella sera in carcere. E per svolgere tutti gli accertamenti consentiti, ha incaricato consulenti tecnici di fama nazionale che si sono riuniti in un team e hanno iniziato a valutare tutti gli elementi disponibili. E anche a cercarne degli altri che potrebbero essere sfuggiti a un primo esame. L'inchiesta aperta dalla procura della Repubblica, e affidata al sostituto Cristina Carunchio, è al momento in fase di evoluzione e potrebbe svilupparsi anche sulla base dei risultati delle perizie (anche dei consulenti nominati dal pubblico ministero). Ieri mattina nel carcere di Bancali sono entrati la criminologa forense Roberta Bruzzone, esperta della scena del crimine e consulente scientifico di numerosi programmi televisivi, e diversi periti con competenze specifiche, tra cui Mariano Pitzianti (consulente in processi di grande rilevanza, non ultimo è stato incaricato di esaminare i filmati del sistema di videosorveglianza che riprende il boss Totò Riina mentre parla nell'ora d'aria con un altro detenuto e farebbe riferimento a minacce esplicite nei confronti del pubblico ministero di Matteo). L'attività nel carcere di Bancali si è sviluppata in maniera meticolosa: pare che siano stati realizzati filmati e foto nella cella dove è stato trovato morto Saverio Russo, rilevate misure a raccolti riferimenti in merito a orari, ingressi, modalità di accesso alla cella nella giornata in cui si è verificata la tragedia. In serata il team, del quale fanno parte anche il medico legale Pinna e gli avvocati Federico Delitala e Rita Tolu, ha effettuato quello che viene definito "il punto di situazione" e sono state fissate le strategie da seguire. Fondamentale, a questo punto, potrebbe essere la possibilità di avere a disposizione la copia completa dell'hard disk del carcere di Bancali. L'esperto forense Mariano Pitzianti - che come gli altri consulenti non ha rilasciato dichiarazioni in questa fase così delicata - avrebbe ribadito l'esigenza di ottenere l'autorizzazione per la "memoria", considerandola come unica prova certa in ambito digitale per verificare i "logs file" che registrano e conservano tutto ciò che accade in un computer e in un server. In pratica si tratta della registrazione cronologica delle operazioni man mano che vengono eseguite. E dai "logs" è possibile risalire a tutte le informazioni sull'attività del calcolatore. Il rilascio della copia forense, quindi, potrebbe risultare determinante anche per lo sviluppo delle indagini. Intanto, ieri, l'arrivo in carcere di un personaggio molto noto come Roberta Bruzzone non è passato inosservato e gran parte dei detenuti si sono interessati a quello che sta accadendo attorno a quella cella sigillata e al centro di una inchiesta complessa. Il passa parola ha messo in moto un clima di interesse finora non rilevato nel nuovo carcere sassarese, dove la morte di Saverio Russo ha aperto un capitolo che nessuno vuole chiudere frettolosamente. E meno che mai la famiglia: la madre del detenuto sta combattendo una battaglia quotidiana: "Non credo al suicidio di mio figlio - ha detto fin dal primo momento - è successa qualcosa e voglio sapere cosa. Sono fiduciosa che le indagini consentano di accedere a tutti gli atti utili per affermare la verità". Lucca: il Comune istituisce la figura del Garante dei diritti dei detenuti Adnkronos, 24 dicembre 2014 È nell'ottica di permettere la partecipazione alla vita civile, della fruibilità dei servizi e di migliorare le condizioni di vita delle persone private della libertà personale che la giunta Tambellini ha deciso di istituire la figura del garante dei diritti. Un passo importante che si muove nella direzione di dare, ad esempio, la possibilità di istruzione e formazione ai detenuti al fine di un reinserimento nel mondo del lavoro a fine pena. Un atto che esprime la volontà di garantire le dignità di tutte quelle persone che per un momento della loro vita si trovano limitate nelle proprie libertà. Nella seduta di giunta di questa mattina è stata dunque sancita l'istituzione del garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Tale figura promuoverà l'esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali delle persone che non godono più di libertà personale o limitate nella libertà di movimento. "Il Comune di Lucca - spiega l'amministrazione - riconosce l'importanza di garantire nei confronti delle persone sottoposte a misure restrittive l'erogazione delle prestazioni inerenti il diritto alla salute, il miglioramento della qualità della vita, l'istruzione e la formazione professionale e di ogni altra prestazione finalizzata al recupero, alla reintegrazione sociale e all'inserimento nel mondo del lavoro". Tale figura dovrà promuovere una cultura dell'umanizzazione della pena anche mediante iniziative di sensibilizzazione pubblica sui temi dei diritti umani fondamentali, operando di intesa con le altre istituzioni pubbliche per la fruizione di tutti i diritti delle persone detenute e limitate nelle libertà personale. Per questo è stato dato mandato alla segreteria generale di predisporre una modifica allo statuto comunale per inserirvi la figura del garante per i diritti delle persone private della libertà personale e di redigere la bozza di regolamento per l'esercizio delle funzioni del garante da sottoporre al consiglio comunale entro la fine di febbraio 2015. Rimini: aggressione in carcere, detenuto portato in ospedale d'urgenza www.riminitoday.it, 24 dicembre 2014 Un tunisino 23enne mandato al tappeto dal violento pugno di un albanese che era stato portato in infermeria per un precedente alterco. Violenta aggressione, martedì mattina, nel carcere riminese dei "Casetti" con un detenuto, un tunisino 23enne, ricoverato in ospedale per la frattura del naso. Tutto è iniziato nella tarda mattinata quando, in una sezione della Casa Circondariale, due detenuti fuori dalle celle hanno iniziato a litigare furiosamente. A discutere per futili motivi erano un albanese e un magrebino i quali, prima che accadesse il peggio, sono stati divisi dal pronto intervento della polizia Penitenziaria. Lievemente contuso è stato l'albanese che, prima di essere riportato in cella, è stato trasferito nell'infermeria per essere medicato. Mentre il medico visitava lo straniero, nell'infermeria era presente il tunisino 23enne che, come lavorante, stava pulendo i pavimenti. Il nordafricano ha chiesto all'albanese cosa fosse successo e, per tutta risposta, l'uomo lo ha aggredito sferrandogli un violentissimo pugno al volto che lo ha mandato letteralmente al tappeto lasciandolo privo di sensi. Dopo le prime cure, il 23enne è stato trasportato d'urgenza al pronto soccorso dell'Infermi per le cure del caso. "Nonostante le rassicurazioni delle istituzioni - commenta il delegato regionale del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), Massimiliano Vitale - la situazione all'interno dei Casetti è molto preoccupante soprattutto in questo periodo di festività che vede, oltre alla cronica carenza di organico di 30 unità, una ulteriore riduzione del personale per le ferie natalizie e che rischia di aggravare una condizione già instabile. A tutto questo si aggiunge la mancanza di un direttore in pianta stabile, che non debba dividersi con altre sedi. Speriamo che il 2015 sia l'anno della svolta e che metta la parola fine a una situazione che si è già protratta per troppo tempo". Milano: "Sartoria Borseggi", al Museo Bagatti le shopper dei detenuti di Opera Corriere della Sera, 24 dicembre 2014 Sembrava una collaborazione impossibile, si è rivelata un successo: così gli artigiani reclusi hanno conquistato una vetrina prestigiosa. Sulla carta la distanza è siderale. Mondi diversi, non abituati a frequentarsi. La storica casa dei baroni Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi ha un indirizzo nel quadrilatero. Quella dei detenuti è defilata nella campagna di Opera. Una liaison impossibile. E invece è nata, diventando un progetto etico-imprenditoriale vincente. Giugno 2013: Elisabetta Ponzone e Federica Della Casa della cooperativa Opera in Fiore bussano in via del Gesù. Hanno incassato un'interminabile serie di no: da aziende, imprenditori, istituzioni private. Quando ti chiudono tante porte in faccia è difficile tirare dritto. Loro alzano il tiro. Sanno che il Museo Bagatti Valsecchi ha un negozio interno e loro hanno una piccola collezione realizzata dai detenuti della Sartoria Borseggi - interna al carcere di Opera - da vendere. Borse in tessuto, semplici ma eleganti. Lucia Colombari, responsabile del marketing, le ascolta paziente. Riflette. Ricorda la passione dei due baroni, uomini di legge con la vocazione del design. Molti degli oggetti che si ammirano nella Casa Museo sono stati disegnati da loro. Forse non è proprio un vero punto in comune, ma è l'inizio. Il Museo ha appena esaurito le shopper. Un oggetto apparentemente comune, in realtà, come sottolinea Colombari, "importante veicolo di comunicazione". La decisione è presa: al posto di un fornitore qualsiasi, i sarti del carcere. "Una scelta di campo", tiene a precisare, "chi le acquista diventa paladino dell'immagine del museo e sostenitore della sartoria sociale". Le borse, in tela olona, realizzate nei colori della dimora dei Bagatti Valsecchi, bordeaux, giallo oro, verde scuro, compaiono sugli scaffali del negozio a luglio. Bruciate in poche settimane. Parte subito un secondo ordine, con una produzione più ampia. "Shopper di diverse dimensioni e poi una novità, la wine bag, per accompagnare il dono di una bottiglia di vino", spiega Elisabetta Ponzone. Le vendite filano veloci. Si può azzardare di più. A metà di questo anno nasce una nuova linea, pensata appositamente per il Museo: tovagliette all'americana, grembiuli, cake bag, pochette. Vittoria piena, la collezione artigianale della Sartoria Borseggi incontra il gusto di turisti italiani e stranieri. "È l'espressione del riscatto, il progetto che promuove la strada della seconda opportunità", dice Paolo (nome di fantasia), il sarto detenuto, oggi libero, che ha ripreso a cucire in carcere e ha insegnato ai compagni di cella l'arte dell'ago e del filo. Tempio Pausania: la ludoteca per i figli dei detenuti, inaugurata dal vescovo Sanguinetti di Angelo Mavuli La Nuova Sardegna, 24 dicembre 2014 La casa di reclusione di Nuchis è stata teatro, ieri pomeriggio, di un evento di grande valenza sociale che così come altri eventi importanti, sempre di carattere culturale e sociale, accende nuove luci di speranza sul "Pianeta Carcere". Alla presenza del vescovo di Tempio, monsignor Sebastiano Sanguinetti e di altre autorità, sotto la sapiente regìa di Carla Ciavarella, direttore della struttura, è stata inaugurata, presso il reparto della sala colloqui dove i detenuti, incontrano i loro parentii, una ludoteca le cui pareti sono state colorate con le immagini degli eroi di Walt Disney dall'artista aggese, Simone Sanna. L'ampio locale è stato anche dotato di diversi giochi per i bambini, altalene, scivolo, tappeto elastico, seggioline, banchetti colorati, costruzioni ed altri giochi ancora. "Si tratta - ha spiegato la Ciavarella, di una donazione dell'Avis provinciale della provincia Olbia Tempio e delle Avis comunali che in occasione del Natale hanno indirizzato la loro generosità verso i bambini, figli di detenuti che qui potranno intrattenersi giocando in un ambiente più consono alla loro età, quando vengono per incontrare i loro papà. Il rapporto tra figli e genitori detenuti - spiega ancora la direttrice del carcere,, che sta facendo della struttura nuchese un penitenziario all'avanguardia, è un problema di cui si parla poco, anche se interessa un numero di persone certamente elevato. Il fenomeno è molto importante e deve essere affrontato sia per tutelare i diritti dei bambini sia per promuovere la genitorialità in carcere sostenendo il detenuto a riacquisire il suo ruolo interrotto dalla detenzione. Facilitare e accompagnare gli incontri, oltre a restituire dignità agli affetti - aggiunge la Ciavarella (che si sta contraddistinguendo anche, assieme anche alla professoressa Patrizia Patrizi dell'Università di Sassari, nella diffusione e nella conoscenza dell'Istituto della Giustizia riparativa),valorizza la funzione genitoriale altrimenti destinata ad inaridirsi". Subito dopo l'inaugurazione della ludoteca, ospiti della struttura e visitatori assieme, hanno assistito alla tradizionale messa di Natale per i detenuti, celebrata dal vescovo nella cappella del penitenziario. Il sacro rito è stato animato dai suggestivi canti gospel del Coro "The popular voices gospel and friends di Telti" che si è integrato con le voci dei detenuti del carcere di Nuchis dando vita al gruppo "Il Miracolo del Gospel". Cuneo: Viceministro Costa visita carceri della provincia "grazie alla Polizia Penitenziaria Il Velino, 24 dicembre 2014 Ieri mattina, il Viceministro della Giustizia Enrico Costa si è recato in visita presso le carceri di Cuneo, Fossano e Saluzzo. Accompagnato dal Provveditore vicario Ester Ghiselli e dal Garante dei detenuti del Piemonte Bruno Mellano, il Viceministro ha voluto esprimere un ringraziamento particolare a tutto il Corpo della Polizia Penitenziaria e agli operatori carcerari per il lavoro svolto nel 2014. "Un'attività complessa - ha commentato Costa - non visibile all'esterno e in molti casi rischiosa, che troppo spesso viene data per scontata. Un lavoro che migliaia di uomini e donne svolgono ogni giorno silenziosamente, tra le tante difficoltà connesse al sovraffollamento carcerario, contro il quale sono stati compiuti importantissimi passi in avanti. A loro va il riconoscimento dello Stato". Costa ha poi incontrato alcuni detenuti nelle aree del Carcere di Cuneo adibite alle attività di studio. È stata l'occasione per un confronto sull'urgenza di favorire il lavoro dei detenuti come strumento di reinserimento nel tessuto sociale. "Troppo spesso - ha affermato il Viceministro - il detenuto ideale è considerato colui che trascorre le giornate in cella nell'ozio. Questo è sbagliato. È fondamentale che venga premiata la voglia di fare, di rimettersi in gioco nella legalità. I detenuti devono essere messi in condizione di lavorare e di acquisire professionalità: è questa la carta vincente da giocare una volta tornati in libertà. Ciò infatti combina l'esigenza della certezza della pena con la sua primaria ed essenziale funzione rieducativa". Con quattro istituti di pena - Cuneo, Saluzzo, Fossano e Alba - la Granda è tra le province italiane con il maggior numero di carceri. In particolare, a Cuneo operano 216 unità di personale del Corpo della Polizia Penitenziaria, su un totale di 248 unità previste in organico. I detenuti sono 275, di cui 90 stranieri. A Saluzzo sono impiegate 205 unità di personale, su 256 previste in organico. I detenuti sono 239 (è in costruzione un nuovo padiglione da 200 posti), di cui 97 stranieri. A Fossano il personale effettivo ammonta a 81 unità su 101 previste in organico. 47 i detenuti, di cui 33 stranieri. Bologna: convenzioni Comune con le Associazioni, sempre più volontariato nelle carceri www.radiocittadelcapo.it, 24 dicembre 2014 Per il terzo anno consecutivo il Comune di Bologna ha concluso le convenzioni con la associazioni Altro Diritto, e da quest'anno si è aggiunta la Associazione Coltivare Cittadinanza. I ruoli delle due associazioni sono distinti, la prima offre consulenza e supporto giudiziario per i detenuti, la seconda elabora progetti di inserimento lavorativo nel mondo dell'agricoltura. A fronte dei constanti tagli alle risorse prodotti dai governi attraverso le leggi finanziarie la funzione di recupero e reinserimento che le carceri dovrebbero assolvere sono completamente affidate al volontariato offerto da queste associazioni. Infatti la convenzione, conclusa con il Comune attraverso l'ufficio del garante dei diritti delle persone private della libertà personale, prevede l'erogazione di un fondo di finanziamento alle associazioni. Il denaro disposto però è solo un rimborso spese e viene utilizzato dai volontari di Altro Diritto per "garantire ai detenuti una vita dignitosa", aiutare nelle spese "i detenuti che non ricevono pacchi da casa" e per i quali risulta difficile persino comprare sapone e dentifricio per la propria igiene personale, "vivono in una condizione di povertà durissima". Per capire la gravità della situazione, continua il presidente di Altro Diritto prof. Santoro, si tenga conto che "l'amministrazione penitenziaria ha a disposizione per colazione, pranzo e cena dei detenuti 2,60 euro". Oltre a garantire una vita dignitosa durante la permanenza penitenziaria, l'associazione ha come scopo principale quello di offrire consulenza extragiudiziaria che, a detta del garante Elisabetta Laganà, ha svolto un ruolo fondamentale nei numerosi ricorsi presentati dai detenuti dopo la proclamazione dell'incostituzionalità della Fini-Giovanardi e della sentenza Torreggiani della Corte Europea dei Diritti Umani sul sovraffollamento delle carceri. In questo senso, ha continuato la Laganà, il ruolo dell'associazione è cruciale per sventare le condizioni che porterebbero l'Italia ad essere nuovamente sanzionata dall'Ue per le condizioni di detenzione a cui vengono sottoposti i detenuti. Inoltre, all'interno del carcere minorile del Pratello, Altro Diritto propone laboratori che vanno dalla musica, al cinema, alla cura del corpo fino addirittura al progetto di creazione di una radio che trasmetta dall'interno del carcere. Anche per il direttore del carcere minorile Alfonso Paggiarino, sarebbe impossibile realizzare tutte queste attività dato il poco personale a disposizione. I risultati nel carcere minorile si vedono, tutti i 19 detenuti partecipano ai laboratori, in attesa che si realizzi l'idea di cancellare la detenzione minorile in carcere sostituendola con un inserimento in comunità. Se Altro Diritto opera all'interno delle strutture carcerarie, il progetto di Coltivare Cittadinanza, già attivo da tempo, si misurerà da quest'anno con i detenuti, portandoli all'esterno inserendoli in attività lavorative di aziende agricole del territorio. Il progetto coinvolgerà anche la cittadinanza, attraverso attività di recupero degli spazi per la coltivazione bio. Sia i direttori delle carceri Paggiarino e Clementi, che i presidenti delle associazioni sono unanimi su un punto: la via da seguire per migliorare il sistema carcerario italiano è quella della promozione di una "cultura della messa alla prova", dove i condannati per pene inferiori ai tre anni abbiano l'opportunità di lavorare o compiere attività socialmente utili, piuttosto che essere costretti all'inattività in una cella, alle spese dello Stato. Foggia: il Natale in carcere dell'associazione Radicale "Mariateresa Di Lascia" www.radicali.it, 24 dicembre 2014 L'Associazione radicale Mariateresa Di Lascia della provincia di Foggia, come nella tradizione radicale, trascorrerà nel carcere di Foggia il giorno di Natale. L'Associazione, che già dal 13 dicembre, aderisce al Satyagraha radicale, promosso da Marco Pannella, con un digiuno a staffetta di militanti e simpatizzanti, ritiene indispensabile ancora una volta entrare nel carcere di Foggia per verificare le condizioni di vita e di salute dei detenuti e quelle di lavoro del personale della Polizia penitenziaria. "Entriamo nel carcere di Foggia", ha dichiarato il segretario dell'Associazione, Norberto Guerriero, "per ribadire la nostra convinzione di superare la "prepotenza urgenza" della condizione dei detenuti e riaffermare la necessità di una amnistia e di un indulto, che soli potrebbero garantire una nuova stagione di riconoscimento dei diritti. La riforma vera della Giustizia, l'amnistia e l'indulto nelle carceri, il riconoscimento del reato di tortura sono solo alcuni dei passi necessari per far sì che l'Italia torni ad essere una vera democrazia e non una democrazia reale". Come Marco Pannella, come la segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, da giorni impegnati in visite nelle carceri italiane, l'associazione Mariateresa Di Lascia trascorrerà questo Natale accanto ai cittadini detenuti, il 25 dicembre alle ore 10.00 Norberto Guerriero e Maria Rosaria Lo Muzio entreranno nel carcere di Foggia, in contemporanea con quanto accadrà in molte altre carceri italiane, nelle quali entreranno militanti di Radicali Italiani e delle altre Associazioni radicali territoriali. L'associazione Mariateresa Di Lascia, inoltre, nel porgere i suoi più sentiti auguri di buon Natale all'amministrazione comunale, torna a chiedere al sindaco di Foggia e a tutto il consiglio comunale la nomina di un Garante comunale per i detenuti, figura indispensabile affinché il carcere di Foggia, venga riconosciuto come parte integrante del territorio comunale e i cittadini detenuti come cittadini, al pari degli altri, della comunità foggiana. L'Associazione radicale invita tutti i cittadini della provincia di Foggia che condividono questi obiettivi ad unirsi ai componenti dell'Associazione in questa staffetta di lotta nonviolenta, dando la propria adesione a questo documento e di comunicare la propria disponibilità via mail all'indirizzo: associazionedilascia@gmail.com o telefonicamente al numero 3452887496. Palermo: carcere dell'Ucciardone, la Caritas inaugura una cappella per detenuti e agenti www.palermotoday.it, 24 dicembre 2014 Alla cerimonia, avvenuta questa mattina all'interno dell'istituto penitenziario, ha preso parte il direttore della Caritas, don Sergio Mattaliano. "Gesù nasce soprattutto nei luoghi di sofferenza. Questo sarà un posto in cui ritrovare la speranza". Un luogo sacro dove poter pregare, riflettere e riservarsi un momento di raccoglimento con Dio, per chi vive ogni giorno la dura realtà carceraria. È stata inaugurata stamattina, all'interno dell'istituto penitenziario Ucciardone, la cappella della Rotonda, ristrutturata e restaurata dopo anni d'abbandono. I lavori, realizzati dall'Opificio delle arti del maestro vetraio Calogero Zuppardo, sono stati voluti da frate Carmelo Saia, cappellano del carcere, in collaborazione con la Caritas e la Diocesi, che hanno contribuito e sostenuto il rifacimento dell'altare, del tabernacolo e della vetrata. Posizionata nell'area centrale dell'istituto, la cappella era inutilizzata da anni. "Quando quattro anni fa arrivai per la prima volta in qualità di cappellano di questo istituto penitenziario - racconta frate Carmelo Saia -, vidi questa cappella completamente inutilizzata e abbandonata. Capì da quel segno che occorreva fare un duro lavoro di riavvicinamento al Signore in chi ogni giorno viveva, agenti e detenuti, la difficile e sofferente realtà del carcere. Arrivai e dissi subito che io ero il cappellano di tutti: personale, poliziotti penitenziari e carcerati. Senza distinzione alcuna. Occorreva ripartire proprio da quella cappella, centrale rispetto alle altre sette distribuite la sezioni e posizionata nell'area della Rotonda, dove ci sono gli uffici e il personale". "Iniziai - continua - facendo ripulire la stanza e acquistando un piccolissimo tabernacolo, dove è custodito il Santissimo, e lo feci fissare sul davanzale della finestra, non a caso dove entra la luce esterna, come simbolo della luce del Signore che entra in un luogo buio, escluso dal resto della società come quello carcerario". Inizia così nella scorsa primavera la ristrutturazione con il rifacimento del tabernacolo e della vetrata che l'accoglie. A partecipare all'opera anche un gruppo di detenuti inseriti nel percorso di riabilitazione, che li vede impegnati in diversi lavori all'interno dell'istituto (dalla falegnameria, alla cucina, dalla tinteggiatura alla pulizia). "Un primo segno - precisa frate Carmelo - che Dio c'è sempre ed è vicino anche nel sofferente periodo della detenzione". "Questa cappella è per noi un luogo importante dove poter rivolgerci a Dio e pregare quando ne abbiamo più bisogno - aggiunge il direttore dell'istituto, Rita Barbera. Il nostro è un lavoro complesso, carico di emozioni e che spesso ci coinvolge direttamente, implica noi stessi. Non è facile tenere a bada le emozioni. Non è facile lavorare all'interno di un carcere. Sapere che il Signore è vicino a noi, vedere la sua presenza attraverso questa cappella ci dà segno tangibile della sua vicinanza". Un'inaugurazione che si colloca in un momento particolare, quello dell'anniversario dell'agente della polizia penitenziaria, Giuseppe Montalto, ucciso il 23 dicembre 1995. "Non ci poteva essere momento migliore come quello del Natale che è ormai alle porte. La cappella centrale - afferma Sergio Mattaliano, direttore della Caritas Palermo - sarà uno spazio del carcere importante, di cui ne potranno fruire non solo i detenuti ma anche i dipendenti. Gesù nasce soprattutto nei luoghi di sofferenza come questo in cui ci sono persone in questo momento private della libertà e degli affetti più cari. La cappella sarà il luogo dove chi vorrà potrà trovare il momento più opportuno per raccogliersi in preghiera e ritrovare pace e speranza. Questo sarà solo l'inizio di un'attenzione che Caritas porterà avanti nell'area carceraria, attraverso dei progetti che sono già in cantiere e che saranno realizzati quanto prima". "La nostra attenzione verso il mondo carcerario è l'attenzione della Chiesa verso chi ha peccato e, con impegno e volontà, vuole ricominciare una vita nuova - spiega Anna Cullotta, responsabile dell'area Promozione Umana di Caritas Palermo. Da anni ci occupiamo di stare al fianco di chi ha sbagliato e vuole però riparare ai propri errori. Per loro cerchiamo di offrire un'alternativa possibile di rieducazione e di reinserimento sociale, sia all'interno del carcere che all'esterno, attraverso il loro impegno nel volontariato o delle borse lavoro. Grande supporto è dato anche alle loro famiglie e ai figli, lavorando verso un percorso di ricongiungimento familiare". A tal proposito, sabato 27 dicembre la Caritas regalerà alle famiglie dei detenuti e ai loro bambini dei presepi natalizi, realizzati dalle famiglie cristiane di Betlemme, minoranza religiosa che padre Sergio Mattaliano ha voluto sostenere acquistandone i manufatti Vallo della Lucania (Sa): i detenuti incontrano vescovo e sindaci La Città di Salerno, 24 dicembre 2014 Poesie della poetessa Alda Merini per salutare il vescovo Ciro Miniero, i sindaci Antonio Aloia e Eros Lamaida, rispettivamente di Vallo e Castelnuovo Cilento. Così i detenuti del carcere di Vallo hanno aperto ieri l'incontro con le autorità in occasione del Natale. "Dette da voi queste poesie - ha sottolineato il vescovo - esprimono una forza di libertà ed un bene che contagia tutti". I detenuti gli hanno donato un'opera in legno rappresentante la Natività, fatta con le loro mani, e Miniero ha ricambiato con un abbonamento a Sky per le partite di calcio. "Da ormai 3-4 anni - spiega la direttrice del carcere Maria Rosaria Casaburo - i detenuti fanno teatro grazie alla collaborazione gratuita di Mirko Ferro. Rappresenta un un'occasione di riflessione prima che di svago". "Le poesie di stamane - aggiunge -tratte dalle raccolte di Alda Merini, che ha vissuto l'esperienza del manicomio, in un luogo come questo assume un valore pregnante". Il carcere vallese ospita ad oggi 55 detenuti, tra i 20 e 60 anni che hanno compiuto reati di riprovazione sociale (pedofilia ed altro). Devono scontare dai 3 ai 7 anni di detenzione. "Siamo un carcere aperto - sottolinea la direttrice - che cerca di fornire ai detenuti strumenti per il reinserimento sociale. Vengono coinvolti infatti in corsi di cuoco, restauro mobili antichi, pizzaiolo. In questo è importante l'interazione con le altre agenzie del territorio come i comuni, la scuola, la regione, le associazioni di volontariato. Il messaggio che voglio che passi - precisa - è che non siamo dame della carità ma neppure aguzzini il compito che svolgiamo è quello del contenimento e prevenzione della recidiva". Palermo: "Natale con i miei", spettacoli e giochi per i familiari dei detenuti di Maria Grazia Sclafani www.loraquotidiano.it, 24 dicembre 2014 Per la prima volta nella storia del carcere, oltre cento bambini da 0 a 14 anni potranno trascorrere un Natale in compagnia dei parenti detenuti ed assistere allo spettacolo "Fiato di madre… e voglio dire" di Sergio Vespertino. A Palermo ci sono bambini che tornando a casa fronteggiano una situazione completamente differente da quella del classico focolare: sono i figli dei detenuti, per i quali quest'anno l'associazione culturale 90100 ha promosso un progetto speciale. "Natale con i miei", finanziato dal Comune di Palermo nell'ambito delle manifestazioni natalizie di quest'anno per la sezione tematica "Il Natale è la Città", aprirà fino a martedì 6 gennaio le porte del Carcere Borbonico dell'Ucciardone ai familiari dei detenuti per consentire a bambini e adolescenti, che vivono il trauma della separazione, di passare del tempo con il proprio padre. In particolare, per la prima volta nella storia del carcere, oltre cento bambini da 0 a 14 anni potranno trascorrere un Natale in compagnia del loro padre grazie all'iniziativa di sabato 27 dicembre, giornata durante la quale verrà allestito "Il Giardino di Babbo Natale", un'oasi fiabesca che comprenderà la casetta di Babbo Natale, maxi-giochi, allestimenti scenografici e decorazioni in tema natalizio-fantasy. Una giornata per garantire ai piccoli quella serenità che non gli è consentita durante il resto dell'anno: la loro situazione li rende infatti a grave rischio di discriminazione ed esclusione sociale. Il pensiero va inoltre anche a quei detenuti che non potranno godere del conforto familiare: per loro, sabato 3 gennaio, verrà messo in scena "Fiato di madre… e voglio dire" di Sergio Vespertino. L'importanza di "Natale con i miei" è davvero elevata: l'iniziativa mira alla riscoperta della condivisione e punta ad ispirare un cambiamento culturale. A dare maggiore valore al progetto sono anche le partnership: quella del Teatro Biondo che donerà dei biglietti per spettacoli per ragazzi; quella con la Casa di Reclusione Ucciardone di Palermo, le donazioni di Banca Nuova Palermo, la sponsorizzazione della Coop Sicilia per il pic-nic natalizio del 27 dicembre. Lanciano (Ch): "Match di Improvvisazione Teatrale", detenuti sono attori per un giorno www.lancianonews.net, 24 dicembre 2014 Un cancello, una porta che si chiude sonoramente alle spalle e subito un'altra si apre immediatamente davanti. Poi un corridoio in cui la luce lascia il posto al freddo di alte mura grigie, con tanti occhi curiosi ed un po' imbarazzati che guardano da dietro le sbarre, fino ad arrivare al "Piccolo teatro Fedele Fenaroli". È questo il percorso che si fa per arrivare nel teatro della Casa Circondariale di Lanciano. E questa mattina, lì, 7 detenuti/attori sono stati i protagonisti di un divertentissimo Match di Improvvisazione Teatrale, a cura di Stefano Angelucci Marino e Rossella Gesini. Lo spettacolo, a conclusione di un corso durato quasi un anno, si inserisce in quel lavoro di rieducazione e reinserimento che sta alla base della detenzione. Ed a guardare gli occhi felici e soddisfatti dei detenuti, l'esperimento è riuscito. "Per noi queste attività sono molto importanti - ha affermato la direttrice del penitenziario Lucia Avantaggiato - perché danno la possibilità ai nostri ragazzi di mettersi alla prova, di esprimere la propria creatività e di scoprire cose nuove". "Ragazzi emozionati, carichi, lanciati in ogni improvvisazione e pubblico in delirio - è il commento di Angelucci Marino - siamo davvero contenti e soddisfatti. I detenuti/attori sono stati fenomenali, giocare con l'improvvisazione lì dentro, sulla propria condizione poi, facendo ironia, autoironia, non è semplice". Uno spettacolo coinvolgente, divertente, in cui a ridere non è stato solo il pubblico, ma anche gli stessi attori, visibilmente contenti ed emozionati per il traguardo raggiunto e per la possibilità, anche se per una sola mattinata, di vivere momenti diversi dal solito e vedere facce nuove. "È importante che voi siate qui - ha detto ancora la Avantaggiato - perché il carcere è parte integrante del territorio, ed è fondamentale che gli "esterni" conoscano questa realtà per davvero e non solo per stereotipi". Sì, perché lo stereotipo di galeotto tutto muscoli e tatuaggi, a poche ore dal suono del Squilla, si scontra con la realtà di persone normali, con occhi vivi e voglia di una stretta di mano, di approvazione e di un contatto umano che forse è ciò che, dietro le sbarre, manca di più. Cagliari: Socialismo Diritti Riforme; primo natale in Cappella Casa Circondariale Uta Ristretti Orizzonti, 24 dicembre 2014 "Fervono i preparativi nella Cappella della Casa Circondariale di Cagliari-Uta per la celebrazione della Santa Messa di Natale, la prima della nuova storia detentiva avviata con l'apertura del Villaggio Penitenziario dopo l'addio a Buoncammino. Una rinnovata occasione per riflettere sul significato del reato, della pena e per esprimere la vicinanza della società a chi vive la privazione della libertà". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", che interverrà con alcuni dei soci all'appuntamento in programma alle 8.30 del 25 dicembre. "Le Festività - rileva - sono vissute con particolare angoscia dalle detenute e dai detenuti. In particolare il Natale, molto sentito dai fedeli, richiama con forza la lontananza dagli affetti più cari, ciò soprattutto quando a casa ci sono figli minori. L'annuale ricorrenza, a cui ha aderito come sempre l'arcivescovo di Cagliari Mons. Arrigo Miglio che celebrerà la funzione, acquista quindi un significato intenso di fede e di speranza. È un momento di riflessione anche per i volontari che operano all'interno della struttura e per l'intera comunità". "Il trasferimento nel Villaggio Penitenziario di Uta, avvenuto solo poche settimane fa ha visto notevolmente impegnati il Cappellano Padre Massimiliano Sira, il Diacono Mario Marini e Suor Angela Niccoli nell'allestimento della nuova Cappella dove la mattina di Natale troveranno posto circa 180 detenuti. Dopo quella nella sezione maschile, la Messa - conclude la presidente di Sdr - sarà celebrata al Femminile, dove attualmente sono recluse una quindicina di donne". Ad accogliere gli ospiti, Mons. Miglio e i celebranti, oltre al Direttore Gianfranco Pala e alla Comandante Alessandra Uscidda, saranno presenti le vice Comandanti di Reparto Manuela Coiana e Barbara Caria. Rossano Calabro (Cs): l'arcivescovo Giuseppe Satriano ieri è stato in visita ai detenuti www.agensir.it, 24 dicembre 2014 L'esperienza cristiana "serve" a "costruire una comunità di uomini e donne che, mediante la lode liturgica e la vita quotidiana, sappiano giungere, nella responsabilità delle scelte, ad uno stile di vita fatto di sobrietà, di condivisione e di solidarietà". Lo scrive l'arcivescovo di Rossano-Cariati, monsignor Giuseppe Satriano, nel suo primo messaggio natalizio alla diocesi. "Buon Natale a ciascuno, a chi si impegna per il bene comune e a chi - scrive il presule - è custode della cosa pubblica, ad ogni famiglia, a credenti e non credenti, ad ogni membro di questa comunità ecclesiale e a coloro che sono ospiti della nostra terra". Ieri il presule si è recato in visita presso la Casa circondariale di Rossano dove ha presieduto l'Eucaristia. Ai detenuti ha voluto consegnare "significativamente come primi destinatari" il suo messaggio. Durante la celebrazione, i detenuti hanno fatto dono di una raccolta di viveri, frutto delle loro rinunce durante il periodo di Avvento e destinata alla Casa di accoglienza per ragazze madri "Rosa Virginia" di Rossano Centro. Monsignor Satriano ha sottolineato "l'importante gesto di comunione e condivisione" affermando che è "bello come i poveri siano capaci di aiutare altri poveri". Roma. "Musica dentro", un Natale insieme nel carcere di Regina Coeli www.silviariccio.it, 24 dicembre 2014 Il 23 dicembre 2014, alle ore 16, l'evento organizzato dall'Associazione A Roma insieme per condividere i momenti di creatività vissuti dai detenuti che partecipano al Laboratorio di musicoterapia di Silvia Riccio. Il Laboratorio di Musicoterapia nella Casa circondariale di Regina Coeli vuole essere un contenitore nel quale ciascun partecipante può liberamente esprimere i propri stati d'animo, i propri vissuti e le proprie emozioni. Per far ciò, Silvia Riccio, che cura il Laboratorio di Musicoterapia insieme ad Alessandro Fea, stimola ogni partecipante ad utilizzare la mimica, la drammatizzazione, il corpo, i gesti e il suono come strumenti per relazionarsi e comunicare con se stessi e con gli altri. Il fine di questo Laboratorio di Musicoterapia, voluto ed organizzato dall'associazione A Roma Insieme - Leda Colombini, è quello di "educare" i detenuti, di "e-ducere", cioè "portar fuori", quindi stimolarli a manifestare quel che hanno dentro, le proprie facoltà intellettuali, fisiche e morali. "Musica dentro… insieme a Natale" nasce da un'idea della stessa Silvia Riccio, poi fatta propria dai detenuti che l'hanno sviluppata in autonomia all'interno del Laboratorio di Musicoterapia per essere proposta e presentata a Silvana Sergi e Margherita Marras, la prima direttrice e la seconda capo area trattamentale della Casa circondariale di Regina Coeli, a Gioia Passarelli, presidente dell'associazione A Roma Insieme - Leda Colombini, nonché a quanti saranno presenti all'evento. Firenze: dal carcere al calcio, premiati i ragazzi al torneo tra studenti e coetanei detenuti Ansa, 24 dicembre 2014 Dal carcere minorile allo sport: si è svolta oggi a Firenze la cerimonia di premiazione del primo torneo di calcio #OpenCarcere, svoltosi durante lo scorso anno scolastico, che ha visto partecipare gli studenti di vari istituti di scuola media superiore di Firenze e provincia di entrare in contatto con coetanei detenuti, i quali hanno formato una squadra con cui hanno partecipato alla competizione. L'iniziativa ha visto la partecipazione della Consulta Provinciale degli Studenti di Firenze. "Lo sport ci ha permesso di fare un percorso rivoluzionario: tanti di questi ragazzi entravano e uscivano dal carcere, oggi abbiamo gruppi sportivi all'esterno dove questi ragazzi possono proseguire l'attività sportiva, e il progetto ha consentito di far fare percorsi educativi importanti ai ragazzi", ha spiegato Andrea Mirannalti, responsabile del progetto psicomotorio del Centro di solidarietà di Firenze, che da cinque anni in collaborazione con lo Uisp sviluppa il progetto sportivo del carcere minorile Meucci. India: il premier Renzi "che pasticcio sui marò…", soluzione diplomatica in salita di Francesco Grignetti La Stampa, 24 dicembre 2014 Il premier a colloquio con Napolitano: "Ora è il tempo di tacere". Da Palazzo Chigi filtra l'insoddisfazione per il mancato dialogo. "Un incredibile pasticcio combinato per errori grossolani". È scorato il commento di Matteo Renzi, alle prese con il caso dei marò trattenuti in India. Il suo governo se ne occupa da dieci mesi. Nel frattempo il premier ha sperimentato sulla sua pelle l'altalena di speranze e disillusioni che punteggiano un "affaire" apparentemente infinito. Non più tardi di 48 ore fa, il Presidente della Repubblica si era sfogato per le "sordità" dell'India. E ieri mattina il presidente del Consiglio ne ha parlato al Quirinale con il Capo dello Stato, avvertendo che "per la prima volta in tre anni il governo indiano ha espresso il desiderio di una soluzione condivisa con il governo italiano: il mio governo è assolutamente impegnato a corrispondere a questo impegno per una soluzione condivisa". Ma questo non significa facile ottimismo. Anzi. "Tutto quello che dobbiamo dire lo abbiamo già detto. Ora è il momento di non aprire la bocca", scandisce Renzi ai microfoni di Rtl. Sono stati tre anni di docce fredde. L'ultima è la Corte suprema indiana che ha negato la "licenza natalizia" a Salvatore Girone e un'estensione della convalescenza a Massimiliano Latorre. Eppure in Italia qualcuno si era illuso, anche ai piani alti dell'Esecutivo, che la giustizia indiana stavolta avrebbe dato una risposta diversa. Così non è stato. Ed è stato un duro risveglio innanzitutto per Renzi, che aveva avuto ben diverse informazioni, e nutriva fondate speranze di chiudere il 2014 con un clamoroso successo diplomatico. Il premier all'epoca aveva motivo di essere ottimista. Molti canali erano stati aperti silenziosamente tra Italia e India. Non solo quelli giudiziari, ma anche diplomatici e politici. Né era mancato un mandato esplorativo per i nostri servizi segreti. Una classica operazione di "diplomazia parallela" per sondare gli interlocutori a livello di intelligence. Pare che il direttore dei nostri servizi, l'ambasciatore Gianfranco Massolo, avesse più di un dubbio sul risultato finale, ma dato che il governo chiedeva, anche quel tipo di contatti erano stati avviati. Nel tempo si sono affacciati in India il sottosegretario ai servizi, Marco Minniti, e il responsabile dell'Aise, il generale Alberto Manenti. E a un certo punto è sembrato davvero che quanto non riusciva alla diplomazia ufficiale sarebbe riuscito alla diplomazia parallela. Errore. Se il vecchio governo indiano si era dimostrato risoluto nel negare ogni spazio di trattativa in quanto Sonia Gandhi aveva da scontare il peccato originario della sua nascita in Italia, il nuovo governo di New Delhi, guidato dal nazionalista Narendra Modi, aveva ancora più motivi di prima per essere irremovibile. Questione di coerenza. Modi ha vinto le elezioni anche grazie al caso Marò, infiammando le folle contro l'arroganza occidentale. Non poteva certo cedere di schianto. Di questa ipersensibilità di New Delhi c'erano tracce anche sui giornali locali di ieri. Secondo indiscrezioni, l'Italia avrebbe proposto una soluzione all'italiana: scuse formali all'India e ricco risarcimento alle famiglie in cambio di un perdono giudiziale. È davvero questa la proposta all'esame del governo Modi? "Assolutamente no - affermano fonti di palazzo Chigi. Semmai dovrebbe essere l'India a chiedere scusa per aver trattenuto i due militari italiani per tre anni in India senza nessun capo di imputazione. L'Italia, sottolineano le stessi fonti, è un Paese che si vuole ancora bene, ricco di storia, cultura e dignità". Stati Uniti: pena morte; l'Arizona e l'Oklahoma sfidano Onu "ok a iniezione letale" Ansa, 24 dicembre 2014 Oklahoma e Arizona sfidano l'Onu: entrambi gli stati hanno dato nuovamente il via alle esecuzioni, fermate dopo la morte di due condannati sul lettino dell'iniezione letale dopo raccapriccianti e prolungate agonie. "L'iniezione letale è più umana della forca", ha giustificato il verdetto il giudice Stephen Friot della Corte Federale Distrettuale di Oklahoma City. Solo la settimana scorsa, con un voto record di 117 "sì" l'Assemblea Generale dell'Onu aveva esortato gli stati membri delle Nazioni Unite ad adottare una moratoria della pena di morte in vista della sua totale abolizione. All'indomani del voto, Giordania e Pakistan hanno ridato il via al boia, il cui lavoro era stato sospeso rispettivamente nel 2006 e 2008. In Oklahoma la moratoria di fatto era in vigore da aprile quando il condannato Clayton Lockett aveva impiegato quasi mezz'ora a morire. L'Arizona ne aveva imitato l'esempio in luglio dopo il fiasco dell'esecuzione di Joseph Wood: due ore prima di esalare l'ultimo respiro sul lettino dell'iniezione letale. In entrambi i casi era stato messo sul banco degli imputati il midazolam, uno dei farmaci entrati nel protocollo dell'iniezione letale dopo che altri sedativi più efficaci sono diventati introvabili per boicottaggio delle case farmaceutiche partito dall'Europa. "Si sta sperimentando su cavie umane", avevano sostenuto senza successo i legali di un gruppo di detenuti nel braccio della morte. Il giudice Friot ha assolto il farmaco: "Lockett è stato un episodio isolato. Il midazolam è stato usato in una decina di esecuzioni altrove e non ci sono stati problemi". E anche in Arizona dove Wood, secondo i testimoni "ha rantolato per quasi due ore prima di morire", un rapporto commissionato dal Dipartimento alle prigioni ha osservato che "si è trattato delle normali risposte dell'organismo al processo della morte, anche nel caso di una persona pesantemente sedata". Il direttore delle carceri Charles Ryan ha fatto sapere che, se possibile, lo stato abbandonerà il protocollo che univa il midazolam all'oppiaceo idromorfone. Ma se altri farmaci "più efficaci" non saranno reperibili, il midazolam verrà rimesso in gioco assieme ad altri due prodotti: l'agente paralizzante e un farmaco che ferma il cuore. Stati Uniti: si dimette l'inviato speciale di Obama per chiusura carcere di Guantánamo Ansa, 24 dicembre 2014 Cliff Sloan, inviato speciale del presidente americano Barack Obama per la chiusura del carcere di Guantánamo, si è dimesso dal suo incarico. Sloan, ex editore di "Slate", è stato una figura chiave negli ultimi 18 mesi nello sforzo dell'attuale amministrazione di chiudere il carcere di massima sicurezza a Cuba. E anche se quest'anno sono stati fatti progressi con il rilascio di alcuni prigionieri, pare che alla base della sua decisione di gettare la spugna, secondo alcune fonti, ci sia proprio la lentezza con cui vanno avanti le operazioni di rilascio, oltre che i contrasti con il Pentagono. Molti rappresentanti della Difesa, infatti, tra cui il numero uno Chuck Hagel, sono preoccupati che i prigionieri possano ritornare a combattere contro gli Stati Uniti. Lo stesso Hagel inoltre ha messo in stand-by un gruppo di detenuti che hanno avuto il via libera alla liberazione da parte del team di Obama per la sicurezza nazionale. Attualmente il carcere di Guantánamo ospita 132 detenuti. Il presidente Obama, nella sua ultima intervista alla Cnn prima di partire per la vacanze, ha detto che Guantánamo "è una minaccia perché continua ad ispirare jihadisti ed estremisti in tutto il mondo". "Faremo di tutto - ha affermato ancora - per chiuderlo. Ci sono meno di 150 detenuti e trasferiremo in altri Paesi quelli che hanno ricevuto l'ok. Restano tuttavia alcuni che sono ancora pericolosi e in quei casi la storia è più complicata". Svizzera: giudici più propensi a giudicare con durezza "si torna a pensare alle vittime…" Giornale del Popolo, 24 dicembre 2014 Dopo anni in cui ci si è concentrati solo sui delinquenti, si torna a pensare alle vittime: all'interno dell'apparato giudiziario e del mondo accademico è tornato d'attualità il concetto di espiazione della colpa e i giudici sono più propensi a sanzionare con durezza gravi comportamenti penali. Lo rileva Hans Mathys, presidente della Corte di diritto penale del Tribunale federale (Tf), che a fine anno andrà in pensione. "La gente è sempre stata dell'opinione che il diritto penale deve mostrare una certa durezza nei confronti dei criminali e che deve tenere conto anche della vittima", spiega Hans Mathys in un'intervista pubblicata ieri dalla "Neue Zürcher Zeitung". "Nel mondo accademico vi è stata invece a lungo la tendenza a concentrarsi unicamente sull'autore del reato. L'attenzione era posta sul riportarlo sulla retta via. Parole come vendetta o espiazione erano difficilmente pronunciate nelle cerchie intellettuali". Stando al giudice federale questa dottrina era "perlomeno unilaterale", perché non teneva conto dell'aspetto repressivo del diritto penale. Il cambiamento di mentalità è partito con l'assassino dello Zollikerberg del 1993, quando un detenuto uccise una giovane scout di 20 anni mentre beneficiava di un congedo di due giorni dal carcere. L'uomo stava scontando un ergastolo per due precedenti assassini e numerosi stupri e aggressioni a sfondo sessuale. Secondo Mathys il riorientamento è avvenuto non solo nel mondo politico, bensì anche nelle università - nei corsi si torna a parlare di vendetta ed espiazione - come pure nella giurisprudenza. Un tempo era normale che il giudice non arrivasse mai ad infliggere il massimo della pena, nonostante una colpa molto grave. Ciò è nel frattempo cambiato, anche su pressione del Tf. Nel caso di un delitto grave, i giudici sono più propensi a infliggere una pena più severa, corrispondente al reato. In materia di internamento la posizione chiara espressa dalla popolazione è una reazione al fatto che giudici e psichiatri per molto tempo mostravano molta comprensione per i criminali, decidendo raramente di internare il condannato. Secondo Mathys le aspettative della gente sono però troppo elevate: "non possiamo semplicemente rinchiudere i criminali perché temiamo che potrebbero un giorno essere recidivi". Costa d'Avorio: ricoverati in ospedale i detenuti in sciopero della fame da inizio dicembre Afp, 24 dicembre 2014 In Costa d'Avorio 151 detenuti in sciopero della fame dal 1 dicembre sono stati ricoverati nell'ospedale della prigione di Abidjian, ha dichiarato una fonte penitenziaria. "Non ci sono casi gravi, è una protesta simbolica, se fosse stata seria e fossero stati senza mangiare e bere da 22 giorni, qualcuno sarebbe già morto", ha affermato la stessa fonte. La protesta era stata scatenata dalla severità della pena inflitta alle persone arrestate negli scontri scoppiati dopo le elezioni del 2010.