Lettera al Capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria Santi Consolo Ristretti Orizzonti, 23 dicembre 2014 Gentile dottor Santi Consolo, ci presentiamo, siamo la redazione di Ristretti Orizzonti, una rivista realizzata da volontari e detenuti nella Casa di reclusione di Padova, ma anche una Rassegna Stampa quotidiana sul carcere e tanto altro ancora. Le scriviamo perché la sua nomina a Capo del Dap è avvenuta nei giorni in cui noi eravamo impegnati in una grande campagna di sensibilizzazione e informazione, perché finalmente venga approvata una nuova legge per migliorare radicalmente i rapporti delle persone detenute con le loro famiglie. Abbiamo raccolto a sostegno della nostra campagna le firme dei detenuti nelle carceri praticamente con un passaparola, è una cosa simbolica ma si sono attivate tantissime persone per mandarci firme e testimonianze (abbiamo indetto pure un concorso su questi temi). Il nostro lavoro di sensibilizzazione si svolge anche fuori, nella società, dove cerchiamo in tutti i modi di coinvolgere più persone possibile. In particolare con un progetto con le scuole che porta in carcere, nella nostra redazione, ogni anno più di seimila studenti a confrontarsi con le persone detenute sul senso della pena, sui reati, su come fare prevenzione. Abbiamo letto una delle prime interviste da lei rilasciate, in cui lei dice che "la priorità è la qualità di vita dei detenuti, la tutela dei loro diritti". Ecco, ci preme sottolineare che il primo dei diritti è forse quello a "salvare gli affetti", anche perché è un diritto delle persone detenute, ma è prima di tutto un diritto che riguarda mogli, figli, genitori. Se Lei avesse potuto essere a Padova l'1 dicembre, al nostro seminario "Per qualche metro e un po' di amore in più", avrebbe avuto modo di ascoltare le testimonianze delle figlie di tanti detenuti, e avrebbe dovuto confrontarsi con le loro sofferenze: ecco, noi pensiamo che a quelle sofferenze si deve dare una risposta, e non è più pensabile far finta di niente, non è più ammissibile che si parli di "umanizzazione" della pena senza parlare di umanizzazione del rapporto tra persone detenute e loro famiglie. Noi, insieme alla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, chiediamo con forza una legge per liberalizzare le telefonate, come avviene in moltissimi Paesi al mondo, e per consentire i colloqui riservati. E chiediamo a Lei di appoggiare la nostra iniziativa, promuovendo una circolare che parli finalmente con umanità dei rapporti delle persone detenute con le loro famiglie, introducendo quelle misure che già è possibile prendere oggi, nell'attesa che venga cambiata la legge. E, come primo, importantissimo segnale le chiediamo di invitare i direttori a concedere a tutte le persone detenute due telefonate straordinarie per le feste. Con l'occasione, approfittiamo anche del fatto che Lei ha dichiarato: "Voglio verificare in maniera diretta l'effettiva condizione all'interno degli istituti di pena per vedere anche le condizioni di lavoro di quanti vi operano. Metterò a punto un preciso programma di confronti, da S. Vittore all'Ucciardone". In questo programma noi chiediamo con forza di esserci, e quindi la invitiamo nella nostra redazione a Padova, che è uno dei pochi luoghi in cui a occuparsi di carcere, condizioni della detenzione, tutela dei diritti sono le persone detenute stesse. Ornella Favero, redazione di Ristretti Orizzonti L'amore entra dentro l'Assassino dei Sogni. Dodicesima parte di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 23 dicembre 2014 Testimonianza di un Uomo Ombra al seminario di Ristretti Orizzonti sugli affetti in carcere del primo dicembre 2014. "Non si può vivere senza speranza e tutti ne hanno diritto, tutti. Negarla è andare contro ogni senso dell'umano e, ancor più, della fede per i credenti". (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com). Adesso Ornella annuncia l'intervento di Emanuela, che è la moglie di un detenuto. (…) È vero che la telefonata è una cosa importantissima, ma è anche una grandissima fonte di stress. Nel senso, per esempio, che io per anni ho sempre avuto paura del momento legato alla telefonata. Quel momento è una cosa così importante per un detenuto, e anche tutto quello che c'è intorno. Quindi anche il fatto di accompagnare il detenuto a telefonare in orari stabiliti. Per esempio, io lavoro e mio marito sapeva che io non lavoravo in determinati momenti, ecco non sempre la sua telefonata riusciva a coincidere con i momenti in cui io ero libera, in cui io ero a casa e potevo rispondere. Questo in lui creava grandissimo stress e lo creava anche in me, perché io mi domandavo sempre: riusciremo ad incontrarci? se mi chiama e io non rispondo lui può magari perdere la testa. Per questo ci vuole tantissima umanità nel capire che anche le piccole cose che per le persone normali non valgono assolutamente nulla, come appunto può essere una telefonata, all'interno del carcere possono assumere delle dimensioni gigantesche. Per questo ci sarebbe veramente bisogno di molta, moltissima umanità e sensibilità per le persone che lavorano all'interno del carcere, anche per capire i bisogni delle persone detenute e dei loro familiari. Questa testimonianza mi fa ricordare che la settimana scorsa ho telefonato a mio figlio ed ho trovato a casa solo i miei due nipotini. Mio figlio era ancora a lavorare e sua moglie era uscita un attimo a comprare qualcosa. Una volta presa la linea non puoi interrompere la chiamata, perché se butti giù il telefono perdi la telefonata. Ho trovato solo i miei due nipotini. Ed ho parlato per tutta la durata della telefonata solo con loro due. Mi è dispiaciuto non parlare con mio figlio e sua moglie, ma non potevo farci nulla perché in carcere non si può telefonare quando si vuole. Ci sono degli orari stabiliti. I miei due nipotini si bisticciavano come facevano una volta i miei figli per chi stare al telefono. Mi hanno raccontato che sono stati allo zoo e mi hanno fatto tutti i nomi degli animali che hanno visto. Si arrabbiavano quando mi sbagliavo a chiamarli perché ancora non riconosco bene le loro voci. Adesso è la volta dell'intervento del professor Mauro Palma, persona di grande spessore e umanità. (…) Non si può rinviare sempre ad un altrove la responsabilità delle cose che non cambiano. Per il resto abbiamo un impianto normativo variegato e che necessita di essere pienamente applicato. E mentre lo ascolto penso che a causa del nostro passato e dei nostri errori, la società esterna e l'istituzione carceraria ci considerano come soggetti (spesso oggetti) incapaci di avere relazioni, emozioni, sensazioni. Invece credo fortemente che, nonostante i nostri errori, siamo ancora delle persone uguali a quelle del mondo libero. Riprende la parola Ornella. Abbiamo poco tempo ancora, ma vorrei dire una cosa, a proposito di questi Stati Generali sulle carceri e sulla Giustizia, che il Ministro ha annunciato. Noi al Ministro abbiamo scritto una lettera, è un invito a venirli a fare qui gli Stati generali, qui dentro quando facciamo i convegni a maggio, entrano circa 600 persone dall'esterno, e come minimo ci sono 150 detenuti che partecipano, è una situazione più unica che rara, io sono andata a Regina Coeli dove c'erano 5 detenuti a prendere parte ad un convegno, allora, anche se so che il Direttore mi guarderà inorridito, gli Stati Generali venite a farli qui. Parlate con persone detenute che si occupano di questi temi in modo preciso ed organizzato. Ornella ha ragione, chi meglio dei detenuti può far conoscere al mondo esterno l'inferno che i nostri governanti hanno creato e che mal governano? Chi meglio della Redazione di Ristretti Orizzonti, che da anni raccoglie testimonianze di abusi, ingiustizie, violenze, delle cose brutte ma anche delle cose buone che accadono nelle nostre Patrie Galere, possono informare l'opinione pubblica? Chi meglio di noi che da anni realizziamo convegni, seminari e incontri dando voce e luce agli stessi protagonisti del carcere, può dare un serio contributo per migliorare questi luoghi? Chi meglio dei prigionieri può spiegare il motivo perché molti detenuti in Italia preferiscono togliersi la vita che continuare a vivere nell'inferno delle nostre Patrie galere? Poi Ornella annuncia l'intervento di Biagio, un altro uomo ombra, seduto accanto a sua figlia Veronica. Buona sera a tutti. Come avete visto hanno parlato i figli dei detenuti. Per tanti anni mia figlia è stata lontana da me. Oggi mia figlia mi è stata restituita, ho fatto 10 anni di 41 Bis, Area Riservata, proprio Veronica il colloquio lo faceva dietro un vetro. Da bambina mi batteva la manina dietro al vetro. Io oggi ho la fortuna di avere mia figlia qui, ma ci sono tanti miei compagni che hanno le figlie e non le possono vedere. (…) Subito dopo di lui arriva Luca. L'altro giorno mi ha fatto vedere le foto dei due figli che non vede da tanti anni. E mi ha fatto commuovere. Ciao a tutti, sono Luca, sono un ragazzo di 33 anni di Catania, non voglio raccontarvi oggi delle scelte che mi hanno portato a rovinare da piccolo la mia vita, incominciando dal mio primo arresto da minorenne, per andare a finire a tutti gli anni che ho fatto di carcerazione. Vi voglio parlare delle difficoltà che ha un detenuto e della sua famiglia quando subisce un trasferimento lontano da casa. A me mi arrestano nel 2008 per rapine commesse al Nord Italia, mi spiccano un mandato di cattura a Catania, mi portano al Carcere di Piazza Lanza a Catania e dopo un paio di giorni dall'interrogatorio mi trasferiscono a Bolzano, a 1.600 km di distanza da casa. (…) Ho lasciato i miei due figli piccoli che avevano 5 e 6 anni. Li ho cresciuti, se questo si può dire crescere dei figli, per lettera e con 10 minuti di telefonata alla settimana. Vorrei portarvi a riflettere del disastro che avviene nel nostro paese, cosiddetto democratico, esistono delle leggi che prevedono che un detenuto dovrebbe stare il più vicino possibile a casa, nell'arco di circa 200 Km di distanza dal luogo di appartenenza, ed invece questo nella maggior parte delle volte non accade. Spero che questa battaglia per l'affettività che stiamo facendo porti dei frutti, perché altri figli come quelli miei non abbiano un genitore per corrispondenza. Continua… Giustizia: Napolitano "manca una visione strategica" e sulle carceri "resta molto da fare" Il Sole 24 Ore, 23 dicembre 2014 La lunga stagione del quotidiano scontro frontale tra politica e magistratura, che ha "paralizzato" il confronto parlamentare sulla giustizia, è alle spalle, forse non ancora archiviata, ma il clima è cambiato e per le riforme si intravede un percorso diverso. Tuttavia, le parole che Giorgio Napolitano pronuncia nell'Aula Bachelet di Palazzo dei Marescialli ricalcano in gran parte quelle dette e ripetute nei nove anni della sua presidenza della Repubblica e del Consiglio superiore della magistratura. Il punto di maggiore criticità resta la mancanza di una "visione strategica proiettata nel futuro", che finora non ha consentito al sistema giudiziario di essere "efficiente, funzionale, trasparente" e, quindi, di dare "certezze e garanzie" sia ai cittadini sia alle imprese "per il recupero di competitività della nostra economia, cui è associato il tema, oggi particolarmente dolente, dell'occupazione". Napolitano non esprime giudizi sull'azione del governo, ma rileva che "purtroppo la situazione, nonostante qualche miglioramento negli anni recenti, continua ad essere insoddisfacente". E dice subito che, sia nel civile che nel penale - dove "colpiscono l'intensità del diffondersi della corruzione e della criminalità organizzata", sarebbe illusorio affidare ogni speranza di miglioramento a modifiche normative: la partita si gioca anche e soprattutto sul fronte organizzativo, "sull'ottimizzazione della gestione delle risorse, umane e strutturali" affidata ai poteri dei capi degli uffici, Tribunali e Procure. L'azione repressiva di queste ultime resta fondamentale, anche se in passato ci sono stati "impropri protagonismi". A poche settimane dalle sue annunciate dimissioni, l'ultimo discorso di Napolitano al Csm ha il sapore di un lascito anche se nella replica - a braccio - il presidente entra a piene mani nell'attualità giudiziaria, politica e istituzionale. Parla dell'"intreccio inedito fra corruzione e mafia", un "nodo molto grosso", che presenta anche un altro aspetto, "il terzo lato del triangolo", quello della politica. "Questo lato deve essere ben qualificato anche per non ricadere in discussioni stucchevoli che rimbalzano tra la politica e la magistratura". L'"ipertrofia legislativa" degli ultimi 20-30 anni forse è sembrata il modo migliore per rispondere a un'emergenza, osserva Napolitano denunciando però anche una "degenerazione dei canali della produzione legislativa": è cresciuto il ricorso alla decretazione d'urgenza, ai maxiemendamenti e agli articoli unici con migliaia di commi. "Mi rammarico che tra i sostenitori e i critici della riforma del bicameralismo paritario nessuno abbia colto la necessità e la funzionalità di questa riforma rispetto alla produzione legislativa, per riportarla su un piano costituzionalmente corretto" osserva il presidente, secondo cui il bicameralismo perfetto è stato "il principale passo falso dell'Assemblea costituente". La riforma può servire a uscire da quella degenerazione, ha aggiunto, auspicando che il governo rifletta su questo tema e sappia resistere "alle pressioni a legiferare continuamente". Quanto alle riforme della giustizia, "occorrono provvedimenti sobri, essenziali e ben fatti. E investimenti, perché le riforme a costo zero sono solo una meravigliosa utopia". Già nel suo discorso aveva ammonito a legiferare con "ponderazione" evitando interventi "disorganici o ispirati a situazioni contingenti", mettendo appunto l'accento di più sull'organizzazione dell'amministrazione giudiziaria. Un tema che inevitabilmente chiama in causa la scelta, i poteri e le responsabilità dei dirigenti. Quanto alla prima, Napolitano è tornato sul peso delle correnti, "che possono essere una ricchezza" se non si trasformano in strumenti di potere (a tale proposito il vicepresidente Giovanni Legnini ha auspicato che le nomine siano "tempestive" e "non esposte alle forche caudine di interminabili tentativi di mediazione"); quanto a poteri e responsabilità dei capi degli uffici, il presidente ha ribadito - anche alzando il tono della voce - che "l'attuale quadro normativo" fa del Procuratore della Repubblica il "titolare esclusivo dell'azione penale", colui al quale spettano "funzioni ordinatrici e coordinatrici". Nelle sue parole si legge chiaramente un riferimento anche allo scontro alla Procura di Milano. Napolitano non ha cambiato idea: il controllo di legalità e la stessa funzione giurisdizionale si tutelano con un "giusto bilanciamento" tra i poteri di direzione e organizzazione dei Procuratori, a loro esclusivamente spettanti, e il contributo interlocutorio dei singoli pm appartenenti all'ufficio". Equilibrio che va raggiunto attraverso "la reciproca cooperazione nel rispetto dei ruoli attribuiti dalla normativa primaria". Passi avanti per emergenza carceri ma molto da fare Per porre fine alla emergenza carceri e al trattamento spesso disumano nei penitenziari italiani qualcosa è stato fatto ma "molto resta da fare" e dunque bisogna "perseverare affinando gli obbiettivi". Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, a ridosso del Natale, è tornato a "ribadire il contenuto del messaggio inviato alle Camere l'8 ottobre 2013" sulla drammatica situazione delle carceri in Italia. "Mi fa piacere rilevare - ha scritto in risposta a una lettera sulle carceri ricevuta dal presidente della commissione diritti umani del Senato Luigi Manconi- che, successivamente al mio messaggio, sono stati adottati provvedimenti che hanno contribuito a far diminuire sensibilmente il numero dei detenuti. Esso rimane comune maggiore della capienza massima degli istituti, ed è sempre elevata la quota dei detenuti in attesa del giudizio di primo grado. Molto rimane da fare, ma si è comunque avuto il segno di una maggiore attenzione verso il problema della condizione carceraria che deve convincere a perseverare ed a migliorare affinando gli obiettivi". "Nel ringraziarti per le parole di riconoscimento che mi hai voluto tributare - ha aggiunto il capo dello Stato- auspico che, nell'interesse del nostro paese, il tuo infaticabile impegno su questi temi solleciti la sensibilità e la volontà del Parlamento e del Governo per raggiungere ancora maggiori e più ambiziosi risultati". Non fatto abbastanza per problema bambini "Si tratta di un problema grave e delicato e sono al corrente delle difficoltà incontrate nell'attuazione della legge n. 62 del 2001 che ha previsto gli istituti a custodia attenuata, per la quale non vi è forse stato un sufficiente investimento strutturale ed una visione integrata di assistenza e sostegno per i figli dei detenuti". Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano risponde ad una missiva inviatagli da Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato nella quale il senatore Pd esprimeva il suo rammarico per l'impossibilità di svolgere nel carcere di Rebibbia un convegno sul tema della "detenzione" dei bambini nelle carceri italiane (mediamente tra i 45 e i 60 bambini tra 0 e 3 anni (e talvolta oltre) si trovano a vivere in una cella per l'impossibilità delle loro madri di ottenere gli arresti o la detenzione domiciliare). "È mancato, come purtroppo spesso accade - scrive il capo dello Stato, un lungimirante impegno di tutte le Istituzioni per dare all'innovazione legislativa le caratteristiche concrete che l'avevano motivata. Le strutture destinate ad accogliere i bambini per non allontanarli dalle mamme detenute sono poche e mal attrezzate e non consentono sempre di raggiungere lo scopo di garantire una continuità del legame familiare offrendo, nel contempo, la possibilità di recuperare la dignità del detenuto anche attraverso il rapporto affettivo. Eppure, anche salvaguardando la continuità del rapporto familiare si favorisce il riequilibrio dell'individuo durante la detenzione. È un obiettivo che, se ben attuato, consentirebbe di aumentare le opportunità di recupero, sia per la crescita equilibrata dei bambini che per il reinserimento sociale della persona adulta ristretta in carcere". Ricorda quindi il suo messaggio inviato alle Camere l'8 ottobre 2013 in seguito al quale "sono stati adottati provvedimenti che hanno contribuito a far diminuire sensibilmente il numero dei detenuti", "molto rimane da fare, ma si è comunque avuto il segno di una maggiore attenzione verso il problema della condizione carceraria che deve convincere a perseverare ed a migliorare affinando gli obiettivi". Giustizia: il Presidente Napolitano contro i magistrati "basta protagonismi…" di Virginia Spada Il Garantista, 23 dicembre 2014 Dopo il botta e risposta tra l'Associazione nazionale magistrati e il premier Matteo Renzi, una sferzata ai giudici e al loro protagonismo è arrivata anche da Giorgio Napolitano. Il presidente della Repubblica, che ieri è intervenuto al Consiglio superiore della magistratura, ha ribadito che politica e giustizia devono restare separati e che i giudici devo evitare comportamenti "impropriamente protagonistici". "Lo Stato di tensione - ha detto - e le contrapposizioni polemiche che per anni hanno caratterizzato i rapporti tra politica e magistratura, determinando un paralizzante conflitto tra maggioranza e opposizione in Parlamento sui temi della giustizia e sulla sua riforma, non hanno giovato né alla qualità della politica, né all'immagine della magistratura". Il capo dello Stato, che per tutto il mandato non ha mai smesso di criticare le esternazioni dei magistrati, ieri si è sentito in dovere di rincarare la dose e le critiche, dopo le proteste dell'Anni contro la legge sulla corruzione (considerata troppo debole) e soprattutto contro la riforma della giustizia. Se a via Arenula, si chiede ai magistrati di occuparsi delle sentenze e non delle scelte del governo, il Quirinale non è da meno: "Ho ripetutamente richiamato l'esigenza che tutti facessero prevalere il senso della misura e della comune responsabilità istituzionale. La credibilità delle istituzioni e la salvezza dei principi democratici si fondano sulla divisione dei poteri e sul pieno e reciproco rispetto delle funzioni di ciascuno". Al capo dello Stato, con le valigie ormai pronte per lasciare il posto al suo successore, premono le riforme. Tra cui quella della giustizia. Non si tratta di una questione per lui secondaria. Più e più volte ha rilanciato la questione dell'indulto e dell'amnistia, ma dal Parlamento le sue parole non sono state accolte. Ora si aspetta che la macchina-giustizia migliori. "È indubbio - ha continuato davanti al Csm - che ciò cui occorre mirare è un recupero di funzionalità, efficienza e trasparenza del sistema della giustizia". Ma per Napolitano questo non può avvenire se i magistrati continuano a sovrapporsi alle scelte che spettano al Parlamento e al governo. L'Associazione nazionale magistrati ha annunciato una mobilitazione in vista dell'inaugurazione anno giudiziario. Ma il messaggio del Quirinale è chiaro e irrevocabile: sono da evitare "i comportamenti impropri e altamente protagonistici e iniziative di dubbia sostenibilità assunte nel corso degli anni da alcuni magistrati della pubblica accusa". Giustizia: i mali di un sistema inefficiente nodo per la credibilità dell'Italia di Marzio Breda Il Corriere della Sera, 23 dicembre 2014 Certo, ha confermato parecchie riflessioni problematiche che ripete dal 2006, quando parla davanti al Csm. Ma le critiche che Giorgio Napolitano ha espresso ieri a Palazzo dei Marescialli verso alcuni atteggiamenti della magistratura sono suonate ben più dure e sferzanti del solito. Infatti cadono proprio mentre si sta di nuovo alzando il livello dello scontro tra toghe e politica, con il governo (di centrosinistra, stavolta) che chiede ai giudici di concedersi meno esternazioni e di essere "più obiettivi" e lancia il sospetto che le resistenze all'azione riformatrice dipendano dal taglio delle ferie decretato dal premier. Dinamiche di tensione già a lungo sperimentate, con grave danno per tutti, negli ultimi vent'anni. Se il capo dello Stato cerca di smorzarle adesso, incurante delle febbri polemiche dalle quali può essere toccato, lo fa per tre motivi: 1) perché è persuaso che anche sul fronte del sistema giudiziario si gioca la credibilità del Paese; 2) perché una giustizia efficiente consente perfino "il recupero della nostra economia"; 3) perché "il lascito" della sua presidenza dell'organo di autogoverno delle toghe, secondo una prerogativa che gli attribuisce la Carta costituzionale, sia coerente e senza equivoci. Ecco dunque come spiegare la censura a troppi "cedimenti a esposizione mediatiche o a tentazioni di missioni improprie", salvifiche, cui indulgono alcuni magistrati. Ecco il biasimo per "comportamenti impropriamente protagonistici e iniziative di dubbia sostenibilità" che hanno contagiato in particolare gli uffici della pubblica accusa. Ecco il timore che lo stesso Csm possa lasciarsi "condizionare nelle scelte da logiche di appartenenza correntizia", e qui va posta attenzione al rischio che le correnti si trasformino solo in "centri di potere". Ecco, infine, la denuncia delle "ingiustificate lungaggini" e dei casi di "scarsa professionalità, sia in campo civile che penale". Parole aspre. Al fondo delle quali, come molte volte ha detto rispecchiando le aspettative della gente comune, si rafforza l'urgenza di un "processo innovatore". Bisogna avviarlo al più presto, incita Napolitano, nel suo amareggiato bilancio. Un'urgenza dimostrata anche dallo scandalo di "mafia capitale", in cui si incrociano corruzione politica e criminalità organizzata che i pm e le forze di polizia hanno il compito di contrastare. Una scommessa che, nell'ultima esortazione da mettere in archivio, può essere vinta se politica e giustizia smetteranno di guardarsi "come mondi ostili". Se tutti (dunque pure i giudici) sapranno abbandonare arroccamenti difensivi e rispetteranno le prerogative del Parlamento. E se l'esecutivo si imporrà di superare quel comportamento patologico, tutto italiano, che ci ha portato a una "ipertrofia del processo legislativo". Giustizia: carceri (un po' meno) sovraffollate di Francesco Puglisi Il Tempo, 23 dicembre 2014 I detenuti sono 54 mila, i posti 49 mila. Diecimila attendono ancora il processo Il ministro Orlando: "Per i servizi sospesi tutti i progetti delle cooperative". "Nel 2014 sono stati raggiunti risultati importanti rispetto al tema del sovraffollamento delle carceri". Lo ha detto il ministro della Giustizia Andrea Orlando, nel corso della conferenza stampa per illustrare il nuovo assetto del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria. "Siamo vicini alla possibile chiusura della forbice tra numero di detenuti e posti disponibili - ha aggiunto Orlando, l'obiettivo è stato raggiunto grazie ad una considerevole riduzione del numero dei detenuti ed un aumento dei posti disponibili". Una "forbice" di sole 4.500 unità. È quella che i dati dell'Amministrazione penitenziaria fanno emergere oggi, con il numero dei detenuti sceso a 54.050, e i posti disponibili nei penitenziari che hanno raggiunto quota 49.494. Numeri ben diversi da quelli di un anno fa, quando il numero dei reclusi si attestava a 62.536 e la capienza era di 45mila posti. L'indice di sovraffollamento scende dunque a 109,21 per cento, quando invece aveva raggiunto il picco massimo nel giugno 2010 (162,52%). Se nel 2010 l'Italia era il Paese europeo, assieme alla Serbia, con le carceri più affollate, oggi l'indice di sovraffollamento appare più alto in Gran Bretagna, Belgio e Francia che nel nostro Paese. In aumento le misure alternative (31.045 nel dicembre 2014, a fronte delle 29.747 dello stesso mese del 2013), mentre diminuiscono quelle detentive (53.526 nel dicembre 2014, 62.536 nel dicembre 2013). Quasi 12mila persone (11.896) sono in affidamento in prova, 762 in semilibertà, 9.406 agli arresti domiciliari, 8 in semidetenzione, 3.342 in libertà vigilata, 5.448 svolgono lavori di pubblica utilità, e 183 in libertà controllata. Sono diminuiti anche i detenuti in carcere in attesa di primo giudizio: i dati parlano di 9.875 casi nel dicembre 2014, a fronte degli 11.108 del dicembre 2013 e dei 12.484 nel 2012. L'incidenza dei detenuti in attesa di un giudizio definitivo è pari al 33,63% : il numero dei detenuti in attesa del primo grado di giudizio è stato ridotto in termini assoluti di quasi 3mila unità in due anni. I dati del Dap evidenziano inoltre che sono oggi 26 le detenute madri con 27 bambini: un numero ben più basso rispetto a quello registrato negli anni passati (40 con altrettanti bambini nel 2012 e nel 2013 e 51 con 54 bambini nel 2011). Sono 17.635 i detenuti stranieri che sono reclusi nelle carceri italiane. "Non sono tutti rimpatriabili - ha spiegato il Guardasigilli Andrea Orlando - perché alcuni vengono da Paesi che non rispettano la Carta dei diritti dell'uomo". Secondo Orlando, "rimpatriando solo i comunitari potremmo avere 5mila unità in meno". Fino al 15 novembre scorso, sono 107 i rimpatri di detenuti stranieri per l'esecuzione della pena dei Paesi di provenienza: ad oggi sono 215 i procedimenti in corso per il rimpatrio. Nel 2008 i rimpatri erano 130, 143 nel 2013: a ciò si aggiunge il notevole incremento delle richieste avanzate da parte italiana, 465 nel 2014 a fronte di 272 nel 2013. "Abbiamo deciso di sospendere e verificare tutti i progetti di cooperative finanziati dalla Cassa delle ammende". Ha comunicato ufficialmente il ministro della Giustizia Andrea Orlando, affrontando il tema dei servizi, come quello della mensa, che alcune coop forniscono nei penitenziari, attraverso finanziamenti della Cassa delle ammende. "Abbiamo avviato questa ricognizione un anno fa - ha detto Orlando - ben prima dell'avvio dell'indagine su Mafia Capitale. La verifica è stata fatta perché riteniamo che questo sistema sia da riordinare e abbiamo anche chiesto che sia fatta un'ispezione alla Cassa delle ammende". Il Guardasigilli ha affermato di voler intraprendere una "fase nuova, immaginando le cooperative che ci accompagnano ad estendere il lavoro" per i detenuti. Il lavoro in carcere, ha evidenziato Orlando, è "ancora insufficiente": nel dicembre 2011 era pari al 20,87% la percentuale dei detenuti lavoratori, oggi è del 26,25%. Giustizia: il ministro Orlando "stop al Piano carceri… basta Emergenze e Commissari" di Eleonora Martini Il Manifesto, 23 dicembre 2014 "Già a marzo 2014, molto prima di sapere dell'esistenza di una "Mafia Capitale", avevamo avviato una ricognizione delle cooperative che lavorano con l'amministrazione penitenziaria. E avendo riscontrato troppa discrezionalità nel finanziamento dei progetti, con costi anche considerevoli, abbiamo avvisato con mesi di anticipo che tutti i progetti in essere andavano considerati conclusi alla fine di questo anno, e abbiamo chiesto al Mef di controllare la Cassa Ammende che li finanzia. Poi, visti i tempi che corrono, abbiamo trasmesso il rapporto sulle attività finora finanziate alla procura di Roma e alla magistratura contabile". Ha adottato lo stesso metodo di Ignazio Marino, il ministro di Giustizia Andrea Orlando che ieri, presentando il report della situazione penitenziaria di fine anno e i nuovi vertici del Dap - con la nomina a vice capo di Mauro Palma, coordinatore delle 47 amministrazioni penitenziarie del Consiglio d'Europa e membro del direttivo dell'Associazione Antigone - ha rivendicato i "buoni risultati fin qui ottenuti nella lotta al sovraffollamento" e sancito il punto di svolta nella concezione del sistema penitenziario italiano. Cominciando con lo stop al Piano carceri. Dunque già prima di sapere che tra i sodali dell'ex Nar Massimo Carminati ci fosse "l'ingegnere", al secolo Giuseppe Ietto, impresario nella ristorazione che, come ricostruisce l'inchiesta sul "Mondo di mezzo", "è attualmente impegnato in un progetto in fase di realizzazione volto alla creazione di un punto cottura per una mensa da allestire all'interno del carcere femminile di Rebibbia", il Guardasigilli aveva deciso di azzerare tutto e di internalizzare di nuovo - tra le proteste delle cooperative e anche di alcune associazioni e direttori - la gestione di molte mense carcerarie. Orlando però non vede il rischio che si butti il bambino con l'acqua sporca: "Il lavoro delle coop è importante - dice - ma, siccome la Cassa Ammende finanzia le fasi di start up, piuttosto che limitarsi a svolgere un ruolo di supplenza delle carenze dell'amministrazione penitenziaria, bisogna che propongano nuovi progetti finalizzati al reinserimento sociale dei detenuti". Di questo parleranno le coop interessate nell'incontro fissato per il 30 dicembre con il nuovo capo Dap, Santi Consolo. La riforma profonda del sistema penitenziario chiesta per primo dal presidente Napolitano sta infatti proprio, spiega Orlando, in un diverso accento sulla vita dei detenuti fuori e oltre il carcere, anziché in cella, al fine di limitare la recidiva. Misure alternative, lavoro, celle utilizzate solo per il pernottamento, formazione, incentivazione dei contatti con le famiglie, nuovi programmi per tossicodipendenti, istituti più permeabili alla società: "Dopo una fase di prima emergenza - spiega Mauro Palma - il Dap deve ritrovare una idealità perché si riesca a costruire un'utilità sociale della sanzione penale e una presa in carico dei soggetti anche dopo il carcere". La fase dell'emergenza, sostiene il ministro, è superata anche se non tutti i problemi sono risolti: "Quest'anno - dice Orlando - si è affrontato con risultati importanti il sovraffollamento e siamo vicini, anche se dobbiamo rimandare l'obiettivo al prossimo anno, alla chiusura della forbice tra detenuti e posti che sono rispettivamente 54.050 e 49.494". Evitata "l'onta politica della condanna per violazione dei diritti dell'uomo proprio nel nostro semestre di presidenza", aggiunge il Guardasigilli, "abbiamo anche scongiurato multe per circa 41 milioni sui 3685 ricorsi archiviati" dalla Corte europea. Oltre al fatto che "se i 18.219 ricorsi pendenti davanti ai giudici fossero stati proposti a Strasburgo, lo Stato avrebbe avuto un costo di ulteriori 203 milioni, per un totale quindi di oltre 244 milioni". Fine dell'emergenza significa soprattutto chiudere la stagione dei commissariamenti. Orlando promette: "Basta proroghe del Piano carceri", quello di ispirazione berlusconiana che ormai si rinnova dal 2008. "Le risorse che per troppo tempo sono state destinate alla costruzione di nuovi carceri, e peraltro in posti dove non sono necessari - continua il ministro - ora dovranno andare al restauro degli edifici esistenti e alla manutenzione degli istituti. Recuperando così spazio e dignità". Si riparte da qui. E, assicura Orlando, dalla convocazione di tutti i soggetti interessati per tenere finalmente nel 2015, proprio nel 40esimo compleanno dell'Ordinamento penitenziario, gli Stati generali del carcere. Giustizia: i penalisti "bravo Orlando… non spetta ai giudici fare le leggi" da Giunta dell'Unione Camere Penali Il Garantista, 23 dicembre 2014 L'Unione Camere Penali italiane, pur "ribadendo le proprie posizioni critiche con riferimento al contenuto delle riforme in materia di corruzione non può non esprimere apprezzamento per la posizione assunta dal ministro Orlando, il quale ha voluto rivendicare l'autonomia del governo nelle sue scelte di politica giudiziaria, ricordando come le scelte legislative spettino al Governo ed al Parlamento mentre spetti alla magistratura l'applicazione delle leggi". Così in una nota i penalisti che sottolineano in proposito come sia "sempre apprezzabile il contributo tecnico e valutativo fornito dagli avvocati e dai magistrati alla attività del legislatore in base all'esperienza quotidianamente maturata nella loro rispettiva attività, ma che non sia in alcun modo accettabile che quel legittimo ed auspicabile contributo trasmodi da parte dei rappresentanti del potere giurisdizionale in una attività di interdizione e di delegittimazione delle scelte poste in essere dal legislatore". "Bene hanno fatto anche il presidente del Consiglio e gli altri rappresentanti del Governo e della politica -proseguono i penalisti - a ricordare che deve sempre essere tutelato l'equilibrio fra i poteri dello Stato e che il potere della giurisdizione deve essere amministrato con il dovuto equilibrio senza che in alcun caso la pur evidente debolezza della politica, troppo spesso inquinata dal malaffare ed esposta a violente critiche a causa del ricorrere di episodi di corruzione, sui quali è bene che la magistratura operi attraverso la sua doverosa e legittima attività di indagine e di tutela della collettività, possa essere utilizzata strumentalmente dal potere giudiziario come un indebito strumento di delegittimazione e come possibile occasione per imporre, attraverso un consenso popolare intenzionalmente ricercato, mediaticamente ed emotivamente sollecitato, una inutile, sbilanciata e pericolosa legislazione emergenziale che mette in pericolo i principi del giusto processo ed elementari ed indeclinabili valori costituzionali quale è quello della durata ragionevole del processo". "Da tempo l'Ucpi si batte perché la legislazione in materia penale, come più volte ricordato dal ministro Orlando, non venga attuata con disarticolate ed ingiustificate decretazioni d'urgenza, ma all'interno di una organica prospettiva di riforma del codice sostanziale e processuale sottolineando come, in particolare in materia di lotta alla corruzione, non giovi affatto (come d'altronde non ha chiesto l'Europa) un inutile ed improvvido aumento dei tempi della prescrizione, né tantomeno un incongruo ed altrettanto inefficace aumento delle pene detentive, quanto una dotazione di seri strumenti preventivi, una semplificazione delle amministrazioni, una legislazione degli appalti tale da favorire i controlli interni e la pubblica trasparenza". I penalisti denunciano poi come una "prassi degenerativa assi pericolosa per gli equilibri democratici ed istituzionali" quella "dell'assunzione da parte della politica di magistrati antimafia all'interno delle amministrazioni territoriali, approvata dal Csm e sospinta dal favore popolare: da un lato, al di fuori di ogni regolamentazione legislativa, la magistratura si insedia all'interno della politica legittimando se stessa come unica garante della legalità, e dall'altro la politica dimostra con tali scelte di voler delegittimare se stessa affermando la propria inadeguatezza e la propria incapacità di perseguire la legalità con i suoi propri strumenti e con le sue proprie forze". L'Ucpi, conclude la nota, vuole una "politica nuovamente forte e credibile, capace di riformarsi dall'interno e di imporre la legalità con i propri autonomi strumenti, sottraendosi così ai desiderata della magistratura associata, e vuole una magistratura autorevole ma a sua volta restituita al suo equilibrato ruolo di accertamento delle responsabilità individuali e sottratta definitivamente alle lusinghe demagogiche della assunzione di un improprio ruolo di trasformazione e di palingenesi della società, in quanto tale inevitabilmente destinato a fallire ed a provocare ulteriori effetti di squilibrio e di destabilizzazione politica ed istituzionale". Giustizia: il lavoro in carcere funziona, ma la burocrazia lo cancella di Michele Brambilla La Stampa, 23 dicembre 2014 Torna allo Stato la gestione delle mense affidata alle Cooperative. La spiegazione: "Costava troppo". La replica: "No, era un risparmio". Non sono molte le cose che funzionano nella pubblica amministrazione. Una è - ma a questo punto bisognerebbe dire "era" - il sistema di cooperative sociali che gestiva le mense delle carceri. Adesso pare che queste cooperative vengano tutte mandate a casa, e che lo Stato torni a gestire in proprio le cucine delle nostre galere, in una storia che sa tanto di trionfo della burocrazia. Cominciamo con i fatti. Nel 2004 il Dap, Dipartimento amministrazione penitenziaria, fa partire una sperimentazione. In dieci carceri italiane (su un totale di 205) la gestione delle cucine viene affidata a cooperative che fanno lavorare i detenuti. Detenuti, naturalmente, che prima svolgono specifici corsi di formazione professionale. Le cooperative sono: Ecosol a Torino; Divieto di sosta a Ivrea; Campo dei miracoli a Trani; L'Arcolaio a Siracusa; La Città Solidale a Ragusa; Men at Wotk e Syntax Error a Rebibbia; Abc a Bollate; Pid a Rieti; Giotto a Padova. Proviamo a sintetizzare i vantaggi di questa sperimentazione. Intanto, si mangia meglio e l'igiene migliora nettamente; ma, soprattutto, centinaia di detenuti imparano un lavoro e prendono un regolare stipendio con il quale, fra l'altro, si pagano: il soggiorno in carcere, le spese legali, i risarcimenti alle vittime e le tasse. L'effetto è contagioso e accanto alle mense nascono, nelle stesse carceri, altri reparti di produzione: di panettoni a Padova, di taralli a Trani, di dolci tipici a Siracusa e Ragusa. La riuscita dell'esperimento è certificata dai direttori delle dieci carceri, che lo scorso 28 luglio scrivono al Dap e al ministro di Giustizia definendo "oltremodo positiva l'esperienza"; e anche dallo stesso capo del Dap Giovanni Tamburino, che il 17 marzo dice: "Il giudizio è fortemente positivo: non si torna indietro". Ma siccome la sperimentazione era decennale, ora che finisce il 2014 è il momento di prendere una decisione. E il nuovo governo decide di abbandonare le cooperative e di tornare al vecchio sistema, che è poi quello dei cosiddetti "lavori domestici" in carcere, cioè scopino spesino cuciniere lavapiatti eccetera, lavoretti sottopagati e portati avanti senza professionalità. Il perché di questa decisione? I soldi. Il sistema delle cooperative era sostenuto dalla Cassa delle Ammende, cioè dall'insieme delle multe pagate da chi è condannato in un processo. "Il guaio è che dobbiamo fare i conti con la Corte dei Conti - dice l'architetto torinese Cesare Burdese, membro della Commissione ministeriale con Annamaria Cancellieri -. Siamo diventati un Paese troppo povero per sostenere certi servizi di qualità". Ma c'è chi contesta che i conti non tornino. Al contrario, il lavoro in carcere sarebbe un affare per lo Stato: "I dati dicono che ogni milione di euro investito se ne risparmiano nove", dice Nicola Boscoletto della Giotto di Padova. E come? "Il 70 per cento dei detenuti che in carcere non hanno imparato un mestiere torna in galera; per chi invece ha imparato un mestiere, la recidiva è del 2 per cento. Siccome un detenuto costa 250 euro al giorno allo Stato, calcolate voi quanto si risparmia insegnando un lavoro al detenuto". "Non continuare questa esperienza, di cui tutti hanno tessuto le lodi, è sicuramente un errore", sostiene anche Piero Parente della Ecosol, che gestisce la mensa delle Vallette. Ma allora, perché? "Credo che il problema sia politico, non vogliono smantellare il carrozzone", dice Boscoletto: "Così, invece di migliorare in 195 istituti in cui si mangia male, si peggiora nei dieci in cui si mangia bene. E si torna al sistema dei lavori forzati, che non ha mai recuperato nessuno". La decisione di non usare più la Cassa delle Ammende È stata una delle prime emergenze che il ministro Andrea Orlando ha affrontato: passare in rassegna le pieghe del bilancio ministeriale e i bizantinismi della struttura. Una delle stranezze si chiama Cassa Ammende: nato negli Anni Trenta, è un ente incardinato nel Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dove finiscono tutte le multe comminate dai tribunali, ma del tutto autonomo. Il che significa un'entrata fissa di un centinaio di milioni di euro all'anno. "Repubblica separata". È talmente autonomo, questo ente, pur formalmente dipendente dal ministero della Giustizia, che la vigilanza spetta al ministero dell'Economia. "Una Repubblica separata", la definiscono. A inizio 2014 è stata avviata una ricognizione sul bilancio della Cassa Ammende. Il risultato è clamoroso: il ministro ha fatto girare le carte alla procura della Repubblica e alla Corte dei Conti perché verifichino se è tutto in regola. Parallelamente la Ragioneria generale dello Stato nel marzo scorso è stata invitata a fare una ispezione sulla Cassa Ammende. Per quanto era di sua competenza, il ministero ha fatto sospendere tutte le iniziative finanziate dalla Cassa Ammende. Ne hanno fatto le spese anche quelle a cura delle cooperative sociali composte da ex detenuti. Ma tutto questo accadeva molto prima dello scandalo Mafia Capitale. "È stata compiuta una verifica non perché sapevamo di vicende di carattere penale, ma perché sapevamo che c'era qualcosa da riformare". Giustizia: il ministro Orlando "è un'esperienza conclusa ora dobbiamo pensare al futuro" di Francesco Grignetti La Stampa, 23 dicembre 2014 Il ministro Orlando: "Giusto creare impiego per i detenuti Possiamo farlo attraverso la ristrutturazione degli istituti" Per alcuni anni siamo stati il fanalino di coda dell'Europa. Nel 2014 abbiamo rischiato seriamente una multa salata di milioni di euro e una condanna per trattamenti inumani che sarebbe stata un'onta politica, tanto più perché eravamo alla guida del Semestre. Dall'emergenza del sovraffollamento siamo usciti. Ora si può pensare al futuro". Il ministro Andrea Orlando può tirare un sospiro di sollievo: le carceri sembrano uscire dal tunnel. Ma non basta. Il Guardasigilli annuncia che il suo obiettivo è molto più ambizioso di assicurare lo spazio minimo di 3metri quadri al detenuto. "Dobbiamo ripensare al sistema della pena". Il che significa un uso ancora più esteso delle pene alternative, vedi i domiciliari, ma anche una qualità diversa della vita in carcere. Occorre garantire più lavoro ai detenuti, ad esempio. "Il quadro è ancora insoddisfacente". Se è leggermente cresciuta la percentuale dei detenuti che lavorano, passati dal 20 al 26,5% in tre anni, ciò è dovuto al parziale sfollamento delle celle. "A questo scopo considero superata la stagione dei commissari straordinari e del Piano carceri. Piuttosto che costruire nuovi penitenziari, come dissi già quando quel governo (Berlusconi, ndr) presentò il Piano, è meglio ristrutturare gli istituti esistenti. Oltretutto quel Piano ha drenato tutte le risorse indirizzandole su appalti esterni. Con la manutenzione ordinaria si potranno recuperare 4-5000 posti letto, il che ci permetterà di superare definitivamente l'emergenza, e, allo stesso tempo, daremo lavoro a chi tra i detenuti vorrà lavorare". In questa chiave, però, non è contraddittoria la decisione di chiudere con la sperimentazione delle cooperative che da 10 anni confezionavano i pasti in undici istituti penitenziari? In fondo davano lavoro proprio ai detenuti. "Quella sperimentazione, gestita dalla Cassa Ammende, la considero conclusa e l'ho fatto comunicare alle cooperative interessate fin dal marzo scorso. Non c'entra la cronaca recente. Il servizio di mensa deve tornare alla gestione diretta del carcere come è in quasi tutte le città". Dalle cooperative, però, Orlando si aspetta molto. "Le invito ad aiutarci nell'impresa di creare lavoro nell'ambiente del carcere. Ma non in ambiti scontati, quali la supplenza alle carenze dell'amministrazione, quanto in aree nuove". Molto è stato fatto in questi mesi, rivendica il ministro. Dimezzato il numero delle madri detenute con bambini in cella. Ridotto di un terzo il numero dei ricoverati negli ospedali psichiatrici giudiziari, che sicuramente verranno chiusi entro ilmarzo 2015, e "siamo pronti a commissariare le Regioni inadempienti". Incrementati i numeri nelle comunità terapeutiche per i detenuti tossicodipendenti che ora possono sperare in un'alternativa alla cella. Il ministro spera molto, poi, nei rimpatri per i detenuti stranieri: 130 nel 2008, 465 nel 2014. "Abbiamo firmato una convenzione importante con il Marocco, in corso di ratifica. Ma ho fatto qualche conto: se soltanto riuscissimo a rimpatriare i detenuti di Paesi comunitari potremmo rimpatriare 5000 detenuti e tanti problemi sarebbero risolti". Giustizia: "il carcere non è posto per bambini", Napolitano raccoglie denuncia di Manconi di Aurelio Mancuso Il Garantista, 23 dicembre 2014 I bambini rinchiusi nelle carceri italiani insieme alle loro madri sembrano suscitare scarso interesse in un parlamento sempre pronto a discutere della protezione di un rudere storico in provincia di vattelapesca piuttosto che della valorizzazione della razza ovina della regione dei passi perduti. I bambini non votano, tantomeno le loro madri, per la gran parte appartenenti al popolo Rom e, poiché dove vivono non è possibile definire un domicilio legale, si delimitano con infanti dagli 0 ai 3 anni nelle patrie galere. Questo fine di mandato di Giorgio Napolitano sembra però regalare a un paese in perenne scarsità di diritti civili e garantismo, gesti importanti, di cui è bene dare conto. "Nei giorni scorsi ho scritto una lettera al presidente della Repubblica, dove esprimevo il rammarico per la sopraggiunta impossibilità di svolgere il convegno, previsto per il mese di dicembre, sulla prigione dei bambini". Così racconta Luigi Man-coni, presidente della commissione per la tutela dei diritti umani del Senato. Era stato programmato un convegno alla presenza del capo dello Stato da tenersi a Rebibbia, dove mediamente si "ospitano" una decina di bambini fino ai tre anni, dei circa sessanta presenti nelle carceri italiane. Luigi Manconi, che oltre a essere presidente della commissione parlamentare è anche il fondatore dell'associazione "a buon diritto" che si occupa di carcere, tortura, discriminazioni, racconta: "I bambini si trovano a vivere in una cella per l'impossibilità delle loro madri di ottenere gli arresti o la detenzione domiciliare. Una situazione intollerabile, che rende ancora più oltraggiosa la condizione già profondamente iniqua del nostro sistema penitenziario". Napolitano ha voluto rispondere al messaggio del senatore con uno scritto: "Caro Man-coni, rispondo alla tua lettera del 10 dicembre e sono anch'io molto rammaricato per l'impossibilità di realizzare l'iniziativa che avevi meritoriamente ideato di un convegno in carcere sul tema della "reclusione dei bambini". Si tratta di un problema grave e delicato e sono al corrente delle difficoltà incontrate nell'attuazione della legge n. 62 del 2001 che ha previsto gli istituti a custodia attenuata, per la quale non vi è forse stato un sufficiente investimento strutturale e una visione integrata di assistenza e sostegno per i figli dei detenuti". Il presidente della Repubblica prende posizione rispetto alle mancanze dello Stato: "È mancato, come purtroppo spesso accade un lungimirante impegno di tutte le Istituzioni per dare all'innovazione legislativa le caratteristiche concrete che l'avevano motivata. Le strutture destinate ad accogliere i bambini per non allontanarli dalle mamme detenute sono poche e mal attrezzate e non consentono sempre di raggiungere lo scopo di garantire una continuità del legame familiare offrendo, nel contempo, la possibilità di recuperare la dignità del detenuto anche attraverso il rapporto affettivo". Il presidente non manca di affrontare un tema, che a parole interessa molti parlamentari: "Eppure, anche salvaguardando la continuità del rapporto familiare, si favorisce il riequilibrio dell'individuo durante la detenzione. È un obiettivo che, se ben attuato, consentirebbe di aumentare le opportunità di recupero, sia per la crescita equilibrata dei bambini che per il reinserimento sociale della persona adulta ristretta in carcere. La questione della prigione dei bambini è evocativa del tema più grande della condizione carceraria sulla quale ti soffermi diffusamente. Al riguardo non posso che ribadire il contenuto del messaggio inviato alle Camere l'8 ottobre 2013". Qualche effetto quel messaggio l'ha prodotto, è stata approvata una legge, entrata in vigore il primo gennaio del 2014 che prevede la costruzione di case famiglie protette, soluzione questa per cui tante associazioni di volontariato che operano in carcere si sono battute. Il problema è che nemmeno una struttura è stata ancora realizzata poiché l'onere ricade sugli enti locali, che notoriamente hanno già difficoltà a tenere in piedi i servizi socio sanitari esistenti. Al presidente della Repubblica non rimane che vedere il bicchiere mezzo pieno: "Mi fa piacere rilevare che, successivamente al mio messaggio sono stati adottati provvedimenti che hanno contribuito a far diminuire sensibilmente il numero dei detenuti. Esso rimane comunque maggiore della capienza massima degli istituti, ed è sempre elevata la quota dei detenuti in attesa del giudizio di primo grado. Molto rimane da fare, ma si è comunque avuto il segno di una maggiore attenzione verso il problema della condizione carceraria che deve convincere a perseverare e a migliorare affinando gli obiettivi". In effetti, sia il governo Letta e sia l'attuale ministro Andrea Orlando hanno tentato attraverso diverse azioni di allentare la pressione sul sistema carcerario, ma la questione particolare che riguarda i bambini in prigione, anche a fronte dei numeri così esegui, ha bisogno di una esclusiva attenzione. Ben lo sapeva Leda Colombini, grande dirigente e parlamentare del Pci, fondatrice dell'associazione "A Roma Insieme" che da anni si batte affinché il motto della sua animatrice trovi finalmente ascolto: mai più bambini in carcere! Colombini, che era originaria di una povera famiglia di braccianti, ripeteva sempre, fino alla fine, quando un malore la stroncò proprio al termine di una riunione tenutasi a Regina Coeli, che la permanenza di bambini nelle carceri, oltre a essere una vergogna per il nostro paese, era il segno più evidente di un'incapacità della politica nell'organizzare un sistema penitenziario adeguato ai tempi. Comunque, in questi giorni una buona notizia c'è: la nomina di Mauro Palma a vice capo de Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, finalmente la persona adeguata alla nomina. C'è da sperare che il suo pluridecennale impegno nei confronti dei diritti dei detenuti spinga a una soluzione definitiva per i bambini incolpevolmente carcerati. Giustizia: "Carta dei figli dei detenuti", responsabilità genitoriale anche dietro le sbarre di Federico Unnia Italia Oggi, 23 dicembre 2014 Discusso a Milano protocollo d'intesa nato dall'input di "Bambinisenzasbarre onlus". Una Carta dei figli dei genitori detenuti, documento unico in Italia e in Europa, che afferma i diritti fondamentali del minore (oltre 100 mila solo in Italia) che si trova a vivere l'esperienza di un genitore, spesso entrambi, reclusi. La Carta, che pone il nostro Paese all'avanguardia in Europa, è stata proposta da Bambinisenzasbarre onlus, impegnata nella cura delle relazioni familiari durante la detenzione di uno o entrambi i genitori, e firmata dal ministro della giustizia, Andrea Orlando, dal Garante nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, Vincenzo Spadafora. Il documento riconosce il diritto dei 100 mila bambini italiani al mantenimento del legame affettivo con il genitore detenuto, riaffermando il diritto alla genitorialità. Impegna il sistema penitenziario in una nuova cultura dell'accoglienza che riconosca la presenza dei bambini senza colpe, ma vittime della vergogna sociale. Dei punti innovativi del documento si è discusso a Milano nel corso di un incontro per la presentazione del progetto sms solidale 45507, dal 21 al 28 dicembre, in collaborazione di tutte le emittenti radio televisive nazionali e locali e i gestori telefonici nella settimana di Natale. La Carta dei fi gli dei genitori detenuti riconosce formalmente il diritto di questi minorenni alla continuità del proprio legame affettivo con il genitore detenuto e, al contempo, ribadisce il diritto alla genitorialità. Il documento, che conta nove articoli e ha una validità biennale, istituisce un Tavolo permanente composto dai rappresentanti dei tre firmatari quale strumento di monitoraggio sull'attuazione dei punti previsti della Carta. Punti essenziali del documento sono le decisioni relative a ordinanze, sentenze ed esecuzione pena, ove è stabilito che di fronte all'arresto di uno o di entrambi i genitori, il mantenimento della relazione familiare va assunta come un diritto fondamentale del bambino, cui va garantita la continuità di un legame affettivo fondante la sua stessa identità e come un dovere/diritto del genitore di assumersi la responsabilità e continuità del proprio ruolo. Anche nei casi in cui l'arresto del genitore evidenzi una situazione di precarietà e fragilità della situazione familiare, nel rispetto dei principi della Convenzione dell'Onu sui diritti dell'infanzia e in ottemperanza a quanto previsto dalla legislazione italiana in materia di finalità della pena e di trattamento penitenziario, è necessario operare affinché la detenzione costituisca per il genitore detenuto un'occasione per recuperare l'identità genitoriale persa o da ricostruire. Questo articolo invita le autorità giudiziarie a tenere in considerazione i diritti e le esigenze dei fi gli di minore età della persona arrestata o fermata, in modo tale che possa conservare la responsabilità genitoriale, nel momento della decisione dell'eventuale misura cautelare cui sottoporla, dando priorità, laddove possibile, a misure alternative alla custodia cautelare in carcere. La preservazione dei vincoli familiari svolge un ruolo importante per il genitore detenuto nella prevenzione della recidiva e nella sua reintegrazione sociale. La sfida è creare un ambiente che accolga adeguatamente i bambini trovando il giusto equilibrio tra le esigenze di sicurezza e i buoni contatti familiari. Infine, grande rilevanza assume la formazione del personale. I bambini e le famiglie che entrano in carcere sono persone libere e come tali devono essere accolti. La questione dirimente che deve impegnare il sistema penitenziario ad affrontare il tema dell'accoglienza, che non è solo risolvibile con l'ausilio di spazi adeguati, ma, soprattutto, con una formazione in grado di trasformare l'approccio professionale dei suoi operatori, valorizzando gli aspetti relazionali e di cura del detenuto in quanto persona e in questo non diverso dai suoi familiari. Campania: Garante dei detenuti "Poggioreale non è più il carcere più affollato d'Europa" Askanews, 23 dicembre 2014 Con 1800 detenuti il carcere napoletano di Poggioreale perde il primato negativo di più affollato d'Europa. È stata la Garante regionale campana dei detenuti, Adriana Tocco, a confermare il trend positivo. "La situazione carceraria in Campania - ha precisato la Garante nella conferenza stampa di fine anno - resta complessa, per molti aspetti ancora critica. Ma ci sono evidenti segnali di cambiamento, da tutte le carceri della Campania. Il bilancio è moderatamente positivo". A determinare la drastica riduzione dei detenuti in Campania (attualmente 7.237, 53.962 in tutta Italia) sono stati provvedimenti come le Misure detentive alternative, il nuovo regime della ‘Messa in provà e soprattutto lo "svuota-carceri". Poggioreale, dunque, nell'ultimo anno ha registrato un calo di circa 1.000 detenuti (da 2.900 a 1.800). La struttura ospita mediamente 4-5 detenuti per cella. "Non siamo ancora a livelli ottimali ma sono stati fatti evidenti passi in avanti. Anche a Poggioreale - ha continuato la Garante - si cominciano a sperimentare le cosiddette celle aperte. Molti detenuti sono stati trasferiti da Poggioreale al carcere di Carinola (Caserta), dove vengono tenuti occupati nei lavori agricoli. "A Carinola - ha confermato la Tocco - si sta sperimentando con buoni risultati il cosiddetto Regime aperto". Campania: Garante dei detenuti "Santa Maria Capua Vetere, carcere ancora senz'acqua" di Fabrizio Geremicca Corriere del Mezzogiorno, 23 dicembre 2014 Diminuiscono i detenuti in Campania, soprattutto in virtù del calo dei reclusi nel carcere di Poggioreale - dove peraltro coabitano ancora in media cinque persone per cella - solo in parte compensato dall'aumento dei detenuti negli altri penitenziari regionali. Assistenza sanitaria carente, spazi di socialità e affettività molto esigui, fatiscenza delle strutture continuano, però, a determinare condizioni di detenzione assolutamente inadeguate rispetto alla finalità di rieducazione della pena prevista dalla Costituzione. Sono questi alcuni dei temi sollevati da Adriana Tocco, garante regionale dei detenuti, che ha tracciato un bilancio di fine anno. "In questo momento - ha quantificato - nei penitenziari campani sono recluse 7.350 persone. Nel 2013, a fine dicembre, erano circa 8.000. A Poggioreale, in particolare, la popolazione carceraria è scesa da 2.900 a circa 1.800 detenuti". Effetto del decreto svuota carceri che è stato approvato l'estate scorsa e, per quanto concerne Poggioreale, anche del trasferimento dei reclusi in altre strutture. Almeno un centinaio sono andati a Carinola, che era un carcere di alta sicurezza, ma accoglie ormai detenuti comuni. In Campania, gli extracomunitari sono poco meno del 15 per cento della popolazione carceraria. Le donne sono circa 1.300, tre delle quali sono ristrette con i figli a Bellizzi Irpino. È un tema, quello delle madri che vivono in carcere con i figli piccoli (fino a sei anni) sul quale la garante ha sollecitato la massima attenzione da parte delle istituzioni. "È indispensabile - ha detto - che la detenzione delle madri con prole, qualora non sia possibile ricorrere a misure alternative al carcere, avvenga in condizioni adatte a minimizzare il trauma psicologico che subiscono i bimbi". In Campania, al momento, non esistono istituti a custodia attenuata per madri con bimbi. C'è un progetto relativo al carcere di Lauro che prevede la trasformazione radicale di una parte del penitenziario che è stato redatto dal dipartimento di Architettura della Federico II. Secondo il garante, urgono sforzi anche per migliorare l'assistenza sanitaria ai detenuti. "Ho già proposto - ha detto - che nel nuovo Ospedale del Mare sia ricavata una struttura proprio per i reclusi che necessitino di assistenza ospedaliera". L'anno si chiude, intanto, senza che sia stato ancora risolto l'incredibile caso del carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove sono recluse oltre 1.000 persone e dove non di rado manca l'acqua. Il penitenziario non è allacciato alla rete idrica. Suppliscono due pozzi e un impianto di potabilizzazione che costa circa 100.000 euro all'anno, in estate centinaia di detenuti restano a volte privi di fornitura idrica. "E una questione che si trascina da anni - ha ricordato ieri la garante Tocco - e che avrebbe dovuto essere risolta da tempo. Tempo fa è stato stipulato un protocollo d'intesa tra la Regione Campania e il Dipartimento penitenziario che, nell'ambito di uno stanziamento di 9 milioni da destinare al miglioramento delle strutture carcerarie, prevedeva anche di allacciare il carcere alla rete idrica. I lavori non sono ancora iniziati". L'anno che sta per chiudersi era iniziato con la denuncia in Procura, da parte del garante, di presunte violenze e vessazioni ai danni dei detenuti. Sarebbero state perpetrate da un ristretto gruppo di agenti penitenziari a Poggioreale. Quattro o cinque in tutto. "L'inchiesta è ancora in corso e chiarirà se i racconti dei reclusi erano veritieri - ha sottolineato Tocco - ma intanto quegli agenti sono stati separati e destinati prudenzialmente ad altro incarico, nell'ambito del medesimo penitenziario". Pavia: la denuncia del Sippe "pareti scrostate, muffa e infiltrazioni d'acqua in carcere" di Maria Grazia Piccaluga La Provincia Pavese, 23 dicembre 2014 I delegati del Sippe, sindacato di polizia penitenziaria, visitano Torre del Gallo e bocciano la struttura. La vecchia ala, ma anche quella nuova. Pareti scrostate, box di servizio senza riscaldamento, muffa, infiltrazioni d'acqua nella mensa e nelle camere degli agenti. "Abbiamo riscontrato un notevole degrado all'interno della struttura - spiega Antonio Vignone, segretario generale aggiunto del Sippe, reduce dalla visita nella casa circondariale pavese insieme al vice segretario regionale Nicola Cacace -. Non solo per la carenza di mobili, arredi, sedie e scrivanie ma anche per le condizioni igienico-sanitarie in cui si trovano a operare gli agenti". La delegazione sindacale ha potuto ispezionare le aree di pertinenza della polizia penitenziaria nelle due ali del carcere. E ha già chiesto l'intervento urgente del ministro Andrea Orlando. "Già all'ingresso la portineria offre una brutta immagine, con muri scrostanti, cemento con le crepe, segno che non viene fatta manutenzione ordinaria - spiega Vignone - ma neppure l'area detenuti è a norma. I neon nei corridoi sono scoperti e quindi pericolosi, i box di servizio in cui lavorano gli agenti sono senza finestre però non hanno il riscaldamento d'inverno e neppure l'aria condizionata on estate. Quindi gelidi in questa stagione e torridi nei mesi estivi. Inoltre i bagni mancano del necessario, sapone, carta igienica". Infiltrazioni dal tetto, con acqua che scende nei locali, sono state documentate anche nel reparto nuovo, di recente costruzione. Com l'ampliamento i detenuti ora sono complessivamente 665. Gli agenti solo 202, con 3 ispettori. "Nell'ala nuova, i corridoi di collegamento non sono riscaldati - prosegue Vignone - perché pare non sia stato previsto l'impianto in sede di progettazione. E neppure la caserma è in buone condizioni: muffa nelle camere, infiltrazioni d'acqua anche nella mensa e persino nella cucina". Il Sippe segnala poi la cronica carenza di organico registrata a Pavia e la presenza di mezzi di trasporto troppo vecchi per le traduzioni dei detenuti. Catanzaro: nuovo concerto dell'Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti per i detenuti www.infooggi.it, 23 dicembre 2014 Dopo il grande successo - in termini di apprezzamento da parte dei detenuti di alta sicurezza - dello scorso 13 dicembre, sabato scorso - questa volta alla presenza dei detenuti di media sicurezza - si è esibito il coro dell'Unione Italiana Ciechi ed ipovedenti all'interno della casa circondariale di Catanzaro. Anche questa volta si è registrata una grande emozione da parte dei presenti e sani momenti di riflessione. "Liberi di sognare… liberi di sperare", questo il titolo che è stato dato all'evento. Luciana Loprete, presidente dell'Unione, nonché direttore del coro, ha saputo, attraverso semplici e profonde parole portare un messaggio di speranza all'interno della casa circondariale. Anche il concerto di questa volta, sempre organizzato in collaborazione con Teatro 6, è stato particolarmente bello, anche grazie all'interpretazione di brani diversi dalla scorsa volta. Attraverso un'attenta scelta delle canzoni da interpretare è stato possibile consentire ai detenuti di apprezzare il sentimento e la forza con cui i ciechi ed ipovedenti portano avanti la loro vita, fatta di tante difficoltà, di impedimenti e di ostacoli. Una sorta di vite parallele, quella dei ciechi e dei detenuti, accomunati dalle difficoltà di andare avanti, nonostante tutto e nonostante tutti. Entrambi forse anche etichettati da sterili pregiudizi e indifferenza da parte di noi definiti "normali", troppo presi dalle nostre cose per dedicarci e tendere una mano a chi ha veramente bisogno di un sostegno. Durante l'ultima esecuzione di un brano natalizio, il coro ha acceso una candela, una piccola fiammella… una labile speranza, una luce fioca che deve illuminare sempre i passi che compiamo e che può e deve indicarci la via da seguire. Ad emozionare particolarmente le poche righe scritte da Giuseppe, un detenuto che da 5 anni sta scontando la sua pena all'interno del carcere e che insieme ad altri detenuti sta partecipando ad uno dei laboratori teatrali che Mario Sei sta realizzando ormai da tempo all'interno del carcere. Giuseppe ha voluto in qualche modo esprimere la propria riconoscenza scrivendo poche righe, che noi pubblichiamo integralmente: Buonasera, mi capita di sentirmi di dover esprimere le mie emozioni ed i miei sentimenti attraverso poche righe, l'unico modo che mi fa sentire più vivo da cinque anni a questa parte. Oggi mi trovo di fronte ad un realtà diversa dalla solita routine. Quello di oggi per me è un evento speciale e mi rivolgo soprattutto agli ospiti che in questo momento ascoltano le mie parole. Non importa se nella vita sfugge qualcosa da sotto gli occhi, l'importante è non rimanere indifferenti agli occhi di tutti. Io vorrei poter ricambiare e donarmi a chi ne ha più bisogno e desidero che questo mio messaggio giunga al di fuori di questo contesto. Sono le poche parole che sono riuscito ad incidere su questo foglio, dove l'inchiostro sembra spegnersi come i giorni della mia vita. Vi ringrazio per avermi dato la possibilità di condividere questo momento in presenza delle Autorità, tra cui la Direttrice del carcere Dr.ssa Angela Paravati, la quale vorrei ringraziare a nome di tutti i partecipanti per oggi e per il prossimo evento del 2 gennaio 2015 quando avremo modo di rappresentare una commedia, con l'auspicio che sarà un momento unico, frutto di lavoro e di passione, oltre ad essere per noi esperienza di vita all'interno di questa struttura grazie all'impegno del nostro caro maestro Mario Sei, che nonostante i suoi innumerevoli impegni ci ha sostenuto e ci sostiene in ogni singolo momento. Oggi un ringraziamento va alla signora Luciana Loprete per averci raggiunti con tutti i suoi ragazzi in un posto in cui non ci saremmo aspettati. Un ringraziamento infine alla premurosa e sempre disponibile al dialogo, educatrice dr.ssa Vincenza Di Filippo. Grazie a tutti. Giuseppe L. D.S. un altro detenuto di Alta Sicurezza scrive, a proposito del concerto del 13 dicembre scorso: Un ringraziamento di vero cuore per le emozioni che abbiamo vissuto sabato scorso. Ci avete regalato dei momenti in cui l'emozione è arrivata all'apice. Grazie alla vostra forza e al vostro coraggio che ci avete dimostrato, per non parlare dell'autoironia che dimostra una grande intelligenza. Grazie a nome di noi tutti. I complimenti vanno agli organizzatori ed ai volontari che vi danno una mano. Complimenti per il vostro impegno che ci ha permesso di avvicinarci a voi e a conoscervi. Siete delle splendide persone. Complimenti a Luciana che come una chioccia riesce con sicurezza a proteggere e sostenere tutti i ragazzi del coro. Per finire un grazie sincero agli organizzatori per averci aperto gli occhi! Buon Natale. Immigrazione: i Cie, zoo per umani ma senza erba di Barbara Spinelli La Stampa, 23 dicembre 2014 Il 19 dicembre, come deputato europeo, sono andata in visita al Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria presso Roma. Ero accompagnata da rappresentanti di alcune associazioni che si prendono cura della disperazione impotente di tanti migranti finiti in queste gabbie penitenziarie. Ho constatato quel che denuncio da mesi, e che è il fulcro della mia attività a Bruxelles: man mano che l'immigrazione aumenta in Europa, man mano che la sua natura muta (i più fuggono oggi da guerre o disastri climatici: per forza sono senza documenti), s'afferma nell'Unione un diritto emergenziale, che sospende leggi iscritte non solo nelle Costituzioni, ma nella Carta europea dei diritti fondamentali. Così l'immigrazione diventa la nostra comune parte buia: buia perché inaccessibile all'informazione, buia per le ferite inflitte alla dignità della persona. Ogni giorno abbiamo notizie di violenze che colpiscono i migranti, nello spazio Schengen: a Melilla in Spagna, a Sangatte in Francia, e in Grecia, in Italia. Ogni giorno crescono partiti che raccolgono consensi trasformando il profugo in capro espiatorio: penso a Marine Le Pen e Salvini in Francia e Italia, a Dresda avamposto di islamofobi e neonazisti (Npd, Die Rechte). Penso all'Ukipinglese. Ovunque, i conservatori sono in competizione mimetica con l'estrema destra: da Cameron in Inghilterra a Rajoy in Spagna. La visita a Ponte Galeria è tappa cruciale della battaglia che conduco dal primo giorno in Europa: contro la chiusura di Mare Nostrum e la rinuncia esplicita ai salvataggi in alto mare; in favore del riconoscimento reciproco dell'asilo nell'Ue e di corridoi umanitari che tolgano alle mafie il controllo sui fuggitivi; contro il disumano regolamento di Dublino che obbliga i migranti a chiedere asilo nel primo paese dove approdano, anche se la destinazione è un altro paese europeo. Quel che ho visto nel Cie eccolo: uno zoo per umani, ma senza erba né alberi come quelli che oggi sono concessi agli animali. Una spianata di cemento e, anziché gli alberi, una fitta foresta di sbarre che delimita gli spazi dove i detenuti dormono, escono nelle gabbie antistanti le camerate, deambulano nel corridoio centrale, anch'esso cintato da barriere. Tutto a Ponte Galeria è grigio-ferro: le sbarre, il plexiglas che impedisce ai detenuti di salire sui tetti, le graticole che fasciano le finestre dei dormitori. Qui l'osceno si disvela per quello che è: un campo di concentramento per migranti non in regola con il permesso di soggiorno, di richiedenti asilo, di stranieri che hanno scontato pene ma non hanno documenti. Italia e Europa esibiscono la propria verità concentrazionaria senza pudore. E senza memoria. Con alcuni militanti di associazioni che proteggono i migranti son qui a certificare l'orrore. Fuori dai cancelli, volanti e blindati. Dentro il Centro: un corridoio dove si susseguono stanze per gli incontri con i parenti, con i legali che convalidano detenzioni ed espulsioni, poi l'ambulatorio, poi lo psichiatra che però non c'è - è stato licenziato dai nuovi gestori. Subito dopo, gli spazi geometricamente suddivisi del carcere-lager, a sinistra gli uomini a destra le donne: la geometria delle sbarre altissime, cui stanno aggrappati… come li chiamiamo? Il vocabolario dei custodi tentenna e scivola come liquido, senza solidificarsi. Li chiamano a volte detenuti, o perfino "utenti", "ospiti", più di rado "trattenuti". Prima di entrare nei recinti chiedo ai custodi: "Si può parlare con loro?" - "Un momento, i capibanda sono altrove" - "I capibanda?" - Sì, capibanda. Così sono interpellati i rappresentanti dei detenuti. Il lessico a Ponte Galeria s'impregna di malavita. "Comunque non entrate, sono agitati, pericolosi". Da lunedì 15 dicembre il Cie è amministrato dalla francese Gepsa, specializzata in carceri. L'agenzia ha vinto la gara perché ha promesso tagli al personale e diarie decurtate ai detenuti (2,5 euro al giorno). I prigionieri parlano ossessivamente di spending review: un vocabolo appreso in fretta. Da lunedì manca quasi tutto, nel Cie: vestiti caldi, biancheria, calze, lenzuola di ricambio, spazzolini e dentifricio, assorbenti per le donne. I nuovi gestori dicono: sono inconvenienti temporanei. Ma in realtà le norme sono le stesse: l'emergenza genera queste zone d'incessante non diritto. Ai reclusi è proibito tenere matite o penne, per evitare che inghiottendole finiscano in ambulatorio. È vietata carta da scrivere, per motivi arcani. Hanno il telefonino, ma non la connessione internet. Non hanno accesso a giornali. I gestori smentiscono, ma i detenuti sono esasperati perché di notte le luci al neon sono sempre accese. Di qui - anche - l'alto uso di sonniferi. Le tensioni s'alzano e scendono come maree, e a seconda del loro livello si dispiegano le forze d'ordine, manganelli in vista e pistole alla cinta. Entriamo nelle camerate, dove ci sono 8-10 letti in uno spazio che ne dovrebbe contenere quattro. Dentro fa freddo come fuori; il riscaldamento è intermittente. I reclusi indicano le poche cose che ricevono: lenzuola di carta sbrindellate, una coperta, cibo scarso. Un detenuto ci mostra di nascosto un pettinino sbocconcellato: i pettini sono proibiti, vai a sapere perché. I più calzano sandali infradito, anche se fa freddo. Sono vietati i lacci delle scarpe. Un migrante ride dell'insensatezza: i lacci no, ma una cintura di spago per i pantaloni troppo larghi, "quella sì la possiamo portare e eventualmente impiccarci". Tutti sono angosciati dall'igiene: sono giorni che non ricevono sapone, che non possono andare alla "barberia" (son vietate le lamette). Si vergognano molto di quest'incuria. Sono giorni che non hanno vestiti di ricambio: "Non ci piace puzzare, ma ecco puzziamo". Tutti i buoni propositi di un eurodeputato vanno a sbattere inani contro quei volti di supplica disperata, che chiedono quel che dovrebbe essere normale: poter uscire dall'inferno in cui precipitano tutti, incensurati e non; avere informazioni (ma mancano gli interpreti); poter raggiungere i parenti che a volte non sono fuori Europa ma a due passi da qui; essere assistiti (il barbiere e lo psicologo sono le figure più anelate). E soprattutto: scongiurare il respingimento che l'Unione in teoria vieta, il rimpatrio lì dove la morte li aspetta. Ho passato un pomeriggio con loro, e alla fine avevo l'impressione che fosse un anno fatto di impotenze. Continueremo a batterci per loro, è certo. Ma con quale prospettiva d'essere ascoltati da autorità nazionali ed europee? Una cosa so: quale che sia la nostra azione, in Europa e nelle associazioni, tutti ci stiamo macchiando d'una colpa. Perché questi zoo li abbiamo fabbricati noi. Perché li definiamo inaccettabili, allontanandoci da quei volti che chiedono risposte fino all'ultimo minuto - insopportabile - in cui incroci i loro sguardi. Ma anche questo sappiamo: nello stesso istante in cui dici "inaccettabile" e poi prendi il treno per tornare a casa, già hai accettato. Già sei sceso a patti con il tremendo. Immigrazione: Cie di Ponte Galeria, aprite quella gabbia Il Manifesto, 23 dicembre 2014 Nuova gestione, vecchi vizi. Il Centro di identificazione ed espulsione nei pressi di Roma torna a essere vietato agli sguardi "indiscreti" di chi denuncia l'arbitrio di queste enormi prigioni per migranti. Svariati giorni prima del 19 dicembre scorso avevamo chiesto di far parte della delegazione che avrebbe accompagnato nella visita al Cie di Ponte Galeria, vicino Roma, l'europarlamentare Barbara Spinelli (L'Altra Europa con Tsipras), in missione ufficiale. Fra noi c'era chi nel 1999 aveva cercato invano di far luce sul caso di un recluso: Mohamed Ben Said, morto la notte di Natale di quell'anno, la mandibola fratturata, forse imbottito di psicofarmaci, comunque "soccorso" quand'era già cadavere. Fin dal 1998, quando furono istituiti dalla legge Turco-Napolitano col nome di Cpt, ne denunciamo l'arbitrio e l'irriformabilità; e a questo scopo negli anni recenti siamo entrate/i più volte nei Cie di tutta Italia, anche in quello di Ponte Galeria. Sapevamo bene, dunque, di quell'immenso carcere di massima sicurezza, con sbarre e gabbie riservate a persone colpevoli di non essere cittadini italiani e di non avere titolarità per restare in Italia. Ma entrare lì dentro è necessario, per far conoscere all'esterno brandelli di storie di vite vilipese e de-umanizzate. Per provare a raccontare la rabbia, la rassegnazione, l'umiliazione dei "trattenuti", che gli attuali gestori chiamano, assurdamente, ospiti o addirittura utenti. Altrimenti ci si abitua alla banalità del male o si finisce per considerarla inevitabile. In risposta alla circolare di Maroni Fino al 2011, entrare nei Cie, dopo un'autorizzazione della Prefettura, non era impossibile. Poi, il 1° aprile, sopraggiunse la circolare del ministro Maroni, che permise l'accesso solo ai parlamentari e ai funzionari di alcune organizzazioni umanitarie, vietandolo a giornalisti, avvocati, studiosi, attivisti… Così, un gruppo di giornalisti lanciò la campagna LasciateCIEntrare, che infine portò, durante il governo Monti, alla sospensione di quella circolare. Nel frattempo, molti Cie hanno sospeso l'attività: di tredici che erano, oggi ce ne sono cinque e con capienza ridotta. Lo scorso anno, proprio in questi giorni e proprio a Ponte Galeria, una ventina di reclusi si erano cucite le labbra per protestare contro la lunghezza dei tempi di trattenimento (allora diciotto mesi) e contro le condizioni di vita all'interno. Solo da poco, finalmente, il governo ha ridotto a novanta giorni i tempi massimi di trattenimento, ma i Cie restano ciò che sono: strutture concentrazionarie. Intanto, a Ponte Galeria, a quello che sin dal 2010 era l'ente gestore, l'Auxilium, il 15 dicembre è subentrata la Gepsa, un'azienda francese, coadiuvata dall'Acuarinto, che ha vinto l'appalto riducendo drasticamente i costi (29 euro al giorno per ogni "trattenuto"), ma anche il personale e i servizi garantiti. La visita programmata con Barbara Spinelli per il 19 dicembre cadeva, dunque, pochi giorni dopo il passaggio di consegne. Sicché la Prefettura, pur non negando esplicitamente l'ingresso, all'ultimo momento ci "consiglia" di spostare la visita della nostra delegazione, fermo restando il diritto di entrare dell'europarlamentare, accompagnata. Un atto di disobbedienza civile Così, alle 13.30 circa del 19 dicembre, Barbara Spinelli varca le sbarre del Cie, insieme con due collaboratrici e con Marta Bonafoni, consigliere regionale del Lazio, la quale riesce ad entrare appellandosi al nulla osta pervenuto dal Viminale. Mentre i reclusi sono ammassati contro le sbarre dell'ultima inferriata, che dà sul cortile della mensa e la polizia è schierata, Spinelli, compiendo un atto di disobbedienza civile, riesce a sgusciare dentro e a parlare con i prigionieri. Nel contempo, da dentro, verifica il parere favorevole della Prefettura e contratta affinché anche noi possiamo entrare. Ma una funzionaria di polizia ci comunica che lei non ha ricevuto alcuna lista per ulteriori ingressi e che a negarci l'accesso sarebbe il dottor Mancini, responsabile dell'Ufficio immigrazione della Questura di Roma: a giustificare il diniego, le difficoltà connesse al cambio di gestione. Mentre discutiamo con lei, avendo già consegnato i nostri documenti d'identità a un milite nel gabbiotto d'ingresso, la funzionaria controbatte con una frase infelice: "Qui dentro ha cercato di entrare gente con precedenti penali. Chi ci dice che non ne abbiate anche voi?". Insomma, per difetti di comunicazione fra apparati dello Stato e per l'indisponibilità della Questura ad accettare le richieste della Prefettura, veniamo tenuti fuori o, meglio, possiamo entrare nel cortile tramite cui si dovrebbe poter accedere al Cie. Intorno a noi, dei cani - antidroga? - rinchiusi in un furgoncino dei Carabinieri abbaiano furiosamente: anche loro, forse, esasperati per essere in gabbia. Forse sono gli stessi che, da più di un anno, sono (o erano) condotti abitualmente all'ingresso della mensa per "tener buoni" i reclusi che passavano per recarsi a mangiare. Barbara Spinelli, Daniela Padoan e Marta Bonafoni escono più volte per tentare di trovare una soluzione. Gabriella Guido, portavoce di LasciateCIEntrare, telefona ai vari soggetti istituzionali, che negano sia stata consegnata la lista dei nostri nomi. Nell'attesa parliamo con i nuovi gestori. Alle nostre domande sullo stato attuale del Cie, replicano che, secondo le loro regole aziendali, si possono dare informazioni solo se vagliate anche dalla Prefettura. Padoan telefona alla responsabile-comunicazione dell'"azienda", la quale aggiunge che è d'obbligo inviare una richiesta scritta alla sede della società nonché alla Prefettura, cioè "al nostro cliente". Come se non si trattasse di atti pubblici la cui trasparenza sarebbe d'obbligo, soprattutto al tempo di Mafia Capitale. Un incidente o una scelta? A tarda sera ci allontaniamo da quell'incubo di gabbie, col dubbio che la discrezionalità rispetto agli accessi non sia un incidente ma una scelta. Ribassati i costi e peggiorate, almeno per ora, le condizioni della struttura, temiamo che l'ostilità della Questura e dell'ente gestore verso visitatori "indiscreti" divenga la norma. Sicché la riduzione dei tempi di trattenimento potrebbe avere, come contraccolpo, il peggioramento, se possibile, delle condizioni di vita nel Cie. Uno dei responsabili dell'ente gestore ci dice che loro, pur non apprezzando posti simili, sono orgogliosi di gestirli: "Qualcuno deve pur farlo e noi sappiamo farlo meglio di altri". Parole che fanno venire i brividi. Anche noi non apprezziamo questi posti. Qualcuno dovrà pur darsi da fare per chiuderli definitivamente. Noi, insieme a tanti altri, cercheremo di farlo al meglio e ci riusciremo. A cura di Antonello Ciervo, Stefano Galieni, Cinzia Greco, Annamaria Rivera, Giacomo Zandonini e, per solidarietà, Barbara Spinelli. Pakistan: con fine moratoria annunciate 500 condanne a morte nelle prossime settimane Ansa, 23 dicembre 2014 Il Pakistan prevede di eseguire quasi 500 condanne a morte nelle prossime settimane. Lo annunciano diversi funzionari di Governo, a pochi giorni dalla fine della moratoria in vigore dal 2008 sulla pena capitale. Islamabad aveva annunciato la fine della moratoria per casi di terrorismo dopo la strage dei bambini in una scuola di Peshawar ad opera di un commando talebano. Sei condannati alla pena capitale da dei tribunali anti-terroristi sono già stati giustiziati dopo la sospensione della moratoria con il plauso apparente di una larga parte dell'opinione pubblica. "Il ministero dell'Interno ha completato la lista dei 500 condannati che hanno già fatto tutti i riscorsi possibili. Le loro domande di grazia sono state rifiutate dal presidente e saranno giustiziati nel corso delle prossime settimane", hanno dichiarato all'Afp diversi funzionari del ministero. Circa 8.000 detenuti si trovano attualmente nel braccio della morte in Pakistan. La revoca della moratoria sulle esecuzioni, annunciata dal Primo ministro Nawaz Sharif, dopo il massacro che ha scioccato l'intero Paese, riguarda solo i condannati dai tribunali anti-terroristi. Stati Uniti: gravidanza a distanza tra un "eroe" detenuto e una spia aiuta il disgelo con Cuba di Anna Guaita Il Messaggero, 23 dicembre 2014 Neanche un eroe della patria, ammirato e amato come Gerardo Hernandez poteva avere la capacità di mettere incinta la moglie: lui in prigione in California, lei a Cuba. Lui in prigione da 14 anni, lei incinta all'ottavo mese. Chiaro che nell'isola cubana le voci sono circolate insistenti. Ma alla fine è stato proprio lui a mettere in chiaro che la gravidanza è avvenuta "per intervento remoto", uno dei primi passi del disgelo fra Washington e l'Avana. Hernandez è appena tornato a Cuba, rimesso in libertà nell'ambito dell'accordo di scambio di spie fra le due capitali. L'uomo faceva parte di una banda, detta "La Banda delle Vespe" che aveva infiltrato la comunità degli esuli cubani in Florida e passato informazioni al regime di Castro. Nel 2001 era stato pizzicato e condannato a due ergastoli. Non aveva alcuna speranza di rivedere la moglie. Anche lei infatti è una "operatrice dell'intelligence" e quindi non avrebbe mai ottenuto il permesso di entrare negli Usa per fargli visita in carcere. In assenza di "visite coniugali", come è potuto accadere che Adriana Perez facesse mostra orgogliosa di un bel pancione, quando Hernandez è sceso dall'aereo, messo in libertà dopo gli accordi fra il presidente Barack Obama e il collega cubano Raul Castro? Ebbene si è scoperto che nel corso delle trattative di disgelo, durate un anno e mezzo, il senatore Patrick Leahy, del Vermont, aveva chiesto al Dipartimento di Giustizia Usa di favorire il gesto "umanitario" di tentare la fecondazione assistita per la donna, che altrimenti non avrebbe mai avuto speranza di avere un figlio dal marito. In cambio, i cubani promettevano di migliorare le condizioni carcerarie di Alan Gross, il cittadino americano in prigione a Cuba sotto l'accusa di aver tentato di installare collegamenti internet clandestini presso la popolazione ebraica dell'isola. Gross era malato, ed evidentemente trattato in modo più duro di come non venisse trattato Hernandez in Usa. Tant'è che lui è tornato negli Usa dimagrito di 45 chili, con cinque denti di meno e un occhio afflitto da una malattia che gli ha quasi tolto la vista. Hernandez invece sembrava in condizioni fisiche eccellenti. La missione di assicurare un bambino ad Adriana Perez è stata condotta nel massimo segreto. Nulla è trapelato. Il Dipartimento della Giustizia Usa conferma di aver dato il permesso e aver facilitato la raccolta del seme di Hernandez e il suo trasporto. Non si sa se poi sia stato il senatore Leahy a incaricarsi di portarlo nell'isola, ma si sa che il senatore è stato estremamente agguerrito nel difendere Gross e tentare di farlo rimettere in libertà. Quindi on si può escludere che abbia anche accettato di fare da "cicogna". Tutto ciò può far sorridere. Ma la diplomazia percorre spesso strade poco convenzionali. Basti ricordare che il campionato di ping-pong fra la squadra americana e quella cinese, nel 1971, aprì la porta al digelo fra gli Stati Uniti e il regime comunista di Mao, e preparò lo storico viaggio di Richard Nixon nel 1972.