L'amore entra dentro l'Assassino dei Sogni. Undicesima parte Ristretti Orizzonti, 22 dicembre 2014 Testimonianza di un Uomo Ombra al seminario di Ristretti Orizzonti sugli affetti in carcere del primo dicembre 2014. "Gli ergastolani più fortunati si creano ogni giorno un mondo interiore costruito sul sale di tutte le loro lacrime". (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com). La mattinata s'è conclusa. E adesso c'è una pausa dei lavori. Ed io ho l'occasione di passeggiare e fare il padre con mia figlia. Mi sembra strano di camminare accanto a lei. Durante i colloqui ci vediamo solo seduti. Adesso invece sembriamo un padre e una figlia normali. Capitati lì per caso. Mentre mia figlia va a prendere qualcosa da mangiare approfitto per parlare a quattrocchi con il suo fidanzato. Lo invito a fumarci una sigaretta. Alberto. E ci appartiamo in un angolo. Come va? Intanto lo osservo. La Barbi mi ha detto che lavori dalla mattina alla sera tardi? Provo a farci le analisi del sangue. Bravo. E anche quelle del Dna. Mi raccomando. Penso che mia figlia ha scelto bene. Abbi cura della mia bambina. Ha la faccia del bravo ragazzo. È tutto quello che ho. Mi sembra sveglio. Cercate di volervi bene. Ed intelligente. E di essere felici. È alto. Se è felice mia figlia, lo sarò anch'io. Ed ha gli occhi azzurri. Vi auguro una buona vita. È proprio un bel ragazzo. E tanto amore. Non proprio come ero io da giovane, ma quasi. Il mio cuore, che non coglie mai l'occasione per stare zitto, mi ribatte che è molto più carino di quanto ero io alla sua età. Scrollo le spalle. E faccio finta di non sentirlo. Poi scambio due chiacchere con il mio Diavolo Custode che mi segue come un angelo. Sta appartata perché sa che quando sono con mia figlia non ci sono per nessuno. Parlo un po' con Alessandra Celletti, la mia amica pianista. E mi vengano in mente le parole che mi aveva scritto dopo che ci eravamo incontrati la prima volta: "Non immagini quanto sono stata felice di festeggiare il mio compleanno con te e tutti insieme. È stato davvero un grande giorno. Grazie di cuore per la tua accoglienza, per il tuo sorriso, per la tua allegria e per il pianoforte. Mi è sembrato davvero un giorno di festa, circondata da tanto affetto e calore e non mi sembrava neanche di stare in una prigione. Sono stata felice di suonare e anche di riuscire a farmi coraggio e cantare i tuoi versi. La giornata è volata via con leggerezza e ti sembrerà strano ma l'unico momento in cui ho sentito la durezza delle sbarre è stato quando "noi buoni" siamo dovuti uscire. In quel momento anch'io ho sentito di non essere libera perché mi sarebbe piaciuto restare un altro po' a scherzare insieme. Avrei voluto salutare tutti con più lentezza e con più calma e magari cantare un'altra canzone sul pianoforte senza il Do. Invece il tempo era scaduto e i "buoni" dovevano nuovamente essere separati dai "cattivi". Quel momento è stato brutto". Io le avevo risposto: "Il nostro cuore ti dice grazie di avere portato un po' di felicità e di amore sociale nelle nostre celle. Per molti di noi sei stata una delle poche cose belle che abbiamo visto dopo decine di anni di buio, ferro e cemento. Forse alcuni di noi possano fare a meno della libertà, ma mai potremmo mai rinunciare alla speranza che ci hai trasmesso con la tua musica, la tua voce e i tuoi sorrisi. Lo so, tutti ci odiano e non è facile aiutarci. Non è neppure facile difenderci davanti all'opinione pubblica. È ancora più difficile volerci bene. E farci da fata. Per questo ti siamo grati di avere il coraggio di farlo. Alessandra, grazie che l'altro giorno ci hai aiutato a sognare. E di averci portato un po' di libertà nelle nostre anime. Oggi pensavo che sia difficile che gli uomini ombra riusciranno mai un giorno ad uscire dalle loro tombe, ma se qualcuno là fuori dal muro di cinta continuerà a volerci bene come fai tu forse avremo più probabilità di rimanere vivi". I lavori del pomeriggio iniziano con i saluti di Ornella ad Alessandra: Voglio salutare Alessandra Celletti che è la pianista che è già venuta al convegno sull'ergastolo e si è sobbarcata la fatica di venire in questi luoghi e passarci anche il compleanno, ed è veramente un'amica. Poi annuncia l'intervento dell'avvocato Annamaria Alborghetti. E lei inizia a parlare. È stato detto più volte, che una delle ragioni dell'arretratezza del nostro sistema, rispetto ad altri paesi, è il fatto che noi dobbiamo fare i conti con la forte presenza della criminalità organizzata che in qualche modo ha condizionato anche certe scelte. Ebbene non è proprio così, vi porto un piccolo esempio, ho avuto occasione circa un mese fa di visitare due istituti penitenziari nel Brasile. (…) La maggioranza dei detenuti sono poverissimi, anzi la maggior parte sono analfabeti, spesso anche con rapporti di sottomissione all'interno del carcere rispetto ai trafficanti. Però c'è una zona franca, e questa zona franca sono gli affetti. Nel vecchio carcere non ci sono le sale colloquio, non esistono, però c'è uno spazio per la socialità dove ci sono i detenuti, che ricevono i famigliari. E in queste celle durante i colloqui i detenuti possono appartarsi con il loro partner. E la cosa incredibile è che c'è un rispetto totale in questa situazione. Il secondo carcere dove sono stata è La Cavegia pubblica. Le visite ed i colloqui si fanno anche li nella zona di socialità e si vedono le famiglie che mangiano insieme, stanno insieme. E li ci sono anche le stanze dell'intimità, con un accesso in qualche modo riservato. (…) Il luogo, possiamo dire, che non è quell'appartamento a cui si fa riferimento quando si vedono l'Olanda o la Danimarca, è semplicemente una cella migliore, più grande, però questo è il luogo dove possono appartarsi. Noi appunto facciamo riferimento a questi Paesi sempre più avanzati sotto il profilo della tutela dei diritti, a Paesi dove sicuramente spesso il numero dei detenuti è più basso, dove magari fenomeni come la mafia sono sicuramente meno presenti, però ecco, questo invece è il posto dove c'è esattamente il contrario, in questa situazione di fatiscenza, di difficoltà c'è questa garanzia deli diritto agli affetti. Un'osservazione permettetemela ed è questa, che allora il problema forse è un altro, ed è l'idea della pena, che nonostante il nostro Ordinamento penitenziario, nonostante le menti illuminate che adesso tentano dei cambiamenti, l'idea della pena è appunto quella della segregazione, della mummificazione del corpo, della penitenza, e quindi in questo c'è anche la privazione della sessualità. Nel frattempo il tempo scorre. E penso che fra meno di due ore dovrò vedere mia figlia andare via. La guardo lungamente con occhi teneri. Le accarezzo i capelli. Poi la guardo con occhi malinconici. Le do un bacio sulla punta del naso. Poi un bacio sulle labbra. Ed un altro bacio ancora. Le vorrei dare tutti i baci che non le ho potuto dare in questi ventitré anni di carcere. Continua... Agnese Moro, un padre ucciso, "consola" le figlie di uomini responsabili di gravi reati Il Mattino di Padova, 22 dicembre 2014 Abbiamo deciso di insistere a parlare dei figli delle persone detenute perché qualcosa bisogna davvero fare per loro. E un esempio straordinario lo dà ancora una volta Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, lo statista ucciso dai terroristi delle Brigate Rosse, che ha saputo capire, consolare, sostenere le figlie di persone che si sono macchiate di reati pesanti, perché loro hanno diritto comunque ad avere un padre più presente, più "vicino" pur nella lontananza della galera. Agnese le ha ascoltate, e poi ha paragonato la loro condizione di lontananza forzata alla sua sofferenza, di quando non sapeva nulla del padre, ostaggio dei suoi rapitori. E ha chiesto per quelle figlie la possibilità di più ore di colloqui e più telefonate, perché punire i loro padri non deve significare togliere ai figli la speranza. Vedere tuo padre dietro a un vetro e non poterlo abbracciare ti strappa il cuore Io sono la figlia di Biagio Campailla. Vi volevo raccontare un po' la storia fra me e mio papà e la mia famiglia. Noi siamo dei figli che sono stati cresciuti all'estero, in Belgio, ci sono io la più grande, mia sorella Iolanda, mia sorella Rita e mia sorella Anna. Quello che volevo spiegare non è semplice, perché è una cosa che parte da lontano e cresce e che ti porti dietro per tutta la vita. Quello che io vi voglio confessare è che dall'età dei miei 14 anni papà non era più a casa. Vi racconto quello che ricordo, oggi ho 29 anni dunque sono passati più o meno 16 anni da quel giorno, mi ricordo che era il mese di giugno quando ho saputo che papà non c'era più, e non capivo il perché. Poi ho capito che mio padre l'avevano arrestato. È iniziato un incubo, un incubo perché nulla è semplice, cominci a chiederti il perché, a farti tante domande, a farne alle tue sorelle, alla tua famiglia, ti chiedi il motivo, cosa è successo, perché proprio a me. Poi però bisogna andare avanti, la mamma inizia a spiegare che ci sono i colloqui, colloqui dove tu vedi papà dietro a un vetro, e tu lo devi spiegare alle sorelline. Diciamo che iniziano le torture. Le torture perché a pagare le conseguenze delle pene sono anche i familiari, e poi soprattutto per te che sei fuori, che sei libera di vivere con gli altri, non è semplice spiegare a tutti come è successo, perché, e ti devi sempre giustificare, mortificare. Si soffre, si soffre tanto e soprattutto vedere un padre dietro a un vetro e non poterlo abbracciare ti strappa il cuore, e non accetti la realtà, non accetti e purtroppo ti metti in croce. Oggi nella vita possiamo sbagliare tutti, tutti possiamo cadere, però l'amore è una cosa molto importante, l'amore secondo me è spiegare ad ognuno di noi che, nonostante ciò che nella vita soffriamo, quello che ti copre e ti protegge e che diventa anche una campana di vetro è la capacità di amare, di tenersi per mano e andare avanti. Dunque quello che vi voglio trasmettere è che però purtroppo nella vita, se quell'affetto non lo puoi esprimere, devi stringere i denti e andare avanti lo stesso, sperando che le cose cambino. Oggi io non mi vergogno di dire che mio padre è in carcere, non faccio difficoltà a raccontarlo, perché per me è uno sfogo trasmettere agli altri i miei sentimenti, far capire che ognuno di noi ha diritto ad esprimere l'amore, l'affetto, qualche volta la rabbia, alle persone che ama, anche se sono in carcere. Veronica, figlia di Biagio Non mi vergogno di mio padre Io sono Barbara, la figlia di Carmelo Musumeci. Non mi ricordo la prima volta che sono entrata in carcere, però sicuramente mio fratello che ha due anni in meno di me penso che abbia battuto tutti i record, perché a una settimana mia mamma l'ha portato ai colloqui. Anche io come le altre figlie ho una esperienza a 360 gradi delle carceri italiane, e dovunque vai è un mondo nuovo in tutto, soprattutto io rimango ancora colpita da piccoli fatti, perché per esempio in certe carceri entrino certe cose da mangiare e in altre no, perché in un posto è pericoloso e in un altro no. Comunque ci si abitua anche a non farsi certe domande. A differenza delle altre figlie, io devo dire che non mi vergogno di mio padre, non dico che le altre si vergognano, ma voglio dire che non mi sono mai vergognata di parlarne, tutte le persone a me vicine sanno di mio padre, anzi noi cerchiamo sempre di coinvolgerlo nella nostra vita, ad esempio se facciamo una grigliata come a ferragosto e ci sono i miei amici, io gli dico sempre di chiamare e poi gli passo un po' tutti, oppure se facciamo un viaggio gli mandiamo le cartoline collettive per stargli vicino. Cerco un po' di fargli vivere la vita mia. Sicuramente è difficile riuscire a instaurare un rapporto con una persona che puoi vedere poco e soprattutto l'unico contatto magari è la telefonata o le lettere. Io sono fortunata perché lui non mi ha mai fatto mancare niente. Io ho il padre che vorrei e non cambierei con nessuno, sicuramente quello che ho avuto io penso che sia molto di più di tanti che vedo fuori. Mio padre come persona, i valori che mi ha trasmesso lui, io faccio tuttora fatica a trovarli nelle persone fuori, nonostante tutto, quindi sì magari ho avuto un padre lontano fisicamente, ma sicuramente sempre con me. Barbara, figlia di Carmelo Queste figlie soffrono come ho sofferto io quando mio padre era prigioniero delle Brigate Rosse Io vengo qui in carcere perché nessuno nella mia vita mi tratta così bene come quando sono qui. È sempre importante per me venire, vengo sempre molto volentieri perché imparo tantissime cose importanti che mi aiutano a vivere in maniera più responsabile e più seria. Abbiamo sentito oggi tante testimonianze umanissime e anche un po' terribili, credo che nessuna cosa possa essere più efficace dei racconti di queste coraggiose figlie che hanno accettato di dividere con noi le loro difficoltà e le loro sofferenze. Io in qualche modo qualcosa posso intuire della vostra situazione, perché mi ricordo di quanto era stato brutto per me, quando mio padre era prigioniero delle Brigate Rosse, non poter sapere niente di lui, e mi domandavo continuamente "Che gli starà succedendo? mangerà?", uno poi conosce le manie delle persone, le loro debolezze e questa impossibilità di avere delle notizie certe, continue di qualcuno che ami è una cosa terribile, ma per me si è trattato tutto sommato di pochi giorni, immagino che cosa possa essere portarsi questa ansia per tanti e tanti anni. Tra l'altro mi colpiscono molto questi miseri dieci minuti di telefonata a settimana che sono concessi a un detenuto, questa preclusione alla comunicazione, che forse è tanto più dolorosa quanto più contrasta con quello che è il contesto in cui noi viviamo. Noi siamo attaccati al cellulare, ogni tre minuti possiamo parlare con chi ci pare, se lo dobbiamo spegnere come adesso per qualche ora, non averlo già ci sembra una privazione assurda, quei dieci minuti di telefonata, che forse 50 anni fa potevano avere un significato, oggi ne hanno un altro, perché sono una privazione troppo distante da quello che è lo standard medio di vita delle persone, e questo rende tutto ancora più doloroso. A me ha ricordato queste cose che sembrano talmente ovvie, cioè il fatto che ognuno abbia diritto ad essere in contatto sempre con le persone che ama e dalle quali è amato, un diritto che può essere solo riconosciuto perché è una cosa umana, è una cosa che viene prima di qualsiasi legge, di qualsiasi costituzione. Sembra talmente ovvio ma non lo è. Io l'ho visto anche in altre circostanze, ci sono dei luoghi in cui le persone non sono considerate più delle persone, e quindi il metro con cui si misura la loro vita non è lo stesso con cui si misura la vita degli altri. A me era capitato, tanti anni fa, all'inizio degli anni 80, di partecipare alla nascita del tribunale per i diritti del malato e tutto sommato, sembra strano, ma la situazione che vivevano i malati dentro agli ospedali era molto simile in termini di privazione totale di diritti elementari a quella che oggi si vive nel carcere. Ricordo una scena che per me è rimasta emblematica per sempre, è rimasta proprio nel mio DNA e credo che la trasmetterò ai miei figli, la scena è questa: c'è un vetro, al di là del vetro ci sono dei bambini piccoli, lattanti che vengono nutriti con il sondino, perché non ci sono gli infermieri per dargli il latte, al di qua del vetro ci sono le mamme che piangono perché non gli viene permesso di entrare e dare il latte al loro bambino, perché le mamme portano le malattie. Ecco stamattina ascoltando le testimonianze delle persone detenute e delle loro figlie, sono ritornata in quella stanza in cui la mamma piangeva e il bambino doveva venire nutrito con il sondino, eppure non è facile cambiarle queste cose, perché sono difficoltà che sono stratificate. C'è nella società il problema del desiderio di punire in modo vendicativo che conosciamo purtroppo molto bene, anche se è fuori da qualsiasi legge, da qualsiasi regola, da qualsiasi principio scritto, e c'è un problema di vecchi modi di pensare che sono semplicemente rimasti lì, perché nessuno ha avuto la capacità di fare pulizia e di mandarli via. Serve, ovviamente, un cambiamento, ma il problema è come ottenerlo, questo cambiamento, come riuscire a parlare a una società che deve essere informata e coinvolta nel dibattito. Agnese Moro Giustizia: il vero ergastolo c'è, 700 criminali moriranno in cella senza mai pentirsi di Emanuela Fontana Il Giornale, 22 dicembre 2014 I condannati per reati "ostativi" non possono beneficiare di sconti o permessi premio. Quasi tutti colpevoli di associazione mafiosa, si rifiutano di collaborare con la giustizia. Succede tutto in silenzio. Le guardie si avvicinano ai carcerati, non devono neanche sfiorarli. Gli uomini ombra sanno quello che c'è da fare. Bisogna solo indietreggiare lentamente. Quattro passi al contrario, tre gradini. È la linea di confine tra i liberi, che rimangono qui, e i morti vivi, che scompaiono dietro le sbarre senza l'orizzonte di un'altra occasione. Il permesso è terminato. Questi sei ergastolani potrebbero uscire da questo carcere solo da morti, a meno di non essere trasferiti. E allora sarà lo stesso, in un altro istituto. Usciranno non mai, ma nell'anno 9999, come è scritto, al modo di un film di fantascienza, sui documenti dei detenuti condannati all'eterno. Non sono solo ergastolani, sono ostativi: sono per la legge supercriminali, pluriassassini, non collaboranti. "Il carcere a vita esiste, siamo noi quelli che usciranno in una bara". Sono quasi settecento in Italia, un numero anche questo che sembra una cifra di altri mondi. Nessun beneficio di pena, esclusione dalle attività degli altri detenuti. Almeno dieci anni di carcere duro in regime di 41 bis: l'Asinara, L'Aquila, Spoleto. Alcuni hanno superato i trent'anni, di reclusione, qui a Padova sono tutti ergastolani più che ventennali. Alle battaglie radicali, guidate da Rita Bernardini e Marco Pannella, tutt'ora in sciopero della fame, si è unito meno di due mesi fa Papa Francesco: "L'ergastolo è una pena di morte nascosta", l'ha definito Bergoglio davanti ai giuristi dell'associazione internazionale di diritto penale. A Padova sono una cinquantina gli ostativi, in regime AS1, alta sicurezza, su 850 detenuti. Gli ergastolani veri, i 9999. Speranza di uscita dal carcere vivi: nulla. Nessun lavoro consentito. L'inutilità è la loro umiliazione più grande: "Vorremmo fare del volontariato", chiedono tutti questi ex boss. Possono solo leggere, pensare, scrivere. Per questo sono nella palestra del carcere ad ascoltare un seminario su "Carcere e affetti", invitati dalla rivista Ristretti Orizzonti. Parla anche Barbara, la figlia di Carmelo Musumeci: "Non vorrei mai un padre diverso da quello che ho. Lui non c'è fisicamente ma è sempre accanto a me". Li chiamano gli ostativi perché si sono rifiutati di diventare collaboratori di giustizia: non collaborare, spiegano, non significa non pentirsi: "Io non collaboro perché non mando in carcere un altro al posto mio, sarebbe come ammazzare ancora", ripetono tutti. Tommaso, Agostino, Carmelo, Demetrio, Giovanni, Beppe il messicano. L'onore li ha armati di odio e l'onore li cristallizza adesso, più di vent'anni dopo, in un'intransigenza, in cui cercano un'estrema elevazione. "Secondo te - bisbiglia Tommaso Romeo, condannato per associazione di stampo mafioso e omicidi, ex nome di spicco della Locride - secondo te dopo l'inferno che ho passato, dopo ventitré anni così, entrato a 28 anni e ora uomo di 51, potrei mai dire a un giovane di fare la mia stessa vita? Potrei mai farlo? Mi ritenevo, e mi chiamavano un palmo sopra Dio". Prima considerati degli assassini, poi il 41 bis, il carcere dell'Asinara con il "bagno turco aperto senza nessuna riservatezza", racconta Carmelo Musumeci. Le invisibili bestie feroci dimenticate. Chi sono diventati questi uomini dopo diciannove, ventuno, ventitré anni di isolamento? "Sai cosa dico a mia figlia quando vedo che il mio nipotino osserva le guardie con il broncio? - continua Tommaso Romeo. Cerca di non farlo crescere nell'odio, mi raccomando". "Cosa vorresti fare se uscissi di qui?". Sorride come si sorride delle cose impossibili. "Vorrei parlare ai giovani". Nel carcere di Padova hanno un'occasione speciale, irripetibile: per sei ore partecipano a un convegno, hanno un contatto con la gente libera. Le celle della sezione di alta sicurezza si aprono, i morti che camminano prendono posto sulle sedie mescolati al pubblico. Nadia Bizzotto, della Comunità Papa Giovanni XXIII, è l'angelo degli ergastolani, come la chiamano. Consegna un regalo, un libro scritto da 36 carcerati per sempre, "Urla a bassa voce". Lentamente convoca i sei uomini ombra. Se l'è inventata Carmelo questa storia. A loro piace essere chiamati così. Il siciliano Giuseppe Montanti, arrestato nel 2000 in Messico, racconta del suo trasferimento nottetempo in Italia dopo le manette. Di come non abbia mai più visto la figlia che allora aveva "solo quattro anni", e gli brillano gli occhi: "Mi avevano ucciso mio fratello", ripete, come se questa fosse l'ossessione di una vita. È ritenuto il mandante, tra l'altro, dell'omicidio del 1990 del giudice Rosario Livatino a Canicattì. Tra l'altro, perché dei nomi di questi ergastolani sono piuttosto rifornite le cronache del sud Italia degli ultimi trent'anni. Dopo un minuto il libro regalo di Nadia sparisce. "Non siamo stati noi! Parola d'onore", giurano tutti gli ex mafiosi. "Ci facciamo rubare un libro sotto i nostri occhi, come ci siamo ridotti!". Ridono tutti. Ora hanno voglia di parlare. "Mi è morto mio padre, mia madre è molto malata, non ho più niente, cosa potrei fare ora? Vorrei solo fare qualcosa per rendermi utile alla società", spiega Agostino Lentini, un sorriso mite, lo sguardo frustato da mezza vita nascosta al mondo: "Qualsiasi cosa utile". Ritenuto esponente di spicco della cosca Calabrò di Alcamo, è stato condannato per svariati omicidi, coinvolto nel rapimento del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell'acido a 15 anni perché figlio di un collaboratore di giustizia. Ma qui, a contatto diretto con gli uomini ombra, è difficile capire se la malvagità è una condanna per sempre, o se esiste un misterioso percorso di cambiamento. "A noi ostativi è tolta anche la speranza". Com'è la vita senza speranza?. Non tutti rispondono: "Se mi ammazzassero - sorride Tommaso - magari questo servirebbe alle vittime. Ma stare così a chi, a cosa, serve?". Non collaborano per salvare le famiglie dalle ritorsioni. Non collaborano perché dopo un quarto di secolo si sentono "figli di una guerra" che non esiste più. Le giornate sono "Machiavelli imparato a memoria", la scuola insieme. "Io sto pagando per un uomo che non sono più io, io non sono più quello", continua Tommaso. "Dalle mie parti la società acclamava quelli che ora chiamano mostri. A un ragazzo in farmacia non gli davano nemmeno le medicine perché non si vendicava del padre. La mamma diceva: lui è buono. Poi l'ho ritrovato anni dopo, in carcere. Ergastolano. Si è vendicato". Anche lui in guerra. "Non voglio dire che siamo santi, ma siamo anche nati nell'era sbagliata". Il tempo è scaduto. Carmelo cerca continuamente il braccio, la mano, la guancia, della figlia, come un assetato che non sa a quale fonte abbeverarsi. C'è un tormentato legame che tiene uniti questi padri, non rinnegati nonostante tutto, ai figli, e a volte a incrollabili donne che aspettano, un legame non fino alla morte, ma fino alla vita. Perché, per un ergastolano, la sfida è contrastare "la tentazione di farla finita". Gli altri indietreggiano dopo che le guardie non li hanno nemmeno toccati. Come animali dello zoo, gli uomini ombra guardano gli ospiti che vanno via. I visitatori in basso, così adorati e invidiati, loro in alto, sui gradini, i morti vivi assassini per sempre. Giustizia: il detenuto-filosofo prega Papa Francesco "Voglio parlare con lei…" di Emanuela Fontana Il Giornale, 22 dicembre 2014 "Se non avessi i miei figli l'avrei fatta finita da un pezzo. Sono un vampiro che si nutre del loro amore. Ci penso ogni giorno, e anche stanotte, di farla finita. Sono condannato a vivere per amore". Il nome, "uomini ombra", se l'è inventato lui, Carmelo Musumeci, 59anni, di Aci Sant'Antonio, l'ergastolano filosofo. È entrato in carcere che non sapeva quasi leggere e scrivere. È entrato dopo trent'anni di vita in cui "il bene per me era il male e il male il bene. Mia nonna mi portava a rubare da quando avevo sei anni", racconta nel carcere di Padova. Condannato a vita nel 1995 per associazione mafiosa e per l'omicidio di un pregiudicato che aveva partecipato all'assassinio del boss della Magliana Enrico De Pedis, è lui che dà i nomi alle cose più innominabili. Laureato in giurisprudenza, ora studente di filosofia, è il punto di contatto degli ergastolani ma soprattutto scrive. Libri, poesie, un blog: "Scrivo per esistere. Ho iniziato una notte, nella cella dell'Asinara, quando mi riducevo a contare le formiche per non impazzire". C'è la sua firma nella lettera al presidente della Repubblica in cui un gruppo di fine pena 9999 scrive: "Se avessimo un fine pena... se sapessimo il giorno, il mese e l'anno che potremo uscire... Forse riusciremo a essere delle persone migliori", sia in quella al pontefice, questa volta personale. La Comunità Papa Giovanni XXIII ha chiesto all'autorità penitenziaria di poter portare Musumeci in udienza da Bergoglio sabato scorso, ma non ha avuto risposta: "Papa Francesco, sono entrato nel ventiquattresimo anno di "Pena di Morte Nascosta", come la chiami tu... Ti confesso che di notte, per prendere sonno, passeggio spesso per la mia tomba. A testa bassa". Lettere, parole, tante parole. È il modo di comunicare degli uomini ombra. La casella di posta di Rita Bernardini, la segretaria dei radicali italiani, ne è piena. Biagio Campailla le scrive dalla Casa di reclusione di Padova, da cui teme di essere trasferito: "Anche io fino a qualche anno fa ero e vivevo così, sempre con gli artigli di fuori. Ora vengo riportato nella stessa giungla senza artigli, almeno se me li lasciavano potevo ritornare violento e potevo difendermi". Centinaia di lettere e un libro collettivo. Si chiama "Urla a bassa voce", curato da Francesca de Carolis. Trentasei ergastolani raccontano perché hanno ucciso, il pentimento, il perdono, la morte viva. Salvatore Diaccioli, sul presente: "A che serve vivere se non potrai più vedere i colori dell'orizzonte". Sebastiano Milazzo, sul passato: "Quando l'ambiente crea delle trappole, da cui si intuisce che è difficile uscire vivi, quelle trappole determinano l'irreparabile". Alfredo Sole: "Ai ragazzi che oggi possono vivere situazioni simili a quelle da noi vissute dico: la vita non è poi così lunga come sembra quando si è giovani". E Carmelo Musumeci: "Trasformare le persone in uomini ombra è peggio che ucciderle". Giustizia: dalle carceri al processo civile... troppi errori, norme confuse, pasticci evidenti di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 22 dicembre 2014 Sulla giustizia, il quadro delle misure in cantiere è ancora allo stato gassoso: e troppe delle norme approvate sono pasticciate. Appena 87 risarcimenti a fronte dei primi 7.351 ricorsi esaminati sui 18.000 presentati dai detenuti: l'effetto paradossale delle incertezze testuali del decreto legge d'agosto, che per sottrarre l'Italia alla condanna europea prometteva di risarcire chi fosse stato carcerato in meno di tre metri quadrati, è solo l'ultimo esempio della distanza che spesso misura i buoni propositi dalla loro realizzazione pratica. Già lo si era colto nel pasticcio delle tabelle sulla droga nel decreto legge dopo la sentenza della Consulta; nell'imbarazzante correzione (in altro decreto legge sulla custodia cautelare per alleggerire le carceri) dello svarione del parametro della "pena da eseguire" con quello della "pena irrogata"; o nella mesta epopea dei braccialetti elettronici, ripiegata sul riciclo di quelli esistenti una volta già esaurito il piccolo stock pagato a peso d'oro. E in questi giorni stridente è il contrasto tra le trionfalistiche slide governative sulla giustizia digitalizzata e l'ennesimo "crollo", il 18 dicembre, del server nazionale, peraltro nelle ore in cui il caos delle notifiche telematiche penali non veniva sciolto da una Circolare ministeriale diramata appena 48 ore prima del via nazionale. Neppure giova la vaga sensazione di una cosmesi della realtà. Quando ad esempio il governo imbelletta con la cipria di un incentivo fiscale la già controversa esternalizzazione ai privati di larghe fette della giustizia civile, a mesi di distanza emerge che la copertura finanziaria verrebbe dall'aumento del "contributo unificato" sui processi, e cioè in realtà da una tassa; e quando giudici di sorveglianza si incuriosiscono a verificare se oggi un detenuto abbia davvero almeno i tre metri quadrati di spazio in cella pretesi da Strasburgo, le perizie (come di recente a Verona) documentano risultati talvolta difformi dai più ottimistici conteggi forniti dall'amministrazione. Il premier fa mostra di esibire i muscoli con la "casta" dei magistrati, ad esempio sul taglio delle loro ferie con una legge scritta alla fine talmente male da non aver forse neppure raggiunto lo scopo: ma come influente sottosegretario al ministero della Giustizia si tiene intanto stretto, pur dopo le polemiche per il suo interventismo nelle recenti elezioni del Csm, proprio il capo di una delle più forti correnti di magistratura. E sulla condivisibile (se progressiva) riduzione a 70 anni dell'età pensionabile dei magistrati, è però per decreto legge - appena meno indigeribile di quello bocciato nel 2012 dalla Corte di giustizia Ue per l'Ungheria di Orban - che Renzi pone le basi perché, da un anno con l'altro a fine 2015, 400 nuovi capi di uffici giudiziari italiani siano avvicendati da un Csm dove vicepresidente siede chi appena prima faceva il sottosegretario all'Economia del suo governo, e dove pesa la corrente capeggiata proprio dal suo sottosegretario alla Giustizia. Dato atto al premier di aver chiuso con le leggi ad personam, e al suo ministro Orlando di almeno provare a pensare alla giustizia come servizio per i cittadini, la quotidianità governativa vive però di targhe alterne: c'è il giorno in cui si riduce la carcerazione preventiva, si sperimenta la messa alla prova fino a non banali limiti di pena, si apre alla tenuità del fatto, e c'è invece il giorno in cui si fa la faccia feroce dettata dal marketing elettorale e si promette carcere per l'emergenza mediatica di turno. Il minimo sindacale, come lo scongelamento dell'Autorità anticorruzione e il commissariamento di appalti Expo e Mose dopo quanto rivelato dalle indagini, viene infiocchettato come rivoluzione; mentre il ricorso ai contributi di magistrati come Cantone, Barbuto o Gratteri non toglie che sinora il quadro delle misure in cantiere resti allo stato gassoso del riannuncio dell'annuncio il 29 agosto del "pacchetto giustizia", declamato all'epoca come in sostanza già realizzato. E quando si fa qualcosa, il poter dire di aver "già fatto" sembra prevalere sul poter vantare di aver "ben fatto": sicché anche attese misure appena approvate escono o già da rimaneggiare (come ad esempio il voto di scambio) o di incerta applicazione perché pasticciate nel faticoso parto, come l'auto-riciclaggio infine introdotto in qualche modo perché senza di esso la legge sul rientro dei capitali dall'estero sarebbe suonata troppo simile a un condono. E va bene che Fanfani siede nel pantheon ideale di più di un ministro del giovanilistico governo, ma non si vorrebbe di questo passo dover presto ripescare l'Einaudi del 1955: "Le leggi frettolose partoriscono nuove leggi intese ad emendare, a perfezionare; ma le nuove, essendo dettate dall'urgenza di rimediare a difetti propri di quelle male studiate, sono inapplicabili, se non a costo di sotterfugi, e fa d'uopo perfezionarle ancora, sicché ben presto il tutto diviene un groviglio inestricabile, da cui nessuno cava più i piedi; e si è costretti a scegliere la via di minore resistenza, che è di non far niente e frattanto tenere adunanze e scrivere rapporti e tirare stipendi in uffici occupatissimi a pestar l'acqua nel mortaio delle riforme urgenti". Giustizia: il flop della "messa alla prova", su 6.052 richieste approvate soltanto 267 di Claudia Di Pasquale Corriere della Sera, 22 dicembre 2014 La scorsa primavera il Parlamento ha approvato una nuova legge che cambia il sistema penale: chi è imputato per un reato punito con una pena che non supera i 4 anni di carcere può chiedere la sospensione del processo per la "messa alla prova". In sostanza invece di fare il processo l'imputato può fare un lavoro di pubblica utilità non retribuito a favore della collettività e, se la prova ha esito positivo, il reato viene estinto. In pochi mesi gli uffici di esecuzione penale esterna sono stati sommersi da ben 6.052 domande di messa alla prova. Bisogna però analizzare ogni singolo caso, avviare delle indagini, elaborare un programma di attività. E così oggi le domande già approvate sono solo 267. Gli uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) hanno infatti un ruolo centrale, si occupano di tutte le misure alternative al carcere, ma soffrono di una carenza cronica e strutturale di risorse, di mezzi e di personale. Gli Uepe sono la "cenerentola" del sistema penitenziario italiano che in totale costa 2 miliardi e 800 milioni di euro, ma la quasi totalità delle risorse viene destinata al carcere. Oggi più che mai questi uffici chiedono un aumento del personale. La stessa legge sulla messa alla prova dopotutto prevede un possibile "adeguamento numerico e professionale della pianta organica" degli Uepe. Su sollecitazione della commissione Giustizia della Camera, anche la legge di stabilità 2015 prevede di destinare all'esecuzione penale esterna nuove risorse. Ma sul fronte di un reale aumento del personale ci sono solo promesse. Di fatto ad oggi il ministero della Giustizia ha solo elaborato una riorganizzazione degli uffici con l'accorpamento di giustizia minorile ed esecuzione penale esterna. Un'ipotesi questa avversata dai sindacati per le sue possibili conseguenze, definite "devastanti". Intanto l'ex direttore generale del trattamento dei detenuti del Dap, Sebastiano Ardita, oggi procuratore aggiunto presso il tribunale di Messina, denuncia la carenza di controlli nel settore delle misure alternative. Mentre la direttrice dell'ufficio di esecuzione penale esterna di Roma, Antonella Di Spena, confessa le difficoltà trovate nel tentativo di avere il pieno controllo su tutte le associazioni, gli enti e le cooperative che si occupano di misure alternative al carcere. E tra le numerose cooperative romane, dove possono lavorare semiliberi, soggetti sottoposti a una misura alternativa ed ex detenuti, ci sono anche la coop 29 giugno e la cooperativa Formula Sociale, finite sotto sequestro perché nella disponibilità di Salvatore Buzzi, ritenuto il braccio destro dell'ex Nar Massimo Carminati, leader di mafia capitale. Sappe: fondamentale ruolo cooperative, meno tensioni (Ansa) "Mi sembra importante evidenziare l'importante ruolo che hanno le Cooperative sociali in carcere. Le ombre emerse in alcune recenti inchieste giudiziarie non possono inficiare il fondamentale e quotidiano contributo svolto per rendere la pena in carcere più umana, soprattutto attraverso il lavoro dei detenuti. E i detenuti che lavorano vuol dire meno tensione, a tutto vantaggio anche dell'importante lavoro giornaliero della Polizia Penitenziaria". Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sappe, Sindacato autonomo polizia penitenziaria. "Da tempo diciamo più misure alternative, con impiego in lavori di pubblica utilità, per i detenuti meno pericolosi e più lavoro in carcere", ricorda Capece. Perché "il detenuto che in carcere ozia non si rieduca, ma esce anzi ancora più incattivito di quando vi è entrato. Nonostante le statistiche dicano che il condannato che espia la pena in carcere ha un tasso di recidiva del 68,4% contro il 19% di chi ha fruito misure alternative e addirittura l'1% di chi è inserito nel circuito produttivo. E moltissimi sono i detenuti che lavorano in carcere grazie alle Cooperative sociali, che non sono tutte da demonizzare. Se i detenuti lavorano, insomma, non stanno nell'ozio e in cella a far nulla, cala la tensione nei penitenziari". "Noi che rappresentiamo le donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria - osserva ancora il segretario generale del Sappe - impegnati 24 ore al giorno nella prima linea dei padiglioni e delle sezioni detentive delle oltre 200 carceri italiane, siamo assolutamente d'accordo con i contenuti del noto messaggio che il Signor Presidente della Repubblica ha inviato al Parlamento affinché si avvii nel nostro amato Paese una indispensabile e decisa inversione di tendenza sui modelli che caratterizzano la detenzione, modificando radicalmente le condizioni di vita dei ristretti e offrendo loro reali opportunità di recupero". Giustizia: ministro Orlando; giudizio dei pm sul governo influenzato dal taglio delle ferie di Silvia Barocci Il Messaggero, 22 dicembre 2014 Mafia Capitale? È altro da Tangentopoli: è il sintomo di una "politica così debole che è preda di interessi economici e criminali". Le critiche della magistratura ai provvedimenti del governo contro la corruzione e la prescrizione? "L'Anm dovrebbe essere più obiettiva". Il Guardasigilli Andrea Orlando interviene all'indomani dell'altolà del premier Renzi che, intervistato dal Messaggero, ha sollecitato i magistrati ad essere veloci con i processi evitando di parlare attraverso i comunicati. Ministro, la magistratura associata non ci sta e fa sapere che offrire il proprio contributo alla formazione delle leggi è segno di democrazia. Lei da che parte sta? "Non voglio acuire le polemiche. Penso che Renzi non si riferisca tanto alla magistratura associata quanto a singole prese di posizione. Riconosco che l'Anm può avere un ruolo anche nel miglioramento del processo legislativo, purché questo sia esercitato in modo più obiettivo di quanto non si sia verificato nelle ultime settimane". Perché, l'Anm non sarebbe stata obiettiva? "Sembra che i giudizi siano stati molto condizionati dal clima che si è venuto a creare in seguito alla rottura su alcuni punti specifici. Per esempio, sul civile l'Anm aveva collaborato ampiamente alla redazione del decreto, ma l'introduzione della norma sulle ferie l'ha portata a dare un giudizio molto negativo sull'intera riforma. Quanto alle priorità, l'Anm si lamenta di cose inesatte: ricordo che sulla responsabilità civile dei magistrati siamo partiti molto dopo aver affrontato il civile, le carceri, il processo civile telematico, la costituzione dell'ufficio del processo e gli organici amministrativi". Sta forse dicendo che l'intervento sulle ferie dei magistrati voluto da Renzi ha incrinato i rapporti con l'Anm? "Non è che le norme cambiano di segno se si riducono o meno le ferie ai magistrati. Mi pare, invece, che alcune riforme tanto reclamate siano cadute nel dimenticatoio. Penso all'auto-riciclaggio, per anni indicato come essenziale al rafforzamento del contrasto alla criminalità mafiosa. Quando la legge è stata approvata c'è stato il silenzio. E questo vale anche per alcuni strumenti deflattivi largamente voluti dalla magistratura: l'archiviazione per tenuità del fatto, ad esempio, non ha ricevuto il sostegno che ci si attendeva dall'Anm, nonostante l'apprezzamento di alcune grandi procure. Il reato di falso in bilancio, poi, incardinato in commissione al Senato, sembra che non esista nei loro comunicati". Andiamo con ordine. Dopo il caso Mafia Capitale Renzi aveva annunciato una stretta sui reati contro la pubblica amministrazione. Ne è uscito un testo che aumenta la pena soltanto per la corruzione e che incide sui sequestri dei beni: norme peraltro inserite in un più ampio ddl riforma del processo penale che era stato approvato dal governo nel lontano 29 agosto e mai depositato in Parlamento. Il governo sta scontando l'effetto annuncio? "Le modifiche proposte da Renzi sono aggiuntive rispetto a una serie di disegni di legge già incardinati, come ad esempio quello ora al Senato sulla criminalità economica che contiene l'auto-riciclaggio (già approvato col rientro dei capitali), il falso in bilancio e la confisca allargata dei beni. Il segnale politico che abbiamo voluto dare ai corrotti è il seguente: non guardate solo agli anni della pena che sconterete, ma sappiate che ci sarà un'aggressione ai patrimoni come è accaduto per la mafia. Nel nostro lavoro abbiamo sempre cercato di tener conto delle sensibilità della maggioranza e del parlamento per arrivare alla mèta. E sono convinto che entro gennaio il Senato approverà le norme sulla criminalità economica e che entro febbraio-marzo si potrà chiudere anche alla Camera". E la prescrizione? Il ddl del governo è ritenuto assai timido. "Piuttosto che fare norme sul singolo reato, credo che sia preferibile rivedere la prescrizione complessivamente, verificando poi l'impatto della modifica sui reati che si prescrivono più frequentemente. Mi sento di poter dire che la combinazione tra l'aumento tra il massimo edittale per la corruzione (passata da 8 a 10 anni, ndr), l'introduzione dell'auto-riciclaggio e la modifica da noi proposta (stop alla prescrizione per due anni dopo la condanna di primo grado e di un anno prima di arrivare in Cassazione, ndr), potrebbe evitare il macero di quasi tutti i processi per reati contro la Pubblica amministrazione che oggi si prescrivono. Per avere un ordine di grandezza, nel 2012 si è prescritto il 4% dei processi per reati contro la Pa, e questo prima dell'innalzamento delle pene introdotto dalla legge Severino, sempre nel 2012". Ministro, in Mafia Capitale il peso della corruzione è aggravato dall'associazione mafiosa. È una degenerazione di Tangentopoli o, secondo lei, è qualcosa di diverso? "È qualcosa di diverso e non necessariamente di meno grave: mentre ai tempi di Tangentopoli era la politica che vessava l'economia, in questa caso abbiamo a che fare con una politica così debole che è preda di interessi economici e criminali di ogni sorta. Questo ci deve far riflettere sull'autonomia dei partiti e su come ricostruire l'autorevolezza della politica. La crisi dei partiti ha creato una sorta di putrescenza di alcune strutture pubbliche". Per il Pd romano, commissariato, è stato un colpo non da poco. "Si tratta di vicende che non nascono in questi mesi ma che si sviluppano con l'altra amministrazione precedente, anche se il Pd non ha saputo essere impermeabile. Credo che con il commissariamento di Orfini il partito abbia affrontato tempestivamente la questione". Le cooperative di Buzzi, uno degli arrestati, erano molto attive nell'offrire lavoro ai detenuti. Tutto da rivedere? "Evitiamo che questo fango ricopra tutto il sistema della cooperazione che lavora molto col volontariato. Vanno però ridotti i margini di discrezionalità nell'affidamento dei lavori. In questo senso stiamo lavorando per rivedere i rapporti che la Cassa delle ammende e il Dap hanno con il mondo delle cooperative". Giustizia: Raffaele Cantone; sulla corruzione corsia rapida, ma si poteva fare di meglio di Virginia Piccolillo Corriere della Sera, 22 dicembre 2014 Da presidente dell'Authority Anticorruzione, Raffaele Cantone ha evitato giudizi "avventati" sulle nuove norme in arrivo. Ma ora che l'Associazione nazionale magistrati, di cui lei è stato dirigente, critica il premier, presidente Cantone: ha ragione Renzi o l'Anm? "Sono iscritto all'Anm da quando ero uditore. Sono stato presidente di quella napoletana. Non ho mai pensato di stracciare la tessera. E difendo la scelta dell'Anm di far sentire la propria voce, non solo sul piano strettamente sindacale, ma su questioni politiche". Però? "Non era una mera premessa. Ci credo davvero. È già accaduto nel passato per la lotta alla mafia". Detto questo? "Detto questo la critica al singolo disegno di legge, di cui ancora nessuno per altro ha letto il testo, credo non tenga conto che il governo in questo anno ha fatto cose importanti". Si riferisce alla sua Authority? "Veramente mi riferivo al fatto che abbiamo finalmente il reato di auto-riciclaggio e che contro il voto di scambio politico- mafioso abbiamo un testo di legge che il capo della Direzione nazionale antimafia ha definito perfetto". Aumentare le pene per la corruzione non basta dice l'Anm. Se il ddl è come gli annunci, le piacerà? "Poteva essere qualcosa di meglio. Però è un passo avanti rispetto al passato. La valutazione deve essere complessiva, altrimenti si sbaglia la prospettiva". Non sarebbe stato meglio un decreto? "No, penso che il disegno di legge sia una scelta corretta non solo perché in materia penale è meglio, ma anche perché il testo può essere arricchito in Parlamento". E se si arena di nuovo? "No, il governo deve attivarsi per una corsia che sia più veloce possibile. È assolutamente urgente". Tecnicamente l'intervento sulla prescrizione è debole? "La prescrizione va modificata. Questo è certo. In commissione Giustizia, fra l'altro presieduta da una ex magistrato, c'è un testo di riforma assolutamente positivo. In questo senso la scelta del ddl è corretta. Così pure sarebbe meglio ampliare lo strumento per fare emergere la corruzione con misure premiali per chi collabora. E poi c'è da fare un intervento sulle intercettazioni". In quale direzione? "Utilizzare la stessa normativa dei reati di mafia. In parlamento poi il testo si può arricchire con la riforma del falso in bilancio, la prescrizione, il codice degli appalti. Sono tutte riforme che, volenti o nolenti, sono già all'esame delle Camere". Renzi ha chiesto ai magistrati meno parole e più sentenze. Da ex pm come l'ha vissuta? "I processi troppo lunghi sono frutto di errori normativi che si accorpano a défaillance organizzative. La magistratura, se è corretta, lo deve dire. Non dipende dal singolo magistrato, ma un pezzo di responsabilità è anche nella organizzazione degli uffici". Tutti usano la sua nomina all'Anticorruzione come prova delle buone intenzioni del governo. Come vive la cosa? "Un po' mi inorgoglisce, un po' mi spaventa". Non teme di diventare una sorta di "foglia di fico"? "Non sono Superman. Gli strumenti che sono stati forniti all'Authority sono importanti. Era composta da 20 persone, ora da 300. Ma se qualcuno pensa che in tempi brevi possiamo risolvere un problema così enorme è fuori dal mondo. Le responsabilità me le prendo tutte, ma non voglio portarmi sulle spalle fardelli che non mi competono". Ma cosa spera di poter riuscire a fare? "Alcuni piccoli passi sono stati fatti. Lo abbiamo visto in alcuni passaggi della vicenda Mose, per la prima volta si è potuto commissariare il Consorzio Venezia Nuova. O nella vicenda Expo. In sei mesi abbiamo dato una diversa impostazione della vigilanza sugli appalti e le stazioni appaltanti. Certo non ho la bacchetta magica". Pensa che la vicenda Mafia Capitale possa accelerare una soluzione o no? "Ha causato una grande indignazione. Ma noi siamo il Paese delle monetine e dei cappi, però dopo un po' la gente si stanca e tutto torna come prima. Noi non abbiamo bisogno di indignazione, ma di impegno costante". Pensa davvero che dipenda dagli italiani e non da chi ha ruoli di responsabilità? "La corruzione è un tassello di un affresco più ampio. Ciascuno deve fare la propria parte". Lettere: i professionisti dell'anticorruzione impongono il vaniloquio, ora basta di Giuliano Ferrara Il Foglio, 22 dicembre 2014 I professionisti dell'anticorruzione fanno a gara con i professionisti dell'antimafia. Mentre lo stato "colluso", cioè partiti e governi, carabinieri dei Ros e polizie e finanza stremavano la mafia e smantellavano la sua centrale direttiva a colpi di arresti e confische, la società e le istituzioni venivano attraversate dal grande massacro del sospetto, del mascariamento, della letteratura para-criminale, dell'antropologia universale mafiosa in cui tutto è mafia, fino alla farsaccia finale della mafia romana di Buzzi e Carminati, uno scandalo per l'intelligenza e una sistematica irrisione verso i dati di realtà di un piccolo giro di corruzione municipale cravattara trasformato in fenomeno mafioso a risonanza planetaria. Sono vent'anni, dal tempo dell'incorruttibile Tonino Di Pietro, che gli italiani si pappano la brodaglia anti-corruttiva e anti-mafiosa da mattina a sera. Sbalorditi e pigri, quelli del New York Times scrivono che non c'è interstizio della società italiana mondo da corruzione, tutto è marcio. Saremmo un caso, un'anomalia. Ballano cifre sempre diverse, sempre abusabili, sui costi sociali della corruzione, sulla corruzione "percepita" (che truffa!) mostro gigantesco che ci soffoca e impoverisce. La politica è sotto schiaffo. Management e burocrazie sono sotto schiaffo, nella magistratura inquirente agiscono sezioni auree di avanguardia militante, si costruiscono partiti, liste elettorali, candidature ed elezioni a sindaco, tutto con il carburante spesso limaccioso e taroccato dell'ideologia anticorruzione. Molta gente, moltissima, è letteralmente rincoglionita dalla chiacchiera anti-corruttiva, che alimenta lo share of voice dei talk show (sempre meno), consente all'ultimo venuto di farsi bello con la magniloquenza onnipresente delle mani pulite, dell'indignazione del popolo, della necessità di un immediato repulisti, delle responsabilità del potere politico. L'anticorruzione ha un suo marketing, una sua necessità commerciale e civile che tutto travolge, è una guerra di parole e di formule che penetra in Parlamento, crea partiti fasulli e li porta al 25 per cento, alimenta lotte interne e dossieraggi, falsa lo stato di diritto e compromette l'habeas corpus, intrufola lo stato per ogni dove a spese degli individui e dei gruppi sociali, mette tutti gli uni contro gli altri, deturpa il volto di vera responsabilità e di controllo dei giornali e delle tv e della rete, che dovrebbero cercare induttivamente la verità empirica e invece parlano a nome di una verità dedotta dagli idoli demagogici. Il professionismo anti-corruttivo falsa la pista democratica lungo la quale si dovrebbe effettuare la corsa che seleziona i migliori o i meno peggio. Il ciclo italiano dell'anticorruzione, che in forme letali dura da oltre vent'anni, è una delle cose più corrotte, compresa la Repubblica dei partiti, che abbia mai visto in vita mia. Serve una rivoluzione della coscienza in nome del principio di realtà. La corruzione è puzzona e marginale se comparata alle altre grandi questioni della vita pubblica e privata (la capacità del sistema di decidere, la crescita economica in epoca di moneta unica e di crisi recessiva, la competitività del sistema italiano di produzione e lavoro, la struttura dei consumi, l'energia, la politica estera, l'avvicendamento di nuove classi dirigenti alla guida dello stato, la cultura e l'istruzione, la ricerca). È diffusa ma non è affatto centrale nella vita reale, non ha il posto di devastante onnipresenza che le attribuiamo nel nostro vaniloquio quotidiano. E, come giustamente dice l'ex magistrato Gherardo Colombo con la sua disincantata erre moscia e la sua apparente ingenuità, il succo e la radice della corruzione è nei comportamenti sociali, nell'inconsapevolezza culturale, nell'identità profonda del nostro modo di considerare il particolare e il generale, cose che si curano con la scuola, con investimenti veri nel miglioramento della qualità del vivere e del convivere. Da vent'anni, invece, facciamo il contrario. Portiamo alle stelle l'ideologia delle manette, del controllo cosiddetto di legalità, dello sputtanamento delle classi dirigenti e delle istituzioni. Da vent'anni spargiamo il seme della sfiducia più corriva, insegniamo agli italiani che loro sono puri, che i loro comportamenti non c'entrano, che tutto dipende dall'avidità e dalla rapacità dei potenti, basta stanarli con sempre maggiori vincoli e poteri legali, di stato, e alla fine la battaglia sarà vinta. Tutti sanno che non è così, che l'ultimo scandalo romano in ordine di tempo non è mafia ma turbo-assistenzialismo e piccola avidità sparpagliata in un paio di dozzine di corrotti che agiscono all'ombra della carità e della redenzione e dell'accoglienza; tutti sanno che non si può dire con schifo la parola appalti come sta avvenendo all'Expo di Milano, e mettere in zona sospetto un'impresa planetaria come Eataly (poi lo sentiamo il New York Times, che si pubblica nella città in cui l'industria di Farinetti ha la palma dei consumi e del successo). Renzi dovrebbe avere più coraggio. Non si fa una rivoluzione dei comportamenti e delle strutture, tanto meno all'insegna dell'ottimismo e del volontarismo, se si resta sotto scopa delle campagne manettare. Bisogna che trovi il modo di non farsi infilzare dai turlupinatori dell'opinione pubblica, certo, ma anche di rottamare l'ideologia mefitica dell'indignazione demagogica da anticorruzione. Trovi il modo di dare i pieni poteri pedagogici a un Colombo e a quelli come lui, investa il paese di un discorso di verità contro la menzogna. I corrotti vadano a processo, ma chi specula sull'anticorruzione, con tutta quella pappa del cuore savianea impastata di diffamazione e di spregio, sia messo in condizione di non nuocere. E buon Natale, per così dire. Lettere: Radicali in sciopero della fame per le carceri, ecco perché digiuno anch'io di Genny Iannotti (Avvocato) www.radicali.it, 22 dicembre 2014 Ognuno di noi non deve perdere l'occasione per testimoniare le cose in cui crede. Ecco perché ho subito aderito all'iniziativa della Satyagraha (teoria etica e politica elaborata e praticata da Gandhi, Martin Luther King e Aung San Suu Kyi che consiste essenzialmente in una lotta nonviolenta) dell'associazione Radicale "Legalità e Trasparenza" di Caserta sicché, il 16 dicembre, inizierò un simbolico sciopero della fame di ventiquattr'ore per protestare contro il degrado delle carceri e contro l'assoluta inerzia del mondo politico rispetto al tema. Siamo in molti, in questo periodo, a non toccare simbolicamente cibo per un giorno per ricordare a tutti lo stato di degrado nel quale versano le carceri in Italia; lo stiamo facendo insieme ai leader radicali Marco Pannella e Rita Bernardini i quali ciclicamente avviano scioperi della fame e della sete per denunciare quella che hanno definito "una vera e propria shoah da parte dei mezzi di informazione italiani", a partire dal servizio pubblico radiotelevisivo, nei confronti dell'emergenza carceri. Anche ad agosto 2011 "scioperai" simbolicamente per una giornata, partecipando ad una staffetta deliberata dall'Unione delle Camere Penali Italiane. Fu una staffetta straordinaria, iniziata il primo giugno 2011 con l'allora presidente dell'Unione delle Camere Penali Italiane Valerio Spigarelli per essere seguito da tutti i membri della Giunta e dell'Osservatorio carceri e poi, ancora, da numerosissimi iscritti alle Camere Penali locali. In tre anni, nonostante le pesantissime e umilianti condanne che la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha inflitto all'Italia, poco è stato fatto contro la drammatica situazione in cui versano le carceri italiane. In questo contesto, l'Unione delle Camere Penali denuncia, da molto tempo, i gravissimi problemi delle carceri, il sovraffollamento che le riempie fino all'inverosimile e i frequenti suicidi, segnale drammatico delle condizioni di gravissimo disagio fisico e psichico in cui vivono i detenuti. E dopo tre anni noi siamo ancora qua (eh, già) a protestare, ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica su un problema gravissimo, sperando di smuovere il mondo della politica che, sul problema carceri, sembra essere del tutto indifferente nonostante le promesse e nonostante il problema investa non solo la dignità e la salute dei reclusi ma anche, in definitiva, tutto il sistema delle sanzioni del codice penale, l'uso della custodia cautelare ed anche il funzionamento stesso della giustizia. Per riportare le condizioni delle carceri nelle caratteristiche imposte dall'art. 27 della Costituzione, che vieta trattamenti detentivi contrari al senso di umanità ed impone la finalità rieducativa della pena, bisogna necessariamente rimodulare il "vitello d'oro" dell'obbligatorietà dell'azione penale e disporre quanto prima l'amnistia. Contro questi due necessari provvedimenti, la politica (e parte della magistratura politicamente impegnata) contrappone il diritto alla sicurezza del cittadino in quanto la discrezionalità dell'azione penale e l'amnistia creerebbero sacche di impunità che "farebbero sentire insicuri" i cittadini. E io digiuno anche contro questa tautologia (modo elegante per definire le cazzate) perché se è vero che la sicurezza è un predicato del soggetto civiltà è ancora più vero che il sovraffollamento è il fratello gemello della inciviltà di un Paese. Durante questa giornata di sciopero della fame leggerò un libro: L'uomo che guarda, il libro con cui il grande Alberto Moravia vinse la sua guerra letteraria contro tutti i tabù della società italiana del dopoguerra. Io, invece, vorrei che in Italia fosse introdotto un tabù: quello della tortura. Velletri (Rm): allarme degli agenti "siamo troppo pochi, sicurezza del carcere a rischio" Corriere della Sera, 22 dicembre 2014 Carichi di lavoro massacranti, impossibilità di vigilare in maniera adeguata e mancanza di risposte dal ministero: la protesta degli agenti. Gravi carenze di personale, turni massacranti, traffici sospetti. A lanciare l'allarme per il carcere di Velletri è il Sippe, il sindacato di Polizia Penitenziaria. Un'emergenza denunciata da mesi, anche attraverso sit-in e proteste, al Provveditore dell'amministrazione penitenziaria del Lazio, al Garante dei detenuti del Lazio e al Ministero di Giustizia: da inizio dicembre gli agenti, già in stato di agitazione, hanno persino messo in scena lo "sciopero della mensa", per segnalare le difficili condizioni di lavoro in cui operano nella struttura dei Castelli Romani. La stessa direttrice della casa circondariale, Donata Iannantuono, ha parlato - in una lettera ai sindacati - di mancanza di personale così grave da rendere impossibile "una seppur minima programmazione delle ferie in occasione delle festività natalizie". Il carcere di Velletri, con l'ultimo padiglione inaugurato nel 2009, ospita ormai circa 600 detenuti, a fronte della presenza di poco più di 170 guardie, una ventina per ogni turno: troppo spesso però decine di poliziotti vengono dislocati negli uffici amministrativi o trasferiti in altre sedi giudiziarie. Un singolo agente si trova così a dover gestire una media di sessanta reclusi. "Una situazione drammatica che influisce sulla salute e la sicurezza degli agenti - denuncia Alessandro De Pasquale, segretario generale del Sippe - La pianta organica risale a quando il carcere ospitava circa 300 unità, ma ormai è datata e non più adeguata alle esigenze della struttura". La prima richiesta dei sindacati, per far fronte all'emergenza personale - che peggiorerà con le prossime festività natalizie - è quella di far rientrare gli agenti trasferiti nelle sedi amministrative di mezzo Lazio. Il rischio è che, con la cronica carenza di organico, i tradizionali "mercati neri" interni ad ogni carcere, possano diffondersi anche a Velletri. Non è un caso se solo ad agosto la polizia penitenziaria, nonostante la scarsità di uomini, ha sgominato un traffico di droga tra i detenuti. Più inquietante ancora l'altra scoperta effettuata tra le celle: solo nel 2014 sono stati sequestrati ben otto cellulari in mano ai reclusi. Sulle modalità di entrata dei telefoni, c'è tutt'ora un'inchiesta in corso. Per il Sippe a Velletri la carenza di organico rischia di trasformarsi in un problema di ordine pubblico: è già arduo per i poliziotti gestire l'ordinario, figuriamoci in caso di rivolte, risse o episodi di autolesionismo, già avvenuti in passato nella struttura. "Siamo al limite, anche il Garante dei Detenuti, Angiolo Marroni, ha appoggiato l'allarme degli agenti pronti a nuove proteste", annuncia De Pasquale. Il sindacato, vista l'assenza di risposte da parte delle istituzioni, è pronto a presentare un esposto in Procura. Anche Antigone, l'associazione che difende i diritti dei detenuti, ha certificato nel suo sopralluogo del 2013, l'eccessivo sovraffollamento e la carenza di attività a disposizione dei detenuti rinchiusi. Detenuto tenta il suicidio in carcere, elitrasportato in ospedale (Nota Fs-Cisl) "Apprendiamo che un detenuto italiano, 35 anni, ieri ha tentato il suicidio presso il carcere di Velletri. Necessario il trasporto del detenuto all'ospedale mediante elisoccorso, poiché si pensava che aveva ingerito del topicida. Il detenuto è stato poi dimesso in quanto probabilmente aveva bevuto candeggina. Grazie solo all'operato del personale di Polizia Penitenziaria - scrive Massimo Costantino, Segretario regionale della Fs Cisl Lazio - di per sé carente, è stato scongiurato il peggio, a cui va l'immensa gratitudine del sindacato. Da segnalare che il Dipartimento amministrazione penitenziaria ha emanato il rientro in sede di provenienza circa 15 unità, tra l'altro il personale si è astenuto all'inizio del mese della mensa, al fine di evitare che ciò accadesse e comunque se tale ipotesi fosse confermata l'evento di ieri si sarebbe purtroppo consumato. Si prospetta, inoltre, nell'Istituto di Velletri anche l'apertura, entro marzo 2015, di un reparto di osservazione psichiatrica e da quanto riferitoci pare che la sorveglianza medica sarà coperta solo di mattina da un medico ed infermiere, restando scoperti le ore notturne e pomeridiane". Catania: due giovani detenuti tentano la fuga dall'Istituto penale per minori di Acireale di Francesca Aglieri www.blogsicilia.it, 22 dicembre 2014 Domenica pomeriggio movimentata all'Ipm di Acireale, l'istituto penitenziario per minori di via Guido Gozzano. Due giovani detenuti hanno tentato la fuga durante l'ora d'aria, mentre si trovavano nel cortile della struttura carceraria. A denunciare la tentata evasione è stata la Fns-Cisl (la Federazione Nazionale Sicurezza). I giovani detenuti sono stati fermati in tempo dal pronto intervento degli agenti di Polizia Penitenziaria che hanno bloccato e arrestato uno dei due detenuti mentre l'altro, un poco più agile è riuscito inizialmente a fuggire. Fuga che si è conclusa poco dopo nella zona del quartiere San Cosmo, nell'Acese. Grazie alle indicazioni fornite dagli agenti di Polizia Penitenziaria dell'istituto alla Polizia di Stato è stato possibile rintracciare ed identificare il detenuto evaso. "Come organizzazione sindacale - spiega Antonio Sasso, segretario provinciale Fns Cisl - auspichiamo che la dirigenza dell'Ipm sia più propensa nel prendere in considerazione i consigli del personale di Polizia penitenziaria e del suo Comandante che hanno una comprovata esperienza in materia così da evitare quanto accaduto questa domenica o mesi addietro a causa di una sommossa sedata dal Personale di polizia penitenziaria". Quello di Acireale, insieme con quello di Catania Bicocca è uno dei 19 istituti penali per minori (Ipm) attivi in Italia. La struttura assicura l'esecuzione dei provvedimenti dell'Autorità giudiziaria come la custodia cautelare in carcere o l'espiazione di pena dei minorenni autori di reato. Gli Ipm ospitano minorenni o ultra diciottenni (fino ai 21 anni, quando il reato cui è riferita la misura è stato commesso prima del compimento della maggiore età). Per favorire il processo di crescita dei giovani detenuti, negli istituti penali per minori vengono organizzate attività scolastiche, di formazione professionale, di animazione culturale, sportiva, ricreativa e teatrale. Caserta: prosegue il Satyagraha, vigilia di Natale davanti al carcere per i Radicali Gazzetta di Caserta, 22 dicembre 2014 Prosegue il Satyagraha di Natale dei Radicali Caserta per la riforma della giustizia, l'Amnistia per la Repubblica e per la richiesta di un Garante dei detenuti provinciale a Caserta. Dal sito internet dell'Associazione Radicale "Legalità e Trasparenza" interviene il Segretario dei Radicali Caserta che dichiara: "Dalla mezzanotte di Domenica 21 Dicembre, riprendo lo sciopero della fame, con Rita Bernardini e Marco Pannella per non far calare l'attenzione sulle proposte radicali per la Giustizia Giusta e per il garante dei detenuti anche in provincia di Caserta". I Radicali Caserta dopo aver incassato la solidarietà e l'adesione di Pio del Gaudio, primo cittadino di Caserta, terranno il giorno della Vigilia di Natale un sit-in presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere per ribadire con forza l'urgenza della giustizia giusta e raccogliere adesioni al Satyagraha di Natale. Dichiara Letizia: "Invito tutte le forze politiche a partecipare al sit-in che si terrà dalle 10.00 alle 13.00 del 24 Dicembre, l'invito lo rivolgo in particolare al Sindaco di Caserta che con coraggio ha deciso di dichiaraci solidarietà e sostegno per i diritti umani e lo stato di diritto". Ad intervenire è anche Luca Bove, Membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani che dichiara: "come dice marco Pannella la durata delle cose e l'attività dell'associazione radicale di Caserta che va totalmente in questa direzione, infatti sono almeno 3 anni che decidiamo di passare il giorno della vigilia di natale insieme ai cittadini detenuti e proponiamo la riforma della giustizia". Brescia: scarafaggi nel carcere di Canton Mombello, l'Asl chiude la mensa degli agenti Ansa, 22 dicembre 2014 La Asl di Brescia ha chiuso la mensa degli agenti penitenziari nel carcere di Canton Mombello, a causa delle condizioni igienico sanitarie della struttura. In mensa sono stati trovati anche scarafaggi. "Si tratta di una mensa gestita da una società esterna. La situazione era diventata insostenibile", ha detto la direttrice del carcere Francesca Gioieni. "Più volte avevamo denunciato la situazione. L'intervento dell'Asl è stato puntuale. Ora - ha aggiunto - aspettiamo che cambi la società che gestisce la mensa. Il nuovo contratto scatterà il primo aprile". Fino a quella data, agli agenti verranno dati dei buoni pasto per mangiare all'esterno del carcere. Aversa: all'Opg il concerto "Note da legare. La Casa della Musica non ha porte né chiavi" www.casertafocus.net, 22 dicembre 2014 Lunedì 22 dicembre, alle ore 16.30, presso il Teatro dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario "Filippo Saporito", in via S. Francesco De Paola, ad Aversa, si terrà il concerto "Note da legare - La Casa della Musica randagia non ha porte né chiavi", concerto di natale con M'Barka Ben Taleb, Edoardo Amirante (Violino), Marco Fiorenzano (Piano), Rita Caruso, madrina dell'evento. L'iniziativa che ha riscosso il plauso del Direttore mira a conferire un po' di calore e tepore natalizio agli ospiti del nosocomio penale. Tra gli altri prevista la presenza dell'avv. Angelo Pisani, del magistrato Nicola Graziano e del Generale di Brigata Antonio Raffaele vertice del Comando Militare Esercito Campania. Gli artisti Edoardo Amirante: diplomato brillantemente al Conservatorio di Napoli "San Pietro a Majella", è dotato di una straordinaria versatilità stilistica e di una solida tecnica strumentale che lo porta a sviluppare una concezione totalitaria della musica, fra improvvisazioni e virtuosismi. Svolge da tempo un'intensa attività concertistica in qualità di Violino Solista Edoardo Amirante accompagnato da formazioni sia classiche che contemporanee. M'Barka Ben Taleb: Di origini tunisine, M'Barka da diversi anni vive e lavora in Italia, dove ha inciso nel 2005 il suo primo album da solista, Alto Calore. Prevalentemente autrice di brani di musica etnica, ha ricantato in arabo diverse canzoni napoletane, tra cui "Indifferentemente, Nun te scurda", Luna Rossa. L'artista infatti ha vissuto a lungo a Napoli, dove ha collaborato con Eugenio Bennato, Tony Esposito, Pietra Montecorvino, Nava, Lino Cannavacciuolo, Gigi De Rienzo, Gigi Finizio. L'intento dell'artista infatti è quello di esaltare il legame profondo tra le due culture musicali mediterranee, quella tunisina e quella napoletana, combinandole con sonorità neo-melodiche. Marco Fiorenzano. Diplomato in pianoforte col massimo dei voti presso il Conservatorio di Napoli "S. Pietro a Majella". Strumentista virtuoso, dotato di una multiforme sensibilità artistica, per gran parte della sua lunga (nonostante la sua giovane età) ed intensa carriera, ha alternato l'attività di concertista classico a quella di jazzista, quella di insegnante a quella di performer. Oggi Marco Fiorenzano, oltre ad essere uno dei più vibranti ed intensi giovani pianisti nazionali, è un improvvisatore a tutto campo ed un compositore colto e raffinato, forte di sfumature e influenze diverse, leader maturo e sideman creativo. Ha collaborato inoltre con altri importanti nomi del panorama jazzistico internazionale come: Flavio Boltro, Dario Deidda, Giovanni Amato, Daniele Scannapieco, Pietro Condorelli, Marco Panascia, Massimo Manzi, Lionel Loueke, Jack Walrath, Avishai Cohen. Firenze: "Evasione Totale", il carabiniere indiano canta la sua storia nelle carceri Il Tirreno, 22 dicembre 2014 Giovanni Maria è nato a Bombay e cresciuto in Lunigiana: ha aderito al progetto "Evasione Totale - un'ora di speranza in musica" che porta la musica nelle carceri di tutta Italia di Alessandra Vivoli È nato a Bombay, in India. Cresciuto in Lunigiana a Villafranca, dalla famiglia che lo ha adottato piccolissimo. Ora , che ha trent'anni e indossa la divisa da carabiniere (in servizio a Pontremoli dopo esperienze che lo hanno visto nella vicina Fosdinovo ma anche ad Aosta e Savona) e canta la sua storia nelle carceri, per portare un sorriso ai detenuti. Il protagonista di questa storia, op meglio del progetto "Evasione Totale - un' ora di speranza in musica", è l'appuntato Giovanni Maria Vacchino. La sua canzone "Nero, nero" l'ha già portata nei carceri di Sollicciano, Bollate e Monza. E presto si esibirà anche a Pontremoli. Il carabiniere Vacchino ha aderito all'iniziativa che si pone l'obiettivo di sostenere i detenuti, attraverso la musica ed eventi all'interno delle carceri: "detenuti che anche se hanno commesso dei reati, anche se hanno sbagliato - dice Vacchino - sono sempre persone per le quali bisogna favorire il reinserimento sociale, offrendo sostegno ed opportunità". Per raggiungere questo obiettivo, è stata scelta come protagonista la musica, utilizzata come linguaggio universale e occasione per favorire la comunicazione, l'aggregazione e l'integrazione fra tutti gli addetti ai lavori che ruotano attorno ai penitenziari italiani: associazioni, volontari, agenti di polizia penitenziaria ed educatori. A capo dell'iniziativa come detto ci sono il Presidente dell'associazione Apoxiomeno nonché Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, Orazio Anania, e l'Associazione Les (Associazione no profit che si occupa di tutte le problematiche relative alla sicurezza). Il suo messaggio l'appuntato Giovanni Maria lo ha lasciato alla musica: "Mi hanno preso dalla terra del Gandhi dove ci sono gli elefanti e quelle tigri giganti, grattacieli insospettabili come gli insulti, su pareti e stadi ancora colmi di pugni. Sono cresciuto nel mio borgo con la bici e il pallone, giocando a nascondino e alla strega comanda colore. Sono figlio di questa storia sono un nero che canta e sogna, vivo canto e non mi importa". Enna: l'albero di Natale del Belvedere allestito dai detenuti, addobbi realizzati in carcere La Sicilia, 22 dicembre 2014 Lo storico albero di Natale del belvedere di Enna è firmato dai detenuti della locale casa circondariale "Luigi Bodenza", allestito con gli addobbi realizzati nel carcere. Il progetto dell'associazione Spiragli, che da anni si occupa di proporre iniziative volontaristiche all'interno della casa circondariale, è stato finanziato dall'Assemblea regionale siciliana. Nel carcere sono stati i volontari di Spiragli ad insegnare le tecniche - dopo averle apprese a un corso di Daniela Guglielmaci - per realizzare gli addobbi. La direttrice del carcere Letizia Belleli ha approvato il progetto, spiega il presidente di Spiragli, Giuseppe Petralia. Prato: i detenuti della Dogaia vanno a teatro, nuovo progetto di Metropopolare e carcere www.nove.firenze.it, 22 dicembre 2014 I detenuti de La Dogaia a teatro. È "Invito a Teatro", il nuovo progetto messo in piedi dal Collettivo artistico Teatro Metropopolare, che da anni lavora con un laboratorio teatrale all'interno del carcere di Prato, realizzato grazie alla collaborazione di tutti gli organi della C.C. La Dogaia e grazie al supporto di Teatro della Pergola, Teatro Metastasio e Teatro Cantiere Florida - Murmuris. Il progetto prevede una serie di uscite per alcuni dei detenuti più meritevoli del gruppo che segue il laboratorio di formazione teatrale di Metropopolare all'interno del carcere. L'obiettivo è quello di voler realizzare un continuum formativo che permetta loro di approfondire lo studio assistendo ad eventi teatrali scelti e sperimentarsi in luoghi preposti al lavoro attoriale. Lo sviluppo di un percorso di formazione specifica attraverso la concessione di permessi speciali per attività esterne è da considerarsi un unicum all'interno della realtà penitenziaria pratese: si tratta infatti dell'inaugurazione di un progetto di alta valenza culturale ed educativa che potrà dare risultati sulla condotta oltre che sulla preparazione artistica degli attori detenuti. L'associazione Teatro Metropopolare lavora stabilmente a La Dogaia dal 2007 in un percorso di formazione e produzione teatrale che negli anni si è fatto sempre più professionalizzante e di alto livello, dando vita ad un vero e proprio cantiere culturale stabile. "Durante questi anni di laboratorio - raccontano i membri del collettivo - abbiamo potuto notare il progressivo aumento della passione e della competenza mostrata da alcuni componenti del gruppo, che seguono il lavoro da sempre e in modo costante. Un approccio responsabile al lavoro ha permesso loro una grande crescita come attori, ma ha anche contribuito all'aumento di disciplina, cura e professionalità che un serio lavoro teatrale richiede". L'ultimo lavoro portato in scena dalla compagnia all'interno del carcere pratese è stato "H2Otello", tratto dall'opera shakespeariana, che ha debuttato lo scorso maggio e a grande richiesta del pubblico ha replicato a fine novembre. L'Aquila: il cinema entra nella Casa circondariale, iniziativa dell'Istituto Cinematografico www.pagineabruzzo.it, 22 dicembre 2014 Saranno quattro le proiezioni previste entro la fine dell'anno presso la Casa Circondariale "Le Costarelle" località Preturo (Aq). Gli incontri sono curati dall'Istituto Cinematografico dell'Aquila "La Lanterna Magica", dando così continuità ad una collaborazione più che decennale. Gli appuntamenti hanno sempre rappresentato nel corso degli anni, un momento di significativa aggregazione e dunque un'occasione speciale per avvicinare il mondo del cinema ai tanti detenuti comuni e più in generale alla complessa e difficile realtà del carcere. A partire dunque da lunedì 22 dicembre alle ore 15.00, decine di detenuti della sezione ordinaria avranno la possibilità di assistere alla proiezione del film Terraferma di Emanuele Crialese (Italia, Francia 2011). Anche quest'anno il tema che verrà affrontato grazie alla settima arte, sarà quello della mediazione interculturale. "La Lanterna Magica" conferma ancora una volta l'attenzione verso le più svariate realtà del territorio con un lavoro diffuso e capillare, indirizzato costantemente alla conoscenza ed alla promozione della cultura cinematografica. Il calendario degli appuntamenti: Lunedì 22 Dicembre. Terraferma di Emanuele Crialese (Italia, Francia 2011). Martedì 23 Dicembre. La straniera di Marco Turco (Italia, 2009). Lunedì 29 Dicembre. Il fondamentalista riluttante di Mira Nair (Usa, GB, 2012). Martedì 30 Dicembre. Nuovomondo di Emanuele Crialese (Italia, 2006). Rossano Calabro (Cs): studenti e istituzioni insieme al concerto di Natale per i detenuti www.strill.it, 22 dicembre 2014 Hanno risposto "presente" gli studenti del Liceo Classico, Scientifico, Artistico insieme all'Istituto tecnico Industriale agli Enti Locali, le Istituzioni, le Associazioni, il Terzo settore ma soprattutto i detenuti della Casa di Reclusione di Rossano che hanno partecipato, numerosi, ognuno con la propria rappresentanza, all'appuntamento di Natale per gustare l'esecuzione del Concerto Natalizio. La tradizionale manifestazione è stata svolta, quest'anno, grazie alla disponibilità manifestata dalla Dirigente Scolastica Filomena Galizia dell'istituto comprensivo Lanza-Milani di Cassano allo Jonio e alla intraprendenza del poliedrico Maestro Giuseppe Campana, Direttore artistico del centro Musicale "G. Verdi" di Rossano i quali, hanno fatto in modo che i circa 80 bambini e ragazzini, che compongono l'orchestra, potessero arrivare sino al penitenziario di Rossano, di fronte ad una platea di circa 200 persone, tra studenti, volontari e autorità per potersi esibire in quello che è stato un applauditissimo concerto. Tra gli altri, era presente il Sindaco di Cassano allo Jonio, il quale ha anche concesso un contributo economico al fine di potere noleggiare dei pullman necessari per il trasporto e ha ringraziato calorosamente il Direttore per l'entusiasmo dimostrato nel coinvolgimento dei giovani ad un confronto diretto con la popolazione ristretta in carcere. Mettere in pratica eventi come questo sottolinea l'alto valore umano dell'iniziativa, occasione di arricchimento sia per i presenti che per i detenuti che non vanno lasciati ai margini della società bensì preparati al prossimo reinserimento. "Il concerto appena svolto realizza un impatto fortissimo che è un impatto primariamente emotivo, ha dichiarato il direttore della Casa di Reclusione, che si può misurare poi nel cambiamento delle opinioni, delle percezioni e dei comportamenti. Basti pensare che il brano "Astro del ciel" è stato dedicato al piccolo Cocò trucidato proprio a Cassano e tutti, in primis i detenuti, sono scattati in piedi a battere le mani, immedesimandosi, probabilmente come vittime e non più come carnefici, in quel terribile omicidio". Napoli: per Natale la Comunità S. Egidio organizza oltre 50 iniziative di solidarietà Ansa, 22 dicembre 2014 Sono previste in Campania oltre 50 iniziative natalizie della Comunità di Sant'Egidio per i più bisognosi. Il giorno di Natale, oltre 1000 poveri a tavola in quattro chiese del centro storico di Napoli: Ss. Severino e Sossio dove sarà presente il cardinale Crescenzio Sepe, S. Nicola al Nilo, Ss. Filippo e Giacomo e S. Paolo Maggiore. Nel Duomo di Aversa la vigilia di Natale pranzo con 200 poveri e con il vescovo Angelo Spinillo. I giorni seguenti il Natale vedranno feste e pranzi negli Istituti per anziani, nelle RSA del Frullone, con i rom a Ponticelli, con i bambini della scuola della pace (Sanità, Quartieri Spagnoli, San Giovanni a Teduccio, Ercolano, Scampia, Centro Storico, Ercolano), con i senza fissa dimora della zona flegrea nel bar della piscina della Mostra D'Oltremare e altre iniziative a Salerno, Avellino, Benevento, Nola e Grottaminarda. Le sera della vigilia di Natale e dell'ultimo dell'anno le cene saranno itineranti, e raggiungeranno i senza dimora di Napoli cui i volontari della Comunità di Sant'Egidio portano panini e pasti caldi durante tutto l'anno. Molte le iniziative nelle carceri: dopo i pranzi a Carinola e un primo pranzo con i detenuti del carcere di Poggioreale, il 23 dicembre 150 detenuti pranzeranno nella chiesa del penitenziario napoletano che il 21 marzo prossimo vedrà un grande banchetto con papa Francesco, il 27 dicembre pranzo con gli internati dell'Opg di Napoli con il cardinale Sepe e al Centro Clinico di Secondigliano, il 30 pranzo al centro Penitenziario di Secondigliano e al carcere femminile di Pozzuoli. Infine il 2 gennaio pranzo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Inoltre un gruppo di ragazzi del carcere di Nisida, accompagnati dal direttore Gianluca Guida, aiuteranno a servire a tavola assieme al pranzo per i senza fissa dimora organizzato agli universitari di Sant'Egidio. Montenegro: arrestato ex deputato Massimo Romagnoli, rischia l'ergastolo negli Usa Nova, 22 dicembre 2014 Il Montenegro ha avviato le pratiche per l'estradizione dell'ex deputato italiano Massimo Romagnoli e di altre due persone arrestate nel corso di un'operazione della polizia montenegrina avvenuta questa settimana: lo ha annunciato il capo dell'ufficio di Podgorica dell'Interpol, Dejan Djurovic, in una conferenza stampa. Romagnoli è stato arrestato nella capitale montenegrina assieme ai cittadini romeni Cristian Vintila e Virgil Flavius Georgescu, su richiesta delle autorità degli Stati uniti, con l'accusa di contrabbando di armi. Secondo il quotidiano di Podgorica "Vijesti", la magistratura montenegrina ha disposto per tutti e tre il carcere cautelare. Djurovic ha affermato che "la polizia montenegrina ha eseguito un'azione coordinata per diversi mesi e in contatto costante con il Dipartimento per le operazioni speciali (Dea) di Washington, oltre che con la filiale romana della Dea (agenzia antidroga statunitense) e con la polizia rumena". All'inchiesta ha inoltre collaborato il Dipartimento per la lotta alla criminalità organizzata, alla corruzione, al terrorismo e ai crimini di guerra della Procura di stato di Podgorica. I tre, secondo Djurovic, sono accusati dal procuratore del distretto di New York, Preet Bharara, e dal direttore della Dea, Michele Leonhart, di contrabbando internazionale di armi all'organizzazione terroristica Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc), dedita allo spaccio di narcotici. I tre arrestati hanno tentato di vendere armi militari, comprese pistole ma anche lanciarazzi, a persone sospettate di essere in contatto con le Farc. La Leonhart ha affermato, in una dichiarazione ripresa dal quotidiano "Vijesti", che tutta l'operazione è stata condotta mediante un "forte partenariato internazionali". Il ministro dell'Interno di Podgorica, Rasko Konjevic, ha dichiarato alla stampa che il Montenegro ha dimostrato di essere "un partner credibile dei servizi di sicurezza statunitensi ed europei nella lotta alle forme peggiori di criminalità". L'azione, a detta di Konjevic, "rappresenta la prova della dedizione delle istituzioni montenegrine per attuare le leggi e contribuire alla lotta alla criminalità organizzata sul piano internazionale". Romagnoli, classe 1971, era stato nel 2006 capolista di Forza Italia e in seguito coordinatore dei Circoli della libertà in Europa. I dettagli dell'arresto non sono stati diffusi ufficialmente, ma secondo le fonti del quotidiano "Vijesti" i due cittadini romeni sono stati arrestati lunedì nell'albergo "Ramada" di Podgorica, mentre Romagnoli è stato catturato il giorno dopo all'aeroporto della capitale montenegrina dove avrebbe dovuto incontrare Vintila e Georgescu. Quest'ultimo avrebbe effettuato, nel periodo dal maggio all'agosto di quest'anno, una serie di telefonate con un'agente infiltrato della Dea presentatosi come esponente di Farc, anche se il romeno non avrebbe mai accettato di discutere i dettagli dell'affare senza incontrarsi di persona. Georgescu, secondo il procuratore Bharara, avrebbe in seguito incontrato, il 23 settembre a Budapest, lo stesso agente di Dea. Georgescu e Vintilla avrebbero parlato in quell'occasione di un fornitore di armi non meglio precisato in Montenegro. Tutti e tre gli arrestati hanno incontrato gli agenti di Dea sotto copertura a Teodo (Tivat) in Montenegro l'8 ottobre. Romagnoli avrebbe assicurato i presenti di essere in contatto con l'acquirente finale delle armi e avrebbe mostrato un catalogo dell'arsenale disponibile. Le armi sarebbero state trasportate "in un paese africano" per poi essere trasportate in Colombia da alcuni affiliati delle Farc. In base ai capi d'accusa, tutti e tre gli arrestati rischiano l'ergastolo negli Stati Uniti. Giordania: impiccati undici condannati a morte, dopo una moratoria durata otto anni Ansa, 22 dicembre 2014 Undici condannati a morte per omicidio sono stati impiccati all'alba in una prigione in Giordania: si tratta delle prime esecuzioni dopo una moratoria non dichiarata durata otto anni. Lo ha annunciato il ministero dell'Interno. Una fonte dell'amministrazione penitenziaria ha precisato che si trattava di persone condannate tra il 2005 e il 2006 per omicidi comuni, senza legami con la politica o il terrorismo.