Giustizia: i magistrati al Governo "sulla corruzione meno stupore e più determinazione" di Paola Lametta Il Garantista, 21 dicembre 2014 I magistrati sono scontenti e si sentono attaccati, sentimenti che ciclicamente ritornano indifferentemente che il governo sia di centro destra o di centro sinistra. Il potere esercitato da questa classe dirigente dello Stato non è forse più quello di un tempo, ma certamente alcune questioni, permangono e, sono per i giudici intoccabili. Ieri il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli ha suonato la carica e messo sotto accusa la riforma della responsabilità civile dei magistrati, che secondo lui: "Costituisce una specie di ossessione della politica, e non da tre ma da trenta anni almeno". Il rappresentante dei togati italiani forse si riferisce al fatto che nel 1987, radicali, liberali e socialisti presentarono tre quesiti sulla giustizia, uno appunto prevedeva l'ottenimento della responsabilità civile dei magistrati. Testimonial di quella battaglia fu Enzo Tortora, il famoso conduttore televisivo accusato sulla base di dichiarazioni di pentiti di essere colluso con la camorra e di traffico di stupefacenti, un castello di bugie resosi possibile per evidenti irresponsabili errori e bislacchi teoremi costruiti durante le indagini. Quel referendum stravinse con oltre l'80% dei consensi e sul tema fu approvato dal Parlamento un provvedimento, famoso come "legge Vassalli", che a differenza di quanto chiesto dai propositori dei quesiti, ha fatto ricadere la responsabilità di eventuali errori non sul magistrato ma sullo Stato. Sta di fatto che la questione della responsabilità dei giudici è un tabù su cui la corporazione intende fare le barricate annunciando mobilitazioni di tutti i tipi. Contro la riforma, ritenuta dall'Anm un pericolo per l'indipendenza dei magistrati, si sono confrontate differenti proposte: da uno sciopero bianco a una forma di protesta più soft per informare i cittadini, attraverso iniziative sul territorio nella già annunciata giornata per la giustizia del 17 gennaio e in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario. Per Magistratura Indipendente sarebbe preferibile la prima soluzione, non una paralisi completa delle attività giudiziarie, ma il rifiuto di svolgere compiti che i magistrati svolgono ma che non spetterebbero a loro, come ad esempio quelle propri dei cancellieri: un modo, secondo la corrente moderata delle toghe, per dare un: "segnale forte alla politica" ma senza arrecare troppo danno ai cittadini. Invece altre due componenti del parlamentino del sindacato dei magistrati, l'Unicost e Area, preferiscono l'approccio più morbido delle iniziative informative. Per ora sono tutti d'accordo di affiggere negli uffici giudiziari dei manifesti per illustrare le criticità della riforma per ora approvata al Senato. In particolare il parlamentino delle toghe, nel documento finale evidenzia la propria contrarietà rispetto all'eliminazione del filtro di ammissibilità delle cause e l'introduzione nell'ordinamento della responsabilità oggettiva per i giudici rispetto al "travisamento del fatto e delle prove". Nonostante che il mite Andrea Orlando abbia tentato in tutti i modi di avere con i magistrati un buon rapporto, sono per ora difficili mediazioni, anche perché il premier, non perde l'occasione di richiamare i togati a contribuire a una giustizia più celere, invece di questionare sulle riforme in cantiere. Sabelli sembra proprio non sentire ragioni e sul disegno di legge licenziato dal governo dopo i fatti di mafia capitale, chiosa: "Se la prescrizione è quello scandalo che disperde lavoro e risorse, allora il legislatore deve bloccarla se non dopo l'esercizio dell'azione penale quantomeno dopo la sentenza di primo grado, ogni tentativo di innaturale dilatazione dei tempi del processo aggravare ancor più la durata dei processi". Il presidente aggiunge un'osservazione squisitamente politica: "Quanto alla corruzione, i toni d'indignazione che la politica intera ha levato all'esplodere dell'ennesimo gravissimo scandalo stridono con la debolezza delle annunciate proposte governative, aumento della pena e limiti al patteggiamento. Proposte che rischierebbero di scoraggiare ogni collaborazione e rendere ancor più saldo quel patto che lega corrotti e corruttori nell'omertà di un accordo fondato sulla comune convenienza". Sabelli, nonostante la dura reprimenda, spera che: "Sia presentata una proposta di legge adeguata alla gravità di questo crimine, sempre più saldamente collegato ai fenomeni mafiosi". In pratica una bocciatura su tutta la linea, che pone ancora una volta un quesito fondamentale: il governo e il parlamento sono composti da persone irresponsabili e che vogliono norme che favoriscano la delinquenza e le mafie, oppure è possibile, che siano ormai sedimentati tra la categoria dei magistrati atteggiamenti di autoconservazione e volontà di primazia, per cui le leggi dovrebbero ipotizzarle solo l'Anm? Il parlamentino dei giudici ha il diritto di criticare e di avanzare proposte, sono i toni, sempre uguali che sia Berlusconi a governare o sia un esponente del centro sinistra, a lasciare interdetti. Rodolfo Sabelli finisce la sua requisitoria con un avvertimento: "È necessaria una proposta severa ed efficace, da approvarsi in tempi molto brevi, che raccolga le indicazioni contenute nelle convenzioni internazionali e preveda meccanismi premiali per chi collabora, efficaci strumenti investigativi e un'ampia equiparazione, ai fini processuali, fra corruzione e crimine organizzato". Risponde all'Anm il capogruppo Pd in Commissione Giustizia della Camera, Walter Verini difendendo la riforma del governo e definendo "eccessiva" la "polemica" sulla responsabilità civile indiretta: "la legge in discussione garantirà, come è sacrosanto, la piena indipendenza della magistratura e al tempo stesso il diritto del cittadino eventualmente vittima di casi di malagiustizia a ricorrere verso lo Stato, come del resto ci chiede la stessa Europa. Posso immaginare che settori della magistratura abbiano posizioni del tutto conservatrici, ma dall'Anm vorremmo continuare ad avere contributi e suggerimenti concreti e non critiche di sapore parapolitico". Giustizia: il premier Renzi "i magistrati parlino solo con le sentenze, non sui giornali" di Barbara Jerkov Il Messaggero, 21 dicembre 2014 "Roma deve ripartire". Nel giorno in cui l'Anm torna all'attacco del governo sulle norme anticorruzione, Matteo Renzi ricorda che "i giudici devono fare le sentenze, ma le leggi le fa il Parlamento". E assicura "durezza senza fine" su Mafia Capitale, "perché chi lucra sui poveracci mi fa schifo". Partiamo però dalla legge di Stabilità, presidente. Lei ha rivendicato la più grande riduzione fiscale della storia della Repubblica. Pensa che nel 2015 potrà avere effetti concreti sia per le famiglie che per le imprese, in chiave di spinta alla crescita? Oppure questo sforzo finanziario è destinato ad essere inutile senza la mobilitazione di investimenti a livello europeo, che nella migliore delle ipotesi non è immediata? "Parliamoci chiaro. In un momento difficile come quello che stiamo vivendo, con la stagnazione europea e una crescita globale più bassa rispetto alle attese, tutto è utile ma niente è decisivo. Giusti gli 80 euro, giusta la cancellazione della parte lavoro dall'Irap, giusto tutto. Ma è naturale che servano gli investimenti europei e nazionali. E, aggiungo, servono le riforme strutturali che hanno un forte valore politico, ma anche economico". I principali centri di ricerca individuano ancora tra le cause non secondarie della stagnazione economica una persistente crisi di fiducia. Le famiglie non consumano e le imprese continuano a non investire, pur con le debite eccezioni. Che argomenti userebbe per convincere gli italiani a cambiare atteggiamento nel 2015? "Verissimo. Pensi che dal 2012 al 2014 gli italiani hanno visto aumentare i propri risparmi di circa 400 miliardi di euro: siamo al paradosso che un Paese ricco ha più soldi di prima da parte. Avere 400 miliardi che la paura ha rinchiuso in un cassetto fa male: è una cifra superiore persino all'intero piano Juncker. Noi dunque i soldi da parte ce li avremmo. Ma dobbiamo recuperare fiducia in noi stessi e nell'Italia". Venendo all'Europa, presidente. Le conclusioni dell'ultimo Consiglio europea a presidenza italiana sono state definite nella stessa delegazione italiana "un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto". Ora che è tornato a Roma, possiamo dirlo chiaramente: il piano Juncker decollerà o no? Resta agli atti il suo "parole-parole-parole" lasciando il summit... "Ho canticchiato "parole, parole, parole" perché lo aveva suggerito lo stesso Juncker in conferenza stampa il giorno prima. Anche se la canzone giusta sarebbe di Battisti, più che di Mina: se funzionerà, "lo scopriremo solo vivendo". Per me è un primo passo. Con una novità importante: gli investimenti vengono scorporati dal patto di stabilità. Questa è una rivoluzione culturale per l'Europa. Noi insisteremo per valorizzare questo approccio". Una parte consistente della manovra italiana è fatta in deficit: nei primi mesi del 2015 la Ue potrebbe chiederci misure aggiuntive. L'Italia rispetterà il tetto del 3%? "L'Italia rispetterà tutte le regole. Regola del deficit, regola del debito, regola degli investimenti. E anche regola del buon senso". La nostra immagine internazionale è stata scossa dalle vicende di Mafia Capitale. Il Pd ha dimostrato di voler affrontare il problema alla radice, azzerando il partito romano. Quanto era grave il degrado che ha trovato nel Pd romano? "Il Pd ha fatto una scelta semplice: commissariare per dire che noi non abbiamo paura di niente e di nessuno. Se qualcuno dei nostri ha sbagliato è giusto che paghi tutto, fino all'ultimo centesimo, fino all'ultimo giorno. Gli sconti si fanno al supermercato, non in politica. Detto questo, siccome noi siamo garantisti chiediamo e anzi pretendiamo che si corra - il più veloce possibile - verso i processi e le sentenze. La giustizia si esercita nei tribunali e parla con le sentenze, non con le paginate sui giornali". Lei è sempre stato a dir poco algido sulla giunta Marino, esclude l'ipotesi di elezioni anticipate a Roma se l'inchiesta dovesse estendersi? "Marino deve fare il sindaco. I romani gli hanno chiesto proprio questo: tenere pulita la città, sistemare le buche, efficientare la macchina, far funzionare le scuole con le mense e i servizi, disciplinare il traffico, investire in cultura e tutto quello che deve fare un buon sindaco. Al Campidoglio sono comprensibilmente scossi per quanto è accaduto. Ma mi verrebbe da dir loro, in romanesco: ahò, dateve ‘na mossa, non state fermi là. Roma deve ripartire. Com'era lo slogan di Marino in campagna elettorale? Daje! Appunto...". Il governo è subito intervenuto a sua volta, con un ddl anticorruzione che però gli stessi magistrati hanno giudicato insufficiente, sia per la forma scelta (un disegno di legge, appunto, anziché un decreto), sia perché non compare alcun premio per chi collabora. L'Anm ha usato parole durissime. "Stavo in pensiero, era da un po' che non mi facevano un comunicato contro... Battute a parte, io provo il massimo rispetto per i magistrati quando giudicano e fanno le sentenze. Ma preferisco i magistrati che parlano con indagini e sentenze a quelli che parlano con i comunicati stampa. Un magistrato deve scrivere sentenze, le leggi le fa il Parlamento. Gli strumenti per combattere la corruzione ci sono. Li abbiamo aumentati. Noi siamo il governo che ha messo Cantone all'Anticorruzione, che vuole ripristinare il falso in bilancio, che ha commissariato il Mose e ripulito l'Expo... Quindi durezza assoluta sulla vicenda romana, perché chi lucra sui poveracci mi fa schifo, poi però è fondamentale che si arrivi a sentenza". La vicenda di Mafia Capitale non le ha impedito di lanciare la candidatura della Capitale per le Olimpiadi 2024. Una mossa patriottica quanto esposta a rischi. Cosa le fa ritenere che questa volta i lavori preparatori sfuggiranno alle solite malversazioni? "Roma non è corruzione. Roma è meno che mai la mafia. Roma, insisto, deve ripartire. Io non accetto che si mettano tutti sullo stesso piano. Dire che sono tutti colpevoli fa il gioco dei criminali perché porta a dire che tutti colpevoli, nessun colpevole. Dunque io non lascio Roma a quelli che rubano. E le Olimpiadi sono una grande occasione, un progetto a lunga scadenza, perché il Paese torni a progettare, a pensare al futuro, a discutere, riflettere, sognare. Ma in modo concreto. E con tutti i controlli del caso. Saremo inflessibili. Ma non possiamo rinunciare a un sogno solo perché qualcuno vorrebbe rubare anche quello!". Intanto i partiti sono già in fermento per la partita del Quirinale. Lei ha già detto che finché Napolitano resta al suo posto non intende occuparsene. Dobbiamo crederle? "Dovete credermi perché è quello che sta realmente avvenendo. Però potete anche non credermi, non mi offendo. Il punto è che oggi il Presidente della Repubblica c'è, è in carica, e lavora come sempre in modo puntuale e determinato nel rispetto del suo ruolo istituzionale. Quando si dimetterà, affronteremo e risolveremo il problema senza troppi traumi. Ma prima - soprattutto - lo ringrazieremo per la qualità (e quantità) del lavoro svolto". L'altra sera in tv, al di là dei nomi, lei ha tracciato un identikit del suo presidente ideale: capace di unire, saggio e non polemico. Possiamo aggiungere qualcos'altro? "Sarà il dodicesimo presidente della Repubblica italiana. Punto. Tutto il resto è noia". È di questo che avete parlato con Romano Prodi nel vostro incontro a palazzo Chigi? "Anche di questo naturalmente. Prodi mi ha detto in privato le cose che ha detto tante volte in pubblico. Ma abbiamo parlato anche di Libia, di Russia, di Ucraina, di Africa, di Cina. La prossima volta lo facciamo in streaming, così ci saranno meno dietrologie". Un presidente "capace di unire" non vuol dire però necessariamente eletto con i 2/3 del Parlamento, giusto? "No. Il quorum diverso non modifica la legittimazione istituzionale del presidente. Se il sindaco viene eletto al primo turno o al ballottaggio sempre sindaco è". Come ha in mente di procedere, quando sarà il momento: il Pd proporrà un nome prima agli alleati della maggioranza? Fi avrà un'interlocuzione privilegiata? "Quando sarà il momento... ne parleremo! Il patto del Nazareno è stato siglato un anno fa, quando le dimissioni di Napolitano non erano in agenda. Questo è il motivo per cui non c'è nessun patto preventivo tra Pd e Fi. Ovviamente io auspico che nella maggioranza ampia che dovrà eleggere il nuovo garante dell'unità nazionale ci siano più partiti possibili. Berlusconi è stato decisivo nel votare convintamente nel 1999 Ciampi e nel 2013 Napolitano: non vedo alcun motivo per cui dovrebbe star fuori stavolta. Il fatto che sia un giocatore chiave nella partita della riforma ne rende oggettivamente più solido il ruolo. Ma dipenderà anche dalla loro situazione interna, dalla loro volontà di collaborazione, oltre che dalla nostra. Al momento opportuno ci incontreremo. Come faremo anche con i 5Stelle, che spero non rimangano anche stavolta alla finestra. E coinvolgendo come è logico i nostri alleati di governo con cui il rapporto è serrato ma buono". Vendola propone al Pd un accordo su Prodi: cosa risponde? "Oggi chi fa nomi li vuole solo bruciare. Non sarebbe del resto una novità per Nichi: quando penso a ciò che sarebbe potuto accadere se solo nel 1998 Vendola e i suoi - con una parte dei nostri - non avessero mandato a casa Prodi. Fossi Sel mi farei qualche domanda: ormai in Parlamento fa ostruzionismo su tutto seguendo i grillini e la Lega di Salvini e Calderoli. Ma davvero non vogliono provare a uscire da questa logica di scontro frontale? E dire che gli abbiamo anche mandato un bel segnale con l'abbassamento della soglia per la legge elettorale, ma sembrano sordi al dialogo. Si vede che stanno bene con Salvini e Grillo, che devo dirle? Noi andiamo avanti anche per loro". Cambiando del tutto argomento, presidente, I tesorieri dei partiti sono in rivolta contro l'abolizione del finanziamento pubblico. Da segretario del Pd è pentito di questa riforma? "Tesorieri in rivolta? Non so gli altri. Bonifazi non lo è. Il Pd non licenzia, non mette in cassa integrazione, non cerca i blitz per introdurre di nuovo il finanziamento ai partiti. Perché il Pd non chiede ancora i soldi ai cittadini: noi i soldi ai cittadini dobbiamo restituirli come abbiamo fatto con gli 80 euro". Giustizia: il ministro Orlando "l'Anm contro la mia riforma? Li rispetto, ma non li temo" di Barbara Romano Libero, 21 dicembre 2014 Ministro Andrea Orlando, che ci fa un comunista come lei nel governo del Rottamatore? "Ho difficoltà a definirmi oggi comunista. È un aggettivo anacronistico per obiettive ragioni storiche". Viene dal Pci, che non ha mai rinnegato. Come si definisce? "Sono una persona che non si vergogna di aver fatto la gavetta in un partito che ha svolto una funzione fondamentale nella costruzione della democrazia italiana. Ho avuto la fortuna di frequentare quella scuola e, come dice lei, non lo rinnego. Oggi mi definirei un socialdemocratico". Il premier ha affidato la Giustizia a uno della "ditta" per tenere a bada i magistrati? "Renzi ha tenuto in considerazione la mia esperienza, visto che sono stato il responsabile giustizia del partito per quattro anni. E poi non credo che ci sia da tenere a bada i magistrati". Non esiste una magistratura politicizzata in Italia? È solo una fissazione di Berlusconi? "Che ci sia una magistratura con una matrice ideologica segnatamente di sinistra, come ci sono correnti di altre ispirazione, è un fatto storico, ma non credo ci fosse una cinghia di trasmissione, né che i giudici abbiano ordito un disegno di carattere politico". Non crede che il Pd debba farsi un esame di coscienza su Buzzi? "Credo che questa vicenda ponga questioni gravi e urgenti, come il tema del finanziamento alla politica e più in generale del funzionamento dei partiti, oltre a quello della trasparenza nelle procedure della Pubblica Amministrazione. Temi che esigono risposte politiche. Il Pd ha dato un segnale a partire dal commissariamento della federazione di Roma e assumendo questi temi come prioritari". Quando si iscrisse al partito? "A 13 anni mi iscrissi alla Federazione giovanile comunista, a 18 anni presi la tessera del Pci. Era il giorno del mio compleanno, l'8 febbraio 1987". Divenne responsabile provinciale dei giovani comunisti l'anno in cui cadde il muro di Berlino. "Non mi sentii colto alla sprovvista, perché ero uno di quelli, molto isolati nell'organizzazione giovanile, che venivano definiti miglioristi. Venivamo stigmatizzati come "socialdemocratici", che allora era sinonimo di traditore opportunista. Invece anticipavamo temi che sarebbero diventati patrimonio comune della sinistra italiana". Un migliorista come Napolitano. "Era lui il mio riferimento, con esponenti della stessa area come Macaluso, Chiaromonte e La Torre, che era stato ucciso pochi anni prima". Il giorno del giuramento Napolitano le disse: "Andrea, stai tranquillo". Si è rivelata una gatta così brutta da pelare la giustizia? "Io non sono tranquillo neanche oggi. È un ministero molto delicato a prescindere dalla fase storica. Anche per questo cerco di tenere un approccio pragmatico ed equilibrato". Nonostante questo, da quando lei è ministro l'Anm minaccia scioperi un giorno sì e l'altro pure. Ieri hanno annunciato iniziative di protesta contro la riforma della responsabilità civile, che ritengono "una specie di ossessione della politica". Avete paura dei magistrati? "Stiamo portando avanti una vera riforma della giustizia. Abbiamo affrontato i temi del funzionamento del processo, sia civile che penale, gli strumenti contro la criminalità mafiosa, il funzionamento della magistratura onoraria, il ruolo dell'avvocatura. Io non credo che la riforma della giustizia sia la riforma della magistratura, ma del servizio. In questo senso può riguardare anche i giudici, per i quali abbiamo rispetto, ma non paura. Tant'è che abbiamo affrontato il nodo della responsabilità civile, che attendeva di essere sciolto da 25 anni. Lo abbiamo fatto non per aggredire la magistratura, ma per tutelare meglio i cittadini, come ci chiede di fare la Ue, che ha aperto una procedura d'infrazione nei nostri confronti, ritenendo la normativa vigente inadeguata". Eppure molti giuristi ritengono che quella che avete varato non sia una vera responsabilità civile. È una responsabilità indiretta, si continua a citare lo Stato che poi può rivalersi sul giudice, ma a pronunciarsi è un altro giudice. "Questa riforma è stata valutata positivamente anche dalle Camere penali. La responsabilità diretta del giudice non esiste in quasi nessun ordinamento e non vedo chi altri, se non un giudice, potrebbe valutare la violazione di un diritto, fatta salva la competenza disciplinare del Csm". Ma fu lei stesso, nel 2010, a chiedere "un'azione disciplinare meno domestica per i magistrati", suggerendo di portarla "fuori dal Csm". "Nel 2010 eravamo a ridosso della riforma ordinamentale. Da allora la sezione disciplinare del Csm ha funzionato meglio di come ci si aspettava. E poi abbiamo escluso di intervenire a livello costituzionale nell'ambito della giustizia, ma non abbiamo rinunciato a migliorare il funzionamento del Csm. Nei prossimi giorni costituirò un gruppo di lavoro proprio su questo tema. Presenteremo le proposte a breve, ora che il nuovo Csm è operativo". Nel 2010 lei sosteneva la separazione dei ruoli dei magistrati. Ha cambiato idea pure su questo? "Credevo e credo che sia importante l'esigenza di distinzione dei ruoli su cui si fondava la riforma dell'ordinamento e penso che si sia concretamente realizzata, perché sono davvero pochi i casi di magistrati che passano da una funzione all'altra. Oggi come allora, sono contrario a una modifica costituzionale che istituisca due corpi separati della magistratura". Subito dopo il varo della riforma della giustizia dal Consiglio dei ministri è stato indagato il padre di Renzi. Ci vede un collegamento? "È un'ipotesi che escludo". Sul ddl anticorruzione le critiche più dure le avete ricevute dall'Anm e dal Pd. Secondo Fassina e Casson avreste dovuto agire per decreto. "Ci sono state sicuramente critiche più dure di quelle dei due dem. E tuttavia temo che nella polemica interna al Pd si utilizzi strumentalmente il tema della giustizia. Mi auguro che non succeda più e che siano casi isolati. Si tratta di una materia troppo delicata per essere utilizzata a questo scopo. Ame Fassina e Casson, persone che stimo, non hanno mai proposto di emanare un decreto, e siccome ci conosciamo da molto, penso avrebbero avuto tutte le occasioni per chiedermelo personalmente. Ritengo sbagliato intervenire con la decretazione d'urgenza su norme di carattere penale". Nella classifica Ue sui tempi della giustizia l'Italia ha già la maglia nera. Non si rende conto che dilatare la prescrizione finirà per allungare ancora di più questi tempi? "Dobbiamo agire su entrambi i piani. La norma sulla prescrizione è all'interno di un ddl che si pone anche l'obiettivo di ridurre la durata dei processi, introducendo soluzioni per velocizzare l'udienza preliminare e il primo grado e disciplinando meglio l'appello". Lei è un "giovane turco", come il presidente del Partito democratico Matteo Orfini. Eravate più anti-renziani di Pippo Civati, oggi siete più renziani di Renzi. Sono stati gli incarichi ottenuti a convertirvi? "Mantengo una cultura e valutazioni politiche talvolta diverse da quelle del premier. Facevo già il ministro prima dell'avvento di Renzi, sapevo che avrebbe vinto le primarie - non ci voleva Nostradamus - eppure ho deciso di sostenere Cuperlo". Non siete saltati sul carro del vincitore? "Abbiamo fatto una valutazione politica. Renzi ha vinto il congresso, è diventato il nostro segretario, è andato al governo e, se lui non ce la fa, va a picco l'Italia. Continuiamo ad avere probabilmente un'idea diversa di partito, ma riteniamo che si debba collaborare lealmente, senza sgambetti. Credo si sia rivelata una valutazione giusta, data la spinta che Renzi ha impresso alla politica e che ha portato al successo il Pd alle Europee". Lei è stato vicinissimo a Fassino. È lui il suo candidato per il Colle? "Se si fa un nome di questi tempi è un modo per bruciarlo". Da bambino sognava di fare il ministro? "No, il muratore. Oppure il sottoufficiale di Marina come mio nonno o, come tanti ragazzi, il calciatore". E i suoi genitori che facevano? "Erano insegnanti. Poi mia madre è diventata preside". Da figiccino li avrà fatti impazzire occupando le scuole... "Ho partecipato a tante iniziative del movimento studentesco. Mi sono formato tra gli anni 80 e 90, con le proteste contro il ministro Falcucci e con la Pantera all'università". Ma non si è mai laureato. "Mi mancano pochi esami per laurearmi in Giurisprudenza. Interruppi gli studi per andare a lavorare". Unico Guardasigilli nella storia della Repubblica senza laurea: gliel'hanno mai rinfacciato? "Qui al ministero no. Me ne rammarico, ma credo di essermi costruito una discreta competenza sul campo, che qualcuno ormai mi riconosce". Giustizia: i Radicali a digiuno per lo Stato di diritto e contro la tortura su Provenzano di Giuseppe Candido Il Garantista, 21 dicembre 2014 Dal tre dicembre, è nuovamente in corso il Satyagraha dei Radicali che vede Pannella e Bernardini impegnati in prima linea con uno sciopero della fame (e, Pannella, anche della sete) per chiedere allo Stato di garantire la salute nelle carceri, di fermare la mattanza dei suicidi che troppo spesso avvengono proprio per mancanza di cure psichiatriche adeguate, e di interrompere il regime del 41bis per Bernardo Provenzano, caso simbolico, che vede l'accanimento dello Stato contro "il mafioso". Una "tortura democratica" inflitta anche nei confronti di parenti che possono vederlo, ridotto a vegetale, solo attraverso un vetro. Insieme a lui centinaia di cittadini, un comitato di detenuti eccetera. Che palle!, si dirà. Ancora uno sciopero della fame di Pannella e di quei matti dei Radicali? E, già. Sono ancora qua. Sono 362 i cittadini "matti" che hanno aderito al Satyagraha, oltre a un comitato "amnistia giustizia libertà" dal carcere di Firenze. Anch'io ho aderito, come ho già detto, a questo Satyagraha con un giorno di digiuno alla settimana e, assieme ad altri compagni calabresi che si sono uniti a Marco Pannella, digiuniamo "a staffetta" anche per tentare di aprire, in Calabria, un dialogo per quanto riguarda l'istituzione del garante regionale delle persone private della libertà personali. Quella dei radicali non è mai una protesta, ma una proposta; una proposta di dialogo con le istituzioni affinché rispettino le proprie stesse leggi. E nel proporre questo dialogo ci facciamo forza della verità e, - dopo il messaggio inviato nell'ottobre del 2013 alle Camere dal Presidente Napolitano - facciamo nostre le parole utilizzate da Papa Francesco nel rivolgersi all'associazione internazionale del diritto penale lo scorso 23 ottobre; parole che solo da Radio Radicale e da Radio Vaticano si sono potute sentire e che, - ad eccezione dei lettori de II Garantista che l'ha pubblicato integralmente - a tutti gli altri italiani (o come dice Pannella, "italofoni" includendo i cittadini non italiani ma che ivi risiedono e ne comprendono la lingua) è letteralmente proibito conoscere. Ne riporto di seguito alcune parti, meritoriamente selezionate dallo storico archivio pontificio di Radio Vaticana, da Riccardo Arena di Radio Radicale e ri-mandate in onda proprio durante le trasmissione Radio Carcere del 16 dicembre, con un Marco Pannella che - dopo averle (ri)ascoltate - gioiosamente gridava: "Bravo Papa Francesco! Bravo! Bravo!". "Negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione - ha spiegato il Santo padre in quella che potremmo definire una lectio magistralis - che attraverso la "pena pubblica" ai possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina". "Non si cercano soltanto capri espiatori che paghino con la loro libertà o con la loro vita per tutti quei mali sociali, com'era tipico nelle società primitive? Ma oltre a ciò, talvolta c'è la tendenza a costruire deliberatamente delle minacce. Figure stereotipate che concentrano in se stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose. I meccanismi di formazione di queste immagini sono i medesimi che, a suo tempo, permisero l'espansione delle idee razziste (...)". "Stando così le cose, il sistema penale va oltre la sua funzione propriamente sanzionatoria e si pone sul terreno delle libertà e dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili. C'è il rischio - ha spiegato ancora Papa Francesco - di non conservare neppure la proporzionalità delle pene, che storicamente riflette la scala dei valori tutelari dello Stato. Si è affievolita la concezione del diritto penale come estrema ratio, come ultimo ricorso alla sanzione limitata ai fatti più gravi. Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre pene alternative". Un dibattito affievolito e dimenticato, in favore del più bieco giustizialismo. E, in un passaggio successivo, proprio sulla tortura, dopo aver ricordato che il Vaticano l'ha introdotta come specifico reato (cosa che non è riuscita ancora all'Italia), Papa Francesco ha poi spiegato come: "Una forma di tortura è, a volte, quella che si applica mediante la reclusione in carceri di massima sicurezza, come dimostrano gli studi realizzati da diversi organismi in difesa dei diritti umani, la mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l'ansietà, la depressione e la perdita di peso, e incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio. Questo fenomeno delle carceri di massima sicurezza, si verifica anche in altre generi di penitenziari insieme ad altre forme di tortura fisica e psichica, la cui pratica si è diffusa"- Aggiungendo che: "Le torture, ormai, non sono utilizzate come mezzo per ottenere un dato fine, come la confessione o la delazione, pratiche caratteristiche della dottrina della sicurezza nazionale. Ma costituiscono un autentico plus di dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione. In questo modo si tortura non solo in centri clandestini di detenzione o in moderni campi di concentramento, ma anche in carceri, istituti per minori, ospedali psichiatrici, commissariati o altri centri e istituzioni di detenzione e pena". Ecco. Quali sono gli obiettivi del Satyagraha di Natale di Marco Pannella, Rita Bernardini e di noi Radicali? Guarda un po': sanità in carcere: garantire le cure ai detenuti; immediata revoca del 41bis a Bernardo Provenzano; introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura; abolizione dell'ergastolo; no alle deportazioni in corso dei detenuti dell'alta sicurezza; diritto alla conoscenza: 1) conoscibilità e costante aggiornamento dei dati riguardanti le carceri 2) conoscibilità dei dati riguardanti i procedimenti penali pendenti; Rendere effettivi i risarcimenti ai detenuti che hanno subito trattamenti inumani e degradanti; abolire la detenzione arbitraria e illegale del 41-bis; nomina immediata del Garante Nazionale dei Detenuti; per gli Stati Generali delle Carceri, preannunciati dal ministro della Giustizia, prevedere la presenza anche dei detenuti. Non mi pare che siano obiettivi folli, né distanti da ciò che ha ribadito il Papa difronte ai massimi esponenti del diritto penale internazionale. Buon Satyagraha di Natale. Giustizia: il Vangelo? è l'opera più rivoluzionaria, che combatte il potere a tutti i livelli di Piero Sansonetti Il Garantista, 21 dicembre 2014 Sicuramente il testo di letteratura più immorale di tutti i tempi è il Vangelo (tutti e quattro i Vangeli). Molto più di De Sade, o di Baudelaire, o di Oscar Wilde, o di Crepax. De Sade o Wilde colpiscono al cuore alcuni pregiudizi, aggrediscono dei pezzetti di spirito pubblico, e così creano scandalo. Ma scandalo parziale. Il Vangelo, e il suo protagonista assoluto, che si chiama Gesù, prende a sberle lo spirito del tempo lo oltraggia e lo rovescia. Se fosse tutto qui, lo scandalo del Vangelo non sarebbe neppure granché. Ci sono altri autori, o libri, che rovesciano lo spirito del tempo. La grandiosa immoralità del Vangelo sta nella sua "permanenza". Il Vangelo è in contrasto aperto non con la morale di due secoli fa ma con la morale di oggi. Il Vangelo è un insulto alla morale di oggi. Mi limito a citare tre passi. I più gravi. Quello sul giudizio, quello sui derelitti, quello sull'ira. Gesù nel Vangelo sostiene che nessuno ha il diritto di giudicare, e soprattutto nessuno ha il diritto di punire. "Chi è senza peccato scagli la prima pietra" risponde al popolo che vorrebbe punire una prostituta, più o meno come fanno oggi moltissimi giornalisti, intellettuali, vescovi, politici, femministi, moralisti, girotondini e guru. Osannati dal popolo. Gesù se ne infischia dei girotondini e stabilisce che quella donna è ingiudicabile e impunibile, perché è discutibile la verità, è discutibile la giuria, è inammissibile la punizione. La certezza della pena, per Gesù, è la non pena. Il processo è l'auto-processo: "Va e non peccare più". Cioè: la questione del peccato riguarda te, non il mondo, non i magistrati. Solo te. Sui derelitti conoscete tutti il ragionamento su chi dà e chi no l'elemosina, chi va a trovare i carcerati, chi dà da mangiare agli affamati. E chi invece se ne infischia. Gesù dice che se non ti occupi della carceri non andrai in cielo. Parlava a quelli che pensano che l'amnistia sia una oscenità, un delitto. Gesù vuole il delitto, è osceno, osceno molto più di Pannella. E dice che i ricchi neppure andranno in cielo. Perché essere ricchi, secondo Gesù, non è un valore ma è un disvalore. Il valore è essere poveri e sfidare i sindaci che proibiscono l'accattonaggio, il valore è essere rom, e sfidare le televisioni che ti criminalizzano, e Salvini, e i giornalisti. Ieri il Messaggero, parlando degli ambulanti a piazza Navona, titolava: "Sfida al decoro". Giusto, non solo il Vangelo è osceno, è del tutto indecoroso. E poi l'ira. Non è l'ira il valore più grande per quelli che oggi vogliono morale ed etica? L'ira, l'odio verso i malvagi, gli avversari politici, i dissidenti, i delinquenti, i corrotti, i garantisti, gli inquinatori. Quello lì è il valore, oggi. Leggete Repubblica, o il Fatto o il manifesto, o anche il Giornale e Libero: sapersi indignare, saper gridare, avere l'odio di classe, o di casta, o di eletti, o l'odio dei giusti. Pensate che lui, cioè Gesù Cristo di Nazareth, diceva: "Chiunque di voi si adira con un suo fratello sarà sottoposto a giudizio". In realtà alla fine hanno sottoposto a giudizio lui, lo hanno crocifisso. Perché quello era uno Stato saggio, etico, che condannava l'immoralità. "Omo che si fa rege, secondo nostro lege, contraddice al Senato". Giusto: crucifige. Un giorno verrà anche da noi uno Stato etico, guidato da Salvini, Grillo e Travaglio. E allora di questa schifezza del Vangelo non ne sentiremo più parlare, finalmente. Potremo leggere solo Tabucchi e Camilleri. Giustizia: "Bambini senza sbarre", fino al 28 dicembre sms solidale per i figli dei detenuti Corriere della Sera, 21 dicembre 2014 Sono 100 mila in Italia, "condannati" senza aver commesso alcun crimine. La raccolta fondi dal 21 al 28 dicembre. "Non un mio crimine ma una mia condanna": è questo lo slogan della campagna che l'associazione "Bambini senza sbarre" lancia in questa settimana di Natale a favore delle migliaia di bambini con uno o entrambi i genitori detenuti. In Italia sono 100mila: bambini "invisibili" e senza colpa, ma destinati al pregiudizio. L'associazione ne accoglie attualmente diecimila nei suoi Spazi gialli, per facilitare e rendere più umani gli incontri fra loro e i genitori in carcere. L'obiettivo della campagna, oltre alla sensibilizzazione sul problema, è quello di raccogliere i fondi per costruire sempre più spazi analoghi anche per gli altri 90mila bambini. Per contribuire è possibile inviare un sms solidale al numero 45507, dal 21 al 28 dicembre, attraverso cui si potrà versare un contributo compreso tra 2 e 5 euro, a seconda dei gestori telefonici. Lettere: Carmelo Musumeci a Papa Francesco "mi impediscono di incontrarti…" www.carmelomusumeci.com, 21 dicembre 2014 "Non mi è neanche arrivata la risposta della magistratura di sorveglianza: mi sento zuppo di tristezza e di malinconia". È quanto scrive in una lettera aperta, sul suo sito, a Papa Francesco l'ergastolano Carmelo Musumeci, che aveva richiesto alla magistratura la possibilità di partecipare oggi all'udienza che Jorge Mario Bergoglio concede alla comunità "Papa Giovanni XXIII", fondata da don Oreste Benzi, per il quale è in avvio la causa di beatificazione. "Non mi hanno dato dignità per una risposta, il che - lamenta - è anche peggio di un no". Osserva ancora Musumeci: "Credo di essere il primo nella Storia a cui è stato rifiutato un incontro con un pontefice: forse perché avevano paura che chiedessi asilo politico nella Città del Vaticano, dove hai abolito la pena dell'ergastolo". Confessa l'ergastolano: "Non ci crederai, ma mi dispiace di non averti incontrato. E mi dispiace soprattutto per il mio angelo, che mi ha lasciato Don Oreste. Devi sapere che il mio angelo, a volte anche i diavoli ne hanno uno, ci teneva tanto. Spero che adesso si rassegnerà, perché se mi hanno negato anche di uscire per incontrare te non posso fare altro che prepararmi a invecchiare nella mia tomba di ferro e cemento. Non posso fare altro, perché solo la morte mi può liberare dalle catene". Prosegue Musumeci nella sua lettera aperta a Papa Francesco: "Spesso penso che sarebbe meglio una vita breve con poco dolore di una vita lunga con infinita sofferenza, perché noi ergastolani non abbiamo mai anni in meno di carcere da fare, ma sempre anni in più. Essere ergastolani è come essere morti prima di morire, perché la libertà per un ergastolano è come un orizzonte che non vedrà mai. E spesso mi domando: a cosa serve e a chi serve il carcere a vita? Si diventa non viventi, esseri totalmente e per sempre senza speranza, schiavi della pena". Osserva ancora l'ergastolano: "L'ergastolo è solo la banalità della vendetta, perché questa terribile pena ti mangia l'anima, il corpo, il cuore e l'amore. Una pena come l'ergastolo non sarà mai in grado di fare giustizia. Un uomo, qualsiasi reato abbia commesso, non può essere annullato. Punito sì, ma non distrutto per sempre con la "pena di morte nascosta" come la chiami tu. E poi l'ergastolo non funziona, non è un deterrente, può solo alimentare il male e fa sentire vittime del reato, anche se il reato è il tuo". Musumeci sottolinea che "molti sono contrari alla pena di morte per motivi religiosi, etici, eppure non lo sono per la pena dell'ergastolo. E non si capisce bene il perché. Le alternative sono due: o pensano che l'ergastolo sia meno doloroso della pena di morte; o può anche essere il contrario, che con la pena di morte cessa la sofferenza della pena e quindi finisce anche la vendetta sociale. Papa Francesco - conclude - la vita scorre ancora dentro di me, eppure oggi mi sento un morto che respira e cammina, perché sono deluso di non averti potuto abbracciare. Lo faccio fra le sbarre: buon Natale!". Negato a ergastolano incontro con Papa Francesco (Ansa) Avrebbe voluto incontrare Papa Francesco l'ergastolano Carmelo Musumeci, nell'udienza dedicata oggi in Vaticano alla Comunità Papa Giovanni XXIII fondata a Rimini da don Oreste Benzi, ma il Tribunale di sorveglianza non glielo ha concesso, con la motivazione "non luogo a procedere". Lo ha reso noto sul suo sito web lo stesso detenuto, arrestato nel 1991 come capo di una banda che gestiva traffici malavitosi in Versilia, ma che durante la permanenza in carcere - è a Padova - si è laureato e ha pubblicato anche numerosi libri. Musumeci, uno dei detenuti ergastolani cosiddetti ostativi, la cui pena non scadrà mai e che non possono beneficiare di permessi, ha scritto allora una lettera al Papa e l'ha pubblicata su internet. "Non mi è neanche arrivata - comincia lo scritto - la risposta della magistratura di sorveglianza. Mi sento zuppo di tristezza. E di malinconia. Non mi hanno dato dignità per una risposta. Il che è anche peggio di un no. Di un altro di no. Persino per incontrare te. Credo di essere il primo nella storia a cui è stato rifiutato un incontro con un Pontefice. Forse - ironizza - perché avevano paura che chiedessi asilo politico nella Città del Vaticano, dove hai abolito la pena dell'ergastolo". "L'ergastolo - aggiunge Musumeci - è solo la banalità della vendetta, perché questa terribile pena ti mangia l'anima, il corpo, il cuore e l'amore. Una pena come l'ergastolo non sarà mai in grado di fare giustizia. Un uomo, qualsiasi reato abbia commesso, non può essere annullato. Papa Francesco, la vita scorre ancora dentro di me, eppure oggi mi sento un morto che respira e cammina perché sono deluso di non averti potuto abbracciare. Lo faccio fra le sbarre. E Buon Natale". Lettere: il mio appello a Napolitano per i reclusi… quelli famosi e quelli ignoti di Cesare Lanza Corriere della Sera, 21 dicembre 2014 Mi rivolgo a chiunque abbia un cuore laico e giusto, o religioso e cristiano, ai partiti e ai nostri rappresentanti politici (ce ne sono, ce ne sono!) più sensibili alle sofferenze che alle tangenti e in particolare al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: indulgenza, comprensione verso Marcello Dell'Utri e Fabrizio Corona. Non mi permetto di entrare nel merito delle condanne di Corona e Dell'Utri e mando un abbraccio a tutti i detenuti, chiamati a espiare in misura spietata, senza il beneficio di una pur minima comprensione e attenzione da parte della cosiddetta "società civile". Gli esempi potrebbero essere, presumo, migliaia. E mi scuso verso tutti i detenuti che, non essendo famosi, subiscono severità non comprensibili, non tollerabili. Mi limito, oggi, a riferirmi a due personaggi molto diversi tra di loro, ugualmente esposti non solo a condanne molto severe, ma a trattamenti inspiegabili. Fabrizio Corona è stato condannato, per reati che appaiono ridicoli di fronte a quanto succede in Italia, a un incredibile numero di anni. Dell'Utri, se le mie informazioni sono esatte, ha chiesto per questi giorni festivi di incontrare i familiari in carcere per più di un'ora. La sua richiesta è stata respinta. Roma: inchiesta Mafia Capitale; le pressioni dei "neri" per controllare anche le carceri di Sara Menafra Il Messaggero, 21 dicembre 2014 Contatti per arrivare al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e far trasferire Lele Macchi di Cellere da Rebibbia ad un nuovo carcere. Nelle ultime settimane prima dei nuovi arresti, il gruppo responsabile del sequestro finito nell'omicidio di Silvio Fanella (cassiere di Gennaro Mokbel e detentore di almeno una parte del tesoro) cerca di far cambiare carcere all'ex militante degli anni ‘70. Macchi, fondatore del Movimento rivoluzionario popolare, è malato da tempo, ma i contatti sembrano andare oltre la semplice segnalazione. È lo stesso Macchi a parlare col fratello Umberto di come potrebbe muoversi il loro avvocato, del quale Lele non sembra più fidarsi. Umberto: "Quello mi dice al Dap, quello mi dice che devo vedere quello, mi dice aspettiamo"; Emanuele: "Le trovo io tramite persone che hanno collaborato ad aiutare disgraziati che stavano dentro, io per tirare fuori Concutelli non è che ho cacciato cento mila, ho pagato cinque mila una perizia duemila un'altra, era perché sono riuscito ad arrivare no… come a Maroni, Maroni tramite la Mambro ci sono arrivato, sono nomi che non si possono fa ma lei lavora al Partito Radicale, è lei che ha avuto ‘sti contatti. Queste cose qua in silenzio per non nominarle se no…non se può vede che…questo lo faccio io ste cose qua, è perché gente (inc) mi portano tutti bene non ho mai fatto del male". Il riferimento è a Pierluigi Concutelli, esponente di Ordine nuovo condannato per l'omicidio del pm romano Vittorio Occorsio, libero dal 2011 per motivi di salute. Lele Macchi sembra essere sicuro che una strada ci sia, e ricorda come funzionava negli anni ‘70: "Dico tu c'hai quarant'anni no, noi riusciamo ad avere gli indirizzi dei Giudici a vent'anni, io ho corrotto perché sono andato a pagare i Giudici per fare uscire la gente, a ventidue, a venticinque anni, quindi non c'è l'impossibilità, no". Sebbene rischi lui stesso il carcere per gli stessi fatti (ieri è stato arrestato) si mobilita anche Manlio Denaro che, si legge nell'informativa della Squadra mobile di Roma, "contatta il suo amico parlamentare Ignazio Abrignani", parlamentare di Forza Italia. Denaro: "Lui sta ancora al transito non è in infermeria... ha un braccio paralizzato... non vivrà molto"; Abrignani: "Provo a sentire la Polverini, intanto se riesce a spostarmelo... perché lei conosce il direttore di Rebibbia... capito? vediamo se in tanto riusciamo a spostarlo in infermeria prima di andarlo a trovare insomma". A mettersi a disposizione per aiutare Macchi sarebbero anche altri, gliene parla il secondo fratello, Gianluigi, riferendo di una dirigente di Rebibbia, Alessia Rampazzi. Gianluigi: "La Rampazzi è sollecitata, è sensibile, è disponibile, è sollecitata pure da quell'altra amica di Germanella (Germana De Angelis, ndr), ieri gli ha telefonato ha dato il numero di cellulare a Emilio e gli ha dato dei consigli su come "avvicinare il Dap" addirittura questo ha fatto!". Qualche aiuto arriverebbe anche da fuori Roma. Gianluigi: "Questa di Sulmona, la direttrice, una volta a settimana viene qua, io con Germanella la sento spesso viene una volta a settimana qua e quando viene qua parla con la Rampazzi". Emanuele: "Perfetto, va bè non…"; Gianluigi: "Ieri, ieri come ti dicevo prima, questa qui di Sulmona ha dato due nomi del Dap da contattare a Emilio (uno dei legali di Macchi, ndr) che vanno contattati per sollecitare la cosa". Manlio Denaro "Sono arrivato fino al Dap" (Il Sole 24 Ore) "Avvicinare il Dap", il Dipartimento amministrazione penitenziaria. Trovare una sponda all'interno dell'Ente attraverso sospetti collegamenti con pubblici ufficiali in carica al carcere di Rebibbia, a Roma. Lo spaccato emerge dall'informativa investigativa della Squadra mobile capitolina, al comando del dirigente Renato Cortese, che ha portato la Procura della Repubblica a chiedere e ottenere l'arresto per i mandanti dell'omicidio di Silvio Fanella, "cassiere" dell'imprenditore Gennaro Mokbel. Un tentativo di sequestro, sfociato in omicidio, avvenuto per impossessarsi del "tesoro" che la vittima aveva accumulato nella vasta truffa "Telecom Italia sparkle". L'altro ieri sono finiti in manette, tra gli altri, Manlio Denaro, la "mente" del tentativo di sequestro, ed Emanuele Macchi. Ed è proprio quest'ultimo a parlare nelle intercettazioni di questo presunto ruolo di funzionari pubblici. Macchi, allora ristretto nel carcere di Rebibbia, dialoga con i fratelli, Gianluigi e Umberto. "Gianluigi - riassumono gli investigatori - domanda a Emanuele cosa devono fare spiegando che questa mattina loro sono andati a parlare con la Rampazzi, la quale li ha ricevuti e gli ha detto che lei sta seguendo la situazione di Emanuele ma non può fare niente per portarlo nel suo reparto questo glielo ha ribadito per l'ennesima volta perché è transitante (a Rebibbia), Emanuele risponde che non può rimanere nel circuito comune perché altrimenti può perdere i benefici del centro clinico, quindi la Rampazzi deve dire a queste persone che lui deve tornare su perché sta male e deve dirgli che devono trasportarlo con l'ambulanza e l'aereo perché non può andare con "il carrettone" (blindato)". Infine, "Gianluigi afferma che "la Rampazzi è sollecitata, è sensibile, è sollecitata pure da quell'altra amica di Germanella, ieri gli ha telefonato ha dato il numero di cellulare a Emilio e gli ha dato dei consigli su come avvicinare il Dap addirittura questo ha fatto!". Roma: la Caritas; nessuno ascoltò le nostre denunce contro le Cooperative senza scrupoli di Orazio La Rocca La Repubblica, 21 dicembre 2014 Il direttore della Caritas: "I poveri hanno subito gravi violazioni". Anche Papa Francesco domani sarà vicino ai romani che pregheranno per liberare Roma da mafiosi e malavita Un cambiamento a cui la Chiesa dovrà contribuire con più determinazione rispetto al passato". L'appuntamento - presente il cardinale vicario Agostino Vallini - è alle 19 nella basilica di Santa Maria Maggiore. E la Caritas diocesana - l'ente caritativo della Diocesi - sarà in prima fila col direttore, monsignor Enrico Feroci, che sulle inchieste in corso ricorda con rammarico che "la Caritas più volte aveva segnalato storture e operazioni poco chiare nella gestione delle emergenze sociali, ma non siamo stati ascoltati". Monsignor Feroci, le preghiere possono veramente fermare mafia e malaffare? "Per chi ha fede è imprescindibile invocare il Signore. In un contesto in cui gli "ultimi" della nostra città - poveri, rifugiati, rom, minori non accompagnati ed ex detenuti - sono le prime vittime di una crisi etica e morale, è importante che si elevi alla Vergine Maria la preghiera di tutti i romani". Le istituzioni laiche (Campidoglio, Provincia, Regione) avrebbero dovuto vigilare di più. Ma la Chiesa cosa ha fatto per prevenire gli scandali di questi giorni? "A Roma sono anni che non si programma, che non si fanno politiche sociali, che le istituzioni non dialogano tra loro, che i partiti sono dominati da gruppi di potere. Non c'è programmazione: si parla solo di "emergenza profughi", "emergenza rifiuti", "emergenza criminalità". Quando le politiche lasciano il passo a queste situazioni, con decisioni frettolose, deroghe e scorciatoie, il malaffare trova spazio e interessi La Chiesa ha denunciato questo stato di cose per anni. Ma ogni cristiano deve impegnarsi di più per arginare il mai affare". La Caritas non si è mai accorta che tra alcune cooperative ed esponenti della malavita potevano nascere strane "alleanze"? "Non conoscevamo nel dettaglio quanto emerso, le tangenti e nemmeno l'appartenenza di alcuni personaggi alla malavita organizzata. Certamente conoscevamo la gestione dell'accoglienza fatta in alcuni centri e più volte l'abbiamo denunciata. L'ultima il giorno della "rivolta" di Tor Sapienza, quando in un comunicato parlavamo di "cooperative senza scrupoli che poco hanno a cuore la sorte delle persone che gli sono affidate". Per altri episodi abbiamo espresso perplessità, non comprendendo le scelte politiche e denunciando le gravi violazioni subite dai poveri: alcune modalità di accoglienza per immigrati e senza dimora, lo sgombero del campo rom a Tor de Cenci e la gestione di alcuni campi previsti dal Piano nomadi della passata amministrazione". La Cooperativa 29 Giugno era nata per dare lavoro a ex detenuti. Ma ora è nella bufera. "Alla costituzione di questa cooperativa ha contribuito anche il fondatore della Caritas, don Luigi Di Liegro, insieme a molti uomini di cultura e della politica. Sono sicuro che in essa ancora vi sono tante oneste persone che grazie a questo lavoro si sono reinserite nella società. Domani pregheremo anche per loro. Assistere un rifugiato o un rom non è un business se fatto con etica e onestà". Potenza: i detenuti protestano, stoviglie contro le sbarre e sciopero della fame www.nuovadelsud.it, 21 dicembre 2014 Animi accesi nella casa circondariale di Potenza. Il segretario regionale dell'Ugl Penitenziaria Messina ha reso noto che presso la struttura penitenziaria del capoluogo di regione, si è innescata una protesta da parte dei detenuti. Stoviglie contro le inferriate e rifiuto del vitto. "Non sono tutti i detenuti ad aver aderito a tale protesta -spiega Messina. Ultimamente sono stati assegnati diversi detenuti a questa struttura, tra cui alcuni molto turbolenti e che già in altre sedi sembra abbiano create difficoltà. Siamo in grosse difficoltà - continua - per la forte carenza di personale, l'amministrazione nella protesta di giugno aveva assunto degli impegni che non ha mantenuto. Auspichiamo che almeno che almeno adesso sappia intervenire a risolvere le problematiche a tutela del personale che e già stremato". E lunedì il consiglio regionale discute la proposta di alcuni consiglieri che riprende l'iniziativa non violenta dei Radicali per la giustizia e la dignità dei carcerati e delle carceri. Oristano: minacce di morte al direttore del carcere, è sotto tutela da due settimane L'Unione Sarda, 21 dicembre 2014 "Tutto normale, tutto normale. Non sono certo preoccupato. Poi perché dovrei, a Nuoro negli anni 90 era molto peggio. Guardi gli archivi". Pierluigi Farci direttore del carcere di Massama, finito sotto tutela su decisione della Prefettura dopo le minacce di un boss, sembra, ma sembra solo, non farci caso. "Sono abituato - dice - anche queste erano solo delle minacce ordinarie. Capitano sempre al direttore di un carcere". Classe 1955, di Quartu Sant'Elena, da una trentina d'anni direttore degli istituti di pena in giro per la Sardegna, conosciuto per i metodi duri soprattutto con chi confonde la galera con una camera d'albergo; Pierluigi Farci sembra più preoccupato dei turni del dentista all'interno della struttura carceraria che delle minacce ricevute: "Abbiamo migliorato la qualità del servizio sanitario" sottolinea. Ma poi è costretto a ritornare sulla sua sicurezza: "Quando ero a Nuoro, quella sì che era trincea. Cerchi negli archivi". E dal passato spunta un lancia missile di fabbricazione slava pronto all'uso contro l'allora direttore del carcere di Badu e Carros: "Mi chiamò il prefetto e mi disse: dove vuole essere trasferito? Quel lancia missile era per lei". Così qualche minaccia sparata dal boss di turno ha il peso che merita: "Che vuole che dica. È normale per un direttore di un carcere. Oggi abbiamo trecento detenuti, di questi una cinquantina comuni, se comuni sono gli autori di un omicidio, e 250 circa considerati ad alta sorveglianza. Però la situazione rispetto a qualche mese fa è migliorata. Siamo riusciti ad attivare cinque corsi scolastici e anche sul fronte organico la situazione dovrebbe rientrare nella normalità dopo la chiusura di Macomer". Però quelle minacce qualcuno le ha prese sul serio: "Certo, capisco, non provengono da gente qualsiasi. Però ripeto, oggi a Massama la situazione è abbastanza normale, l'indice di sovraffollamento è nettamente inferiore a qualsiasi altro carcere italiano, quindi sono sicuro che le cose rimarranno così come sono: tranquille". Pierluigi Farci da due settimane è stato inserito in un programma di tutela che prevede il controllo da parte delle forze dell'ordine dell'abitazione e dei luoghi da lui frequentati. Un'attenzione particolare che a Oristano non è riservata solo a lui: sono una decina le persone coinvolte in piani di protezione di diversi livelli di sicurezza. Milano: a Bollate "la Sapienza" di Silvia non è più in tavola di Nando Dalla Chiesa Il Fatto Quotidiano, 21 dicembre 2014 La Silvia, così la chiamano i detenuti, ha la testa fissa sul piatto. A mangiare non ci riesce. Sta preparando un Natale allegro per i nipotini. Il suo sarà altra cosa: magone, incredulità, rabbia. E il filo di speranza di chi non vuole arrendersi. Pessime notizie in arrivo dall'amministrazione delle carceri. Si sbaracca. Tutto finito. Bollate, Ivrea, Padova, Rebibbia, Trani, Siracusa, Ragusa, Torino: le cooperative di cucina e catering dei detenuti chiudono. Che altra espressione aveva la Silvia nell'aprile del 2010 quando entrò per la prima volta in queste "Storie italiane". Che orgoglio le si disegnava sul volto quando parlava dei "miei detenuti", che portava come gioielli, eleganti e professionali, a fare catering nei luoghi delle istituzioni, perfino nel Palazzo di giustizia; quando raccontava dei camerieri che servivano l'aperitivo al giudice che li avevano condannati. In tutta Milano si parlava di quel miracolo. "Abc la sapienza in tavola" si chiama la Cooperativa che Silvia Polleri, una vita nel volontariato, ha fondato dieci anni fa a Bollate con l'appoggio dell'allora direttrice Lucia Castellano, che lavorava con successo in un carcere d'avanguardia. "Come dipendenti della cooperativa, solo detenuti. È Stata un'occasione formidabile di reinserimento e di costruzione di mestieri e professioni", ricorda, "pizzaioli, pasticcieri, cuochi, camerieri, gastronomi. Come è possibile che finisca tutto? Qui e nelle altre carceri?". Brucia l'umiliazione di chi ha lavorato per una giusta causa e si sente dare il benservito; ma brucia soprattutto l'assurdità di una decisione che, mentre tutti si stracciano le vesti per le condizioni carcerarie, toglie ai detenuti una simile opportunità di riscatto. Ed ecco il motivo. "L'amministrazione penitenziaria ha spedito una lettera al direttore in cui si comunica che dal 31 dicembre per le nostre cooperative non ci sarà più spazio. Noi abbiamo in comodato d'uso i locali di cucina del carcere, ci paghiamo le utenze e serviamo i pasti ai detenuti. Poi gestiamo autonomamente le richieste che ci arrivano dall'esterno. Ora ci si dice che i fondi con cui siamo stati pagati, quelli della cosiddetta Cassa delle Ammende, non sono più disponibili. Erano riservati alle start-up carcerarie, e noi non lo siamo più perché ormai ci siamo consolidati. Capito? E ci viene spiegato che non esiste un capitolo di bilancio per le nostre spese. Così si vuole tornare al sistema antico delle mercedi, ossia ai lavori in economia, ai detenuti che a turno svolgono attività di interesse collettivo. Ma questo non è un percorso di reinserimento, così nessuno si fa un mestiere. Ma lei lo sa che tra i detenuti che fanno esperienza di lavoro in imprese e cooperative sociali la recidiva è del 12 per cento invece del 70? Senta qua: noi a Bollate allestiamo all'esterno catering e banqueting di alto profilo per aziende, privati e istituzioni, ed è nata perfino una sezione staccata della scuola alberghiera, con diploma quinquennale. Ma poi, per dire, a Padova la cooperativa Giotto produce panettoni di alta qualità, a Trani fanno i taralli, a Ragusa i torroni, a Ivrea i biscotti della Banda Bassotti. Diventano professionisti della ristorazione, imparano a utilizzare e mantenere i macchinari di un centro cottura". Non si dà pace, la Silvia. Solo per le start-up… come dire che ai detenuti che sono riusciti a fare una cosa buona e giusta gli si dice tutti in cella… non c'è un capitolo di spesa… e che ci vuole a prevederlo? Telefona, si informa, non ci crede che possa finire tutto così, che per le carceri italiane si chiuda una delle poche cose buone fatte in decenni di sovraffollamenti, suicidi e anche omicidi. Racconta di quando accusarono la sua cooperativa di costare troppo e poi facendo i conti con altre sezioni di Bollate si scoprì che faceva risparmiare. Che colpa aveva mai "Abc la sapienza in tavola" agli occhi di qualche burocrate lontano? A questo punto prende però direttamente la parola il sottoscritto, a sua volta incredulo, e che qualcosa di pubblici appalti ha imparato a masticare, studiando di corruzione e di infiltrazioni mafiose. Siamo sicuri che la chiusura (anziché la moltiplicazione) di queste esperienze non sarà entro un paio d'anni l'anticamera di qualche appalto al massimo ribasso, il tappeto rosso per uno dei tanti Buzzi che infestano le nostre contrade? Ora avremo certo belle promesse. Ma siamo sicuri che qualcuno non proporrà di fare gestire il catering direttamente dai fornitori, abolendo così ogni controllo di qualità, o facendo entrare nel carcere le imprese che bussano da fuori, come quella legata alla ‘ndrangheta che aveva puntato diritto sul catering di San Siro? Vedendo quel che accade e sapendo come nascano certe decisioni in invisibili uffici pubblici, e sempre con impeccabili motivazioni, vien da dire: è qui che si vede come si governa un paese; l'intelligenza con cui si previene il malaffare. O no? La Silvia, nel suo candore, queste cose non le pensa. Pensa ai "suoi" detenuti e a una grande esperienza umana e professionale che tira giù la saracinesca. Ma io ci penso. Faccio male? La Spezia: 8 detenuti e i "documenti" di Babbo Natale da donare ai bambini di Valdellora www.cittadellaspezia.com, 21 dicembre 2014 Una favola (molto reale) natalizia con protagonisti otto ospiti di Villa Andreino che sognano un Natale diverso. Ma servono i permessi. Una leggenda di Natale, non proprio una favola. Ma come nelle favole qualcosa di vero alla fine c'è sempre. Otto detenuti del carcere di Villa Andreino escono nel periodo natalizio per iniziare il progetto di manutenzione dei sentieri alle Cinque Terre. Felici di essere liberi, ma è Natale: tutti fanno acquisti, regali ed è meglio non pensare alla situazione. Ecco che Federica Corsi, gestore del Centro sociale l'Isola Felice, propone loro di inventarsi qualcosa affinché sia anche per loro un buon Natale. "Gli parlo del Villaggio di Santa Claus, ma anche volendo non possono venirci perché hanno un percorso obbligato. Vorreste per Natale mangiarvi insieme un panettone? Fate qualcosa di buono per augurare alle persone Buon Natale allora". I detenuti dicono di voler partecipare all'iniziativa di Santa Claus. "Li incontro di nuovo in un centro commerciale dove possono sostare, impegnati a comprare carta da disegno, matite e pennarelli. Mi dicono che avevano pensato di fare una carta d'identità di Babbo Natale per regalarla a tutti i bambini del parco. Quante ne occorrono? Un centinaio. Effettivamente se Babbo Natale ha preso casa a Valdellora per esistere ed avere la residenza deve avere un documento. "La singolare notizia arriva dalla Spezia, avendo Babbo Natale preso casa presso il Parco Isola Felice. Arrivato il 13 dicembre, nonostante il maltempo, viene accolto da molti bambini nel Villaggio di Santa Claus. Babbo Natale è contento per aver trovato finalmente una casa dove poter riposare. Dinanzi al magnifico presepe in rete costruito dall'artista Monaco Carmine svela i motivi perché ha scelto questo posto: "Libertà, legalità, fratellanza e solidarietà". Passata la notte, il giorno dopo camminando per le vie della città viene fermato dalle forze dell'ordine che gli chiedono di esibire i documenti. Babbo Natale non li ha, anche perché ha sempre volato con la sua slitta e le sue renne nei cieli del mondo. Ma la legge è uguale per tutti ed anche per lui. Senza documenti si è clandestini e quindi non si può dimorare. Il tanto amato vecchietto decide di ritornare a Valdellora per riprendere le sue cose e ripartire. Per strada incontra otto elfi che appena lo vedono lo abbracciano. Babbo Natale riconosce quegli elfi bricconcelli che, non avendogli dato retta, vivono in Villa Andreino. Gli elfi dicono a Babbo Natale di essere cambiati, di aver capito gli sbagli commessi e di voler per questo Natale ritornare ad essere i suoi amati aiutanti. Il vecchietto, guardandoli negli occhi, gli dice: "È Natale perché nel vostro cuore è nato l'amore, il rispetto e la solidarietà. Per forza devo lasciare questa città ma a Voi che mi avete incontrato vi auguro d'essere liberi di volare nei cieli di tutto il mondo per dire alle persone... buon Natale". Gli elfi salutano Babbo Natale ma nelle loro celle pensano e ripensano come poterlo aiutare. "Babbo Natale - dicono - ha bisogno di una carta d'identità", e così per tutta la notte lavorano. Impresa difficile perché essendo cittadino del mondo ha tanti nomi e solo chi è un elfo può sapere dove e quando è nato, connotati, segni particolari, contrassegni salienti... carta, matite, pennarelli e alla fine riescono a creare l'importante documento. Oggi Babbo Natale ha una carta d'identità valida fino alla fine del mondo e per girare ovunque sia in cielo che in terra ma soprattutto ha la possibilità di prendere residenza. Manca qualcosa? La firma del sindaco. Ora vediamo se Massimo Federici deciderà di concedere al tanto amato vecchietto di avere una casa dove poter riposare. Gli otto elfi - pensano in tanti - meritano di poter pranzare insieme a lui nella Villa Santa Claus per l'originalità, creatività, fantasia, solidarietà che hanno dimostrato di possedere. Gli concederà la direttrice Biggi di Villa Andreino una licenzia premio? Certamente, se oggi gli stessi possono reinserirsi in modo positivo è merito suo e di tutta la sua equipe che in silenzio, con fatica e gran coraggio, lavorano affinché le carceri non siano solo e soltanto luoghi per scontare la pena ma per cambiare, offrendo loro la possibilità di svolgere lavori di utilità sociale. Babbo Natale ci conta ma se, non fosse possibile, tutte le offerte raccolte per avere la sua preziosa carta d'identità serviranno per far dire loro: "È Natale e... si rinasce". Continua al parco Isola Felice di Valdellora fino al 6 di gennaio la magia di Santa Claus per grandi e per bambini perché... Babbo Natale esiste davvero". Bologna: un coro per musicisti e detenuti, anche così si ricorda un Maestro di Luca Baccolini La Repubblica, 21 dicembre 2014 "Per come l'ho conosciuto io raccontava ieri don Giovanni Nicolini - Claudio Abbado era uomo di fede, e in un certo senso misteriosamente povero, perché di quella materia suprema che è la musica non pretendeva di possedere nulla, ma si lasciava possedere". Più poveri, senz'altro, sono diventati tutti dopo la sospensione delle attività dell'Orchestra Mozart, la creatura di Abbado che tace ufficialmente ormai da dieci mesi, dopo l'ultimo concerto in Oman, e che verrà riunita in parte, almeno un giorno, per ricordare, tra un mese esatto, il primo anniversario della scomparsa del Maestro ("stiamo organizzando una sorpresa", ha promesso l'assessore Alberto Ronchi). Ma di quello spirito descritto a occhi lucidi da don Nicolini qualcosa s'è salvato. E vive, e soprattutto risuona, nei progetti Papageno e Tamino, che portavano, porteranno, ancora musica dal carcere della Dozza fino al reparto pediatria del Sant'Orsola. La convenzione triennale del Comune (10mila euro al via) consente di rimettere in moto la macchina poderosa, sebbene meno visibile rispetto all'Orchestra, che dal 2011 ha coinvolto 120 detenuti in 426 ore di lezioni, e organizzato 152 incontri in ospedale con più di 2.000 presenze annuali. Staccatisi dall'Accademia Filarmonica, di cui la Mozart era emanazione, i due progetti fanno ora parte dell'Associazione Mozart 2014. Alessandra Abbado, la figlia del Maestro, ne è la presidente: "La mia speranza - annotava lei ieri - è che un giorno ci sia un Tamino in tutti gli ospedali per bambini d'Italia e un Papageno in ogni luogo di detenzione. Speriamo che i ministri ci ascoltino". Qualcosa, in realtà, s'è già mosso: a Bari, dalla collaborazione tra il locale carcere e il Teatro Petruzzelli, è nato un percorso simile al modello Papageno. Ma è Bologna, grazie all'impulso di Abbado, ad esser il riferimento nella divulgazione musicale nei luoghi di detenzione e sofferenza. "Quasi sempre - testimonia la direttrice della casa circondariale Claudia Clementi - si tratta di persone che poco o nulla hanno avuto a che fare con la musica. Gente che addirittura si schermiva, sostenendo di non aver mai cantato. E invece, grazie al maestro Michele Napolitano, ai musicisti della Mozart e ai volontari, è nato un coro polifonico frequentato da 73 uomini e 47 donne". In qualche caso alcuni di loro sono diventati anche compagni, nella vita oltre la cella. "Posso dire - aggiunge don Nicolini - che a vederli cantare insieme, i musicisti e i detenuti, non si riusciva più a distinguere chi fosse l'uno e chi l'altro". Ben si riconosceranno, invece, alcuni volti della Mozart che il 20 gennaio ricorderanno il primo anno senza Abbado. Ovviamente in musica. Bologna: "Un coro in ogni carcere", così il Progetto Papageno sbarca anche a Bari Redattore Sociale, 21 dicembre 2014 È l'auspicio di Alessandra, vedova del maestro Abbado, e presidente dell'Associazione Mozart 2014 che ha firmato una convenzione con il Comune del capoluogo pugliese per dar seguito ai progetti sociali promossi dal marito. Al via anche una raccolta fondi. Annunciata un'iniziativa per il primo anniversario della morte. "Così come in ogni carcere c'è una compagnia teatrale, noi vorremmo che in ogni carcere ci fosse un coro e in ogni ospedale pediatrico un progetto terapeutico musicale". A parlare è Alessandra Abbado, vedova di Claudio Abbado e presidente dell'Associazione Mozart 2014, che dopo la morte del maestro - avvenuta il 20 gennaio 2014 - ha preso in mano i progetti in ambito sociale e terapeutico avviati in precedenza dal marito con l'Orchestra Mozart nella convinzione che la musica fosse un elemento di riscatto nel disagio e il fondamento della convivenza civile tra le persone. Si tratta dei progetti Papageno, che anima il coro polifonico del carcere bolognese della Dozza, e Tamino, che porta la musica ai bambini ricoverati nei reparti di pediatria del Sant'Orsola e a quelli seguiti dal servizio di neuropsichiatria dell'azienda Usl di Bologna). Un primo passo verso quel desiderio di portare un coro in ogni carcere è stato fatto: da un mese, infatti, il progetto Papageno è sbarcato nel carcere di Bari grazie alla collaborazione con il coro del Teatro Petruzzelli. "Un risultato che ci dà speranza", ha detto Alessandra Abbado. Ora l'obiettivo è far sì che i due progetti si diffondano in altre strutture, in altre città. Intanto, grazie a una convenzione sottoscritta dall'associazione Mozart 2014 con il Comune di Bologna, Papageno e Tamino potranno proseguire alla Dozza, al Sant'Orsola e all'Ausl di Bologna. "La musica rende meno difficili le condizioni di chi sta in carcere ed è uno strumento terapeutico in ospedale - ha detto Alberto Ronchi, assessore alla Cultura del Comune di Bologna - Per onorare la memoria di Claudio Abbado, vogliamo costruire progetti come questi in cui la cultura sia un importante momento di crescita per i cittadini, ma anche di intervento nel sociale". Ronchi ha anche annunciato un'iniziativa per il 20 gennaio 2015 - primo anniversario della scomparsa di Abbado, "in uno spirito non eventistico, ma in quello che caratterizzava il maestro". Il progetto Papageno coinvolge i detenuti del carcere della Dozza di Bologna, uomini e donne di ogni età livello sociale e culturale. L'obiettivo? Portare il valore del canto corale all'interno del carcere: l'ascolto reciproco, lo stare insieme, la condivisione sono attitudini richieste e sviluppate da questa pratica, che hanno una forte valenza educativa, formativa della persona e della società. Dal 2011 a oggi sono 120 i detenuti coinvolti: 73 uomini e 47 donne. Attualmente al progetto partecipano 37 detenuti (17 uomini e 20 donne). In totale sono state realizzate 426 ore di attività e 142 incontri di prova (in media all'anno si realizzano 44 incontri per un totale di 132 ore annue). Ogni anno vengono organizzati un saggio interno e un concerto pubblico, due appuntamenti che richiedono la partecipazione di circa 30 volontari dei cori Ad Maiora e Mikrokosmos e la partecipazione di 4/5 musicisti a seconda del programma. "La musica è importantissima per il carcere - ha detto Claudia Clementi, direttrice della Dozza: intanto perché il progetto si concretizza in un coro in cui persone diverse rinunciano alla loro individualità per realizzare qualcosa di comune e non è una cosa frequente per un carcere, poi perché è formato da uomini e donne, e anche questo è poco frequente. E poi perché i partecipanti non sono semplici fruitori di musica, ma sono essi stessi creatori di bellezza". Le prove sono dirette dal direttore Michele Napolitano e si tengono il lunedì mattina, un'ora e mezza nella sezione maschile e un'ora e mezza in quella femminile. Coristi e coriste si incontrano un sabato al mese per organizzare i concerti con la partecipazione di Ad Maiora e Mikrokosmos. "Quando cantano insieme nessuno capisce chi è il carcerato e chi il corista - ha detto don Giovanni Nicolini. Si crea una comunione della diversità in cui ognuno porta la sua voce e alla fine c'è armonia". Firenze: Evasione Totale, un'ora di speranza in musica in Casa circondariale di Sollicciano www.affaritaliani.it, 21 dicembre 2014 Il 12 dicembre alla Casa circondariale di Sollicciano di Firenze si è tenuto il primo appuntamento di "Evasione Totale - un'ora di speranza in musica", un'iniziativa che si pone l'obiettivo di sostenere i detenuti, attraverso la musica ed eventi all'interno delle carceri: "detenuti che anche se hanno commesso dei reati, anche se hanno sbagliato, sono sempre persone per le quali bisogna favorire il reinserimento sociale, offrendo sostegno ed opportunità". Per raggiungere questo obiettivo, appunto, è stata scelta come protagonista la musica, utilizzata come linguaggio universale e occasione per favorire la comunicazione, l'aggregazione e l'integrazione fra tutti gli addetti ai lavori che ruotano attorno ai penitenziari italiani: associazioni, volontari, agenti di polizia penitenziaria ed educatori. A capo dell'iniziativa come detto ci sono il Presidente dell'associazione Apoxiomeno nonché Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, Orazio Anania, un uomo da sempre sensibile all'impegno sociale, e l'Associazione Les (associazione no profit che si occupa di tutte le problematiche relative alla sicurezza). Il Presidente dell'associazione Apoxiomeno ha costruito una squadra che si avvale di una serie di professionisti, cantanti, musicisti, animatori, che da sempre sono vicini al lavoro delle forze dell'ordine e che con i valori della musica intendono offrire una opportunità di svago e socializzazione per i detenuti con lo scopo di sensibilizzare la pubblica opinione su una particolare tematica sociale e umana quale è quella dei diritti dei detenuti. L'immagine e la voce ufficiale del progetto è invece affidata al cantante Hervè Olivetti che con il suo brano "Diavolo di un angelo", attualmente in radio e disponibile negli store digitali, contribuirà concretamente attraverso i relativi proventi all'acquisizione di materiale utile all'attività di formazione dei detenuti finalizzata all'inserimento lavorativo. "È importante, far capire alla società che la persona vale di più di qualsiasi reato commesso e che, offrendo al tempo opportunità e fiducia, è possibile aiutare anche chi dovrà rifarsi la vita e i sogni". Altro nome importante contattato da Orazio Anania, il dj Mitch, speaker, musicista e produttore: Mitch, ex appartenente alle forze dell'ordine ha sposato il progetto dell'associazione Apoxiomeno mettendosi a disposizione per la produzione artistica e per una serie di concerti e di spettacoli che durante il periodo natalizio si svolgeranno all'interno delle carceri. Vista la difficoltà nel riuscire a lavorare con lingue, culture e religioni differenti, un problema che emerge negli Istituti penitenziari a causa delle diverse etnie, Mitch ha inserito nel progetto un suo artista internazionale, il cantante e ballerino cubano Leo Diaz. Roma: arrivano a bordo delle Ferrari rosse i doni per i figli dei detenuti di Rebibbia Adnkronos, 21 dicembre 2014 Sono state 15 le Ferrari messe a disposizione dal club "Passione Rossa", con il logo del Corpo di Polizia Penitenziaria e lo slogan "Noi siamo la Polizia Penitenziaria", ideato per il calendario 2015, che sono partite dalla sede del Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, scortate da motociclisti e da due autovetture con i colori del Corpo. Il corteo di auto ha raggiunto il carcere di Rebibbia, dove sono stati distribuiti i doni acquistati dai soci del Club Ferrari, per i minori che si trovano all'interno della struttura per il colloquio con il genitore detenuto. Nell'occasione, il vicecapo vicario del Dipartimento, Luigi Pagano, ha presentato l'edizione 2015 del Calendario del Corpo di Polizia Penitenziaria. Nuoro: iniziativa solidale, i detenuti Badu e Carros a cena con gli imprenditori Ansa, 21 dicembre 2014 I detenuti del carcere di Badu e Carros hanno incontrato gli imprenditori per una "iniziativa solidale". L'incontro è avvenuto ieri sera a Nuoro al Cesp di Pratosardo per portare a compimento il progetto "Ci sono anch'io: educazione al valore dello sport e della cultura", finanziato dalla Regione e seguito dall'Associazione "Donne al Lavoro" e dalla società sportiva Polisport, in collaborazione con la Lariso (Cooperativa sociale Onlus), la casa Circondariale di Badu e Carros, il Garante dei detenuti Gianfranco Oppo, gli assessorati alla Pubblica Istruzione e ai Servizi Sociali del Comune di Nuoro. Prima i filmati, la recitazione, la poesia e lettura libera, poi un buffet per chiacchierare tutti insieme. "Dietro una cena e un momento di lettura e condivisione si cela un'impresa più nobile - ha detto il garante Gianfranco Oppo - . Per l'occasione abbiamo favorito l'incontro tra nove detenuti, che godono già di permessi, e gli imprenditori locali. L'obiettivo è quello di dare un'opportunità a queste persone che dopo tanti anni di carcere sono cambiate e devono reinserirsi nella società". "Nuoro come vuole la tradizione si è rivelata ancora una volta una città solidale - ha sottolineato Francesca Fenu presidente dell'associazione Donne al Lavoro - a consolidamento del nostro impegno che mira ad avvicinare sempre più i soggetti svantaggiati del carcere, alla nostra città. I detenuti hanno iniziato a esplorare cosa c'è fuori dal carcere e gli imprenditori hanno fatto altrettanto conoscendo loro". Presente alla serata anche il direttore della casa circondariale nuorese Carla Ciavarella. Roma: l'elemosiniere del Papa oggi a Rebibbia per celebrare messa e fare doni a carcerati Ansa, 21 dicembre 2014 Il Papa ha incaricato il suo elemosiniere, mons. Konrad Krajewski di andare oggi nel carcere romano di Rebibbia, per celebrare la messa di Natale e portare in dono da parte del Papa il libretto di preghiere che è stato distribuito domenica scorsa in piazza San Pietro, aperto dalla frase di papa Francesco: "Quando prego, Dio respira in me". Il regolamento carcerario impedisce visite ai carcerati, sia di familiari che di esterni, nel giorno di Natale "perciò - spiega una nota della sala stampa vaticana - questa messa anticipa domenica gli auguri del Papa". A Rebibbia ci sono 2.500 detenuti, di cui 2.100 uomini e 350 donne (con 20 bambini da 0 a 3 anni). Il 38% di essi non sono italiani, molti sono molto poveri, diversi malati, molti non hanno una famiglia che li assista. Nel carcere prestano servizio 6 cappellani, con l'aiuto di 150 volontari. La scorsa Pasqua il Papa aveva incaricato l'elemosiniere di una analoga visita al carcere romano di Regina Coeli e in quella occasione aveva donato ai detenuti una piccolo Vangelo tascabile. Immigrazione: tensione nel Cie di Ponte Galeria, per cambio di gestione della struttura www.fanpage.it, 21 dicembre 2014 Sale la tensione dentro il Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria alle porte di Roma dopo il cambio di gestione della struttura. A denunciarlo dopo una visita nel Centro la consigliera regionale Marta Bonafoni. Sale la tensione nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria alle porte di Roma, che al momento ospita 76 uomini e 22 donne. Il passaggio di gestione dalla cooperativa Auxilium alla società Gepsa avvenuto appena cinque giorni sta creando disagi per i migranti detenuti nel centro: non viene fornito loro sapone e spazzolini da denti, niente abiti puliti e molti sono ancora vestiti con il kit estivo (ciabatte e pantaloncini) nonostante siamo in pieno inverno; le donne lamentano la carenza di assorbenti. Problemi anche con il pocket money, ovvero la piccola cifra che i reclusi hanno a disposizione per le piccole spese come telefonate e sigarette, passato da 3,5 euro al giorno a 2,5. A raccogliere le testimonianze Marta Bonafoni, consigliera regionale eletta nella lista Per il Lazio collegata al governatore Nicola Zingaretti, che ieri si è recata in visita nel Cie romano. Il rischio è che la tensione e l'esasperazione crescente porti a nuovi episodi di rivolta o a gesti eclatanti, come quando nel dicembre dello scorso anno 13 migranti si cucirono la bocca. Per Bonafoni il problema è che la gara vinta dalla Gepsa è stata vinta c0n una corsa al ribasso: "l personale è passato dalle 67 unità di prima alle circa 35 di adesso, con turni di copresenza diurni di 7 persone, che scendono a 3 la notte. E tutto non per inadempienze della Gepsa, ma rispettando il capitolato della gara bandita dalla Prefettura di Roma. Proprio il tema della qualità e della trasparenza delle gare per gli appalti delle strutture per migranti e rifugiati è saltato all'attenzione della cronaca con l'inchiesta Mafia Capitale: un elemento in più per farci dire oggi che su queste materie va ripensata completamente la politica nazionale". Proprio per questo Bonafoni ha chiesto al presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti di inoltrare formalmente una richiesta di chiarezza e informazione al Viminale. India: caso marò, New Delhi "valuta" una proposta italiana di Matteo Miavaldi Il Manifesto, 21 dicembre 2014 La ministra Swaraj ammette l'esistenza di un documento italiano. Ma è presto per poter parlare di un'apertura che sblocchi la situazione. Mercoledì 18 dicembre la ministra degli Esteri indiana Sushma Swaraj ha risposto per iscritto a un'interrogazione parlamentare avanzata da M.P. Achuthan - deputato del Kerala in forze al Partito comunista indiano (Marxista) eletto a rappresentare lo stato meridionale indiano alla Rajya Sabha, la Camera Alta del parlamento indiano - relativa al caso dei due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Achuthan chiedeva se corrispondesse al vero l'indiscrezione che il governo italiano avesse "cercato una soluzione consensuale relativa al caso dei due marines italiani accusati dell'omicidio di due pescatori (Ajesh Binki e Valentine Jelastine, ndr) al largo delle coste del Kerala nel 2012" e, in caso di risposta affermativa, quale fosse stata la reazione del governo centrale. Swaraj, in una stringatissima risposta, ha confermato l'esistenza di questa proposta italiana che, al momento, è al vaglio del governo, mentre tutto il caso è "sub judice dell'Onorevole Suprema Corte indiana". La notizia, battuta e arrivata solo in Italia - introvabile sui media indiani, il che dà la misura dell'apprensione locale rispetto al caso Enrica Lexie - ha rinnovato la speranza in un dialogo sull'asse Roma - New Delhi ancora in corso, nonostante lo stop della Corte suprema a un prolungamento della degenza di Latorre in Italia e al ritorno a casa di Salvatore Girone per le vacanze natalizie. Nei mesi scorsi l'esistenza di una proposta indirizzata al governo indiano era stata indicata a mezza voce anche dalla stampa italiana, seguita da un'esclusiva del quotidiano indiano Economic Times. Ora sappiamo oltre ogni lecito dubbio che sul tavolo del primo ministro Narendra Modi c'è una proposta di via d'uscita avanzata dall'Italia: un documento del quale non si conoscono i contenuti, ma che il governo indiano "sta valutando". Nel burocratese asettico della politica indiana è importante pesare molto bene le parole. E Swaraj, al momento uno dei ministri degli Esteri meno influenti nella storia dell'India indipendente, in poche righe ha comunque confermato la posizione espressa già qualche mese fa da New Delhi: al di là di ogni dialogo o proposta proveniente dall'Italia, la conclusione della vicenda Enrica Lexie è prima di tutto subordinata al giudizio della Corte suprema. È una questione legale e come tale, ci tiene a chiarire New Delhi, sarà gestita. Un pò poco per parlare di "apertura all'Italia". Da quando nel gennaio del 2013 il faldone delle indagini sulla morte di Binki e Jelastine - colpiti, secondo il rapporto della scientifica indiana, da colpi esplosi da fucili a bordo della petroliera italiana - è passato dalla Corte del Kerala a quella federale a New Delhi, l'impressione è che lo spazio di manovra per la diplomazia sia andato via via restringendosi, facendo sprofondare il procedimento penale nelle sabbie mobili di continui rinvii ora cercati dalla difesa italiana, ora banalmente fisiologici nella farraginosa macchina burocratica indiana. Al silenzio della politica e della stampa indiana si aggiunge quello della comunità internazionale, eccezion fatta per la ministra degli Esteri Ue Federica Mogherini che, per ovvi motivi, ha alzato i toni minacciando ripercussioni sui rapporti tra Europa e India. Roma, al momento, pare piuttosto isolata nel braccio di ferro con New Delhi, e la pressione interna sull'esecutivo guidato da Matteo Renzi inizia a farsi sentire. Il neo ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, aumentando i dubbi circa l'efficacia di questa "nuova fase" diplomatica, due giorni fa in un'intervista esclusiva rilasciata a Rainews24 ha ammesso che i risultati portati dai contatti politici tra Italia e India sul caso marò sono "pessimi". Sbloccare l'impasse in Corte suprema sembra sia l'unica via percorribile, se si vuole ancora insistere sulla strada del dialogo. Altrimenti, rimane la carta dell'arbitrato internazionale, che con le sue tempistiche dilatate e l'incertezza di un esito favorevole all'Italia, rischia solo di allontanare ancora di più la fine delle "ostilità" tra India e Italia. Stati Uniti: lavori forzati, il sogno di Report (e l'incubo dei detenuti) qui è già realtà di Giuseppe Caputo (ricercatore all'Università di Firenze e membro dell'Altro diritto) Il Garantista, 21 dicembre 2014 viaggio dell'orrore all'interno della Louisiana State Prison. Varcare il cancello della Louisiana State Prìson è come fare un salto indietro nel tempo di circa un secolo. Accompagnato in visita dal personale della prigione ho attraversato buona parte dei 18.000 acri sui quali sono distribuiti i blocchi detentivi, immersi tra campi di cotone ed edifici adibiti alle lavorazioni. Tragica la storia di questa prigione di massima sicurezza che ospita oltre 6.000 detenuti, in gran parte neri condannati all'ergastolo e, in 80 casi, in attesa dell'esecuzione capitale. Costruita su campi di cotone acquisiti dallo Stato della Louisiana all'inizio del secolo passato, dove lavoravano schiavi provenienti in gran parte dallo stato africano Angola, la prigione (cinicamente denominata Angola) perpetua la pratica schiavista come se la schiavitù non fosse mai stata abrogata, come se le leggi sulla segregazione razziale fossero ancora vigenti: ho visto centinaia di uomini neri lavorare nei campi di cotone, per una manciata di spiccioli e per un rancio, controllati da uomini bianchi armati a cavallo. La prigione di Angola è una colonia penale agricola che produce ogni anno circa 2.000 tonnellate di prodotti per il Department of Corrections. Il lavoro cui sono obbligati i detenuti non ha alcun fine risocializzante, perlomeno non può averne per quella buona parte di ergastolani che finiranno i loro giorni in prigione, e non fa acquisire ai detenuti alcuna particolare competenza, trattandosi di lavori di bassa manovalanza. Il lavoro serve solo a impiegare il tempo, altrimenti vuoto, di migliaia di uomini condannati a morire in carcere e a contenerne la rabbia e la frustrazione. Quello di Angola è un esempio di prigione particolarmente crudele, retaggio di una cultura ottocentesca che considera i condannati come schiavi. Ma molte delle prigioni statunitensi, seppur in forma meno estrema, si basano su un analogo modello neo-schiavista. Ma come si giustificano oggi forme di servitù penale che di fatto perpetuano pratiche per la cui abolizione è stata fatta una guerra civile? L'argomento più diffuso è di natura economica ed è strettamente legato alle politiche di lotta alla criminalità adottate a partire dall'inizio degli anni 80. I governi repubblicani, prima, e quelli democratici poi, con una mano hanno tagliato i programmi sociali destinati alle fasce più povere della popolazione e lasciato in una drammatica condizione di povertà la minoranza nera che ancora non aveva superato gli effetti devastanti di 75 anni di segregazione razziale. Con l'altra mano, a suon di slogan populisti - "tough on crime" e "war on drug" - hanno adottato politiche repressive che hanno riempito le prigioni. Il risultato di queste politiche è stato devastante: nel giro di 20 anni le galere si sono riempite di cittadini neri (circa 1 nero su 3 è in carcere), la popolazione detenuta è quadruplicata e la spesa per il mantenimento del sistema carcere è cresciuta vertiginosamente. Gli Usa detengono il primato mondiale del numero assoluto di detenuti (sono 2.3 milioni) ed anche di quello relativo (1 americano su 130 è in carcere). Questi numeri imponenti comportano un costo enorme per ì bilanci del governo federale e di quelli statali: complessivamente si spende per il sistema penitenziario la cifra di 74 miliardi di dollari l'anno, una cifra da sola superiore all'intera finanziaria dell'Italia del 2013, e si impiegano circa 800.000 persone per la sua gestione. Arriviamo così al nodo cruciale del problema: dove si prendono i soldi per mantenere questo sistema? Di certo per i politici anti-tax e anti-spending la soluzione non poteva essere quella di farli pagare ai cittadini americani oppure di fare un passo indietro e rivedere le politiche sociali in favore delle minoranze. Ed è così che si è progressivamente affermata l'idea che a pagare il conto dovessero essere gli stessi detenuti. Ma come se sono poveri e disoccupati? Lavorando gratis, è stata la risposta. Secondo i sostenitori dì questo sistema il lavoro dei detenuti avrebbe dovuto portare ad una crescita della produttività dell'intera economia. Ai detenuti possono essere dati lavori per la produzione di beni normalmente importati o prodotti in loco da lavoratori immigrati, che richiedono scarsa qualificazione e che sono poco attraenti per il lavoratore americano medio, che ambisce a lavori qualificati e meglio pagati. Infine, si diceva, i detenuti che lavorano in carcere una volta usciti commetteranno meno reati: più lavoro meno recidiva. I lavori forzati non solo sono contrari al diritto internazionale del lavoro, come ho avuto modo di spiegare alcune settimane fa su questo giornale, ma di recente sta iniziando a maturare la consapevolezza che non riducono la recidiva e non producono i benefìci economici sperati. Una delle critiche più diffuse è che se ai detenuti si riservano lavori scarsamente qualificati che non hanno mercato nel mondo libero, allora il lavoro detentivo non aiuta in alcun modo il reinserimento sociale e non previene la ricaduta nel crimine. Numerosi studi stanno confermando che il tasso di recidiva degli ex detenuti che hanno lavorato in carcere non è affatto dissimile da quello dei detenuti che non hanno lavorato. Inoltre, molte imprese preferiscono assumere ergastolani per evitare di dover continuare ad impiegare i detenuti lavoranti una volta finita la pena. Ma il dato forse più decisivo nel sancire l'inefficienza dei lavori forzati made in Usa è il fatto che hanno aumentato i costi a carico del pubblico invece di diminuirli. L'amministrazione per attrarre i privati ad investire nel penitenziario consente loro di gestire direttamente alcune prigioni e/o di assumere i detenuti con paghe da fame. I privati fanno così affari d'oro anche perché la gran parte dei costi (quali quelli di mantenimento dei detenuti e di sicurezza) sono sostenuti dal pubblico. Questo sistema nel giro di pochi anni ha prodotto un forma di corporate welfare, finanziato con soldi pubblici, che sta arricchendo le imprese del settore penitenziario senza vantaggi reali per la collettività. Un business da 1 miliardo di dollari l'anno, secondo una recente indagine del Seattle Times. Si è passati così da un sistema in cui la lotta alla povertà si faceva investendo i soldi pubblici nel welfare assistenziale ad un sistema in cui (con i soldi risparmiati dai tagli ai programmi sociali) si investe nel welfare penitenziario, che si sta dimostrando essere un pozzo senza fondo. Si sono sostituiti i buoni pasto con le manette, l'istruzione con la prigione. E ci si rimette. L'indagine del Seattle Times condotta nello stato di Washington ha mostrato che il sistema industriale delle prigioni dello Stato è tutt'altro che produttivo, dal momento che è costato ad oggi circa 20 milioni di dollari alla collettività e impiega soli 1.600 detenuti (appena il 10% del totale). Dallo studio sono emerse pratiche inflattive e monopoliste finalizzate a mungere dalle casse pubbliche grandi quantitativi dì danaro. È così venuto a galla che mentre è consentito foraggiare le lobby del penitenziario, paradossalmente esiste ancora una legge del 1995 che vieta di usare soldi pubblici per finanziare l'istruzione superiore dei detenuti, che devono quindi rimanere ignoranti e disposti a fare lavori umili per i quali nessuno mai li assumerà fuori. Ad analoghe conclusioni stanno giungendo altre indagini condotte in Nevada, Texas, Arkansas e Pennsylvania, mentre a livello nazione è emerso che l'industria penitenziaria, nonostante il miliardo di dollari di fatturato, dà lavoro ad appena il 3% dei detenuti. Il caso di Washington mostra tutta l'assurdità delle politiche pubbliche statunitensi che allo stesso tempo con la scusa dei costi eccessivi, tagliano programmi sociali, di istruzione e di contrasta alla povertà, e per riparare al conseguente aumento della povertà e della marginalità sociale finiscono per spendere miliardi per un sistema dì controllo penitenziario che non fa altro che generare nuova criminalità e marginalità sociale. Medio Oriente: la Pastorale delle Carceri in Israele incontra il Patriarca Twal www.agensir.it, 21 dicembre 2014 Sei diverse prigioni israeliane visitate (Nitzan, Neye Tirzah, Ayalon, Deqel, Elah e Eshel), 54 prigionieri cristiani (la maggior parte cattolici) incontrati, la Messa celebrata due volte durante l'anno (a Pasqua e a Natale) in quasi tutti gli istituti di pena. È questo il bilancio del 2014 stilato dai membri del Comitato della pastorale delle carceri e presentato ieri al Patriarca Latino di Gerusalemme, Fouad Twal, nel corso di una visita per gli auguri natalizi. Il comitato, guidato dal suo responsabile, padre David Neuhaus, ha tracciato un quadro dei prigionieri detenuti nelle carceri d'Israele, tra questi i più numerosi sono gli eritrei e i latinoamericani, ma ci sono anche molte altre nazionalità, tutti condannati per attività criminali (che vanno dall'omicidio al traffico di droga). A costoro i sacerdoti e le suore non offrono solo il ministero sacramentale ma anche consulenza spirituale e sostegno morale. Stati Uniti: rimpatriati in Afghanistan quattro detenuti a Guantánamo da oltre dieci anni Ansa, 21 dicembre 2014 Quattro detenuti afghani di Guantánamo sono stati rispediti in patria. Lo ha reso noto il Pentagono che ha anche diffuso i nomi dei rilasciati dopo oltre 11 anni detenzione nel super carcere aperto nel 2002 sull'isola di Cuba. Si tratta di: Shawali Khan (detenuto dal 2002), Khi Ali Gul (dal 2003), Abdul Ghani (dal 2003) e Mohammed Zahir (dal 2003). Una volta rientrati in patria, sottolineano fonti Usa, i quattro non dovrebbero essere tenuti in stato di detenzione dalle autorità afghane. Con il nuovo gruppetto di detenuti scarcerati, scende a 132 il numero dei prigionieri, otto dei quali afghani, che si trovano ancora nel super carcere istituito da George Bush nel 2002 nella base militare americana a Cuba e che Barack Obama ha promesso di chiudere. I quattro sono stati liberati dopo "un esame approfondito" dei loro casi, si legge in un comunicato. Funzionari Usa sostengono che il trasferimento dal centro di detenzione è un segno di fiducia nel nuovo presidente afgano Ashraf Ghani. La decisione viene considerata una sorta di riconciliazione e indizio di un miglioramento nei rapporti fra i due paesi.