Giustizia: se c'è la corruzione ecco subito un bel "pacchetto" di norme-spot di Domenico Ciruzzi (Vicepresidente Unione Camere penali) La Repubblica, 17 dicembre 2014 La vicenda giudiziaria che ha visto coinvolti vari esponenti delle politica romana ha dato la stura per un nuovo annuncio-choc del presidente del Consiglio Matteo Renzi: la proposta governativa di innalzare a sei anni la pena minima prevista per il reato di corruzione. Ci risiamo. Ogni qualvolta la cronaca pone in evidenza presunte emergenze (in tal caso malaffare politico, ma in passato vanno ricordate l'immigrazione, la droga, il dissenso sociale, finanche gli incidenti stradali) la politica risponde con un'unica ricetta: aumentare le pene, comprimere le garanzie degli inquisiti, ridurre la complessità dei problemi a questione di ordine pubblico, di carcere, di pena. Una donna viene stuprata a Roma? Ecco che immediatamente si promulga un decreto (manifestamente incostituzionale come poi sancirà il Giudice delle Leggi) che impone al giudice di applicare esclusivamente la custodia cautelare in carcere ai presunti stupratori. La Corte di Cassazione dichiara la prescrizione di un reato ambientale (caso Eternit), che peraltro era già prescritto sin dalla fase delle indagini preliminari o quantomeno sin dal giudizio di primo grado? La politica finge stupore, sconcerto, e si affretta ad annunziare che si procederà ad allungare i termini prescrizionali. I media creano il "panico" da immigrazione? La politica risponde con il reato di immigrazione clandestina, vero "capolavoro" di sconcertante cinismo e insipienza giuridica. Un ragazzo muore il sabato sera investito da un pirata della strada? È bello e pronto il delitto di omicidio stradale che svuota di ogni significato la millenaria distinzione tra dolo e colpa. C'è psicosi da furti sugli autobus? Nessun problema, si vara un nuovo "pacchetto sicurezza" (provvedimenti-manifesto, sin dal nome, del modo di intendere lo strumento penale da parte della politica) che prevede un'aggravante, che raddoppia la pena, nel caso in cui il furto sia commesso all'interno di mezzi pubblici di trasporto (sic!). Di esempi se ne potrebbero fare a centinaia. Un simile modo di procedere si traduce evidentemente in una politica a colpi di spot, di messaggi semplificati e demagogici che, inidonei a risolvere i gravi problemi sottesi, mirano esclusivamente a placare la legittima ansia di sicurezza proveniente dai cittadini. Sul punto occorre, tuttavia, evidenziare che le rapide, ma sempre fuorvianti, scorciatoie dell'immediato consenso, inducono i soggetti della politica ad avallare la confusione sempre più diffusa nei cittadini tra la legittima esigenza di sicurezza e l'invocazione di interventi meramente repressivi, corredati dalla richiesta congiunta di depauperare le garanzie dell'inquisito, senza che tali operazioni posseggano un minimo di efficacia tanto in termini di repressione che di prevenzione dei fenomeni criminosi di volta in volta presi di mira. È opportuno allora ancora una volta ribadire che il binomio sicurezza-repressione è uno slogan destinato a produrre consensi immediati ma nessun risultato concreto, se non in termini esclusivamente peggiorativi. La politica, poiché non riesce a dare attuazione alla seconda parte dell'art. 3 della Costituzione, ovverosia non è in grado di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona, occulta tale gravissima inadempienza facendo ricorso in maniera assolutamente impropria al diritto penale. In tal modo placa, in maniera effimera, la legittima esigenza di sicurezza del cittadino promulgando, per ogni evento sociale che la stessa politica non riesce a soddisfare, mistificanti fattispecie penali e aggravamenti di pena nonché disposizioni processuali eccezionali eludendo peraltro, in tal modo, la necessità che in uno Stato democratico vi sia un diritto penale minimo e un unico processo valido per tutti i cittadini. Una politica-spot che, inoltre, risulta ammantata da un'insopportabile coltre di cinismo strumentale. Chiarissimo è, invero, il sotto testo di tali provvedimenti-spot emanati da tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni: i problemi di sicurezza non dipendono da chi è attualmente al governo. I problemi sono stati creati o non risolti da chi c'era prima. Io/Noi siamo diversi, siamo il Nuovo e vedrete che, in brevissimo tempo, placheremo le vostre paure e le vostre insicurezze. Rispetto, poi, all'inchiesta romana la necessità di procedere di impulso a un innalzamento delle pene per le ipotesi corruttive ha anche un'altra evidente finalità: tirarsi fuori dall'ondata di giusta indignazione che proviene dall'opinione pubblica. Veicolare, in altri termini, il messaggio - falso, come purtroppo la storia insegna - che la corruzione, il malaffare, non siano problemi complessi che la politica in primis deve risolvere con lungimiranti ed effettivi strumenti di prevenzione, ma problemi che riguardano esclusivamente i singoli soggetti o le amministrazioni che, di volta in volta, vengono coinvolte da inchieste giudiziarie (oggi Roma, ieri Milano, l'altro ieri Napoli, domani chissà). Tutto ciò significa demandare, volenti o nolenti, alla sola magistratura il ruolo di risolvere i problemi, attribuirle un ruolo di supplenza, salvo poi - quando l'onda d'urto si sarà placata - lamentarsi con finto stupore degli sconfinamenti, oggettivamente esistenti e gravi, del potere giudiziario. Un meccanismo già visto e che tuttavia continua insopportabilmente a ripetersi. Di fronte a un "gioco così scoperto", è necessario che i giuristi, il mondo accademico, gli avvocati e tutti gli operatori del diritto abbiano la forza e l'autorevolezza di indignarsi, smascherando il cinismo e l'inutilità (per i cittadini) di tali provvedimenti mistificanti. Già 250 anni fa Beccaria ammoniva: "Una sorgente di errori e di ingiustizia sono le false idee di utilità che si formano i legislatori. Queste false idee di utilità si chiamano leggi non prevenitrici ma paurose dei delitti, che nascono dalla tumultuosa impressione di alcuni fatti particolari e non dalla ragionata meditazione degli inconvenienti ed avantaggi di un decreto universale". Giustizia: Mafia Capitale; la denuncia dei penalisti "esiste ancora il diritto della difesa?" di Cataldo Intrieri Il Garantista, 17 dicembre 2014 Inchiesta Terra di Mezzo: l'uso strumentale e suggestivo di documenti, risultanze d'indagine, intercettazioni, il preannuncio di ulteriori operazioni, tendono a determinare un esito anticipato del procedimento basato sulla reazione emotiva e non sulla valutazione processuale. Questo comporta una alterazione del principio di parità delle parti con conseguente inquinamento dell'ambiente processuale. L'avvocatura penale, forte delle proprie battaglie, non si stanca di ricordare a tutti che il rispetto dei diritti e delle garanzie costituzionalmente previste deve essere la sola guida per esercitare l'attività giurisdizionale in un paese democratico. E questo è un profilo che riguarda tutti i processi e tutte le indagini come su dì un altro versante la vicenda di Ragusa dimostra. Questa sperequazione informativa si risolve in una alterazione del principio di parità delle parti con conseguente inquinamento dell'ambiente processuale. Costituisce un fenomeno divenuto nel tempo una modalità d'indagine. L'operazione Terra di Mezzo sicuramente ne costituisce una delle esemplificazioni più sofisticate e spettacolari: al di là delle risultanze dì prova che qui non interessano, è il riflesso sui principi costituzionali del giusto processo che deve preoccupare ed essere respinto. "I tempi cambiano, le emergenze si moltiplicano ed incidono sostanzialmente nel modo di legiferare, di fare le indagini e di esercitare la giurisdizione. L'avvocatura penale, però, è sempre la stessa, forte delle proprie battaglie, combattute ricordando a tutti che il rispetto dei diritti e delle garanzie costituzionalmente previste deve essere la sola guida per esercitare l'attività giurisdizionale in un paese democratico. La Camera Penale dì Roma continuerà a vigilare con tutte le sue forze per contrastare ogni forma strumentale e distorta di esercizio della giurisdizione e di violazione del diritto di difesa. La Camera Penale di Roma ha denunciato già all'indomani della esecuzione della ordinanza di custodia cautelare relativa alla indagine "mafia Capitale", l'illegittima spettacolarizzazione e diffusione dì atti di indagine, la deliberata ricerca di una sponda mediatica tesa a creare consenso popolare, la pilotata fuoriuscita quotidiana di parti di informative di polizia giudiziaria che raggiungono lo scopo della preventiva distruzione della immagine degli indagati, prima - ed a prescindere - dallo sviluppo del processo. Un collegamento tra media ed investigatori che appare scontato, addirittura esaltato dalla stampa, e che in questo procedimento è quanto mai evidente, se è vero che gli "esiti" delle indagini oggi di dominio pubblico erano stati anticipati molti mesi fa da un settimanale e le reazioni degli indagati monitorate dagli inquirenti. Allo stesso modo i circuiti investigativi e gli "ambienti" giudiziari diffondono la notizia di "nuove iniziative", "di clamorosi sviluppi" e - addirittura - di "nuove operazioni" verso questo o quell'ambiente, politico, imprenditoriale, professionale, creando un effetto annuncio che appare in perfetta ed insanabile antitesi con le caratteristiche proprie di una indagine giudiziaria. Come avviene da anni, l'informazione non solo non "controlla" il potere giudiziario, ma se ne fa strumento, ed in cambio utilizza atti che non sarebbero pubblicabili se la magistratura stessa esercitasse quel controllo di legalità, che pubblicamente rivendica, ma che sistematicamente dimentica quando è necessario creare e mantenere consenso attorno ad una indagine. Non importa se la diffusione delle notizie finisce per travolgere anche persone che non sono oggetto dell'accertamento, ovvero che sono citate solo occasionalmente nelle carte. Non importa se gli atti giudiziari approdano sulle pagine dei quotidiani o vengono commentati nei talk show in tempo reale, beninteso solo nelle parti che gli investigatori hanno selezionato. Non importa neppure che le conversazioni registrate, che ovviamente ancora non sono state verificate dai difensori, siano diffuse ad arte senza nessuna reale garanzia di completezza. La verità è che l'azione giudiziaria cerca il consenso per intercettare gli umori della pubblica opinione, soprattutto ora che l'obiettivo dichiarato è quello di "esportare" il modello di indagine sulla criminalità organizzata a qualsiasi altro fenomeno di rilievo penale ed in qualsivoglia contesto; ciò anche a costo di compiere, rivendicandole apertamente negli atti giudiziari, operazioni di ingegneria giuridica, sulle quali poi, e non a caso, si invoca una copertura legislativa ex post con la richiesta di includere, sic et sempliciter, nell'area del doppio binario, anche reati che affondano su realtà criminologi-che e sociali del tutto diverse. L'uso massivo e prolungato delle attività di intercettazione e la loro pervasività, la contestuale applicazione di misure di prevenzione in uno con i provvedimenti di custodia cautelare, persino l'allontanamento degli indagati in custodia cautelare dai luoghi di arresto con la conseguente difficoltà, se non impossibilità, di avere contatti con i difensori, fanno ormai parte di uno schema "facilitato e inquisitorio", più volte sperimentato, in cui l'indebolimento del diritto degli indagati, attraverso la normazione del "sospetto", come per le misure patrimoniali, ovvero l'inversione dell'onere probatorio, come per le esigenze cautelari, diventano un tassello necessario, ineluttabile di fronte alla "emergenza"‘, che non crea nessuna riflessione sulla progressiva estensione di una area di minorata difesa, che a suo tempo era stata giustificata proprio in base alla sua "eccezionalità". Lasciando da parte il merito delle singole vicende giudiziarie, resta il fatto che in questa indagine, come da anni avviene nei distretti dove il doppio binario è la regola, l'esplicazione del mandato difensivo e gli stessi contatti tra clienti ed avvocati sono monitorati e citati nelle informative, i dialoghi telefonici sono ascoltati, i difensori sono identificati nelle relazioni di polizia giudiziaria: tutto ciò non solo nei casi in cui si ipotizza la violazione della legge da parte di qualche avvocato, ma anche quando appare evidente che gli avvocati si limitano ad esplicare il loro mandato! In questa indagine, un avvocato è stato sottoposto a servizio di osservazione - pedinato si sarebbe detto un tempo - benché nulla sul suo conto fosse minimamente ipotizzabile: una iniziativa di gravità inaudita, sulla quale non può calare il silenzio. Tutto ciò avviene perché l'area di riservatezza e di inviolabilità della difesa è ormai, nella prassi, ritenuta inaccettabile, tanto più quando i reati in esame trascendono all'empireo mediatico della "eccezionalità". In questo contesto l'ascolto delle conversazioni difensive sta diventando consuetudine "preventiva" - quanto alle cosiddette intercettazioni casuali che nella stragrande maggioranza dei casi non sono affatto tali - mentre sempre più frequente è il posizionamento di microspie negli studi legali, che dovrebbe essere invece, per definizione, fatto eccezionale proprio per l'ineluttabile captazione di conversazioni coperte dal segreto, che riguardano, inevitabilmente, anche fatti e assistiti dell'avvocato estranei alla indagine. Gli esiti inquisitori di indagini protratte per anni, compendiate in migliaia di atti che solo gli inquirenti possono governare in sede cautelare, sono subito raccolti dalla politica che, per l'ennesima volta, dimostra di non voler "governare" la legalità, pronta come è a licenziare provvedimenti legislativi di segno repressivo solo per accontentare gli umori pubblici, e magari allontanare sospetti di connivenza. Con la scarsa lungimiranza che la classe politica dimostra da decenni, si cede immediatamente alla richiesta di norme repressive, sull'altare di un simbolismo penale, feroce negli effetti contingenti ma di nessuna efficacia deterrente. Dopo aver per mesi dichiarato chiusa la stagione dell'emergenza normativa ovvero innalzato peana sulla necessità di legiferare in maniera strutturale, si viviseziona la riforma della giustizia per estrapolarne, peggiorandole, le norme che possono essere contrabbandate come la efficace risposta alla emergenza che il circuito mediatico giudiziario ha imposto a quello politico. Il che avviene, al solito, senza alcuna considerazione per i dati reali, criminologici e giudiziari, sui quali si vuole legiferare, in tempo reale, senza che nessuno ricordi agli smemorati che ancora non si è asciugato l'inchiostro con il quale i demagoghi delle emergenze avevano riscritto le leggi sulla corruzione, alla fine del 2012. Populismo penale, come si è più volte denunciato negli ultimi decenni, quello che porta a norme ipersimboliche, frutto di parole d'ordine, come quelle lanciate dal Presidente del Consiglio che, ricorrendo ai soliti slogan, promette di peggiorare la già pessima legislazione in tema di confisca. Tutto questo non è una novità, è già successo nella storia politica e giudiziaria del nostro Paese, in molte stagioni, non solo negli anni di tangentopoli, ma anche prima, quando alle emergenze vere, come il terrorismo o la lotta alla criminalità sanguinaria e stragista, si è opposto il frutto avvelenato delle leggi emergenziali, destinate a sopravvivere alle emergenze ed anzi a proporsi come modello ordinario. A nulla sono valsi in quei contesti i richiami alla necessità che il rispetto della legalità sia integrale, altrimenti si trasforma in un vuoto simulacro. A nulla sono valsi, in quei momenti, gli appelli a non legiferare seguendo la spasmodica ricerca del consenso. A nulla è valso, in molti passaggi storici, rammentare che le garanzie della difesa sono coessenziali alla tutela della legalità costituzionale. Eppure noi, che lo dicemmo allora, oggi lo ripetiamo con la stessa forza e quasi le stesse parole, rammentando agli apprendisti stregoni dell'emergenza che la storia di tangentopoli lasciò sul campo, primo fra tutti, lo squilibrio dei rapporti tra chi fa le leggi e chi le dovrebbe applicare. I tempi cambiano, le emergenze si moltiplicano ed incidono sostanzialmente nel modo di legiferare, di fare le indagini e di esercitare la giurisdizione. L'avvocatura penale, però, è sempre la stessa, forte delle proprie battaglie, combattute ricordando a tutti che il rispetto dei diritti e delle garanzie costituzionalmente previste deve essere la sola guida per esercitare l'attività giurisdizionale in un paese democratico. La Camera Penale di Roma continuerà a vigilare con tutte le sue forze per contrastare ogni forma strumentale e distorta di esercizio della giurisdizione e di violazione del diritto di difesa. Giustizia: inchiesta Mafia Capitale; i penalisti in rivolta "siamo spiati dalla Procura" di Daniel Rustici Il Garantista, 17 dicembre 2014 La Procura ha intercettato le conversazioni tra avvocati e clienti nell'inchiesta Mafia Capitale. I penalisti di Roma sono in rivolta. Dicono che sono stati violati i principi essenziali del diritto. Ieri hanno tenuto una assemblea molto affollata e hanno proclamato lo stato di agitazione. Sotto accusa anche la spettacolarizzazione dell'inchiesta, la diffusione di atti di indagine e il tentativo di usare i processi per "moralizzare" la società e non per accertare le responsabilità individuali: "Uno spettro s'aggira per la Capitale, è lo spettro di Mani Pulite". Intanto ieri la Camera dei deputati a scavalcato il governo e ha messo a punto un progetto di legge per allungare la prescrizione che va molto oltre le misure previste da Renzi. Praticamente - come vogliono i magistrati - la prescrizione diventa infinita. "L'avviso che molto probabilmente questa conversazione telefonica prima di finire su Il Garantista sarà ascoltata da qualche funzionario addetto alle intercettazioni della Procura Di Roma". Giosuè Bruno Naso, avvocato difensore di Massimo Carminati (l'uomo considerato dagli investigatori che stanno indagando su Mafia Capitale il capo della presunta cupola mafiosa romana), usa un tono pacato ma l'indignazione per come gli inquirenti stanno conducendo le indagini in cui è coinvolto il suo assistito è palpabile. La legittimità delle intercettazioni dei contatti tra inquisiti e i propri legali è un tema giuridicamente opaco: vietata ai sensi dell'articolo 103 del codice penale, in virtù di una sentenza della corte costituzionale del 18 giugno scorso, è invece ammessa nel caso in cui le conversazioni non siano di natura strettamente professionale. Un confine labile e difficile da stabilire. "Ma in ogni caso", si chiede retoricamente Naso, " è concorde con il principio del diritto alla difesa di ogni indagato permettere, soprattutto in una legislazione come la nostra che prevede l'obbligatorietà dell'azione penale, che le telefonate tra un inquisito e il suo legale finiscano nelle orecchie dei magistrati e che siano usate come elementi probatori?". E l'uso delle registrazione delle conversazioni clienti ai fini di indagine, è anche uno dei motivi per cui l'unione delle camere penali di Roma ieri mattina, al termine di un'assemblea molto partecipata, ha proclamato lo stato di agitazione. I penalisti capitolini hanno così deciso di passare dalla parole ai fatti, ma l'ascia di guerra era pronta ad essere sfoderata da giorni. Solo martedì scorso, proprio sulle colonne di questo quotidiano, i penalisti denunciavano infatti come l'inchiesta Terra di Mezzo fosse caratterizzata "dall'illegittima spettacolarizzazione e diffusione di atti di indagine, la deliberata ricerca di una sponda mediatica tesa a creare consenso popolare, la pilotata fuoriuscita quotidiana di aperti di informative di polizia giudiziaria che raggiungono lo scopo della preventiva distruzione dell'immagine degli indagati prima e a prescindere dallo sviluppo del processo" e - " il fatto più grave" sottolinea Naso - "dal monitoraggio dei contatti tra clienti e avvocati citati nelle informative, i dialoghi telefonici ascoltati, i difensori identificati nelle relazioni di polizia giudiziaria". Oltre a ciò a preoccupare fortemente gli avvocati c'è il fatto che l'inchiesta sulla cupola possa far ripiombare il Paese in un clima simile a quello che si respirava ai tempi di Mani Pulite il cui spettro, durante l'assemblea delle unioni delle camere penali di ieri, è stato nel tentativo di esorcizzarlo più volte richiamato. Se lo spirito giustizialista monta, ha spiegato nel suo intervento l'ex numero uno degli avvocati Valerio Spigarelli, ciò dipende in larga misura dalla presenza di un apparato mediatico- giudiziario che spinge in questa direzione condizionando un'opinione pubblica spesso poco informata sulla vicende processuali. "Un clima", ha proseguito Spigarelli, "alimentato anche dalle scelte politiche prese sull'onda dell'emotività popolare, come quella presa dal governo Renzi di inasprire le pene per la corruzione all'indomani dell'apertura dell'inchiesta sulla Terra di Mezzo". Teme l'aprirsi di una nuova stagione simile a quella di Mani Pulite anche il legale di Massimo Carminati che punta il dito contro la tendenza di una parte della magistratura a ergersi a guida morale del Paese: "I processi, in uno stato di diritto, servono per accertare le responsabilità penali individuali, non per moralizzare la società e la politica" afferma Giosuè Bruno Naso che poi in modo provocatorio domanda: "Nell'eventualità che tutto ciò che i pm contestano ai vari inquisiti nell'inchiesta su Mafia Capitale si rivelasse fondato, ciò non sarebbe la prova provata che pensare di estirpare la corruzione con il giustizialismo, come si è provato a fare con Mani Pulite, è totalmente inefficace?". Giustizia: i dubbi degli avvocati su pene inasprite e allungamento della prescrizione di Matteo Indice Il Secolo XIX, 17 dicembre 2014 L'appuntamento ufficiale prevede un convegno su temi da addetti ai lavori, ma il passaggio clou dovrebbe compiersi a margine. Quando i vertici dell'avvocatura nazionale e genovese, in parte sovrapponibili, manifesteranno al ministro della Giustizia Andrea Orlando le proprie perplessità sulle misure anti-corruzione di fresco varate dall'esecutivo, quale risposta all'allarme generato dall'inchiesta Mafia Capitale. Succederà con ogni probabilità venerdì pomeriggio a Genova, a meno di forfeit dell'ultim'ora da parte del Guardasigilli. Orlando ha infatti accettato nelle scorse settimane l'invito degli avvocati per un convegno nel centro formazione dell'Ordine professionale cittadino. Il tema è la creazione della camera arbitrale che dovrebbe sfrondare l'arretrato civile, e che proprio le toghe si troveranno a gestire: materia sì da specialisti, ancorché fondamentale per alleggerire il principale fardello del tribunali italiani. E però nel frattempo il dibattito sulla giustizia si è arricchito di due temi semplicemente decisivi. Da una parte il deflagrare dell'indagine condotta dalla Procura capitolina sui clan legati all'estrema destra e a Massimo Carminati, che infiltravano politica e società pubbliche per pilotare appalti a colpi di mazzette. La vicenda ha coinvolto esponenti del Pd romano, e il premier Matteo Renzi ha provato a dare una risposta mediatica nello spazio di pochi giorni. Venerdì il consiglio dei ministri ha infatti annunciato l'inasprimento delle pene sulla corruzione: la sanzione minima dovrebbe passare da quattro a sei anni, la massima da otto a dieci e pure chi patteggia si farà il carcere. Non solo. Sarà più semplice la confisca dei beni ai condannati in via definitiva, con norme severe di fatto come quelle per mafia. Soprattutto, è fissato l'allungamento dei tempi di prescrizione: di due anni dopo la condanna in primo grado, e di un anno dopo l'appello. Ricordando come l'approvazione della legge sia ancora lontana (l'emergenza Mafia Capitale ha solo accelerato l'intervento sul ddl delega per la riforma del processo penale), non è un mistero che dentro la stessa maggioranza ci sia chi non è proprio entusiasta della virata (leggi Nuovo Centrodestra). Una situazione ancora complessa, cui nei prossimi giorni si aggiungerà il confronto non semplicissimo con gli avvocati. Al convegno di Genova, insieme a Orlando, ci saranno infatti il genovese Guido Alpa ed Enrico Merli (il primo presidente, e il secondo membro, del Consiglio nazionale forense, organismo di rappresentanza istituzionale dell'avvocatura); Alessandro Vaccaro (presidente dell'Ordine nel capoluogo ligure) e Claudio Viazzi (presidente del tribunale). Se non ci sono dichiarazioni specifiche in vista del forum da parte del Cnf, è il padrone di casa, Vaccaro, a lasciare intendere che aldilà dei temi ufficiali l'attualità avrà un peso determinante, senza troppi entusiasmi per le nuove leggi: "Apprezziamo la disponibilità del ministro, che accetta d'incontrarci nella nostra sede. Mala legge sulla corruzione, e l'allungamento dei tempi di prescrizione in primis, non credo rappresentino un aggiornamento utile, anzi. Sarebbe forse più importante sfrondare o semplificare, perciò coglieremo l'occasione per manifestare il nostro punto di vista". Orlando: deterrente pene non basta, serve più trasparenza "Contro la corruzione il sistema di anticorpi non può essere basato solo su un deterrente penale: il vero antidoto sono prevenzione e trasparenza". Lo ha detto il guardasigilli Andrea Orlando aprendo la "Giornata della Trasparenza", organizzata al ministero della Giustizia. "Nell'ultimo Cdm - ha ricordato il ministro - abbiamo previsto un incremento delle pene contro la corruzione, abbiamo rivisto il patteggiamento e previsto confische dei patrimoni ai corrotti. Ma è fondamentale anche agire sul fronte della prevenzione e della trasparenza delle istituzioni". Orlando ha sottolineato in tal senso il lavoro fatto dal ministero, che "ha messo in rete tutti i contratti stipulati, le spese sostenute, i bilanci, i curricula, i compensi, i bandi di concorso, i provvedimenti. Abbiamo cercato di togliere opacità non solo alle attività amministrative, ma anche a quelle giudiziarie. Per questo il sito - ha aggiunto - si è arricchito di schede relative alle pendenze, al personale, agli affari trattati, all'arretrato". Dati che analizzati "aiuteranno a comprendere le regioni di inefficienza". Anche rispetto alle carceri sono state predisposte schede on line struttura per struttura, ha ricordato il ministro. Giustizia: Romano (Fi); quale equilibrio possibile tra certezza pena e diritti dei detenuti? Italpress, 17 dicembre 2014 "Quale equilibrio tra certezza ed effettività della pena e diritti dei detenuti? Il nostro sistema carcerario rivela tutta la propria inadeguatezza. Nonostante l'approvazione della Legge 117 dell'11 agosto 2014, nessun passo in avanti. Sarebbe necessario chiarire le competenze della magistratura di sorveglianza e potenziarla, per sanare una situazione inaccettabile che verrà certamente sanzionata dal consiglio dei ministri europeo. Dal governo, vista la situazione di impasse, mi attendo l'adozione di un provvedimento di urgenza per intervenire in modo efficace". Lo afferma in una nota Saverio Romano, parlamentare di Forza Italia. "Il decreto-legge 26 giugno 2014, n.92, ha introdotto misure relative alla situazione carceraria, prevedendo un risarcimento in favore di quei detenuti e internati che siano stati sottoposti a condizioni di detenzione inumani o degradanti, in violazione dell'articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (Cedu). La Corte ha ordinato alle autorità italiane di predisporre - aggiunge, nel termine di un anno, le misure preventive e compensative necessarie e quelle in grado di garantire una riparazione effettiva delle violazioni della Convenzione risultanti dal sovraffollamento carcerario in Italia. Emerge l'inadeguatezza stessa del nostro sistema carcerario e ne consegue che la legislazione sul benessere animale è molto piu' favorevole rispetto a quella dei nostri detenuti e che gli stessi vengono ad oggi trattati peggio degli animali. Importante confrontarsi e individuare delle soluzioni", conclude Romano. Domani alle 17.30 presso l'Hotel Nazionale, in piazza Montecitorio a Roma, si terrà il convegno sul tema "Certezza ed effettività della pena-diritti dei detenuti: corto circuito tutto italiano". Partecipano Romano, Enrico Costa, viceministro della Giustizia, Nico D'Ascola, ordinario di Diritto Penale presso l'Università di Reggio Calabria, Giuseppe Rossodivita, consigliere legale dei Radicali Italiani, Francesco Paolo Sisto, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, Federico Sorrentino, ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università La Sapienza di Roma. Giustizia: Manconi (Pd); dopo le polemiche rinuncio alla consulenza del prefetto Sinesio www.direttanews.it, 17 dicembre 2014 La nomina di Angelo Sinesio, "collocato fuori ruolo presso il Senato della Repubblica, per le esigenze della Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, cessando dalla disposizione con incarico ai sensi della legge n. 410/91, voluta dal Consiglio dei Ministri svoltosi lo scorso 12 dicembre, ha già scatenato non poche polemiche. Il consulente è infatti indagato nell'ambito di un inchiesta che ha fatto molto discutere e che riguarda gli illeciti legati alle ristrutturazioni delle carceri. Tale indagine nei confronti di Sinesio nasce da un esposto avanzato a febbraio 2014 da Alfonso Sabella, un funzionario del ministero della Giustizia e già pubblico ministero a Palermo all'antimafia, che segnalava delle anomalie nel piano per la ristrutturazione dei penitenziari presentato dall'allora commissario straordinario al piano carceri il 21 novembre 2013 alla Camera. Sabella, qualche giorno fa, è stato nominato da Ignazio Marino assessore "in pectore" al comune di Roma con deleghe agli Appalti e alla Legalità. Poco fa, sulla vicenda è intervenuto il senatore Pd Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti umani a Palazzo Madama, chiarendo che "la procedura per la richiesta di una consulenza del prefetto Angelo Sinesio presso la Commissione per la tutela dei diritti umani, a titolo completamente gratuito, "non è ancora iniziata". E, infatti, solo venerdì scorso il Consiglio dei ministri ha disposto la messa fuori ruolo del prefetto in questione e si è reso dunque possibile chiedere l'autorizzazione per il suo utilizzo, presso la suddetta Commissione". "Di conseguenza, solo ora si sarebbe potuta intraprendere la relativa procedura, a partire dalla richiesta di autorizzazione alla presidenza del Senato e dall'approvazione da parte dell'ufficio di presidenza della Commissione", ha aggiunto Manconi, ribadendo poi come "perché tale procedura potesse essere avviata e correttamente espletata, era necessaria la collocazione fuori ruolo del prefetto Sinesio, con provvedimento del Consiglio dei ministri. Cosa avvenuta, appunto, solo il 12 dicembre scorso". Quindi il passaggio chiave dell'intervento del senatore, da sempre in prima linea nella battaglia per i diritti umani: "Risultano totalmente fuorvianti le espressioni utilizzate superficialmente in queste ore, quali "rimozione" e "revoca della nomina", dal momento che nessun incarico è stato ancora assegnato. Ora, così come avevo deciso autonomamente di proporre che la Commissione si avvalesse della competenza e dell'esperienza, unanimemente riconosciute del prefetto Sinesio, ritengo opportuno rinunciarvi". Manconi conferma dunque "la mia stima nei suoi confronti", augurandosi "che la vicenda di cui deve rispondere davanti all'autorità giudiziaria si concluda al più presto e favorevolmente per lui, non posso fare a meno di notare che in questo caso è stata messa in atto, preventivamente, una campagna ostile", operata da "alcuni degnissimi senatori che, dopo essersi gagliardamente dichiarati garantisti e devoti cultori della presunzione di non colpevolezza, rinunciano precipitosamente a esserlo nei confronti di Sinesio". "Si tratta in tutta evidenza di parlamentari indefettibilmente garantisti verso i propri colleghi, ma che si scompongono nel finale davanti al caso di un prefetto che sta loro antipatico" - conclude polemicamente Manconi. "Personalmente sono garantista nei confronti di tutti: poveri cristi e solidi professionisti, immigrati e politici e Silvio Berlusconi. Non altrettanto, ahinoi, si può dire dei miei simpaticissimi avversari. I senatori che protestano contro Sinesio difendono esclusivamente le garanzie e le guarentigie dei senatori. Ci sarà pur un motivo". Lettere: Radicali in sciopero della fame… ecco perché digiuno anch'io di Genny Iannotti (Avvocato) www.radicali.it, 17 dicembre 2014 Ognuno di noi non deve perdere l'occasione per testimoniare le cose in cui crede. Ecco perché ho subito aderito all'iniziativa della Satyagraha (teoria etica e politica elaborata e praticata da Gandhi, Martin Luther King e Aung San Suu Kyi che consiste essenzialmente in una lotta nonviolenta) dell'associazione Radicale "Legalità e Trasparenza" di Caserta sicché, il 16 dicembre, inizierò un simbolico sciopero della fame di ventiquattr'ore per protestare contro il degrado delle carceri e contro l'assoluta inerzia del mondo politico rispetto al tema. Siamo in molti, in questo periodo, a non toccare simbolicamente cibo per un giorno per ricordare a tutti lo stato di degrado nel quale versano le carceri in Italia; lo stiamo facendo insieme ai leader radicali Marco Pannella e Rita Bernardini i quali ciclicamente avviano scioperi della fame e della sete per denunciare quella che hanno definito "una vera e propria shoah da parte dei mezzi di informazione italiani", a partire dal servizio pubblico radiotelevisivo, nei confronti dell'emergenza carceri. Anche ad agosto 2011 "scioperai" simbolicamente per una giornata, partecipando ad una staffetta deliberata dall'Unione delle Camere Penali Italiane. Fu una staffetta straordinaria, iniziata il primo giugno 2011 con l'allora Presidente dell'Unione delle Camere Penali Italiane Valerio Spigarelli per essere seguito da tutti i membri della Giunta e dell'Osservatorio carceri e poi, ancora, da numerosissimi iscritti alle Camere Penali locali. In tre anni, nonostante le pesantissime e umilianti condanne che la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha inflitto all'Italia, poco è stato fatto contro la drammatica situazione in cui versano le carceri italiane. In questo contesto, L'Unione delle Camere Penali denuncia, da molto tempo, i gravissimi problemi delle carceri, il sovraffollamento che le riempie fino all'inverosimile e i frequenti suicidi, segnale drammatico delle condizioni di gravissimo disagio fisico e psichico in cui vivono i detenuti. E dopo tre anni noi siamo ancora qua a protestare, ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica su un problema gravissimo, sperando di smuovere il mondo della politica che, sul problema carceri, sembra essere del tutto indifferente nonostante le promesse e nonostante il problema investa non solo la dignità e la salute dei reclusi ma anche, in definitiva, tutto il sistema delle sanzioni del codice penale, l'uso della custodia cautelare ed anche il funzionamento stesso della giustizia. Per riportare le condizioni delle carceri nelle caratteristiche imposte dall'art. 27 della Costituzione, che vieta trattamenti detentivi contrari al senso di umanità ed impone la finalità rieducativa della pena, bisogna necessariamente rimodulare il "vitello d'oro" dell'obbligatorietà dell'azione penale e disporre quanto prima l'amnistia. Contro questi due necessari provvedimenti, la politica (e parte della magistratura politicamente impegnata) contrappone il diritto alla sicurezza del cittadino in quanto la discrezionalità dell'azione penale e l'amnistia creerebbero sacche di impunità che "farebbero sentire insicuri" i cittadini. E io digiuno anche contro questa tautologia (modo elegante per definire le cazzate) perché se è vero che la sicurezza è un predicato del soggetto civiltà è ancora più vero che il sovraffollamento è il fratello gemello della inciviltà di un Paese. Durante questa giornata di sciopero della fame leggerò un libro: L'uomo che guarda, il libro con cui il grande Alberto Moravia vinse la sua guerra letteraria contro tutti i tabù della società italiana del dopoguerra. Io, invece, vorrei che in Italia fosse introdotto un tabù: quello della tortura. Toscana: il presidente Rossi; chiusura dell'Opg di Montelupo Fiorentino entro marzo 2015 La Presse, 17 dicembre 2014 Per Montelupo Fiorentino si prefigura una svolta epocale: l'ospedale psichiatrico giudiziario chiuderà entro la Primavera 2015 e la Villa Medicea sarà disponibile per usi civili, in un'ottica di valorizzazione della città. È questo in sintesi il senso della tavola rotonda tenutasi ieri sera nella sala del Consiglio Comunale di Montelupo Fiorentino alla quale sono stati chiamati ad intervenire il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, Roberto Reggi, direttore dell'agenzia del demanio, Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti e Carmelo Cantone, direttore interregionale del Dap. Ciascuno degli interlocutori ha aggiunto un tassello importante per definire la situazione. La Regione Toscana con il Presidente Rossi e l'assessore alla sanità Luigi Marroni ha chiarito la situazione in merito alla chiusura dell'Opg. "Abbiamo presentato al Ministero un progetto innovativo per il superamento degli opg che è stato approvato e ritenuto particolarmente innovativo; ed è già previsto uno stanziamento di 12 milioni di euro per la sua attuazione. Alla fine dei conti la situazione più complessa riguarda 28 persone che hanno sia la necessità di essere curate che quella di essere contenute. Rispetto al passato è prevista un'inversione della logica di trattamento per cui prevarrà la componente sanitaria", ha spiegato l'assessore Marroni. Per Rossi si tratta di una decisione storica che cambia una situazione che affonda le sue radici nel 1886 quando la struttura venne adibita a Manicomio Criminale, per poi divenire ospedale psichiatrico giudiziario nel 1975. "Il nostro impegno è chiaro: chiuderemo l'opg entro la primavera 2015, lavoreremo perché la progettualità sul futuro della Villa sia in capo al Comune e avvieremo da subito il percorso affinché anche la struttura dell'Ambrogiana venga riconosciuta dall'Unesco patrimonio dell'umanità ", ha chiarito Rossi. Carmelo Cantone, direttore interregionale del Dap, ha fugato altri dubbi che potevano insistere sul futuro della Villa Medicea di Montelupo: "Dal momento in cui sarà chiuso l'ospedale psichiatrico giudiziario l'amministrazione penitenziaria è disponibile a restituire le chiavi del complesso dell'Ambrogiana alla comunità di Montelupo. Detto questo rimane la nostra disponibilità a studiare soluzioni innovative e a dare il nostro supporto qualora ci venga richiesto". Ovviamente la strada che dalla chiusura dell'opg conduce alla possibilità di cominciare a delineare un nuovo futuro per la Villa è lunga e tortuosa. Il proprietario della struttura sarà a tutti gli effetti il Demanio dello Stato. Il comune ha già richiesto di poter ricorrere al Federalismo Demaniale e proprio la scorsa settimana il Demanio ha concesso al Comune la competenza sulle strade di accesso. "La possibilità di intervenire sulla Villa sarà invece subordinata alla presentazione di un progetto serio e articolato di recupero, elaborato dal comune di concerto con il Demanio e soprattutto con il Mibac. Ovviamente il progetto deve essere sostenibile da un punto di vista di rispetto dei vincoli e anche economicamente", ha spiegato Roberto Reggi, introducendo di fatto uno dei nodi problematici della questione: la sostenibilità economica. Ovviamente il comune non può essere lasciato solo a giocare questa importante partita ed ha la necessità di essere supportato sia dalla Regione Toscana sia da altri soggetti pubblici e privati. Uno di questi è certamente Cassa di Depositi e Prestiti, il cui presidente Franco Bassanini è intervenuto alla tavola rotonda ipotizzando diversi scenari per il futuro. In particolare ha posto l'accento sull'opportunità di ricercare un partenariato privato e di destinare la struttura almeno in una sua parte ad una funzione turistico/ricettiva. Di fatto si dovrà agire in tempi brevissimi dopo la dismissione dell'opg per preservare la struttura e sul medio periodo per elaborare un progetto per la destinazione futura della Villa. "Abbiamo focalizzato la serata su un aspetto che è rimasto marginale al dibattito degli ultimi anni volto a favorire il superamento degli opg e a tutelare gli internati e il personale che con professionalità lavora nella struttura. Oggi possiamo finalmente parlare del futuro della Villa Medicea. Abbiamo ottenuto rassicurazioni importanti. A questo punto credo che prima di tutto sia necessario rendere nuovamente fruibile la Villa, anche solo abbattendo quel muro che la separa dal resto della città, e poi avviare un tavolo operativo che coinvolga diversi soggetti per elaborare in tempi rapidi un'idea di sviluppo", ha affermato a conclusione della serata il sindaco Masetti. Toscana: egregio presidente Rossi, quest'anno in cella sono morte 11 persone di M. Buzzegoli, E. Baciocchi e M. Morganti (Ass. Radicale "Andrea Tamburi") Il Garantista, 17 dicembre 2014 Egregio presidente Enrico Rossi, sentiamo il dovere di sollecitare la sua attenzione sull'inaccettabile privazione dello Stato di Diritto, del Diritto alla Conoscenza e della Giustizia nel nostro Paese. La Ragione di Stato torna ad essere praticata, ad essere regola prevalente a scapito della Legge, minando le fondamenta dello Stato di Diritto, così come le Democrazie sono gravemente minacciate delle "democrazie reali". L'urgenza di oggi, a livello locale, nazionale e transnazionale, è dunque il riconoscimento e l'attuazione delle norme che negli ultimi cinquant'anni sono state codificate dalla comunità internazionale. Più in particolare, siamo obbligati ad occuparci dello drammatiche condizioni in cui versano i cittadini detenuti soprattutto per i trattamenti inumani e degradanti che sono costretti a subire: le quotidiane tragedie dei suicidi e degli atti di autolesionismo che incombono all'interno degli istituti penitenziari sono la diretta testimonianza di un problema che il nostro Paese non può tollerare. Una realtà che attanaglia anche la Toscana e in particolare Firenze: undici morti in carcere, cinque dei quali per suicidio (1 a Lucca, 1 a Pisa e 3 a Firenze), due per overdose (entrambi a Firenze) e quattro per malattia. Un preoccupante aumento del tasso di decessi, di violenza e di suicidi che si acuisce a causa della totale assenza di un livello assistenziale sanitario adeguato. Le scelte politiche e istituzionali degli ultimi anni non sono state sufficienti ad assicurare le garanzie sanitarie alla popolazione detenuta in linea con i livelli e le prestazioni offerti a tutti i cittadini. In Toscana uno studio del 2013 dell'Agenzia regionale della sanità ha evidenziato come il 71,8% dei detenuti nei 18 istituti penitenziari toscani è affetto da almeno una patologia. Questo è il quadro di trattamenti inumani nelle carceri sanzionato dalla Corte Europea per i Diritti Umani che ha rinviato a Maggio 2015 il giudizio in merito sullo Stato italiano considerando effettivi i "rimedi risarcitori" (8 euro per ogni giorno di tortura) approvati dal Parlamento. Ma a questo proposito proprio dalla Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, Antonietta Fiorillo è venuta la denuncia della sostanziale ineffettività e inapplicabilità di tali rimedi: su oltre 1200 domande presentate dalle persone detenute nei mesi scorsi solo una è stata accolta dal Tribunale del capoluogo toscano. Come caso paradigmatico della tortura carceraria abbiamo individuato Bernardo Provenzano (di cui chiediamo la decarcerizzazione): un uomo ormai incapace di intendere e di volere ma ancora costretto al regime del 41bis, nonostante la richiesta di revoca delle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze. E ancora più preoccupante è la sorte di centinaia di cittadini condannati all'ergastolo ostativo, al "fine pena mai". Una pena inutile e crudele che non si sconta ma si subisce, una vera e propria "pena di morte nascosta" come la definì lo scorso 23 ottobre Papa Francesco. Un quadro della situazione che ci obbliga a chiedere l'immediata introduzione del reato di tortura e la nomina di un Garante nazionale delle carceri. Come Radicali siamo certi che provvedimenti combinati di amnistia ed indulto siano allo stato attuale di urgente necessità ad una riforma strutturale della giustizia atta a riportare il nostro Paese nell'alveo della propria legalità costituzionale e del diritto internazionale. Queste motivazioni hanno indotto Marco Pannella ad iniziare un nuovo sciopero totale della fame e della sete e a lui si sono uniti centinaia di cittadini che hanno deciso di dare corpo alle parole contenute nel messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ma anche a quelle pronunciate da Papa Francesco in occasione dell'incontro con i delegati dell'Associazione Internazionale di Diritto Penale. Le chiediamo, Signor Presidente, di rappresentare la Toscana in questa importante e indispensabile battaglia per la difesa dei diritti umani e dello Stato di Diritto aderendo all'iniziativa nonviolenta in corso e di procedere con la convocazione di un Consiglio regionale straordinario proprio sul tema carcerario con particolare attenzione al tema della salute di pertinenza della Regione. Un tema che emerge in tutta la sua drammaticità anche nella recente indagine dell'Ars, strumento importante ma utile solo se oggetto di dibattito e decisione politica che vada verso il superamento delle condizioni incostituzionali e contrarie ai diritti umani che permangono ancora oggi anche negli istituti della nostra regione. La Toscana deve essere all'altezza della sua tradizione nel diritto penale e dunque in prima linea in questa battaglia. Lecce: detenuto per 693 giorni in spazio inferiore 3mq, ottiene sconto pena e risarcimento di Francesco Oliva www.corrieresalentino.it, 17 dicembre 2014 Per ben seicento novantatré giorni ha vissuto in uno spazio inferiore ai 3 metri quadrati in barba all'articolo 3 della Convenzione Edu. E nonostante abbia svolto attività lavorativa tutti i giorni per sei ore non ha potuto fruire dell'ora d'aria della mattina usufruendo esclusivamente nel pomeriggio per due ore (dalle 13,00 alle 15,00) della permanenza all'aperto. A.M., di Taurianova, recluso nel carcere di Lecce, per quella detenzione, ha ottenuto un parziale "risarcimento". Il magistrato di sorveglianza Emanuela Foggetti ha infatti parzialmente accolto il reclamo presentato dall'avvocato Giovanni Valentini e ha concesso al detenuto uno sconto di pena di 36 giorni e 264 euro come risarcimento danni. È stato così di fatto violato un principio sancito dall'articolo 3 della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che stabilisce: "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti degradanti o inumani". Dall'istruttoria espletata è emerso come il detenuto calabrese sia stato ristretto nel carcere di Lecce ininterrottamente dal 2010 sino alla data di presentazione del reclamo. In tutto questo periodo il detenuto è stato confinato nei Reparti C2 e C1, le cui stanze (per chi non lo sapesse) hanno un'altezza pari a due metri e 70 centimetri e una superficie di circa 10 metri calcolata al netto dei servizi igienici in cui ci sono un lavandino, water ed un bidet, fruibili in maniera riservata solo dai componenti della singola stanza detentiva. La camera detentiva è dotata di appositi letti, armadietti in cui vengono custoditi parte degli indumenti personali, sgabelli, un tavolino, un impianto di illuminazione, apparecchio televisivo e un'ampia finestra. Sempre dalla scheda relativa al detenuto calabrese è emerso che quando ha occupato la stanza con un altro compagno ha disposto di uno spazio di oltre quattro metri. Per complessivi 693 giorni, invece, avrebbe usufruito di uno spazio di 2 metri e 86 centimetri nel periodo in cui A.M. occupava la cella con altri due detenuti: diversi periodi che vanno dal 1 settembre di quattro anni fa fino al 28 febbraio di quest'anno. E la giurisprudenza della Convenzione Edu ha concluso per la violazione dell'articolo 3 proprio nell'ipotesi di restrizione in una cella nella quale il detenuto abbia a sua disposizione uno spazio inferiore ai 3 metri. Proprio come nel caso del calabrese finito all'attenzione del magistrato di Sorveglianza e che solleva l'ennesimo caso di diritti violati a causa dell'emergenza sovraffollamento nelle carceri italiane che non risparmia neppure Borgo "San Nicola". Roma: perizie psichiatriche false per far ricoverare i detenuti nella clinica Villa Lauricella di Andrea Ossino Il Tempo, 17 dicembre 2014 Ai detenuti sarebbe bastato pagare ingenti somme di denaro per ottenere delle perizie psichiatriche e trasferirsi così nella clinica Villa Lauricella. La struttura sarebbe dovuta essere un luogo di recupero dove era possibile scontare una detenzione alternativa al carcere, curarsi e rifarsi una vita. Invece Villa Lauricella sarebbe stata un "parco giochi" per criminali, una clinica nella quale era possibile drogarsi, festeggiare e nascondere ingenti quantitativi di cocaina e armi. "Il modo per entrare era appunto pagare (le rette ndr) triplicate, quadruplicate, cash le perizie psichiatriche". A raccontare questa storia agli inquirenti che cercano di alzare il sipario dietro al quale andava in scena romanzo capitale è Roberto Grilli, il testimone chiave dell'inchiesta "mondo di mezzo". La struttura era già stata al centro di una bufera giudiziaria, terminata con numerose condanne in primo grado. Le false perizie "Lei - afferma Grilli riferendosi ad Annamaria D'Unto, titolare della clinica - diceva agli avvocati: "Dammi 30 mila cash e poi 3 mila al mese e te lo porto qui". Poi si costruiva quella che era la cartella psichiatrica, incompatibilità carceraria, bisogno di assistenza (....). Sapevano quando fare l'istanza, sotto quale giudice, adesso non voglio dire cose più grandi di me - continua a raccontare l'uomo in procura - però mi avevano detto che cercavano il momento giusto per poter presentare la richiesta in maniera che potesse essere accolta con un attimino più di manica larga, magari rispetto ad altri gip". In altre parole, la titolare della clinica si sarebbe fatta pagare salatamente per "creare" perizie psichiatriche in grado di far trasferire i detenuti dai penitenziari alla clinica: "Io sono in grado di tirar fuori chiunque" avrebbe affermato la donna al suo compagno, Paolo Pompeo. L'offerta Proprio grazie a quest'ultimo, nel settembre del 2010, Grilli sarebbe entrato in contatto con la psichiatra. L'uomo si sarebbe rivolto a Grilli: "Hai bisogno di guadagnare? Stranamente è una cosa lecita, ti voglio presentare una mia cara amica". Così l'indagato si era recato in un bar della Prenestina: "Si presenta Anna Dell'Unto, era la titolare di una comunità che si chiamava Villa Lauricella, una comunità per detenuti, un'alternativa alla detenzione in carcere, ci sono una parte di tossici che la Asl paga, gli da il sostentamento". La donna, secondo quanto raccontato da Grilli durante l'interrogatorio "era un'assuntrice di cocaina a livelli industriali, pipperà 10 grammi al giorno". "Lei disse che la stavano minacciando, che l'avevano messa sotto schiaffo come si dice a Roma - continua a rivelare Grilli agli inquirenti - Lei con questi ci pippava insieme, si faceva dare 10-15-20 grammi ogni volta che andava lì e loro (i detenuti ndr) dovevano fare pippa perché grazie a lei stavano la". "Una scena da girone dantesco" La donna aveva chiesto a Grilli di intervenire perché nella clinica "era veramente come andare a Caracas". Una volta giunto dentro la struttura lo stesso Grilli non credeva ai suoi occhi: "Una scena da girone dantesco (...) c'era un via vai, tutte le sere c'era gente che veniva, si metteva li e pippava, stava la dentro nelle stanze, entrava e usciva come gli pare perché il sorvegliante non era in grado di imporsi (...) In quella comunità succedeva di tutto. Una volta uno degli ospiti della comunità tirò giù da un controsoffitto due pistole. Un'altra volta un altro degli ospiti tirò fuori nel giardino, da un rampicante, un pacco di cocaina. Dell'Unto era a conoscenza di quanto accadeva nella comunità". Nella struttura infatti si sarebbe instaurata una dinamica particolare: gli ospiti di Villa Lauricella avrebbero spacciato cocaina nella clinica per potersi permettere di pagare le rette e le perizie psichiatriche stilate dalla dottoressa: "Grazie agli impicci che facciamo possiamo continuà a stà qui - avrebbe raccontato un paziente della dottoressa a Grilli - perché con quello che ci costa lei e tutto, poi le famiglie fuori, se non facciamo gli impicci che facciamo?". Padova: il Comune ha stanziato quasi 100 mila euro per progetti di recupero dei carcerati di Luca Preziusi Il Mattino di Padova, 17 dicembre 2014 Più libri, bibliotecari, archivisti e pure giardinieri. Questo, e tanto altro, è il "progetto carcere", il progetto delle cooperative sociali che avrà il sostegno dell'amministrazione comunale. La giunta ha infatti deciso di partecipare all'attività di prevenzione per avvicinare i detenuti alla comunità locale. L'obiettivo è quello di far considerare il carcere come istituzione attiva e presente nella realtà territoriale, e individuare percorsi di accompagnamento e sostegno in alternativa alla detenzione. Il settore servizi sociali di Palazzo Moroni ha stanziato pertanto 97.500 euro per supportare, assieme alla Fondazione Cariparo (120 mila euro), i progetti delle cooperative volti al recupero e al reinserimento sociale dei detenuti ed ex detenuti. Finalità. Il "progetto carcere" vuole superare la frammentarietà degli interventi e ottimizzare le risorse attraverso un coordinamento tra assessorati e associazioni. Per raggiungere questo scopo il piano prevede il monitoraggio di tutte le iniziative che sono, ad oggi, sviluppate all'interno del carcere e nel territorio. In particolare, definisce le attività di coordinamento dei programmi d'intervento. All'interno degli istituti di pena, al fine di migliorare la vita carceraria, offrendo un'opportunità di formazione al lavoro ed apprendimento sociale ed educativo, e all'esterno per fornire occasioni di inserimento sociale e professionale alle persone detenute ed ex detenute. Progetti. Tra quelli finanziati dal Comune, ci sono le forniture dei libri. "Incrementare la dotazione libraria per offrire ai detenuti opportunità di approfondimento e con lo scopo di allargare la platea dei fruitori e favorire la partecipazione dei detenuti stranieri alle iniziative culturali promosse", si legge sulla determina del settore Servizi sociali di Palazzo Moroni. Tra queste iniziative ci sono incontri con gli autori, formazione di gruppi di lettura, oltre al coinvolgimento dei detenuti in tutte le attività inerenti alla lettura. Lettura che è legata alla biblioteca, per cui esistono altri progetti che appassionano da anni i detenuti in lavori di archivistica e catalogazione. Oltre alla cultura va sviluppata anche la parte pratica. È stato previsto un corso-laboratorio di giardinaggio aperto a 40 detenuti. Dopo dieci lezioni teoriche, i detenuti verranno divisi in due gruppi che lavoreranno nelle aree esterne al carcere sotto la supervisione di operai giardinieri e di un perito agrario che condurrà i lavori. Cooperative. Ad occuparsi dei progetti interni al carcere di Padova (pasticceria, progettazione e realizzazione di biciclette, valige, penne usb, call-center) sono Giotto e AltraCittà. La Giotto ormai è la collaboratrice storica del Due Palazzi. Entrati all'inizio degli anni ‘90 per un appalto sulla manutenzione del verde, gli operatori rovesciarono la prospettiva e insegnarono ai detenuti come curare da sé le aree verdi del carcere. Da lì tantissimi altri progetti. AltraCittà anche collabora da anni con il carcere. Milano: le detenute che cuciono le toghe, ma anche abiti da sposa e magliette di Greta Sclaunich Corriere della Sera, 17 dicembre 2014 Passando davanti alle vetrine, in via Gaudenzio Ferrari a Milano, si intuisce solo che si tratta di un negozio di abiti con annesso laboratorio di cucito. Ma la Sartoria San Vittore è molto di più: si tratta del primo marchio di moda italiano realizzato da detenute ed ex detenute. La Sartoria, lanciata nel 2010, è lo spin off imprenditoriale della Cooperativa Alice che da una ventina d'anni gestisce i laboratori sartoriali nelle carceri femminili di San Vittore e Bollate. È il progetto più recente, ma non l'unico: da anni la cooperativa realizza capi per conto terzi e pure toghe per giuristi e magistrati di tutta Italia, realizzando un fatturato totale che si aggira intorno ai 250mila euro. E nemmeno l'ultimo: il prossimo passo, infatti, sarà iniziare a vendere online i capi della Sartoria San Vittore. "Gli anni di lavoro che abbiamo alle spalle ci hanno permesso di acquisire una certa professionalità e così, quattro anni fa, abbiamo deciso di inaugurare la Sartoria e di rischiare con una collezione nostra. L'abbiamo realizzata insieme alla stilista Rosita Onofri: lei ha le idee, noi ci mettiamo le mani", spiega Luisa Della Morte, presidente della Cooperativa Alice, rispondendo al cellulare dal Tribunale di Milano dove sta, appunto, consegnando alcune toghe realizzate dalle detenute. Nei laboratori sartoriali lavorano due ex detenute e una ventina di detenute, sette delle quali lavorano all'esterno nella Sartoria. L'obiettivo non è fare utili (il negozio comunque riesce a raggiungere un fatturato di 80mila euro l'anno) ma spingere le detenute ad apprendere competenze diverse aiutandole, una volta fuori dal carcere, a cominciare una nuova vita. Per molte di loro taglio e cucito hanno davvero rappresentato una possibilità concreta: "Alcune di quelle che hanno imparato a cucire e confezionare abiti hanno trovato lavoro in aziende di sartoria, altre invece hanno aperto dei laboratori propri che stanno funzionando" racconta Della Morte. Questo consente anche un certo turnover nel laboratorio e nella Sartoria, dove lavorano anche persone che non arrivano dal mondo del carcere: "A ognuno le sue competenze: noi cerchiamo la professionalità", aggiunge la presidente, che sottolinea anche che non è loro intenzione fare riferimenti, all'esterno o all'interno del negozio, al fatto che i capi siano realizzati da detenute. I clienti sono in gran parte persone sensibili alle problematiche legate al carcere, ma anche persone che amano il loro stile rigoroso e pulito: hanno più di 30 anni e cercano vestiti eleganti ma anche capaci di sorprendere. I capi della Sartoria, che hanno prezzi che variano dagli 80 ai 250 euro, hanno infatti sempre un dettaglio che spiazza e che arriva dall'artigianato tessile: in una collezione era stato inserito l'uncinetto, in un'altra il macramè. "Un modo - sottolinea la presidente - per coinvolgere nel progetto anche le detenute che non sanno cucire a macchina". Roma: "Er fine pena", "A piede libero", "Fa er bravo", ecco le birre fatte dai detenuti Redattore Sociale, 17 dicembre 2014 Pronte per la distribuzione le prime tre bottiglie del progetto "Vale la pena", realizzate insieme ai detenuti e agli studenti dell'Istituto agrario Sereni di Roma, con la supervisione di tre mastri birrai. Tra i progetti futuri: un lavoro con i ragazzi disabili e una speciale "crime beer". "Er fine pena", "A piede libero", "Fa er bravo": sono queste le prime tre birre made in carcere prodotte grazie al progetto di reinserimento sociale Vale la pena, portato avanti insieme ai detenuti del carcere romano di Rebibbia. Il progetto, cofinanziato dal ministero dell'Università e della ricerca e dal ministero della Giustizia, e ideato dall'associazione Semi di libertà, prevede infatti la realizzazione di un birrificio artigianale dove i detenuti, vengono formati alla professione di tecnico birraio ed avviati all'inclusione professionali. E, così, dopo mesi di lezioni e di laboratori pratici sono pronte le prime tre birre, che verranno poi vendute al pubblico. "La prima birra che abbiamo prodotto l'abbiamo voluta chiamare Er fine pena, proprio perché la sua produzione è stata lunghissima. Ci abbiamo messo quasi un anno - spiega Paolo Strano, presidente di Semi di libertà, l'associazione che ha ideato il progetto - ironicamente, quindi, volevamo rimarcare quanto fosse stata una pena riuscirci. Si tratta di una golden ale, che è già uno dei cavalli di battaglia del birrificio e che abbiamo realizzato insieme a Marco Meneghin, mastro birraio di Birra Stavio". Insieme agli studenti dell'Istituto Sereni di Roma, è stata invece prodotta "A piede libero": "il nome l'hanno scelto i ragazzi durante uno dei corsi sulla legalità che abbiamo fatto all'interno della scuola, perché uno dei nostri obiettivi è anche quello di lavorare sulla divulgazione di messaggi di inclusione e legalità - spiega ancora Strano. Questa rimarrà sempre la birra della scuola, anche perché è fatta con il farro biologico che viene coltivato lì, e che è a centimetro zero, potremmo dire, perché anche il birrificio si trova all'interno dell'Istituto. Si tratta di una birra aromatizzata con arancia amara e cannella, e realizzata insieme a Paolo Mazzola del birrificio Castelli romani". La terza birra, realizzata insieme a Orazio Laudi di Birra Turan è "Fa er bravo": "è una birra mono luppolo - aggiunge - che abbiamo chiamato così perché il luppolo utilizzato si chiama appunto bravo", spiega ancora Strano. I detenuti che hanno partecipato alla realizzazione delle prime birre sono in tutto 5, dei quali 3 tutt'ora al lavoro: "per loro poter far parte di un progetto come questo è importantissimo - spiega il presidente dell'associazione - perché quello che tendiamo a fare, al di là del discorso lavorativo, è ricostruire un tessuto sociale intorno a queste persone. Sono ragazzi che vivono giornate intere in una cella senza poter parlare con nessuno. Per loro anche solo uscire, vedere gente, scambiare due parole con un'altra persona, è un modo per ricostruirsi una vita.". Per le birre prodotte ora si attende una distribuzione, ma intanto i progetti vanno avanti. In particolare, l'associazione sta pensando a una birra fatta insieme ai ragazzi disabili che frequentano i corsi dell'Istituto Sereni. "Tra loro e i detenuti, che partecipano alla produzione delle nostre birre, si è creato da subito un clima speciale - aggiunge Strano - e vorremmo fare quindi un lavoro con loro". Tra i progetti del birrificio c'è anche una speciale "crime beer" pensata per il Crime caffè, centro studi sulla legalità formato da criminologi. "Il nostro obiettivo è andare avanti - conclude Strano - cercando di fare il più possibile un prodotto di qualità che punta sulle materie prime a chilometro zero, e dove non possibile, ai prodotti del commercio equo e solidale. Una birra che significhi legalità ma anche inclusione, a 360 gradi". Roma: inaugurata a Rebibbia la torrefazione messa in piedi dalla Cooperativa Pantacoop di Mariaelena Finessi www.romasette.it, 17 dicembre 2014 Il direttore Mariani: "Ci auguriamo che l'iniziativa venga ripresa da altri istituti e possa diffondersi come "buona prassi". "Ah, che bell' ò cafè pure ‘n carcere ‘o sanno fa". Così De André cantava in "Don Raffaè", testo-denuncia della critica situazione delle carceri italiane negli anni Ottanta, e della sottomissione dello Stato al potere delle organizzazioni malavitose. Scritta nel 1990, ad ascoltarla oggi mette i brividi per la straordinaria attualità: per la corruzione della politica, ma anche perché in carcere, ora, il caffè lo si prepara davvero. E così, mentre tra le mura della casa circondariale "Rebibbia Nuovo Complesso" di Roma nasce una torrefazione che produce quello che è stato ribattezzato "Caffè Galeotto", fuori gli inquirenti indagano sulla "Mafia capitale", inchiesta che coinvolge imprenditori e politici della Città eterna. Inaugurata ieri, lunedì 15 dicembre, nella struttura penitenziaria di via Raffaele Majetti 70, la torrefazione è stata messa in piedi dalla cooperativa Pantacoop, gestita da Mauro Pellegrino il quale, turbato dalle vicende giudiziarie romane che tengono banco in tutti i media, tiene a precisare come il progetto non goda di finanziamenti pubblici. "È sbagliato - dice - che l'opinione pubblica faccia di tutta l'erba un fascio, giudicando superficialmente il mondo della cooperazione sociale. Non tutti siamo uguali. Noi, nello specifico, andiamo avanti con le nostre forze e con quelle dei privati". Sulla vicenda giudiziaria che ha coinvolto la Cooperativa 29 giugno interviene anche Angiolo Maroni, Garante dei detenuti del Lazio, il quale si lascia andare a una riflessione amara: "Desidero manifestare la forte preoccupazione che la vicenda della "29 giugno" diretta da alcuni malfattori colpirà tutto il mondo della cooperazione sociale. Ho già notizia di un ritrarsi degli enti locali dal continuare ad avere rapporti con le cooperative. Se questo dovesse accadere realmente, i danni sarebbero drammatici non solo sul piano sociale. Qui si rischiano infatti migliaia di posti di lavoro". Di uguale tenore gli interventi di Filippo Pegorari, Garante dei detenuti della Città di Roma, e del direttore del carcere di Rebibbia Mauro Mariani. "In un periodo in cui il mondo della cooperazione è sotto i riflettori delle verifiche - spiega Mariani, siamo orgogliosi di questa iniziativa. La torrefazione opera in regime di mercato aperto ed è chiaro che, anche per questo, ha difficoltà ad emergere. Ci auguriamo tuttavia che l'iniziativa venga ripresa anche in altri istituti e che possa diffondersi come "buona prassi". I tre ragazzi, che attualmente lavorano all'interno della torrefazione, hanno frequentato corsi di formazione tenuti da esperti del settore. Obiettivo: apprendere una professione spendibile al momento del reinserimento nella società civile. Quanto al prodotto, le recensioni sono quelle che descrivono un eccellente prodotto equosolidale, miscelato con i migliori crudi provenienti da continenti lontani. "Il processo di produzione della bevanda - spiegano i responsabili del progetto, che ha le caratteristiche tipiche di un espresso italiano, è ancora artigianale perché il crudo viene esaminato e processato manualmente, a differenza idi quanto avviene in altre torrefazioni che affidano tutto il lavoro alle macchine". Un'attenzione che rende ottimo il Caffè Galeotto, "il caffè - come è scritto sulla confezione - che fa bene all'anima". Albenga (Sv): inaugurata la prima "falegnameria sociale", che occupa artigiani-detenuti www.savonanews.it, 17 dicembre 2014 È stata inaugurata questa mattina nella zona artigianale del Polo ‘90 Cisano-Albenga la falegnameria artigianale che occupa detenuti della Casa circondariale di Imperia ad un reinserimento sociale e lavorativo. Al taglio del nastro era presente anche il vescovo diocesano di Ventimiglia-Sanremo Antonio Suetta. Si tratta della prima falegnameria sociale aperta in Liguria finalizzata all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate. La cooperativa Jobel dà il via ufficialmente ad un nuovo progetto: una falegnameria nata da un progetto di work experience per aiutare i detenuti della casa circondariale di Imperia ad un reinserimento sociale e lavorativo". Afferma Alessandro Giulla responsabile del progetto "parte da un'idea di 5 anni fa, è stato presentato un progetto alla Regione Liguria per l'inserimento di persone che erano in carcere . La Regione ha deciso di finanziarlo e si è partiti attraverso un percorso che prevedeva formazione. Percorso cominciato in carcere e che poi si è sviluppato all'esterno in una falegnameria. Ci siamo rivolti ad un cantiere navale di Imperia dove con 2 falegnami abbiamo formato 8 detenuti". Continua poi "Ora è finito finanziamento pubblico e inizia l'attività di impresa vera e propria e l'abbiamo iniziata qui affittando il capannone e le attrezzature. Ci sono 2 maestri d'arte e 4 persone che provengono dal carcere che lavorano qua". E quali sono le attività portate avanti? Ci spiega Giulla "Facciamo complementi d'arredo per asili l'infanzia, dai fasciatoi ai giochi ai copricaloriferi. Poi un altro settore riguarda la falegnameria vera e propria con la carpenteria in legno e oggetti di uso comune, poi vi è una terza linea produttiva per la quale collaboriamo con uno studio grafico e architetti che pensano a prodotti ti design particolare. Complementi d'arredo artistici anche non propriamente utili, ma che esprimono la bellezza che è poi uno degli elementi fondamentali perché è proprio dalla bellezza che spesso si sprigiona la funzionalità e si sviluppano situazioni positive e di armonia". A dare la sua benedizione anche Don Tonino Suetta dal quale si può dire che è nata l'idea del progetto, partito per una comunità di minori a Borgio Verezzi che poi ha chiuso lasciando un laboratorio inutilizzato convertito poi per i detenuti. Afferma Don Suetta "Questo è un buon metodo per reintegrare le persone che hanno sbagliato anche perché è un progetto che parte dal basso. Partire non solo dalle piccole cose e farle crescere ma partire da una sensibilità e un modo di affrontare i problemi che mette al centro le persone, è proprio questo il valore più importante. È importante il fatto che è un progetto nato dal cuore delle persone più fragili che vanno viste come risorse non più come problema". Grande entusiasmo anche da parte del Sindaco Giorgio Cangiano presente proprio per testimoniare la sua vicinanza a questa associazione e a questa iniziativa "In un periodo di profonda crisi lavorativa come questo, un progetto che porta al riavvicinamento a mestieri che a volte vengono trascurati è molto importante e questo in ottica più ampia, non solo per i detenuti, ma anche per i giovani e i meno giovani che possono trovare in questo settore un nuovo sbocco". Chieti: oggi Pannella e Galimberti all'Università "D'Annunzio" per parlare del dopo Opg wwwchietitoday.it, 17 dicembre 2014 Psichiatri e rappresentanti delle istituzioni per due giorni a convegno sulla fine degli "ergastoli bianchi". La Asl Lanciano Vasto Chieti al lavoro per la Rems, la nuova residenza per pazienti socialmente pericolosi. È scattato il conto alla rovescia per la fine definitiva degli "ergastoli bianchi", gli internamenti a tempo illimitato negli Opg, ospedali psichiatrici giudiziari, di persone con problemi di pericolosità sociale. A partire dal prossimo aprile dovranno essere ospitati nelle cosiddette Rems, le residenze per l'esecuzione di misure di sicurezza, dove verranno presi in carico dai servizi sociali e psichiatrici del territorio, sulla base di programmi di riabilitazione messi a punto dalle regioni. In Abruzzo sarà istituita una sola residenza, nel territorio della Asl Lanciano Vasto Chieti, dove a occuparsi degli aspetti organizzativi sarà il Dipartimento di salute mentale diretto da Massimo Di Giannantonio. Un confronto tra addetti ai lavori e uomini delle istituzioni è in programma all'auditorium del Rettorato dell'Università di Chieti martedì 16 e mercoledì 17 dicembre: si parlerà delle prospettive offerte dai nuovi sistemi di gestione integrata rappresentati dalle Rems. L'iniziativa, promossa dalla Cattedra di Psichiatria della "D'Annunzio", dalla Asl e dall'Assessorato alla Salute della Regione Abruzzo, è finalizzata a fornire informazioni corrette e complete a quanti, nella diversità dei ruoli, dovranno lavorare per realizzare le nuove residenze superando gli Opg. Tra i grandi nomi che apriranno i lavori, nella giornata di martedi, ci saranno quelli di Marco Pannella e, a seguire, Umberto Galimberti, filosofo e psicanalista, che terrà una relazione magistrale sul tema "Ragione e follia". "Nel prossimo futuro - spiega Massimo Di Giannantonio, Direttore del Dipartimento di Salute mentale della Asl e ordinario di Psichiatria della Facoltà di Medicina di Chieti - i giudici dovranno scegliere le misure alternative all'inserimento in ospedale psichiatrico. Una specifica commissione dovrà poi monitorare le iniziative assunte per il superamento reale degli Opg e consentire ai Ministri della Salute e della Giustizia di aggiornare periodicamente il Parlamento sullo stato della dismissione. Un passaggio importante per operatori del mondo legislativo, sanitario e sociale chiamati a una nuova e avvincente sfida, che darà una nuova speranza a detenuti psichiatrici grazie a un modello riabilitativo capace di conciliare in modo più efficace le misure giudiziarie con le esigenze di salute". Roma: "Gruppo Idee", un'associazione che nasce all'interno del carcere di Rebibbia di Paolo Signorelli www.lultimaribattuta.it, 17 dicembre 2014 "Aiutare gli altri per aiutare noi stessi". Questo è e sarà sempre il motto di "Gruppo Idee", associazione che nasce all'interno del carcere di Rebibbia, dalla volontà di un gruppo di detenuti di dimostrare alla società che gli sbagli compiuti e la privazione della libertà non impediscono la capacità di rinnovarsi e di restituire. Ogni giorno, infatti, Gruppo Idee opera all'interno degli istituti penitenziari italiani per aiutare chi, dopo un reato commesso e di conseguenza una pena espiata, ha voglia di rimettersi in gioco. Cercando di recuperare un ruolo all'interno della società civile. Se è vero che le carceri italiane sono fatiscenti, è altrettanto vero che l'associazione Gruppo Idee cerca, nel suo piccolo, di dare una mano a tutte quelle persone recluse che si sentono abbandonate al loro destino. In che modo? Attraverso la realizzazione di corsi di formazione, attività sportive, eventi culturali, concorsi artistici-letterari e convegni riguardanti temi di attualità. Qualche esempio? Il laboratorio di sartoria "Ricuciamo", creato nella casa circondariale femminile di Rebibbia, che con la linea di moda "Nero Luce" ha portato alla creazione della linea di oggettistica e accessori "Mille colonne". Tutto realizzato dalle detenute. Poi, in ambito sportivo, sono diventate ormai una realtà la squadra di rugby del carcere di Frosinone dei "Bisonti" e la Nazionale Rebibbia, composta da "galeotti" e agenti della Polizia penitenziaria. Ma non è finita qui, perché Gruppo Idee collabora anche per il reinserimento attivo nel mondo del lavoro dei detenuti con le cooperative "Essegi2012" e "Agroromano", svolgendo attività di manutenzione e gestione del verde. Sono ancora molti i progetti a cui l'associazione sta lavorando e altrettanti gli obiettivi futuri prefissati da raggiungere. Intanto, Gruppo Idee, ha compiuto domenica 7 anni di vita. Sette anni in cui è attiva e cerca ogni giorno di fare il possibile per il reinserimento sociale dei reclusi ed ex reclusi. Per l'occasione, è stata organizzata una festa, allo "Chalet" (locale storico di Roma davanti lo stadio Olimpico) dove la partecipazione è stata davvero importante. "Ricordo il primo giorno in cui ho visitato il carcere e la strada che abbiamo fatto per arrivare fino ad oggi", ha commenta emozionata il presidente, insieme a Luigi Ciavardini, dell'associazione Zarina Chiarenza. "Grazie alla nostra passione e impegno e contando solo sulle nostre forze e di chi ha collaborato con noi nel tempo, abbiamo potuto raggiungere tanti obiettivi importanti". Gruppo Idee è la dimostrazione vera e concreta che, una seconda possibilità, può e deve essere data a tutti. Terni: il vescovo Giuseppe Piemontese visita i detenuti nel carcere di vocabolo Sabbione Corriere dell'Umbria, 17 dicembre 2014 Nell'ambito degli incontri in preparazione al Natale, il vescovo Giuseppe Piemontese ha fatto visita ai detenuti della Casa circondariale di vocabolo Sabbione a Terni, la prima sua visita in carcere dopo la nomina a vescovo della diocesi di Terni Narni e Amelia. Padre Piemontese accolto dalla direttrice del carcere Chiara Pellegrini, dal comandante della polizia penitenziaria Fabio Gallo, dal cappellano del carcere padre Rino Morelli, ha incontrato numerosi detenuti visitando le varie sezioni del carcere e intrattenendosi a lungo con loro, portando in dono a ciascuno per il prossimo Natale la croce francescana del tau e un biglietto che riproduce l'affresco di Giotto nella basilica superiore di Assisi raffigurante la liberazione di un prigioniero e i due papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II in occasione della loro visita in carcere. "Sono contento di essere qui e di poter augurare a voi un felice Natale - ha detto il vescovo. Il tempo di Natale, per chi non lo trascorre come vorrebbe, può essere anche un tempo amaro specie quando si è lontani dalla famiglia. Ognuno conserva dei ricordi belli del Natale che vorremmo rivivere e rinnovando la speranza nel Signore che non delude mai. Tutto richiama a Cristo che assume su di sé l'umanità intera, anche quella dei bassifondi, quell'umanità che è venuto per rialzare. Ed il tempo che trascorrete in carcere non deve essere visto come tempo perso, ma un tempo per riflettere, per crescere e sperimentare la misericordia del Signore che non abbandona mai nessuno, ma accoglie tutti. Questo è il senso del Natale ed è importante celebrarlo anche qui, perché la sofferenza è motivo di redenzione e di riscatto". Un incontro all'insegna della fraternità e dell'accoglienza che è stata l'occasione anche per conoscere la realtà carceraria di Terni. I detenuti hanno ringraziato il vescovo per la visita e donato degli oggetti in legno realizzati da loro. "In questo periodo di Natale la detenzione è più difficile da vivere e il pensiero va alle nostre famiglie - ha detto un detenuto leggendo una lettera rivolta al vescovo -. Con il suo arrivo si è rinnovato un clima d'incontro con la diocesi, con la disponibilità di tutti a costruire possibilità di integrazione assistenziali e lavorative per dare un senso alla nostra pena che altrimenti resterebbe fine a se stessa. La preghiamo di farsi portavoce presso la comunità delle nostre speranze e ci uniamo a lei nella preghiera perché con l'aiuto di Dio troviamo una realizzazione. Siamo consapevoli di dover pagare per gli errori commessi, ma il tanto decantato reinserimento sociale non può avvenire passando tutto il tempo in cella senza svolgere nessuna attività. È questo certo un problema nazionale che in questo periodo di crisi è acuito e anche noi all'interno dell'istituto non abbiano più possibilità di lavorare, ma ci ricorda anche papa Francesco che senza lavoro non c'è dignità". Venezia: il Patriarca Moraglia visita il carcere di Santa Maria Maggiore "esco arricchito" www.veneziatoday.it, 17 dicembre 2014 Francesco Moraglia ha celebrato martedì la messa pre-natalizia alla presenza dei detenuti: ha detto che "ognuno può costruire il proprio futuro, ogni giorno". Il futuro comincia oggi, e la personalità va riscattata. È il messaggio che ha voluto comunicare il patriarca di Venezia Francesco Moraglia durante la messa che ha celebrato al carcere di Santa Maria Maggiore, dove ha incontrato i detenuti in vista dell'approssimarsi del Natale. Moraglia ha cercato di infondere speranza nei carcerati perché, ha spiegato, ogni uomo deve guardare con fiducia a se stesso in qualsiasi situazione, per cercare di rimettersi in piedi. E per farlo deve guardare al meglio che può esprimere. Secondo il patriarca nessuno ha nulla da riscattare, tranne la propria personalità: ed ogni giorno è possibile costruire il futuro, secondo ciò che si desidera essere domani. E se il carcere è un luogo di attesa ed espiazione, si deve cercare di dare tutte le possibilità perché il presente sia vivibile, in modo da permettere a persone che sono più provate di altre dalle contingenze di rilanciare il proprio futuro. Alle domanda se l'esperienza del penitenziario possa rieducare le persone coinvolte negli scandali veneziani degli ultimi mesi il patriarca ha risposto che non augura a nessuno di dover fare l'esperienza del carcere. La giustizia è una realtà che deve livellare al di là dei compiti che si è chiamati a svolgere nella società: quindi, dice, è sempre un dolore guardare una persona che passa la soglia di un penitenziario. Il patriarca veneziano ha poi dichiarato di essere uscito dal carcere arricchito e motivato a recuperare in modo intenso i rapporti con le persone senza tener conto della loro storia o della posizione sociale ma guardando agli occhi per leggere la loro anima, per vedere cosa desiderano per sé e per gli altri. Le esperienze vissute nel carcere sono quelle di un recupero della responsabilità, un elemento educativo e culturale da riscoprire anche fuori, come uomini liberi. Nisida (Na): oggi all'Ipm presentazione di "Terra del vento", il romanzo di Pino De Maio www.salernonotizie.it, 17 dicembre 2014 Mercoledì 17 dicembre alle ore 17.00 all'Istituto Penale per Minorenni di Nisida in via Nisida 59 si presenta l'atteso romanzo del cantautore Pino De Maio "Terra del vento", edito dalla neonata casa editrice Spazio Cultura Italia con la prefazione del Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti. Interverranno insieme all'autore il Sindaco di Napoli Luigi De Magistris, il Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti, il Caporedattore del Tgr Campania Antonello Perillo, il teologo Don Gennaro Matino, il Direttore del Carcere di Nisida Gianluca Guida e il Presidente di Spazio Cultura Italia Mimì De Maio. Terra del vento è un viaggio che parte da Scampia, 167, Rione Don Guanella e tutti quei luoghi della periferia nord di Napoli, simbolo del degrado nazionale e del fallimento delle politiche di edilizia, e non solo, degli ultimi 50 anni. Che passa per l'Istituto penale per minorenni di Nisida, "diventato, grazie al direttore Gianluca Guida, all'artista Pino De Maio, e ai tanti bravi e solerti educatori che vi operano instancabilmente e ne fanno un istituto modello" - come scrive il Procuratore Franco Roberti - "luogo di riscatto e riabilitazione per i ragazzi detenuti". Ma non solo. Attraversa i luoghi più oscuri dell'animo umano, per conquistare il sogno americano, New York. L'Autore, dopo 20 anni di ininterrotta attività, al fianco dei minori della sua città, trascorsi ad ascoltare le loro storie e cercare di contrastare l'odio con la passione e la musica, ha deciso di raccontare la storia di Ciro. Un nome di fantasia ma che si fa portavoce delle centinaia di minorenni che hanno la sola colpa di nascere nel posto sbagliato e costretti ad affrontare una vita tutta in salita. Il bene e il male, l'amore e l'odio, lo Stato e l'antistato, i diavoli e gli angeli sono costretti a convivere e cercare il "giusto equilibrio" perché anche se i pensieri volano, i piedi di questi ragazzi restano incollati a terra. Le parole questa volta però diventano pretesto di rivoluzione interiore. Prima quelle delle persone perbene, degli esempi positivi, eroi e martiri, e poi quelle finalmente di Ciro, riescono a trascinare lo stesso protagonista verso il riscatto. Trapani: con l'associazione Euro il cielo di Matisse tra le mura del carcere di Castelvetrano www.castelvetranoselinunte.it, 17 dicembre 2014 Un cielo ampio, di colore azzurro intenso, attraversato in lungo e in largo dal volo degli uccelli. È una metafora di speranza e libertà, quella raffigurata nell'opera murale che otto detenuti della Casa circondariale di Castelvetrano hanno creato a conclusione di un corso di arti grafiche e computerizzate organizzato dall'associazione Euro di Palermo. L'imponente decorazione è stata realizzata con tecniche miste su una superficie di circa tre metri per otto, traendo ispirazione da un celebre dipinto di Henri Matisse. Il percorso formativo ha coinvolto gli allievi per complessive 450 ore, svolte nel periodo tra aprile ed ottobre, con moduli specialistici condotti prevalentemente da docenti qualificati in discipline informatiche: attraverso studio teorico ed esercitazioni pratiche al pc sono state trattate materie come informatica di base, grafica vettoriale e grafica applicata alla comunicazione. I corsisti, inoltre, hanno potuto seguire un modulo di tecniche grafico-pittoriche e decorative, messe a frutto, poi, nella rappresentazione figurativa su parete, sotto la guida del docente Vito Lombardo. L'iniziativa è stata promossa con finanziamento della Regione Siciliana e del Fondo sociale europeo attraverso il progetto Restart, nel quadro dell'Avviso 20/2011 denominato "Percorsi formativi per il rafforzamento dell'occupabilità e dell'adattabilità della forza lavoro siciliana nel periodo 2012-2014". Crediamo molto - ha detto durante l'inaugurazione dell'opera Eugenio Ceglia, direttore dell'associazione Euro - in queste azioni rivolte alle persone che scontano una pena in carcere, perché riteniamo che siano un contributo concreto al miglioramento delle condizioni di detenzione e, soprattutto, all'arricchimento del loro bagaglio di conoscenze e competenze in prospettiva di un futuro reinserimento socio-lavorativo. Fano (Pu): presentazione libro scritto da detenuti dalla Casa di Reclusione di Fossombrone www.occhioallanotizia.it, 17 dicembre 2014 Nell'ambito degli incontri della Cattedra del Dialogo organizzati dalla Diocesi di Fano, Fossombrone, Cagli e Pergola e in collaborazione con il Comune d Fano, Assessorato alle Biblioteche, verrà presentato il libro scritto dai detenuti dalla Casa di Reclusione di Fossombrone, domenica 21 dicembre alle ore 17,30 presso la Mediateca Montanari di Fano. "Mi hanno chiesto di raccontare il natale in questo posto", pensieri sparsi sul compleanno più festeggiato del mondo da dietro le sbarre della Casa di Reclusione di Fossombrone, Edizioni Mondo a Quadretti. Si tratta di un volumetto che, intorno ad un tema seriale non facile, perché "troppo facile", scontato e quasi banale, come quello del Natale, ci dà un ennesimo spaccato della città carceraria, della sua piazza, dei suoi umori e dei suoi odori. Dove c'è felicità c'è vita e dove c'è sofferenza c'è poesia e i detenuti scrivono. Scrivono immaginando una realtà che si dissocia, che si dissimula, che si trasfigura. Scrivono per la loro vita, che viene riavvolta, reinventata, rivissuta. Sliding doors che resettano ogni errore, ogni caduta e offrono infinite nuove chances di riscatto. E poi, chi può davvero dire che la "libertà fantastica" che offre la scrittura non sia pari a quella reale? Il ricordo dei natali trascorsi, in momenti felici, dell'infanzia, dell'adolescenza, della giovinezza, della libertà, fa certamente la parte del leone nei racconti, così come è ricorrente, ed in alcuni casi struggente, il pensiero dei propri cari, chiamati anch'essi a scontare, soprattutto in questi giorni di festa, una dura pena. In altri scritti, invece, prevale l'angoscia del Natale presente, quello, dietro le sbarre, talvolta raccontato con invidiabile ironia. Il lavoro verrà presentato da Giorgio Magnanelli, volontario del carcere e Presidente dell'Associazione di volontariato Mondo a Quadretti, Rosanna Marchionni, Teologa e Dirigente scolastico e Doro Catalani, artista e docente. Siracusa: "Freedom, il suono oltre le mura", l'artista Carmen Serra autrice del progetto di Michele Criscimanna La Sicilia, 17 dicembre 2014 Giovedì l'artista si esibirà alla Casa circondariale di Cavadonna. Durante il concerto sarà accompagnata alla chitarra da Concetto Fruciano e alle percussioni da "Arriva il Natale … e arriva per tutti, anche per i detenuti della casa circondariale di Noto". Così racconta l'artista Carmen Serra, entusiasta del suo futuro incontro con i detenuti della Casa circondariale di Cavadonna. La cantante siracusana ha recentemente presentato un progetto che ha chiamato "Freedom, il suono oltre le mura". Assieme all'allieva e amica Francesca Tinè, ha presentato alla direttrice della casa circondariale tale progetto, che purtroppo per mancanza di fondi, ritarderà nel partire. "Ero combattuta - racconta la Serra - il mio cuore era diviso a metà: presentare il progetto oppure no? Beh, alla fine ha vinto la parte più umana di me, quella parte che comprende e conosce il perdono, la comprensione e la voglia di portare amore e vita dove sembra che non ci sia più. Mi dico sempre che chi sbaglia deve pagare. Ecco perché ero combattuta. Ho presentato vari progetti, come attività ricreativa e di sensibilizzazione alla musica. Ultimo tra tutti il progetto per il reparto di psichiatria e igiene mentale all'Ospedale Muscatello di Augusta, in attesa di approvazione. Non sopporto vedere la gente soffrire, non sopporto sapere che qualcuno possa sentirsi solo, non sopporto che qualcuno possa pensare che la propria vita sia finita, sia piatta, triste … che spreco". È la musica che colora tutto e può fare molto. Come dare una ragione per "continuare a vivere" a chi non l'ha più. "Io voglio far sorridere - aggiunge - voglio far sì che si amino ancora queste persone, che gioiscano e che si emozionino". Il 18 dicembre terrà un concerto dalle 13 all'interno della casa circondariale, accompagnata alla chitarra da Concetto Fruciano (direttore e fondatore della scuola di musica Sistema musica di Augusta) e alle percussioni da Michele Criscimanna. "Non sono riuscita a fare di più per il momento - sottolinea l'artista siracusana - ma sono sicura che saranno felici di cantare e divertirsi un po' con noi. Spero che da un piccolo passo alla volta, riusciremo a realizzare il progetto di cui sono ideatrice e autrice insieme con Francesca Tinè. Oltre a proporre un'attività ricreativa e di sensibilizzazione alla musica, prevede un percorso formativo, sia dal punto di vista della tecnica vocale (approccio al canto) sia della vocalità in generale, anche nel parlare solamente, nel modo di porsi all'ambiente esterno a noi, imparando ad osservarsi dall'esterno, dall'alto. È un progetto che estenderò alle scuole. Il 18 dicembre finalmente potrò guardare negli occhi queste persone e trasmettergli la voglia di vivere che credo abbiano perso alcuni. Spero però che in futuro possa partire il progetto Freedom". Carmen Serra continua a lavorare contemporaneamente sui suoi nuovi progetti: da nuove colonne sonore per docufilm e per il cinema (un lungometraggio che uscirà negli Usa a maggio) e nuovi brani per il suo nuovo cd ma di una cosa è certa: "i progetti Freedom - il suono oltre le mura (per le case circondariali) e il suono oltre la mente (per i reparti di psichiatria) non li mollerò mai". Catanzaro: il coro dell'Uic canta per i detenuti della Casa circondariale "Ugo Caridi" www.catanzaroinforma.it, 17 dicembre 2014 Continua dopo il "Malaspina" di Palermo e il "Nisida" di Napoli, il viaggio del coro sezione provinciale di Catanzaro nelle carceri, tra coloro che sono di fatto i "dimenticati" della società civile. La visita alla Casa Circondariale Catanzaro "Ugo Caridi", meglio conosciuta come il carcere di Siano, è avvenuta il 13 dicembre giorno di Santa Lucia e della 55esima Giornata Nazionale del Cieco. Il coro dell'Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti diretto dalla presidente Luciana Loprete, con una splendida performance musicale e teatrale curata dai soci e dai volontari del servizio civile, ha allietato gli spettatori ospiti della struttura con lo spettacolo "Liberi di Sognare". Momenti di grande emozione nella riflessione comune tra soci e detenuti delle tante barriere che ostacolano la libertà individuale, senza pregiudizio ne giudizio verso coloro che vivono un realtà diversa. Ritrovarsi semplicemente insieme per non dimenticare chi il pensiero comune moralista condanna e giudica. Suscitare emozioni e riflessioni per trovare le espressioni più belle dell'anima umana, dove la cecità e la detenzione supera gli ostacoli mentali e fisici, per ricordare che dietro un non vedente o detenuto c'è un essere umano che, in quanto padre, figlio, fratello e coniuge, vive dei sentimenti che la coscienza civile deve rispettare. Un particolare ringraziamento va rivolto alla dott.ssa Angela Paravati, direttore della Casa Circondariale Catanzaro, per la sensibilità dimostrata, alle Forze dell'Ordine, alle Guardie Carcerarie, agli Educatori e a Mario Sei Presidente di Teatro 6 che da tempo porta avanti due distinti laboratori teatrali con i detenuti di alta e media sicurezza all'interno della casa circondariale di Catanzaro. Un ringraziamento speciale, da parte di tutto il Coro dell'Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti, è rivolto ai "dimenticati" che con educata e calorosa accoglienza hanno dimostrato grande partecipazione e sensibilità. Immigrazione: chi si arricchisce (in maniera legale) sui Cie di Damiano Aliprandi Il Garantista, 17 dicembre 2014 Il rischio è che la gestione passi tutta o quasi nelle mani di una società francese, la Gepsa. L'emergenzialismo non solo distrugge lo stato di diritto, ma è anche un grande giro di soldi. Che dietro l'emergenza immigrazione, l'identificazione e poi l'espulsione delle migliaia di persone che ogni anno bussano alle porte dell'Italia per fuggire da fame, morte, miseria e guerre civili nei loro paesi d'origine, ci sia un grande business non è una "scoperta" di oggi grazie all'inchiesta di "Mafia Capitale". È in realtà un giro di soldi perfettamente legale, ma eticamente discutibile che da anni viene praticato sulla pelle degli immigrati. Ci guadagnano tutti, con gli immigrati irregolari, in Italia, tranne loro, gli immigrati stessi, che non solo arrivano spesso al termine di un viaggio dai rischi mortali, ma sono oggetto di scherno, insulti, offese da parte di molta parte della popolazione che li accusa di rappresentare un costo per il nostro Paese. Il capo della Lega Matteo Salvini e movimenti xenofobi come Forza Nuova o Casa Pound ne approfittano e gli slogan sono sempre quelli: "Mandateli via, date i soldi che stanziate per loro a noi!". Circolano infatti bufale, alimentate da alcuni giornali , su ricchi gettoni che riceverebbero gli immigrati ospiti nei Cie, o su trattamenti particolari. Niente di falso. Ricevono pochi spiccioli al giorno o alla settimana (si chiama "pocket money"), una manciata di euro, per le sigarette o una telefonata in casa. E il loro trattamento nei Centri di identificazione ed espulsione è una vera e propria detenzione, che ignora i diritti più basilari di queste persone. Ecco perchè alcuni di loro decidono di cucirsi con ago e filo lo bocca, oppure incendiano i materassi in segno di protesta per le condizioni in cui sono costretti a vivere. La legge Bossi-Fini è strettamente funzionale a questo mercato perché "produce" centinaia di clandestini da rinchiudere nei Cie e, quindi, alimentando il grande business dell'accoglienza, con molte cooperative e non solo, gestite dai soliti noti, che si dividono una torta ricchissima. È una torta gigantesca quella che in Italia si spartiscono ormai da dieci anni veri e propri "colossi" del business dell'accoglienza: dalla Legacoop alle imprese di Comunione e Liberazione, fino ad arrivare alle multinazionali. Il business sull'emergenza immigrazione è diventato un fenomeno globale. Dietro gli imperativi securitari ed economici sì nasconde una realtà molto precisa e l'uso sempre più frequente di strumenti militari (droni, radar, satelliti) nell'ambito delle politiche migratorie, è il simbolo più rappresentativo di questa evoluzione. Non a caso c'è chi ha parlato di "guerra contro i migranti": i migranti non sono più persone, ma nemici, talvolta associati ai terroristi per giustificare agli occhi dell'opinione pubblica lo sfoggio di armi e le dotazioni da guerra. I costi in termini di vite umane di queste politiche sono sproporzionati rispetto agli obiettivi e i risultati ottenuti. Non sono efficaci e, cosa più grave, si ignora cosa ci sia dietro, quali siano le reali intenzioni: economiche ed ideologiche. Nel frattempo la gestione dei Cie "nostrani" viene man mano affidata alla multinazionale francese Gespa. L'ingresso ufficiale di Gepsa nel mondo della reclusione in Italia non è una novità di poco conto, Gepsa, filiale di Cofely, società a sua volta appartenente alla multinazionale dell'energia Gdf-Suez, è stata creata nel 1987 per poter sfruttare le possibilità che lo Stato francese stava allora offrendo alle imprese private di partecipare al mercato della gestione e costruzione dei penitenziari d'Oltralpe. Un'apertura al privato legata alla decisione dello Stato francese di aumentare il numero dei posti disponibili nelle sue prigioni, cui Gepsa in questi anni ha sicuramente fornito un contributo importante, tanto da esser considerata come uno dei partner principali dell'Amministrazione Penitenziaria. Il suo acronimo rivela che è specializzata nella "gestione dei servizi ausiliari negli stabilimenti penitenziari" ed effettivamente, in quella che è la logistica della detenzione, Gepsa fa un po' di tutto: manutenzione generale e degli impianti elettrici, idraulici e termici, pulizia dell'edificio, consulenze informatiche, cura degli spazi verdi, vitto, trasporto e lavanderia per ì detenuti, ristorazione per il personale carcerario. Altra attività in cui Gepsa si distingue è lo sfruttamento del lavoro dei detenuti attraverso la gestione di numerose officine all'interno dei penitenziari. Attualmente la Gepsa, in Francia gestisce 34 carceri e 8 Centri per immigrati senza documenti per una superficie pari a 715 000 mq, e partecipa ad un consorzio per la costruzione e la gestione dì altri 4 penitenziari, che garantisce il lavaggio di quasi 8 tonnellate di indumenti e la preparazione di 14.500 pasti al giorno. Sono 400 infine i suoi dipendenti. Cifre che aiutano a dare un'idea di cosa sia Gepsa e che la rendono una della possibili candidate a diventare quel gestore unico dei Cie di cui ormai da tempo le autorità discutono. L'eventualità che Gepsa diventi il futuro gestore unico dei Cie italiani o anche solo che sostituisca la Croce Rossa nella gestione di un gran numero di centri è reale. Immigrazione: nel Cie di Torino dormono con il cappotto e non hanno acqua calda di Damiano Aliprandi Il Garantista, 17 dicembre 2014 Dormono con i cappotti purché manca il riscaldamento, ria una settimana non c'è nemmeno l'acqua calda e non possono lavarsi. Sono gli immigrati senza documento che vivono noi Contro dì identificazione ed espulsione (Cie) di Torino in una situazione di altissimo degrado. A denunciarlo è stato il deputato vendoliano Giorgio Airaudo che - assieme ai compagni di partito, il consigliere comunale di Torino Michele Curto e il consigliere regionale piemontese Marco Grimaldi - ha compiuto un sopralluogo all'interno della struttura di Corso Brunelleschi, la quale ospita 24 extracomunitari "in una situazione di degrado e di violazione dei diritti umani". Airaudo ha promesso che oggi presenterà a Montecitorio un'interpellanza urgente per chiederne la chiusura. "Il centro va chiuso perché - osserva Airaudo - e fatiscente e inoltre tenere aperta una struttura del genere per 24 ospiti e uno spreco. Le istituzioni trovino almeno una soluzione transitoria per quei 24 ospiti, che dormono con il cappotto e a cui è negata persino una doccia". Per installare una nuova caldaia servirebbe un investimento di circa 20mila euro, tanto basta per far affermare al consigliere regionale Grimaldi che "difficilmente il problema potrà essere risolto a breve". Tre anni fa per quel centro vennero investititi 14 milioni di euro, in modo da raddoppiarne gli spazi. Allora ospitava 220 persone, dieci volte tanto quelle che vi risiedono oggi, dopo l'incendio doloso nel corso di una rivolta che lo ha reso per gran parte inagibile. "Tenere aperta questa struttura è fuori rial buon senso, soprattutto perché l'esperienza dei Cpt prima e dei Cie dopo ha manifestato il suo fallimento - chiosa Grimaldi - inoltre si tratta di luoghi peggiori delle carceri in cui non ci sono condizioni umane e per questo molti di essi sono già stati chiusi. Il governo affronti il superamento dì questi centri". I vendoliani poi aggiungono che "a preoccupare è anche il fatto che da oggi l'appalto per la gestione passa dalla Croce Rossa, che lo gestiva al costo di 55,50 euro a persona, alla cooperativa Acquarinti di Agrigento, tristemente nota per essere il gestore del Cara di Roma, quello dove lo scorso anno gli ospiti sì sono cuciti la bocca con il filo elettrico per protesta. Ha ottenuto l'appalto al costo rii 37,80 euro a persona". Per gli esponenti rii Sei questa situazione configura "una violazione dei diritti umani sulla quale e urgente intervenire, individuando subito una soluzione transitoria per tamponare l'emergenza". L'inutilità e il degrado del Cie di Torino fu denunciato anche dal senatore Luigi Manconi in una ispezione risalente a febbraio scorso, cui avevano partecipato anche i parlamentari democratici Stefano Esposito e Miguel Gotor. Al termine della visita lo stesso Manconi definì il Cie "una struttura fallimentare se si guarda lo scopo per cui è stata creata". Mondo: pena di morte; le esecuzioni diminuiscono, ma non dappertutto di Andrea Colombo Il Manifesto, 17 dicembre 2014 Pena di morte. Il Rapporto 2014 di Nessuno Tocchi Caino. Cina e Iran in controtendenza. Domenica a Roma cinque donne, tutte vincitrici del premio Nobel per la pace, avrebbero dovuto partecipare all'iniziativa organizzata dall'associazione "Nessuno tocchi Caino" a favore della moratoria contro la pena di morte, in vista del voto all'Onu di giovedì prossimo: Mairead Carrigan Maguire, britannica, Jody Williams, Usa, Shirin Ebadi, Iran, Tawakkul Karman, Yemen e Betty Williams, Irlanda. All'ultimo momento tre di loro hanno dovuto rinunciare, pur confermando il loro impegno a favore della moratoria. Nella sede del Partito radicale c'erano invece Shirin Ebadi e Mairead Carrigan Maguire, La pacifista iraniana viene dal paese in cui, dopo la Cina, il numero delle condanne a morte eseguite è più alto, la sua testimonianza è stata certamente la più drammatica. La situazione in Iran, ha detto, non è cambiata negli ultimi anni nonostante la presenza di un presidente effettivamente democratico, ma privo di poteri in base alla costituzione islamica. La manifestazione, tenutasi nella stessa sede del partito radicale a Roma in cui Marco Pannella incontrava il Dalai Lama, è stata organizzata in contemporanea con la presentazione del Rapporto 2014 sulla pena capitale, con dati relativi al 2013. La situazione, stando ai numeri presentati alcuni giorni fa, appare lievemente migliorata. Le esecuzioni proseguono in molti Paesi, però arretrano quasi ovunque e nella presentazione del Rapporto 2014, alcuni giorni fa al Campidoglio, "Nessuno tocchi Caino" poteva mostrare una contenuta soddisfazione. La diminuzione drastica quasi ovunque delle esecuzioni conferma infatti che la strategia adoperata anche dall'associazione italiana, la stessa ribadita ieri dalle cinque donne Nobel, sta funzionando: si tratta di non puntare subito sull'abolizione ma sulla moratoria, come passo non ancora definitivo ma a portata di mano. La tesoriera Elisabetta Zamparutti ha elencato i dati. Nel 20013 le condanne eseguite sono state 4.106, 3mila della quali nella sola Cina. Seguono, nella macabra classifica, l'Iran, dove sono state giustiziati 687 condannati, e l'Irak, con 172 vittime, poi l'Arabia Saudita, 78 uccisioni di Stato. Nonostante la cifra impressionante, la situazione cinese non è in prospettiva quella più sconfortante. La Cina ha infatti rifiutato la moratoria, ammettendo di non essere in grado al momento di aderire, ma si è impegnata a farlo nel prossimo futuro e le fortune della pena di morte sembrano lì in discesa. Situazione opposta in Iran e Irak, che hanno rifiutato con sdegno la moratoria e hanno votato contro anche in sede Onu, come tutti i Paesi mediorientali tranne Israele, favorevole alla moratoria, e il Libano, astenuto. A differenza della Cina, Iran e Irak non hanno aperto nessuno spiraglio neppure per il futuro prossimo. Negli Usa, unico Paese delle Americhe dove la pena capitale sia ancora in vigore, il numero delle sentenze eseguite è invece in drastico calo: 39 nel 2013, in percentuale rapportata alla popolazione una quarantesimo di quelle eseguite in Cina. In Europa, il solo Paese dove la condanna a morte sia ancora in vigore è la Bielorussia: due esecuzioni nel 2013. India: sul "caso marò" per l'Italia un fallimento bipartisan di Ugo Tramballi Il Sole 24 Ore, 17 dicembre 2014 L'India nega le richieste natalizie dei nostri due marò e Giorgia Meloni, insieme ai Fratelli d'Italia tutti, sbraita contro il governo Renzi, accusandolo di lesa maestà nazionale. Volutamente Meloni dimentica di essere stata ministro del governo che in questa vicenda drammatica per i nostri due soldati e umiliante per il Paese, commise il primo madornale errore. L'attuale esecutivo è colpevole di leggerezza: aveva confidato troppo sull'arbitrato internazionale e nelle sue dichiarazioni il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni aveva mostrato un eccessivo ottimismo. Ma è solo l'ultimo di una catena di abbagli commessi da tutti i quattro governi che si sono succeduti da quando Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono finiti nelle mani della polizia indiana, il 19 febbraio 2012. Il primo errore fu commesso anche prima, dal IV governo Berlusconi: ministro della Difesa Ignazio La Russa con Giorgia Meloni al dicastero della Gioventù, sia pure senza portafoglio. Mal consigliato dai vertici militari, fu La Russa che, decidendo l'utilizzo dei marò a protezione delle navi civili italiane minacciate dalla pirateria, non diede alla missione una protezione giuridica internazionale, in caso di incidente. L'incidente accadde - due pescatori indiani uccisi - e il comandante della nave Enrica Lexie sostenuto dal suo armatore, commisero l'errore di attraccare in un porto indiano. Ignorando l'obbligo di chiedere il parere delle autorità militari o del governo italiano. Quindi toccò al ministro degli Esteri del governo Monti, Giulio Terzi. Ottenuto un permesso straordinario perché i nostri due marò tornassero in Italia a votare, decise di non rimandarli in India: dopo l'umiliazione dell'arresto di due soldati italiani anche quella di essere un Paese che non rispetta la parola data. E Terzi, ora con ambizioni politiche, gravita nell'area di Meloni. Infine, non si può non considerare un errore la grossolana ignoranza della classe politica e di alcuni commentatori riguardo all'India, scambiata, per dirla con Winston Churchill, come "una terra di fachiri seminudi". Con oltre 1,1 miliardi di abitanti, l'India è un Paese orgoglioso e in grande crescita economica con la quale l'Italia ha un interscambio commerciale pari a quello che abbiamo con la Polonia (40 milioni di abitanti). Nessun Paese che abbia maturato un'idea chiara di interesse nazionale permette che due suoi militari in missione all'estero vengano giudicati da un altro Paese: innocenti o colpevoli che siano. Ma se governi diversi hanno compiuto così tanti errori, è perché questo Paese - nella sua interezza, non solo la sua classe politica - non sa definire un concetto coerente e inclusivo di interesse nazionale. Lo possiamo constatare guardando le facciate delle amministrazioni locali nelle nostre città: se la giunta è di centro-destra, appare il manifesto che chiede la liberazione dei due marò; se è di centro-sinistra ci sono le foto dei sequestrati dell'Isis, delle ragazze nigeriane rapite o di chiunque altro tranne che di Girone e Latorre. Per questo Paese di contrade, di guelfi e ghibellini permanenti, i militari non sono soldati italiani detenuti all'estero: sono due patrioti o due fascisti. È per questo che il loro destino ormai è solo nelle mani del governo indiano: nella speranza che in Narendra Modi, il nuovo premier, l'animo pragmatico del promotore della crescita economica indiana prevalga su quello sciovinista del nazionalista hindu. Non c'è più nulla che possa fare l'Italia, a favore della quale non hanno mosso un dito l'Onu né la Ue. A meno che non si metta in pratica l'idea infantile di Ignazio La Russa: mandare i nostri reparti speciali a liberare Latorre e Girone. Una missione che non verrebbe in mente nemmeno ai supereroi della Marvel. Se siamo arrivati a questo punto la colpa è di tutti: di Renzi, della Meloni, della destra, della sinistra, dei comandi militari, dei sindaci, nostra, vostra. Turchia: il Paese è "lontano" dall'Europa, arrestati i giornalisti sgraditi a Erdogan di Vittorio Da Rold Il Sole 24 Ore, 17 dicembre 2014 Sono 31 le persone arrestate in Turchia, quasi tutte personalità di spicco di media critici nei confronti del governo dell'Akp, il partito del presidente Recep Tayyip Erdogan, in quella che il quotidiano Zaman, il cui direttore, Ekrem Dumanli è finito nella retata, ha definito "la domenica nera" della stampa "scomoda". Immediate le reazioni dell'Europa e degli Stati Uniti preoccupati per il grave episodio. Da Washington una nota del Dipartimento di Stato ha affermato: "La libertà di stampa, processi giusti e un sistema giudiziario indipendente sono elementi chiave in ogni democrazia. Come alleati e amici della Turchia, chiediamo alle autorità turche di assicurare chele loro azioni non violino questi valori chiave e le fondamenta democratiche del Paese". Il capo della diplomazia della Ue, Federica Mogherini e Johannes Hahn, commissario all'allargamento, hanno denunciato le operazioni della polizia turca, definite contrarie ai "valori europei" e "incompatibili con la libertà di stampa. Anche il nostro ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, è intervenuto affermando che "l'Italia non dà lezioni a nessuno ed è da sempre in prima fila nel tenere aperto il dialogo tra la Ue e la Turchia. Ma la libertà di espressione è un valore irrinunciabile". Ma il capo dello Stato turco, Erdogan, ha risposto in modo sorprendente esortando la Ue ad "occuparsi dei fatti propri". Inoltre ha annunciato un altro giro di vite per "ripulire le istituzioni dai traditori", facendo riferimento ai seguaci di Fethullah Gulen, un predicatore islamico auto-esiliatosi negli Stati Uniti, un suo ex alleato contro i militari ora divenuto un suo acerrimo nemico. Anzie Erdogan ha accusato Gulen di "complotti oscuri". La dura risposta di Erdogan alle legittime richieste di moderazione della Ue, non pare proprio la risposta più adatta di un Paese candidato che vuole entrare nell'Unione e rispettarne i valori fondanti. Non a caso il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, si è detta "molto sorpresa" per le parole del presidente Erdogan mentre la lira turca perdeva il 4% toccando il minimo storico a 2,3937 contro il dollaro superando il minimo del 27 gennaio quando la Banca centrale turca dovette alzare i tassi. Il rischio di deriva autoritaria nel Paese viene da lontano e non ha risparmiato le proteste di giovani contestatori di Gezi Park, che sono state duramente represse dalla polizia. Poi è arrivato lo scontro tra la confraternita islamica di Gulen ed Erdogan su un presunto scandalo di tangenti che ha costretto alle dimissioni tre ministri a gennaio ed ha sfiorato la stessa famiglia dell'allora premier adesso, dall'1 luglio, presidente della Repubblica. Erdogan e il premier Davutoglu sostengono la Fratellanza islamica in Egitto contro il governo del Maresciallo Al Sisi, e mettono in primo piano la lotta ai curdi e al regime del siriano Bashar Al Assad piuttosto che al Califfato dell'Isis. Tutti elementi che allontanano il Paese dall'adesione alla Ue. Stati Uniti: la Corea Nord chiede alle Nazioni Unite di denunciare gli Usa per torture Cia Ansa, 17 dicembre 2014 La Corea del Nord, accusata dall'Onu di violare i diritti umani, reagisce e punta il dito contro gli Usa inviando una lettera al Consiglio di sicurezza in cui chiede di concentrarsi sul capitolo delle torture praticate dalla Cia, come denunciato dal Senato americano. La mossa di Pyongyang include anche l'avvertimento diretto a Washington con la minaccia "della più dura delle reazioni" se continuerà il pressing sulla situazione dei diritti umani, ha affermato da un portavoce del ministro degli Esteri. Gli abusi su decine di detenuti per le accuse di avere legami con al Qaeda rappresentano "le più gravi violazioni dei diritti umani commesse al mondo", si legge nella lettera della missione nordcoreana permanente all'Onu. Pertanto, la questione "deve essere affrontata con urgenza dal Consiglio di Sicurezza visto che può avere impatti immediati e destabilizzanti su pace e sicurezza", rimarca l'ambasciatore Ja Song-nam che sollecita una "commissione d'inchiesta. Il Consiglio esaminerà la prossima settimana la situazione dei diritti umani in Corea del Nord: lo scorso mese, l'Assemblea generale ha approvato una risoluzione che chiede al Consiglio di demandare la questione alla Corte penale internazionale in base a un rapporto pubblicato a febbraio in cui si denunciano abusi "senza precedenti nel storia contemporanea". La Corea del Nord, inoltre, accusa direttamente gli Usa di usare la questione dei diritti umani come leva per abbattere la nazione e il suo sistema sociale. "Dovranno sperimentare la più dura delle reazioni per la politica ostile verso il Nord", dice il portavoce non identificato del ministero degli Esteri citato dall'agenzia Kcna. La "minaccia" è giunta a pochi giorni dal via libera del Congresso americano alla legge che impone al governo di presentare un rapporto sui campi di prigionia del Nord. Il portavoce sostiene che la decisione Usa va contro l'intesa sulla denuclearizzazione della penisola del 2005, visto che Washington cerca di "rovesciare il Nord". Malgrado il tavolo a Sei sull'abbandono delle ambizioni nucleari di Pyongyang, di cui fanno parte le due Coree, Usa, Cina, Russia e Giappone e che è in fase di stallo da fine 2008, il regime ha condotto tre test nucleari (2006, 2009 e 2013) minacciandone un quarto in risposta proprio alla risoluzione Onu sulla violazione dei diritti umani. Pyongyang ha sempre respinto le accuse e denunciato, invece, il ripetuto tentativo degli Usa di abbattere il regime. Tunisia: l'inferno delle carceri, mix esplosivo tra detenuti comuni e per fatti terroristici di Diego Minuti Ansa, 17 dicembre 2014 Se, come si dice, le prigioni sono la cartina di tornasole della civiltà di un popolo e di una nazione, è ancora lunga, ancorché difficile, la strada che la Tunisia deve percorrere per recuperare, in questo campo, il gap rispetto ad altri Paesi. E non è certo il grido d'allarme lanciato da Habib Rachdi, segretario generale del personale delle carceri tunisine, a fare di questo problema qualcosa di più grave rispetto alla realtà delle cose. Al Mornaguia, che è il più grande reclusorio del Paese e che Rachdi definisce, crudamente, come una bomba ad orologeria, è solo una conferma di una situazione che viene denunciata da tempo ed alla quale i governi tunisini del post-Ben Ali non hanno saputo trovare soluzione. Certo non per cattiva volontà, ma, più pragmaticamente, perché nella scala di priorità le condizioni di vita dei detenuti non erano, ne sono certo in cima ai pensieri dei governanti. Da quando il regime di Ben Ali è finito, si è tanto parlato di carceri e di come chi vi è recluso vive la quotidianità della sua condizione. Spesso le associazioni per la tutela dei diritti dell'Uomo (e quindi anche della popolazione carceraria) hanno fatto sentire la loro voce, ma con pochi risultati forse perché, in periodi di crisi, chi sta alla guida di un Paese ritiene di doversi preoccupare più di chi sta fuori che di chi sta dietro le sbarre. Ma Al Mornaguia è un caso a sè non solo perché è il carcere più grande della Tunisia, quanto perché accoglie, in un mix che può diventare esplosivo, detenuti comuni che politici, con i secondi a fare proselitismo ed i primi che non aspettano altro che di trovare una loro via verso la "redenzione". Sono ancora troppo poche le prigioni tunisine di recente costruzione e i piani di edilizia carceraria più volte annunciati non sono arrivati a concretizzazione. Così, detenuti per accuse lievi vengono a trovarsi accanto a quelli che sono gravati da pesanti addebiti, con una contiguità che spesso si traduce in una alleanza forzata perché altrimenti non si potrebbe fare. Così che i "comuni" sono a rischio di diventare strumenti di detenuti per fatti di terrorismo che li minacciano per ottenere favori e facilitazioni. E tali minacce, sarebbero un complemento rispetto alla rete di complicità di cui i terroristi possono godere anche tra il personale carcerario e dai loro avvocati e che consentono loro di continuare a relazionarsi con i compagni liberi, con i quali concordano strategie ed azioni violente. Vere o esagerate che siano tali considerazioni, resta il fatto che le carceri erano e restano degli incubatori, pronti ad investire col loro deflagrare una democrazia ancora troppo fragile.