L'amore entra dentro l'Assassino dei Sogni. Ottava parte Ristretti Orizzonti, 16 dicembre 2014 Testimonianza di un Uomo Ombra al seminario di Ristretti Orizzonti sugli affetti in carcere del primo dicembre 2014. "Anche questa giornata è giunta alla fine. Ora inizia il peggio. Incomincia la notte da ergastolano. Ieri notte ho parlato per ore con la mia ombra. Poi lei s'è addormentata. Ed io sono rimasto sveglio. A parlare da solo come i pazzi". (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com). Per invitare il Senatore Lo Giudice gli avevo scritto: La redazione di Ristretti Orizzonti ha appena lanciato la campagna per "liberalizzare" le telefonate e consentire i colloqui riservati delle persone detenute con i propri famigliari, come già avviene in molti Paesi. (Se volete aderire e sapere di più di questa iniziativa, visitate il sito www.ristretti.org o www.carmelomusumeci.com.). La mobilitazione dei giornalisti detenuti volontari della redazione di "Ristretti Orizzonti", insieme a moltissimi prigionieri di tutte le carceri d'Italia che si stanno anche attivando per raccogliere le firme dei propri compagni, sta suscitando attenzione e interesse su questi temi. Siamo anche contenti della presentazione (sua e di altri suoi colleghi) di un disegno di legge a favore dell'umanizzazione delle visite ai detenuti e di altre modalità per migliorare i colloqui e le occasioni di incontro con le famiglie. Cogliamo l'occasione per comunicarle che lunedì primo dicembre 2014 nel carcere di Padova ci sarà un convegno su questo argomento, a cui prenderanno parte persone detenute e loro famigliari. La invitiamo già d'adesso a presenziare all'evento. E lui mi aveva risposto: Gentilissimo Signor Musumeci, vorrei ringraziarla per le sue lettere e per avere inviato le sue pubblicazioni che ho letto con grande interesse. Sono felice di accettare il suo invito e quello di Ristretti Orizzonti alla conferenza del primo dicembre. Spero, in questa occasione, di poter fare la sua conoscenza e quella di altri detenuti anche per avere un momento di confronto sui temi che verranno affrontati nel corso dei lavori del seminario. Il Senatore inizia a parlare: Io intanto ringrazio Ristretti Orizzonti per l'invito perché io adesso non potrò seguire i lavori del pomeriggio, ma mi porterò dietro questa mattinata come una esperienza molto importante, perché anche rispetto alla proposta di legge che io ho presentato su cui adesso dirò due cose, come dire, voi l'avete in qualche modo riempita d'anima con le testimonianze di stamattina che danno anche a me un motivo in più per un impegno forte in questa direzione. Allora la proposta di legge che io ho depositato anzitutto devo subito dire che è la proposta di legge di Rita Bernardini, presentata da lei nella scorsa legislatura, che io ho voluto ridepositare per cercare di darle nuova vita e nuove gambe in questo mandato, in questa legislatura. Questa proposta di legge molto breve e molto sintetica di fatto introduce la possibilità da un lato di avere dei rapporti con il proprio compagno o la propria compagna, il proprio marito e la propria moglie in un ambiente riservato, quindi in una stanza chiusa non controllata, non monitorata. Dall'altra parte la possibilità di avere dei momenti di incontro più ampi di quelli attuali con i propri familiari, un pomeriggio al mese da passare con i propri affetti. (…) Lo descriveva bene prima il Professor Pugiotto, in cui anche una pratica di autoerotismo diventa un reato all'interno a delle mura carceraria, pensate com'è difficile porre questo tema. Ma è un tema che a me, mi appassiona come tutte le imprese difficili. Naturalmente ribadisco qui il mio impegno chiedendo a tutti voi, chiedendo a Ristretti Orizzonti, che è un po' il megafono di quello che accade all'interno delle mura carcerarie, di premere molto in questa direzione. Nel frattempo che ascolto il senatore penso che non ho nessuna possibilità di riprendere in mano la mia vita. L'ho sempre sperato, ma non ci ho mai creduto veramente. Poi penso alla mia compagna. La amo da una vita, ma a volte mi sembra di avere appena iniziata ad amarla. Mi viene in mente il giorno di tanti anni fa quando nell'aula della Corte D'Assise del Tribunale, dopo la condanna all'ergastolo, mi aveva urlato singhiozzando: ti aspetterò. E dopo quando mi stavano portando con le manette ai polsi, si era fatta largo fra decine di carabinieri per abbracciarmi. Era riuscita persino a sfiorarmi le labbra per darmi un bacio prima che i poliziotti con fatica riuscissero a spostarmi da lei. Credo che solo l'amore in quei lunghi dieci anni mi ha dato una ragione per vivere e anche il motivo per continuare ad amare il mondo da una cella. Poi è il momento del deputato Alessandro Zan. Studi, ovviamente molto consolidati sui legami familiari dicono, che un detenuto che ha conservato i legami familiari e affettivi e anche, come dire la propria sessualità, rischia in percentuale tre volte meno recidività rispetto a un detenuto i cui legami familiari si sono interrotti o si sono spezzati. Dunque c'è una sorta di adattamento passivo del detenuto che interrompe i legami familiari, affettivi e sessuali, questo perché, lo si è detto anche prima anche dalle testimonianze delle figlie dei detenuti, che un detenuto non è una persona a sé stante, ma avendo dei legami familiari di amicizia sociale, diciamo, estende la propria pena e la propria detenzione anche ai familiari. Dunque quello che il legislatore nel nostro caso e lo Stato deve fare è questo, cioè evitare che anche i familiari scontino una pena che ovviamente non devono scontare, e che vi sia sempre il rispetto della dignità umana anche per chi è in carcere. Devo dire che il tema dei dieci minuti di telefonata a settimana con la vocina che a un certo punto dice che sta per scadere il tuo tempo, introduce anche un elemento di crudeltà e di sadismo che non ha a nulla a che fare con lo stato di diritto, che non ha nulla a che fare con i nostri principi costituzionali. E nel frattempo che ascolto continuo a pensare alla mia compagna. Dopo tanti anni è ancora lei l'amore che avevo sempre atteso. Mi ricordo ancora le sue prime parole, i suoi primi sorrisi e i suoi primi baci. Da molti anni viviamo giorni smarriti, perduti, disperati. Da tanti anni lei si fa ancora amare da un uomo senza speranza e futuro. Da molti anni le mie mani non l'accarezzano. Da tanti anni lei mi sta dando tanto e io invece così poco. E ci abbracciamo, ci baciamo e ci amiamo fra le sbarre solo con i nostri pensieri. Continua... Giustizia: reato di tortura? Cambiatelo, o sarà inutile di Michele Passione e Luciano Eusebi Il Garantista, 16 dicembre 2014 Ecco le proposte per rendere più "europeo" il testo uscito dal Senato. Ieri è scaduto il termine per la proposizione di emendamenti alla proposta di Legge 2168, approvata dal Senato il 5 marzo e trasmessa all'esame della commissione Giustizia della Camera. Chi scrive ha provato a dare un contributo al legislatore, affinché il dibattito che si svilupperà sul testo già licenziato in un ramo del Parlamento (quello che tutti vorrebbero modificare) non perda di vista quanto previsto nella Convenzione sulla Tortura (Cat), che abbiamo ratificato da più di due decenni non avendo all'epoca formulato riserve, senza peraltro essere ancora riusciti a introdurre nel nostro ordinamento il reato di tortura, l'unico richiesto in modo esplicito dalla Costituzione, ex articolo 13. E' sufficiente porre a confronto il testo dell'articolo 1, e in particolare il primo comma, della Convenzione, con l'articolo 613-bis del codice penale, come approvato al Senato, per accorgersi che, all'evidenza, si sta parlando d'altro. E infatti, mentre il reato di tortura definito dalla Convenzione costituisce, com'è ovvio, un reato proprio, del funzionario dello Stato, che, approfittando dei poteri che gli sono legittimamente conferiti dall'ordinamento, mina alla radice la fiducia che i cittadini devono poter riporre nelle istituzioni, quello approvato da Palazzo Madama costituisce un reato comune, prevedendosi un'ipotesi aggravata se l'autore è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Un reato comune, per giunta, quanto mai carente circa la determinatezza delle condotte e, nel contempo, del tutto inadeguato rispetto alle più moderne ed efficaci tecniche di tortura, non riconducibili alle "violenze o minacce gravi" ivi contemplate (con un'ambiguità, fra l'altro, circa la previsione di tali termini al plurale): esso finirebbe per essere applicabile in contesti ben difficili da definirsi a priori, dal disvalore ben diverso rispetto alla tortura, non senza sovrapposizioni con l'ambito applicativo di altri reati. In particolare vengono inclusi in un'unica previsione i "trattamenti inumani e degradanti" e le condotte violente, laddove i primi, di cui all'articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti dell'uomo, sono da sempre ritenuti distinti dagli atti di tortura, soprattutto sotto il profilo dei loro fini, dalla Corte di Strasburgo. Mentre non si ricomprende nell'ipotesi dell'istigazione quella riferita a soggetti non qualificati dal ruolo. Appare dunque necessario ridefinire l'illecito (secondo quanto previsto dalla stessa Convenzione del 1984) attraverso una struttura di "reato proprio" a dola specifico che dia rilievo alle finalità tipicamente perseguite con la tortura e attraverso un'esplicita previsione del carattere intenzionale del pregiudizio che si infligge per conseguire tali finalità; confondere i comportamenti di tortura in una gamma indefinita di condotte, aperta a letture arbitrarie, significherebbe non soltanto deflettere da indispensabili presupposti garantistici, ma altresì compromettere l'efficacia preventiva delle nuove norme. Del resto, chi ancora ricorda le vicende giudiziarie di quanti subirono nella caserme le delizie de "l'algerina", chi non può dimenticare quanto accaduto alla Diaz, a Bolzaneto e nel carcere di Asti qualche anno fa, sa che la tortura non può essere altro da quel che è stato, oppure nessuno è Stato. Del pari, non servono esasperazioni sanzionatone che impediscano di tener conto dei diversi possibili livelli di gravità delle condotte e degli apporti in sede di concorso, perseguendo intenti simbolici che tolgono autorevolezza al messaggio normativo. Non serve, dunque, prevedere una pena fissa (incostituzionale, essendo possibili scenari diversi della colpevolezza e dei fattori che incidono sul prodursi dei risultati lesivi), e addirittura di trent'anni, per il caso della morte prodottasi come effetto non voluto. O escludere la valutazione del giudice circa le entità degli aumenti di pena previsti (in un contesto già problematico come quello dei delitti aggravati dall'evento), O rendere sproporzionati gli spazi edittali rispetto ad altri contesti, fino a escludere apriori, attraverso il livello della pena minima, che nel caso di apporti marginali possa evitarsi la detenzione. Non serve poi, in particolare, prevedere il caso dell'omicidio volontario del torturato, punendolo con l'ergastolo, e non solo perché ciò è già consentito attraverso le aggravanti comuni previste dal codice, ma soprattutto perché la previsione esplicita di un nuovo reato punito con la pena perpetua renderebbe difficile proporre allo stesso legislatore la messa in discussione del "fine pena mai", quale sanzione non conforme al senso di umanità, e costituzionalmente illegittima. Sarebbe utile, invece, introdurre nel solco della Convenzione anche norme di prevenzione anticipata: per esempio relative alla formazione del personale di pubblica sicurezza o alla registrazione dei rapporti con persone private della libertà personale, ove non avvengano in presenza del magistrato. Sappiamo che tanti, anche persone amiche, temono che si perda anche questa occasione, e che molti pensano che "l'ottimo è nemico del bene". Noi invece crediamo che l'attesa infinita non debba portare a introdurre una norma ibrida, vaga, viziata alla radice da un contrasto insanabile con la Convenzione del 1984, e dunque costituzionalmente viziata, ove fosse approvata senza emendamenti nel testo proveniente dal Senato. Per queste ragioni, un avvocato e un professore, un pratico e un teorico, hanno unito le forze, pensando fosse loro dovere mettere a servizio dello Stato una visione del Diritto laica, equa, efficace e democratica. Giustizia: Mafia Capitale, quando la politica perde la passione e si fa "mestiere" di Enzo Scandurra Il Manifesto, 16 dicembre 2014 Vedo con crescente preoccupazione una possibile e probabile soluzione finale alla nota e terrificante vicenda di "mafia Capitale". E cioè: una serie di arresti di noti e meno noti criminali, una serie di condanne a esponenti politici presi tra tutti i partiti, la carriera interrotta di altri lanciati verso un successo personale sicuro, il discredito di persone magari tendenzialmente oneste ma che hanno avuto la sventura di "incontrare" nel loro percorso la rete del malaffare diffuso, il sacrificio di molti onesti ancorché ingenui, maldestri o incauti. Dopodiché fine di una brutta storia; next please! si riparte. Il popolo dimentica rapidamente, aiutato dai media sempre a caccia di sensazionalismi e nuovi untori. È vero invece che diverse concause - che hanno radici lontane nella mala politica - hanno concorso insieme per condurre l'amministrazione romana verso questo esito tragico e che a tentare un'analisi delle responsabilità, la rete delle complicità si propaga senza fine come le onde di uno stagno dove si è gettato un sasso. Bisognerebbe analizzarle con calma queste cause distinguendo tra reati giudiziari veri e propri (a questo ci pensa la magistratura) e comportamenti politici magari non perseguibili penalmente ma che non assolvono coloro i quali, magari più scaltri, hanno camminato sul filo della legalità perdendo di vista la bussola dei codici ideologici di riferimento e l'etica politica. Da ultimo c'è il popolo romano, un popolo a volte cinico, disincantato quello che, come ricorda Pasolini, ha una sola espressione per manifestare il proprio stupore: "Anvedi oh!". Anche lui non è innocente, pronto sì a ritirare la fiducia a chi ha sbagliato, ma altrettanto superficiale nel farsi ingannare da nuovi miti. Difficile che questo popolo si trasformi in cittadinanza attiva, sensibile ai propri doveri e ai propri diritti; esso è sempre pronto invece a farsi abbagliare da obiettivi sorprendenti (il nuovo stadio della Roma, le Olimpiadi prossime). Detto così quella romana sembrerebbe una situazione senza vie d'uscita, ma è proprio a partire da questa cruda realtà che può prendere forza (altro che rimpasti e commissariamenti) l'ipotesi di un risveglio della Politica, intesa, come sosteneva Michele Prospero in un articolo di qualche giorno fa (il manifesto del 3 scorso), come passione ideale, impegno pubblico, senza i quali tutto, prima o poi, ritornerà come prima. In questo quadro desolante c'è la solitudine di gran parte delle persone che conducono una vita onesta ma che non hanno più rappresentanti nell'amministrazione e nella politica in generale. Coloro che vorrebbero vedere una città pulita, che non nutrono rancore nei riguardi dei poveri e degli immigrati, che, anzi, li accolgono e li aiutano, coloro che affrontano con dignità le difficoltà quotidiane, coloro che fanno bene il proprio lavoro anche quando è mal pagato e rischiano di rimanerne fuori al minimo segnale di crisi. Ma costoro non fanno numero, spesso disertano le urne, sono silenziosi e tanto più inascoltati, invisibili e afoni nel circo della politica che grida e strilla. Quando si parla di "partecipazione" (parola diventata quanto mai insidiosa da maneggiare) è a costoro che bisognerebbe pensare e parlare, oltre che ascoltare con umiltà. Perché anche il rito della cosiddetta partecipazione, senza quel corollario di passioni e virtù civiche necessario, senza un contesto valoriale che la definisca, ha prodotto, e produce, danni e nuove emarginazioni. Essa assume il sapore di contrattazione e di mediazione tra interessi in gioco e, in nome del realismo politico, scade assai spesso ad opportunismo, puro adattamento alla realtà. Ogni volta che essa è stata invocata, sia da gruppi organizzati sia da amministratori scaltri, ha innescato un corto circuito che ha messo fuori gioco le voci più deboli e più fragili allargando la rete delle complicità. Ha, qualche volta, creato ulteriori aggregazioni di poteri che si sono sommati a quelli già esistenti rafforzandoli. A Roma, tutti lo dicono, non si è mai rotto il patto nefasto tra amministrazione e "mattone", ovvero quella giungla di interessi che ruota intorno al consumo di suolo, alle concessioni ad edificare facili, al trattamento dei rifiuti. Il territorio resta sempre il convitato di pietra sia perché disponibile a nuove (quanto inutili) costruzioni, sia perché altrettanto disponibile ad accogliere i rifiuti prodotti dai cittadini. Forse Marino aveva iniziato a colpire questi interessi - ancora non lo sappiamo con certezza - ma certo qualcuno, o lo stesso Sindaco, dovrà pur farlo se davvero non vogliamo rimanere impigliati in questo tragico destino vergognandosi di essere romani. Come mai bisogna appellarsi sempre più spesso, noi di sinistra, alle parole di Papa Francesco? "Oggi viviamo in immense città che si mostrano moderne, orgogliose e addirittura vanitose. Città che offrono innumerevoli piaceri e benessere per una minoranza felice ma si nega una casa a migliaia di nostri vicini e fratelli, persino bambini. Città che costruiscono torri, centri commerciali, fanno affari immobiliari ma abbandonano una parte di sé ai margini, nelle periferie, che demoliscono baracche, immagini tanto simili a quelle della guerra"? Perché ci è accaduto di non essere più noi a pronunciare queste semplici frasi? Inizia da qui la decadenza della politica che si fa mestiere e professione in nome di un'efficienza tecnica senza volto, di un "buon governo" di presunti onesti che non sa da che parte stare e da che parte andare. Salendo su un taxi a Napoli, il conducente venuto a conoscenza della mia provenienza romana, ha detto: "Sono contento di quanto vi sta succedendo, sembrava che la colpa fosse tutta di Napoli e di noi sudisti straccioni". Amara consolazione la sua per essere stati messi tutti insieme nel pantano nazionale. Giustizia: Migliucci (Ucpi) il ddl contro la corruzione? uno spot, pieno di errori e bugie di Errico Novi Il Garantista, 16 dicembre 2014 Il presidente dei penalisti: le norme attuali già assicurano pene detentive e confische, sulla prescrizione introdotte soglie folli. C'è già tutto". Come c'è già tutto? "Vuoi mandare in carcere un corrotto? Gli dai 5 anni con il processo abbreviato e va in carcere: la legge già lo consente. Il corrotto chiede il patteggiamento? Il pm dà parere negativo e non si patteggia. Vogliamo parlare della confisca dei beni? La norma sulla confisca di un bene dal valore equivalente a quello acquisito attraverso la pratica corruttiva esiste già. Già oggi si può incidere sul patrimonio ed è possibile ottenere la restituzione del maltolto". Beniamino Migliucci, presidente delle Camere penali, non ha dubbi: il disegno di legge su corruzione e processo penale annunciato venerdì sera dal premier Renzi e dal guardasigilli Orlando è "una ricerca di facile consenso". Realizzata attraverso provvedimenti in linea di massima superflui, sovrabbondanti rispetto alla legislazione attuale. Con un'eccezione: il meccanismo con cui vengono incredibilmente dilatati i termini di prescrizione per le varie fattispecie corruttive: nel caso di quelle legate agli atti giudiziari, il combinato disposto delle varie novità presentate dal governo potrebbe portare a processi lunghi anche 24 anni. "Quanto quelli per omicidio doloso", dice Migliucci. Che da rappresentante dell'avvocatura penale è chiamato a questo punto a una difficile battaglia politica. Ecco Migliucci, cosa pensate di fare? Se passassero le ipotesi più hard sussurrate in queste ore a proposito del testo governativo, ancora non ufficialmente incardinato, ci sarà una vostra mobilitazione? La cosa più seria che possiamo fare è attendere il testo. Esprimeremo la nostra contrarietà anche se i contenuti fossero fermi a quanto esposto pubblicamente venerdì sera a Palazzo Chigi. Il giudizio sarà assolutamente negativo se si realizzassero tutte le ipotesi più estreme. Ma il nostro compito è quello di incidere sotto il profilo culturale per arrivare a un indirizzo diverso in Parlamento. È lì che si fanno le leggi. E già l'iter parlamentare rischia di rivelarsi un groviglio: il ddl si abbatterà sulla commissione Giustizia della Camera, dove dovrà aggiungersi ai testi già definiti dai deputati, sulla prescrizione per esempio. Faremo tutto il possibile per favorire il confronto, perché si ragioni sulle questioni senza legiferare sotto la spinta emotiva dell'emergenza, del caso Roma. La Cassazione a sezioni unite ha ricordato che le pene draconiane non sono mai la soluzione. E la legge Severino ne è la prova: non mi pare abbia migliorato le cose. Qual è la strada per prevenire casi come quello della banda Buzzi-Carminati? Difficile che si possa risolvere tutto con la repressione. La radice del fenomeno è nella scarsa cultura della legalità, nella maleducazione delle classi dirigenti. La politica cerca di rimuovere tutto con misure clamorose. E infatti questo disegno di legge penale corrisponde al solito schema, quello che si era già manifestato all'indomani della sentenza sul processo Eternit: si risponde alla contingenza immediata secondo il principio del consenso facile. In modo furbo, anche perché molti obiettivi assegnati a questo provvedimento sono già raggiungibili con le norme in vigore. Esempio? La possibilità che chi è colpevole di corruzione sconti la pena in carcere: l'attuale previsione da 4 a 8 anni è sufficiente ad assicurare l'effettività della pena detentiva. È una balla che su questo sia necessario intervenire. E poi c'è un errore di principio, in quella battuta del presidente del Consiglio sul fatto che "un po' di carcere uno se lo deve fare". Che errore? Il carcere non è un antidoto che va somministrato a prescindere dalla valutazione del giudice. Il quale deve essere autonomo. In ogni caso non c'era alcuna necessità di intervenire. Non è vero neppure che oggi il patteggiamento non possa essere accompagnato dalla restituzione del maltolto. E chi come me faceva il mestiere di avvocato penalista già all'epoca di Mani pulite sa benissimo come funzionava: i pubblici ministeri non ti concedevano il consenso a patteggiare. E i sequestri preventivi? Sono già previsti anche per i reati di corruzione. Così come già oggi è possibile arrivare alla confisca per equivalente. Se tu hai preso 100mila euro e tre orologi preziosi, ma sul tuo conto corrente e nella tua cassetta di sicurezza non c'è più nulla, si confiscano altri beni di proprietà del condannato per un valore equivalente a quello oggetto dell'illecito. Un ddl di soli fuochi d'artificio? Sul fronte della prescrizione l'impatto rischia di essere molto concreto: nel caso di reati per corruzione in atti giudiziari si potrebbe arrivare a processi che durano 24 anni. Ma le sembra normale? Come per l'omicidio. Appunto. Mi chiedo: ma la pena non dovrebbe arrivare quanto più è possibile vicina al fatto? Soprattutto nel caso dei politici, degli amministratori pubblici: non c'è forse il diritto a sapere il prima possibile se quella persona è davvero disonesta? E a saperlo con un processo propriamente detto anziché con un processo virtuale, mediatico? Si è sparato così forte che l'iter parlamentare rischia di complicarsi. Guardi, questo sinceramente non ci farebbe stare preoccupati, anzi. Meglio, s'è c'è un approfondimento. Ma resta comunque inaccettabile il messaggio trasmesso, secondo cui in carcere ci sono pochi condannati per corruzione perché i loro reati vanno sempre prescritti. Non è vero: quei processi vengono in genere celebrati prima degli altri proprio perché hanno un grande impatto mediatico. Quindi innalzare la prescrizione incoraggerà semplicemente i magistrati a prendersela comoda? Rispondo con una domanda: secondo lei perché la giustizia civile è più lenta? Proprio perché non c'è la prescrizione, che agisce eccome da acceleratore, sempre che i termini non tendano all'infinito. Questa legge è un cedimento alle Procure? Io dico questo: la misura più utile al sistema della giustizia penale è quella che non è contenuta in questo ddl, ossia evitare che arrivino a processo i casi per i quali non è necessario arrivarci. Bisognerebbe intervenire sulla obbligatorietà dell'azione penale, in realtà ora gli uffici giudiziari decidono quali reati mandare avanti e quali bloccare. Proprio per avere più equilibrio, l'obbligatorietà andrebbe contemperata con la ragionevole durata del processo. Anche nell'interesse delle persone offese, e della collettività. Ma con questo tipo di interventi il consenso aumenta sul serio? Questo ddl di sicuro è uno spot, come altri che si sono visti nel recente passato. Come nel caso dell'incidente grave a cui segue a stretto giro un disegno di legge sull'omicidio stradale. Questo ddl era per voi penalisti il più atteso. Anche se il contenuto completo del testo non è ancora stato reso noto, si può dire che è andata peggio di come temevate? La cosa che ci lascia più perplessi è proprio la mancanza di quel disegno complessivo a cui m riferivo. Ci vorrebbe un intervento sulle questioni decisive, costituzionali, ma questa organicità non si vede. Garanzia e durata ragionevole dovrebbero procedere di pari passo, non è così. Se davvero si pensa di sconfiggere l'illegalità con le pene più alte siamo di fronte a un'illusione assoluta. Giustizia: celebrazione della "Giornata della trasparenza" con ministro Orlando e Cantone Agi, 16 dicembre 2014 Questa mattina celebrazione della "Giornata della Trasparenza", prima volta per il dicastero di Via Arenula. Per l'occasione, il ministero della Giustizia presenta il Piano e la Relazione sulla performance, come previsto dal decreto legislativo 33/2013 in tema di riordino della disciplina sugli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. L'incontro si apre con il saluto del ministro Andrea Orlando e del presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone. A seguire la relazione introduttiva del direttore generale della Giustizia Penale Raffaele Piccirillo, responsabile della prevenzione della corruzione del Dicastero, gli interventi dei capi dei quattro dipartimenti ministeriali, del responsabile della Trasparenza Maria Laura Paesano, del referente della Performance Simona Rossi e del presidente dell'Organismo indipendente di valutazione Antonio Paoluzzi. Chiusura affidata al capo di Gabinetto Giovanni Melillo. Giustizia: Nitto Palma (Fi); perplessità per indagato in Commissione Diritti Umani Agi, 16 dicembre 2014 "Desta perplessità il fatto che, nonostante quanto ripetutamente afferma il presidente Piero Grasso sulla opportunità politica, un soggetto sottoposto a procedimento penale per la sua attività di commissario per il piano carceri, venga utilizzato in una Commissione importante come quella dei Diritti Umani". Il presidente della commissione Giustizia del Senato Francesco Nitto Palma, a Napoli, contesta così la nomina del prefetto Angelo Sinesio, indagato dalla procura di Roma su un giro di appalti e mazzette per i lavori di ristrutturazione dei penitenziari quando ricopriva l'incarico di commissario straordinario al Piano carceri. "Siamo convinti sostenitori dell'articolo 27 della Costituzione - prosegue il senatore di Forza Italia - Riteniamo che il principio della non colpevolezza sia un valore da preservare, ma si tratta di una commissione delicata dove è parte importante il sovraffollamento carcerario e conseguentemente la rapida attuazione del piano carceri". Falanga (Fi): Grasso accetta indagato in commissione? "Trovo davvero sconcertante che il Consiglio dei ministri abbia collocato fuori ruolo presso la Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato il prefetto Angelo Sinesio, indagato dalla procura di Roma su un giro di appalti e mazzette nel business dei lavori di ristrutturazione dei penitenziari quando ricopriva l'incarico di commissario straordinario al piano carceri". Lo ha dichiarato in una nota il senatore di Forza Italia, Ciro Falanga, che ha aggiunto: "Sono un convinto garantista, e credo fermamente nella presunzione d'innocenza, ma mi chiedo come possa il presidente del Senato, che si batte da sempre per la legalità e la trasparenza, accettare che venga distaccato presso il Senato un indagato per reati quali il falso, l'abuso d'ufficio e la diffamazione, anche e soprattutto quando attengono al mondo della detenzione che tanto ha a che fare con la tutela dei diritti umani". "Per questi motivi - ha proseguito - sto valutando l'ipotesi di dimettermi dalla Commissione, della quale sono attualmente vicepresidente. Non voglio avere nulla a che fare con un sistema che privilegia i rapporti personali ai principi di legalità, tanto meno in un momento in cui la capitale d'Italia è sommersa dallo scandalo. E mi stupisco - ha concluso Falanga - che il presidente Grasso accetti tutto ciò come se fosse la normalità". Giustizia: caso Cuffaro, il ministro Orlando indaga sulla visita negata alla madre di Mariateresa Conti Il Giornale, 16 dicembre 2014 Dopo la mobilitazione, il Guardasigilli ha disposto accertamenti sul mancato permesso al politico detenuto. Il permesso di visita alla mamma malata negato all'ex governatore di Sicilia detenuto Salvatore Cuffaro approda in via Arenula. Il ministro di Giustizia Andrea Orlando ha disposto accertamenti sul "no" del giudice di sorveglianza di Roma Valeria Tomassini, motivato tra l'altro dal fatto che la signora, novantenne, è affetta da demenza senile con deficit cognitivo e quindi non lo riconoscerebbe. Un "no" confermato dal tribunale di Sorveglianza di Roma a maggio, due mesi dopo il primo, e firmato da altre due giudici donna, Maria Gabriella Gasparri (estensore) e Albertina Carpitella (presidente). A sollecitare l'intervento del Guardasigilli sul caso, aprendo la mobilitazione, è stata l'ex ministro e deputata di Forza Italia Stefania Prestigiacomo, indignata per la visita vietata. "Il ministro - dice soddisfatta - mi aveva assicurato che sarebbe intervenuto". Orlando ha incaricato degli accertamenti l'Ispettorato generale del dicastero di via Arenula. A scatenare l'indignazione generale, oltre al divieto di permesso per un detenuto modello che ha già scontato oltre metà della pena (sette anni per favoreggiamento aggravato alla mafia) erano state le motivazioni. Il giudice infatti a marzo, nel sottolineare che non sussistevano i requisiti di eccezionalità visto che la signora non era moribonda, ha anche aggiunto che "il deterioramento cognitivo evidenziato svuota senz'altro di significato il richiesto colloquio poiché sarebbe comunque pregiudicato un soddisfacente momento di condivisione", che tradotto significa che la mamma, che ha la demenza senile, tanto non capirebbe. Un concetto ripreso a piè pari in sede collegiale, dopo il reclamo dei difensori di Cuffaro. Il "no" bis è stato depositato lo scorso 27 maggio. Stesso riferimento nel provvedimento al "deterioramento cognitivo" che renderebbe a parere delle toghe inutile la visita. Stesso riferimento al fatto che Cuffaro aveva incontrato la madre in occasione della morte del padre il 31 dicembre del 2012. Dunque oltre un anno prima. Quando - ma questo nel provvedimento non c'è - per il permesso firmato in ritardo non arrivò nemmeno ai funerali di papà Raffaele, solo alla tumulazione. Dettagli. Come dettaglio è evidentemente per le toghe il fatto che la mamma del detenuto sia affetta "da numerose patologie fisiche - si legge nel diniego bis - e da una grave sindrome depressiva insorta con la morte del marito e acuita dalla lontananza del figlio". Nulla da fare, però. "Reclamo infondato". E un ultimo bacio negato, visto che Cuffaro uscirà solo tra un anno, troppo per una novantenne gravemente malata. "C'è sempre stato ? dice l'avvocato dell'ex governatore, Maria Brucale ? un atteggiamento di chiusura rispetto al detenuto, in contrasto con l'atteggiamento di rispetto di tutte le decisioni che Cuffaro ha avuto". Rispetto, massimo rispetto. Come quello che Cuffaro ha dimostrato anche lo scorso 5 dicembre, quando lui e la giudice Tomassini, che gli ha negato di rivedere mamma Ida, si sono ritrovati insieme come relatori a un dibattito ripreso da Radio Radicale, alla presentazione del libro di coordinato da Mario Ruotolo Il senso della pena. A un anno dalla sentenza Torreggiani della Corte Edu di cui Cuffaro è uno dei co-autori. Nessun accenno alla vicenda personale. Nessuno sfogo. Detenuto modello di fronte a tutto. Anche a una palese ingiustizia. Lettere: quelli che tiravano le monetine a Craxi di Fabrizio Cicchitto (Parlamentare Ncd) Il Garantista, 16 dicembre 2014 I garantisti autentici, quelli che sono tali sia per gli amici che per i nemici, hanno sempre avuto vita difficile nel nostro Paese. Anche adesso la situazione è tutt'altro che brillante. I garantisti sono stretti fra due situazioni entrambe negative: da un lato a Roma è emersa una criminalità politica profondamente inserita sia in un'area di centro-destra, sia in larghe parti dell'amministrazione comunale, sia nel cuore del Pci-Pds attraverso la cooperativa leader del 29 giugno inseritasi abilmente nel gioco delle correnti di quel partito. Il colmo è stato raggiunto con la stretta connessione fra la leadership di queste due reti criminali (da un lato Carminati, dall'altro lato Buzzi, in mezzo Odevaine). Questa rete si è poi tradotta nella gestione cinica e deteriore dei rifugiati, dei rom, della manutenzione stessa della città in comparti decisivi, dai giardini ai tombini. La scoperta da parte della magistratura, e di ciò gliene va dato merito, di questa situazione, ha provocato prima uno choc mediatico, poi uno choc politico, quindi una risposta sul terreno legislativo, chiaramente influenzata dall'emozione del momento e anche dalla volontà di Renzi di tamponare in questo modo la profondità del coinvolgimento del suo partito romano. La linea di fondo seguita - che la delegazione del Ncd ha condizionato ed attenuato ma che non ha potuto rovesciare vista anche la pressione dell'opinione pubblica - è quella dell'aumento delle pene e dell'aumento dei tempi della prescrizione. Ora i primi, cioè gli aumenti di pena, storicamente hanno rappresentato un deterrente molto relativo. Ma quello che suscita in noi la maggior perplessità è l'aumento della prescrizione. L'aumento dei tempi di prescrizione significa dare per scontata l'attuale spropositata durata dei processi. Inoltre non ci convince affatto l'ipotesi dell'uso dei pentiti, non rientrata nel disegno di legge, ma che si vorrebbe riproporre a livello parlamentare, che può produrre solo guasti, abusi e perversioni; tantomeno ci convince l'ipotesi di adottare per la corruzione gli stessi meccanismi legislativi adottati per la mafia. A nostro avviso per colpire al cuore la corruzione occorrerebbe una serie di provvedimenti di natura non penale. In primo luogo la estrema semplificazione delle stazioni appaltanti e la gestione degli appalti realizzata da authority distaccate dai livelli amministrativi, regionali e locali, ma del tutto "terze" e composte da personalità al di sopra di ogni sospetto per il loro ruolo istituzionale. In secondo luogo va smontato il meccanismo del "massimo ribasso" la cui gestione è sempre stata uno degli strumenti essenziali della corruzione gestita a livello amministrativo e politico. Ma detto tutto ciò non possiamo fare a meno di rilevare che esistono anche problemi politici assai seri. Nella vicenda di "mafia Capitale" c'è una sorta di vendetta della storia: ad essere politicamente protagonisti di essa sono proprio le aree politiche - quella post-fascista e quella post-comunista - che a suo tempo cavalcarono Mani Pulite. Basta pensare a chi c'era a lanciare monetine a Craxi davanti al Raphael e a chi guidò il corteo che nel 1993 fece un girotondo intorno al Parlamento al grido "arrendetevi, siete circondati". Ma per quello che riguarda il Pd c'è qualcosa di più profondo. Il Pd è l'unico partito che ha conservato una parallela struttura economica costituita dalle cooperative rosse, malgrado che esse siano risultate nel 92-94 coinvolte anche nelle forme più estreme nel sistema di Tangentopoli, vale a dire nella connessione con le imprese mafiose (vedi Catania) portate in consorzio a lavorare in Emilia in cambio di analogo comportamento a loro favore in Sicilia. Grazie al sistema protettivo di natura giudiziaria e specialmente mediatica di cui allora godeva il Pds il sistema delle cooperative si è salvato da Tangentopoli (anche se molti esponenti di esse sono stati condannati ma senza alcun clamore mediatico e quindi senza conseguenze politiche) e ha avuto da allora ad oggi un trattamento preferenziale a tutti i livelli: in questi anni come minimo gli abusi in atti d'ufficio si sono sprecati. Allora ci sembra che Renzi stia commettendo un grave errore quando per un verso commissaria il partito con Orfini e non fa altrettanto per il Comune dove invece si aggrappa a Marino che, pur avendo a disposizione una relazione della Corte dei Conti, o non ha capito o non ha voluto capire e che comunque si è dimostrato un totale incapace. Non è che un incapace, perché onesto, deve avere un trattamento privilegiato sul piano politico. Allora proprio se si vogliono salvare la politica e i partiti insistere su Marino in termini che ricordano l'accanimento terapeutico è suicida. Come ha proposto Bettini, è bene che sia lo stesso Marino a provocare l'autoscioglimento del Comune, salvo poi ricandidarsi. Si tratta di un passaggio che richiede da parte di tutti una fortissima capacità innovativa che coinvolge in modo profondo il quadro politico tradizionale: a nostro avviso, a parte le radicali differenze a livello politico nazionale fra l'Ncd e la Lega, a Roma non è neanche lontanamente ipotizzabile la riproposizione del confronto fra il tradizionale centro-destra e il tradizionale centro-sinistra perché hanno entrambi fallito sia nella gestione politico-amministrativa della città sia sul terreno decisivo del rispetto della legalità da parte di settori importanti di entrambi gli schieramenti. Toscana: impegno dell'Anci su "messa alla prova" e lavori socialmente utili per i detenuti Il Tirreno, 16 dicembre 2014 Reinserimento sociale degli ex detenuti attraverso lavoro retribuito per la salvaguardia e la manutenzione del territorio. Parte da Pisa, dove ieri, 15 dicembre, si è svolto il convegno "Proviamoci", la proposta di Anci Toscana, Aci Toscana, Regione Toscana, Dap e Ufficio dell'esecuzione penale alla Cassa delle Ammende. Messa alla prova, lavoro di pubblica utilità, reinserimento lavorativo: le amministrazioni locali, insieme all'Anci Toscana, si candidano a svolgere un ruolo sempre più attivo nei processi di reinserimento e inclusione sociale delle persone che si trovano nel circuito penale, detenute o ex detenute. Se ne è parlato oggi a Pisa nel corso del convegno "Proviamoci" organizzato da Anci Toscana. Con la legge 381 del 1991, i detenuti o ex detenuti potevano svolgere lavori socialmente utili. Oggi, la legge 67/2014 ha introdotto uno strumento in più per le pubbliche amministrazioni: le persone che hanno commesso determinate tipologie di reato possono chiedere la sospensione del processo con la cosiddetta "messa alla prova", anche attraverso lo svolgimento di un lavoro di pubblica utilità. "È un'opportunità concreta per l'inclusione sociale e dà la possibilità a chi ha sbagliato di non far diventare un errore un danno permanente - commenta la presidente di Anci Toscana Sara Biagiotti - Abbiamo predisposto una bozza di convenzione che il singolo Comune che prende in carico il soggetto dovrà siglare con il Tribunale per l'inserimento di soggetti in regime di messa alla prova". I lavori di pubblica utilità potranno riguardare la tutela del patrimonio culturale, ambientale, la manutenzione del verde pubblico e del patrimonio comunale, l'accompagnamento di anziani e disabili, il supporto alle attività musicali e bibliotecarie, l'accoglienza al pubblico presso gli uffici comunali, le attività connesse alla sicurezza e all'educazione stradale. "Come commissione Giustizia della Camera abbiamo fatto inserire un emendamento alla legge di stabilità in cui si specifica un rafforzamento delle risorse per gli Uffici di esecuzione penale esterna - afferma l'onorevole David Ermini, componente della Commissione Giustizia della Camera che ha preso parte al convegno. Questo va nella direzione di sostenere progetti finalizzati al recupero e alla risocializzazione delle persone, che danno la possibilità a chi ha sbagliato di pagare il proprio debito e che allo stesso tempo possono avere un effetto deflattivo sul numero dei procedimenti e quindi contribuire a rendere più efficace l'intero sistema della giustizia". In base a dati forniti dall'Ufficio Epe Toscana, la messa alla prova ha avuto successo: al 30 novembre 2014, a livello nazionale, si sono avute 6052 richieste e 267 messe alla prova. In Toscana ad oggi sono 723 le richieste e 21 le messe alla prova. Altro elemento fondamentale è quello del reinserimento lavorativo dei detenuti ed ex detenuti. In questa direzione sta lavorando il tavolo regionale di Anci Toscana sul carcere, che si è costituito sei mesi fa e comprende i Comuni che hanno carceri nel loro territorio, il provveditore regionale Prap (Provveditore regionale Amministrazione penitenziaria), l'Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna), la Regione Toscana, il Garante regionale e dei comune di Firenze per i diritti dei detenuti. "Presenteremo insieme anche alle Centrali Cooperative - annuncia Biagiotti - un progetto alla Cassa Ammende per percorsi di formazione lavoro rivolti a detenuti ed ex detenuti degli istituti penitenziari regionali che riguarderà servizi a tutela della manutenzione del territorio con particola attenzione alle problematiche idrogeologiche, impiegando persone che scontano una pena inserite mediante percorsi specifici in cooperative sociali di tipo B. Il nostro obiettivo è di valorizzare l'occupazione lavorativa al fine dell'integrazione sociale di ciascun individuo. Le amministrazioni locali possono svolgere un ruolo importante di coordinamento della rete territoriale". Infine, la presidente Biagiotti e il Garante regionale dei diritti dei detenuti Franco Corleone, invieranno una lettera congiunta ai Comuni affinché nominino al più presto i garanti locali. Al convegno hanno preso parte la responsabile Politiche sociali di Anci Toscana Sandra Capuzzi, assessore del Comune di Pisa, Salvatore Laganá Presidente del Tribunale di Pisa; Fabio Prestopino, direttore del carcere di Pisa; Eros Cruccolini garante dei detenuti del comune di Firenze; Marco Bouchard giudice del Tribunale di Firenze; Susanna Rollino coordinatore ufficio EPE regionale; Tina Nuti assessore del Comune di Pistoia e Ilaria Vietina assessore del Comune di Lucca. Toscana: salute dei detenuti, foto in chiaroscuro di Roberto Tatulli Sole 24 Ore Sanità, 16 dicembre 2014 In che modo il Servizio sanitario risponde ai bisogni di salute dei detenuti in termini di qualità, equità, appropriatezza ed efficienza? In Toscana la Regione ha deciso di scoprirlo valutando questi aspetti utilizzando lo stesso sistema di valutazione che da anni, con indicatori e bersagli, viene applicato nelle aziende sanitarie e, per la prima volta, introduce la valutazione in bench-marking tra gli istituti penitenziari regionali. A fine novembre il Laboratorio Management e Sanità (Mes) della Scuola Superiore S. Anna dì Pisa, mettendo a punto 104 indicatori, ha elaborato il tepori 2013 analizzando e fotografando quattro principali aspetti: lo stato di salute della popolazione detenuta; capacità di perseguimento degli obiettivi regionali; dimensione socio-sanitaria; efficienza operativa. Dai ditti emersi le performance migliori a livello regionale, pur con qualche criticità in alcuni istituti, si registrano nei tempi d'attesa per la specialistica ambulatoriale (cardiologia. dermatologia, psichiatria, odontostomalologia, infettivologia) con performance superiori al 90%. Da migliorare invece l'offerta di screening oncologici, soprattutto per quanto riguarda lo screening del colon-retto su cui sì registrano livelli bassi dal punto di vista dell'estensione, cioè del numero di detenuti in l'ascia di età a rischio invitali a effettuare gli appositi esami, con una media regionale che non arriva al 43% e con situazioni particolarmente critiche a Porto Azzurro, Livorno e Siena. Il report sottolinea anche la necessità di aumentare l'offerta di vaccinazioni (epatite A, epatite B, tetano, influenza), che a oggi risulta molto difforme tra i vari Istituti penitenziari senza che se ne ravvisino ragioni di tipo epidemiologico. Critici anche i dati relativi alla gestione del rischio clinico, che - precisa il documento - necessita di un progressivo mutamento della cultura del lavoro all'interno delle strutture poiché gli strumenti del clinical risk management non sembrano ancora usati diffusamente. Infine, altra criticità significativa rilevata nel rapporto, il consumo di farmaci. I dati del flusso Fes indicano consumi estremamente elevati per antidepressivi. ansiolitici, antibiotici, inibitori della pompa protonica, che confermano i dati presenti in letteratura ma che - precisa il report - devono comunque spingere a una riflessione sull'attività prescrittiva all'interno delle carceri. Il consumo di antidepressivi e di Ipp in alcuni Istituti di pena arriva a valori anche quattro volte superiori a quelli relativi alla popolazione libera. Questi dati sono frutto di un lungo lavoro avvialo nel 2011 con una prima definizione del sistema di valutazione che, comunque, ha riscontrato alcuni problemi nella raccolta dati. Il problema più rilevante in questo senso ha riguardato l'assenza di flussi informatizzati relativi alle prestazioni sanitarie effettuate in carcere dovuta al fatto che la registrazione avviene ancora, nella maggior parte dei casi, su supporto cartaceo o su fogli di lavoro elettronici, differenti da istituto a istituto, a cui si aggiunge il problema costituito dalla coesistenza, all'interno degli istituti penitenziari, dì due distinte amministrazioni, quella penitenziaria e quella sanitaria, indipendenti tra loro ma in continua intersezione e sovrapposizione. Il report però si pone come un utile strumento per la programmazione regionale. Soprattutto in un ambito così complesso e sfidante che inquadra la Toscana, con ì suoi 20 istituti penitenziari, come una delle Regioni italiane con la più alta concentrazione di istituti dì pena. Sul territorio regionale infatti si contano 5 case di reclusione, 12 Case circondariali, dì cui una esclusivamente femminile, 1 Opg e 2 Istituti penali minorili, di cui uno maschile e uno femminile. Tulle le Asl toscane, tranne l'Asl di Viareggio, hanno almeno un istituto penitenziario sul proprio territorio, delle cui attività sanitarie sono direttamente responsabili. A tine 2013 risultavano presentì nelle carceri toscane 4.008 detenuti, dì cui 2.164 stranieri, a fronte di una capienza regolamentare di 3.286. Il tasso dì sovraffollamento è dunque pari al 122 per cento. Quale assistenza dopo gli Opg, di Teresa Bonacci Dalla presa in carico dei soggetti dimissibili all'accoglienza nelle Rems. Uno stato di benessere emotivo e psicologico nel quale l'individuo e in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali all'interno della società". Questo l'incipit della definizione di salute mentale da parte dell'Oms. Al contrario, coloro che soffrono di ansia o depressione, che spesso possono tradursi in aggressività, rischiano di essere definiti come persone soggette a disturbi del comportamento e malati mentali. A soffrirne sono circa 450 milioni di persone in tutto il mondo. Per moltissimi anni l'associazione malattia mentale-pericolosità sociale ha guidato scelte politiche, giudiziarie e sanitarie fino a quella che possiamo definire la rivoluzione di Basaglia, con la chiusura dei manicomi e l'avvio di politiche armoniche di gestione delle patologie mentili. Mancava ancora un tassello, ovvero la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) e il loro superamento, attraverso l'introduzione di forme alternative di recupero sociale e sanitario. Sono sei quelli ancora presenti sul territorio nazionale e, per legge, dovranno essere chiusi il 1° aprile 2015 (legge 81/2014). Tra l'altro, gli ultimi dati parlano chiaro: gli internati negli Opg sono in calo nei primi nove mesi del 2014, passando da 880 a 793 e i dimissibili sono oltre la metà. È quanto riporta la Relazione al Parlamento sul Programma di superamento degli Opg presentata lo scorso 30 settembre. A quanto si legge nel testo della relazione, "nel periodo compreso tra maggio e settembre 2014, sì è rilevata una leggera ma costante diminuzione delle presenze, che alla data del 9 settembre 2014 ha visto 793 internati presenti a fronte degli 880 alla data del 31 gennaio 2014". Un dato che va comparato con quello dei flussi degli ingressi negli Opg che "nell'arco di un trimestre si è valutato attestarsi mediamente intorno a circa 10 pazienti per ciascun Opg, per un totale di 67 persone a trimestre". L'alternativa si chiama Rems, ovvero strutture residenziali sanitarie gestite dalla sanità territoriale, in collaborazione con il ministero della Giustizia, per garantire l'esecuzione della misura di sicurezza e l'attivazione di percorsi terapeutico-riabilitativi territoriali. Il Dpcm dell'1° aprile 2008 non ha eliminato infatti la possibilità dell'applicazione di misure di sicurezza detentive, che continuano a essere presenti nel codice penale come possibilità per le persone inferme di mente che hanno commesso reati. Si apre quindi una fase dì transizione, in cui l'obiettivo prioritario è lavorare concretamente alla programmazione e pianificazione di una rete di accoglienza sul territorio per evitare qualsiasi tipo di difformità. Ad affermarlo anche il ministero della Salute, che in tal senso ha istituito un Comitato, guidato dal sottosegretario Vito De Filippo, con lo scopo di affrontare i tre nodi cruciali del problema: la dimissione del soggetti dichiarati dimissibili e la conseguente presa in carico da parte dei Dipartimenti di salute mentale delle Regioni di residenza; l'accoglienza e l'assistenza dei soggetti non dimissibili in Rems e la presa in carico dei nuovi destinatari di misure di sicurezza disposte dal Magistrato di sorveglianza. Campania: protocollo d'intesa tra Assessorato al Lavoro e Centro di Giustizia Minorile Ansa, 16 dicembre 2014 L'assessore al Lavoro Severino Nappi ha siglato il protocollo d'intesa per la promozione di Garanzia Giovani con il dirigente del Centro Giustizia Minorile per la Campania Giuseppe Centomani. "Come avevamo annunziato - ha detto l'assessore Nappi - oggi abbiamo siglato l'accordo con la direzione regionale delle carceri minorili per dar modo anche a ragazzi che occorre recuperare alla società civile e al lavoro sano la possibilità di partecipare a "Garanzia Giovani Campania". "È la conferma che questo programma vuole coinvolgere tutti e non lasciare indietro nessuno. La politica e le Istituzioni devono offrire opportunità e farlo in favore di tutti, senza selezionare in base a logiche di parte o peggio clientelari", conclude Nappi. "Le istituzioni - ha aggiunto Centomani - hanno preso coscienza che da soli non si riesce ad essere efficaci con ragazzi con esperienze di disagio come i nostri. Motivo per cui il centro giustizia minorile per la Campania sta realizzando una serie di formalizzazioni di rapporti di collaborazione con le istituzioni locali e in particolare con i settori della Regione Campania che hanno nella loro ragion d'essere gli obiettivi e gli strumenti per garantire il completamento dei percorsi di reinserimento sociale di questi giovani". Valle d'Aosta: la Sanità penitenziaria passa a Regione, meno detenuti dei posti disponibili www.valledaostaglocal.it, 16 dicembre 2014 Dal 1° gennaio 2015 la Valle d'Aosta avrà la competenza in materia di Sanità penitenziaria, come previsto dalla Norma di attuazione approvate già da tempo. Di più, nella Casa circondariale di Brissogne a fine novembre 2014, vi erano 144 detenuti a fronte dei 180 posti disponibili. Lo ha reso noto il Presidente della Regione, Augusto Rollandin, nel corso della riunione semestrale dell'Osservatorio carcere, presieduta dallo stesso Rollandin e convocata per questa mattina, lunedì 15 dicembre. Del tavolo, istituito a seguito del protocollo d'Intesa tra il Ministero di Giustizia e la Regione, fanno parte i componenti delle istituzioni e delle associazioni che interagiscono, a vario titolo, per dare supporto alla realtà carceraria della Valle d'Aosta. In apertura di riunione, Rollandin ha dato comunicazione dell'avvenuta pubblicazione, sulla Gazzetta ufficiale del 5 dicembre 2014, del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri con cui formalmente vengono, appunto, trasferite le competenze alla Regione. Nel corso dell'incontro sono poi state illustrate, dai referenti della Commissione didattica e della Commissione in materia socio-sanitaria, le iniziative che stanno proseguendo a favore del reinserimento dei detenuti. In particolare è stato illustrato lo stato dell'arte del progetto Brutti e buoni, articolato attorno ad un percorso formativo professionalizzante destinato alla panificazione e giunto alla sua fase conclusiva, che dovrebbe concretizzarsi in un'attività di impresa. Tra le altre iniziative, i corsi di alfabetizzazione linguistica per stranieri e il proseguo del progetto di lavanderia. Il Presidente Rollandin ha, in conclusione, illustrato la comunicazione ricevuta dal Garante dei detenuti per la Valle d'Aosta, Enrico Formento Dojot, che, in una nota, ha tracciato, infatti, la situazione all'interno della Casa circondariale di Brissogne nella quale, a fine novembre 2014, vi erano 144 detenuti a fronte dei 180 posti disponibili. Siracusa: interrogazione On. Amoddio su rissa tra oltre cento detenuti stranieri ed italiani Askanews, 16 dicembre 2014 Al Ministro della giustizia. Per sapere, premesso che: mercoledì 19 novembre 2014 il carcere di Cavadonna a Siracusa è stato teatro di una gigantesca rissa tra oltre cento detenuti stranieri ed italiani. Una rissa, sedata a fatica dagli agenti della polizia penitenziaria, che lascia un bilancio di trenta feriti. A prescindere dalle cause che hanno potuto accendere la scintilla, ancora una volta assistiamo a gravi episodi che evidenziano la mancanza di sicurezza nelle carceri italiane, dovuta alla carenza di organico. Sono 462 i detenuti del carcere di Cavadonna, una popolazione molto superiore rispetto a quella che la struttura potrebbe, gestire. Di questi, il 35 per cento sono detenuti stranieri e il 23,5 per cento tossicodipendenti. Gli agenti di polizia sono sottodimensionati e devono affrontare ogni giorno enormi difficoltà. Il personale degli agenti di polizia penitenziaria in pianta organica ammonta a 220 unità - mentre dovrebbero essere almeno 330 - ma, se si escludono gli amministrativi e gli addetti ad altre mansioni il numero di coloro che svolgono l'effettivo servizio all'interno della struttura detentiva scende a 150 unità. L'entrata in vigore della "sorveglianza dinamica" che dispone l'apertura delle celle dalla mattina al pomeriggio permettendo ai detenuti di potersi muovere liberamente negli spazi comuni, ha in parte ovviato alle gravi carenze di organico del personale di polizia penitenziaria perché permette un controllo esterno, ma dall'altro, in caso di lite tra detenuti l'intervento della polizia penitenziaria diventa più faticoso per il grande numero di detenuti da gestire in emergenza. Nel caso specifico nel carcere di Siracusa il rapporto è di due poliziotti per centoventi detenuti. Numeri impietosi che giustificano le lamentele dei sindacati di polizia penitenziaria costretti a fronteggiare da soli disagi e pericoli. A questa situazione si sommano i provvedimenti disciplinari che sarebbero stati avviati nei confronti di alcuni appartenenti al corpo di polizia penitenziaria. Con l'entrata in vigore della sorveglianza dinamica non si è pero' modificata la responsabilità soggettiva che rimane attribuita alle guardie, per qualsiasi inconveniente capiti all'interno delle sezioni aperte. A pagare sarebbero quindi gli agenti che hanno rischiato in prima persona per sedare la rissa. Risulta evidente che in una situazione di sottodimensionamento è inaccettabile che venga ritenuta responsabile solamente la polizia penitenziaria che invece ha mostrato capacità di organizzarsi in pochi minuti e sedare la feroce lite. Il numero dei detenuti nelle carceri italiane rimane ancora altissimo rispetto al personale penitenziario in organico e questa sproporzione incide negativamente sul perseguimento dei fini istituzionali, di sicurezza e di trattamento rieducativo, che sono demandati all'amministrazione penitenziaria, mettendo a rischio i delicati equilibri del sistema penitenziario e indebolendo significativamente il generale sistema della sicurezza dello Stato, a discapito dei cittadini. Nella provincia di Siracusa, i due principali istituti penitenziari risultano largamente sovrappopolati, come risulta dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale - Sezione statistica aggiornamento 31 ottobre 2014. Il carcere di Augusta conta 497 detenuti a fronte dei 372 posti di capienza regolamentare. Il carcere di Siracusa 462 detenuti per 333 posti. Dati impietosi che rispecchiano purtroppo il trend nazionale: se il Ministro della giustizia si a conoscenza di tale episodio; se il Ministro della giustizia, alla luce di quanto illustrato in premessa, non ritenga di aumentare l'organico della Polizia penitenziaria all'interno del carcere Cavadonna di Siracusa. Cagliari: Socialismo Diritti Riforme; a Uta anche educatori dietro sbarre, come i detenuti Ristretti Orizzonti, 16 dicembre 2014 "Suscita perplessità la dislocazione dei funzionari dell'area giuridico-pedagogica nella sezione detentiva del settore maschile del Carcere di Cagliari-Uta". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", avendo rilevato che l'area educativa a cui afferiscono i volontari è stata ubicata nel piano terra dell'edificio nella stessa ala in cui sono reclusi ai piani superiori i cittadini privati della libertà". "Il problema non sono gli spazi giacché - sottolinea - sono state messe a disposizione 12 stanze per sette operatori fissi e altri quattro che si alternano provenendo, grazie ai distacchi, da altri Istituti. Appare però singolare che i funzionari del Ministero debbano fornirsi di chiavi perfino per accedere ai bagni. Le finestre inoltre benché ampie, non solo hanno le grate, ma sono collocate a circa due metri d'altezza con aperture a vasistas". "Chi ha progettato l'edificio - conclude la presidente di Sdr - ha frainteso forse il ruolo dei funzionari giuridico-pedagogici ritenendo che, essendo impegnati nel recupero e nel reinserimento dei detenuti, debbano condividerne la condizione. Un'interpretazione davvero suggestiva sulla finalità di chi svolge un compito particolarmente complesso e delicato per il Ministero della Giustizia". Firenze: 231 detenuti di Sollicciano aderiscono al "Satyagraha di Natale" dei Radicali Adnkronos, 16 dicembre 2014 Al "Satyagraha di Natale" organizzato da Marco Pannella e dal Partito Radicale per chiedere "il ripristino della giustizia e dello Stato di diritto in Italia", si sono uniti 231 detenuti del carcere di Sollicciano di Firenze. Negli scorsi giorni anche don Vincenzo Russo, cappellano dello stesso carcere, aveva aderito all'iniziativa radicale con un giorno di sciopero della fame. "Ringraziamo tutta la popolazione detenuta fiorentina per il sostegno a questa lotta - hanno dichiarato Massimo Lensi e Maurizio Buzzegoli dell'Associazione radicale fiorentina "Andrea Tamburi". Ci auguriamo che nelle prossime ore le adesioni a questo Satyagraha si moltiplichino". Nei prossimi giorni i radicali fiorentini saranno impegnati con nuove iniziative. San Gimignano (Si): la Polizia penitenziaria del carcere di Ranza in "sciopero bianco" Il Cittadino, 16 dicembre 2014 Da oggi il personale di Polizia Penitenziaria del Carcere di Ranza (San Gimignano) è in "sciopero bianco" per manifestare tutto il proprio dissenso verso le decisioni dell'Amministrazione Penitenziaria. Il personale di polizia si asterrà dalla consumazione dei pasti (mensa obbligatoria di servizio) e da qualsiasi pausa, con l'autoconsegna per tutto il turno di servizio. "La particolarità di questa protesta, - spiega Marco Iacoboni della Fp Cgil Siena - che nasce da un grande senso di responsabilità verso il servizio prestato e segna anche il profondo senso di dignità di questi lavoratori, non cesserà fino a quando non si metterà la parola fine sulla carenza di personale di polizia. Oggi dopo ulteriori 18 nuovi trasferimenti il personale in servizio è di 140 persone su 180, una decisione che aumenta le criticità del sovraccarico di lavoro e di responsabilità legate alla trasformazione della quasi totale popolazione carceraria in detenuti ad alta sorveglianza. A questo si aggiungono i mancati accordi su festività natalizie e congedi ordinari e l'arbitraria decurtazione dei giorni di ferie". La protesta "Così non va!" iniziata oggi, lunedì 15 dicembre, che ha visto la partecipazione di tutto il personale in servizio, durerà ad oltranza e comunque fino ad una convocazione presso il Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria per la Toscana. "Se non ci saranno risposte adeguate - conclude Iacoboni - ci riserveremo, unitariamente con le altre organizzazioni sindacali promotrici (Fsa, Ugl, Fsa Cnpp, Sappe, Osapp), di assumere decisioni più drastiche". Milano: "Buoni Dentro", in vendita i prodotti da forno dei detenuti dell'Ipm Beccaria Ansa, 16 dicembre 2014 Al via "Buoni Dentro", il primo progetto che nasce dall'attività di orientamento e formazione al lavoro all'interno dell'Istituto penale minorile Beccaria e dedicato anche ai giovani detenuti all'interno della Casa Circondariale di San Vittore di Milano. Il progetto è gestito dalla cooperativa sociale agricola Co.A.Fra. - Cascina Nibai con la collaborazione dell'Istituto Penale per Minorenni "Cesare Beccaria", di Enaip Lombardia e Associazione Panificatori di Milano e Provincia, aziende profit e di altri soggetti privati che hanno messo a disposizione del progetto risorse economiche e la propria consulenza. Per i giovani reclusi - spiegano i promotori - il lavoro è uno snodo cruciale in una prospettiva di vita nella legalità, attraverso un percorso che coinvolga la rielaborazione del proprio agire, con la rivalutazione dell'identità personale, del proprio ruolo sociale e del senso di responsabilità, individuale e collettivo. I prodotti dei detenuti sono acquistabili nel temporary shop di via Solferino a Milano mentre una bottega vera e propria sarà aperta a gennaio in piazza Bettini, sempre nel capoluogo lombardo. Padova: Sappe; in perquisizione trovati telefoni cellulari, punteruoli e grappa artigianale Ansa, 16 dicembre 2014 Telefoni cellulari, punteruoli e grappa artigianale: è quanto trovato la Polizia penitenziaria nel corso di una perquisizione nella sezione detentiva della Casa di Reclusione di Padova, ad una settimana da una analoga perquisizione dei Baschi Azzurri che aveva portato alla scoperta di altri cellulari e di una chiavetta Usb per navigare in internet. A darne notizia è il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), Donato Capece. Venerdì scorso, rileva Capece, "non più in cella ma in ambienti (ex ufficio agenti all'interno della sezione) comunque di libero accesso a qualsiasi detenuto all'interno della sezione detentiva a regime aperto, sono stati trovati due cellulari e un tubo modificato a forma di punteruolo (atto a offendere). Difficile capire adesso chi siamo gli autori di tale occultamento di oggetti non consentiti. Nella stessa occasione, sono stati trovati diversi litri di grappa artigianale, prodotta sempre da detenuti. È evidente ormai che in un contesto di detenzione a vigilanza dinamica la sicurezza non esiste più ed è altrettanto palese che determinati detenuti possono, con l'ausilio di telefono cellulare, godere di appoggio esterno e questo preoccupa moltissimo il personale di Polizia anche nell'ipotesi di eventuale trasferimento (traduzione) di detenuti di un certo calibro". Il Sappe punta il dito contro il sistema della "vigilanza dinamica" e del regime penitenziario "aperto" che è in atto nella Casa di Reclusione di Padova. Sulmona (Aq): ex direttrice carcere esclude suo coinvolgimento in inchiesta Mafia Capitale di Claudio Lattanzio Il Centro, 16 dicembre 2014 "Sono sicuramente io la bionda direttrice del carcere di Frosinone, ma non ho mai avuto relazioni particolari con Ciavardini. Il nostro è un rapporto professionale di grande stima e di collaborazione che si è sviluppato non solo nel carcere di Frosinone ma anche in quello di Sulmona". Silvia Pesante è stata sostituita dall'ex direttore Sergio Romice. Il motivo sarebbe un'intercettazione in cui viene individuata come amante dell'ex Nar Luigi Ciavardini. Lei smentisce: "È una enorme falsità" Silvia Pesante, fino all'altro giorno direttrice del carcere di Sulmona, respinge ogni accusa che la spinge all'interno del calderone dell'inchiesta "Mafia capitale", e annuncia querele a tutti quelli che l'anno tirata in ballo in questa storia di gossip e pettegolezzi. In alcuni passaggi delle intercettazioni che stanno facendo tremare il Comune di Roma e non solo, viene definita come l'amante di Luigi Ciavardini, ex terrorista nero, dal 2009 in libertà vigilata, condannato a 30 anni perché ritenuto l'esecutore materiale della strage della stazione di Bologna. "Sono totalmente estranea a questa brutta storia di presunte tangenti e con la coop "29 giugno" non ho mai lavorato e mai avuto nulla in comune", prosegue Pesante, "le associazioni di volontariato di Ciavardini non c'entrano nulla con la coop 29 giugno. Attorno alle carceri c'è tantissimo volontariato sano e uno scandalo non può sporcare tutto questo. Penso, invece, che si tratti di un'opera di mistificazione per gettare ombre sul mondo del volontariato e quindi ridimensionare quella parte di persone che operano esclusivamente per fini sociali e non per fini utilitaristici e personali". L'ex direttrice del carcere di Sulmona tiene quindi a ribadire che il suo avvicendamento non ha alcun collegamento con l'inchiesta "Mafia Capitale", ma che era in programma da diverso tempo. Silvia Pesante è arrivata a Sulmona esattamente un anno fa e in questo periodo si è fatta apprezzare per le numerose iniziative rivolte al reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro e nella società. Una direttrice ben voluta sia dai reclusi che dal corpo di polizia penitenziaria per le capacità con cui era riuscita a stabilire un rapporto diverso e più umano all'interno della struttura carceraria peligna in cui sono rinchiusi, bisogna ricordare, tutti detenuti di alta sicurezza ed ergastolani. Il suo posto è stato preso da Sergio Romice, per il quale è un ritorno. Milano: catturato in centro città il detenuto evaso martedì scorso mentre era in ospedale Comunicato Sappe, 16 dicembre 2014 "È davvero una buona notizia sapere che il criminale peruviano che martedì scorso era evaso dall'Ospedale Fatebenefratelli di Milano mentre era in attesa di essere sottoposto a intervento chirurgico è stato catturato ieri sera nel centro della città L'operazione congiunta Nic Polizia Penitenziaria ed altre Forze di Polizia è stata coronata dal successo e a loro va il nostro apprezzamento. L'evaso è stato dunque catturato ed ora ne pagherà le conseguenze in termino di pena da scontare". È il commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della categoria, alla cattura del detenuto evaso martedì scorso dall'Ospedale Fatebenefratelli di Milano. Capece sottolinea "l'importante attività posta in essere dai poliziotti penitenziari del Nucleo Investigativo Centrale, che da subito si sono messi sulle tracce del detenuto evaso, arrivando alla sua cattura. Segno tangibile di un Corpo di Polizia dello Stato, qual è la Polizia Penitenziaria, in prima linea nel contrasto della criminalità e della delinquenza". Messina: Sappe; ancora agenti aggrediti in carcere… non siamo carne da macello www.loraquotidiano.it, 16 dicembre 2014 Messina, dopo la colluttazione, un ispettore e due assistenti hanno dovuto far ricorso alle cure ospedaliere: il sindacato della polizia penitenziaria ora parla di "episodi intollerabili" e chiede al ministro Orlando "strumenti di tutela efficaci, come lo spray anti-aggressione". Tre agenti di Polizia Penitenziaria sono stati aggrediti nel carcere di Messina da un detenuto. Lo ha rivelato il segretario generale del Sappe Donato Capece che in un comunicato diffuso stamane ha detto: "Tutto è avvenuto mentre il detenuto era a colloquio con l'educatore del carcere: improvvisamente, e senza un giustificato motivo, ha colpito prima un ispettore e poi due assistenti Capo. Ha ferito un collega alla testa, causandogli un trauma cranico e diversi punti di sutura alla testa, e ad un altro ha rotto un braccio. Tutti sono dovuti ricorrere alle cure ospedaliere". Il Sappe ora parla di "aggressioni intollerabili" che "meriterebbero risposte immediate, come un congruo periodo di rigido isolamento disciplinare. Noi non siamo carne da macello ed anche la nostra pazienza ha un limite". Capece, nel suo documento, prosegue con le rivendicazioni che da tempo il sindacato della polizia penitenziaria porta avanti: "Sono anni che sollecitiamo di dotare le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria di strumenti di tutela efficaci, come può essere proprio lo spray anti-aggressione recentemente assegnato, in fase sperimentale, a Polizia e Carabinieri". Poi, il Sappe snocciola i dati delle aggressioni raccolti nelle carceri nella prima parte di quest'anno: "I dati riferiti ai soli primi sei mesi del 2014 parlano chiaro: nelle carceri italiane ci sono state ben 1.609 colluttazioni e 444 ferimenti dal 1 gennaio al 30 giugno. E il numero delle aggressioni ai Baschi Azzurri, che prestano servizio nelle sezioni detentive e in carcere assolutamente disarmati e senza alcuna forma di difesa personale, è nell'ordine delle diverse centinaia all'anno. Ci auguriamo che il ministro della Giustizia Andrea Orlando, anche alla luce della grave aggressione subita dai nostri poliziotti nel carcere di Messina, valuti positivamente questa nostra proposta e, quindi, assuma i provvedimenti conseguenti". Caltanissetta: Sappe; recluso carcere San Cataldo picchia agente e gli rompe timpano Agi, 16 dicembre 2014 Per opporsi alla perquisizione della sua cella, un detenuto del carcere di San Cataldo (Caltanissetta) ha improvvisamente aggredito un sovrintendente della polizia penitenziaria, colpendolo con un pugno a un orecchio. Il sottufficiale ha subito la rottura del timpano. Dell'episodio, accaduto questa mattina, dà notizia Donato Capece, segretario generale del sindacato degli agenti di custodia Sappe. "Non sono passate che pochi giorni dalla grave aggressione subita da tre nostri poliziotti penitenziari nel carcere di Messina che oggi registriamo una impennata di violenza anche nella casa di reclusione di San Cataldo", afferma Capece, secondo cui "il detenuto non voleva alzarsi dal letto, forse ha scambiato il carcere per un albergo, impendendo ai poliziotti di perquisire la sua cella. Improvvisamente, e senza un giustificato motivo, ha colpito il sovrintendente della polizia penitenziaria all'orecchio". Il Sappe esprime solidarietà al ferito. Cremona: giovedì e venerdì prossimi il vescovo Lafranconi celebra Messa in carcere www.welfarenetwork.it, 16 dicembre 2014 Il vescovo, come da tradizione, in vista del Natale effettuerà nei prossimi giorni una visita presso la Casa circondariale di Cremona. Incontrerà i detenuti e gli agenti della polizia penitenziaria. Doppia visita del vescovo Dante Lafranconi anche quest'anno nella casa circondariale di Cremona in occasione del Natale. Due saranno, infatti, le messe celebrate per i detenuti: giovedì 18 nel vecchio padiglione e il giorno successivo in quello nuovo, in funzione ormai da un anno. Non mancherà neppure un momento di incontro con gli agenti della polizia penitenziaria. Proprio l'incontro con quanti operano all'interno della struttura penitenziaria di Via Palosca, con il Direttore Reggente Maria Gabriella Lusi e il Comandante della polizia penitenziaria Maria Teresa Filippone, aprirà giovedì pomeriggio alle 16.00 la visita del vescovo. Al termine mons. Lafranconi presiederà l'eucaristia nel teatro del carcere. Accanto al vescovo ci saranno i cappellani don Roberto Musa e don Graziano Ghisolfi, insieme al diacono permanente Marco Ruggeri, operatore di Caritas cremonese, da anni impegnato in carcere. Al termine della celebrazione, che sarà animata con il canto da un gruppo di detenuti, mons. Lafranconi consegnerà a tutti i presenti un segno natalizio: un presepio da portare nelle celle. Il giorno successivo il vescovo tornerà a Cà del Ferro per celebrare l'eucaristia nella cappella del nuovo padiglione insieme al vescovo di Crema, mons. Oscar Cantoni. Ad animare la messa con il canto saranno i detenuti con il sostegno di una parte del Coro della Cattedrale. La visita di mons. Lafranconi all'interno della casa circondariale di Cremona sarà come sempre l'occasione per portare la vicinanza e l'affetto della Chiesa cremonese a quanti sono detenuti e, insieme a loro, agli agenti di polizia penitenziaria. Bolzano: il vescovo Ivo Muser incontra i detenuti e celebra la Messa in carcere Ansa, 16 dicembre 2014 Il vescovo Ivo Muser, insieme al nuovo cappellano del carcere Robert Anhof, ha detto Messa nel carcere di Bolzano con i detenuti e con il personale. Nella sua omelia, Muser ha spiegato che "tutti gli uomini sono persone in cammino - come lo sono stati Maria e Giuseppe, che si sono messi in cammino verso Betlemme per il censimento, Come lo sono stati i pastori, che si sono messi in cammino per andare alla grotta dove era nato Gesù, come lo sono stati i Re Magi". "Ognuno di noi ha una strada da percorrere. Per orientarci lungo questo cammino abbiamo a disposizione una bussola eccezionale. È il Signore la nostra bussola, che ci indica la salvezza", ha detto il vescovo. Pescara: "InCanto Libero", mercoledì concerto Andrea Diletti al carcere San Donato www.abruzzo24ore.tv, 16 dicembre 2014 Il cantante pescarese di origini aquilane Andrea Diletti ha scelto di condividere, in esclusiva con i detenuti del carcere San Donato di Pescara, la sua ultima fatica discografica. L'artista si esibirà infatti mercoledì 17 dicembre, alle 15.30, all'interno della casa circondariale del capoluogo adriatico. L'evento "InCanto Libero" è sponsorizzato dall'Istituto Acustico Maico ed è sostenuto dal patronato Inca Cgil di Pescara e da quello regionale, nonché dall'Associazione "Amico Medico" di Pescara. L'obiettivo è quello di rendere il carcere una preziosa occasione di rinascita e sviluppo di nuove opportunità di crescita per i ragazzi che vivono la realtà della reclusione. Per l'occasione, Diletti presenterà il suo ultimo videoclip "Dammi di più", che sarà disponibile online dal 21 dicembre prossimo, come canzone pilota del suo nuovo disco "Al di là di me". Da questo concerto nascerà anche un progetto per portare i laboratori di tecniche vocali all'interno delle carceri, come strumento per condividere con i detenuti momenti di ascolto e socializzazione. "Ho deciso di promuovere in anteprima assoluta il mio ultimo album in un carcere - spiega Diletti - perché credo fermamente nei doni speciali che la musica ci offre, tra questi quello di alleviare il disagio interiore, in svariati modi, forme e contesti sociali. Penso al canto come a una medicina preziosa per alleviare la solitudine, la stessa che proviamo tutti quando siamo prigionieri delle nostre paure". Roma: "Vedrò dalle sbarre la notte stellata", presentazione libro poesie detenute Rebibbia Adnkronos, 16 dicembre 2014 "Vedrò dalle sbarre la notte stellata" è il titolo del volume, edito da Licenza Poetica - Pagine con il contributo di Fondazione Roma-arte-musei, che sarà presentato oggi, martedì 16 dicembre alle ore 14.30, presso la casa circondariale di Rebibbia, settore femminile, in via Bartolo Longo 92 a Roma. Si tratta di una silloge poetica che raccoglie i contributi delle detenute che hanno partecipato al "Laboratorio di Poesia" tenuto dal poeta Plinio Perilli, la poetessa Nina Maroccolo e la professoressa Antonella Cristofaro, insegnante d'Italiano presso il carcere. Nella stessa occasione, sarà anche presentato il libro "Ero nato errore", scritto a quattro mani da Nina Maroccolo e Anthony Wallace ed edito sempre da Pagine, che racconta l'incredibile vicenda di un personaggio reale ora detenuto proprio a Rebibbia. Interverranno, oltre agli autori, l'Editore di Pagine Luciano Lucarini e la Direttrice di Rebibbia Ida Del Grosso. La violinista Elena Pezzella accompagnerà la lettura delle poesie. Immigrazione: Cie Torino; oggi sopralluogo assessore regionale, c'è ipotesi di chiusura La Presse, 16 dicembre 2014 Il Cie di Torino potrebbe essere chiuso per le condizioni "non dignitose" degli immigrati rinchiusi e per il fatto che costituirebbe uno "spreco di risorse". È il pensiero dell'assessore regionale piemontese all'immigrazione Monica Cerutti, che oggi effettuerà un sopralluogo al Centro di identificazione e espulsione di corso Brunelleschi a Torino. La visita è nata da alcune segnalazioni arrivate a Cerutti dopo la rottura dell'impianto di riscaldamento del Cie. "Oggi pomeriggio - dichiara l'assessore - mi recherò per l'ennesima volta al Ciedi Torino per verificare personalmente la condizione nella quale versano gli "ospiti" della struttura dopo le segnalazioni che abbiamo ricevuto in questi giorni in merito alla rottura dell'impianto di riscaldamento all'interno del centro". "Già nel pomeriggio di venerdì - prosegue - abbiamo inoltrato una richiesta scritta alla Prefettura di Torino con la quale chiedevamo notizie in merito alla rottura della caldaia del Cie. La prefettura oggi ci ha fornito garanzie sul fatto che sia stata trovata una soluzione temporanea del tutto emergenziale in attesa di una sistemazione definitiva, ma che al momento garantisce il riscaldamento. In ogni caso durante la visita di oggi avrò modo di verificare di persona lo stato delle cose". "Già da consigliera regionale - denuncia Cerutti - ho avuto modo di monitorare con attenzione e in modo costante il Cie di Torino. Sono convinta che sia necessario aprire una discussione sulla possibilità di superare i centri partendo anche dallo spreco di risorse pubbliche che rappresentano. Il Cie di Torino, nato per "ospitare" più di 200 persone, ospita poco più di una ventina di stranieri impegnando però lo stesso numero di forze dell'ordine che occuperebbe a pieno regime. Nel caso in cui oggi dovessi riscontrare che le condizioni degli "ospiti" del Cie non sono dignitose chiederò ufficialmente l'adozione di provvedimenti alternativi e temporanei a quelli già adottati". Sel ha denunciato nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta oggi a Torino al Cie "24 persone, che sono detenute per il solo fatto di non essere ancora state identificate, si trovano al freddo insieme agli addetti e agli operatori del centro". "Il problema alla caldaia - scrive Sel in un comunicato stampa - era stato segnalato dalla Croce rossa alla prefettura di Torino già la scorsa estate e si è ripresentato da 15 giorni, fino al guasto definitivo. Sabato la ditta è finalmente intervenuta per mettere in pressione la pompa di calore, ma occorrerebbe un intervento strutturale e naturalmente la sostituzione della caldaia". Rinchiudere immigrati solo perché sprovvisti di documenti è un'inqualificabile violazione dei diritti umani oltre che uno spreco di risorse pubbliche - ha dichiarato il capogruppo di Sel al Comune di Torino Michele Curto. "Oggi - ha proseguito - la situazione è ancora più paradossale, perché gran parte dei reclusi proviene da una precedente esperienza carceraria e ha dunque già scontato la pena". "Nei Cie italiani - ha spiegato il deputato Giorgio Airaudo - la situazione è spesso ancora più grave di quella torinese da ogni punto di vista: sovraffollamento, condizioni igieniche spaventose, risse, violenze, fughe, rivolte, maltrattamenti. Ansiolitici e antidepressivi sono all'ordine del giorno. È un vulnus allo stato di diritto intollerabile per una democrazia". "Chiederemo alle autorità competenti - hanno concluso i rappresentanti di Sel - e alle assemblee dove siamo eletti di superare i Cie e chiudere l'esperienza di Torino entro fine anno. Spostiamo da subito queste persone in altri luoghi idonei e umani. Evitiamo sofferenze inutili a coloro che vi sono detenuti. L'unico desiderio che abbiamo per il nuovo anno è che quello passato sia l'ultimo del Cie di corso Brunelleschi". Immigrazione: fondi tagliati al Cie di Roma Ponte Galeria di Valentina Brinis e Liana Vita Il Manifesto, 16 dicembre 2014 A rischio le condizioni di vita degli immigrati. E i 67 operatori rischiano il posto. È stata quasi dimezzata la cifra quotidiana a disposizione dell'ente gestore per ogni trattenuto al Cie di Ponte Galeria, vicino Roma: da 41 a 28,8 euro al giorno. È questa la variazione principale derivata dal cambio di amministrazione del centro, prima coordinato dalla cooperativa Auxilium e, dalla mezzanotte del 14 dicembre, dalla Rti Gepsa S.A. e dall'associazione culturale Acuarinto. Il passaggio da un ente all'altro si sta rivelando pieno di difficoltà, a cominciare dalla sorte dei 67 operatori cui non è stata garantita la riconferma. La nuova gestione è subentrata a quella precedente due anni dopo la scadenza del contratto tra l'Auxilium e la prefettura di Roma, poiché alla fine del 2012 non era ancora terminata la gara per l'assegnazione dell'appalto. L'aspetto più delicato riguardava la determinazione del costo giornaliero di ogni ospite che è stato infine fissato dalla prefettura a 30 euro. E ancora una volta, nonostante le denunce di associazioni e operatori, il criterio per selezionare l'organizzazione aggiudicatrice è stato quello della "migliore offerta con il criterio del prezzo più basso", come si legge nel testo del bando "ponendo a basa d'asta il prezzo di 30,00 pro-capite pro-die" e senza che fossero "ammesse offerte in aumento rispetto al prezzo a base di gara". Una dicitura che crea non poche perplessità. Innanzitutto perché la cooperativa Auxilium, insieme ad altri enti gestori in tutta Italia, attribuiva alla scarsità di fondi disponibili le difficoltà di gestione del centro. L'esempio più evidente, tra tanti, riguardava l'impossibilità di ritinteggiare le pareti in seguito a un principio di incendio verificatosi durante una protesta. Non solo. I fondi insufficienti ricevuti per la gestione influivano negativamente sulla qualità dei prodotti da acquistare per l'igiene degli ospiti, dal dentifricio al detersivo per lavare gli indumenti. Ma a risentirne erano anche gli operatori, costretti a ritmi di lavoro estenuanti in un edificio fatiscente e lugubre. E tutto ciò, quando a disposizione c'erano 41euro, ogni giorno e per ogni ospite. Dal 15 dicembre, quella cifra è diminuita di 13 euro. Le ripercussioni sulla vita dei trattenuti saranno numerose, a cominciare dalla prima misura messa in atto: la riduzione del pocket money, ovvero dei soldi che ogni ospite ha a disposizione per l'acquisto di beni extra, come snack, tessere telefoniche e sigarette. Da 7 euro si è passati agli attuali 5 euro. Senza voler mettere in discussione preventivamente la nuova gestione, occorre valutare le conseguenze di un simile taglio. E non mancano i precedenti: negli anni scorsi a Crotone, a Modena e a Bologna si è arrivati alla chiusura dei centri per l'insostenibilità dei costi di gestione a fronte della scarsità di fondi, e dopo che per mesi i trattenuti erano stati costretti a condizioni di vita del tutto inadeguate. Andrebbe rivisto l'intero sistema e soprattutto i criteri di assegnazione, affidando ad esempio a un ente gestore su scala nazionale tutti i centri attraverso un'unica procedura a evidenza pubblica e legando l'assegnazione delle gare d'appalto non solo all'offerta economica più bassa, ma al rispetto di quanto previsto dal capitolato. Andrebbe poi garantito il monitoraggio a livello centrale delle condizioni di vita nei centri, verificando la congruenza dei servizi offerti con le convenzioni. E, ancora, andrebbe ripensato il ricorso stesso ai Cie, se si pensa alla funzione che svolgono: trattenere, anche per mesi, persone che raramente vengono poi rimpatriate. Il problema vero riguarda la sussistenza di questi posti che hanno già dimostrato tutta l'inefficacia rispetto alla loro ragione di esistere: l'identificazione e l'espulsione. Basta un solo dato a dimostrarlo: a fronte di tutte le persone trattenute, solo lo 0,9% viene rimandato nel paese di origine. Tutte le altre escono senza essere identificate e senza aver avuto la possibilità di regolarizzare la loro posizione sul territorio italiano. India: caso marò, "no" della Corte suprema alle richieste di Girone e Latorre Ansa, 16 dicembre 2014 Respinte le istanze dei due fucilieri che chiedevano l'attenuazione delle condizioni della loro libertà provvisoria. La Corte suprema indiana ha respinto le istanze di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due marò italiani trattenuti in India da quasi tre anni. Le istanze di Girone e Latorre chiedevano l'attenuazione delle condizioni della loro libertà provvisoria. Latorre chiedeva una estensione di quattro mesi della sua permanenza in Italia per terminare il percorso terapeutico. Girone invece chiedeva di poter rientrare per tre mesi per trascorrere un periodo, fra cui le festività natalizie, con la famiglia. Il presidente della Corte H.L. Dattu ha sostenuto che la richiesta non poteva essere accettata perché l'inchiesta della morte dei due pescatori "non è finita" e "i capi di accusa non sono stati ancora presentati". "Anche le vittime - ha concluso - hanno i loro diritti". Ieri sorprendentemente un quotidiano indiano aveva ottenuto, e pubblicato nella sua edizione online, passaggi dell'istanza in cui Girone citava "periti medici" che "hanno autonomamente e separatamente concluso" come "la presenza del padre nell'ambiente familiare" sarebbe di fondamentale "sostegno per i due ragazzi", che altrimenti rischiano problemi psicologici. Nella sua istanza Latorre invece aveva fatto presente che il percorso terapeutico prescrittogli dai medici dopo l'ictus, cominciato in Puglia il 13 settembre, non è concluso, e che inoltre dovrà probabilmente sottoporsi anche ad un intervento chirurgico. Per questo aveva chiesto alla Corte un nuovo permesso per prolungare la sua residenza in Italia di altri quattro mesi. Vaticano: per chiusura Guantánamo gli Stati Uniti chiedono sostegno alla Santa Sede di Fausto Gasparroni Ansa, 16 dicembre 2014 Gli Stati Uniti alla ricerca del sostegno della Santa Sede per arrivare allo smantellamento del campo di prigionia di Guantánamo. Nel colloquio di un'ora in Vaticano con il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, il segretario di Stato Usa John Kerry stamane ha infatti espresso il desiderio che "la Santa Sede favorisca soluzioni umanitarie adeguate" per la chiusura del carcere di massima sicurezza, situato nella base navale americana a Cuba. Chiusura a cui la Santa Sede, ha sottolineato il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, "guarda con favore". I temi principali dell'incontro di stamane, cui hanno partecipato, da parte americana, anche l'ambasciatore presso la Santa sede e due membri dello staff del segretario di Stato, e per parte vaticana tre officiali della Curia competenti per gli argomenti trattati, sono stati "la situazione in Medio Oriente - ha spiegato Lombardi, e l'impegno degli Stati Uniti per evitare l'aggravarsi delle tensioni e l'esplosione della violenza; inoltre l'impegno per favorire una ripresa dei negoziati fra Israele e Palestina". "È stato anche illustrato - ha aggiunto il portavoce vaticano - l'impegno degli Stati Uniti per la chiusura del carcere di Guantánamo e il desiderio di una favorevole attenzione della Santa sede alla ricerca delle soluzioni umanitarie adeguate per gli attuali detenuti". Sotto tale profilo, ha ulteriormente sottolineato Lombardi, "c'è un'attenzione di carattere umanitario: la Santa Sede guarda favorevolmente all'impegno degli Stati Uniti per chiudere il carcere, ma il problema è dove vanno i detenuti, e la Santa Sede può favorire soluzioni". La brevità del tempo a disposizione per l'incontro - un'ora tra le 9.30 e le 10.30 - ha impedito di approfondire altri temi, che sono stati quindi solo toccati, in particolare la situazione in Ucraina e le sue prospettive e l'emergenza per l'epidemia di Ebola (a quest'ultimo proposito, domani il cardinale Peter Turkson, capo del dicastero Giustizia e Pace, partirà domani per Sierra Leone e Liberia per portare la solidarietà del Papa e di tutta la Chiesa). Fin dal 2008 Barack Obama ha manifestato l'intenzione di chiudere il carcere di massima sicurezza di Guantánamo, aperto nel 2002 dal suo predecessore George W. Bush all'interno della base navale Usa a Cuba per la detenzione - peraltro in condizioni umanitarie molto discusse - dei prigionieri catturati in Afghanistan e ritenuti collegati ad attività terroristiche. Il 21 gennaio 2009 il presidente americano firmò l'ordine di chiusura del carcere (ma non della base militare), che doveva essere smantellato entro l'anno. A più di cinque anni di distanza, ciò non è ancora avvenuto. Anche a seguito del voto contrario del Senato degli Stati Uniti, il quale con 80 voti contrari e sei favorevoli ha respinto il piano di chiusura che prevedeva un costo di circa 80 milioni di dollari. L'incontro di stamane era il secondo tra il capo della diplomazia Usa e il segretario di Stato vaticano. Kerry e Parolin si erano già visti in Vaticano il 14 gennaio scorso, in un incontro di quasi due ore, in cui avevano parlato della situazione in Siria e Medio Oriente, del negoziato israelo-palestinese, del Sud Sudan e dell'Africa, delle osservazioni dell'episcopato americano per la riforma sanitaria e di temi collegati alla libertà religiosa negli Stati Uniti. Stati Uniti: secondo un sondaggio la metà degli americani giustifica torture della Cia Askanews, 16 dicembre 2014 La maggioranza degli americani ritiene giustificato il ricorso alla tortura da parte della Cia per interrogare i detenuti della "guerra al terrorismo". È quanto è emerso da un sondaggio condotto dal Pew Research Center pochi giorni dopo la pubblicazione di un rapporto del Senato americano sugli interrogatori condotti dall'intelligence Usa su presunti terroristi. Il 51% delle persone intervistate ha giustificato i metodi usati dalla Cia, mentre il 29% si è detto contrario e il 20% non ha espresso opinione; inoltre per il 56% degli americani l'uso della tortura avrebbe permesso di ottenere informazioni utili a sventare attacchi, mentre il 28% la pensa diversamente. Gli americani risultano divisi sull'opportunità della pubblicazione del rapporto: il 42% ha detto di averla ritenuta una "buona decisione", il 43% una "cattiva decisione". Romania: il governo conferma, la Cia gestiva "una o due" prigioni segrete nel Paese www.globalist.it, 16 dicembre 2014 L'ex direttore dell'intelligence romena ha dichiarato che la Cia gestiva "uno o due" prigioni nel Paese, come riportato dallo scottante rapporto del Senato Usa. La Cia gestiva "uno o due" carceri sparse sul territorio rumeno dove venivano reclusi i sospetti terroristi di al-Qaeda. Lo ha dichiarato venerdì scorso l'ex numero uno dell'intelligence rumena, Ioan Talpes, confermando così parte delle scottanti rivelazioni fornite dal rapporto del Senato statunitense, che costituisce un durissimo j'accuse contro le attività dell'Agenzia. Stando infatti alle 528 pagine rese pubbliche su 6700 dalla commissione Intelligence del Senato Usa, i sospetti terroristi venivano rinchiusi illegalmente nelle carceri segrete all'estero e sottoposto a brutali torture, rivelatesi peraltro "totalmente inutili e inefficaci". Vi erano prigioni del genere anche in Romani, dove decine di presunti terroristi islamici sono stati sottoposti a questi atroci metodi di interrogatorio. "Nel nostro Paese c'è stato almeno un centro di transito per i detenuti sospettati di terroristi - ha rivelato Talpes, consigliere per la sicurezza dell'ex presidente Ion Iliescu dal 2000 al 2004 -, ma potrebbero essere stati anche due. Ad ogni modo le carceri venivano gestite esclusivamente dalla Cia e noi volevamo soltanto offrire collaborazione per poter ottenere l'adesione alla Nato. Non siamo mai stati al corrente delle attività svolte all'interno del centro di detenzione". L'ex presidente Iliescu ha assicurato di "non sapere nulla su quanto rivelato dal Senato", mentre l'attuale premier Victor Ponta ha affermato che sarà il ministro degli Esteri ha rispondere ad eventuali domande sul caso. Niger: missione di Partito Radicale e "Nessuno tocchi Caino" per moratoria pena di morte di Marco Perduca Panorama, 16 dicembre 2014 Dall'11 al 22 novembre l'organizzazione Nessuno tocchi Caino e il Partito Radicale hanno lanciato una missione in Africa con l'obiettivo di ottenere voti a favore della Risoluzione Onu per la moratoria universale delle esecuzioni capitali in discussione al Palazzo di vetro. La delegazione radicale, composta da Sergio D'Elia, Marco Perduca e Marco Maria Freddi, si è recata prima in Zimbabwe e nelle Isole Comore ed è stata raggiunta nel Niger, terza tappa della missione, anche da Marco Pannella, Matteo Angioli e Stefano Marrella. Nel corso della missione si sono svolti incontri coi massimi rappresentati istituzionali dei tre Paesi africani e sono state effettuate visite nelle prigioni di Niamey e Kollo in Niger e in quella di Moroni nelle Comore, sulla quale Marco Perduca ha scritto per Panorama il reportage che segue. Il Niger raramente fa notizia. La fece anni fa perché i servizi segreti italiani ritenevano - a torto - che Saddam Hussein ci volesse comprare dell'uranio per innescare le sue armi di distruzioni di massa. Più recentemente, ogni tanto è menzionato per le incursioni di Boko Haram dalla Nigeria o per il rischio di infiltrazioni terroristiche dalla Libia o dall'Algeria. Quasi mai fa notizia il fatto che il Niger, coi suoi abitanti quasi tutti di fede islamica e con tutti i problemi di un Paese povero e dimenticato da (quasi) tutti, ha delle istituzioni democratiche e una dialettica politica sostanzialmente laica, tese a consentire un minimo di sviluppo umano a quasi 18 milioni di persone contro minacce endogene e limitrofe. E di sviluppo umano, e quindi di rispetto dei diritti umani, una delegazione del Partito Radicale e di Nessuno Tocchi Caino con, tra gli altri, Marco Pannella e Sergio D'Elia, ha discusso colla leadership del Paese. L'occasione è stata fornita dalla campagna globale che i Radicali portano avanti da 20 anni a favore di una risoluzione Onu che proclami una Moratoria Universale delle esecuzioni capitali. Secondo i criteri di Nessuno Tocchi Caino, il Niger è un abolizionista di fatto, un Paese cioè dove pur esistendo la pena capitale nel codice penale non ci sono esecuzioni da oltre 10 anni. Le ultime fucilazioni nigerine risalgono al 1976 e la moratoria di fatto è destinata a durare fino all'abolizione definitiva della pena capitale, perché dall'aprile in Niger c'è un Ministro della Giustizia sui generis. Il giurista Marou Amadou ha oggi 42 anni e, quando era più giovane, ha subito sulla propria pelle le prepotenze del potere statale, ma ha reagito, come raramente accade in Africa, mantenendo ferme le proprie convinzioni politiche nonviolente e passando mesi in cella d'isolamento perché la legalità costituzionale e il rispetto dei diritti umani fossero garantiti anche nel cuore del Sahel. A differenza di molti altri suoi colleghi africani, membri di governo in Senegal, Ghana, Liberia o Sierra Leone, Marou Amadou non ha dismesso le proprie convinzioni per gli agi e le convenienze che un alto incarico spesso comporta. Da quando è stato nominato guardasigilli, nonché portavoce del Governo, Amadou non si è dimenticato della sua militanza a favore dei diritti umani e ha avviato una serie di riforme per, tra le altre cose, cancellare definitivamente la pena di morte. Ad aprile di quest'anno, Amadou ha infatti commutato quasi tutte le condanne a morte in carcere a vita e ha posto il limite massimo di 25 anni di detenzione per chi era condannato all'ergastolo. Poi, a fine ottobre, ha fatto ratificare al suo Governo il Secondo Protocollo Opzionale al Patto internazionale sui Diritti Civili e Politici che relega la pena di morte tra le violazioni dei diritti umani. Con questo pedigree, Marou Amadou non poteva non esser sensibile alla situazione penitenziaria del suo Paese. Contrariamente a molti suoi colleghi africani, Amadou ci ha dato accesso pressoché illimitato a due carceri del suo Paese: la peggiore, quella di Niamey, e una delle migliori, quella di Kollo a 30 chilometri dalla capitale. Il carcere di Niamey è un complesso strutturato in una sezione maschile, una femminile e una minorile. Mentre le 46 donne e i 27 minorenni sono ospitati in settori che a norma di legge ne possono contenere 45 e 60, e che strutturalmente non presentano gravi carenze dal punto di vista architettonico o igienico-sanitario, i 1.114 uomini sono ammassati in locali malsani che ne dovrebbero ospitare 350! L'Amministrazione penitenziaria di Niamey non ci ha consentito di documentare con foto o filmati la sezione maschile per non meglio specificati motivi di "privacy" e "sicurezza" - in effetti non sarebbe stato un bel vedere - ma abbiamo potuto far domande a tutti su tutto. Il complesso maschile si sviluppa come una sorta di labirinto, dove solo pochi fortunati possono dormire in camerate praticamente prive di finestre e con una latrina separata da un telo; il resto dei detenuti è ammassato negli spazi all'aperto dove si svolge la vita diurna e dove, data l'incredibile sovrappopolazione, tutti dormono in giacigli permanentemente di fortuna. Gli spazi all'aria aperta, che ospitano quasi 900 persone, ricordano il caos tipico di un suq, dove non esiste alcuna separazione tra le zone dove è possibile camminare, non fosse altro che per andare al bagno o alle docce fatiscenti - una decina scarsa di rubinetti per oltre mille persone, e le parti dove si dorme o si mangia. Decine di brande arrangiate con ogni tipo di materiale sono riparate da teli o stuoie appesi a fili cadenti e servono per difendersi dagli oltre 40 gradi dell'estate o dalle violente precipitazioni della stagione delle piogge. Certo, quando si arriva a 1.500 detenuti le autorità si preoccupano di "sfollare" decine di persone, ma negli ultimi tempi, ci è stato detto sottovoce dalle guardie, non si è mai scesi sotto i 1.000 detenuti - quasi 700 oltre la capienza massima. Come in Italia, anche in Niger l'amministrazione della giustizia ha tempi molto incerti. Infatti, dei 1.114 presenti nel carcere di Niamey a fine novembre 2014, solo 411 avevano una sentenza definitiva. Nessuno dei detenuti maschi lavora o va a scuola, pochi parlano o capiscono il francese, la lingua ufficiale del Niger. Perfino la moschea, di solito incredibilmente immacolata anche nel paese più povero, risente del drammatico sovraffollamento. La cooperazione internazionale, che raramente si interessa di carceri, è presente con un piccolo progetto belga per la scolarizzazione minorile e il lavoro femminile, mentre gli americani hanno offerto un sostegno per la costruzione di una prigione che dovrebbe ospitare un migliaio di persone secondo gli standard made in Usa. Siccome i finanziamenti dovrebbero essere prevalentemente statali è difficile ipotizzare una data per l'inizio dei lavori. La sezione femminile e quella dei ragazzi presentano una situazione sensibilmente migliore: non esistono problemi di sovrappopolazione e quasi tutti lavorano in atelier di maglieria, falegnameria, taglio e cucito e coloratura batik. Nel reparto minorile abbiamo incontrato 27 ragazzi, in parte pronti per una sessione di lavoro, in parte a scuola a imparare a contare in francese. Nel parlare coi ragazzini è emerso che in molti casi la convalida dell'arresto avviene senza che l'accusato abbia ricevuto alcun tipo di assistenza legale. Un piccoletto ci ha candidamente confessato di avere 12 anni - un'età per cui in Niger non si può stare i carcere. È da sperare che la segnalazione fatta ai timidi rappresentanti delle Nazioni Unite che nel frattempo si erano uniti alla nostra delegazione ne abbia consentito un'immediata scarcerazione. Mali: governo liberò 4 prigionieri per rilascio dell'ostaggio francese Serge Lazarevic La Presse, 16 dicembre 2014 Il governo del Mali ha scambiato quattro prigionieri per ottenere il rilascio dell'ostaggio francese Serge Lazarevic, detenuto da tre anni dai militanti di al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi). Lo ha reso noto un portavoce del governo del Paese africano, Mahamane Baby, affermando che il gruppo militante aveva chiesto la scarcerazione di sei prigionieri "ma il governo ne ha liberati solo quattro, di cui due cittadini maliani". La liberazione di Lazarevic, avvenuta lo scorso martedì, ha riacceso il dibattito fra i governi occidentali sulla possibilità o meno di negoziare con i gruppi che prendono ostaggi. Parigi non ha pubblicamente confermato lo scambio di prigionieri, né ha spiegato le circostanze del rilascio di Lazarevic. La Francia insiste nell'affermare che non paga riscatti e non fa scambi di prigionieri, sebbene il presidente François Hollande abbia riconosciuto che altri Paesi lo hanno fatto "per aiutarci". Arabia Saudita: estesa custodia cautelare per donna che sfidò divieto di guida Adnkronos, 16 dicembre 2014 Si teme condanna esemplare per metter fine alle iniziative a favore delle donne al volante. È stata estesa di 25 giorni la custodia cautelare per Loujain Al Hathloul, la donna di 25 anni arrestata il primo dicembre per aver violato il divieto di guida in vigore in Arabia Saudita. Al momento le autorità non hanno ancora reso note le accuse nei suoi confronti e attivisti e familiari temono una condanna esemplare per metter fine alle campagne organizzate contro il divieto di guida per le donne nel Regno. Finora, infatti, chi aveva sfidato il bando non era rimasto in carcere che pochi giorni. Proveniente dagli Emirati, quindici giorni fa Hathloul stava volontariamente violando la legge quando è stata fermata al confine con l'Arabia Saudita e costretta a restare nella sua auto per un giorno interno. Laureata in letteratura francese, l'anno scorso la donna aveva preso parte a una campagna online contro il divieto di guida per le donne postando su Internet un video che la ritraeva al volante dall'aeroporto di Riad alla sua abitazione.