L'amore entra dentro l'Assassino dei Sogni. Settima parte Ristretti Orizzonti, 15 dicembre 2014 Testimonianza di un Uomo Ombra al seminario di Ristretti Orizzonti sugli affetti in carcere del primo dicembre 2014. "Se un lupo cattivo riesce a diventare buono, i buoni non te lo perdoneranno mai". (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com). Adesso c'è un intervento tecnico dello psichiatra Diego De Leo, professore ordinario di Psichiatria alla Griffith University, Australia. C'è un problema di suicidio che è particolarmente acuto all'ingresso del carcere, nei primi mesi di detenzione, ma c'è anche un tasso di suicidio assolutamente molto elevato anche dopo una lunga detenzione quindi alla dimissione dal carcere. (…). Uno degli aspetti meno studiati ancora del suicidio in carcere tutt'oggi è per esempio l'influenza di comportamenti suicidari all'interno del carcere sugli altri detenuti. Quindi che cosa succede ai detenuti quando vengono a sapere, oppure quando sono addirittura spettatori del suicidio di altri detenuti, o del tentativo di suicidio di altri detenuti, come reagiscono? Che cosa pensano? Che cosa fanno? Come possono sfogare l'inquietudine che dà un comportamento estremo di un'altra persona? Come possono difendersene? Ecco chiaramente tutte queste esperienze negative, legate al fatto che il suicidio di per se è un elemento assolutamente molto contagioso e tecnicamente si usa proprio questa parola "contagio", perché l'influenzamento psicologico che da il suicidio sulle persone è talmente virulento da far pensare a una sorta proprio di infezione, quindi è un comportamento sociale veramente molto influenzabile dagli avvenimenti esterni e dalle correnti di pensiero, dagli eventi che sono caricati di emozioni e che possono, quindi, giustificare la decisione estrema perché la pressione collettiva poi diventa molto forte. (…) Migliorare le comunicazioni, migliorare le opportunità di supporto, migliorare quella possibilità di essere compresi emozionalmente anche quando i meccanismi di difesa istituzionale vogliono impedircelo: evidentemente un aiuto alla sopportazione della vita in carcere tutto questo lo può fornire, quindi da questo punto di vista la "connessione" anche all'interno del carcere acquisisce una portata veramente importante. Mentre lo psichiatra Diego De Leo parla di suicido mi vengono in mente tutte le volte che ho pensato di farla finita. Da un po' di anni quando mi alzo al mattino penso che mi aspetti un'altra giornata di nulla nel nulla. E penso sempre più spesso perché sono ancora in questo mondo che non mi vuole più. Mi sembra di essere sempre più stanco di vivere. E provo sempre di più il desiderio di riposarmi perché credo che nella vita ho già lottato abbastanza. Ormai mi sento invecchiato nel fisico e nella mente. E muoio un po' tutte le mattine quando apro gli occhi e rinasco solo la sera quando li richiudo. Poi Ornella commenta le parole di Diego De Leo (…) Mi piace la parola "protezione" dal suicidio e il fatto che lei ha messo al centro le connessioni, i rapporti, le relazioni che le persone detenute possono sviluppare. Quello che hanno raccontato le figlie dimostra esattamente questa impossibilità di relazioni affettive vere, impossibilità di un gesto non perché gli agenti siano cattivi, ma perché il regolamento è antico, è vecchio non permette niente di tutto questo, non permette un gesto, concede degli spazi minimi. Quindi ecco io credo che da questa giornata vorremmo che venisse fuori anche questo messaggio, che non esiste la prevenzione dei suicidi fatta a tavolino. Parliamo piuttosto di "protezione dal suicidio" e parliamone rafforzando i legami familiari. Mi viene in mente che i filosofi non consideravano la scelta di suicidarsi un crimine o un peccato, ma solo un modo di abbandonare la scena quando la vita diventava inutile. E credo che la mia vita oltre che inutile ora è diventata anche insopportabile. Penso di non temere la morte. È già da tanto tempo che l'aspetto. E sembra che lei per farmi dispetto e per lasciarmi in prigione ritardi a venire. Penso che ogni uomo ombra resiste a stare in carcere fino a un certo numero di anni, che cambia a secondo degli uomini. Poi ad alcuni non rimane altro che impiccarsi alle sbarre della propria cella. Credo che io ho già superato di molti anni questo limite, ma non ho ancora avuto il coraggio di togliermi la vita. Penso che non esiste un solo uomo ombra che non abbia mai pensato a togliersi la vita per uscire prima, perché a volte la libertà e la morte ti sembrano così vicine che basta allungare la mano per toccarle. Poi guardo mia figlia accanto a me. Lei mi sorride. Spero con tutto il cuore che lei non immagini mai a cosa sto pensando. Rispondo al suo sorriso. E confido al mio cuore che non uscirò mai dal carcere perché oltre alla pena dell'ergastolo sono condannato a vivere per amore. E questa è la più bella delle condanne. Poi Ornella continua a introdurre i relatori ed invita a parlare il primo parlamentare. Siccome i parlamentari che sono venuti devono andare via, io vorrei che ci dessero un impegno, quindi vorrei chiamare Sergio Lo Giudice, Alessandro Zan e Gessica Rostellato per chiedere un impegno concreto, e prima di tutto l'impegno a ottenere la calendarizzazione di queste benedette proposte di legge. Voi avete un po' sentito figli, mogli, detenuti, quindi spero che questo sia anche uno stimolo a farla, questa battaglia. Ed inizia l'intervento il senatore Lo Giudice. Continua.. Il Cnca entra a far parte della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia di Elisabetta Laganà (Presidente Cnvg) Ristretti Orizzonti, 15 dicembre 2014 Il Consiglio Nazionale della Cnvg ha accolto fra i suoi Organismi nazionali il Cnca (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza). Il Cnca è una Associazione di promozione sociale che conta al suo interno 250 organizzazioni, costituite in larga parte da associazioni di volontariato. Tra le molteplici aree di impegno degli associati vi è anche quella delle carceri, con il lavoro sia all'interno che all'esterno per i percorsi di inclusione sociale e reinserimento lavorativo sia in ambito adulto che minorile. La Cnvg esprime grande soddisfazione per la richiesta di adesione del Cnca, che da molti anni si distingue per le sue politiche e pratiche a favore di integrazione della marginalità, dei soggetti fragili e più esposti, impegnata in prima linea nella definizione delle politiche in tema di welfare, delle dipendenze patologiche e dell'accoglienza rispettosa dei diritti. Una importante esperienza si aggiunge quindi agli Enti nazionali appartenenti alla Cnvg, portando quindi ulteriori e necessari contributi al coordinamento delle realtà di volontariato impegnate sul versante della pena, che possono raggiungere migliori risultati quanto più agiscono in maniera congiunta per promuovere in modo condiviso e compatto politiche di giustizia, studi e ricerche, sul territorio regionale e nazionale. La Cnvg ringrazia pertanto il presidente Don Armando Zappolini e tutto il Cnca per avere aggiunto la sua preziosa esperienza alla nostra rete nazionale. Giustizia: corruzione, da 20 anni sempre gli stessi schemi ormai logori e ridicoli di Lionello Mancini Il Sole 24 Ore, 15 dicembre 2014 È accaduto di nuovo, anche dopo la retata di "Mafia capitale". Una retata tuttora senza paragoni persino per questa nostra povera Italia, in cui basta scalfire il terreno della vita pubblica per veder sgorgare la lava venefica della politica malata, della cattiva amministrazione, dell'economia truccata. Il pantano, in realtà, è ben visibile, non da oggi e anche a occhio nudo, ma solo polizia, carabinieri e procure sembrano delegati e ben attivi a raccogliere il materiale maleodorante ovunque sparso, traendone le dovute conclusioni. Che cosa accade, a seguito di queste violente operazioni di pulizia, peraltro d'obbligo per i pm? Da oltre un ventennio si ripetono schemi reattivi ormai logori e ridicoli (non fossero tragici) più simili a riti esorcisti che non a momenti di comprensione e riparazione. Lo schema è il seguente. Il clamore, l'incredulità, la preoccupazione cedono in una manciata di ore il passo ai distinguo, ai giuramenti sull'onore, agli annunci di querela, mentre i calderoni mediatici ribollono di carte ininfluenti e dati incoerenti, purché succosi o almeno allusivi. Viene quindi il tempo delle opinioni a caldo, dei talk show amati da ignoranti dei fatti, degli avvisi di garanzia trattati da condanne. Superati i (plausibili) timori iniziali di non essere in qualche modo impigliato nella rete, il circo politico-mediatico si può dedicare al tiro al bersaglio e la giostra accelera... I nomi della propria area politica sfumano via, mentre vengono martellati quelli di aree avverse, estrapolati da verbali qualsiasi e strillati direttamente nei titoli di Tg, web, giornali-manganello. La politichetta usuale ha già ripreso il sopravvento, il nocciolo dei fatti è già scomparso dai video, anche se una fugace pudicizia consiglia di tosare qua e là un dirigente o un pezzo di partito, intanto annunciando fulminei interventi moralizzatori, promesse di immediati giri di vite e massicci interventi di legge. Il risultato di questo psicodramma stantio? Meno di zero, ovviamente. Questo ricorda al Paese l'operazione "Mafia capitale", con i suoi rodatissimi ingranaggi spartitori di denaro pubblico in un'orgia avvilente di prassi deviate, nomine indegne, arricchimenti personali, finanziamenti elettorali. Quali anticorpi hanno attivato i partiti, gli amministratori, gli enti, le grandi imprese per prevenire errori e scelte criminogene? Quali regole ha introdotto la politica per garantirsi da corrotti e incapaci? Come sono stati protetti gli appalti dalle grandi e piccole manipolazioni? Quale prezzo pagano i pochi che tentano di forzare questo "blocco", rischiando business e persino la vita? Domande dolorose, perché lo vediamo il contesto immutato, quando non ulteriormente degradato da sfregi quali le deroghe "d'emergenza" o le manomissioni delle regole processuali. In questi frangenti da burrasca, la legge anticorruzione è solo in rodaggio - tra molte distrazioni e pesanti ostruzionismi - e l'Authority dedicata è precipitosamente attiva da luglio solo perché Expo e Mose scricchiolavano sotto il peso delle indagini. Basterà la scossa di "Mafia capitale" per far cambiare passo al Paese? Piacerebbe pronunciare un convinto "sì", perché il fondo è stato toccato con quest'ultima caduta rovinosa e purtroppo avvenuta al cospetto del mondo intero. Piacerebbe sperare che ora qualcuno (come nella Sicilia del 2007) semini nello spazio ripulito a sirene spiegate una cultura diversa. Troppi segnali dicono che la svolta indispensabile non è dietro l'angolo. È già accaduto, però, che persino l'antica Cosa Nostra ha dovuto cedere a uno Stato accanito e al coraggio di pochi imprenditori. Dalla mafia romana ci si può già difendere cominciando - ciascuno nel suo - a non farsi "inglobare" nel sistema, così da contribuire a "cappottare tutto". Giustizia: la prescrizione è nella Costituzione, senza prescrizione siamo sudditi Il Garantista, 15 dicembre 2014 La prescrizione del reato è oggi bersaglio di luoghi comuni e grossolani equivoci. La convinzione purtroppo molto diffusa secondo la quale consisterebbe in una sorta di salvacondotto per i colpevoli, non ha alcuna base giuridica, anzi è smentita dal principio di presunzione di non colpevolezza sino a sentenza definitiva. Il punto di partenza per formarsi una corretta opinione priva di condizionamenti, quindi non estremista, è di natura politica. Risiede in un nodo storico del rapporto tra cittadino e Stato. Quello concernente la natura temporanea ovvero perpetua del potere punitivo. Prescindere dalle note, ma ormai tramontate, concezioni assolute della pena di Immanuel Kant, nessuno può negare che solo uno Stato dai tratti fortemente illiberali, se non addirittura autoritario, potrebbe tollerare che un cittadino sia giudicato in tempi del tutto indeterminati e rimessi alla sua assoluta discrezionalità. Così agendo in dispregio di ogni esigenza di certezza dei rapporti giuridici, peggio divenendo una sorta di padrone della vita di coloro i quali, a quel punto, verrebbero trattati come sudditi. Sarebbe in mala fede, pertanto, chi negasse che il tema della prescrizione travalica i limiti del diritto penale, pur sempre segnato da scelte politiche, ponendosi come una questione ulteriormente politica, addirittura come indice del tasso di effettiva liberalità del sistema. Ecco perché la questione della quale ci stiamo occupando deve essere trattata con saggezza, equilibrio, cultura giuridica. D'altronde il paradosso della questione si coglie anche nel fatto che lo stesso regime fascista aveva introdotto la prescrizione, ritenendola un cardine irrinunciabile dello Stato di diritto, laddove oggi - in piena democrazia - vi è chi pensa di poterne fare a meno. È chiaro, pertanto, che sul piano politico uno Stato secolarizzato e di diritto, liberale o democratico che sia, debba concepire come a termine il rapporto punitivo sorto con il proprio cittadino. Si devono cioè prevedere norme che impongono di pronunciare sentenza definitiva di condanna entro un termine predeterminato decorrente dalla data di commissione del reato, pena la sua stessa estinzione. Peraltro, lo Stato italiano ha da tempo trasformato la pena in una entità relativizzata, ossia come strumento di scambio per ottenere vantaggi che nulla hanno a che vedere con la punizione del colpevole. Basti pensare ai condoni che trasformano l'ingestibile massa di procedimenti penali pendenti in gettito fiscale, al fatto che per i collaboratori di giustizia le pene sono fortemente ridotte al fine di incentivarne il contributo alle indagini e che lo stesso accade per favorire il rito abbreviato o il patteggiamento, premiando così la semplificazione delle forme del processo e la riduzione del carico pendente. Se così stanno le cose, la prescrizione è un istituto coerente con il sistema (ma anche con le più attuali esigenze politico criminali, volte alla deflazione del carico). Sarebbe quanto meno incoerente un legislatore che compisse ogni sforzo per alleggerire il peso dell'arretrato e pensasse poi di dover celebrare tutti i processi, a prescindere dal fatto che tra la data di commissione del reato e quella del giudizio sia trascorso un termine così lungo da rendere del tutto irragionevole- se non addirittura impossibile - la celebrazione di un serio giudizio penale. Ciò premesso sul piano politico ed evidenziato che oggi i reati di massima gravità non si prescrivono, occorre ora chiedersi se questo istituto possiede o meno una base costituzionale che lo ponga in una posizione rafforzata. A questa domanda deve darsi una ampia risposta positiva. Il principio di rieducazione (art. 27 comma 2 Cost.) implicitamente impone che il cittadino sia giudicato in tempi ragionevolmente brevi rispetto alla data di commissione del reato. In caso contrario avvertirebbe la condanna come ingiusta perché indifferente rispetto alle sue mutate condizioni di vita (basterebbe pensare al caso di chi durante l'intervallo temporale abbia trovato un lavoro, si sia spostato, abbia avuto figli, ma soprattutto si sia già rieducato). Proprio in conseguenza di ciò rifiuterebbe ogni trattamento, ritenendolo inutilmente repressivo, privo - per l'appunto - di ogni finalità rieducativa. La presunzione di non colpevolezza (art. 27 comma 1 Cost.) sino alla condanna definitiva esclude poi che colui il quale beneficia della prescrizione possa essere ritenuto un colpevole che è riuscito a sottrarsi a una giusta condanna. Ma non basta, il diritto di difendersi provando e quello della formazione della prova nel contraddittorio (art. 111 commi 3 e 4 Cost.) vietano che il processo possa celebrarsi troppo tempo dopo la commissione del reato, cioè quando le prove sono ormai disperse e il diritto al contraddittorio non ha più modo di essere esercitato. Infine, il principio della ragionevole durata del processo (art. 111 comma 2 Cost.) vieta che questo possa durare troppo a lungo. La contro faccia di un sistema penale senza prescrizione sarebbe infatti costituito da processi interminabili e quindi ingiusti sia per gli imputati, sia per le persone offese o danneggiate. Quanto precede consente ora di dettare alcune schematiche conclusioni: 1) il potere punitivo di uno Stato di diritto, quindi di uno Stato non autoritario, deve prevedere un termine di estinzione. Sarebbe peraltro ancora priva del suo necessario significato di riabilitazione sociale, una sentenza di assoluzione che arrivasse troppo tardi, quando cioè è svanita ogni chance di reinserimento. 2) la prescrizione asseconda un sistema penale nel quale la sanzione è per più aspetti relativizzata, ossia usata per raggiungere fini diversi dalla punizione; 3) la prescrizione ha una solida base costituzionale. Pertanto sarebbero incostituzionali riforme che la eliminassero o la svuotassero del suo significato di garanzia, rendendo i termini talmente lunghi da privarla della sua stessa funzione; 4) talune forme di insopportabili aggressioni ai beni giuridici individuali o collettivi, ma anche la incapacità di gestire il carico dei processi penali, possono suggerire la necessità di aumentare la durata della prescrizione, ma per questa via non si giustificano né la vanificazione né la soppressione della prescrizione. A tale riguardo il governo ha recentemente presentato una ragionevole ed equilibrata proposta di riforma che non altera né la fisionomia né la struttura dell'istituto, ma si limita a dilatarne i tempi in occasione della celebrazione dell'appello e del ricorso per Cassazione; 5) malato è il processo che dura troppo, non la prescrizione senza la quale i processi sarebbero eterni. Il cittadino ha diritto ad essere giudicato in tempi ragionevoli e certi, né si può pensare di scaricare su di lui la inguaribile lentezza del processo penale. Giustizia: il Paese ostaggio del voto di scambio, così la corruzione prospera sulla povertà di Federico Fubini La Repubblica, 15 dicembre 2014 Nei comuni più benestanti l'affluenza alle politiche è più alta che alle comunali. In quelli meno ricchi succede il contrario. Perché è lì che si può esercitare il controllo sulle scelte degli elettori. I pacchi di pasta agli anziani portati alle primarie del Pd per il Comune di Roma. Le file di elettori nei quartieri ad alta densità di rom ed altri cittadini con diritto di voto, ma senza lavoro. Il voto di scambio, fondamenta del potere della tribù di Mafia Capitale per piazzare uomini fedeli e controllare gli appalti o le imprese municipali, non è un'esclusiva di Roma. Non è neppure una novità, perché è passato agli annali del folclore per le promesse di una scarpa prima e una dopo il voto nella Napoli anni 50 del sindaco Achille Lauro. Questa volta però è diverso. Questa non è più l'Italia del boom, con i tassi di crescita e di speranza più alti dell'Occidente. Nel pieno di un crollo dell'economia di oltre il 9% dal 2008, e di una caduta anche maggiore dei redditi degli ultimi, il voto di scambio, la corruzione, l'esclusione delle imprese pulite e competenti e tutto il debito pubblico che ne deriva, sono ormai un sistema radicato nella recessione. Senza il declino italiano, non esisterebbe con la stessa forza. Non potrebbe, perché i dati elettorali su decine di comuni d'Italia mostrano come il voto di scambio sia legato sempre più strettamente all'impoverimento delle città. Per questo promette di radicarsi - con le sue conseguenze tossiche - se l'Italia non ritrova la strada della ripresa. Sono i grandi numeri, non più solo gli aneddoti, a mostrare i segni di questa realtà. Un'analisi sui dati delle 10 città medio-piccole a maggior reddito e di altri 10 centri di dimensioni simili, ma relegate in fondo alle graduatorie del benessere economico, mostra come la povertà distorca i comportamenti elettorali. Questi due gruppi diversi di comuni mostrano, in media, scarti così radicali nell'affluenza alle urne da lasciar capire come il voto di scambio si sia ormai impadronito di intere parti d'Italia. Per le città più ricche, abbiamo selezionato le prime 10 della classifica della produzione di reddito del "Sole 24 Ore" (ad esclusione di Milano, troppo grande per il confronto). Si tratta di Sondrio, Aosta, Belluno, Piacenza, Cuneo, Parma, Modena, Bolzano, Mantova, Biella. Per le città meno benestanti, abbiamo scelto 10 centri al fondo delle classifiche del "Sole" per reddito prodotto, assegni pensionistici medi o patrimonio. Sono Reggio Calabria, Salerno, Vibo Valentia, Catanzaro, Crotone, Cosenza, Lecce, Agrigento, Enna e Messina. Salta subito all'occhio che nei due gruppi di città di classi di reddito opposte il comportamento degli elettori è anch'esso molto diverso. Nella media delle 10 città "ricche" l'affluenza è stata sempre maggiore alle ultime elezioni politiche (78,1%) che al primo turno delle ultime comunali (65,2%). Nella media delle 10 città più impoverite invece l'affluenza alle ultime politiche (65,6%) è nettamente più bassa che al primo turno delle ultime comunali (73,25%). Emerge poi anche un'altra differenza fra i due gruppi: quando le comunali vanno al secondo turno, con il ballottaggio fra due soli nomi di candidati a sindaco, l'affluenza al voto nelle città "povere" crolla in media molto più che nelle città "ricche". Nel primo caso si registra una caduta media del 20% fra il primo e secondo turno, fra i capoluoghi benestanti invece il calo è minore di quasi la metà (meno 12,5%). In sostanza, le città con molti abitanti in difficoltà economica sembrano molto più interessate alle comunali che alle politiche, ma questo interesse sparisce al ballottaggio in misura nettamente maggiore di quanto non avvenga dove il benessere è diffuso. Ogni città naturalmente fa storia a sé. Le condizioni locali variano per mille motivi e non è detto che questi comportamenti siano sempre sintomo voto di scambio. Ma nei grandi numeri, l'indizio diventa una prova. Dove il reddito è più basso e quindi gli elettori sono più facilmente acquistabili con denaro, alimenti, la promessa di lavoro o la minaccia di licenziamento, è alle comunali e non alle politiche che tende a concentrarsi il voto di scambio. Alle ultime comunali esisteva infatti il voto di lista sui singoli candidati, mentre alle politiche le liste erano bloccate. Il candidato alle politiche non può controllare ex post se l'elettore ha dato o meno il voto che gli ha promesso, dunque non è incentivato a pagare per assicurarselo. Il candidato alle comunali invece è in grado di controllare che lo scambio sia avvenuto: poiché ha le liste degli elettori iscritti ai seggi di ciascuna sezione - gruppi di solito di 200 o 300 persone di un certo rione - nota subito se in un seggio ha ricevuto meno voti dei 20 o 30 che sa di aver "comprato". Di qui la maggiore affluenza media nelle città a forte disagio economico, al primo turno delle comunali: è infatti allora che si indicano i singoli candidati. Di qui anche il crollo del 20% o più al ballottaggio, quando la scelta è fra due sole persone, dunque il controllo ex post impossibile e l'incentivo a comprare il voto viene meno. Queste anomalie nell'affluenza sono tali da permettere a chi pratica il voto di scambio di controllare un comune, i suoi appalti, e le aziende municipalizzate. Si genera così, grazie alla povertà, il modello Mafia Capitale: debito pubblico che arricchisce pochi oligarchi locali a spese delle aziende migliori, escluse dagli appalti, e della collettività. Non è detto che succeda sempre, ovviamente. Ma chi investe in voto di scambio lo fa sempre nell'attesa di un rendimento. E un'analisi più fine dimostra quanto queste dinamiche traggano alimento dalla recessione: la sezione 91 del quartiere più povero di Catanzaro, la città con le pensioni più basse d'Italia, fra le politiche e le comunali mostra un'impennata dell'affluenza dal 51% al 79%. Altre periferie d'Italia, non solo al Sud, danno segnali simili. Nasce così un conflitto d'interesse in certi politici locali: non fanno niente per far emergere i loro concittadini dalla povertà, perché grazie ad essa è possibile il voto di scambio. La povertà conferisce controllo ai politici corrotti e genera nuova corruzione, che alimenta nuova povertà. Basterebbe poco per intralciare questo ingranaggio: mettere in un solo contenitore le schede di tutti i seggi prima dello scrutinio, in modo da impedire il controllo sui singoli elettori. Ma nessun politico l'ha mai proposto. Giustizia: Felice Casson (Pd) "sulla corruzione legge troppo timida, i magistrati parlino" di Liana Milella La Repubblica, 15 dicembre 2014 Renzi zittisce i magistrati? "Devo rispondere da cittadino, da politico, o da ex magistrato?". Da cittadino? "Il diritto di critica è il sale della democrazia". Da politico? "È assurdo che qualsiasi politico abbia paura della critica". E da ex magistrato? "Va tutelato il diritto costituzionale alla libertà di pensiero e di espressione". Felice Casson boccia Renzi e il ddl sulla corruzione. Il presidente dell'Anm Sabelli non doveva commentare il ddl? "In quanto tecnico ed esperto aveva tutto il diritto, anzi il dovere di farlo. Quando si parla di codice penale è ovvio che i commenti debbano essere fatti anche da un giurista". Sabelli, su Repubblica, non ha nascosto la sua delusione per il ddl anti-corruzione. Aveva torto? "No, ma la mia critica parte da presupposti diversi. In commissione Giustizia sia della Camera che del Senato sono pendenti da vario tempo più ddl in materia di lotta a corruzione e concussione, e su falso in bilancio e prescrizione. E sono norme molto più precise e incisive di quelle prospettate ora. In Senato ci siamo fermati, a giugno, al momento di votare gli emendamenti su richiesta del governo". Certo che ne è passato di tempo da allora... "Basterebbe votare quelle norme e il risultato sarebbe certamente più rapido e migliore". C'è il ddl Grasso che potrebbe marciare in fretta. Invece si ferma. Poi scoppia l'emergenza Eternit e della mafia a Roma e si fa un altro ddl in editio minor. Che senso ha? "Appunto. Me lo chiedo pure io. Ricordo che il cosiddetto ddl Grasso riporta norme preparate dal Pd già nella scorsa legislatura. Se non va avanti è per un motivo squisitamente politico. Quando si comincia a parlare di prescrizione e di lotta alla corruzione inevitabilmente la maggioranza di governo si spacca. Ncd va sulle posizioni di Forza Italia e della Lega e il governo fibrilla". Che voto darebbe alla mossa del governo? "È una proposta minimalista rispetto a quelle già in campo. Per di più la forma del ddl rischia di rallentare i già lenti tempi parlamentari. Vorrei capire perché mandare in Parlamento un ddl di 30 articoli in questa emergenza. Anche perché bisogna decidere chi deve intervenire tra Camera e Senato". Ma è già stato deciso che il testo va alla Camera... "Questo significa buttare all'aria mesi di lavoro della commissione del Senato, che è già pronta a votare gli emendamenti". Da voi non c'è già il ddl col falso in bilancio? E poi, dice "radio governo", che col presidente Nitto Palma si ferma tutto. "Non deve certo dirlo a me o ai senatori del Pd... E comunque il falso in bilancio rappresenta solo una parte delle norme da approvare". Prescrizione e pena maggiore per la corruzione. Basta? "No perché la sola repressione non è mai sufficiente. Quanto alla prescrizione dovrebbe fermarsi definitivamente, e non solo essere sospesa". Giustizia: non solo Roma… così "Mafia capitale" aveva messo le mani sull'Italia di Fabio Tonacci La Repubblica, 15 dicembre 2014 Se per un attimo si alzano gli occhi da Roma, si ha la visione di un progetto. Più ampio, più ambizioso. Per Carminati e il suo alter ego dalla "faccia pulita", Salvatore Buzzi, il Mondo di Mezzo non finiva al Grande raccordo anulare. Puntavano a prendersi il Cara più grande d'Europa, quello di Mineo. Sono scesi in Calabria a far patti con il clan Mancuso, sono volati a Londra per investire in società immobiliari, sono accusati di aver portato soldi in Svizzera, soldi in Liechtenstein, soldi a San Marino dove c'è una finanziaria, la Fidens Project Finance, indagata nel procedimento. Si sono comprati sindaci e appalti nella cintura dei comuni attorno a Roma. Mafia Capitale, dunque, non era solo capitale. Saranno i giudici a stabilire se sia valida l'intuizione del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, che ha riconosciuto nel gruppo del "Guercio" il modus operandi di una vera associazione mafiosa. Finora, un gip e il tribunale del Riesame gli hanno dato ragione. Quello che però le indagini hanno già consentito di scoprire è la dimensione "italiana" di certi interessi in ballo, soprattutto quelli che gravitano attorno all'emergenza immigrati. Non è casuale l'ossessione che Buzzi e Carminati avevano per il centro accoglienza profughi di Mineo, in Sicilia. Nel Consorzio che lo gestisce figura come consulente Luca Odevaine, ritenuto dalla procura "a libro paga", e 44 bonifici in 2 anni girati dalla Coop 29 giugno sui conti della sua ex moglie stanno lì a dimostrarlo. "Sono in grado di orientare i flussi che arrivano da giù", dice Odevaine in un'intercettazione. Naturalmente quei flussi di disperati finivano nei centri controllati da Mafia Capitale. Con lo stesso obiettivo, cercavano di portare a 300 il numero di ospiti del Cara di Palese, ma il comune di Bari si oppose. E pure la puntata in quel di Cropano Marina, dove Buzzi ottiene nel 2008 dal Viminale la gestione per cinque mesi del Cara locale (1,3 milioni di euro di introiti) e stringe un patto di "protezione" con il clan Mancuso, fa parte del progetto. Salvatore Buzzi, "il compagno B", il già condannato per omicidio che si è ritrovato a capo di una ingarbugliata rete di cooperative sociali. Dal 2007, annotano i carabinieri del Ros nelle loro informative, è consulente anche del consorzio Tolfa Care Srl che ha sede legale a Pesaro, pur operando nel comune di Tolfa, non lontano da Civitavecchia, nel settore dell'assistenza agli anziani. È anche consigliere di sorveglianza del Consorzio nazionale servizi, sede a Bologna e affari nel Lazio. Nel 2012 vince un appalto da 21 milioni con l'Ama, la municipalizzata dei rifiuti, e Buzzi sembra averne un certo controllo, tanto che il 14 febbraio 2013 offre a Salvatore Forlenza (uno degli arrestati, ndr), la possibilità di partecipare: "Vuoi entrare anche te come Cns, Formula Ambiente? Perché ora si può entrà, poi dopo è difficile". La sua ombra si allunga fino in Sardegna. Nei giorni scorsi l'Unione Sarda ha dato conto di due arresti, due consiglieri di amministrazione proprio di Formula Ambiente, che sull'isola si occupa di rifiuti e igiene urbana per 17 comuni. Buzzi, fino al 2012, di quel consorzio era tra i soci di maggioranza. E i due finiti in carcere risultano legati alla cooperativa "29 giugno". Dell'influenza nei comuni a nord di Roma, si è detto in questi giorni. Da Sant'Oreste (appalto per la raccolta differenziata da 3 milioni di euro, il sindaco è accusato di aver accettato soldi), a Sacrofano (vivono qui Carminati, Brugia e Gaglianone, hanno sostenuto la campagna elettorale del sindaco), ai municipi dove ottengono lavori nel settore dell'immondizia: Canale Monterano, Formello, Anguillara. A Morlupo il "Guercio" aveva addirittura l'intenzione di costruire un piccolo impianto di compostaggio, mentre a Fiumicino Ernesto Diotallevi, "il boss dei boss" sostiene al telefono la necessità di appoggiare il candidato sindaco del Pdl Mauro Gonnelli. Niente si fa per caso, nel Mondo di Mezzo avevano un progetto. Giustizia: le toghe passano al contrattacco contro il taglio alle ferie deciso dal governo di Anna Maria Greco Il Giornale, 15 dicembre 2014 I magistrati non ci stanno. Quel taglio delle ferie da 45 a 30 giorni l'anno, voluto dal premier Matteo Renzi in persona, dovrebbe scattare a settimane con l'anno 2015 e il Csm sta studiando l'applicazione pratica del nuovo sistema per dare istruzioni ai dirigenti degli uffici giudiziari. Ma la controffensiva delle toghe è già pronta e conta tre mosse. Tutte per annullare di fatto la misura del governo, o almeno limitare i danni. La prima si chiama ricorsi di massa al Tar, con la denuncia dell'incostituzionalità del decreto-legge 132 di quest'anno, entrato in vigore a settembre. Un modello già circola tra i magistrati che si preparano ad impugnare il primo provvedimento utile, con azioni singole o una collettiva a livello nazionale. Stesso schema già seguito con successo contro il blocco degli adeguamenti automatici degli stipendi e il tetto alle super retribuzioni da 90mila e 150mila euro l'anno, stabiliti dalla manovra 2011-2012, quando riportarono una vittoria alla Corte costituzionale. Ora le toghe contano di fare il bis. La seconda mossa si appiglia all'ormai famoso errore che sarebbe contenuto nella legge, dove il nuovo articolo 8 bis non ha abrogato quello precedente: così si potrebbe interpretare il taglio come ristretto solo alle toghe "fuori ruolo" e non a tutte quelle che esercitano funzioni giurisdizionali. Ecco perché si sta con il fiato sul collo al Csm, dove sono già aperte due pratiche sulla questione in quarta e settima commissione, in modo che avvalori in una circolare questa lettura della norma. Anche la terza mossa conta sull'organo di autogoverno che potrebbe, ed alcuni consiglieri lo avrebbero già promesso, disporre che non si fissino udienze una settimana prima della sospensione feriale e un'altra dopo, così non sarebbe necessario scrivere le sentenze relative. Proprio a questo, almeno formalmente, servivano i 15 giorni di ferie aggiuntivi che le toghe avevano in precedenza. La sfiducia crescente nell' azione sindacale dell'Anm, che da molti viene ritenuta troppo legata al governo, spinge i magistrati ad organizzare autonomamente gli strumenti di lotta e di difesa dagli attacchi renziani. Il ricorso al Tar sulle ferie, naturalmente, funzionerà anche come arma di pressione sul Csm e sui politici, perché in un modo o nell'altro ammorbidiscano, o addirittura annullino di fatto, la nuova regola. Strada questa che sarebbe preferibile, anche per i tempi più celeri. Per rivolgersi ai colleghi giudici amministrativi i magistrati ordinari partono dall'idea di agire contro il provvedimento di uno degli uffici giudiziari d'Italia che organizzi il periodo feriale nel nuovo anno o neghi a qualcuno giorni di vacanza oltre ai 30. Già a fine gennaio si potranno chiedere i giorni maturati nel mese, che non saranno più calcolati sui vecchi 45 annuali, e allora potrà scattare il ricorso. Un outsider gip di Ragusa a settembre ha provato a investire in anticipo la Consulta, ma con lo scattare del 2015 si prepara una ribellione in piena regola. Giustizia: Cuffaro, visita negata alla madre. Ha la demenza senile "non può riconoscerlo" di Mariateresa Conti Il Giornale, 15 dicembre 2014 Sconcertano le motivazioni con le quali è stato impedito al politico detenuto di vedere la mamma affetta da demenza senile. Forza Italia sollecita Orlando. Quale sia la colpa di Salvatore Cuffaro, oltre a quel favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per il quale è stato condannato a 7 anni, non si sa. Perché a un detenuto che ha già scontato oltre metà della pena, a un carcerato modello quale lui è da gennaio del 2011, quando si è presentato spontaneamente dopo la sentenza definitiva al carcere romano di Rebibbia, a un condannato che per il suo atteggiamento processuale ha ricevuto persino gli elogi del giudice che l'ha condannato (quell'Antonio Esposito poi divenuto celebre per la condanna di Berlusconi), non si nega un permesso per andare a trovare la madre novantenne malata. E soprattutto non lo si nega con la motivazione che il giudice ha dato: la mamma ha la demenza senile, magari non lo riconoscerebbe. Quindi no, niente visita. No, niente visita. Peggio per lui se si chiama Salvatore Cuffaro e non Mario Rossi. Niente visita per dare a mamma Ida, maestra in pensione, una mente vacillante che ogni tanto si lamenta per questo figlio che non la va mai a trovare perché non ricorda che è in carcere, un bacio che potrebbe essere l'ultimo. Niente bacio. Lui, che per nomignolo aveva Totò vasa vasa, bacia-bacia in siciliano, per il suo vizio di salutare tutti scoccando due bei baci. Un contrappasso crudele. La motivazione choc del giudice di sorveglianza di Roma, che ha fatto indignare l'ex ministro Stefania Prestigiacomo che ha lanciato un appello al ministro di Giustizia Andrea Orlando, è racchiusa in due scarne paginette e porta la data del 12 marzo scorso, anche se mediaticamente la notizia si è appresa solo adesso. Nel provvedimento il magistrato di sorveglianza Valeria Tomassini ricorda il carattere di eccezionalità del permesso richiesto da Cuffaro, elenca le patologie della madre del detenuto certificate dalla Asl, tra cui la demenza senile, sottolinea che la signora non è moribonda, e quindi scrive: "Il deterioramento cognitivo evidenziato svuota senz'altro di significato il richiesto colloquio poiché sarebbe comunque pregiudicato un soddisfacente momento di condivisione". Tradotto dal legal-burocratese: la mamma non capisce più nulla, quindi la visita non serve. Sta pagando Cuffaro. E non solo per quell'aiuto ai mafiosi che per i giudici della Cassazione fu volontario. No, sta pagando molto di più. Paga l'essere stato il più potente governatore che la Sicilia abbia mai avuto, il politico da record di preferenze e folle oceaniche. Paga l'aver sfidato tutto e tutti, come quando si presentò ad Annozero da Santoro con la coppola in testa per attaccare con ironia chi lo accusava di essere mafioso. Paga una foto, quella col vassoio di cannoli subito dopo la condanna in primo grado a cinque anni, che gli è costata forse più di tante altre accuse. "C'è un accanimento contro Cuffaro, questa è crudeltà", dice l'ex ministro Prestigiacomo, ora deputata di Forza Italia, che è riuscita col suo appello al ministro Orlando a sollevare un'indignazione generalizzata, da Forza Italia a Ncd passando anche per l'Udc. E in effetti, guardando quello che ha preceduto questo "no" alla visita alla mamma, i dubbi sul fatto che la giustizia sia uguale per tutti, ma ancora più uguale e rigida per il detenuto Cuffaro, non mancano. C'è stato, l'anno scorso, il "no" all'affidamento ai servizi sociali per scontare gli ultimi due anni (uscirà per fine pena a gennaio del 2016), nonostante il parere favorevole del Pg. E c'è stato anche il no di fatto ai funerali del padre. Cuffaro lo aveva salutato per l'ultima volta a ottobre, un permesso di appena sei ore. Papà Raffaele morì il 31 dicembre del 2012. Il permesso al detenuto per il funerale fu concesso il 2 gennaio, l'1 era festa. Cuffaro arrivò solo per la tumulazione. Per una carezza alla bara chiusa. Lettere: l'amnistia fa bene alla sicurezza di Domenico Bilotti www.approccicritici.blogspot.it, 15 dicembre 2014 Nel momento in cui le soluzioni più opportune sembrano accantonate, e paiono tramontare le iniziative civili che le avevano sostenute (o, almeno, il loro richiamo), forse è proprio quello il tempo giusto per insistere, per riaprire generosamente spazi della discussione e, conseguentemente, dell'attuazione. L'amnistia è un tema che avrebbe oggi seguito più limitato di quello che può razionalmente convogliare quando non emergono le maxi-inchieste, le maxi-retate, i maxi-blitz, e quando l'opinione pubblica non percepisce come panacea di tutti i mali (ivi compresa, una classe politica sovente non all'altezza) la coazione penale. Eppure, l'amnistia potrebbe aumentare la sicurezza materiale e la percezione della medesima nella società civile. Innanzitutto, dal momento che è prerogativa squisitamente parlamentare, bisognerebbe redigere e comporre la legge in modo da includervi a spron battutto tutte le ipotesi di reato di modestissima e modesta offensività sociale, nonché quelle dove il tasso di recidiva si dimostri più tenue ( e se si volesse forzare anche questo criterio limite, si ricordi che, dopo l'approvazione dell'ultimo indulto, le detenute e i detenuti che ne avevano beneficiato comparativamente mostrarono un minor ritorno a delinquere, rispetto alla media generale, pur essendo, verosimilmente, soggetti più facilmente attenzionati e attenzionabili dalle forze di polizia e dall'attività giudiziaria genericamente intesa). Le carceri, così come sono, sono fonte di insicurezza sociale molto spiccata: poco o troppo poco si riesce a sapere di quanto in esse avvenga quando al centro dell'attenzione vi siano fenomeni luttuosi, che riguardano frequentemente i detenuti e nient'affatto occasionalmente anche gli agenti che vi prestano servizio. Una drastica riduzione della popolazione penitenziaria, a seguito di una coerente e organica legge di amnistia, avrebbe perlomeno tre effetti: 1) nelle ipotesi oggetto dell'amnistia, preparare per il legislatore ordinario una preventiva evidenziazione delle classi di reato devolvibili a una diffusa e celere depenalizzazione; 2) evitare la celebrazione dei procedimenti che non era stata scongiurata dall'indulto precedente, mai coordinato con una altrimenti consequenzialmente logica amnistia; 3) con effetti di snellimento del carico pendente, determinare immediatamente un risparmio economico sulla gestione e sulla prosecuzione della giurisdizione, implicando un rientro di immagine insperato per la giustizia italiana ed evitando la lente di ingrandimento delle istituzioni comunitarie: se essa è stata spesso ben più limitata di quanto imporrebbe il diritto dei trattati internazionali, tutte le volte in cui s'è messa all'opera è stato perché la situazione italiana non poteva esigere altrimenti. Che dire? Non è il caso di riaprire la discussione, possibilmente ampliando il novero dei soggetti politici (come i radicali) e sociali (l'associazionismo penitenziario, le famiglie di "ristretti" e agenti) che già si impegnano costantemente su fronti affini? Lettere: anno fine coraggio… mai di Giulia Duca www.carmelomusumeci.com, 15 dicembre 2014 Una studentessa universitaria incontra Carmelo Musumeci al polo universitario del carcere di Padova. Dopo l'incontro Giulia scrive questa lettera. Caro Carmelo, mi chiamo Giulia, se ti ricordi ci siamo incontrati la settimana scorsa, quando sono venuta in visita al Polo Universitario per il mio progetto di tesi. È' difficile spiegare cosa ho provato a conoscerti e a conoscervi. Credevo di arrivare libera da ogni pregiudizio, invece mi sono stupita del clima che ho trovato, delle piacevoli conversazioni che ho avuto, dell'acutezza e profondità delle cose che mi avete raccontato. Ti assicuro che il 70% delle conversazioni che ho qui fuori è di un livello nettamente più basso. Mentre guidavo per tornare a casa ho capito che questo mio stupore era figlio di un pregiudizio che non sapevo di avere. Non mi stupirei di passare un pomeriggio piacevole al bar con persone qualunque, perché mi devo stupire del tempo ricco e arricchente che ho passato con voi? Quindi innanzitutto ti ringrazio e vi ringrazio perché mi avete ricordato che il pericolo dello stereotipo è sempre in agguato, la nostra mente tende a semplificare il mondo che ci circonda se non la teniamo allenata a ricercare sempre la profondità e la complessità delle cose. Grazie ancora per la disponibilità con cui mi avete accolta, trovare l'apertura proprio in un carcere era l'ultima cosa che mi aspettavo. Se puoi ti prego di estendere il ringraziamento a tutti tuoi colleghi. La seconda parte di quello che ti vorrei dire è più difficile per me da esprimere perché tocca le corde più profonde del mio cuore. Sono rimasta colpita, tra le tante cose che mi hai detto, da una tua frase: "Studiare ti fa sentire molto di più il dolore della pena". Ho pensato tanto a questa frase, è stata per me una chiave che ha aperto un mondo al quale non avevo mai dedicato la giusta attenzione. Mi ha fatto cambiare totalmente la prospettiva con la quale voglio scrivere la mia tesi, che non sarà di sicuro un trattato a livello internazionale, ma è mia, e anche se non la leggerà nessuno, voglio che tratti il tema dalla giusta prospettiva: la vostra. La sera stessa avevo una cena con alcune mie amiche, non potevo smettere di parlare di te. Del modo in cui ti sei raccontato. Ancora una volta parlando con loro ho scoperto il pericolo del pregiudizio, attaccato, incrostato dentro di me. Mentre mi parlavi non ho mai mai mai visto, neanche per un secondo, un criminale. Chi credevo di trovare? Hannibal Lecter? Davanti a me ho visto un papà, un nonno, una persona colta ed intelligente, un uomo dotato di grande empatia e doti comunicative. Ho visto il mio papà, che è anche nonno, e che è anche uomo intelligente, me lo hai ricordato tanto. Sarà che lui è il papà più bravo del mondo, ma in te ho rivisto il papà più bravo del mondo. Insieme alle mie amiche quella sera abbiamo letto tante cose su di te, la tua storia, la tua famiglia, il tuo percorso. Io inizialmente non volevo sapere per quale reato fossi stato condannato. Avevo paura di poter cambiare idea su di te, di spaventarmi delle emozioni che ho provato ascoltandoti. Ho avuto paura di non riuscire più a vederti come uomo ma solo come delinquente. E invece no, conoscere la tua storia mi fa essere ancora più vicina a te come persona e alla tua causa. Anzi è proprio la tua storia a dare il vero senso alla tua lotta. Mi indigno con te di vivere in una società che non offre un'altra possibilità ad un uomo, papà, nonno come te. E a tanti altri come te. Mi indigno di un sistema penale che mette anno di fine pena 9999, una grottesca ironia, una sadica dicitura, una presa in giro. Mi chiedo dove sarei adesso se quando ho sbagliato nessuno mi avesse perdonato. Ti ringrazio per il coraggio e la forza che metti nel cercare di cambiare le cose. Non solo per te, ma in nome di un senso di giustizia più grande. Forse non conterà molto, ma conoscerti, leggere ciò che scrivi, ascoltare le tue interviste, mi ha fatto cambiare idea, mi ha tenuto il pensiero e il cuore impegnati per giorni. Ho riflettuto tanto sul significato delle parole che usiamo superficialmente tutti i giorni: colpa, colpevole, criminale, pena, buoni, cattivi. Il tuo definirti "cattivo" , in contrapposizione ai " buoni" che ti condannano ad una punizione senza vie d'uscita, è un contrasto così forte che ci costringe a rimettere in discussione la nozione stessa di bene e di male. La parola "cattivo" non sta bene con i tuoi occhi, con i tuoi modi, con la tua umanità, è un po' come il calzino con i sandali dei tedeschi per capirci, non ci sta. Ho parlato di te al mio amore, alla mia famiglia, ai miei amici e anche alla mia nipotina, che come sempre, con i suoi 4 anni ha più ragionevolezza della maggior parte degli adulti. Forse non conterà molto ma come disse Madre Teresa, se non mettessimo la nostra piccola goccia, l'oceano sarebbe un po' più vuoto. Forse non conterà molto ma se posso fare qualcosa, ci sono. Grazie per la tua forza, per il messaggio che passi ai più giovani, per l'impegno, per non fermarti mai di dire, scrivere, raccontare. Anno fine coraggio: mai. Viterbo: Mazzoli (Pd); carcere, ecco tutte le misure adottate dal governo www.tusciaweb.eu, 15 dicembre 2014 "Un paese civile si distingue anche per l'avere un sistema penitenziario che non mette mai in discussione i diritti umani fondamentali a prescindere dai reati commessi e che assolve il dovere di solidarietà e umanità nell'esecuzione delle pene. Per questo, come Partito democratico, abbiamo avanzato proposte di legge mirate a favorire le misure alternative, diminuire il sovraffollamento e mettere i detenuti, insieme al personale che lavora dentro gli istituti, nelle condizioni di vivere e lavorare in maniera dignitosa". Lo ha detto il deputato del Pd Alessandro Mazzoli, intervenendo all'iniziativa sulle carceri organizzata ieri a Soriano nel Cimino dal locale circolo del partito. Hanno relazionato anche il segretario del circolo Federico Fabrizi e l'ex sindaco Alessandro Pizzi. In particolare, Pizzi ha ricordato come nel solo 2014 siano state 126 le morti nelle carceri italiane, per un'età media di 40 anni e un tasso di suicidi del 35,6 per cento. Inoltre, ha rivelato come le infezioni tra i detenuti superino del 20 per cento quelle presenti nel resto della popolazione. Mazzoli ha invece fatto un excursus sulla situazione carceraria nel Paese. "Finora - ha detto il deputato Pd - l'Italia ha affrontato il problema solo in condizioni di emergenza senza offrire una risposta definita che stia dentro il dettame costituzionale. L'attuale condizione, soprattutto il sovraffollamento, è il risultato di problematiche di carattere strutturale, della mancata modernizzazione del sistema giustizia e del ritardo della politica nell'interpretare i cambiamenti". Dopo aver richiamato la sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti dell'uomo, il messaggio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e quello di Papa Francesco, Mazzoli ha richiamato i provvedimenti adottati o in fase di discussione. "Innanzitutto - ha spiegato - abbiamo cambiato rotta rispetto alle politiche dei pacchetti sicurezza per cui si interveniva solo in una logica di propaganda". Poi, il deputato si è concentrato sul tema del sovraffollamento: "Un terzo dei detenuti sono in custodia cautelare, ovvero in attesa di giudizio. Molti sono immigrati e altri tossicodipendenti. La logica seguita - ha affermato - è quella per cui non può essere automatico lo stare in carcere senza condanna definitiva: abbiamo introdotto una valutazione reale dei rischi di fuga, reiterazione del reato o inquinamento delle prove. Questa misura ha consentito di ridurre del 20 per cento la tipologia di detenuti, ovvero 3300 unità in meno. Naturalmente, la custodia cautelare resta per i reati più gravi come l'associazione di stampo mafioso e il terrorismo". Tra le altre misure adottate dal governo Renzi ci sono: la stabilizzazione dell'istituto della detenzione domiciliare per gli ultimi 18 mesi di pena e un aumento dell'affidamento ai servizi sociali (il che ha permesso di far scendere di 4000 unità i detenuti); gli sconti di pena per i reati minori; l'aumento del ricorso alla cura in comunità per i tossicodipendenti. "Abbiamo puntato - ha commentato Mazzoli - sul rilancio delle misure alternative al carcere. Significa investire nelle professionalità necessarie. Abbiamo inoltre potenziato l'istituto delle espulsioni per immigrati condannati in base ad accordi bilaterali stretti con Albania, Marocco e recentemente Romania (così i detenuti stranieri sono scesi di 5.000 unità)". Inoltre il Pd ha sollecitato il governo ad adottare un piano straordinario di assunzioni che comporti il superamento del blocco ai contratti dei dirigenti, il riallineamento della polizia penitenziaria e la valorizzazione delle competenze e professionalità. "Penso - ha concluso - agli educatori, agli assistenti sociali, agli psicologi e agli agenti. Anche a loro va restituita la dignità". Macomer (Nu): svanite le speranze di salvare il carcere, trasferiti i detenuti La Nuova Sardegna, 15 dicembre 2014 Macomer, primi licenziamenti nelle strutture dell'indotto Duro attacco del sindaco all'amministrazione penitenziaria. Le ultime, tenui, speranze di salvare la struttura carceraria di "Bonu Trau" si sono infrante definitivamente venerdì sera con l'arrivo dell'ordine di attuare (proveniente dal Dipartimento nazionale per l'amministrazione penitenziaria) quanto previsto dal decreto dello scorso maggio, firmato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, che imponeva la chiusura delle strutture di Macomer e di Iglesias. Da allora i tentativi di scongiurare lo smantellamento del carcere si sono susseguiti a ritmo serrato, non ultimo quello del sindaco Antonio Succu, che aveva espresso piena solidarietà al personale che opera al suo interno. Ma nessuno di essi è riuscito a bloccare il provvedimento ministeriale. L'ultimo atto della vicenda, in un clima di smobilitazione generale, è andato in scena ieri in tarda mattinata quando, protetti da un cordone delle forze dell'ordine, gli ultimi detenuti (una quarantina) sono saliti a bordo di due autobus e due furgoni dell'amministrazione penitenziaria e sono partiti per le altre strutture carcerarie sarde: Sassari, Cagliari, Nuoro, Alghero, Oristano e Tempio. I primi effetti del provvedimento sono scattati immediatamente con il licenziamento delle due cuoche. Altri due posti di lavoro in meno che si vanno ad aggiungere ai tanti persi negli ultimi anni, che un territorio come quello del Marghine, già pesantemente colpito da una crisi che sembra non finire mai, non può certo permettersi. Contro la politica che ha determinato la chiusura del carcere, il sindaco Antonio Succu, ieri ha sparato ad alzo zero: "Siamo di fronte ad un neo centralismo terrificante dove i ministeri si muovono in totale dispregio dei territori, in un teatrino dove i burocrati di Stato sono spalleggiati da decreti miopi che nulla hanno a che fare con il risparmio, la buona gestione e il diritto di umanità dei carcerati - scrive Succu, in una dichiarazione rilasciata alla stampa. Ci dica il ministero cosa vorrà fare della struttura carceraria di Macomer, non potrà certo trasformarla in asilo nido o vorrà forse trasformarla in ricovero per piccioni? Ci dica cosa vorrà fare del personale che vi lavora e cosa vorrà fare dell'indotto che quella struttura porta alla città e al territorio". Parole durissime che la dicono tutta sull'ammarezza del primo cittadino macomerese, che aveva sperato fino all'ultimo in un ripensamento del ministero. Ma a tuonare contro quella che viene definita "una dirigenza incapace di confrontarsi con le realtà locali" è anche Alessandro Cara, segretario regionale Ugl per il comparto polizia penitenziaria. "Oggi i lavoratori della Polizia Penitenziaria - dice Cara - provano grande tristezza, non solo per noi ma tutto il territorio. La politica dell'amministrazione penitenziaria, relativa alla spending review è stata quella di chiudere gli istituti. Stranamente, però, sono stati chiusi quelli che rappresentano i due territori più poveri della Sardegna: Macomer e Sulcis Iglesiente. E questo è avvenuto per l'incapacità della dirigenza di rilanciare le strutture e confrontarsi con il territorio". Napoli: mille detenuti in meno e clima più sereno, migliorano le condizioni a Poggioreale Roma, 15 dicembre 2014 Il 10 dicembre scorso una delegazione di Antigone si è recata in visita presso la Casa Circondariale di Napoli-Poggioreale, che si era conquistata la fama del carcere peggiore d'Europa. 1910 detenuti presenti al momento della visita, di cui 300 definitivi, 236 stranieri, 614 tossicodipendenti, 230 in alta sicurezza offrono il quadro dell'istituto che è stato oggetto delle attenzioni del Parlamento europeo per le condizioni inumane e degradanti riservate ai ristretti. "Dopo denunce, interrogazioni parlamentari che abbiamo attivato e la nostra audizione da parte della Commissione per le libertà civili del Parlamento Europeo, abbiamo trovato un carcere con mille detenuti in meno e in cui si respira un clima più sereno tra i detenuti e tra questi ultimi e gli operatori". È quanto dichiara Mario Barone, presidente di Antigone-Campania e componente dell'Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione. "Nondimeno, permangono forti criticità legate innanzitutto ad un numero ancora elevato di presenze, visto che Poggioreale, al massimo, può contenere 1500 detenuti; data la sua natura di casa circondariale, inoltre, è un contenitore della penalità sempre a rischio di riempiersi imo all'orlo di detenuti in attesa di Giudizio". "L'amministrazione sta compiendo sforzi per aprire spazi di socialità all'interno dei singoli Padiglioni, trasformando aree oggi destinate a celle: tuttavia, ancora oggi, i detenuti trascorrono la maggior parte del tempo in cella. Auspichiamo" - continua Barone - che l'amministrazione si attivi in favore di attività, spesso dai bassi costi economici, ma dalla elevata resa umana; solo due Padiglioni godono del regime delle celle aperte per 8 ore, secondo un trend che inizia ad essere generalizzato negli istituti di pena". "Il reparto "Avellino" destro in cui, in passato, sono transitate centinaia di detenuti in isolamento per ragioni psichiatriche - conclude il Presidente di Antigone-Campania - è stato portato da Antigone all'attenzione del Parlamento italiano ed europeo: al momento della visita, conteneva solo 5 detenuti e l'amministrazione penitenziaria, di raccordo con l'Asl si è impegnata per uno suo definitivo superamento". Padova: accordo tra il Comune e il carcere Due Palazzi, se nevica al lavoro sei detenuti Il Mattino di Padova, 15 dicembre 2014 Detenuti spazzaneve. L'amministrazione comunale di Palazzo Moroni ha rinnovato un accordo con la direzione del carcere Due Palazzi, già attivo anche gli scorsi anni, che prevede l'impiego di 6 reclusi della casa circondariale per il piano-neve messo a punto dalla giunta comunale guidata da Massimo Bitonci. Nel caso di maltempo e nevicate, come previsto dai meteorologi, i 6 detenuti del Due Palazzi lavoreranno "a chiamata" nella fascia oraria dalle 6 alle 23, e si occuperanno sostanzialmente dello spalamento della neve e del ghiaccio dai marciapiedi, dalle piste ciclabili e dalle piazze della città. Potranno essere impiegati per un massimo di 30 ore l'uno e verranno pagati con i buoni lavoro (i cosiddetti "voucher"). In previsione dell'abbassamento delle temperature l'assessore alle manutenzioni Boron ha messo in campo le strutture per gestire un'eventuale emergenza Il piano neve varato dall'assessore Fabrizio Boron, ha previsto la presenza di 10 camion spargisale, altri 14 mezzi con lame spazzaneve per affrontare situazioni d'emergenza, 600 tonnellate di sale depositate nelle ex sedi dei consigli di quartiere, già pronte all'uso, a disposizione dei cittadini per rendere agevole il camminamento su tratti di strade e marciapiedi antistanti le abitazioni. Le squadre di dipendenti del comune verranno affiancati da persone impiegate con i "progetti voucher" in numero variabile, da 10 a 30 unità, a seconda delle necessità. Tra questi, i sei detenuti del carcere Due Palazzi. Giarre (Ct): una barca a vela restaurata dai giovani detenuti, ieri varo nel porto turistico di Salvo Sessa La Sicilia, 15 dicembre 2014 Sono stati in tanti a prendere parte ieri mattina, nel primo bacino del porto turistico, al varo dell'imbarcazione a vela rimessa a nuovo dai reclusi della Casa circondariale di Giarre. Il restauro della barca è stato possibile grazie al progetto "Educare Navigando" attivato tramite il ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria - dai volontari dell'associazione "Il Vento di Grecale" in sinergia con la sezione ripostese della Lega Navale italiana e il Ser.T. di Giarre. I lavori di restauro della piccola barca a vela - che è stata affidata alla Lega Navale - sono stati eseguiti da otto detenuti del carcere giarrese diretto dal dott. Aldo Tiralongo; tre di questi giovani reclusi hanno assistito ieri mattina al varo della deriva. Il progetto è stato, infatti, finalizzato al reintegro nella società di soggetti deboli attraverso l'esperienza lavorativa e al tempo stesso vuole restituire dignità e capacità a persone che vivono in condizioni di svantaggio. Tra gli intervenuti, oltre al personale dell'amministrazione penitenziaria, il sindaco Enzo Caragliano e l'assessore Antonio Di Giovanni. Presente anche una classe del nautico "Luigi Rizzo". I risultati positivi raggiunti con il progetto "Educare Navigando" sono stati illustrati Salvo Coco, psicologo penitenziario: "Grazie a questo progetto - ha affermato - gli otto detenuti partecipanti hanno avuto modo di conoscere e apprezzare nuovi mestieri con possibili sviluppi occupazionali. Alcuni dei partecipanti hanno già lasciato il carcere. Desidero ringraziare quanti hanno creduto in questo progetto e fatto sì che si concludesse con ottimi risultati". "I soci della nostra sezione - ha posto l'accento Giuseppe Pulvirenti, presidente della Lni ripostese - hanno creduto in questo progetto educativo che utilizza la vela come scuola di vita". Il sindaco Caragliano e l'assessore Di Giovanni hanno evidenziato come questo progetto rappresenti per i partecipanti una "via di riscatto". Bergamo: ergastolano in semilibertà gestiva una rete di spaccio www.bergamonews.it, 15 dicembre 2014 Carlo Gritti, 69enne bergamasco che sta scontando nel carcere di via Gleno una condanna all'ergastolo ma in semilibertà, secondo la Procura di Brescia e i carabinieri di Gardone Val Trompia era a capo di una banda di 11 uomini che gestiva lo spaccio di hashish e cocaina. Spaccio di droga durante le ore di permesso lavorativo: è l'accusa che la Procura di Brescia e i carabinieri di Gardone Val Trompia hanno formulato nei confronti di Carlo Gritti, 69enne bergamasco di Alzano Lombardo detenuto in semilibertà nel carcere di via Gleno dove sta scontando la condanna all'ergastolo. Secondo i carabinieri Gritti era al vertice di una banda composta da altri undici uomini, tutti destinatari delle misure cautelari eseguite in collaborazione con il comando provinciale dei carabinieri di Bergamo e tutti residenti in Val Trompia, a Sarezzo, Gardone, Villa Carcina, Lumezzane, territorio in cui avevano creato un fitto network per lo spaccio su vasta scala di hashish e cocaina. Una banda che i militari credono di aver interamente sgominato e alla quale davano la caccia dal 5 febbraio 2013 quando a Brione, in provincia di Brescia, due uomini a volto coperto avevano assaltato e rapinato un ufficio postale: da successive indagini i carabinieri sono riusciti a risalire ad uno dei due malviventi, scoprendo che faceva parte di una rete di spaccio di cui Gritti era il fornitore. I carabinieri hanno ricostruito i movimenti di Gritti che ogni mattina alle 7 usciva dal carcere di via Gleno per andare a lavorare in una comunità di recupero per tossicodipendenti a Lecco: nelle ore di lontananza dalla casa circondariale bergamasca incontrava gli altri membri della banda con i quali organizzava l'acquisto e lo spaccio di stupefacenti e poi faceva ritorno, attorno alle 21, nel carcere. Benevento: detenuto aggredisce due poliziotti. Il Sinappe "ora interventi per la sicurezza" www.ntr24.tv, 15 dicembre 2014 Carcere di Benevento, detenuto aggredisce due poliziotti. Il Sinappe: Aggressione nella tarda serata di ieri ai danni di due agenti di polizia penitenziaria. Il fatto, l'ennesimo, è accaduto all'interno del carcere di Capodimonte, a Benevento. Secondo quanto si apprende, un detenuto - ristretto per il reato di violenza sessuale - ha colpito prima un poliziotto al volto e poi un altro alla gamba. Entrambi sono stati costretti a ricorrere alle cure mediche del Pronto Soccorso dell'ospedale "Fatebenefratelli". "Ancora una volta - si legge in una nota del Sinappe Benevento - l'episodio sottolinea la scarsa sicurezza all'interno del carcere sannita e le condizioni nel quale sono costretti a svolgere il proprio dovere i poliziotti penitenziari che chiedono a gran voce interventi risolutivi e strumenti adeguati per garantire la propria incolumità all'interno della casa circondariale che troppo spesso viene tenuta nella scarsa considerazione dai vertici dell'amministrazione. Il Sinappe - conclude la nota - esprime la propria solidarietà ai colleghi coinvolti nel brutto episodio accaduto e augura una pronta guarigione". Verona: "L'attesa della neve" a Montorio, uno spettacolo teatrale "libera" i detenuti di Vittorio Zambaldo L'Arena, 15 dicembre 2014 Un gruppo dì 16 reclusi, grazie ad un laboratorio teatrale, ha messo in scena "L'attesa della neve" a Montorio. L'allestimento nella cappella della Casa circondariale. Regista Alessandro Anderloni che sta già preparando un'altra iniziativa. La speranza, l'attesa, il tempo immobile, tutto quanto fa quotidiano in un luogo di reclusione è diventato spettacolo e liberazione, grazie al laboratorio di teatro che 16 detenuti (fra i quali tre donne della sezione femminile) hanno allestito il giorno di santa Lucia nella cappella della casa circondariale di Montorio. Il corso, cominciato a luglio è solo a metà tragitto e nel programma si sarebbe dovuto concludere a maggio con uno spettacolo allestito dai frequentanti, una ventina di detenuti e detenute per il laboratorio condotto ogni settimana per due ore da Alessandro Anderloni e Isabella Dilavello, progetto voluto dalla direzione del carcere con il sostegno della Fondazione San Zeno e realizzato dalle Falle di Velo. "Ma non hanno resistito e con l'approssimarsi del Natale hanno voluto fare il loro regalo", ha anticipato Anderloni nella presentazione dello spettacolo. È stata messa in scena "L'attesa della neve", liberamente ispirata a "I racconti di Kolyma" di Varlam Tichonovic Salamov, scrittore russo internato vent'anni per motivi politici in un gulag della Siberia orientale con migliaia di altri prigionieri vissuti lavorando in miniera e al limite dell'umanità, dagli anni Venti agli anni Sessanta del secolo scorso. Il testo recitato dagli attori è nato mescolando il racconto di Salamov che è stato trovato molto simile a situ azioni vissute anche oggi, con le proprie storie personali. Su una scenografia essenziale, fatta di pannelli neri erano disposti i sedici sgabelli degli attori seduti per la pausa che precede il rientro in cella. C'era nell'aria la novità: sarebbero arrivati i pacchi dalle famiglie e il mattino successivo ci sarebbe stata la distribuzione, un evento accolto con una danza rituale al suono ritmico del tamburo. lutti intabarrati in un nero pastrano che non distingue maschi da femmine, nei discorsi si creano coppie, alleanze e conflitti, nascono personaggi mitici, come il vecchio Bo che forse non esiste ma che rappresenta per i più la forza di quello che vorrebbero essere. Mille passi al giorno all'aria, il gioco dei fiammiferi, la rabbia per il freddo e per una coperta ridotta a cencio, il ricordo di casa attraverso le foto o i fazzoletti di diversi colori, uno per ogni figlia, piegati e accarezzati sulle ginocchia in un delicato rituale affettivo, sono il mondo di Kolyma e di tutte le carceri del mondo, fino all'urlo "chiusura!". Si chiudono le porte delle celle e il mondo continua immutato, con i detenuti girati di spalle a parlare ancora di pacchi che non arrivano, di coperte cenciose, di imbrogli e pentimenti, finché dalle feritoie, rivolte al cielo della notte, spunta la novità: cade la neve e i pannelli neri si riempiono di cristalli bianchi mentre una canzone struggente, in una lingua sconosciuta, intona un canto sulla neve e sulla speranza, I pacchi sono il regalo atteso, ma la sorpresa finale i regali che ogni attore, smesso l'abito di scena e tornato a recitare la vita, dice di volersi fare: "La pace nella Terra Santa; tornare uomo libero e recuperare il tempo perduto; fare una passeggiata lungo il fiume dove sono nato; smettere di farmi del male e vivere una vita serena; smettere di "fare casino"; vivere a casa mia". "Ho visto e apprezzato più di quanto mi sarei aspettata", ha commentato alla fine il direttore della casa circondariale Maria Grazia Bregoli, "e siamo solo al debutto d i un'iniziativa che sarà compiuta fra altri sei mesi, occasione per uno spettacolo finale che creerà attesa, vista questa premessa". "Siamo partiti ascoltando le storie di ciascuno", ha aggiunto Anderloni presentando il progetto, realizzato da Le Falle dì Velo e che è stato reso possibile dalla direzione del carcere e dal sostegno della Fondazione San Zeno. "Il copione lo abbiamo scritto leggendo il libro e ascoltando le storie di ciascuno che avevano molti punti di contatto. I detenuti hanno voluto anticipare questo saggio come regalo per le feste di Natale, confrontandosi con le difficoltà e le turbolenze inevitabili che si vivono in un luogo di segregazione, ma oggi c'è stata una grande conquista", ha sottolineato il regista, "per quanti sono saliti sul palco conquistandosi questo spazio e recitando per la prima volta davanti a un pubblico". Il lavoro non è finito perché già da questa settimana si parte a raccontare ed ascoltare, in un percorso di rieducazione che si concluderà con un altro regalo da fare a se stessi e a tutti". Ferrara: domani alla Casa Circondariale concerto "La musica dentro-Un Natale con voi" www.estense.com, 15 dicembre 2014 Brani cantautoriali, rock, R&B, dance, cover rivisitate, pop, rigorosamente dal vivo interpretati da cantanti e musicisti appartenenti alla etichetta discografica cittadina Jaywork di Paolo Martorana e Luca Facchini saranno protagonisti (dopo la positiva esperienza dello scorso anno) martedì 16 dicembre alle ore 13.30 alla Casa Circondariale di Ferrara per il concerto "La musica dentro-Un Natale con voi", patrocinato da Comune e Provincia di Ferrara con la collaborazione della Casa Circondariale di Ferrara. Si tratta di un concerto particolare per dimostrare autentica vicinanza ai detenuti al fine di abbattere le barriere e trasmettere emozioni e sensazioni che solo la musica può regalare anche a chi si trova ad avere un ruolo di emarginazione sociale. Due mondi che si incontrano per tentare di creare un legame tra il "dentro" e il "fuori", perché per chi ha la musica "dentro" non esistono confini e per dare un significato più profondo al Natale. "La Musica Dentro" è uno strumento di comunicazione con chi ora è dentro ma si ritroverà prima o poi nuovamente nella società di fianco a noi. Un momento ricreativo quindi che offra a tutti la possibilità di interiorizzare la musica accompagnati da coloro che la portano da sempre dentro di loro. Si parte da Leonardo Veronesi che ripercorrerà il suo percorso musicale attraverso brani tratti dal suo ultimo album L'Anarchia della Ragione, dai precedenti e cover rivisitate. Tutti brani composti da Veronesi che spaziano dal pop al rock alla dance alle ballade con testi molto curati che cercano di essere non banali e trattano vari aspetti della vita quotidiana e tematiche universali sempre partendo da analisi introspettive effettuate con grande ironia. Si alterneranno con Veronesi Frenk Nelli, cantante dal timbro di voce molto particolare che presenterà brani tratti dal suo ultimo album "Non c'entra niente" salito ai vertici delle classifiche di iTunes e War -K un giovane talento che sta lavorando al suo prossimo album, insieme a Veronesi, dopo aver presentato il suo singolo "Quel che non c'era" che ha ottenuto un grande successo anche in Spagna. War- k ha composto il brano Fermo che è stato la sigla di tutte le iniziative organizzate dal Comune di Ferrara per ricordare il sisma che ha colpito la nostra città. Ai suoni Davide Viviani. Roma: rock, blues e ironia… arriva "Fuori", il nuovo cd dei "Presi per caso" Redattore Sociale, 15 dicembre 2014 La band romana nata a Rebibbia torna con un nuovo progetto musicale in tre puntate. La cifra stilistica è sempre quella dell'ironia, ma non mancano i brani di denuncia, in particolare sulla situazione dei bambini in carcere. L'anteprima questa sera al teatro Palladium di Roma. Qualcuno gli ha già definiti i "Blues brothers" italiani, e in effetti con il gruppo musicale reso celebre dall'omonimo film di Dan Aykroyd e John Belushi hanno molto in comune. Non solo perché come loro sono nati in carcere, e perché in qualche occasione hanno speso in birre il cachet di un'intera serata, ma anche e soprattutto perché mescolano rock and blues a una buona dose di ironia, che diventa sarcasmo quando i temi affrontati sono quelli della condizione carceraria. I "Presi per caso" la band romana nata da una promessa fatta tra detenuti all'interno del carcere di Rebibbia, torna con un nuovo album che sarà presentato in anteprima stasera, 14 dicembre, al teatro Palladium di Roma, nell'evento di chiusura di Made in Jail. Il nuovo cd arriva dopo la trilogia "Presi Per Caso", "Delinquenti" e "Senza passare dal via", con cui il gruppo, dal 2004 ha raccontato la vita all'interno degli istituti penitenziari. Dal titolo "Fuori (ma solo per un breve permesso-premio)" rappresenta invece un nuovo progetto discografico in tre puntate in cui la band romana volge lo sguardo verso altri temi sociali, e in particolare verso le fasce più deboli, vittime della crisi e di una società che appare sempre più densa di contraddizioni. "Da sempre il nostro obiettivo è stato quello di costruire ponte tra dentro e fuori il carcere, raccontare e accorciare le distanze che ci tengono separati - spiega Salvatore, ex detenuto e fondatore del gruppo -. Dopo la trilogia del abbiamo deciso di raccontare come vede il mondo chi esce, dopo essere stato per anni congelato in un mondo altro. E che ora si ritrova all'interno di una società in continua trasformazione". Il progetto della nuova trilogia nasce attraverso il crowd-funding che in soli due mesi ha permesso alla band di raccogliere quasi il doppio della cifra richiesta: "avevamo chiesto duemila euro, ce ne sono arrivati circa quattromila - spiega ancora Salvatore-. E non sono solo fan ma anche tante persone che hanno deciso di aderire al progetto perché credono nel suo valore, questo ci ha fatto molto piacere". Nei nuovi brani sono tante le tematiche affrontate, dalla crisi economica (con brani come "La Città" e "Default"), alle emergenze sociali , dai senza dimora ("Il Vino non riscalda") ai trans ("Amore in Trans...ito). Ma non mancano i brani di denuncia sulla condizione carceraria. In particolare con Ninna Mamma, una ballata toccante e commovente, si pone l'accento sul fenomeno delle madri detenute. "Per la prima volta canta una donna, e racconta la vita dei bambini che sono in carcere insieme alle mamme - spiega Salvatore. Nel testo ci chiediamo che futuro può avere quel bambino che rischia di essere condannato ancor prima di crescere, che passa i suoi anni formativi dietro le sbarre". Ma non mancano anche i brani che con ironia denunciano la crisi: "in Fuori denunciamo sarcasticamente la famiglia ormai sconquassata e una città in crisi dove le serrande dei locali continuano ad abbassarsi - aggiunge - Un mondo traumatizzato e difficile". Tutto questo mantenendo la cifra stilistica dell'ironia: perché noi non ci reputiamo artisti ma comunicatori e pensiamo che alcune tematiche importanti, come quella del carcere, possano arrivare prima con l'uso dello humor": La band si è formata nel 2004, dopo l' incontro nel carcere di Rebibbia di alcuni dei componenti, e la promessa di rivedersi fuori per provare a fare qualcosa insieme. Ora del gruppo fanno parte sia ex detenuti, che incensurati, tutti uniti dalla passione comune per la musica. "Quando siamo nati la nostra esigenza più grande era far conoscere un mondo per molti versi sconosciuto - aggiunge Salvatore - oggi ci sono tante iniziative di questo genere, ma fino a qualche anno fa non era così. A parlare di carcere era solo qualche esperto in un convegno, o in libro. Abbiamo dunque pensato di iniziare a comunicare questo mondo attraverso la nostra musica e una vena umoristica che rendesse tutto più assimilabile". Oggi il gruppo ha all'attivo oltre ai tre cd, oltre 250 concerti, tre spettacoli di teatro canzone (Radiobugliolo, Delinquenti e Recidivo recital) e un Jail-tour all'estero che ha toccato le principali prigioni e teatri d'Irlanda. Con Fuori! (ma solo per un breve permesso-premio), in uscita il 12 dicembre, i Presi per Caso chiuderanno il 14 dicembre al Teatro Palladium, il festival Made in Jail, promosso dall'università Roma Tre e patrocinato da Roma Capitale, e realizzato con il contributo dell'ufficio del garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio. Fermo (Ap): arriva Natale anche nel carcere, la corale di Santa Lucia canta per i detenuti Corriere Adriatico, 15 dicembre 2014 La corale di Santa Lucia ha chiesto di poter regalare un concerto ai detenuti, in un pomeriggio che avvicina al pieno delle feste natalizie. Un sabato pomeriggio, molti i detenuti che hanno chiesto di partecipare e si sono preparati con cura per l'occasione, hanno vissuto un momento di grande intensità. Il gruppo, diretto dal maestro Annarosa Agostini, ha intonato con grande maestria canti sacri e arie molto note, per arrivare poi ai classici napoletani che qualcuno ha ascoltato con un pizzico di commozione, ripensando alla propria città e alla famiglia lontana. All'incontro era presente anche il sindaco, Nella Brambatti, che si è congratulata con la corale per l'iniziativa: "Il canto e la musica possono arrivare lontano e aiutano a vivere anche i momenti più difficili e dolorosi. A tutti l'augurio che questo Natale possa portare occasioni di crescita e di rinascita, al di fuori di questo luogo che è un passaggio ma che speriamo possa avere un significato in un percorso di ricostruzione dell'esistenza". La direttrice della Casa circondariale, Eleonora Consoli, presente col comandante della Polizia penitenziaria Roberto Fiori e con l'educatore Nicola Arbusti e l'operatrice Lucia Tarquini, il parroco don Michele Rogante, ha parlato di un incontro importante: "Siamo sempre molto felici di poter accogliere esperienze come questa e speriamo possa diventare un'abitudine un concerto così importante e piacevole. La mia riconoscenza va agli agenti di Polizia penitenziaria che sono rimasti in servizio per consentire lo svolgimento di questa manifestazione, in questi giorni di Natale che pesano di più per chi è lontano dalla famiglia". Taranto: "Progetto Fuori… gioco"; quadrangolare di calcio, vincono i magistrati ai rigori di Mario Lorenzo Passiatore La Voce di Manduria, 15 dicembre 2014 Sotto gli occhi attenti di Nicola Legrottaglie, testimonial dell'evento, i magistrati vincono la seconda edizione del quadrangolare. Il progetto, ideato dall'avvocato maruggese Giulio Destratis, ex calciatore tra l'altro di Manduria e Taranto, comprendeva inoltre la partecipazione di una squadra di detenuti, una di avvocati e il team della polizia penitenziaria. Quest'ultimi arrivati in finale con la squadra magistrati, una serie interminabile di rigori che ha sancito la vittoria dei togati. L'evento, svoltosi ieri presso lo stadio Erasmo Iacovone di Taranto, prevedeva quattro mini-gare da trenta minuti: due semifinali e la conseguenti finali per il primo e secondo posto, e quella per il terzo e quarto. Match inaugurale tra detenuti e magistrati, quest'ultimi si sono imposti per tre reti a zero, strappando il pass per la finale. Più combattuta la seconda gara tra polizia penitenziaria e la squadra avvocati, i quali si sono arresi solo ai calci di rigore. Gli avvocati, vincitori della prima edizione, si piazzano terzi, dopo aver battuto 5-0 i detenuti nella finalina. La squadra del Gip Martino Rosati vince ai rigori dopo una sequela infinita di penalty. Al di là dell'aspetto meramente sportivo, il progetto ha finalità e dinamiche di natura sociale, con obiettivi tendenzialmente rieducativi. Un programma che ha coinvolto in toto i detenuti della casa circondariale di Taranto, con otto lezioni sulla sport nella sua interezza, seguite poi da una serie di sedute di allenamento sul campo. Ieri la partita, che ha accomunato fazioni separate da tavoli e udienze, in un confronto sano e all'insegna della spensieratezza. Ultimo step di un iter formativo e di crescita per tutte le categorie che vi hanno preso parte, regalando una giornata diversa a chi pedissequamente cerca la via del riscatto. Iran: quattro prigionieri impiccati nella Giornata dei Diritti Umani www.ncr-iran.org, 15 dicembre 2014 Da quando Hassan Rouhani è diventato presidente, oltre 1.200 persone sono state giustiziate in Iran. Le torture e le impiccagioni dei prigionieri sono continuate in Iran anche nella Giornata Internazionale per i Diritti Umani. Quattro detenuti sono stati impiccati nelle città di Karaj e Qazvin, tra cui una donna ed un cittadino dell'Afghanistan. Almeno 55 detenuti sono stati giustiziati negli ultimi 17 giorni. Il 9 Dicembre le guardie della prigione di Gohardasht, nella città di Karaj, hanno fatto una violenta irruzione nella sezione 6 della prigione. Con il pretesto di eseguire una perquisizione, le guardie hanno mandato circa 1.000 detenuti fuori al freddo nel cortile del carcere senza essere vestiti adeguatamente. Quando i detenuti hanno protestato, le guardie speciali della prigione, comandante dagli ufficiali Bagheri e Safari, hanno picchiato i detenuti con bastoni, tubi di gomma e pungoli elettrici. Le guardie hanno anche distrutto gli effetti personali dei detenuti. Parlando in occasione della Giornata Internazionale dei Diritti Umani ad una conferenza al Parlamento Europeo di Bruxelles, Maryam Rajavi, Presidente eletta della Resistenza Iraniana, ha detto che non esistono i diritti umani in Iran. Da quando Rouhani è diventato presidente, almeno 1200 persone sono state giustiziate, tra questi almeno 8 adolescenti. Maryam Rajavi ha aggiunto che negli ultimi 25 anni non si erano mai viste così tante esecuzioni come nel primo anno di presidenza di Rouhani. Né si erano visti così tanti membri dell'opposizione venire massacrati o presi in ostaggio. O si erano viste le donne iraniane essere l'obbiettivo di atti criminali di tale portata. Maryam Rajavi ha condannato la condotta di alcuni governi occidentali che sacrificano i diritti umani in Iran per il bene delle loro relazioni con questa dittatura religiosa. Ha detto inoltre che qualunque relazione politica o commerciale con il regime iraniano, dovrà essere subordinata al miglioramento della situazione dei diritti umani e che i responsabili di questi crimini, cioè i leaders del regime, devono affrontare la giustizia. Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana Stati Uniti: iniziata una nuova vita in Uruguay per 6 ex detenuti di Guantánamo America Oggi, 15 dicembre 2014 A una settimana dal loro arrivo a Montevideo, i sei detenuti liberati dal carcere della base americana a Guantánamo stanno abituandosi lentamente alla loro nuova vita come rifugiati. I sei hanno espresso la loro gratitudine al governo del presidente José Mujica per aver ottenuto il loro rilascio e hanno ammesso di pensare seriamente a rimanere nella piccola nazione sudamericana. Qui, fra poche settimane dovrebbero riunirsi con le loro famiglie. I sei arabi liberati sono Mohammed Tahamatan, palestinese, 35 anni, Abu Wael Dhiab, siriano, 43 anni, Abd Hadi Faraj, siriano, 39 anni, Ali al Shabaan, siriano, 32 anni, Ahmed Adnan Ahjam, siriano, 36 anni e Abdoul Ourgy, tunisino, 49 anni. Dopo un breve ricovero all'Ospedale militare della capitale uruguaiana, i sei sono stati sistemati in una casa fornita dal sindacato Pit-Cnt. Qui hanno cominciato a riprendere una vita normale. "Sono contentissimi", ha detto un portavoce del sindacato, Fernando Pereira. A suo dire, i sei hanno già cominciato a studiare lo spagnolo, hanno ricevuto oltre 30 offerte di lavoro e hanno potuto ricevere le due cose che più desideravano da quando sono usciti da Guantánamo: copie del Corano e grandi quantità di tè. "Riprendere il ritmo delle cinque preghiere quotidiane e sedersi a chiacchierare bevendo un tè li sta aiutando a ricuperare", ha detto Pereira. Cinque dei sei detenuti liberati hanno fatto una prima passeggiata per le strade di Montevideo, sull'arteria principale del centro, l'Avenida 18 de Julio, e sulla "rambla", l'esteso lungomare che costituisce l'immagine più nota della città. Qui gli arabi sono rimasti sorpresi dal saluto e dalle frasi di solidarietà dei passanti. Il sesto ex detenuto, Abu Wael Dhiab, è quello che è rimasto più tempo in ospedale e ancora non è uscito a passeggio: dopo anni di scioperi della fame a Guantánamo, al suo arrivo a Montevideo pesava meno di 70 chili (è alto più di 1 metro e 90). Il suo avvocato, Cori Crider, ha detto che ci vorrà un po' più di tempo perché ritorni in condizioni normali, ma comunque nella sua prima settimana in Uruguay ha già preso 4 chili. Gli avvocati di Dhiab - arrestato nel 2002 in Pakistan e mai processato - hanno ottenuto il permesso da un tribunale americano per pubblicare circa 11 ore di immagini riprese mentre era sottoposto ad alimentazione forzata a Guantánamo: una pratica che secondo le autorità americane era necessaria per motivi medici, ma che per gli avvocati costituiva una misura disciplinare particolarmente crudele. Michael Mone, avvocato di un altro dei detenuti liberati, ha elogiato le autorità uruguaiane per il modo in cui sono stati trattati i prigionieri. Questi sono arrivati a Montevideo a bordo di un aereo militare Usa, incatenati, ammanettati e con gli occhi e gli orecchi coperti: "Al loro arrivo, le autorità si sono rifiutate di farli scendere dall'aereo incatenati, e hanno insistito perché potessero fare i loro primi passi in Uruguay come uomini liberi". Attraverso il suo avvocato, Ali Al Shabaan ha dichiarato "siamo tutti molto grati al presidente Mujica per quello che ha fatto" e ha aggiunto "non vogliamo deluderlo". Parla un detenuto: una vergogna per la bandiera americana Barba rasata in violazione della religione. Foto pornografiche di donne ma anche di un uomo con un asino. Urla, minacce di stupro e video di altri prigionieri torturati. Samir Naji, yemenita prigioniero a Guantánamo, racconta la sua storia alla Cnn. Nel super carcere si trova da 13 anni senza incriminazione, avrebbe dovuto essere rilasciato nel 2009 ma ancora è dietro le sbarre. La sua prigionia e il trattamento a cui è sottoposto lo descrive come una "vergogna per la bandiera americana", che è costretto a salutare ogni volta. "Ho sentito del rapporto sulle torture della Cia. La mia storia è a Guantánamo, lontano dal programma della Cia che il rapporto esamina. E inizia e finisce nel silenzio di una piccola a fredda cella, da solo" afferma Naji, descrivendo la paura che si prova nel realizzare che nessuno "verrà ad aiutarti. Il mio primo periodo di interrogatori è durato tre mesi interi, con due squadre che facevano i turni di giorno e di notte" precisa Naji, che ricostruisce le singole sessioni di interrogatorio. "Si inizia con urla, per svegliarmi. Ci sono fotografie di facce sui muri della stanza. Mi chiedono di identificarle. Mi insultano e mi spingono verso un uomo all'angolo della stanza, che mi inietta delle sostanze. Questa è l'ultima cosa che so", mette in evidenza Naji. "Mi riportano in cella. Rifiuto il poco cibo che cercano di darmi: all'inizio ridono, poi urlano. Mi chiedono di mangiare come un maiale, non mi lasciano andare in bagno e ridono quando l'interprete traduce come mi stupreranno se mi faccio la pipì addosso", aggiunge Naji, descrivendo la sala "tipo cinema" in cui viene portato per guardare filmati di prigionieri torturati e gli viene chiesto di ballare altrimenti sarà toccato nelle parti intime. "C'è poi la stanza della pornografia. Brutte foto ovunque. C'è un uomo con un asino. Mi denudano e la mia barba viene rasata, in un insulto gratuito alla mia religione. Mi vengono mostrate foto pornografiche di donne, poi mi gettano nell'acqua ghiacciata". Turchia: il presidente Erdogan arresta i giornalisti, l'ultima sfida del "sultano" di Adriano Sofri La Repubblica, 15 dicembre 2014 La retata di giornalisti ha un fine interno, far fuori la principale opposizione organizzata, legata a Fethullah Gülen, e uno esterno, ostentare la più soddisfatta strafottenza nei confronti dell'Unione Europea. Una retata di giornalisti e poliziotti è una malefatta enorme. Erdogan sa quello che fa, senza di che non sarebbe al potere da un'eternità grazie ai successi elettorali, l'ultimo dei quali l'ha investito a mani basse di una presidenza sultanesca. Dunque la retata di giornalisti ha un fine interno, far fuori la principale opposizione organizzata, legata a Fethullah Gülen, e uno esterno, ostentare la più soddisfatta strafottenza nei confronti dell'Unione Europea. I pareri sul rapporto fra Turchia e Unione Europea si mordono la coda: gli uni trovano in ogni nuovo sproposito di Erdogan la conferma che accogliere la Turchia nell'Unione era una pazzia, gli altri, più ragionevolmente e inutilmente, rimpiangono che un'accoglienza della Turchia nell'Unione non abbia sventato una simile deriva di spropositi. Ci fu un tempo, ormai lontano, in cui la lunga mano dei militari sullo Stato e la società turchi ne garantiva la laicità: si poteva provare perfino una cauta simpatia per l'Erdogan genitore che mandava le sue figlie a studiare in Europa perché all'università di Istanbul non si entrava a capo coperto. I militari, e la loro laicità a democrazia limitata, sono stati congedati con le brutte (e con l'appoggio provvisorio di Gülen), magistratura e polizia epurate e asservite, e l'uguaglianza fra uomo e donna dichiarata da Erdogan, nel suo penultimo sproposito, "contraria alla natura umana". La natura femminile, ha precisato gentilmente, è "delicata". La Turchia è davvero un grande paese, e gioca un ruolo primario in uno scacchiere delirante. I turchi sono sunniti e non sono arabi, gli iraniani non sono arabi e sono sciiti, gli egiziani e i sauditi sono arabi e sunniti, gli iracheni sciiti e sunniti, i siriani alawiti in cima e sunniti in basso… Con un simile mosaico andato in pezzi, la Turchia fa sempre di più da sé. Decisiva com'era per la Nato, è ormai, se non disertora, del tutto renitente. Ha rotto con Israele (che, incautamente, ruppe con lei). È in affari di gasdotti con la Russia da una parte e il Kurdistan dall'altra: quello iracheno, perché i curdi suoi e quelli di Kobane li preferisce morti. Vuole la fine di Assad, apprezzabile desiderio, per il quale ha però ceduto al transito di fior di invasati dalle proprie frontiere. Celebra ancora pomposamente la memoria di Atatürk, ma reintroduce lingua e grafia turco ottomano, misura largamente simbolica, osteggia le classi miste, misura assai reale, chiede tre figli per donna e deplora l'aborto perché, ha detto il sindaco di Ankara, la colpa è delle madri, e allora si ammazzino loro. La Turchia ha tuttavia una società vivace, colta e coraggiosa, soprattutto nelle grandi città, di cui un'indipendenza dei mezzi di comunicazione è la condizione decisiva. Quello che è successo ieri, quando un primo tentativo di arrestare il caporedattore del quotidiano Zaman è stato sventato dalla gente radunatasi a sua difesa, ma è riuscito più tardi, descrive esemplarmente questa duplicità: la società libera, e la forza soverchiante dello Stato, come a Gezi Park. Gli attacchi alla stampa, il bavaglio alla Rete, la sospensione di Twitter, non vi sono nuovi, benché lo spiegamento di ieri abbia voluto essere inauditamente spettacoloso. Nell'aprile scorso fu licenziata in tronco dal quotidiano Sabah la corrispondente Yasemin Taskin, poche ore dopo che Repubblica aveva pubblicato un'intervista con Gülen di Marco Ansaldo, che di Yasemin è marito. Il secondo licenziamento, per lei: anni prima Ansaldo aveva intervistato anche Abdullah Öcalan. Nei giorni scorsi la Turchia ha ospitato il papa Francesco, poi il presidente italiano Renzi. Non si può certo pretendere che il capo della Chiesa cattolica, o le autorità europee, e ancor meno le italiane, taglino i ponti con gli Stati poco in regola con la libertà (sarebbe seccante sentirsi replicare da qualche lapidatore che chi è senza peccato eccetera). L'Europa, il po' di fiato che le resta, dovrebbe soffiarlo nelle orecchie di un governo amico che fa retate di giornalisti. Quanto all'Italia e al suo capo del governo, si può formulare un'osservazione laterale. Si va a Istanbul, a farsi la foto con Erdogan, si sta a Roma, a farsene una con il presidente egiziano al Sisi: alleato essenziale, s'intende, uno che però ha visto con favore che i militari sottoponessero a un esame medico le manifestanti di piazza Tahrir per accertarne la verginità, e che il giorno prima della retata di giornalisti turchi ha fatto filmare da una ligia giornalista egiziana una vasta retata di gay "sorpresi" in un loro locale. E così via. L'osservazione riguarda la Grecia, dove forse Alexis Tsipras, il leader di Syriza, un ulivo piuttosto di sinistra, diciamo, sta per vincere le elezioni e accollarsi la responsabilità del governo. Quando diventasse primo ministro, bisognerebbe andare anche da lui, o riceverlo, farsi la foto eccetera. Tsipras non vuole chiudere giornali né fare retate di gay: rinegoziare il debito sì, intenzione che appare maleducatissima alle autorità europee e anche italiane (Padoan ha appena detto che non se ne parla), ma che è dopotutto un'opinione amichevolmente discutibile. Non c'è uno strano squilibrio fra i compromessi con regimi dispotici cui la diplomazia obbliga, e la distanza tenuta nei confronti di colleghi politici di nazioni davvero sorelle? Una volta eletto, Tsipras pelerà le stesse gatte che stanno pelando Renzi, il quale forse aveva pensato di essere diverso, di entrare da beniamino nel famoso consesso europeo. Si è già capito di no. Bene: la politica mondiale, cioè la politica, è oggi quel che è. C'è uno che vuole restaurare l'impero zarista, un altro l'impero ottomano, un terzo che ha rifondato il califfato, e così via. O ci si allarma per loro e si chiama un'ambulanza, o ci si allarma per noi, e si corre ai ripari. Ma noi tutt'al più restauriamo i re di Roma: ne contiamo già quattro, ancora uno sforzo e arriviamo a sette.