Giustizia: un po' di carcere uno se lo deve fare... dalla Giunta dell'Unione delle Camere Penali Italiane www.camerepenali.it, 14 dicembre 2014 Il "populismo penale" è uno di quei luoghi comuni alla cui invadenza nessuno più sembra capace di sottrarsi, né gli utilizzati, né gli utilizzatori. Oramai il "populismo penale", da pratica degenerativa promossa dai media ed utilizzata dalla magistratura, è divenuta un "abito mentale", uno di quei luoghi comuni alla cui invadenza nessuno più sembra capace di sottrarsi, né gli utilizzati, né gli utilizzatori. Quando pochi giorni fa, si è diffusa la notizia della approvazione del testo di legge sulla custodia cautelare molte fonti hanno parlato di legge sul "carcere preventivo". Come avrebbe detto Freud, si deve essere trattato di un lapsus, di un "atto mancato", di uno di quegli incidenti verbali che scavalcando il controllo dell'io lasciano tracimare il punto di vista dell'inconscio (dell'inconscio inquisitorio, in questo caso), ma certo quella riforma di cui parlavano le Agenzie di stampa, del "carcere preventivo", fa subito pensare che le parole usate rappresentino direttamente quel che generalmente si pensa della "custodia cautelare": una pena giustamente e preventivamente inflitta! E a quella stessa pena inflitta "senza processo" deve pensare il primo ministro Renzi quando pensa ad innalzare il minimo del reato di corruzione perché così il colpevole almeno "un po' di carcere" se lo fa. Questa strana mistura di furbizia comunicativa, di ignoranza tecnica e di sostanziale mancanza di valori, finisce con il minare le basi della corretta visione del processo e della pena. Ne nasce un'idea bizzarra del carcere come "medicina" o peggio come semplice "farmaco da banco": non serve la ricetta del medico … prendine "un po'" che ti fa comunque bene. Ma questo uso distorto del limite edittale delle pene, del tutto disancorato dalla oggettiva gravità del reato e collegato, come fosse un titolo di borsa, al gradimento del pubblico, o peggio ancora, come nel caso di Renzi e della corruzione, esclusivamente funzionale alla produzione ad ogni costo di "un po' di pena", appare evidentemente contrario ai fondamentali principi che governano il diritto. E se il giudice ritenesse, invece, che in quel singolo caso si potesse patteggiare, e non si dovesse affatto ricorrere alla esecuzione di una pena? Perché quel "po' di carcere"? Per accontentare le richieste della magistratura associata e acquietare l'opinione pubblica, togliendo con ciò stesso autonomia alla giurisdizione? Per incrementare il perverso sistema delle "porte girevoli", che si cerca in ogni modo di eliminare? Per scongiurare il rischio della prescrizione, che si riduce proprio ricorrendo con maggiore ampiezza al patteggiamento? Perché in questo paese - come si dice - nessuno va più in galera, sebbene l'Europa ci abbia condannato per il sovraffollamento delle nostre carceri? Che qualcuno risponda. Giustizia: il vecchio volto di Mafia Capitale di Roberto Saviano La Repubblica, 14 dicembre 2014 In questi giorni, dopo l'inchiesta "Mafia Capitale", sono diventati tutti conoscitori di mafia. Non ho mai temuto i professionisti dell'antimafia, ma i dilettanti sì e ho sentito affermazioni talmente assurde che mi viene da pensare che chi le ha pronunciate non solo non conosce il fenomeno criminale, ma non conosce forse nemmeno il Paese. D'improvviso sembra stupirsi che le organizzazioni mafiose agiscano con alleanze imprenditoriali e politiche. Ma in quale Paese ha vissuto sino ad ora? Non solo Mafia Capitale ma anche la più recente inchiesta "Quarto Passo" in Umbria mostra come le organizzazioni siano in tempo di crisi la nuova e unica linea di credito all'impresa italiana. Chi sottovaluta il problema non riesce a capire quello che sta accadendo nel Paese, e allora decide che è meglio prendere in giro e sottovalutare. Il Pd sembra accorgersi solo ora del meccanismo di corruzione di cui molti suoi uomini erano protagonisti da molto tempo. Agisce costretto dalle inchieste giudiziarie quando avrebbe dovuto al contrario ispirare le inchieste. Beppe Grillo ha detto, a proposito di Mafia Capitale: "La parola mafia ci depista. Ci ricorda qualcosa che non c'è più. Oggi un'associazione mafiosa è fatta da professionisti, politici, magistrati, poliziotti; il mafioso non c'è neanche". Sono anni che si lotta per ribadire culturalmente che mafia significa invece proprio questo: impresa, borghesia imprenditoriale, rapporti con i media. Mi domando: ma secondo Grillo cosa sono state le organizzazioni criminali italiane sino a questo momento? Dei cafoni armati di fucile? Quindi secondo l'interpretazione di alcuni adesso, e solo adesso, la mafia sarebbe "diventata tridimensionale perché ci sono dentro politici, imprenditori, massoni, spacciatori", e perché ha smesso di parlare calabrese, napoletano, lucano, casertano, siciliano? Queste sono semplificazioni inaccettabili. Ciò che mi viene da dire a chi condivide queste tesi è: ma sapete che le cose sono sempre andate così? Quando si riduce tutto al contadino dalla parlata incomprensibile, del cafone con il kalashnikov, si sta facendo il gioco delle mafie più o meno consapevolmente. Il boss che sappia uccidere e allo stesso tempo gestire il segmento economico dell'organizzazione è la base di una struttura vincente. Mafia Capitale è in realtà il primo e compiuto tentativo di dimostrare, da parte dei pm, che il modello delle mafie storiche è stato mutuato su Roma. La novità scientifica di questa indagine non è limitata alla sola corruzione: ma dimostra come il meccanismo mafioso e l'operatività delle cosche si sia imposta nella vita della Capitale. Per questa ragione il legame tra Carminati e le organizzazioni non è episodico e momentaneo. Riuscite davvero a immaginare Pasquale Condello o Michele Zagaria che parlano con il sindaco di Sacrofano in merito al catering per la chiusura della campagna elettorale e si fanno commissionare una grigliata? È inimmaginabile che un capo mafia del Sud si occupi di grigliate. Ma attenzione: i clan si occupano di ogni singolo affare dal più piccolo al più grande. I Mazzarella di Napoli hanno raccolto estorsioni "straccione" persino dai lavavetri eppure investivano nei duty free in diversi aeroporti mondiali. Provenzano stesso con i suoi pizzini interviene sulle strade interpoderali da affidare a imprese amiche. Il ruolo mafioso di Carminati è un ruolo diverso rispetto a quello dei boss storici delle mafie tradizionali: è però l'anello che congiunge le mafie storiche e Roma: un multi service con un certo grado di autonomia. Da Reggio Calabria a Palermo le organizzazioni criminali sono in guerra aperta tra loro e sanno come essere parte dello Stato con strategie differenti. Carminati e Buzzi sono diversi: hanno usato telefonini, hanno avuto incontri contrassegnati dall'imprudenza tipica di chi si sente tutto sommato fuori pericolo, di chi sente che l'attenzione è altrove, perché è convinto che gli altri pensino che la mafia sia un'altra cosa, e che questo pensiero li proteggerà. Chi parla di nuova mafia tridimensionale a Roma sembra aver rimosso l'influenza di Cosa Nostra sulla politica romana raccontata da Buscetta e della camorra raccontata da Galasso e parliamo di dati accertati da decenni, è storia condivisa insomma. Ci si dimentica del braccio destro di Cutolo, Vincenzo Casillo ‘o Nirone munito di tesserino dei servizi, ucciso nell'83 a Roma proprio fuori la sede del Sismi in Via Clemente VII e l'elenco di connivenze sarebbe infinito. Le mafie sono organizzazioni che da sempre hanno più sponde in politica, ed è esattamente ciò che differenzia il reato stesso di associazione mafiosa dalla semplice associazione criminale. Se oggi si afferma che esiste un nuovo percorso, significa che non si è data abbastanza attenzione alla dinamica mafiosa fino a questo momento. Significa non aver mai ascoltato chi da anni denuncia la presenza della mafia al Nord, la presenza della mafia a Roma. Ci hanno considerati matti, esagerati, sbruffoni, speculatori, diffamatori eppure la verità è solo questa: il tema mafia fuori dai luoghi in cui si ritiene che le mafie nascano, ovvero il tema mafia fuori dalla Campania, dalla Calabria, dalla Sicilia, dalla Puglia è sempre stato sottovalutato, marginalizzato, mai approfondito, trattato solo nelle aule dei tribunali, solo in superficie. Il primo ministro Renzi delega ai probiviri come se fosse una questione personale e di uomini. Eppure il sistema fiscale e la burocrazia sono i grandi alleati delle organizzazioni criminali, il loro strumento d'accesso per divorare le imprese sane ancora rimaste in piedi. È ovviamente già partita da soliti siti di retroscena e parte della stampa berlusconiana la sottovalutazione del problema per far credere che sia tutto un giro di poveracci e ruba polli. Non ce ne stupiamo. Il motivo è semplice: sono complici spesso della stessa cultura che ispira questi mondi criminali romani pensando che mafioso sia solo lo sfregio di Al Capone o l'occhio pigro di Lucky Luciano. Iperbole e sfottò sono uguali modalità per non comprendere. Ora l'inchiesta dimostra che le grandi organizzazioni criminali storiche sono su Roma da sempre e che Carminati e Buzzi sono solo una rubrica dei loro affari. Ciò che è cambiato non è la mafia, non è la sua tridimensionalità, non è il coinvolgimento di politici, imprenditori o massoni deviati ma il fatto che ora la presenza a Roma è diventata innegabile. La mafia non si esporta, ma come ogni modello vincente si diffonde in nome della sua capacità di successo e di intimidazione. Il fenomeno va contrastato, ma prima va capito. Il Paese si è accorto che le mafie si sostituiscono alle banche quando non sono (ma su questo c'è da lavorarci molto) direttamente partner delle banche italiane? Il governo deve affrontare il problema dal lato della sua rilevanza economica. O si interrompe questo meccanismo, o in Italia l'economia più forte, quella vincente, quella che verrà imitata e che diffonderà i propri modelli, continuerà a essere l'economia mafiosa. Giustizia: riforma anticorruzione, avvio in salita di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 14 dicembre 2014 Le reazioni. Per Franco Roberti, Procuratore antimafia, sarebbe stato meglio procedere attraverso un decreto d'urgenza. Sarà pure un compromesso che il premier Matteo Renzi è disposto a firmare mille volte. Di certo però il cammino delle nuove misure anticorruzione rischia di partire in salita. E anche abbastanza ripida. La decisione di evitare sia la presentazione di un decreto legge (malgrado i plurimi esempi di provvedimenti d'urgenza che hanno in passato anche introdotto nuove fattispecie di reato) sia quella di un disegno di legge non è affatto neutra e potrebbe compromettere, almeno per quanto riguarda i tempi, il varo definitivo delle misure. Il Consiglio dei ministri, di cui Renzi assicura la compattezza sul tema, ha scelto di innestare la stretta sulla corruzione nel corpo del disegno di legge con le misure sul processo penale che ha già ricevuto il via libera dal Governo nella riunione del 29 agosto. Da allora però il provvedimento si è inabissato tra bollinature e possibili incardinamenti; sta di fatto che in Parlamento non è mai approdato. Elemento quest'ultimo che, si fa notare in ambienti dell'Esecutivo, ha fatto preferire questo strumento rispetto all'altro, il disegno di legge con le misure contro criminalità economiche e mafie, che da circa un mese è stato invece depositato alla commissione Giustizia del Senato. L'aggiunta delle norme anticorruzione a un testo già in agenda avrebbe comportato la presentazione di un maxiemendamento della Giustizia. Strada che si è deciso di non percorrere, anche se è evidente che l'abbinata dell'anticorruzione alla riscrittura, anch'essa nel segno di una maggiore severità, del falso in bilancio (cardine delle misure sulla criminalità economica), poteva avere una certa attrattiva e permettere al Governo di presentarsi, casomai fosse riuscito nell'approvazione, anche in Europa con un biglietto da vista di tutto rispetto. Come l'Esecutivo cioè che, sia pure dopo la tormentata vicenda dell'introduzione dell'auto-riciclaggio (ancora venerdì sera peraltro rivendicato dal ministro Andrea Orlando in conferenza stampa al termine del Consigli dei ministri) aveva dimostrato con i fatti di volere inaugurare una nuova stagione anche nella guerra ai reati dei "colletti bianchi". La scelta, invece, è stata diversa. Ma la navigazione parlamentare, che dovrebbe iniziare alla Camera, potrebbe diventare assai impervia. Nel testo infatti sono collocate misure a elevato tasso di conflittualità, anche interno alla maggioranza. Vi trova posto, per esempio, la riforma generale della prescrizione (che la Giustizia pensava di stralciare e presentare in forma di emendamento alla commissione Giustizia della Camera dove martedì dovrebbe essere adottato il testo base), ma anche un'ampia delega per rivedere l'intero Codice di procedura penale; e poi norme specifiche che introducono nuovi istituti come la pena su richiesta, ne rivedono altri, come il patteggiamento, innestano modifiche alle condizioni di procedibilità piuttosto che alle conseguenze delle condotte riparatorie. Insomma un provvedimento omnibus che, sia in generale sia nella delicata materia penale, non è mai garanzia per un'approvazione facile. E non a caso ieri alcune delle reazioni più perplesse si sono concentrate sullo strumento utilizzato, da quella del Procuratore Antimafia Franco Roberti a quella del leader di Sel Nichi Vendola. Apertura di credito invece dalla presidente della Camera Laura Boldrini. Giustizia: magistrati, avvocati e parlamentari… i dubbi trasversali sull'anticorruzione di Virginia Piccolillo Corriere della Sera, 14 dicembre 2014 Per le toghe "è un antipasto". Ma Boldrini: l'inasprimento delle pene va nella giusta direzione. Molti lo bocciano, come fa don Luigi Ciotti, giudicandolo "insufficiente". Di estimatori del provvedimento anticorruzione, all'indomani del varo del Consiglio dei ministri, non se ne vedono tanti. Chi lo difende, come la presidente della Camera, Laura Boldrini e il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, si limita a incoraggiare la "direzione intrapresa". Il governo va avanti. E punta a far approdare il testo in Parlamento entro Natale e iniziarne l'esame a gennaio. Ma ha buon gioco l'opposizione ad attaccare duro, in attesa che si delineino meglio i dettagli del testo che inasprisce le pene per i corrotti (non per gli atti giudiziari), ma non per i concussi; allunga di circa un paio d'anni i termini di prescrizione; nega l'accesso al patteggiamento a chi non restituisce prima il maltolto e rende più facile la confisca anche agli eredi dei tangentisti. "Norme liberticide e inefficaci" per Forza Italia. "Propaganda" per Sel. Il Pd Pippo Civati obietta: "La prescrizione va sospesa dopo il rinvio a giudizio e non è il caso di inasprire le pene tout court". E il leghista Matteo Salvini ironizza: "Il Pd ha qualche "problemino" di corruzione". In più si intravede un ulteriore ostacolo sul cammino della norma: l'avversità degli avvocati, in Parlamento una delle comunità più popolose, 103 tra Camera e Senato. "Non si possono fare interventi non organici" spiegano in molti. E, con il presidente dell'Unione Camere penali, Beniamino Migliucci, aggiungono che l'"aumento delle pene non è mai un deterrente e non serve per combattere la corruzione, per la quale ci vuole una cultura della legalità". Per il forzista Abrignani i provvedimenti presi "non servono a fermare i tangentisti". "Non si dovrebbe legiferare sull'onda dell'emergenza - aggiunge l'alfaniana Nunzia De Girolamo - la corruzione si annida negli enti locali occorre ripristinare i controlli delle gare di appalto". Per Ignazio La Russa, di Fratelli d'Italia: "Un sistema di pene deve avere un equilibrio. Questi sono pannicelli caldi. Ce lo vedete Carminati che dice "se la prescrizione è di 15 anni sono il capo della banda, se è di 20 no"?". "Non sono solo "pannicelli caldi" c'è l'inasprimento delle pene per i corruttori, c'è l'aumento dei termini di prescrizione, e soprattutto l'aggressione forte ai patrimoni illeciti", difende il provvedimento il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri. Sono "norme efficaci che, certo, dovranno arrivare di pari passo alla riforma del processo penale che darà efficienza alla macchina della giustizia. Ma i tempi saranno veloci. Il premier Renzi si è detto pronto a mettere la fiducia. Semplificheremo ed elimineremo passaggi dilatori, nel rispetto delle garanzie. E l'iter in Parlamento sarà l'occasione per inserire dei correttivi". Molti li auspicano. Il prete antimafia don Ciotti, avverte: "È necessario mettere dentro il provvedimento anche la concussione, la corruzione giudiziaria e tutti gli altri aspetti e le altre modalità". Certamente, rimarca, ci sono "venti contrari" all'inasprimento della lotta alle tangenti "anche se non vengono espressi. C'è chi ricatta dicendo che se non passano alcuni provvedimenti, si va a casa tutti. Questi ricatti per me non sono accettabili" conclude il sacerdote. Per la presidente Boldrini invece "ha fatto bene il governo a inasprire le pene, a chiedere la restituzione del maltolto e a pensare anche alla confisca dei beni. Misure che vanno nella giusta direzione dopo di che c'è anche un modo di essere, di pensare e quello difficilmente si può condizionare con le leggi". Il leader di Sel Nichi Vendola denuncia che "non si è percepita un'urgenza tale da presentare un decreto". Delusa anche l'Anm che lo definisce un "antipasto". Giustizia: pm Roberti; stretta insufficiente, servono misure come quelle per lotta a mafia di Sara Menafra Il Messaggero, 14 dicembre 2014 Il Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti premette subito che per esprimere un'opinione completa sugli interventi annunciati due giorni fa dal premier Matteo Renzi in materia di corruzione e prescrizione bisognerebbe leggere i testi e che quindi ogni opinione è ulteriormente emendabile. Fatta la prudente introduzione, il magistrato ci mette poco a far capire che, a suo avviso, con le attuali proposte il governo rischia di perdere una buona occasione per intervenire su un tema così complesso. Procuratore, cosa pensa dell'inchiesta sulla cosiddetta Mafia Capitale? "Per ragionare su come combattere la corruzione, bisogna partire da una premessa di fondo: questo crimine è oggi lo strumento privilegiato dell'azione delle mafie moderne, che lo associano alla forza di intimidazione che le ha sempre caratterizzate. Un modello particolarmente chiaro nel caso romano. Qui la forza di intimidazione mafiosa serve a garantire il rispetto del patto corruttivo tra i soggetti che partecipano, cioè tra i mafiosi, gli imprenditori e i politici corrotti. E la novità è che siamo davanti a un paradigma politico, imprenditoriale e mafioso che si è cementato sul terreno di una visione comune della cosa pubblica, su un'unica filosofia di pensiero. Un'idea proprietaria e privatistica della pubblica amministrazione. Mafiosi, politici corrotti e imprenditori collusi si ritrovano su questa visione comune, la condividono". Come si combatte un fenomeno così radicato? "Secondo me bisogna applicare alla corruzione gli stessi strumenti che oggi usiamo per il contrasto alle mafie. È per questo che a mio avviso i provvedimenti messi in cantiere dal governo non sono sufficienti". In queste ore molti dicono che ci vorrebbero strumenti premiali per chi collabora. Pensa anche a questo? "Penso prima di tutto agli sconti di pena per chi confessa e chiama in correità il corrotto o il corruttore. Penso alle operazioni sotto copertura che consentono di insinuarsi nel meccanismo di accordo corruttivo con due effetti. Il primo è quello di far circolare dubbio e diffidenza reciproca tra chi fa affari illeciti, che può avere sempre il dubbio di aver di fronte un agente sotto copertura. Il secondo, ovviamente, è che l'agente sotto copertura, con il coordinamento del pm, può dare un apporto significativo alle indagini. Infine, penso a termini delle indagini preliminari e delle intercettazioni telefoniche e ambientali più lunghi di quelli attuali". L'aumento delle pene ha una conseguenza sui tempi di inchiesta. Non basta? "Va bene, ma non è un grande risultato. Passare una pena edittale dagli attuali 4 anni di minima e 8 di massima a 6/10 è qualcosa. L'intervento che blocca la prescrizione tra un grado e l'altro di giudizio ricalca un progetto del Pd su cui sono stato audito. Anche in commissione ho detto che è meglio di niente, un passo avanti, ma preferivo il progetto presentato dai Cinque stelle che prevede la cessazione della prescrizione una volta che viene esercitata l'azione penale. L'allungamento dei tempi non elimina le tattiche dilatorie, le rende solo più complesse. In teoria con il decorso del tempo senza sentenza, lo stato dimostra di non essere interessato a punire un determinato fatto. Ma non è questo il nostro caso: bloccare la prescrizione al momento dell'esercizio dell'azione penale significherebbe interromperla proprio quando lo Stato manifesta un interesse punitivo e dunque si terrebbe fede allo stesso principio, ma in modo più efficace". Quali sono le norme più convincenti tra quelle annunciate dal governo Renzi? "La principale novità mi pare legata al fatto che non sarà più possibile accedere al patteggiamento se non restituisci i beni ottenuti con la corruzione. Per quanto riguarda le confische, le leggi attuali, quelle introdotte dopo la strage di Capaci e recentemente modificate, prevedono che per i corrotti e i concussori ci sia la confisca dei beni di cui non sia dimostrata la legittima provenienza quando non è proporzionale al reddito dichiarato. È prevista anche la confisca in sede di prevenzione quando si dimostri che il corrotto vive abitualmente dei provvedimenti della corruzione. In questo caso, è decisivo quello che prova il pm". Dunque qual è il suo giudizio complessivo? "Credo che l'iniziativa del governo sia apprezzabile ma ancora troppo timidi gli interventi normativi nel contrasto alla corruzione. Anche perché questi interventi, apprezzabili ma minimali, potevano essere affidati a un decreto legge. Se si è scelta la strada del disegno di legge, con tempi più distesi, allora si può fare di più. Il parlamento può intervenire, e quando i testi saranno esaminati dalle commissioni, la Procura nazionale antimafia darà il suo contributo come ha già fatto in passato". C'è una sottovalutazione del fenomeno? "Bisogna fare una scelta di campo, superando la visione in cui il corruttore e il corrotto sono "simpatiche canaglie" responsabili di reati tutto sommato minori. Come hanno spiegato alcune inchieste comprese l'ultima, corrotti e corruttori sono proiezioni di organizzazioni mafiose moderne che si avvalgono dell'intimidazione oltre che del vincolo corruttivo". Come giudica la Mafia Capitale per come emerge dalle carte? "Ha tutte le caratteristiche della mafia moderna. Questo tipo di sinergie criminali tra mafia, imprenditori e politici corrotti è ormai sempre più frequente e basato su rapporti sinallagmatici tra i soggetti. In altre parole, siamo di fronte ad un patto che ognuno dei soggetti vuole tenere in vita, perché tutti, politici, mafiosi e imprenditori, ci guadagnano". Giustizia: Migliucci (Ucpi); il ddl anti-corruzione? inutile populismo legislativo di Eleonora Martini Il Manifesto, 14 dicembre 2014 Giustizia. Intervista a Beniamino Migliucci, presidente dell'Unione delle camere penali italiane. "Siamo di nuovo al populismo legislativo: ogni due anni sull'onda emotiva della cronaca si promettono inasprimenti di pena per combattere la corruzione. Che evidentemente non servono a nulla, visto che l'ultimo intervento risale a due anni fa con la legge Severino". L'avvocato bolzanino Beniamino Migliucci, da tre mesi presidente dell'Unione delle camere penali italiane, è quasi rassegnato. Ha visto lo schema di ddl proposto dal governo in materia di anti-corruzione? Sì, purtroppo ho visto. Ci risiamo: sulla prescrizione si voleva premere l'acceleratore anche dopo la sentenza Eternit, anche se non c'entrava nulla perché il problema sollevato semmai era quello della mancanza del reato di disastro ambientale. E ora l'inchiesta sulla "Mafia Capitale" solleva un'altra presunta emergenza. La corruzione non si combatte attraverso la repressione e l'aumento di pena ma facendo crescere con la politica la cultura della legalità. Anche oggi, con pene da 4 a 8 anni, si può andare in carcere. I sequestri preventivi e la confisca per equivalente sono già possibili. E già oggi i giudici possono patteggiare una pena chiedendo la restituzione del maltolto. Come d'altronde avveniva già ai tempi di Mani pulite. È populismo legislativo. L'unico risultato, magari, sarà che con una pena maggiore la corruzione costerà solo di più. Secondo l'annunciato ddl governativo, con le pene che salgono da 4-8 a 6-10 anni la prescrizione arriva a 12 anni e mezzo. Poi sarebbe prevista la sospensione per due anni dopo il I grado e un anno dopo l'Appello. E il Ncd avrebbe bloccato anche la versione più dura che consentiva di raddoppiare la prescrizione come per i reati di mafia. Renzi ha detto agli avvocati: "Scordatevi la prescrizione come carta difensiva". È una sciocchezza: come tutti sanno circa il 70% delle prescrizioni in Italia maturano nella fase delle indagini preliminari, dove gli avvocati non c'entrano nulla. Inoltre, dal 2005 ad oggi le prescrizioni sono dimezzate, passando da 220 mila a 130 mila circa. La causa è la ex Cirielli che ha tanti difetti ma ha portato a questi risultati. Quindi per arrivare ad azzerarle, che è un obiettivo a cui tutti i cittadini devono tendere perché la prescrizione è una sconfitta per la giustizia, la ricetta non è allungare i tempi, ma rendere ragionevolmente breve il procedimento. Perché non ci danno i dati di quanti processi per corruzione si sono prescritti? Sa perché i processi civili durano più a lungo? Perché non c'è la prescrizione. Fare in modo che il procedimento duri sine die come vorrebbe la magistratura associata, non è nell'interesse né degli imputati né delle persone offese. Per ridurre i tempi dei procedimenti ci sarebbero molti accorgimenti di carattere organizzativo, ma soprattutto il problema vero è modulare l'accesso al processo. Come? È corretto l'approccio che ha dato il governo sull'irrilevanza del fatto. L'obbligatorietà dell'azione penale è un feticcio. Ed è un valore costituzionale che deve essere contemperato con altri valori costituzionali come quello della ragionevole durata del processo. Si rendano poi realmente appetibili i riti alternativi. Insomma, bisogna arrivare a una riforma organica della materia. Secondo l'accordo intergovernativo si potrebbe arrivare ad un aumento di pena solo della corruzione propria, per atti contrari a doveri di ufficio. La concussione e gli altri reati contro la pubblica amministrazione non verrebbero toccati. Non si creerebbe così uno sbilanciamento inefficace? Il problema è proprio questo: io non sono d'accordo con chi vuole aumentare anche le altre pene per evitare disomogeneità, ma qui si mette in evidenza proprio la disorganicità dell'intervento. Proprio quest'anno il governo ha ricevuto il dossier conclusivo dei lavori della commissione presieduta da Giovanni Canzio, il presidente della Corte d'Appello di Milano, i cui risultati non sono tutti condivisibili ma almeno tentava di dare una risposta organica a questi problemi. Due anni fa la legge Severino era intervenuta sulla corruzione e sulla concussione come chiedeva l'Europa. Aumentando tra l'altro i controlli nelle Pubbliche amministrazioni e incentivando le best practice. Se neppure quella legge aveva sortito effetto, vuol dire che la cura a base di pene, repressione e carcere è sbagliata. Cambiamo cura. Giustizia: l'elusione fiscale non sarà reato, regole più chiare per attirare investitori di Enrico Marro Il Corriere della Sera, 14 dicembre 2014 Il decreto legislativo sull'abuso di diritto è sostanzialmente pronto. Potrebbe essere portato in Consiglio dei ministri la prossima settimana. Verrebbe così sciolto uno dei nodi più attesi della legge delega di riforma del Fisco, spiega Pasquale Saggese della Fondazione nazionale dei commercialisti. Si tratta infatti di fare chiarezza su uno dei punti più controversi della legislazione fiscale, distinguendo nettamente l'evasione, passibile di sanzioni penali oltre che amministrative, dall'elusione, escludendo in quest'ultimo caso le conseguenze penali. Il riordino normativo è necessario per mettere fine a un contenzioso interpretativo, fonte di incertezza, che scoraggia in particolare le multinazionali dall'investire in Italia. La bozza del provvedimento, in gestazione da diversi mesi, innanzitutto individuerà la fattispecie dell'abuso di diritto equiparandola a quella dell'elusione. Essa si configurerà quando le operazioni poste in essere dal contribuente sono prive di una ragione economica e sono invece volte essenzialmente a ottenere un indebito vantaggio fiscale. In questo caso l'amministrazione fiscale contesterà l'abuso di diritto, ma non saranno previste sanzioni penali: il contribuente sarà tenuto a versare le imposte dovute e le relative sanzioni. Il contribuente, in contraddittorio con l'amministrazione, potrà dimostrare che le operazioni contestate dal Fisco hanno una ragione organizzativa ed economica e quindi non rientrato nell'elusione. Ma il contribuente potrà anche prevenire l'insorgere del contenzioso proponendo interpello all'amministrazione prima di mettere in atto le operazioni a rischio. I reati tributari dovrebbero invece scattare solo in caso di evasione fiscale, cioè quando c'è stata una violazione delle relative norme (come la frode fiscale). Per fare un esempio, se un'azienda crea dei fondi neri per non pagare le tasse è evidente che si tratta di evasione. Se invece vengono poste in essere fusioni o altre operazioni infragruppo che portano a una riduzione delle imposte, al massimo si potrebbe configurare l'abuso di diritto qualora tali operazioni siano state finalizzate principalmente a ridurre l'imposta e non abbiano ragioni organizzative ed economiche che le giustifichino. Un sistema del genere, secondo gli esperti, dovrebbe tranquillizzare in particolare le multinazionali, spaventate da casi come quello di Dolce & Gabbana che hanno ottenuto la piena assoluzione in Cassazione per evasione fiscale solo dopo un lungo contenzioso. Prima del varo del decreto legislativo restano però ancora da risolvere alcune questioni. Due particolarmente importanti. La prima è relativa alla decorrenza delle nuove regole. Se queste cioè si debbano applicare agli accertamenti non ancora notificati - questa la soluzione più probabile - oppure anche a quelli pendenti. La seconda riguarda l'ipotesi di depenalizzazione dell'omesso pagamento dell'Iva. Attualmente il reato scatta solo per somme superiori a 50 mila euro. Più che una completa depenalizzazione sta prendendo quota l'idea di alzare la soglia a 150 mila euro. Stessa cosa dovrebbe avvenire per la dichiarazione infedele. Infine, resta da decidere anche sui termini entro i quali si può disporre l'accertamento. Finora il massimo è di quattro anni dal momento in cui si è verificata l'evasione. Nelle scorse settimane si era ipotizzato il raddoppio di questo termine. Ma non dovrebbe finire così. Piuttosto, una volta notificato l'accertamento entro il termine dei quattro anni, per l'amministrazione fiscale dovrebbe scattare un supplemento di tempo (2-4 anni) per portare a compimento l'accertamento. Giustizia: Morosini (Csm); in crisi immagine separatezza politica-magistrati Adnkronos, 14 dicembre 2014 "Il tema dei rapporti tra magistratura e politica, il tema dei magistrati in politica, è un tema all'ordine del giorno dei lavori del Csm. Ci sono alcune cose che può fare il Consiglio e altre che può fare il legislatore. L'importante è cercare di salvaguardare l'immagine della separatezza tra attività giudiziaria e attività politica. Negli ultimi anni questa immagine di separatezza, molte volte, è andata in crisi". Lo ha detto all'Adnkronos Piergiorgio Morosini, componente del Csm ed ex gup di Palermo, parlando delle polemiche sollevate nei giorni scorsi dal Procuratore facente funzione di Palermo Leonardo Agueci, dopo la nomina del pm Vania Contrafatto ad assessore regionale della Giunta Crocetta. "Bisogna trovare delle soluzioni e su questo sia il legislatore che il Csm possono fare qualcosa. La pratica aperta dal Csm mira proprio a questo, probabilmente produrrà una risoluzione sotto questo profilo - dice Morosini. I lavori sono iniziati". Il Csm, la scorsa settimana, ha dato il via libera all'aspettativa del pm Contrafatto ma ha aperto una pratica in cui si leggeva: "Il Consiglio ritiene necessaria una nuova riflessione generale anche in relazione alla possibilità di una normativa secondaria che limiti, o comunque regolamenti, nell'interesse della giurisdizione, l'ingresso del magistrato in politica e, in particolare, il passaggio diretto dalla giurisdizione all'assunzione di incarichi nel territorio". Le nuove regole a cui pensa il Csm devono riguardare tanto il fenomeno del passaggio diretto del magistrato dalla giurisdizione all'incarico elettivo, o per chiamata (come nel caso dell'assessore di Crocetta), quanto la questione del rientro in magistratura dopo aver svolto un incarico politico. Giustizia: Mafia Capitale; Carminati trasferito nel carcere di Tolmezzo e Buzzi a Nuoro La Repubblica, 14 dicembre 2014 L'ex Nar spostato per "incompatibilità ambientale". L'avvocato Naso: "Vogliono rendere difficile la possibilità di difenderlo". All'Ambra Jovinelli di Roma il sindaco all'iniziativa di Sel. Smeriglio: "Screening bandi Regione Lazio, ma sarebbe paradossale che una vicenda criminale che nasce con Alemanno fosse pagata da qualcun altro". Massimo Carminati è stato trasferito nel carcere di massima sicurezza di Tolmezzo, in provincia di Udine. Assieme a lui stamani sono stati trasferirti gran parte degli arrestati nell'inchiesta Mafia Capitale che si trovavano a Rebibbia. Il trasferimento dell'ex Nar Carminati, considerato dagli inquirenti a capo della "cupola" di Mafia Capitale, si è reso necessario per una questione di "incompatibilità ambientale". In pratica, spiega l'avvocato di Carminati, Giosuè Naso, "esiste il divieto per gli imputati di associazione mafiosa di stare tutti nello stesso carcere". Ma, prosegue Naso, "la realtà è che trasferendo Carminati vogliono rendermi impossibile la possibilità di difendere il mio assistito". Ieri l'altro arrestato eccellente dell'inchiesta, ovvero il dominus delle coop sociali di Roma Salvatore Buzzi, era stato trasferito nel carcere nuorese di Badu e Carros. Questi trasferimenti sono dettati anche dal fatto che, essendo accusati la maggior parte degli arrestati di associazione a delinquere di stampo mafioso, devono essere detenuti in reparti di massima sicurezza. Secondo quanto si è appreso, Carminati è ristretto in regime di alta sicurezza, ovvero quello applicato ai detenuti ai quali sono contestati reati associativi, esattamente lo stesso a cui era sottoposto già nel penitenziario della Capitale. Non è noto se divida la cella con altri detenuti o se sia rinchiuso da solo. Da quanto si è appreso il suo arrivo non avrebbe provocato reazioni nè degli altri detenuti ne all'esterno della casa circondariale. Il carcere di Tolmezzo, in provincia di Udine, è un carcere di massima sicurezza. Ospita attualmente 170 detenuti, più della capienza regolamentare fissata a 149 posti. Per i detenuti nei reparti di alta sicurezza non sono consentiti colloqui se non con familiari stretti e con i legali. Intanto, questa mattina il sindaco di Roma Ignazio Marino, il presidente di Sel Nichi Vendola, lo scrittore Giancarlo De Cataldo, l'ex presidente della commissione antimafia Francesco Forgione, il vicepresidente della Regione Lazio Massimiliano Smeriglio e Lucia Annunziata si sono incontrati al Teatro Ambra Jovinelli a Roma per l'iniziativa pubblica "Affari, criminalità, corruzione: cambiamo tutto" organizzata da ‘Sinistra ecologia libertà'. Si parla di "Mafia Capitale", l'inchiesta che ha provocato un terremoto anche politico a Roma, e del "mondo di mezzo". "Gli affari per quella gente sono finiti, nella nostra amministrazione posto per quelle persone non c'è" ha esordito il primo cittadino della capitale. "Credo che chi ha creato discontinuità, chi nelle intercettazioni era visto come un nemico da far cadere, debba andare avanti e continuare l'amministrazione sana e pulita di questa città", ha aggiunto. "Roma è composta nella stragrande maggioranza da persone perbene che non possono, con lo scioglimento del Comune per mafia, essere buttate nel fango come quelli che andrebbero invece portati in prigione per poi buttare le chiavi". E sostegno al sindaco Marino arriva anche dal vicesegretario di Sel e vicepresidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio: "Dobbiamo provare a prendere atto di ciò che è accaduto in città senza sconti, guardandoci accanto e dentro, capire quali sono le responsabilità, sostenere l'azione della Procura e avviare una fase di rinnovamento in Campidoglio, ma sostenendo con convinzione l'esperienza e la discontinuità del sindaco Marino. Sarebbe paradossale - ha aggiunto - che una vicenda criminale che nasce nel cuore dell'amministrazione Alemanno fosse pagata da qualcun altro. Quindi non sono d'accordo e credo ci sia lo spazio per un governo della città con Marino nelle condizioni attuali". In Regione intanto si stanno passando al setaccio gare e appalti dell'ultimo anno e mezzo ma, dice Smeriglio "ad oggi i risultati sono molto positivi, non c'è un coinvolgimento della cooperativa 29 giugno né di società collegate. Siamo molto ottimisti anche se il lavoro deve continuare perché la Regione è una macchina infernale fatta di pacchetti e pacchettini che dobbiamo esplorare bene". Al centro del dibattito anche il ddl anti-corruzione presentato ieri dal governo. "La montagna ha partorito il topolino. Intanto in questo caso non si è percepita l'urgenza tale da potere presentare un decreto ma si è preferito presentare un disegno di legge" ha il presidente di Sel, Nichi Vendola. "Curiosa questa contraddizione rispetto all'incredibile dispiegamento di propaganda da palazzo Chigi che è stato messa in campo. Il ddl sembra creato dal Nuovo centrodestra, ci sono punti che potevano essere più netti - ha aggiunto Vendola. Per esempio il ruolo dei testimoni nei procedimenti per corruzione. Se l'Italia è in testa alle classifiche internazionali per il degrado della vita pubblica, per la permeabilità della pubblica amministrazione e della politica ai fenomeni corruttivi, se la corruzione mangia come un cannibale ogni anno risorse straordinarie alla collettività, se tutto questo è vero la risposta del governo mi pare più propagandistica che efficace". "Credo che ci sia una capillarità della presenza di reti criminali e affaristico-corruttive in tutta Italia e penso ci vogliano norme di legge severe e una battaglia politico-culturale contro la corruzione" ha aggiunto. E a Roma arriva anche l'eco delle parole di Giovanni Toti, consigliere politico di Forza Italia, da Napoli ("Renzi si occupi di Roma e dica a Marino di andare a casa") e quelle di Pierluigi Bersani, ex segretario del Pd, da Padova ("L'inchiesta di Roma dispiace. Voglio sperare che le centinaia di operatori, che non sono coinvolte e che per quattro soldi affrontano queste situazioni, non vengano lasciate per strada"). L'inchiesta. Ieri intanto il Riesame ha ribadito l'aggravante mafiosa per gli arrestati nell'ambito dell'inchiesta su Mafia Capitale che si erano appellati al carcere della libertà: confermato dunque il carcere per Massimo Carminati e altri quattro (Riccardo Brugia, Roberto Lacopo, Fabrizio Franco Testa e Emilio Gammuto, accusato quest'ultimo solo di corruzione aggravata). Agli atti dell'inchiesta spunta ora anche l'intercettazione ambientale di una conversazione in un bar di Roma avvenuta il 7 febbraio 2013. Protagonisti l'imprenditore Mario Zurlo e il braccio destro di Massimo Carminati, Riccardo Brugia, che durante l'incontro parlano, secondo gli inquirenti, di Silvia Pesante, già direttrice del carcere del Frosinone e ieri sostituita alla guida dell'istituto di pena di Sulmona. Non viene mai pronunciato il nome della Pesante ma si fa esplicito riferimento ad una "bionda direttrice del carcere di Frosinone". Zurlo dice a Brugia che "l'altro giorno è passato Luigi (Ciavardini, ex Nar condannato a 30 anni per la strage alla stazione di Bologna, dal 2009 in stato di semilibertà, ndr) per farmi gli auguri e stava con una bionda in macchina, rideva. È il direttore del carcere di Frosinone, se la stava portando a casa... gli ho detto di stare attento perché il giorno che non te la porti più a casa questa te fa leva la semilibertà... perché quella è un dipendente del Ministero degli interni". I due fanno anche alcuni apprezzamenti sull'aspetto fisico della donna, poi Zurlo rivela a Brugia che Ciavardini "con la sua cooperativa sociale sta facendo tutti i lavori intorno al carcere, gli pulisce l'erba... c'ha tutto il verde esterno". "È una enorme falsità, una mascalzonata e basta, serve solo a gettare polvere su di me o sul volontariato. Io con la Cooperativa 29 Giugno non ho mai lavorato e mai avuto nulla in comune" ha replicato però Silvia Pesante. "Sono pronta a querelare chiunque segua illazioni del genere - spiega decisa - certi accostamenti sono vergognosi. Ho avuto contatti con certa gente, per via del mio lavoro, ma so anche che si tratta di un "certo tipo di gente", mentre per fortuna la buona parte del volontariato che opera coi detenuti è sana. Sono strutture con le quali, dove ho lavorato, mi sono trovata bene. Il mio avvicendamento è stato un normale passaggio di consegne", chiude la Pesante. Sono fissati invece per lunedì mattina, nel carcere di Regina Coeli, gli interrogatori di Rocco Rotolo e di Salvatore Ruggero, gli ultimi due ad essere finiti in carcere nell'ambito dell'inchiesta. Entrambi sono accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso in quanto ritenuti responsabili di aver assicurato il collegamento tra il clan dei Mancuso, egemone nel Vibonese, ed alcune cooperative riconducibili a Salvatore Buzzi, braccio finanziario, secondo la Procura di Roma, dell'organizzazione criminale capeggiata da Carminati. Lettere: il Papa ai detenuti di Latina "in carcere, trovate pace del cuore" Radio Vaticana, 14 dicembre 2014 La permanenza in carcere, occasione "di autentica crescita per trovare la pace del cuore". Lo scrive il Papa in una lettera ai detenuti della Casa circondariale di Latina, consegnata al cappellano, don Nicola Cupaiolo, da monsignor Yoannis Lahzi Gaid, uno dei segretari particolari del Santo Padre, già viceparroco nel capoluogo pontino. Il vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, monsignor Mariano Crociata, ha espresso gioia e gratitudine per il "gesto di squisita attenzione del Santo Padre" nei riguardi dei circa 120 detenuti della struttura, di cui 30 sono le donne recluse nella sezione di alta sicurezza, per reati di terrorismo o mafia. Una lettera scritta a tutti i detenuti della Casa circondariale di Latina, ma da considerare da ciascuno di essi come "personale". Il Papa infatti spiega che in tanti, da quel carcere, gli hanno scritto "sfoghi" e "confidenze" - per lui "motivo di grande conforto" - e si scusa per non aver "risposto prima", perché "purtroppo non è sempre facile fare tutto ciò che si desidera fare". Ora indirizza le sue parole a quei detenuti, nell'occasione della venuta di Gesù, "che non desidera altro - spiega il Pontefice - che nascere nel presepe del cuore di ognuno di noi". Augurando buon Natale, il Papa auspica "che le ore, i giorni, i mesi e gli anni passati o che state trascorrendo in codesta Casa circondariale di Latina vengano visti e vissuti - scrive il Santo Padre - non come tempo perso o come una temporanea punizione ma come un'ulteriore occasione di autentica crescita per trovare la pace del cuore e la forza per rinascere tornando a vivere la speranza nel Signore che non delude mai". Papa Francesco si rallegra perché molti di quei detenuti "stanno seguendo un cammino di fede con il cappellano", don Nicola Cupaiolo, e con quanti sono loro vicini, "non solo per dovere d'ufficio - specifica il Pontefice - ma per una disponibilità interiore a consideravi sinceramente sorelle e fratelli". Esorta tutti quindi "a continuare questo cammino con perseveranza", ringraziando le persone che aiutano i carcerati in tale percorso. Il Papa accompagna la lettera con un nuovo Messale, "affinché scopriate nella Santa Messa - afferma - la traccia del cammino quotidiano con il Signore che è il medico efficace delle vostre ferite, amico fedele di ogni giorno e il nutrimento necessario per sostenere quel cammino di salvezza e di liberazione che nemmeno le sbarre del carcere possono impedire". Il Papa prega dunque per loro, chiedendo al Signore di consolarli "con la sua pace e la sua dolce presenza", per i loro cari e per tutto il personale della Casa circondariale. Lettere: il diritto è sempre opinabile di Piero Mancusi (Avvocato) Specchio Economico, 14 dicembre 2014 C'è verità nei casi decisi dal sistema giudiziario italiano? Perché il diritto spesso divarica dal comune senso di giustizia? Ogni giorno la vita giudiziaria insegna che spesso vi è un ping pong tra diversi Tribunali e un imputato, condannato in una fase del processo, viene assolto nella fase successiva, e questa è una lezione amara che preferiremmo risparmiarci. Delitti senza colpevoli, processi infiniti, la verità che manca. Da qui una serie di commenti da parte dell'opinione pubblica che si apre con leggi illeggibili e si chiude con la giustizia ingiusta. Dobbiamo anzitutto precisare che la scienza è entrata prepotentemente nel diritto e risulta decisiva per districare i casi giudiziari attraverso la prova del Dna. Oggi il progredire delle tecniche di investigazione a contenuto scientifico rimettono spesso in discussione i processi e le investigazioni di anni di indagine che hanno accompagnato i casi più clamorosi. Per dirne una, nel 2011 la prova del Dna permise di individuare il colpevole del delitto dell'Olgiata, con la confessione del reo rimasto insoluto per venti anni. Ma neppure la scienza dispensa certezze per cui, se il diritto è opinabile per definizione, anche la scienza è opinabile. Ogni scoperta scientifica viene sopravanzata dalla scoperta successiva. Il diritto e la scienza distribuiscono solo verità parziali per cui è necessaria un'umiltà reciproca, magari imparando dagli errori che costellano la storia scientifica e quella giudiziaria. Successe per la cura Di Bella contro i tumori, ed è avvenuto più di recente a proposito delle terapie con cellule staminali sviluppate dalla Fondazione Stamina. Tuttavia è proprio l'incertezza della scienza contemporanea che espande il ruolo del diritto e del giudice, che deve scegliere tra opzioni alternative. Ecco perché le sentenze sono riformabili dal giudice d'appello ed ecco perché all'appello segue la Cassazione: la ragione è presto detta, il diritto cerca la certezza che si ottiene solo con la sentenza definitiva. Ma non sempre la certezza coincide con la verità. A questo punto l'ordinamento giuridico prevede comunque il principio del "Ne bis in idem", nessuno può più essere perseguito dallo Stato se è stato già processato per lo stesso fatto con sentenza definitiva. Evocato già nel Diritto romano, il principio "Ne bis in idem", diversamente da altri Paesi, non è inserito nella Costituzione italiana del 1947, ma a livello europeo è osservato dall'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea di Nizza, dall'articolo 54 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen e dall'articolo 4 del Protocollo 7 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo. Nel Codice di procedura penale è l'articolo 649 a prevedere che l'imputato, prosciolto o condannato con sentenza definitiva, non può essere sottoposto a nuovo procedimento penale per il medesimo fatto. Solo che il principio giuridico, nato come riparo da una pretesa punitiva dello Stato, altrimenti senza fine, è di recente sottoposto a critica perché talvolta determina un insanabile contrasto tra la "verità processuale" e quella "effettiva". A Napoli, di recente, un avvocato indicato, dalle prove scientifiche più avanzate, come l'assassino di tre familiari, episodio avvenuto 40 anni fa, non può più essere processato perché assolto con sentenza passata in giudicato. Casi clamorosi ma non rari, come la confessione avvenuta in un episodio di uxoricidio a Ferrara nel quale l'ex marito dopo essere stato condannato a 20 anni in primo grado e assolto in appello per l'uccisione della moglie, nel 2009, si presentò in Questura e, coperto ormai da impunità, confessò il delitto. Un tema simile ha appassionato scrittori e registi come il famoso film del 1999 "Colpevole d'innocenza", nel quale una moglie, consigliata da un avvocato detenuto, ammette l'omicidio del marito, sparito dopo aver inscenato il proprio assassinio, per guadagnare uno sconto di pena. Uscita dal carcere rintraccia il marito e stavolta lo uccide veramente senza rischiare il carcere non potendo essere condannata una seconda volta per lo stesso delitto. Non è solo sul grande schermo, ma anche nelle pagine della letteratura il tema dell'impunità per il principio del "Ne bis in idem" viene affrontato. Un tema simile si ritrova nel famoso romanzo di Agata Christie "Dieci piccoli indiani" e nella commedia della stessa Christie "Testimone d'accusa". Il principio del "Ne bis in idem" è del resto la dimostrazione più plastica che, nell'universo del processo penale, non esiste la "verità assoluta" ma solo quella processuale. Il processo, in sintesi, produce una verità non storica né materiale, ma formale e probabile. Ed ecco perché i casi di "Ne bis in idem" sono considerati nella collettività come un corto circuito del processo giurisdizionale e determinano invece un processo mediatico che lievita e monta su fatti e circostanze non più spendibili in Tribunale. È un corto circuito nel quale, in una logica accusatoria, si svolgono due processi, quello giurisdizionale deputato dall'ordinamento e che finisce con le sentenze definitive ove vengono selezionate le carte processuali, e quello mediatico che, in una logica inclusiva, non conosce regole ma solo il convincimento della collettività. Magari a distanza di molti anni e a gradi di giudizio ormai esauriti anche i soggetti assolti sono considerati colpevoli nel processo mediatico che si crea nell'opinione pubblica. Intanto il principio del "Ne bis in idem" si allarga nell'interpretazione della Corte europea dei diritti dell'Uomo, anche oltre il perimetro del processo penale. È del 4 marzo 2014 la sentenza Grande Stevens contro l'Italia, nel caso del contestato aggiotaggio Ifil-Exor, prima sanzionato in via amministrativa dalla Consob e poi perseguito penalmente. I giudici di Strasburgo ritengono che le sanzioni amministrative o tributarie, se hanno una finalità punitiva, assimilabile a quelle penali, incorrono nel divieto del "Ne bis in idem". In sintesi, è impossibile avviare un processo penale per la stessa violazione già sanzionata in via amministrativa. Calabria: Presidente Oliverio, hai iniziato bene… ma ora cambia anche le nostre carceri di Giuseppe Candido Il Garantista, 14 dicembre 2014 Finalmente, a quasi tre settimane dal voto delle regionali dello scorso 23 novembre, l'11 dicembre è avvenuto il cambio ufficiale di consegna tra la presidente facente funzioni, Antonella Stasi e il neo eletto presidente Mario Oliverio. Dopo aver esposto le priorità del suo governo (zero clientele, lotta alla povertà e alla disoccupazione, migliore uso dei fondi europei, emergenza rifiuti e sanità), rivolgendosi ai giornalisti, il presidente Oliverio (al quale pure noi facciamo i nostri auguri) ha poi definito "grave vulnus" della democrazia il fatto che, dal nuovo Consiglio Regionale, sarà esclusa Wanda Ferro che ha guidato la coalizione arrivata seconda. "Il fatto che il migliore perdente non svolga il ruolo che deve svolgere all'interno dell'assemblea come accade in tutte le regioni d'Italia- ha affermato il neo presidente - costituisce un grave vulnus". Aggiungendo che intende modificare, su questo aspetto, la legge elettorale e che intende farlo sin dal primo anno e non già a fine legislatura, a ridosso delle elezioni. Bene, questa del voler modificare la legge elettorale ben prima di un anno dal voto, è cosa non da poco conto dal punto di vista del diritto e che, da Radicali, ci fa assai piacere. Ci fa pensare a un radicale e auspicabile cambiamento di rotta. Lo scorso 23 novembre, infatti, personalmente mi sono astenuto dal votare facendo registrare al presidente del seggio le motivazioni della mia astensione dal partecipare a un procedimento elettorale che, stando al diritto internazionale e nazionale, non poteva considerarsi democratico. Ho fatto notare che, il codice di buona condotta in materia elettorale approvato dalla Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa (Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto) dal 2002, prevede esplicitamente che, per esser considerato democratico, il voto: 1) "Deve essere assicurata l'eguaglianza delle opportunità tra i partiti e i candidati", che "implica neutralità delle autorità pubbliche", durante la campagna elettorale". Mentre tutti noi abbiamo visto sia Alfano, sia Renzi, sia vari mini stri, scorrazzare per la Calabria e chiudere persino la campagna elettorale, come fossero semplici leader dei loro partiti, palesando - secondo il codice citato - un "conflitto di interessi". Ho ricordato inoltre che, nel rispetto della libertà di espressione, la legge elettorale stessa avrebbe dovuto prevedere che "i mezzi di comunicazione audiovisivi privati assicurino ai differenti partecipanti la parità di accesso al le elezioni", in materia di competi zione elettorale e di pubblicità. Ma anche tralasciando questi aspetti che certo non sono dei "dettagli", nel motivare la mia astensione dal voto ho ricordato pure che, proprio in riferimento alla "stabilità del diritto elettorale", nel codice di buona condotta elettorale, viene esplicitamente previsto che "Gli elementi fondamentali del diritto elettorale, e in particolare del sistema elettorale propriamente detto, la composizione delle commissioni elettorali e la suddivisione delle circoscrizioni non devono poter essere modificati nell'anno che precede l'elezione". Cosa che invece è palesemente avvenuta in Calabria proprio a pochi mesi dal voto. Quindi - per chi ha rispetto del diritto e dello stato di diritto - è una gran notizia, un vero cambiamento di rotta, leggere che si intende modificare l'attuale legge elettorale regionale, e che si intende farlo sin da subito. Speriamo che questo diverso modus operandi, questo nuovo modo di intendere la legalità, il diritto e la democrazia stessa, il nuovo Presidente sia capace di estenderlo anche ad altri settori: quello dei rifiuti e della depurazione (che richiedono diritto alla conoscenza), quello dell'uso e dell'abuso del suolo (finora utilizzato per fare clientele, piuttosto che per salvaguardarne l'integrità e tutelare le persone dai rischi geologici e ambientali), ma anche ai diritti umani in genere. Anche a quei diritti umani che, troppo spesso, pure nelle carceri della nostra regione vengono violati. Convinti che amnistia e indulto siano propedeutici a una vera riforma della giustizia, e facendoci forza di quel messaggio di Napolitano alle Camere dell'ottobre del 2013 e di quanto detto da Papa Francesco sulla tortura e sulle pene all'accademia del diritto penale internazionale, dallo scorso 3 dicembre è riiniziato il Satyagraha di Rita Bernardini, Marco Pannella e centinaia di cittadini italiani per chiedere allo Stato italiano, ancora una volta con 1'"incrollabile coerenza" che pure il presidente della Repubblica ha riconosciuto a Pannella, di garantire nelle carceri il diritto alla salute. Chiediamo di fermare la mattanza dei suicidi che nelle nostre patrie galere avviene troppo spesso, ripetiamolo fino alla noia, proprio per la mancanza di adeguate cure psichiatriche. E chiediamo di introdurre il reato di tortura e di fermare quella sorta di "tortura democratica" del regime 41bis perpetrata anche per detenuti come Bernardo Provenzano, che da più di un tribunale è stato dichiarato incapace di intendere e volere tanto da non poter neanche essere ammesso come teste. Lo si mantiene in regime di 41 bis, torturando così i anche i familiari che possono vederlo in quelle condizioni, solo attraverso un vetro, e senza che neanche li riconosca più. Personalmente, l'ho scritto qualche giorno addietro, ho aderito con convinzione al Satyagraha di Marco e Rita, con un giorno alla settimana di digiuno (e contemporanea auto riduzione dell'insulina) ma ripetendolo ad oltranza, fino a quando la questione non sarà portata a conoscenza dei cittadini dai grandi media televisivi. Con questa lotta non violenta, assieme ad altri compagni radicali calabresi (tra cui ricordo Ernesto Biondi, Cesare Russo, Rocco Ruffa, Sabatino Savaglio, Giampaolo Catanzariti, Claudio Scaldaferri) che hanno anche loro aderito al Satyagraha di Marco e Rita copriamo col digiuno a staffetta, l'intera settimana e, con amore nel dialogo, chiediamo al presidente Oliverio appena insediatosi di cambiare verso anche sulle carceri della nostra Regione e di istituire da subito il garante regionale dei diritti delle persone private della libertà personale. La civiltà di un Paese, diceva qualcuno, la si misura proprio dalle sue carceri. Da come lo Stato tratta le persone meritevoli di espiare una colpa, e di come ne garantisce i diritti umani inalienabili concessi loro dalla nostra Costituzione. Sulmona (Aq): cambio alla guida del carcere, Pesante sostituita dall'ex direttore Romice Il Centro, 14 dicembre 2014 Repentino e inaspettato cambio alla guida del carcere di Sulmona. Ieri pomeriggio la direttrice Silvia Pesante è stata sostituita dall'ex direttore Sergio Romice. La Pesante, prima di venire a Sulmona, nel 2012 guidava il carcere di Frosinone. La Pesante sarebbe stata sostituita per una intercettazione nell'ambito dell'inchiesta Mafia Capitale. Silvia Pesante compare in un'intercettazione ambientale di una conversazione in un bar a Roma, allegata agli atti dell'inchiesta Mafia Capitale, tra l'imprenditore Mario Zurlo e il braccio destro di Massimo Carminati, Riccardo Brugia. Massimo Carminati, ritenuto il boss della Cupola capitolina, era presente all'incontro avvenuto il 7 febbraio del 2013. Nella telefonata non viene mai pronunciato il nome della Pesante ma si fa esplicito riferimento ad una "bionda direttrice del carcere di Frosinone". "È una enorme falsità, una mascalzonata e basta, serve solo a gettare polvere su di me o sul volontariato. Io con la cooperativa 29 Giugno non ho mai lavorato e mai avuto nulla in comune", ha dichiarato all'Ansa l'ex direttore del carcere di Sulmona. La Pesanti era direttrice in quel periodo del carcere di Frosinone. "Sono pronta a querelare chiunque segua illazioni del genere - spiega decisa - certi accostamenti sono vergognosi. Ho avuto contatti con certa gente, per via del mio lavoro, ma so anche che si tratta di un "certo tipo di gente", mentre per fortuna la buona parte del volontariato che opera coi detenuti è sana. Sono strutture con le quali, dove ho lavorato, mi sono trovata bene. Il mio avvicendamento a Sulmona poi fa parte delle disposizioni: lì ero provvisoria, in attesa di altro incarico, così come chi mi ha sostituito. Si è trattato di un normale passaggio di consegne", chiude la Pesante. A sostituire Silvia Pesante sarà Sergio Romice che a sua volta è stato già allontanato una volta dal carcere di Sulmona. Romice è stato accusato di non aver gestito correttamente la vita detentiva di Michele Aiello, l'ex manager della sanità siciliana considerato luogotenente di Provenzano le cui condizioni di salute sarebbero peggiorate durante la sua permanenza nel supercarcere peligno, perché non gli fu predisposta una dieta adeguata al suo stato di salute. Aiello, rinchiuso nel carcere di Sulmona dal 5 febbraio del 2011 fu in seguito posto ai domiciliari perché affetto da favismo, malattia incompatibile con la detenzione carceraria senza un'adeguata dieta alimentare. Romice fu accusato di negligenza e temporaneamente trasferito nella sede del Provveditorato di Pescara. Nel gennaio del 2013 arrivo il proscioglimento e ora arriva il ritorno a Sulmona. Rimini: il Garante; carcere tra criticità e prospettive, da Roma risposta insoddisfacente www.smtvsanmarino.sm, 14 dicembre 2014 Il Carcere di Rimini chiude l'anno con le criticità di sempre. "non siamo soddisfatti della risposta data all'interrogazione del deputato Arlotti" spiega il neo garante dei detenuti- Davide Grassi. Presto nuove iniziative per contribuire al reinserimento dei detenuti. Un organico strutturalmente adeguato alle peculiarità di un territorio come quello riminese, che durante i tre mesi estivi ha contato 120 ingressi, risorse per ristrutturare la prima sezione e il collaudo della seconda, visto che aspetta solo quello per essere operativa. Le criticità dei Casetti rimangano aperte dopo la risposta arrivata da Roma all'interrogazione del deputato Pd Arlotti. Oltre ai problemi storici la casa circondariale deve fare i conti con il nei direttore costretto a dividersi tra Rimini e Castelfranco Emilia. Il nuovo anno si aprirà con la richiesta di una direzione specifica, insieme alla proposta che meglio consente il reinserimento nella società è lo scopo della pena: il coinvolgimento dei detenuti in lavori socialmente utili. Già approvato un accordo tra comune e Casetti, si dovrebbe partire a breve. Nel video l'intervista a Davide Grassi, Garante detenuti Casetti Rimini Il Carcere di Rimini chiude l'anno con le criticità di sempre "non siamo soddisfatti della risposta data all'interrogazione del deputato Arlotti" spiega il neo garante dei detenuti, Davide Grassi. Presto nuove iniziative per contribuire al reinserimento dei detenuti. Messina: detenuto aggredisce agenti, trauma cranico per uno, braccio fratturato per un altro Comunicato Sappe, 14 dicembre 2014 Sabato di sangue e di violenza, sabato, nel carcere di Messina, dove alcuni Agenti di Polizia Penitenziaria sono stati aggrediti in carcere. E il grave episodio scatena la reazione del primo Sindacato della Polizia, il Sappe. "Tutto è avvenuto nella tarda mattinata, quando il detenuto era a colloquio con l'educatore del carcere", spiega il segretario generale del Sappe Donato Capece. "Improvvisamente, e senza un giustificato motivo, ha colpito prima un Ispettore e poi due Assistenti Capo. Ha ferito un collega alla testa, trauma cranico e diversi punti di sutura alla testa, e a un altro ha rotto un braccio. Tutti sono dovuti ricorrere alle cure ospedaliere dei sanitari. Il Sappe esprime solidarietà ai poliziotti feriti e augura loro una veloce ripresa e ritorno in servizio. Ma queste aggressioni sono intollerabili e meriterebbero risposte immediate, come un congruo periodo di rigido isolamento disciplinare. Noi non siamo carne da macello ed anche la nostra pazienza ha un limite...". "Sono anni che sollecitiamo di dotare le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria di strumenti di tutela efficaci, come può essere proprio lo spray anti aggressione recentemente assegnato - in fase sperimentale - a Polizia di Stato e Carabinieri" aggiunge Capece. "I dati riferiti ai soli primi sei mesi del 2014 parlano chiaro: nelle carceri italiane ci sono state ben 1.609 colluttazioni e 444 ferimenti dal 1 gennaio al 30 giugno. E il numero delle aggressioni ai Baschi Azzurri, che prestano servizio nelle sezioni detentive e in carcere assolutamente disarmati e senza alcuna forma di difesa personale, è nell'ordine delle diverse centinaia all'anno. Per questo da tempo sollecitiamo di dotare le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria di strumenti di tutela efficaci, come può essere proprio lo spray anti aggressione recentemente assegnato - in fase sperimentale - a Polizia di Stato e Carabinieri. Mi auguro che il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, anche alla luce della grave aggressione subita dai nostri poliziotti nel carcere di Messina, valuti positivamente questa nostra proposta e, quindi, assumi i provvedimenti conseguenti". Enna: "Informazione e detenuti, la vita in carcere", un evento formativo per i giornalisti www.vivienna.it, 14 dicembre 2014 Ancora un importante evento formativo per i giornalisti siciliani si è svolto questa mattina all'università Kore di Enna. Relatrice la giornalista professionista Pierelisa Rizzo, che, con un detenuto della Casa circondariale di Enna, ha parlato di "Informazione e detenuti: la vita in carcere". Il seminario, valido per il riconoscimento di crediti formativi ai giornalisti, organizzato dall'Ordine dei Giornalisti di Sicilia e dalla segreteria provinciale dell'Assostampa di Enna, presso l'aula del Sixty four rooms di Enna bassa. "È l'ultimo evento formativo dell'anno nella nostra provincia e tratta un tema di grandissima importanza e attualità - ha affermato Josè Trovato, segretario Assostampa Enna - in particolare questo corso è un'opportunità da non perdere per i giornalisti, perché metterà in risalto uno spaccato di forte interesse sociale e culturale. Chieti: Associazione "Voci di dentro", grande partecipazione alla cena di solidarietà Ristretti Orizzonti, 14 dicembre 2014 In centinaia hanno partecipato alla cena di solidarietà organizzata da "Voci di dentro" e dalla Conferenza regionale volontariato giustizia. L'evento, che ha visto la partecipazione di Amnesty International, si è svolto giovedì 11 dicembre al Parco dei Principi a San Silvestro (Pescara). "Tante gocce fanno un mare" il tema della serata nata per presentare e condividere le iniziative della Onlus Voci di dentro che dal 2008 lavora dentro e fuori le carceri per aprire le porte, creare cultura e lavoro, in nome della vera sicurezza. Al Parco dei Principi, sponsor dell'evento assieme alla cooperativa sociale Alfachi, si sono dati appuntamento politici locali, avvocati, giornalisti, imprenditori, operatori del mondo dell'associazionismo e del carcere. Da Pescara c'era il direttore della casa circondariale Franco Pettinelli, da Chieti il commissario Valentino Di Bartolomeo, presente anche Fiammetta Trisi, responsabile Ufficio Detenuti Provveditorato Regionale dell'amministrazione Penitenziaria Abruzzo. Tra i tanti, anche il direttore de Il Centro Mauro Tedeschini, il direttore di D'Abruzzo Gaetano Basti, le presidi del Pomilio, professoressa Giusti, e del Liceo ‘Vicò, Giuseppina Politi. A tutti è stato distribuito l'ultimo numero di Voci di dentro, la rivista scritta dai detenuti e dai volontari della Onlus con doppia copertina ("visioni" e "contro visioni"). Sul tavolo gli invitati hanno anche trovato un messaggio da parte dei redattori detenuti di Voci di dentro con un disegno di Attilio (tutti formatisi in questi anni nei laboratori dell'Associazione) nel quale condividevano le difficoltà quotidiane nel rapportarsi con il mondo detentivo e la speranza di costruire un futuro migliore, partendo proprio da eventi come quello di giovedì, dalle famose gocce che fanno un mare. La serata è proseguita con un intenso reading a cura di Marco Valeri che ha interpretato un estratto da "Il libro del buio" di Tahar Ben Jelloun: una delle pagine più tragiche della storia del Marocco, nel 1971, con la disperazione dei soldati rinchiusi in un carcere scavato nel sottosuolo, sepolti vivi per 18 anni. La lettura è stata accompagnata dalle musiche di Pietro Pancella (contrabbasso) e Simone Grifone (pianoforte). Note positive in chiusura con il racconto di alcune storie a lieto fine da parte dei volontari come Made in carcere: marchio di prodotti "Utili&Futili" nato nel 2007 a Lecce dall'idea di venti detenute e la storia di Tony, che oggi ha una famiglia, un lavoro, è felice. Durante la cena sono state esposte anche le opere, tele e pitture, di Cadica, Carlo Di Camillo. Info: voci@vocididentro.it. Stefania Ortolano 3402481520. Napoli: rassegna teatrale "Il carcere possibile", va in scena la speranza dei detenuti-attori Avvenire, 14 dicembre 2014 Tre giorni - venerdì scorso, il 18 e il 19 dicembre - per vedere "Il carcere possibile", la rassegna teatrale con le compagnie di detenuti-attori di cinque istituti di pena della Campania: Istituto Minorile di Aiola, Casa Circondariale di Arienzo, Istituto a Custodia Attenuata di Eboli, Casa Circondariale di Lauro, Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli. Promossa da "Il carcere possibile onlus" e dal Garante dei diritti dei detenuti della Regione Campania, in collaborazione con Teatro Stabile di Napoli Mercadante e Provveditorato della Campania Amministrazione Penitenziaria, la kermesse, giunta alla decima edizione, è tra le più significative e consolidate in Italia, nata nell'ambito del progetto avviato nel 2003 dalla Camera Penale di Napoli di denuncia delle condizioni di vita all'interno degli Istituti Penitenziari e a sostegno dei programmi tesi alla rieducazione e al reinserimento sociale del detenuto. L'edizione 2014 accoglie i lavori teatrali delle cinque compagnie di detenuti-attori, frutto di laboratori e percorsi creativi realizzati nell'ambito dei piani pedagogici annuali degli istituti penali. I laboratori sono stati condotti in alcuni casi dagli educatori interni, in altri da operatori, registi e attori esterni, con il contributo di magistrati, del personale e della polizia penitenziaria, di associazioni di volontariato. Tra canzoni, gag, scenette, musiche e parole si lancia così un messaggio di speranza. Confermando, sottolinea Rita Romano della casa di reclusione di Eboli, come "attraverso la cultura si possa nobilitare l'uomo". Prato: Peppe Voltarelli porta la sua musica ai detenuti della Dogaia di Azelio Biagioni Il Tirreno, 14 dicembre 2014 Due concerti in carcere, uno aperto al pubblico al quale ha partecipato anche l'assessore alla cultura Simone Mangani, dove l'artista ha cantato melodie accompagnato da chitarra e fisarmonica. È stata una giornata particolare quella di venerdì 12 dicembre al carcere della Dogaia. Nella struttura, infatti, si è esibito in due concerti il cantante Peppe Voltarelli. Artista poliedrico, dotato di una voce che si mescola alle canzoni e agli strumenti da lui suonati e che è in grado di regalare emozioni così come di strappare un sorriso. Nel pomeriggio il cantante calabrese si è esibito per un concerto dedicato esclusivamente agli ospiti della casa circondariale, in serata l'evento era aperto anche al pubblico che ha a lungo applaudito l'esibizione di Voltarelli. Più di un'ora e mezza di canzoni particolarmente apprezzate per questo artista conosciuto non solo in Italia ma anche all'estero. Brani ora più intensi ora più allegri per poi spaziare a canzoni in dialetto di alcune regioni del Sud con una magistrale interpretazione, fra le altre, di "Vitti na crozza". Peppe Voltarelli ha portato avanti il concerto suonando la chitarra e in alcuni brani accompagnandosi con la fisarmonica. Quello di Voltarelli è stato un concerto di teatro canzone, dove l'artista ha avuto modo di mettere in mostra le sue doti istrioniche non solo di cantante ma anche di attore. Al termine del concerto ha preso la parola l'assessore alla Cultura del Comune di Prato, Simone Mangani, che ha fortemente voluto che i due concerti si tenessero all'interno della Dogaia nell'ambito di Prato Festival 2014, appuntamento reso possibile grazie al Teatro Metropopolare. Dopo essersi complimentato con l'artista, Mangani ha detto che il suo progetto è quello di far sì che anche nei prossimi festival legati agli appuntamenti natalizi ci siano eventi all'interno della Casa circondariale. Ha ricordato, poi, lo spettacolo portato in scena nei giorni scorsi, sempre all'interno della Dogaia, dai detenuti che si sono dimostrati essere degli ottimi attori. Sempre grazie al collettivo del teatro Metropopolare dieci attori-detenuti con la partecipazione di due attrici professioniste hanno realizzato una versione rivista dell'Otello ("H2O Otello"). Mangani spera di poter portare quello spettacolo con quegli attori fuori dalla casa circondariale. Lecce: "Un'ora d'aria per i Boom Da Bash", raggae-band di Mesagne si esibisce in carcere www.20centesimi.it, 14 dicembre 2014 Le luci accese delle celle di Borgo San Nicola sono gialle. Alle cinque di pomeriggio il cielo è blu cobalto. Per le strade interne del carcere di Lecce, che serpentinano tra muri alti e lisci, questi sono gli unici colori sopra il grigio. Dietro i muri ci sono i brutti edifici delle sezioni, con le finestre esposte di sbieco. Dalle sbarre le mani dei detenuti si allungano sugli stendini appesi ai davanzali. Stendono calzini bagnati. Niente è più lontano da qui di una dance hall raggae. E invece siamo appena usciti da una dance hall dei Boom Da Bash. La raggae-band di Mesagne, che spopola tra i ragazzi di mezza Italia, ha infatti deciso di regalare un concerto ai detenuti di Borgo San Nicola. Lo ha proposto al Ministero della Giustizia, e dalla direzione del carcere di Lecce è arrivato l'ok. "Diciamo che abbiamo avuto una risposta entusiasta dalla direttrice del carcere", dice Payà, uno dei due cantanti. E tanto è bastato per imbastire nel teatro, lo stesso dove lavora la compagnia "Io ci provo", un sound di tutto rispetto per un'ora e mezza di reggae. Siamo gli unici giornalisti, insieme a Pino Messe della Gazzetta, compaesano degli artisti, che hanno accettato l'invito della band, insieme alle restrizioni che il carcere impone anche a chi ci entra da uomo libero. Ce lo dicono chiaro all'ingresso: niente telefoni (ma questo è scontato), sì al registratore digitale, ma nel teatro solo foto rivolte verso il palco (e già questa è una concessione). Nessuno volto, a parte quello degli artisti può comparire nelle immagini. Né quello dei detenuti, né quello delle "guardie". Che poi, attenzione, non si dice "guardie", ma agenti di polizia penitenziaria. Perché qui, a un certo punto, la distinzione tra chi sorveglia e chi viene sorvegliato sfuma in una comune condizione di restrizione, che per fortuna è temporanea: tanto per il detenuto che sconta la pena, quanto per l'agente che deve stargli accanto fino a fine turno. Nessuno qui si sente a suo agio negli stereotipi. A maggior ragione quando in sottofondo suona questo pezzo: Oggi a Borgo San Nicola, ci dice la direttrice Rita Russo, ci sono 1.040 detenuti, su un capienza regolamentare di 680 e una "tollerabile" di più o meno il doppio di quella regolamentare. Il sovraffollamento è stato mitigato dalla decisione, anche a Lecce, di tenere aperte le celle nelle sezioni. "È l'aspetto positivo delle sentenze di condanna per l'Italia sul trattamento riservato ai detenuti". La Corte Europea ha infatti più volte considerato il sovraffollamento delle carceri italiane come "trattamento inumano e degradante", che viola quindi l'art 3 della Convezione Europea dei diritti dell'Uomo (proprio a un detenuto nel carcere di Lecce, qualche anno fa, fu riconosciuto, per la prima volta anche dalla giustizia italiana, un risarcimento per le condizioni di detenzione). Così, di fronte al rischio di una pioggia di ricorsi e condanne, in tutta Italia le porte delle celle si sono aperte per un numero variabile di ore al giorno, consentendo ai detenuti la libertà di muoversi su una superficie più ampia dei circa 3 metri quadrati che in media hanno a disposizione considerando l'estensione delle celle. "Ora i detenuti sono liberi nelle sezioni e i poliziotti fanno i poliziotti - aggiunge Rita Russo. Con le celle aperte infatti la vita è migliorata anche per gli agenti di polizia penitenziaria. "Pensa che in una sezione con 25 celle abbiamo circa 80 detenuti", con le celle chiuse "era un continuo aprire le porte solo per consentire ai detenuti di alla doccia". Come dire, bastava un po' di buon senso. Intanto i piedi cominciano a muoversi da soli. Dalla prima all'ultima fila del teatro è tutto un dondolare. Ci sono un centinaio di detenuti "comuni" (imputati per reati meno gravi) che sono scesi per il concerto. La direzione ha lasciato la scelta a loro: chi non ha voglia di ascoltare reggae è rimasto in sezione. Sono seduti sulle poltroncine del teatro, hanno volti giovani, ci sono tanti pugliesi, ma anche campani e stranieri, e alla faccia di Lombroso, i loro volti sono uguali a quelli dei loro coetanei che puoi trovare a San Basilio nei sabati di agosto o stasera in giro su via Trinchese. Gli uomini a sinistra, separati dalle donne, che sono a destra, e in mezzo qualche agente. Ma se è vero che siamo in carcere, è vero anche che nessuno ha mai finito da seduto un concerto reggae. E alla fine quei sederi che all'inizio della scaletta erano incollati alla poltrona, dopo una mezz'ora ondeggiano tutti in levare, al ritmo dei "Boom". Tutti in piedi. Alle nostre spalle una ragazza bionda, con le trecce, dice "le so tutte!": la Sunshine lady di Borgo San Nicola. Senza muoversi dal posto sarà capace di finire il concerto sudata neanche fossimo a Torre dell'Orso a luglio. Biggie Bash, che sa come scaldare la platea, zompetta sul palco pienamente a suo agio e si rivolge spesso a questo pubblico speciale (ma anche no). "Siamo onorati di essere qui con voi", dice, dedicandogli la sua "Somebody to love". Il pubblico gradisce, ed è un peccato non poter mostrare che anche gli agenti gradiscono e, sebbene con una certa discrezione, qualcuno balla pure. A un certo punto è sembrato possibile che tutti si abbracciassero, e che la cosa, nonostante il divieto assoluto di accendersi alcunché, potesse sfociare in un enorme nuvola di peace and love. Il climax è raggiunto quando i Boom da Bash si sono esibiti in un pezzo molto popolare, "Reality show", frutto della loro collaborazione con i Sud Sound System, una sorta di manifesto contro la realtà preconfezionata dello show business televisivo. Ma è chiaro che qui dentro versi come: "la vita mia se nutre a mienzu alla strada. Se è bona o fiacca l'importante ca è vera. A fiate è dura ma ole bessa sincera. E nu se chiute ‘ntra mondi virtuali fatti de falsità" acquistano un significato, diverso, particolare. Un'ora e mezzo dopo le prime note, i detenuti riprendono ordinatamente la strada delle sezioni. I Boom da Bash firmano autografi e ringraziano. Fumiamo una sigaretta fuori dal teatro, ripetono che questo è stato uno dei concerti più emozionanti che abbiano mai fatto e, senza anticipare nulla, dicono che la collaborazione con il carcere di Lecce non finisce questa sera. Torniamo a piedi verso l'uscita, accompagnati da un gruppo di agenti. Il mite dicembre salentino è stato interrotto dalla tramontana, e da qualche giorno fa davvero freddo. Tra i muri alti, pensiamo a un titolo per l'articolo. "Un'ora d'aria per i Boom Da Bash". No. "Un'ora d'estate a Borgo San Nicola". Meglio. Anche se siamo a dicembre, è stato qualcosa del genere. Bologna: rugby, nulla da fare per il Giallo Dozza, sconfitta per 37 a 5 dallo Stendhal Sport Press, 14 dicembre 2014 La sconfitta (37 - 5) era prevedibile ma Giallo Dozza Bologna ha disputato un'ottima partita, per lunghi tratti alla pari dei parmensi. I progressi si sono visti e, rispetto all'andata, nella quale si impose lo Stendhal per 71 a 10, la squadra dei detenuti della Dozza ha dimostrato di essere migliorato molto. Nel primo tempo la mischia in giallo ha dominato, vincendo quasi tutti i confronti, sia nelle ruck sia nelle mischie ordinate. Il parziale di 27 a 0 è il risultato di banali errori della linea dei trequarti, ancora imprecisa nei passaggi e non ancora efficace in seconda e terza fase. Tre le mete subite nei primi 20 minuti di gioco, due per errori d'inesperienza, poi Giallo Dozza si è riorganizzata e per un buon quarto d'ora si è stabilita nel campo dei parmensi, senza purtroppo riuscire a marcare punti. Ricaricati nell'intervallo, i bolognesi sono entrati in campo determinati nel cercare la meta della bandiere, e così è stato. Verso il quarto d'ora, capitan Ermal ha raccolto una palla vagante nella propria area per poi correre solitario per 80 metri. Velocissimo ha seminato tutti gli avversari fino a segnare in mezzo ai pali. È il momento migliore di Giallo Dozza, che dopo pochi minuti, con Josefh, appena entrato all'ala, viene fermato a due metri dalla linea bianca. Alla riprese del gioco, con una mischia ai 5 metri, ancora Bologna vicina alla segnatura, ma lo Stendhal di mestiere si salva. Finale di partita alla pari, con attacchi reciproci. Allo scadere Parma segna la settima meta, fissando il risultato sul 37 a 5 che, ad essere sinceri, premia giustamente lo Stendhal ma forse sta stretto a Giallo Dozza. Verona: gara ai fornelli, "Masterchef" arriva anche nel carcere di Montorio L'Arena di Verona, 14 dicembre 2014 Si sono affrontati a coppie allievi cuochi del Berti e detenuti di Montorio: il pranzo servito a 40 invitati e alla giuria che ha giudicato i piatti. Di alta cucina. Allievi del quinto anno dell'istituto alberghiero Berti e gli allievi di Montorio, insieme a coppie per la sfida ai fornelli. Ovvero la realizzazione di un menù fantasioso e raffinato con una punta di audacia. Nessuno ieri li ha chiamati detenuti ma la "gara d'andata" di una Masterchef originale e unica, voluta dall'Osservatorio Carceri della Camera penale scaligera e dal Centro servizi del volontariato, non poteva svolgersi all'interno della casa di reclusione se non fosse stata un'iniziativa che in maniera concreta traduce anche la funzione che deve avere il carcere. Non solo punire ma offrire opportunità per formare e crescere, per trovare un'alternativa a un errore pagato con la limitazione della libertà. India: italiani detenuti, l'ambasciatore Mancini visita in carcere Tomaso e Elisabetta Ansa, 14 dicembre 2014 L'ambasciatore d'Italia in India, Daniele Mancini, ha fatto visita ieri nel carcere di Varanasi (in Uttar Pradesh) ai due italiani, Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, condannati all'ergastolo con l'accusa di avere ucciso il loro compagno di viaggio Francesco Montis, trovandoli "in buono spirito". Il caso di Bruno e Boncompagni è stato di recente esaminato nell'ultimo grado di appello dalla Corte Suprema. Nelle due udienze svoltesi nell'aula principale della Corte, la difesa ha sostenuto che la condanna all'ergastolo è stata comminata sulla base unicamente a "prove circostanziali" e in assenza di "evidenze mediche non obiettabili". "Ho voluto personalmente informarli sull'andamento del processo di appello - ha detto all'Ansa Mancini - e sono stato contento di averli trovati in buono spirito, nonostante che ormai siano cinque anni che si trovano in carcere". Insieme alla consorte Anna Rita, Mancini, che ha fatto visita alla coppia cinque volte, ha portato regali di Natale ed alcuni libri nell'unico giorno fra l'altro in cui i due possono vedersi e riunirsi con le persone care. Successivamente ha telefonato alla madre di Tomaso, Marina Maurizio, che fa anche da tramite con i genitori di Elisabetta Boncompagni. Al termine delle udienze il 5 dicembre in Corte Suprema la difesa ha avuto la sensazione che la sentenza sul caso sarà pubblicata in tempi brevi. Se non prima delle vacanze di fine anno che cominciano il 19 dicembre, almeno subito all'inizio del 2015.