Giustizia: quattro le priorità del ministro Orlando, ma le carceri sono al primo posto Asca, 27 aprile 2014 Soluzione dell’emergenza carceraria, riforma del processo civile, rafforzamento degli organici, contrasto alla criminalità organizzata. Sono queste le quattro priorità che il ministro della Giustizia Andrea Orlando intende affrontare con urgenza. Priorità - ha chiarito il responsabile del dicastero durante l’audizione svolta il 23 aprile davanti alla commissione Giustizia del Senato per illustrare le linee guida della sua attività - che non vanno intese come alternative all’approvazione di riforme strutturali e di sistema, ma come presupposto per poter poi varare interventi ordinamentali non influenzati da situazioni emergenziali. Sul primo punto Orlando ha spiegato che l’indirizzo governativo è di abbandonare il carcere come sanzione penale preminente per arricchire la varietà delle risposte sanzionatorie, in linea con gli altri sistemi europei. I provvedimenti normativi recentemente approvati o in corso di definizione vanno completati e resi effettivi così da ridefinire il sistema delle misure cautelari coercitive e interdittive e avviare un sistema di depenalizzazione che renda effettivo l’impianto sanzionatorio. Si tratta, ha aggiunto, di ampliare il ricorso all’esecuzione esterna della pena e, più in generale, alle sanzioni alternative alla detenzione carceraria. Il ministero rivolgerà attenzione allo sviluppo degli istituti a custodia attenuata per madri (Icam) e delle case famiglie protette, così come si impegnerà per la piena esecuzione ed attuazione degli accordi internazionali per consentire ai detenuti di scontare la pena nel paese di provenienza e per il rafforzamento dei progetti volti a favorire il lavoro carcerario, anche al fine di prevenirne la recidiva. Sul tema della giustizia civile e dell’entrata in vigore il prossimo 30 giugno della nuova disciplina del processo telematico, Orlando ne ha sottolineato l’importanza per la fruibilità, la conoscibilità e la certezza delle singole fasi del rito, pur nella consapevolezza che le prospettive di implementazione sono ancora disomogenee a seconda dei distretti di Corte d’appello. In tema di personale, occorre rinforzare gli organici della polizia penitenziaria e del personale di cancelleria. A suo avviso, alla luce dei dati allarmanti sulla carenza degli organici per ciascun ufficio, quella del personale appare come la più importante delle emergenze da fronteggiare per rispondere alla domanda di giustizia dei cittadini. Per questo intende predisporre un sistema di mobilità, l’apertura delle assunzioni di personale proveniente da altri comparti ministeriali e l’ipotesi di attingere ad altri ruoli di idonei in attesa di prendere servizio. Infine, in relazione alla quarta priorità e cioè la lotta alla criminalità organizzata, il ministro Orlando reputa necessario ridefinire la disciplina delle misure di prevenzione patrimoniali, l’introduzione di un’apposita fattispecie incriminatrice per l’auto-riciclaggio e la ridefinizione delle modalità di gestione e reimpiego dei patrimoni confiscati. Giustizia: ministro Orlando; pochi gli agenti penitenziari, troppe le direzioni generali Dap Il Foglio, 27 aprile 2014 Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha tracciato le linee guida del suo dicastero in commissione al Senato. Molti i temi affrontati, dagli arretrati dei processi civili al sovraffollamento delle carceri, passando per le carenze di personale. Lo stato di emergenza va però risolto in via prioritaria, secondo il ministro, secondo cui "nessuna riforma è possibile in assenza delle condizioni materiali per realizzarla". Le "emergenze" relative alla giustizia, "sono quattro: il sovraffollamento delle carceri, gli arretrati della giustizia civile, la situazione del personale amministrativo e l’affinamento degli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata". La condizione delle carceri italiane, secondo il Guardasigilli, rappresenta "la prima emergenza. I risultati ottenuti sulla diminuzione della popolazione carceraria sono importanti ma non ancora sufficienti". A tal fine, secondo Orlando, è necessario seguire la strada del "rimedio compensativo" per chi ha scontato una pena in carcere senza vivere in condizioni dignitose. "Per chi è ancora detenuto - ha osservato - è possibile pensare a una trasformazione della pena, ma per chi l’ha già scontata resta solo la soluzione compensativa". Inoltre, il sistema giudiziario italiano è duramente appesantito da "croniche carenze" negli organici di Polizia Penitenziaria e del personale degli uffici giudiziari. Per quanto riguarda il personale amministrativo, su 44 mila unità, i posti scoperti sono il 18%. In alcune zone del paese, "in particolare al Centro-Nord, ha rilevato il ministro, ci sono punte di scopertura pari al 40-45%". Di contro, il personale del dicastero dovrebbe essere drasticamente ridotto. "Ad oggi le direzioni generali di via Arenula sono 40 mentre nel 2000 erano soltanto 10". Giustizia: telefonate pericolose… e ora Pannella senatore a vita di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone) Il Manifesto, 27 aprile 2014 Tra poco meno di una settimana Marco Pannella compie 84 anni. Tra qualche mese Giorgio Napolitano ne compie 89. Sono quasi coetanei. Tra poco più di quattro settimane l’Italia dovrà rendere conto delle proprie politiche carcerarie davanti al Consiglio d’Europa e alla Corte Europea dei Diritti Umani. Corte che pochi giorni fa, a seguito del ricorso presentato dal difensore civico di Antigone, ha nuovamente condannato l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani del 1950, quello che proibisce la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. Questa volta il trattamento disumano è l’esito della mancata tutela del diritto alla salute di un detenuto. È indubbio che da un anno a questa parte qualcosa si è mosso nel melmoso panorama della giustizia penale italiana. Ma è ancora troppo poco perché si possa dire di essere tornati nella legalità interna e internazionale. È ancora troppo poco per evitare l’ignominia di giudizi europei durissimi nei nostri confronti. Il presidente della Commissione Libertà Civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo pochi giorni fa definiva l’ispezione a Poggioreale un ritorno al Medioevo, e non perché avesse visitato un borgo antico, ma perché il carcere napoletano ricordava le punizioni corporali premoderne. I prossimi giorni saranno quindi decisivi. Dovrà essere nominato il nuovo garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà che speriamo sia figura autorevole, esperta, riconosciuta anche sul piano internazionale. Il ministro di Giustizia Andrea Orlando, al quale va riconosciuto che sinora ha messo al centro della sua agenda la questione carceraria, dovrà decidere se confermare o meno il capo dell’amministrazione penitenziaria. A chiunque sarà al vertice del Dap chiediamo di ritirare la circolare che vieta ai direttori di dare informazioni ad Antigone. Non è così che si prendono i voti alti a Strasburgo. Ma non è su questa nomina che intendo soffermarmi. L’articolo 59 della Costituzione affida al presidente della Repubblica la designazione di cinque senatori a vita "che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario". Al momento, morto il grande Claudio Abbado, i senatori a vita di nomina presidenziale sono invece quattro: Elena Cattaneo, Mario Monti, Renzo Piano, Carlo Rubbia. Il capo dello Stato potrebbe dunque nominarne un quinto. Per chi come noi da tantissimo tempo si occupa di giustizia e di carceri Marco Pannella è sempre stato un compagno di strada. La telefonata di Papa Francesco al leader radicale è un riconoscimento alla sua lotta nonviolenta. Se fosse nominato senatore a vita si darebbe a Pannella la possibilità di continuare la sua battaglia in Parlamento, dove è giusto che lui sieda in conclusione di una lunghissima carriera politica. Infine ieri è stata resa pubblica un’altra telefonata, tra il vicesindaco di Roma Luigi Nieri e un’occupante indagata per i fatti dell’Angelo Mai. A insorgere sono stati i falsi garantisti di Forza Italia, quelli che un tempo volevano vietare le intercettazioni (perché riguardavano Berlusconi) e ora dopo averne letta una che riguarda Nieri sui giornali non si indignano nei confronti di chi l’ha pubblicata ma chiedono le dimissioni del vicesindaco, che non si capisce di quale colpa si sia macchiato. La giustizia per cui si batte Pannella è una giustizia non inquisitoria, non vendicativa, che non ama l’uso mediatico delle inchieste, che ritiene che le intercettazioni vadano usate solo quando necessarie e comunque non vadano mai pubblicate sui quotidiani. Chiediamo a Giorgio Napolitano che consenta a Marco Pannella di continuare le sue lotte per l’amnistia e la giustizia in Senato, almeno finché questo non sarà abrogato. Giustizia: intervista a Marco Pannella "Il Papa parlerà delle carceri, me l’ha promesso" di Carlo Tecce Il Fatto Quotidiano, 27 aprile 2014 E venne la liberazione di Marco Pannella, che ha lasciato l’ospedale Gemelli di Roma e non dovrà fingere imbarazzo - non l’ha mai fatto tanto, in verità - per una boccata di sigaro dove non è permesso. Il radicale di 84 anni (il prossimo maggio), che non ha smesso la protesta non violenta, non beve da giorni (e i medici sono preoccupati) per ottenere un intervento di clemenza contro le carceri disumane e traboccanti, aspetta il messaggio di Papa Francesco. Come promesso. Dopo un colloquio di quasi mezz’ora: "La nostra battaglia è una battaglia comune". Pannella, come sta? Benissimo. E tu? Ha dieci minuti? No, cinque. (Ne impiegherà 25). Adesso i Radicali hanno un alleato in più… Francesco non lo farà soltanto per aiutare i Radicali, questo è vero, me l’ha detto e gli sono riconoscente. Ma il Papa intende mobilitare con la parola, la predica e la pratica la riforma della giustizia e per sconfiggere la conseguente violenza sociale: la detenzione. (Si attende un’invocazione per l’amnistia, ndr). I precedenti di questa situazione possono essere soltanto ritrovati nei decenni di massimo potere nazista, comunista o fascista che siano. E Francesco non ignora, ne sono certo, un libro di una valenza attuale: Il tradimento dei chierici di Julien Benda, che aveva previsto la barbarie totalitaria. Il Pannella di aborto, divorzio, fine vita, matrimoni omosessuali riceve una chiamata di un pontefice. Strano? Sì, però io non sono mai stato contro il Vaticano come espressione religiosa. Operando non come potere, affidando anche il governo della Chiesa a otto cardinali e non più a un Segretario di Stato, questo Papa dimostra il valore della parola e della pratica democratica, cose che per noi Radicali costituiscono una parte del nostro Statuto di un partito transazionale e non violento. Allora merita la vostra tessera onoraria… Sì, Francesco dovrebbe ottenere una onorificenza radicale nel nome di valori privi di ricchezze materiali. Il Papa realizza l’intuizione e l’aspirazione del cardinale Ratzinger che aveva scritto, e aveva riscosso la mia immediata approvazione: la Chiesa e la fede erano stati nella storia, al massimo della loro forza, nel momento in cui i propri averi erano assolutamente inesistenti. Cosa ha raccontato a Bergoglio? In termini tecnici, lo Stato italiano, da almeno un trentennio, reitera con costanza criminale il mancato rispetto ai massimi articoli del diritto contemporaneo. È contro i diritti umani e contro gli Stati di diritto sottomessi a ragioni di partito. Il Consiglio d’Europa ha denunciato questa condizione italiana, che ha creato una gravissima ferita allo Stato di diritto e alla popolazione italiana. Il nostro obiettivo, solitario durante i decenni, oggi è diventato quello del presidente della Repubblica e del pontefice del Vaticano. Vi incontrerete in Vaticano? Oggi o domani non credo. Ma ti voglio presentare un mio amico. ("Sono don Vincenzo (Paglia), un amico e sostenitore di Marco", ex arcivescovo di Terni, ndr). I politici mi dicono "che fai, sei pazzo". Non come il Papa che mi ha esortato: "Coraggio, vai avanti". Giustizia: l’ex ministro Riccardi con Pannella; impegno per umanizzare le carceri italiane La Presse, 27 aprile 2014 Andrea Riccardi si è recato in visita da Marco Pannella, convalescente e indebolito dallo sciopero della sete. Una visita personale e di solidarietà, anche a nome della Comunità di Sant’Egidio, di cui l’ex-ministro è fondatore, che ha il significato, si legge in una nota, di un impegno rafforzato nella battaglia per umanizzare le carceri italiane, sovraffollate, spesso disumane e a rischio di grave sanzione dal 24 maggio prossimo. "Le carceri italiane - afferma Riccardi - hanno perso, per motivi strutturali e ragioni che nulla hanno a che vedere come la sicurezza, la funzione originaria di espiazione della pena e riabilitazione. Così come sono producono recidive nel 67 per cento dei casi, due volte su tre. Ed è terribile il bilancio di circa 60 suicidi ogni anno, 100 volte di più che in Italia, cui corrispondono anche troppi suicidi degli agenti di custodia, dieci volte di più quello che accade nel resto della popolazione". "È una situazione malata: assieme a un diverso sistema delle pene - continua l’ex ministro -, non carcerocentrico per reati di lieve entità e che non rappresentano un allarme sociale, alla riduzione della abnorme custodia cautelare, misure cui governo e Parlamento hanno messo mano, e al normale uso delle misure alternative al carcere, oggi il coraggio di un provvedimento di indulto e amnistia sarebbe un punto di svolta definitivo: rimetterebbe il sistema carcerario e delle pene in grado di funzionare, dalla patologia alla fisiologia". "La Comunità di Sant’Egidio - conclude - continuerà nella stessa direzione per umanizzare le carceri e restituire legalità a un sistema in difficoltà". Giustizia: perizia Tribunale Sorveglianza, la Franzoni ancora socialmente pericolosa Adnkronos, 27 aprile 2014 La perizia che ritiene Annamaria Franzoni "socialmente pericolosa" è l’ultimo atto di una lunga vicenda processuale che ha visto la mamma di Cogne accusata dell’omicidio del suo figlio minore, Samuele, tre anni. Era il 30 gennaio 2002 quando il piccolo Samuele Lorenzi viene ucciso nella villetta di Montroz in cui vive con i genitori e il fratellino. I soccorritori, chiamati dalla madre, Annamaria Franzoni, lo trovano con gravissime ferite alla testa: il piccolo morirà poco dopo. Annamaria viene accusata dell’omicidio di Sammy, che è stato ripetutamente colpito da un corpo contundente, ma si proclama innocente fin dall’inizio e non cambierà mai versione. Dal 14 al 30 marzo 2002, la mamma di Samuele viene rinchiusa nel carcere di Torino, per essere poi scarcerata su decisione del Tribunale del riesame che accoglie il ricorso presentato dal legale della donna. Per il Tribunale gli indizi non sono sufficienti, ma la decisione viene a sua volta annullata il 10 giugno dalla Cassazione, che rimanda tutto ad un nuovo collegio giudicante del Tribunale della libertà che questa volta, il 4 ottobre del 2002, dichiara valido l’ordine di custodia per la Franzoni. Prima che il provvedimento diventi definitivo, il gip aostano, però, lo ritira per cessate esigenze cautelari. La donna resta indagata a piede libero. A difenderla, ora, c’è l’avvocato Carlo Taormina che il 25 giugno 2002 la famiglia Franzoni include nel collegio difensivo, provocando l’uscita di scena di Carlo Federico Grosso, che l’aveva assistita subito dopo il delitto. Intanto, l’8 aprile 2002, Annamaria a Novara incontra i periti incaricati di accertare la sua capacità di intendere e di volere. La perizia stabilirà che Annamaria è sana di mente e che lo era anche al momento dell’omicidio. Il 19 luglio 2004 il gup di Aosta, Eugenio Gramola, condanna la mamma di Cogne a trent’anni di carcere, il massimo della pena previsto con il rito abbreviato (scelto dalla difesa). Per Annamaria , che nel frattempo ha avuto un nuovo figlio, Gioele, però non si aprono le porte del carcere. Insieme al marito Stafano Lorenzi e ai due figli si rifugia nel paese natale, protetta dalla famiglia che non ha mai smesso di credere nella sua innocenza, e aspetta l’appello. A fine di luglio l’avvocato Taormina consegna un esposto alla guardia di finanza di Roma a nome dei Lorenzi. Nel documento viene fatto il nome di quello che, secondo la difesa, sarebbe il vero assassino. Poco dopo la procura di Torino apre un fascicolo, il cosiddetto Cogne bis, in cui si ipotizza la creazione di false prove: 11 gli indagati, fra cui i Lorenzi e il loro legale. Del caso principale si torna a parlare il 2 novembre, quando l’avvocato Taormina presenta il ricorso in appello. Il secondo grado di giudizio si apre il 16 novembre 2005 nel tribunale di Torino. La battaglia inizia già dalla prima udienza, quando il pg Vittorio Corsi chiede una nuova perizia psichiatrica che viene depositata nel mese di giugno. I periti, che hanno lavorato solo sulle carte e sulle registrazioni di alcune trasmissioni televisive perché la Franzoni ha rifiutato di sottoporsi a un nuovo esame, concludono per un vizio parziale di mente e parlano di "stato crepuscolare orientato". Annamaria era stata interrogata qualche giorno dopo l’inizio del dibattimento e ancora una volta ai giudici aveva ribadito la sua innocenza. Nuovi sopralluoghi, perizie neurologiche e tecniche, interrogatori e colpi di scena caratterizzano anche il processo d’appello che si protrae per oltre un anno e mezzo. Il legale Carlo Taormina nel novembre 2006 rinuncia al mandato in aperta contestazione con la Corte e con quella che per lui, come ha ripetuto più volte, è "una sentenza già scritta". D’ora in avanti sarà un legale d’ufficio ad occuparsi del processo, l’avvocato Paola Savio, che dopo qualche mese diventa avvocato di fiducia. Il procuratore generale, Vittorio Cors,i e l’avvocato Savio si confrontano per due udienze ciascuno. Il primo, al termine di una requisitoria durata diverse ore, nella quale, uno dopo l’altro, analizza tutti gli elementi clou del processo, dall’arma del delitto (mai trovata), al pigiama, dagli zoccoli, al calzino mancante, al ruolo che la famiglia Franzoni ha svolto negli anni in cui si è dipanata la vicenda, chiede, per Annamaria la conferma della sentenza di primo grado, 30 anni, non senza prima averla invitata a confessare ed aver invocato la pietas della Corte. L’avvocato difensore risponde con due giornate di arringa durante le quali ribatte punto per punto alle affermazioni dell’accusa e al termine chiede l’assoluzione piena per la sua cliente. Qualche giorno dopo il pg replica, conferma la sua accusa e chiede nuovamente ad Annamaria il coraggio della confessione, mentre la difesa il coraggio lo chiede alla Corte. La parola fine tocca, però ad Annamaria. Tra le lacrime, la mamma di Cogne ribadisce la sua innocenza e chiede giustizia. La Corte però decide diversamente e dopo oltre 9 ore di Camera di Consiglio condanna Annamaria Franzoni a 16 anni per l’omicidio del figlio (13 con l’indulto). Contro la sentenza, i legali presentano ricorso in Cassazione che verrà respinto il 21 maggio 2008 confermando la sentenza emessa poco più di un anno prima dalla Corte d’Assise di Torino. Anna Maria Franzoni aspetta la sentenza a Ripoli Santa Cristina, sull’Appennino tosco-emiliano, a casa di un’amica. E a casa la raggiungono i carabinieri per notificarle l’arresto e trasferirla in carcere a Bologna. Il 5 settembre 2012 viene respinta la sua richiesta di avvalersi degli arresti domiciliari. Il 10 dicembre 2013, la Franzoni ripropone la richiesta al Tribunale di Sorveglianza di Bologna una nuova richiesta di assegnazione ai domiciliari. È in questo contesto che viene ordinata l’ultima perizia psichiatrica, quella che, secondo quanto rivelato durante la puntata di "Quarto Grade" di venerdì 25 aprile, riguardo al rischio di recidiva della madre di Cogne, sostiene che la donna sia "socialmente pericolosa". Per il professore Augusto Balloni, incaricato dal giudice del Tribunale di sorveglianza di Bologna, Annamaria soffre di un "disturbo di adattamento" per "preoccupazione, facilità al pianto, problemi di interazione con il sistema carcerario" perché continua a proclamarsi innocente e ritiene ingiusta la condanna. Sussistono pertanto condizioni di "pericolosità sociale" da affrontare con una "psicoterapia di supporto". Di parere opposto, invece, le conclusioni del consulente della difesa, professor Pietro Pietrini. La Franzoni dal 7 ottobre 2013 lavora in una cooperativa sociale legata al carcere Dozza di Bologna, dove cuce borse, astucci e altri accessori. Lettere: noi radicali chiediamo a Francesco una parola a favore dell’amnistia di Laura Arconti (Presidente RI) e Deborah Cianfan (Direzione Nazionale RI) Il Tempo, 27 aprile 2014 Santo Padre, noi cittadine laiche credenti nella religione della libertà e del Diritto, ci rivolgiamo alla Santità Vostra unite da un comune sentimento di umanità e di rispetto dei diritti universali. Vs Santità è di sicuro al corrente della situazione in cui versa la Giustizia italiana con particolare riguardo alle carceri. Sa che il Presidente della Repubblica lo scorso 8 ottobre ha inviato al Parlamento un solenne messaggio, suggerendo provvedimenti di indulto ed amnistia. Grazie ad Emma Bonino Vs Santità è venuto a conoscenza della lotta nonviolenta che il leader radicale Marco Pannella sta conducendo nella sua forma più grave dello sciopero della sete, per chiedere che lo Stato italiano esca dalla criminale flagranza di reato per la quale è condannato dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Flagranza riconosciuta grazie a decenni di lotta nonviolenta cui anche noi, da militanti oltre che dirigenti radicali, abbiamo dato corpo al fianco del nostro leader, unendoci nello straordinario cammino della storia radicale nel quale abbiamo appreso la forza della non violenza nel dar corpo e voce agli ultimi, ai dimenticati, perii riconoscimento dei loro diritti e della loro dignità, per la vita del diritto ed il diritto alla vita. Pannella sta lottando contro il parere dei medici e fa del suo corpo il simbolo della fame e della sete di Giustizia, nel totale silenzio degli organi di informazione. Silenzio interrotto dalla notizia che Vs Santità ha voluto telefonargli, assicurandogli che parlerà della scandalosa situazione delle carceri per aiutarlo nella sua domanda di giustizia e clemenza: noi siamo grate dal profondo del cuore perla naturalezza del gesto di conforto e la promessa di una Sua parola. Secondo Costituzione Stato e Chiesa cattolica sono indipendenti e sovrani: non saremo certo noi a chiedere alla Santità Vostra un intervento nei confronti dello Stato italiano. Tuttavia fatti storici suggeriscono di rivolgerci al Romano Pontefice chiedendogli una parola che richiami le coscienze di ciascuno in virtù dell’alto magistero spirituale della Chiesa. Giovanni XXIII il 26.12.58 fu il primo pontefice a recarsi in visita al carcere di Regina Coeli. Giovanni Paolo II, la cui elezione nel 1978 venne salutata da Pannella con la frase "Dio ce lo ha dato guai a chi me lo tocca" e che ricevette Pannella ed Emma Bonino durante la lotta contro lo sterminio per fame, andò al Parlamento italiano nel 2002 e chiese un segno di clemenza verso i detenuti. Anche la Cei si è ufficialmente espressa per la necessità di una amnistia contro il sovraffollamento delle carceri. Fra poche ore saranno canonizzati due Pontefici che hanno avuto a cuore i diritti umani e civili, e la protezione e la cura dei prigionieri. C’è un filo rosso che unisce la lotta nonviolenta di Pannella alla volontà di protezione e cura dei detenuti espressa da Giovanni XXIII e da Giovanni Paolo II: noi ci rivolgiamo alla Santità Vostra perché con l’augusta parola che vorrà pronunciare richiami le esortazioni dei due pontefici predecessori e le renda vive, presenti, urgenti, alle coscienze di tutti. Questa parola è "Amnistia". Firenze: uno striscione pro-amnistia a Palazzo Vecchio, srotolato da militanti radicali Dire, 27 aprile 2014 I militanti radicali hanno srotolato in tarda mattinata uno striscione con scritto "amnistia" da una finestra di Palazzo Vecchio a Firenze, sede del municipio, per sensibilizzare la cittadinanza sul tema della legalità nelle carceri in prossimità con l’esecutività della sentenza Torreggiani della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha reso possibile a tutti quei detenuti che hanno fatto ricorso a Strasburgo di vedersi riconoscere un risarcimento dallo Stato per le precarie condizioni in cui versano nelle carceri italiane. Nello stesso momento, i radicali dell’associazione "Andrea Tamburi" hanno tenuto un "sit-in non violento" in via Vacchereccia, angolo piazza della Signoria per informare che ormai mancano 30 giorni all’applicazione della sentenza, prevista - per l’appunto - il 28 maggio. Mistretta (Ms): i detenuti lanciano appello al Provveditore contro la chiusura del carcere di Maria Catena Regina www.98zero.com, 27 aprile 2014 La chiusura del carcere di Mistretta dovrebbe essere oramai una certezza ma i suoi detenuti continuano a sperare e in una lettera inviata al Provveditore, dott. Maurizio Veneziano, esprimono tutta la loro preoccupazione per quella che potrebbe essere la loro sorte e quella della Casa circondariale, da loro stessi definita non una casa circondariale bensì una casa umanitaria. La notizia, dai detenuti appresa tramite i media, li ha alquanto allarmati, questo il motivo per il quale fanno appello al Provveditore, affinché possa far qualcosa per loro. Un carcere - si legge dalla missiva - che di certo a prima vista non fa buon occhio. Una struttura in condizioni di certo non ottimali ma "ottima a livello di personale", motivo per il quale i detenuti sarebbero anche disposti, previo aiuto economico da parte delle istituzioni, a fare del volontariato al fine di mettere in atto lavori di manutenzione dello stesso istituto. Una struttura- si legge- gestita da un direttore, la dott.ssa Teresa Monachino, presente e sempre vicino alle problematiche dei detenuti e che ha sempre a cuore il reinserimento sociale degli stessi. La informiamo che in questa casa circondariale- scrivono- siamo a regime aperto ed usufruiamo di 8 ore d’aria. La maggior parte di noi detenuti svolge del volontariato, frequenta corsi di ceramica, di inglese e di informatica. Poi fanno ancora riferimento al personale di Polizia Penitenziaria, sempre vicino e disponibile, nonché all’efficienza della struttura sia a livello sanitario che educativo. Le possiamo assicurare che in questo istituto scontiamo la nostra pena da esseri umani - proseguono i detenuti- senza che ci toccano la dignità. Questi e tanti altri i motivi per i quali secondo loro, chiudere la casa circondariale di Mistretta sarebbe un grande errore in quanto si tratta di un Istituto che potrebbe essere da esempio alle altre case circondariali "per come è gestita ed amministrata a livello umanitario". E infine così concludono la loro missiva: è bene che lei sappia come si vive in questo istituto e cosa vuol dire chiuderlo perché non verrà solo chiusa una casa circondariale ma una casa umanitaria. Noi qui non ci sentiamo trattati da detenuti ma da persone, da esseri umani. Quindi carissimo Provveditore Le chiediamo di valutare bene la nostra situazione perché se si salva la casa circondariale di Mistretta verranno salvate delle persone che si reinseriranno nella società. Lecce: in carcere tre suicidi sventati, il Cosp lancia appello a istituzioni centrali e regionali di Paola Diana www.puglia24news.it, 27 aprile 2014 Sono giornate di fuoco quelle che gli agenti ancora vivono nell’istituto di pena pugliese, tra risse, oltraggi e insulti ai poliziotti in servizio anche dopo i fatti di Pasqua, quando nove guardie carcerarie sono rimaste ferite mentre cercavano di sedare una rissa tra bande e detenuti baresi e leccesi. E il malessere tra le sbarre ha portato al gesto estremo di tre detenuti, salvati dall’intervento della polizia mentre tentavano di togliersi la vita. È quanto denuncia oggi in una nota il Cosp, Coordinamento Sindacale Penitenziario, che lancia un appello alle istituzioni centrali e regionali perché intervengano in una situazione che rischia di diventare incandescente. In Italia - si legge nella nota del Cosp - i detenuti sono 59.738, di cui 57.210 uomini e 2.528 donne, contro una capienza regolamentare di 46.338, mentre la Puglia ha una popolazione detenuta di 3619 di cui 169 donne contro una capienza regolamentare di 2249. Solo il Carcere di Lecce N. C mantiene inalterata una forza detentiva di 1.150 persone detenute, di cui 80 donne, contro una capienza regolamentare di 671 posti letto. "Quello che si è verificato a Lecce il giorno di Pasqua, e che purtroppo continua a verificarsi nei giorni a seguire, dovrebbero far riflettere i responsabili del Dipartimento sul super affollamento e sulle facili disquisizioni sull’apertura delle celle lasciando i reclusi liberi di andare da una cella all’altra senza controllo", ha scritto il Cosp, aggiungendo che tutto ciò "non fa altro che favorire il prevaricare dei forti sui deboli in carcere tra detenuti". Bisceglie (Bat): il "gabbione" per il ricovero dei detenuti finisce sui tavoli della Regione www.bisceglielive.it, 27 aprile 2014 Il Consigliere regionale del Pd, Ruggiero Mennea, sollecita Vendola e Gentile a risolvere il problema del reparto dedicato ai detenuti. Conoscere quali iniziative si intendono mettere in campo per "ovviare alla mancata ristrutturazione del repartino di degenza dedicata ai detenuti" nell’ospedale di Bisceglie, che "a pieno titolo fa parte del Servizio Sanitario Regionale", al fine di "onorare gli impegni assunti, sin dal 2006, col protocollo d’intesa per l’attuazione della Medicina penitenziaria". È quanto chiede il Consigliere regionale del Pd, Ruggiero Mennea, al presidente e all’assessore al Welfare della Regione Puglia, Nichi Vendola e Elena Gentile, in una interrogazione urgente che sarà presentata lunedì. "Già il mese scorso - ricorda Mennea - insieme con il Sindaco di Bisceglie, ho visitato il cosiddetto "gabbione", cioè l’area di degenza dedicata ai detenuti, potendone verificare le condizioni di assoluto degrado. Una situazione che viola i diritti fondamentali di persone che ora vivono in condizione detentiva, su cui ha acceso i riflettori anche l’Ugl". "Si tratta - sottolinea il consigliere nell’interrogazione - di due stanze, una delle quali priva di servizi igienici e l’altra dotata solo di water e lavabo, con un disimpegno centrale di circa due metri per tre. Il "gabbione" non ha alcun vano dedicato al personale di Polizia Penitenziaria che, come corpo di guardia, utilizza la stanza di degenza priva di servizi e, quando entrambe le stanze sono occupate dai detenuti, staziona nel vano corridoio interno". "Inoltre - prosegue Mennea nella interrogazione - il personale di Polizia Penitenziaria, non avendo a disposizione propri servizi igienici, deve utilizzare quelli degli ordinari reparti di degenza, mettendo così a repentaglio l’ordine e la sicurezza della sezione detentiva. Senza contare che il Gabbione non ha sistemi idonei a impedire l’evasione o a fronteggiare pericoli provenienti dall’esterno. Da tempo la Asl Bat ha manifestato all’Amministrazione Penitenziaria la disponibilità a ristrutturare il repartino in questione, avendo anche individuato le risorse aziendali da utilizzare per finanziare i lavori. I lavori di rifunzionalizzazione del corpo di fabbrica ove insiste il "gabbione" sono partiti, ma ora le risorse scarseggiano e pare non si possa proseguire con la ristrutturazione del repartino di degenza dedicata ai detenuti. Le difficoltà finanziare, a quanto consta, derivano anche dal fatto che, così come comunicato dall’Assessorato alle Politiche della Salute con propria determinazione, questi lavori non rientrerebbero nei Livelli essenziali di assistenza (Lea)". "La condizione di lavoro della Polizia Penitenziaria nel Gabbione, però - ribadisce Mennea - è a dir poco indegna, mentre la situazione relativa alla tutela dei diritti fondamentali dei detenuti rasenta la violazione dei più elementari principi di diritto sanciti dalla Cedu, col rischio di condanna al risarcimento dei danni da parte della Regione Puglia che non sta ottemperando agli impegni assunti nel protocollo d’intesa per l’attuazione della Medicina penitenziaria, ex d.lgs. 230/1999, il quale stabilisce che "la Regione si impegna ad adottare idonee misure per l’attivazione e/o funzionamento dei reparti per detenuti all’interno delle strutture ospedaliere di competenza". "La tutela della salute dei detenuti e la sicurezza delle strutture sanitarie - conclude il consigliere Pd - sono compito istituzionale non solo della Asl Bat, ma soprattutto del Servizio Sanitario Nazionale, rientrando a pieno titolo nei Lea, nonché negli interessi primari dell’Assessorato alle Politiche della Salute". Foggia: Radicali in carcere per una visita ai detenuti e agli agenti www.statoquotidiano.it, 27 aprile 2014 Domani, lunedì 28 aprile, alle 9.30, l’Associazione radicale Mariateresa Di Lascia, nelle persone del Segretario Norberto Guerriero e dell’attivista Ivana De Leo, accompagnati dal consigliere regionale, Giandiego Gatta, si recheranno al carcere di Foggia per una visita ai detenuti e agli agenti di Polizia penitenziaria. L’Associazione radicale Mariateresa Di Lascia, ha da tempo posto, in perfetta sintonia con quanto da anni stanno facendo i Radicali in tutta Italia, tra le priorità della sua azione politica, l’attenzione sulla condizione della Giustizia in Italia, della quale, la drammatica condizione di vita nelle carceri, non è che l’ultimo e più visibile risultato. Sono oltre 46 giorni che l’associazione radicale Di Lascia di Foggia insieme a migliaia di italiani stanno portando avanti un digiuno non violento che protrarranno fino al 28 Maggio prossimo per denunciare la condizione di tortura delle nostre carceri. Il 28 maggio infatti scadrà il termine ultimo concesso all’Italia dalla Cedu dopo la condanna del nostro paese nel caso Torreggiani per tortura e trattamenti inumani; ed è proprio di questi giorni la notizia di una nuova condanna dell’Italia per trattamenti inumani e degradanti per il ritardo nelle cure mediche prestate ad un detenuto presso il carcere di Bellizzi Irpino. Proprio in queste ore, Il leader storico del Partito radicale, Marco Pannella, sta conducendo una ulteriore estrema lotta non violenta rinunciando all’idratazione dopo un delicato intervento chirurgico, per ricordare, ancora una volta, ai sordi palazzi della politica la "prepotente urgenza" di riportare l’Italia alla condizione di stato di diritto. Il Presidente della repubblica Giorgio Napolitano ha prontamente chiamato il leader radicale per sincerarsi delle sue condizioni di salute, mentre nel pomeriggio del 25 Aprile Papa Francesco ha chiamato telefonicamente Marco Pannella con il quale ha avuto un lungo colloquio affermando la sua intenzione di richiamare l’attenzione sul dramma della condizione carceraria italiana. La realtà della vita dei detenuti del carcere di Foggia e quella di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria sono note e difficili come nel resto d’Italia. Il carcere è sovraffollato, il personale di custodia è sotto organico e costretto a turni di lavoro molto pesanti. Alcune strutture all’interno del carcere sono inagibili o chiuse da tempo. La battaglia per la "Giustizia giusta" e per l’amnistia è una battaglia per i diritti di tutti, non solo dei detenuti e delle loro famiglie, non solo degli agenti penitenziari e delle loro famiglie, perché le inefficienze del sistema giudiziario italiano pesano come un macigno su tutta la società italiana e rappresentano una zavorra pesantissima per l’economia e lo sviluppo. Da anni Marco Pannella e il Segretario di Radicali Italiani Rita Bernardini chiedono l’amnistia come primo atto di "rientro nella legalità", primo passo verso una riforma vera del sistema giustizia in Italia. In contemporanea con la visita al carcere, gli attivisti dell’Associazione Mariateresa Di Lascia, organizzeranno un sit-in informativo davanti al carcere, rivolto anche ai familiari dei detenuti, dove sarà possibile ricevere informazioni e modulistica per i ricorsi presso il giudice di sorveglianza e la Corte Europea per i Diritti Umani. Alla giornata di lotta hanno dato la loro adesione le Camere Penali di Foggia il cui presidente Avv. Gianluca Ursitti dichiara la piena solidarietà all’iniziativa radicale, sottolineando come purtroppo ormai da troppo tempo nel panorama politico locale e nazionale solo i Radicali siano a lottare per i temi della giustizia mentre le altre forze politiche restano inerti e silenti, confermando inoltre che grazie anche all’opera dei radicali foggiani tutti gli avvocati aderenti alle camere penali di Foggia saranno disponibili a fornire assistenza per i ricorsi presso il giudice di sorveglianza e la Cedu. Adesione anche del Sindacato della Polizia penitenziaria Cosp sensibile da sempre alla condizione degradante delle carceri italiane per detenuti ed operatori. Lecce: Festival del cinema europeo, alcuni eventi anche nel carcere di Borgo San Nicola Agi, 27 aprile 2014 Il Festival del cinema europeo di Lecce si svolgerà anche nel carcere di Borgo San Nicola. Alcuni eventi saranno realizzati all’interno del penitenziario, proseguendo sulla strada già tracciata due anni fa, quando nella struttura fu presentato il film "Cesare deve morire" dei fratelli Taviani. Martedì 29 aprile sarà presentato in anteprima nazionale "Sbarre", film-documentario realizzato dal Centro sperimentale di cinematografia (nell’ambito di un laboratorio didattico curato da Daniele Segre, con gli allievi del secondo anno dei corsi di regia, sceneggiatura, suono e montaggio), che ha come protagonisti i detenuti e gli agenti della polizia penitenziaria del Nuovo Complesso Penitenziario di Firenze Sollicciano, e che racconta la quotidianità della vita in carcere. Mercoledì 30 è in programma invece il film documentario "Nella casa di Borgo San Nicola", alla presenza della regista Caterina Gerardi, di Silvia Baraldini e Margherita Michelini, direttrice del carcere Gozzini di Firenze. Il 2 maggio - sempre nel penitenziario leccese - sarà allestita la rappresentazione de "La fine dell’alba ", realizzata da Antonio Turco con la regia di Francesco Cinquemani, un’opera noir con i detenuti e gli operatori della casa di reclusione di Rebibbia. La scelta di scegliere il carcere come location di una parte del Festival del cinema è stata spiegata, nel corso della conferenza stampa al Must, dal direttore dell’istituto, Antonio Fullone: "la struttura si apre a contaminazioni culturali, in questo caso di cinema, confermandosi come luogo che fa parte della città". "Con il Comune di Lecce stiamo attuando un modello intelligente di integrazione dei detenuti, - ha proseguito Fullone - che passa attraverso diversi progetti e consente di far diventare il luogo separata per eccellenza come parte della comunità cittadina". Nuoro: gli studenti alla scoperta di Badu e Carros… e altre iniziative in carcere di Luciano Piras La Nuova Sardegna, 27 aprile 2014 "Guarda la mia mano", decolla un innovativo progetto di educazione alla legalità rivolto alle scuole superiori. Chi sbaglia, paga. La legge vale per chiunque. Un monito, soprattutto, per le giovani generazioni. È questo lo spirito di "Guarda la mia mano", un progetto di educazione alla legalità rivolto agli studenti delle superiori di Nuoro e provincia. Coinvolti gli allievi delle IV e V classi, l’iniziativa è decollata qualche settimana fa e già si prepara a entrare nel vivo del programma. Proposto l’anno scorso dalla polizia penitenziaria del carcere di Badu e Carros, in collaborazione con l’Area educativa e il sostegno della direzione, il progetto ha un solo obiettivo: "sensibilizzare e informare i giovani attraverso l’incontro con la realtà detentiva e gli ospiti della struttura nuorese", spiegano dalla Casa circondariale. Il carcere, insomma, è un pretesto per fare prevenzione, un mondo da scoprire per spingere i ragazzi a riflettere sulle conseguenze che possono avere certi atteggiamenti o azioni. "È un confronto con la vita in carcere e con le esperienze di chi ha sbagliato; un incontro e allo stesso tempo un monito per quelle fasce sociali più esposte al rischio di devianza" spiegano i responsabili del progetto subito promosso dalla direttrice dell’Istituto di pena Carla Ciavarella. La prima fase del progetto, già partita da tempo, è una fase di informazione e orientamento generale, di introduzione al percorso di conoscenza del sistema penitenziario e della funzione rieducativa della pena. Questa fase si è svolta nelle scorse settimane direttamente nelle singole scuole che hanno aderito alla proposta ed è stata curata da un gruppo di lavoro composto da diverse figure di operatori penitenziari (educatori, agenti di polizia penitenziaria e volontari). La seconda fase, invece, inizierà martedì prossimo, 29 aprile, e prevede l’avvicinamento diretto dei giovani alla realtà carceraria. Attraverso la visita alla Casa circondariale di Badu e Carros e l’incontro con alcuni detenuti reclusi nel penitenziario disposti a condividere la propria vicenda e il proprio percorso, gli studenti avranno modo di toccare con mano e vedere con i propri occhi il mondo della vita in carcere, le sofferenze che la detenzione causa non solo ai detenuti ma anche e soprattutto alle loro famiglie di origine. I ragazzi e le ragazze delle scuole superiori, infatti, avranno la possibilità di visitare alcune celle del carcere e di scambiare idee e vedute con i reclusi. Ma non basta. Il progetto "Guarda la mia mano" va ben oltre. Tant’è che nella fase finale, i giovani studenti saranno chiamati a confrontarsi e a svolgere una riflessione corale sull’esperienza fatta. Dovranno mettersi alla prova riassumendo la propria esperienza in elaborati che potranno avere la forma del testo scritto, della rappresentazione figurativa, del cortometraggio o ancora del brano musicale. Gli elaborati realizzati dalle classi che hanno aderito all’iniziativa saranno inviati all’Istituto di pena nuorese e saranno valutati da un’apposita giuria in vista di una premiazione finale. L’esito del concorso, i lavori presentati e l’elenco delle classi premiate, saranno pubblicati nel sito www.giustizia.it e a tutti i partecipanti verrà consegnato un attestato di partecipazione. Un nuovo modo di fare istruzione, questo del progetto, che immerge la scuola nella realtà viva della società. Anche in una realtà nuda e cruda come è quella del carcere. Pierpaola Porqueddu incanta con le note del suo pianoforte Due concerti di fila, uno dietro l’altro. Il primo per i detenuti dell’Alta sicurezza; il secondo per quelli della sezione "Comuni". Un paio d’ore di musica, di grande musica, di libertà, di emozioni profonde, soprattutto. È il regalo fatto a Badu e Carros il 16 aprile scorso dalla pianista nuorese Pierpaola Porqueddu. Iniziativa voluta dal Garante per i detenuti Gianfranco Oppo, in collaborazione con la Scuola civica di musica "Antonietta Chironi", e subito sposata dall’artista barbaricina, che ha così fatto tappa nel carcere della sua città natale. Classe 1976, da sedici anni trapiantata a Imola, Porqueddu ha generosamente offerto la sua musica al pubblico dei detenuti. Vario e variegato il repertorio proposto per l’occasione. Tra un Beethoven e un Chopin, tra un allegro, un andante e un vivace, non poteva mancare qualche assaggio del maestro Vinciguerra. Remo Vinciguerra: il grande compositore italiano per la didattica pianistica a cui Pierpaola Porqueddu ha dedicato il cd Ciao, piano, appena uscito, trentatré tracce, da "Quattro passi col lupo" a "Buongiorno orsacchiotto" e "Conspirito". Diplomata con il massimo dei voti al conservatorio di Cagliari, la pianista nuorese ha un diploma di perfezionamento triennale conseguito all’Accademia musicale pescarese con Paolo Bordoni; un diploma superiore di perfezionamento triennale all’Accademia nazionale Santa Cecilia di Roma con Sergio Perticaroli; una laurea di secondo livello 110 con lode in Discipline musicali ad indirizzo interpretativo. Pierpaola Porqueddu, inoltre, ha frequentato il Mozarteum di Salisburgo e la prestigiosa Accademia Chigiana con il maestro Badura Skoda. Ha tenuto recital da solista e con orchestra. È vincitrice di numerosissimi concorsi nazionali e internazionali. Molto del suo tempo lo dedica all’insegnamento. Un torneo di calcio balilla che mette insieme due mondi Un torneo di calcio balilla che unisce due mondi: quello interno al carcere e la società esterna. Assieme a ventiquattro giocatori- cittadini liberi, sono coinvolti i detenuti di Alta sicurezza e i detenuti della sezione "Comuni". È la nuova iniziativa che l’Asd Olimpiakos porta avanti a Badu e Carros nell’ambito del progetto "Liberi nello Sport". Una cinquantina i detenuti della Casa circondariale nuorese chiamati a sfidarsi a suon di sponda e mezze finte. Dell’Alta sicurezza accedono alla fase finale le squadre Palermo, Centro Napoli e Inter (Qualiano Bic è arrivata quarta). Della sezione "Comuni" passano Isole, Metal detector e Barbagia (quarta è Desesperados). All’esterno, intanto, hanno partecipato dodici coppie. Dalle partite disputate nel circolo Santu Predu "Da Lella" escono vincenti Michele Cuccu e Gianfranco Manca di Oliena, primi, e i nuoresi Francesco Pirisino e Mauro Busio, secondi. Sono loro che accedono così alle finali da disputare all’interno del carcere (in data ancora da stabilire). Alla fine ci sarà una squadra che si aggiudicherà questo primo Torneo di calcio balilla Badu e Carros. Ma i vincitori saranno comunque tutti. Brescia: i 7 agenti penitenziari candidati alle elezioni comunali di Longhena, 600 abitanti di Elia Zupelli Brescia Oggi, 27 aprile 2014 Perplesso il primo cittadino in carica "Certe cose capitano solo in Italia" Il leader Fabrizio Zampa replica: "Il giudizio lasciamolo ai cittadini". Dai "rumors" all’ufficialità: fra gli aspiranti alla poltrona di sindaco di Longhena ci sarà anche Fabrizio Zampa. Uno sconosciuto nel piccolo paese della Bassa, ma che quanto ad effetto mediatico non ha nulla da invidiare alla concorrenza locale. Il motivo? Zampa e i componenti della sua lista civica "Longhena Carpe diem" sono guardie penitenziarie in servizio nella casa circondariale di Canton Mombello, in città. Della squadra fanno parte anche Massimo Luzzi, Ciro Borrelli, Cristian Romeo, Giuseppe Bandiera, Davide Antonucci e Giuseppe Amoruso. L’iniziativa sta facendo discutere: ad accendere il dibattito è stato l’attuale sindaco Dionigi Tortelli, che aveva stigmatizzato la singolare candidatura all’urlo di "queste cose succedono solo in Italia". Il riferimento del primo cittadino di Longhena era alle presunte ragioni che spingerebbero gli agenti a candidarsi in un contesto urbano e sociale a loro estraneo, ovvero guadagnare i 30 giorni di ferie retribuite che spettano ai servitori dello Stato impegnati nella campagna elettorale. In Italia i precedenti analoghi si sprecano, corredati dalle immancabili, piccate risposte dei sindacati di categoria che avevano criticato i "processi alle intenzioni", difendendo invece il "diritto a candidarsi". "Noi non siamo qua per fare cassa di ferie retribuite o spadroneggiare, come insinua qualcuno - taglia corto il neocandidato Zampa rispedendo al mittente le frecciate -. Siamo qui per lavorare insieme ai cittadini di Longhena, affinché "colgano l’attimo", come recita il nostro motto. Perché anche se non siamo originari di queste parti, il nostro impegno è garantito: saremo al servizio della comunità, per crescere insieme provando a fare qualcosa di buono e migliorare il paese del futuro". L’interrogativo a questo punto sorge spontaneo: qualcuno teme la concorrenza della squadra di polizia penitenziaria? Alle urne l’ardua risposta. India: "detenuti ingiustamente"… il presidente Napolitano interviene sul caso dei marò di Daniele Di Mario Il Tempo, 27 aprile 2014 Napolitano: "Da troppo sono lontani dalla Patria". A Milano coro choc: "A morte i due fucilieri". Nel sessantanovesimo anniversario della Liberazione, il primo pensiero del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è per loro, per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i nostri due marò trattenuti illegalmente in India da oltre due anni per avere ucciso due pescatori indiani in una operazione antipirateria. "Fanno onore all’Italia i nostri due marò trattenuti ingiustamente e da troppo tempo lontani dalla Patria", le parole pronunciate dal Capo dello Stato al Quirinale. Ma in piazza del Duomo, durante una manifestazione per il 25 aprile, un gruppo di manifestanti alla vista dei militari del servizio antiterrorismo, lancia il coro shock: "A morte i due marò". Napolitano parla all’indomani dell’avvio della procedura per l’arbitrato internazionale che potrebbe finalmente portare al rimpatrio dei due fucilieri. Ma, nei pensieri del Presidente, ci sono anche le forze armate. Ancora una volta Napolitano pronuncia parole importanti contro l’antimilitarismo e i tagli indiscriminati alla Difesa, pur non citando direttamente gli F5. Napolitano invita a razionalizzare le Forze Armate senza cedere a vecchie pulsioni antimilitariste. "Dobbiamo procedere, nella piena, consapevole valorizzazione delle Forze Armate che continuano a fare onore all’Italia - dice il Capo dello Stato - in un serio impegno di rinnovamento e di riforma, razionalizzando le nostre strutture e i nostri mezzi, come si è iniziato a fare con la legge in corso di attuazione, e sollecitando il massimo avanzamento di processi di integrazione al livello europeo. Potremo così soddisfare esigenze di rigore e di crescente produttività nella spesa della difesa, senza indulgere a decisioni sommarie che possono riflettere incomprensioni di fondo e perfino anacronistiche diffidenza verso lo strumento militare, vecchie e nuove pulsioni antimilitariste". "Il presidente ha detto una cosa importante: bisogna immaginare una spesa produttiva, non tagliare qualsiasi cosa a prescindere - è il commento del ministro della Difesa Roberta Pinotti - Il riferimento è a chi fa demagogia dicendo che tutte le spese sono inutili". La linea del governo in questo senso non si scosta dalle indicazioni che arrivano dal Colle. A tal proposito, Napolitano e il presidente del Consiglio Matteo Renzi si vedranno oggi per fare il punto della situazione, soprattutto sulle riforme dopo lo strappo di Berlusconi. Secondo fonti parlamentari, l’incontro non uscirebbe da quella che è la normale dialettica istituzionale, che vede il Capo dello Stato ed il premier tenere assidui contatti. Un breve colloquio tra i due c’è stato anche ieri a marine della cerimonia del 25 aprile. Napolitano ha parlato al presidente del Consiglio che ha annuito a lungo. "Domani alle 10 vedo il presidente ucraino che poi va dal Papa", dice Renzi a Napolitano in un fuori onda captato da RaiNews24. Il Capo dello Stato sussurra qualcosa e il premier risponde: "Aspetto una convocazione. A qualsiasi ora". Renzi, al termine del colloquio con Napolitano, si è intrattenuto anche con Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera, autore giovedì della lettera con la quale invitava il premier a valutare l’ipotesi di tornare alle urne. Tra i temi che Napolitano e Renzi affronteranno dovrebbe esserci anche il semestre europeo di presidenza italiana. A proposito di Ue, Napolitano osserva che in Europa si ha il bisogno di "un ulteriore sviluppo del processo di integrazione, anche in senso politico" per "parlare da europei con una voce sola, per far pesare nei nuovi equilibri globali quelle tradizioni e quelle potenzialità che possiamo ormai esprimere solo unendo i nostri sforzi". Un’Europa unita "anche nel campo della difesa e della sicurezza". Venezuela: dei 180 arrestati durante le proteste, gli studenti sono solo il 7% di Geraldina Colotti Il Manifesto, 27 aprile 2014 Solo il 7% delle 180 persone che si trovano in carcere per aver partecipato alle proteste violente contro il governo venezuelano è costituito da studenti. L’informativa è stata illustrata dalla Fiscal general Luisa Ortega Diaz. Secondo i dati del Ministerio Publico (Mp), i morti (civili e militari) sono finora 41. Tra il 12 e il 24 aprile, Ortega ha presentato altre 19 accuse contro 47 persone sospettate di aver partecipato ad atti vandalici finalizzati a promuovere un colpo di stato. Il Ministerio publico ha anche messo sotto inchiesta 145 persone sospettate di aver violato i diritti umani, due delle quali accusate di omicidio, uno per tortura e 142 per atti di crudeltà. Ortega ha nuovamente invitato lo studente Raul Ayala, che aveva denunciato di esser stato violentato con la canna del fucile a collaborare con gli inquirenti. Il caso aveva fatto scalpore, benché le prime perizie mediche non avessero confermato le accuse. Un altro rapporto indica che, dall’inizio di febbraio (quando sono scoppiate le proteste violente), vi sono stati 162 attacchi ai medici cubani che lavorano nei quartieri popolari. Oltre 30.000 cooperanti che prestano assistenza a circa 11 milioni di persone. Sono arrivati nel paese dopo le terribili inondazioni che hanno messo in ginocchio lo stato Vargas nel 1999 e hanno formalizzato la loro cooperazione nel 2003, con l’istituzione della Mision Barrio Adentro, all’insegna di uno scambio solidale: il petrolio venezuelano in cambio di medici. Una campagna di odio fomentata dalle destre contro "il castro-madurismo" ha però provocato le aggressioni alle strutture pubbliche in cui lavorano i cubani e allo stesso personale sanitario. La Procuratrice generale ha illustrato i dati alla stampa al termine di un corso sui Diritti umani rivolto ai "comunicatori sociali" e organizzata dalla Scuola nazionale dei giudici dell’Mp. Ortega ha anche respinto il rapporto presentato sul Venezuela dalla Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh), perché - ha detto - "non rispecchia la realtà". Il governo venezuelano, insieme ad altri paesi progressisti dell’America latina, da anni accusa la Cidh di essere subalterna a Washington e ha deciso di non farne più parte quand’era ancora in vita il presidente Hugo Chavez. Fra gli argomenti addotti, che Ortega ha ricordato, l’inattività della Cidh di fronte alle denunce presentate dalle associazioni per i diritti umani circa la scomparsa di oltre 3.500 persone durante i governi della IV Repubblica (1958-1998). Anche le vittime del Caracazo - la rivolta popolare contro le misure imposte dal Fondo monetario internazionale al governo del socialdemocratico Carlos Andrés Pérez nel 1989 - si sono rivolte alla Cidh, ma senza esito. Chiedevano giustizia per i parenti uccisi dal fuoco dell’esercito, che ha sparato sulla folla provocando migliaia di vittime, in gran parte occultate nelle fosse comuni. Nemmeno i parenti delle vittime del colpo di stato contro Chavez del 2002 hanno ottenuto soddisfazione dalla Cidh. E ora si oppongono alla possibilità che il governo Maduro accolga la richiesta dell’opposizione presentata nell’ambito dei colloqui di pace in corso. La Mesa de la Unidad Democratica (Mud) che racchiude le varie componenti dell’antichavismo, ieri è nuovamente scesa in piazza insieme agli studenti che non accettano il dialogo con il governo e che chiedono soprattutto l’amnistia. "L’educazione si rispetta", dicevano i cartelli di quelli che hanno sfilato ieri. Una stonatura considerando che, in 15 anni di governo, il chavismo ha soprattutto puntato sull’educazione per tutti e che per studiare gli studenti non devono sborsare una lira. Gli studenti di opposizione hanno protestato anche contro la recente decisione del Tribunal Supremo de Justicia (Tsj) che ha accolto il ricorso di un sindaco e ha stabilito che, prima di manifestare, si deve chiedere l’autorizzazione alle autorità locali. Una misura adottata in tutti i paesi democratici, ha fatto notare il sindaco del municipio Libertador (il più grande dei cinque che compongono la capitale), Jorge Rodriguez. Anche ieri, gli oltranzisti hanno marciato all’interno delle zone benestanti, nei quartieri est di Caracas: i quartieri in cui non si placano del tutto le "guarimbas", barricate di detriti e spazzatura data alle fiamme. Durante un assalto dei "guarimberos" nel municipio Chacao si è quasi rischiata una strage in un asilo pieno di bambini che si trovava all’interno del ministero dell’Abitare, dato alle fiamme. Per questo, ieri il Tribunal supremo de justicia ha accolto la denuncia presentata contro il sindaco Ramon Muchacho da alcune associazioni: per non aver ottemperato al dovere costituzionale di garantire la libera circolazione dei cittadini. Paraguay: Rimane in carcere il leader dei contadini in sciopero della fame di Ernesto Faba www.contropiano.org, 27 aprile 2014 Rubén Villalba, leader dei contadini sin tierra protagonisti negli ultimi mesi di uno sciopero della fame durato 58 giorni, è stato costretto a tornare nel carcere di Tacumbú. Il trasferimento é avvenuto il giorno successivo alla concessione degli arresti domiciliari per i cinque detenuti coinvolti nel caso del massacro di Curuguaty. A deciderlo è stata la giudice Janine Ríos imponendogli il ritorno in carcere a causa di un altro processo precedente che lo vede imputato per violazione di proprietà privata e sequestro avvenuti durante un tentativo di sgombero nel 2008 di un insediamento sin tierra nella località di Pindó. Minacciati da un coltivatore di soia brasiliano che dopo aver comprato 260 ettari nel mezzo della comunità cominciò a spargere i pesanti pesticidi anche nei pressi della scuola del paese, i contadini allontanarono il proprietario dei terreni ma dovettero confrontarsi giorni dopo con la polizia intervenuta a sostegno del fazendeiro. Una prassi non nuova, quella delle fumigazioni volontarie, che irrorando di veleno per mezzo di un aereo gli insediamenti abitati, inquinano le falde acquifere e uccidono tutto il bestiame, causando gravi danni alla salute degli abitanti e costringendoli quindi a migrare verso le città e abbandonare i terreni lasciandoli nelle mani del latifondista di turno. Dal carcere Rubén Villalba riferisce in un’ intervista ad un giornale nazionale, di aver abbandonato lo sciopero della fame essendo ancora molto debilitato dall’ultimo sciopero appena terminato. Il suo trasferimento non è che l’ennesimo atto di persecuzione giudiziaria nei confronti del militante sin tierra, attivo fin dall’inizio della sua detenzione nella denuncia dell’irregolarità del processo del caso di Curuguaty e nelle proteste degli imputati all’interno del carcere. Questo caso di accanimento giudiziario si inserisce in un contesto generalizzato di repressione nei confronti dei movimenti contadini che contano ormai migliaia di militanti incarcerati e decine di morti in un Paraguay che sempre più punta a diventare uno dei principali paesi produttori di soia da destinare al mercato internazionale. Libia: Amnesty; dubbi su equità del processo contro gli esponenti del regime di Gheddafi Ansa, 27 aprile 2014 Riprende oggi a Tripoli, nella prigione di Hadba, il processo contro 37 esponenti del regime di Muammar Gheddafi, tra cui Saif Al Islam, il figlio del defunto dittatore, e Abdallah Senussi, ex capo dell’intelligence. Si tratta del terzo rinvio dopo quello del 24 marzo e del 14 aprile scorso. Il processo era stato aggiornato in assenza di alcuni imputati. Ma tutti gli occhi restano puntati su Saif Al Islam, delfino del colonnello, che apparirà in video conferenza dalla cittadina di Zintan a sud ovest di Tripoli, cosi come altri 6 imputati detenuti nella città di Misurata. Saif è prigioniero di una potente milizia fin dalla sua cattura avvenuta nel novembre del 2011 nel sud della Libia. Nonostante le forti pressioni del governo centrale di trasferirlo in una prigione della capitale, Zintan non ha mai acconsentito adducendo motivi di sicurezza. Saadi Gheddafi, l’altro figlio del rais estradato il mese scorso dal Niger, non ci sarà oggi in aula perché contro di lui è ancora in corso un’istruttoria. Amnesty: dubbi su equità processo esponenti Gheddafi L’organizzazione Amnesty International ha espresso oggi seri dubbi sulla capacità del sistema giudiziario libico di garantire un processo equo ai 37 esponenti del regime Gheddafi, tutti accusati, chi più chi meno, di aver contribuito alla repressione della rivoluzione del 2011. L’udienza contro figure di spicco del regime tra cui Saif Al Islam, delfino del colonnello, Abdullah Senussi, ex capo dell’intelligence, e Baghdadi Mahmudi, ex premier, è previsto per oggi nella capitale. Tra gli altri imputati figurano ex ministri tra cui quello degli esteri Abdel Ati Al Obeidi, diplomatici come l’ex ambasciatore in Gran Bretagna Muhammed Belqasem Al Zwai, l’ex comandante della guardia costiera e dell’autorità portuale libica. Saif Al Islam, detenuto a Zintan, e altri 6 imputati prigionieri a Misurata, appariranno in video conferenza. Una decisone della procura che di fatto non garantisce un processo equo, sostiene Amnesty. Il processo è tra i più importanti che si devono svolgere contro alti funzionari legati al regime e che potrebbero svelare numerosi retroscena della dittatura. Le organizzazioni per i diritti umani, che denunciano la possibilità di centinaia di condanne a morte per i sostenitori del colonnello, hanno chiesto alle autorità libiche di consegnare Saif al Tribunale Penale Internazionale che nel giugno 2011 ha emesso un mandato di arresto accusandolo di aver compiuto crimini contro l’umanità durante la repressione delle proteste. La Libia invece non ha mai ceduto alle richieste sostenendo di poter assicurare un processo equo. Secondo varie organizzazioni per i diritti umani agli imputati non sono garantiti né un processo equo né assistenza legale adeguata. Nei casi di Senussi e Saif, entrambi hanno fatto sapere di non avere un avvocato e nessun contatto con le famiglie. Già nel luglio 2013 sei lealisti di Gheddafi tra cui Ahmad Ibrahim, ex ministro dell’Istruzione di Gheddafi, sono stati condannati a morte dalla Corte d’appello di Misurata per aver incitato alla discordia e alla guerra civile e aver messo in pericolo la sicurezza dello stato durante il conflitto del 2011. Ad Ibrahim sono state vietati incontri privati con il suo legale ed era detenuto in una prigione sotto il controllo nominale del ministero della giustizia ma di fatto controllata da un milizia. Nord Corea: Washington conferma arresto turista statunitense di 24 anni, Matthew Todd Adnkronos, 27 aprile 2014 Il dipartimento di Stato conferma la notizia dell’arresto di un cittadino Usa da parte delle autorità nordcoreane. Washington, ha riferito la portavoce Jen Psaki senza fornire ulteriori dettagli, è entrata in contatto con l’ambasciata svedese, che rappresenta gli interessi Usa in Corea del Nord, per acquisire informazioni sulla vicenda. Ieri, l’agenzia ufficiale di Pyongyang aveva riferito che un turista statunitense di 24 anni, Matthew Todd, era stato fermato lo scorso 10 aprile mentre stava facendo ingresso nel Paese. Un altro cittadino statunitense, Kenneth Bae, è detenuto in Corea del Nord da circa 18 mesi.