Giustizia: dal patteggiamento alle carceri, le riforme a costo zero ignorate dal Parlamento di Paolo Colonnello La Stampa, 1 aprile 2014 La vera amarezza per Gerardo D’Ambrosio arrivò dopo. Quando, lasciata la toga per la pensione, il simbolo di Mani Pulite decise di passare "dall’altra parte della barricata" accettando di candidarsi come indipendente nelle file del Pd, sebbene fosse stato critico, ad esempio, con la scelta di Di Pietro di darsi alla politica. "Guaglio’, bisogna mettersi in gioco se si vuole cambiare qualcosa". Ma i simboli sono come i fiori: vanno annaffiati, sennò appassiscono in fretta. E l’ex capo della Procura di Milano si rese conto presto che nonostante la buona volontà, nessuno aveva intenzione di "annaffiare" le sue idee, i suoi progetti di riforma per una giustizia più snella, veloce, efficace. Appassì in fretta anche lui. "Ma lo sai che di dieci disegni di legge presentati, nemmeno uno è stato preso in considerazione? Come se nemmeno li avessi mai scritti". Verso la fine della sua esperienza di senatore, il dolore per la frustrazione di non essere stato praticamente mai ascoltato glielo leggevi negli occhi: "Anche se vuoi combinare qualcosa, lì non si muove mai niente". Lo scrisse nei suoi libri, uno in particolare, dal titolo eloquente: "La giustizia ingiusta", con cui espose le proprie riflessioni su temi che sono ancora attualissimi: l’adozione del sistema accusatorio americano e la sua imperfetta applicazione; la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante; il controllo popolare dei pubblici ministeri e la loro subordinazione al potere esecutivo; il sovraffollamento delle carceri. Le sue leggi, le sue piccole ma fondamentali riforme, a costo zero se non quello della buona volontà, sono ancora tutte lì, galleggiano nel mare magnum delle buone intenzioni legislative rimaste sulla carta degli atti del Senato. Siamo andati a rileggerle, per scoprire con quale chiarezza, competenza e lungimiranza "zio Gerry", come tutti lo chiamavano a palazzo di Giustizia, le aveva compilate e proposte. Sempre con un occhio al risparmio per lo Stato e alla tutela per i cittadini più deboli. La riforma dei riti alternativi, innanzitutto: "Tenuto conto che il ricorso ai riti alternativi avviene prevalentemente nei casi in cui l’imputato ha reso confessione o nei processi in cui la prova di colpevolezza è evidente... riteniamo che andrebbe presa in seria considerazione la possibilità di ridurli al solo patteggiamento senza alcun limite e di subordinare la sua concessione all’ammissione dei fatti contestati dall’accusa prima che inizi l’udienza preliminare... Si eliminerebbero insomma, i danni e le beffe che oggi subiscono le parti lese... che non hanno alcuna possibilità di opporsi in alcun modo alla richiesta di patteggiamento...". Così come la possibilità per il giudice dell’udienza preliminare di infliggere direttamente la condanna quando la colpevolezza risulta evidente. O per un giudice monocratico di infliggere una pena immediata all’imputato arrestato in flagranza di reato. E ancora: la riforma della Bossi-Fini che ha causato un inverosimile intasamento nelle carceri di cittadini extracomunitari la cui colpa è stata solo quella di fuggire da luoghi infernali e di non aver avuto il permesso di soggiorno rinnovato. "Non occorre alcuno sforzo per capire che si tratta di persone che non hanno manifestato alcuna pericolosità sociale. Al contrario si tratta in massima parte di vittime di quella nuova forma di caporalato che si va diffondendo in ogni regione. Neppure negli Stati Uniti si è mai pensato di infliggere una sanzione penale a chi, una volta espulso, rientra nel territorio dello Stato...". Senza contare che "mantenere in carcere un detenuto costa molto caro": 3.500 euro al mese, nel 2008. Sempre lo stesso anno, D’Ambrosio affrontò la beffa del gratuito patrocinio per i mafioso e i trafficanti di droga: "Credo che a nessuno possa sfuggire come tutti gli imputati appartenenti ad associazioni di stampo mafioso, siano ufficialmente impossidenti. È veramente difficile immaginare che chi si dedica ad estorsioni, traffico di droga o esseri umani, allo sfruttamento della prostituzione, al contrabbando o altri gravi reati, alla fine dell’anno si rivolga al proprio commercialista per una regolare denuncia dei redditi... ". E dunque, proponeva l’ex procuratore, una modifica dell’articolo 91 che escluda dal beneficio del patrocinio a spese dello Stato gli imputati di quel genere di reati. Infine, un taglio netto alle migliaia e spesso inutili ricorsi in Cassazione con l’introduzione di un deposito cauzionale per le parti private e una sanzione a quegli avvocati che dopo "un numero congruo di ricorsi rigettati o annullati" si volessero ostinare a tirare in lungo le cause che intasano sezioni. Ma spulciando i suoi "disegni di legge", si scopre che sono decine gli articoli, le prassi, le incongruenze che avrebbe voluto riformare. Buon senso e competenza. Questa era la ricetta di D’Ambrosio. Come per il Casatiello, il piatto tipico pasquale partenopeo. Per farlo bene, diceva, "ci metti dintra tutto chillo che ce vo’...". Giustizia: dieci mesi dopo la condanna dell’Europa, tutto come prima… anzi peggio di Francesco Lo Piccolo (Giornalista, direttore di "Voci di dentro" www.huffingtonpost.it, 1 aprile 2014 Riporto qui un fatto raccontato dalla madre di un detenuto, è una lettera firmata da Rosa B. di Tezze sul Brenta, nel Vicentino, e che cito integralmente: "Spettabile direzione, giorni fa ho letto delle violenze su detenuti da parte di alcune guardie. Non ho nomi da fare ma voglio raccontare un fatto. Il 9 dicembre 2010 mio figlio fu portato in carcere al Pio X, in una cella con altre 2 persone, di cui un extracomunitario con gravi problemi di droga e violento. Costui prese subito di mira mio figlio, cercando di sopraffarlo e e derubandogli continuamente oggetti e viveri, (non aveva nessuno) e un giorno con una lametta ha minacciato di tagliare la gola a mio figlio. Costui aveva già cambiato numerose celle, nessuno lo voleva insieme per la sua violenza. Sono intervenute le guardie (e fin qui le ringrazio), ma non si sono limitate a isolare l’individuo: è stato picchiato brutalmente, denudato e gettato in una cella completamente spoglia. Durante il colloquio mio figlio mi raccontava e ho avuto il terrore che capitasse anche a lui, ma mi disse che le guardie lasciavano in pace chi non dava fastidio. A mio figlio non potrà mai capitare questo... è morto 54 giorni dopo essere stato trasferito a Padova, il 24 maggio 2011... e 10 giorni dopo è morto anche il suo compagno di cella, alla stessa maniera, con il gas. E io sto ancora attendendo il risultato dell’inchiesta". La lettera di questa mamma mi conferma ancora una volta quanto sostengo da tempo: l’istituzione carcere, a dispetto della nostra Costituzione, a dispetto di chi ritiene che sia un luogo di rieducazione, risponde solo alla logica di neutralizzare fisicamente chi è finito dietro le sbarre. Volente o nolente, vanificando di fatto (e non è una contraddizione) gli sforzi e gli impegni di chi vi opera (magistrati, educatori, polizia penitenziaria). Ovvio che questa neutralizzazione fisica non succede in tutte le carceri, ci mancherebbe altro: certo che ci sono situazioni positive come Bollate, Rebibbia, Gorgona, Volterra (dove la recidiva proprio grazie a lavoro e pene alternative è sotto il 20 per cento contro il 70 per cento della media), ma le storie che escono da certi Istituti come Poggioreale, Novara, Cuneo, Ferrara, Lecce, Favignana, Trani, Campobasso... sono un orrore infinito. Forse il peccato originale della stessa istituzione carcere. Perché sono storie di botte e torture, di celle lisce e di detenuti legati al termosifone, di detenuti ammassati in minuscole celle prive di ogni forma di igiene, senza acqua calda, a volte senz’acqua e basta, dove il cibo non merita di essere chiamato tale per quantità e per qualità, dove ci sono malattie e pidocchi (San Vittore), dove trovi anche celle con il water scoperto in mezzo alla stanza e per fare i propri bisogni ci si copre dalla testa in giù con una coperta sotto lo sguardo disgustato di chi ti sta intorno e che pensa che presto toccherà anche a lui quella stessa umiliazione (Favignana), o altre addirittura senza un comune lavandino (Campobasso). Orrori che aggiunti ai suicidi e tentati sucidi che avvengono giorno dopo giorno non possono farci girare dall’altra parte e dire...colpa loro. Perché io non credo che sia un problema di colpe o di ragioni... e comunque, come sostiene il mio amico Domenico, redattore di vecchia data di Voci di dentro, "riconoscere reciprocamente ragioni e colpe non significa che si debbano accettare torture e violenze e la piaga dei suicidi...e nessuno, in piena coscienza, può continuare a dichiararsi d’accordo con la barbarie del fine pena mai, dell’ art. 41 bis e del regime di internamento nelle case lavoro; non si può continuare a far finta di non sapere della barbarie dei bambini nati in carcere, bambini che crescono senza conoscere i normali rumori e gli odori della quotidianità della vita normale; bambini che non hanno visto i colori di un cono gelato, bambini che sicuramente rimarranno segnati per le colpe di madri, colpe che, poco evangelicamente e molto incivilmente, ricadono sui figli. Barbarie. Appunto". Concludo con due notizie legate alla scadenza del prossimo 28 maggio data entro la quale l’Italia deve risolvere l’emergenza carceri (sentenza Cedu): la prima e alla quale è stato dato molto risalto dai media è che il neo ministro della Giustizia Andrea Orlando avrebbe tranquillizzato l’Europa promettendo sconti di pena e mini rimborsi per detenzione "inumana"; la seconda ignorata dai media è la dichiarazione fatta alcuni giorni fa dall’europarlamentare Juan Fernando Lopez Aguilar, capo delegazione della Commissione Libertà civili, Giustizia e Affari istituzionali del Parlamento Europeo, dopo la visita ad alcune carceri in Italia: "La situazione penitenziaria in Italia - ha dichiarato l’europarlamentare - è un problema che non è mai stato considerato come priorità politica e finanziaria e sembra non esserci alcun cambiamento... L’Italia è un esempio negativo in Europa per il sovraffollamento delle carceri, la qualità delle condizioni igieniche e il mancato reinserimento sociale dei detenuti... Il sovraffollamento italiano è il peggiore tra gli stati dell’Ue e il Paese concorre con Serbia e Grecia per l’ultimo posto anche per la mancata attenzione ai diritti dei detenuti". All’Italia mancano solo due mesi per mettersi in regola, fino ad oggi tante e inutili parole... E adesso quando sento parlare di "mini rimborsi per le condizioni disumane delle carceri", penso semplicemente all’ennesima beffa. E alla solita ipocrisia. Come voler nascondere la polvere sotto il tappeto, per non vedere il fallimento dell’Istituzione carcere e al contrario il successo che viene invece da provvedimenti come pene alternative, affidamenti, permessi, messe in prova, istruzione, lavoro... Tutto questo mentre la giustizia arranca e due anni dopo la morte del figlio in carcere c’è la signora Rosa B. di Tezze sul Brenta che "sta ancora attendendo il risultato dell’inchiesta". Giustizia: in Senato il testo unificato su amnistia e indulto, si apre settimana cruciale Ansa, 1 aprile 2014 Questa settimana sembra essere quella "cruciale" per la determinazione dei provvedimenti di indulto ed amnistia per far fronte all’indecenza del sovraffollamento carcerario, eppure grandi svolte non sembrano esserci ad un mese e poco più dal rischio sanzione europea. In Commissione Giustizia al Senato oggi 1 aprile arriveranno per essere esaminati i ddl giustizia, riuniti in un testo di legge unificato redatto Nadia Ginetti (Pd) e Ciro Falanga (FI). I quattro ddl, ormai noti, portano la firma dei senatori Manconi, Compagna, Buemi e Barani. Intanto domani è prevista l’audizione davanti al Copasir del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Giovanni Tamburino il quale affronterà i noti temi del sovraffollamento ed altri problemi della popolazione carceraria. Tamburino ha confermato di recente ad Adnkronos la presenza di 60.200 detenuti nelle carceri italiane. "Abbiamo la certezza - ha assicurato all’agenzia - che entro il 15 aprile non ci sarà neppure un detenuto in Italia recluso con uno spazio inferiore a tre metri quadri nelle cella. Entro maggio dovremmo arrivare oltre i 50.000 posti disponibili effettivi". In attesa che si realizzino le previsioni citate, i Radicali italiani proseguono integerrimi il loro sciopero della fame iniziato il 27 febbraio scorso contro l’indegnità della situazione carceraria italiana. Giustizia: Ospedali psichiatrici giudiziari; mancano alternative, chiusura rinviata al 2015 di Margherita De Bac Corriere della Sera, 1 aprile 2014 Sono sei le strutture rimaste aperte, che ospitano oltre mille reclusi. Il ministro Orlando: Regioni in ritardo, doveva chiudersi ieri l’era dei vecchi manicomi criminali, ma non ci sono alternative. Il rischio era che la chiusura sarebbe stata posticipata di tre anni, al 2017. Era l’auspicio delle Regioni. E sarebbe stato un vero scandalo dopo il primo rinvio del 2013. La fine dei sei ospedali psichiatrici giudiziari italiani, infatti, doveva avvenire oggi, dodici mesi più tardi. Un decreto del Consiglio dei ministri ha rimandato lo stop definitivo. Ma lo slittamento è stato almeno limitato: i manicomi situati all’interno delle carceri finiranno di funzionare il 31 marzo 2015. È il risultato delle sdegnate proteste. In testa il sindaco di Roma Ignazio Marino che la scorsa settimana si è appellato al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, molto sensibile al tema tanto da menzionarlo nel messaggio di fine d’anno del 2012: "Basta con i luoghi dell’orrore". La proroga però è stata necessaria. Non sono ancora pronte le strutture che dovranno ospitare le persone detenute (circa 890 in base alla stima di Giuseppe Dall’Acqua, capo del dipartimento di Salute mentale di Trieste, 1.051 secondo il Coordinamento interregionale Sanità penitenziaria). Le strutture in chiusura sono gli Opg di Castiglione delle Stiviere (Lombardia), Reggio Emilia (Emilia Romagna), Montelupo Fiorentino (Toscana), Secondigliano e Aversa (Campania), Barcellona Pozzo di Gotto (Sicilia). "È stato un passo obbligato per il ritardo accumulato da non poche Regioni italiane per quanto riguarda i piani di riconversione ", chiarisce il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Per scongiurare altre proroghe verrà compiuto a metà anno "un puntuale monitoraggio del percorso di riconversione prevedendo anche ipotesi di poteri sostitutivi nei confronti degli inadempienti". Il problema è la realizzazione delle Rems (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza sanitarie), le strutture alternative dove verranno trasferiti i detenuti psichiatrici. "Piccoli ospedali giudiziari che in teoria non dovrebbero avere personale carcerario ma solo riabilitatori e medici. Concepite in base al numero degli internati, ad esempio sei in Lombardia, uno in Emilia Romagna", li descrive Giandomenico Doda, ricercatore della Bicocca, docente di diritto penale. Che denuncia: "Nell’80% dei reparti ancora si usa legare". Alcune Regioni hanno presentato al ministero della Salute i progetti per richiedere i finanziamenti. "Noi non abbiamo nessun interesse a perdere tempo - dice l’assessore Carlo Lusenti, Emilia Romagna - siamo impegnati nei percorsi della presa in carico ma dobbiamo essere sostenuti da Salute, Giustizia e magistratura. Dieci Regioni sono pronte. E poi devono decidere cosa fare dei detenuti più pericolosi". Dall’Acqua riconosce che la situazione è migliorata. Gli internati dai 1.400 del 2010 sono oggi 890: "Mai toccate punte così basse. Chi è uscito è tornato nel suo luogo di residenza oppure in comunità. L’augurio è che i nuovi centri non siano aree di parcheggio ma di terapia". Giustizia: Mario, rinchiuso in Opg da ventidue anni per una rapina da seimila lire di Paolo Foschini Corriere della Sera, 1 aprile 2014 "Non avevo neanche la pistola, fingevo con la mano nella tasca". Viaggio a Barcellona Pozzo di Gotto, dove reclusi per piccoli furti sono diventati pericolosi criminali malati di mente. All’epoca c’erano ancora le lire. Mario ne aveva portate via seimila, tre euro di oggi, entrando in un bar con una mano in tasca atteggiata a pistola. Fu dichiarato "momentaneamente incapace", ma pare che quel momento sia duro a finire visto che Mario è dentro da 22 anni. Peraltro va detto che a Salvatore è andata peggio. Anche lui aveva fatto una rapina. Roba minima anche lui, come diceva Jannacci. Ma anche lui mentalmente "incapace": e di anni dentro, di proroga in proroga e di perizia in perizia, ne ha fatti 36 filati. L’anno scorso, quando l’hanno mandato in comunità, quasi non ci credeva. Ergastoli bianchi, li chiamano. Sono solo due tra le storie di Barcellona Pozzo di Gotto, sede di uno degli Ospedali psichiatrici giudiziari più tristemente famosi d’Italia: quelli che da oggi dovevano restare solo un brutto ricordo, se non fosse che no. A raccontarle pescando nella propria memoria è un gruppetto dei pochi fortunati riusciti a venirne fuori grazie all’impegno di un prete, don Pippo Insana, che qualche anno fa ha aperto nel pieno centro storico del paesone siciliano una Casa d’accoglienza pensata specificamente per loro. "La stragrande maggioranza dei detenuti negli Opg - dice - non è gente pericolosa ma solo bisognosa di cure. Ed è assurdo che per chiudere questi inferni, secondo i politici, se ne debbano per forza costruire altri uguali ma più piccoli: la nostra esperienza dimostra che basterebbe molto meno". O molto di più, dipende dai punti di vista: cosa c’è di più facile, in fondo, che dichiarare uno "matto" e buttare la chiave? Giorgio è uno dei suoi nove ospiti, sei fissi e tre in permesso. Ha 40 anni e la sua storia è questa: "Facevo il pizzaiolo in provincia di Taranto, ero piuttosto bravo. Per otto anni lo avevo fatto anche in Germania. A un certo punto, durante un ritorno a casa, sono caduto in un periodo di brutta depressione. E un giorno, nel mezzo di una discussione in famiglia, mi sono chiuso in bagno con una bombola di gas. Non avrei fatto niente di più, era solo un gesto teatrale. All’arrivo dei carabinieri sono uscito. Ma mi hanno dato l’incapacità al 75 per cento e condannato a cinque anni per tentata strage. All’Opg di Barcellona ne ho fatti quattro, l’anno scorso mi ha tirato fuori don Pippo e ora sono qui da lui". Anche lui, come altri ospiti della Casa, lavora nel laboratorio di ceramica che il sacerdote ha avviato con l’aiuto del maestro d’arte Maurizio Calabrò. L’associazione "Stop Opg", che da anni invoca la chiusura di quelli che prima del politically correct venivano chiamati senza troppi complimenti manicomi criminali, continua a raccogliere in questo senso adesioni che vanno dai sindacati a don Ciotti, imprenditori e docenti universitari: "Non è un problema di edilizia carceraria - si legge in sintesi sul loro sito - e dire che servono nuove strutture è una scusa". Numerosi artisti, come all’epoca del Cavallo Azzurro di Basaglia, si sono mobilitati ciascuno a modo proprio: con poesie come quella di Rita Filomeni, scritta apposta per questo "primo aprile della proroga", o con disegni come quello di Adamo Calabrese, illustratore di Gibran, entrambi pubblicati in questa pagina. Giuseppe, 41 anni, nella Casa di don Pippo è arrivato dall’Opg sette mesi fa: "Avevo violato una diffida, andando in un paese che mi era stato vietato in seguito a una lite in un bar. Non so perché mi hanno dato l’incapacità. Se non era per don Pippo ero ancora dentro, lo ricordo come un incubo: le feci per terra dei pazzi veri, le risse... ora faccio il giardiniere sia qui sia in città, possiamo uscire ogni giorno dalle sette di mattina alle nove di sera. Sto aspettando il mio fine pena, ma intanto ho ricominciato a vivere". Certo, c’è anche chi ha alle spalle reati più gravi. Come Antonio, 61 anni: "Dieci anni fa ho ucciso mia moglie, in una crisi di gelosia. Dopo diciotto mesi in carcere mi hanno mandato all’Opg, dove sono rimasto sette anni. Fino a otto uomini nella stessa cella. Ricordo soprattutto l’odore pesantissimo, le persone più agitate che venivano legate nude al letto con un buco per i bisogni che cadevano sul pavimento. Ricordo quelli che ho visto morire suicidi: chi con un sacchetto in testa, chi appeso a una sbarra". Costantino invece, 40 anni, era finito dentro dopo una lite coi carabinieri. "Soffrivo di epilessia, ero senza dimora, al processo per direttissima dissero che dovevo essere mandato in una casa di cura. Mi ritrovai in una cella dell’Opg. Dovevo starci un anno, ci sono rimasto ventisei mesi". Per vivere, prima, faceva quadri e disegni che vendeva a cinque euro l’uno. Adesso ha imparato a lavorare la ceramica. Giustizia: ministro Orlando in Marocco per firma accordi bilaterali in materia giudiziaria Il Velino, 1 aprile 2014 Missione in Marocco per il ministro della Giustizia Andrea Orlando che partirà questo pomeriggio per Rabat dove domani ha in programma una serie di incontri e la stipula di alcuni accordi. Il Guardasigilli incontrerà in mattinata il Primo Presidente della Corte di Cassazione di Rabat, Mustafa Fares, e il Delegato Generale dell’Amministrazione Penitenziaria e del Reinserimento, Mohamed Saleh Tamek. Nel pomeriggio Orlando incontrerà il ministro della Giustizia e delle Libertà del Marocco, Mustafa Ramid, con il quale sottoscriverà due Accordi bilaterali in materia giudiziaria. Giustizia: l’orco in salotto… dopo i processi per pedofilia il 50% dei colpevoli va a casa di Caterina Pasolini La Repubblica, 1 aprile 2014 La metà dei condannati ha la pena sospesa e torna vicino alle vittime. 8 pedofili su dieci sono parenti e amici, il 31% delle mamme non crede ai racconti dei figli se accusano il padre. E gli esperti chiedono di cambiare la legge per difendere i bambini. Anna è stata violentata per anni dal padre sotto gli occhi della mamma che ha finto di non vedere, di non capire. E non le ha creduto neppure quando ha trovato il coraggio di parlare. Maria gli ha incubi tutte le notti da quando l’amico di famiglia l’ha obbligata per mesi a "giocare" con lui mentre Silvia non vuole più andare a catechismo e per settimane non ha trovato la voce per dire cosa le faceva il sacerdote, per raccontare l’indicibile. Anna e altre, vittime quotidiane di pedofili, soprattutto di parenti (29%), aggredite da amici di famiglia, conoscenti e vicini di casa (39%). Da persone che avrebbero dovuto accudirle, proteggerle come insegnanti e religiosi (10%). Adulti che, nella metà dei casi, grazie al rito abbreviato e alla legge che lo prevede, hanno avuto condanne miti, due anni di media e soprattutto la pena sospesa. Uno su due fuori dal carcere (51,7%). Liberi di tornare alle loro case, vicino, accanto ai minorenni, agli adolescenti che li hanno denunciati vincendo minacce, paure, pressioni psicologiche e vergogna. E per i piccoli, ricomincia l’inferno. Con l’orco accanto. A fotografare la drammatica situazione in cui vivono le vittime dei pedofili in Italia, Giuliana Olzai, esperta in statistica, che ha spulciato tre anni di carte e 180 processi e sentenze del tribunale di Roma che hanno visto 196 imputati accusati di violenze sessuali, il 77% condannati per abusi su 238 vittime, di cui 185 bambine e 53 maschi. Numeri, statistiche, storie e racconti agghiaccianti raccolti in un volume, "Abuso sessuale sui minori, dinamiche e testimonianze", edizioni Antigone. "Spero serva a far cambiare la legge. Ora si concedono i benefici di legge e la sospensione della pena con la presunzione che nel futuro il condannato si astenga dal ripetere le violenze, ma è un assurdo: quando vengono scoperte durano in media da un anno, se compiute ad una persona esterna alla famiglia, più di tre se è un parente che abusa". Così dice la studiosa e concorda il professor Luigi Cancrini, psichiatria e psicoterapeuta. "Difficile pensare che non ripetano la violenza soprattutto contando che, nella maggior parte dei casi nulla a livello psicologico è cambiato, in Italia quello che manca è un adeguato intervento terapeutico. L’Europa ha addirittura fondi desinati alle cure per pedofili, eppure noi siamo tra i pochi paesi che non li hanno mai usati". In Italia infatti non è previsto, come accade invece in Francia per chi è accusato di abusi su minori, la possibilità di seguire un percorso di cura psicologica, un legame tra pena e riabilitazione. Non solo, racconta la professoressa Olzai. Molto spesso a chi abusa, se compie atti diversi dallo stupro, viene riconosciuta l’attenuante speciale del caso di minor gravita. Così capita che un padre, un amico di famiglia che ha violato per anni e anni di un bambino o di una ragazzina abbia una condanna più mite di un molestatore di autobus". E sono tanti. Perché l’orco purtroppo abita qui, accanto alle sue vittime, ha il volto che i bambini conoscono, amano. Dal quale non sanno difendersi quando li invita al "gioco", quando li minaccia obbligandoli al silenzio, Hanno media 9 anni quando subiscono la prima violenza, raccontano gli atti processuali, 11,3 quando scatta la denuncia. Ma questa è la media, guardando i singoli casi passano anche dai 5 ai dieci anni prima che la vittima trovi il coraggio di parlare, di denunciare parenti o amici di famiglia. Perché sono i processi a dirlo: il nemico è in casa, non è uno sconosciuto: il 14,3 abusato da genitore, il 14,7 da altro familiare, amico di famiglia 19,7 amico, conoscente 9,3 vicino di casa 10,5, insegnante, bidello, religioso, 10,1. Solo nel 19,7 % dei casi a compiere l’aggressione è uno sconosciuto. E anche quando trova la forza di vincere minacce e vergogna troppo spesso non viene creduto. Soprattutto se l’aguzzino è un familiare. Il 31% delle madri non crede infatti al racconto di figli o bambine se accusano di violenza il padre o il suo compagno, mentre il piccolo trova fiducia nel 64% dei parenti e nel 90 % degli estranei. Giustizia: uccise tre passanti, la difesa chiede l’assoluzione "è schizofrenico paranoide" Il Giorno, 1 aprile 2014 È cominciata l’udienza odierna del procedimento a carico di Adam Kabobo, il ghanese che lo scorso 11 maggio ha ucciso a picconate tre persone in strada. Lo straniero è stato accompagnato in aula dagli agenti della polizia penitenziaria. Indossa una tuta da ginnastica, scarpe da tennis e un paio di occhiali da vista. Davanti al giudice per l’udienza preliminare Manuela Scudieri hanno preso parola gli avvocati di due parti civili e i difensori dell’imputato. La difesa ha chiesto l’assoluzione per "totale infermità di mente". "Kabobo soffre di schizofrenia paranoide - hanno dichiarato gli avvocati Francesca Colasuonno e Benedetto Ciccarone all’uscita . Questo è un dato accertato e ora sta al giudice valutare. C’è da precisare, inoltre che anche se il nostro assistito verrà assolto per infermità, non tornerà libero ma gli verrà applicata una misura di sicurezza, ossia dovrà rimanere per anni in un ospedale psichiatrico giudiziario, data anche la sua pericolosità sociale". I legali hanno chiesto per il ghanese "l’infermità mentale totale sulla base di dati oggettivi riportati in alcune perizie depositate agli atti". Lo scorso 10 marzo, il pm Isidoro Palma aveva chiesto un condanna a 20 anni, riconoscendo l’attenuante della semi-infermità mentale e gli sconti di pena previsti dal rito abbreviato. Il pm aveva chiesto 6 anni in una casa di cura e custodia come misura di sicurezza a pena espiata. Il magistrato si è richiamato principalmente alla perizia psichiatrica, depositata lo scorso ottobre e firmata dallo psichiatra Ambrogio Pennati e dalla criminologa Isabella Merzagora, che aveva riconosciuto un vizio parziale di mente per il ghanese che soffre di "schizofrenia paranoide", ma aveva anche evidenziato che la sua capacità di intendere al momento dei fatti non era "totalmente assente" e quella di volere era "sufficientemente conservata". nelle scorse settimane. La sentenza è prevista per il prossimo 15 aprile. La perizia degli psichiatri, come noto, non ha offerto al ghanese pluriomicida la scappatoia dell’incapacità totale d’intendere e di volere, per cui non avrebbe subito un processo, ma sarebbe stato affidato a un ospedale psichiatrico giudiziario, con check-up dello stato mentale cadenzati e stabiliti dal giudice. Quella complessa perizia ha invece decretato Mada Kabobo affetto da una consistente psicosi schizofrenica, con una capacità di intendere "grandemente scemata, ma non totalmente assente", e con la capacità di volere "sufficientemente conservata". Dunque in grado di sostenere un processo, in cui, però, gli è stato essere riconosciuto il vizio parziale di mente. Nei giorni scorsi Kabobo, che è tenuto sedato e capisce a stento le fasi del processo, ha ricevuto la visita dell’interprete dell’ambasciata ghanese italiana, Nancy, l’unica in grado di agevolare la comunicazione fra il mondo e l’imputato. La donna ha tradotto per lui le memorie delle parti civili e le loro conclusioni. "Anche in caso di condanna qualsiasi pena per me non sarà soddisfacente, perché io voglio portare avanti e continuare a combattere questa battaglia per mio padre". Lo ha dichiarato a margine dell’udienza a carico di Adam Kabobo, Andrea Masini, figlio di Ermanno Masini, una delle tre vittime del ghanese. La sentenza è attesa per il 15 aprile. La Russa (Fdi): per Kabobo serve pena certa A Adam Kabobo, il ghanese che lo scorso 11 maggio uccise tre passanti a colpi di piccone a Milano, deve essere inflitta "una pena severa, giusta e certa". Lo ha affermato il deputato di Fratelli d’Italia - Alleanza Nazionale, Ignazio La Russa, nel corso di un sit-in davanti al Tribunale del capoluogo lombardo, organizzato dal partito per chiedere "giustizia per le vittime" e per manifestare contro "l’ingiustizia per tutte quelle sentenze che umiliano le vittime e i loro parenti". Nel pomeriggio al settimo piano del Palazzo di Giustizia milanese si terrà un’udienza davanti al gup nella quale parleranno gli avvocati di Kabobo, per il quale il pm nelle scorse settimane ha chiesto una condanna a 20 anni di carcere e a 6 anni di casa di cura e custodia come misura di sicurezza (è difficile che la sentenza arrivi oggi). I tre omicidi commessi dal ghanese, secondo l’ex ministro La Russa, sono "reati da ergastolo", ma il pm, ha spiegato ancora il deputato, "ha correttamente applicato la legge", chiedendo 20 anni (il massimo della pena con lo sconto del rito abbreviato e il riconoscimento della semi-infermità mentale). Per il capogruppo Fdi al Consiglio comunale di Milano, Riccardo De Corato, "se non merita l’ergastolo Kabobo che ha ammazzato tre persone a sangue freddo, chi lo merita?". Per La Russa, "questa non è una manifestazione contro la giustizia, noi chiediamo il massimo del garantismo per gli imputati e il massimo della severità per i condannati. Guai - ha concluso La Russa - a privilegiare chi commette reati e ad abbandonare le famiglie delle vittime". Lettere: aprile 2010 - aprile 2014…. buon compleanno funzionari giuridico pedagogico! di Emanuela Cimmino Ristretti Orizzonti, 1 aprile 2014 Era il 22 gennaio 2010 quando circa 297 vincitori di un concorso durato fin troppo tempo sono state sottoposte alla scelta della sede lavorativa. Erano i futuri, sono gli attuali educatori penitenziari che con il loro bagaglio culturale stracolmo di elementi di pedagogia penitenziaria, ordinamento penitenziario, sociologia e psicologia della devianza, e ciascuno con le proprie aspettative ed i propri progetti futuri, hanno salutato parte del passato per iniziare una nuova vita. Molti si sono allontanati dalle proprie famiglie e sperano di riabbracciarle, ma non solo per le festività, diversi, per un motivo o per un altro (distacco, trasferimento, matrimonio, maternità, legge 104/92) anche dopo pochissimi mesi di lavoro sono ritornati a casa ed il lavoro in carcere paradossalmente è meno sentito, è meno pesante. Sono trascorsi quattro anni e nonostante le difficoltà, i lati oscuri, i momenti tristi e dolorosi che caratterizzano il lavoro dell’educatore penitenziario, perché dopo tutto si ha a che fare con il dolore, le storie degli altri, quei 297 educatori aggiunti ad altri cento assunti in un periodo precedente e poi agli idonei, ci sono. Ci sono ogni giorno con il loro entusiasmo, la voglia di fare e di credere, con la voglia di cambiare un sistema che forse nel suo piccolo può cambiare, con quella creatività costruttiva capace di fare di un’attività trattamentale un’occasione alternativa per discutere e riflettere sui propri sbagli, ci sono nonostante i No, i Forse, i si è sempre fatto così, scendi dal piedistallo, perché la novità, spesso, fa paura; le nuove metodologie e le nuove strategie richiedono di attivarsi, di cambiare e c’è chi non vuole cambiare, perché fa del lavoro solo un pretesto per i propri bisogni economici. Ed invece tra i 297 funzionari che hanno messo piede per la prima volta in carcere il 12 aprile 2010, eccetto qualcuno con pregresse esperienze di volontariato, c’è chi fa del suo lavoro la sua passione, e si impegna con tutte le forze anche quando queste possono portare allo stress psico-fisico, anche quando arriva il momento di staccare, perfino quando si torna a casa, perché è difficile nel nostro lavoro staccare le due dimensioni, la professione ed il privato. 297 educatori che il 12 aprile 2014 spegneranno le candeline con i propri familiari o con i colleghi, tra le mura di casa o allo spaccio o presso la sala riunione dove ogni settimana si riunisce l’equipe per discutere sulla sorte dei ristretti. Quattro anni, durante i quali, a qualcuno è stata data la possibilità di crescere professionalmente, a qualcun altro meno, le situazioni sono varie e contestuali; quattro anni durante i quali qualcuno ha assunto ruoli di coordinamento e responsabilità occupandosi perfino del Benessere del personale, qualcun altro elabora solo istanze ed effettua colloqui vivendo la quotidianità; sono passati quattro anni e sono cambiate molte cose, in primis la vita, le abitudini, i ritmi, le sensazioni. Ci sono educatori bravi e meno bravi, quelli pratici e quelli idealisti, quelli impulsivi e quelli emotivi, ci sono educatori factotum che svolgono funzioni anche di segretario tecnico laddove l’Area Trattamentale ne è sprovvista ed educatori pigri, ci sono educatori genitori e chi vorrebbe esserlo, i comunicatori ed i solitari, i supporter ed i narcisisti, gli educatori filosofi e gli educatori razionali, ognuno con il proprio sapere, saper fare e saper essere. Buon compleanno a tutti i funzionari giuridico pedagogici assunti il 12 aprile 2010, auguri a chi in questi anni si è adattato alla nuova terra ed a chi si augura di andare altrove, auguri a chi torna stanco a casa ma con la gratificazione nel cuore ed auguri anche a chi torna stanco e frustrato ma con la voglia di riprovarci e scommettere. Auguri a chi ha desiderato da sempre di essere un educatore penitenziario e lo è diventato sebbene diversamente dalle proprie aspettative. Auguri, da un’educatrice che ama il suo lavoro, le sfide, che ogni giorno ci mette entusiasmo e grinta, auguri da un’educatrice che a volte soffre perché si sente sola nel cambiamento, auguri da un’educatrice che ama il confronto e la comunicazione. Auguri da un’educatrice che quattro anni fa ha fatto la scelta di mettere in discussione la sua vita. Dr.ssa Emanuela Cimmino Funzionario Giuridico Pedagogico 2010-2014 Sicilia: Ugl; nelle carceri una situazione drammatica", oggi manifestazione a Palermo Italpress, 1 aprile 2014 "Oggi l’Ugl Polizia Penitenziaria, insieme alle altre sigle sindacali, sarà in piazza a Palermo per chiedere alle istituzioni di farsi carico delle gravi carenze che affliggono il comparto, a partire dalla forte carenza di organico in particolare in Sicilia dove la situazione è molto più critica che in altre regioni d’Italia". è quanto si legge in una nota della segreteria nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, in cui si aggiunge che "alla manifestazione, che partirà dal carcere storico dell’Ucciardone e si concluderà davanti alla Prefettura, parteciperanno il segretario nazionale, Giuseppe Moretti, il vice segretario nazionale, Tonino Mancini, la responsabile del Comitato Pari Opportunità della Federazione, Iole Falco, e il segretario regionale di categoria, Francesco D’Antoni". "In Sicilia - spiega ancora la nota, la situazione è davvero critica e mentre si continua a non tenere conto delle esigenze organizzative, che aumentano ogni giorno, i diritti contrattuali del personale risultano sempre più compressi. Per colmare il divario esistente tra l’aumento del numero dei detenuti e la forte carenza d’organico servirebbero ben 800 unità in più, senza contare l’imminente apertura di nuovi padiglioni, come quello di Palermo Pagliarelli, con ben 400 posti disponibili. Non si può continuare a pensare di risolvere una situazione così critica solo con gli agenti già disponibili sul territorio che per far fronte a carichi di lavoro eccessivi sono costretti a turni di servizio massacranti, spesso rinunciando al congedo ordinario, con seri rischi anche per la sicurezza". "C’e bisogno, soprattutto in questa regione, di un piano di arruolamenti straordinario: si tratta - conclude la nota - di un atto dovuto per far fronte alle difficoltà delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria che ogni giorno con impegno opera in un territorio dove la criminalità organizzata ha profonde radici e spesso la gestione dei detenuti, anche di quelli ristretti per reati di tipo comune, diventa ancora più difficile". Basilicata: Ugl; Provveditorato regionale alle carceri accorpato con quello della Calabria www.basilicata24.it, 1 aprile 2014 Non ci sono ancora le macro regioni ma la Basilicata sta già scomparendo. Pezzi della nostra amministrazione vengono accorpati a quelle di Regioni limitrofe. Adesso è il turno del Provveditorato regionale per l’amministrazione penitenziaria della Basilicata che, come si legge dalla nota di Vito Messina dell’Ugl polizia penitenziaria di Basilicata, verrà accorpato alla direzione della Calabria. Fratelli d’Italia - Alleanza Nazionale Basilicata ritiene destabilizzante un provvedimento con il quale, in una situazione critica come quella delle carceri italiane, si pensi di sopprimere i provveditorati regionali che sono fondamentali articolazioni della Regione a presidio della tutela del sistema penitenziario tutto e degli addetti al comparto che operano in Basilicata. Per tale motivo, aderendo alla sollecitazione della Ugl Polizia Penitenziaria Basilicata, abbiamo presentato una mozione al Consiglio regionale affinché la Giunta assuma l’impegno di un’azione politica finalizzata ad evitare la chiusura del Provveditorato Regionale per l’Amministrazione Penitenziaria per la Basilicata. Anche su questi argomenti il Presidente Pittella è chiamato a rispondere. Fratelli d’Italia - Alleanza Nazionale Basilicata è convinta che le "rivoluzioni" si fanno anche conservando. In questo caso è indispensabile conservare le nostre amministrazioni territoriali. Basilicata: Bolognetti (Radicali) interroga governatore Pittella sulla situazione carceraria www.radicali.it, 1 aprile 2014 Nota di Maurizio Bolognetti, Direzione Radicali Italiani e Consigliere Associazione Coscioni. "A più riprese le massime Istituzioni della Regione Basilicata hanno espresso il loro sostegno all’Iniziativa Radicale volta a legalizzare l’amministrazione della giustizia e le immonde carceri di un Paese che sembra aver rimosso finanche il ricordo di quanto scritto da Cesare Beccaria nel suo "Dei Delitti e delle Pene". Il sostegno dell’Ente Regione si è concretizzato negli scorsi anni con la partecipazione alla marcia del 25 aprile 2012, con l’approvazione di una delibera in data 24 luglio 2012 e con numerosi altri interventi. Nella sopracitata delibera a sostegno dell’appello Prntt / Pugiotto, votata all’unanimità dalla Giunta guidata da Vito De Filippo, era tra l’altro dato leggere: "La questione Giustizia-carceri è davvero di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile[...] Il Parlamento adotti misure adeguate per assicurare una rapida e dignitosa soluzione ad una crisi che ha causato al nostro Paese diverse sentenze di condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo". Oggi, a meno di due mesi dalla scadenza della cosiddetta "Sentenza Torreggiani", l’attuale Presidente della Giunta regionale Marcello Pittella, più volte sollecitato ad intervenire sul tema, si è trincerato dietro un assordante silenzio. Pochi giorni fa, il 18 marzo, in una lettera aperta scrivevo: "Noi chiediamo in primis al Governatore della regione Basilicata, ai sindaci, ai nostri rappresentati al governo(Vito De Filippo e Filippo Bubbico), ai nostri Parlamentari, di fare quanto è in loro potere per sollecitare interventi che pongano fine alla flagranza di reato in atto contro i diritti umani e la Costituzione. In particolare, chiediamo al Governatore Marcello Pittella, al Presidente del Consiglio Piero Lacorazza, di attivarsi per far in modo che il Consiglio Regionale si esprima con un ordine del giorno indirizzato al Presidente del Consiglio, al Ministro della Giustizia, ai Presidenti di Camera e Senato. Questa giustizia può colpire chiunque ed é una zavorra che ci sta portando a fondo. Stiamo annegando, signori, amici, nell’indifferenza, nell’assenza di dibattito, di decisioni da prendere che continuano ad esser rinviate. Ciascuno di noi é responsabile di quello che fa o che non fa: pensieri, opere, omissioni e azioni. Stiamo annegando nell’assenza di Stato di diritto, di democrazia, di legalità. Occorre, ora, oggi, subito, intervenire con un provvedimento di Amnistia, che è in primis - lo ripeto - di Amnistia per la Repubblica. Parliamone, agiamo; ci riguarda, vi riguarda. Agiamo prima che sia troppo tardi; prima che il costo in vite umane cresca ulteriormente. Abbiamo contato gli anni, ora contiamo i giorni". Signor Governatore, torno a porle la domanda: niente da dichiarare? P.S. Dalle ore 23.59 del 31 marzo, e per i successivi 7 giorni, mi unisco all’iniziativa nonviolenta in corso che vede la segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini al 32° giorno di sciopero della fame. Invito tutti coloro che saranno raggiunti da questo messaggio a dar forza al Satyagraha radicale, sottoscrivendo sul sito www.radicalparty.org l’appello "Abbiamo contato gli anni, ora contiamo i giorni". Lamezia Terme: Pd; la chiusura della Casa circondariale cittadina è una scelta sbagliata Giornale di Calabria, 1 aprile 2014 "La chiusura improvvisa della Casa Circondariale di Lamezia Terme rappresenta una scelta sbagliata ed assume il sapore della beffa se si considera che solo il giorno prima (il 27 marzo) è stato inaugurato, all’interno della medesima struttura penitenziaria e alla presenza di istituzioni civili e religiosi, ivi compresi Francesco Talarico, presidente del Consiglio Regionale della Calabria, Wanda Ferro, commissario straordinario della Provincia di Catanzaro, e Gianni Speranza, sindaco di Lamezia Terme, uno sportello informativo sul lavoro a cura del Centro per l’Impiego". È quanto si legge in una nota dell’Ufficio stampa della segreteria provinciale del Pd di Catanzaro. "La soppressione del presidio penitenziario, non solo ha già determinato il trasferimento immediato in altre strutture carcerarie di tutti i detenuti - prosegue il Pd - ma comporterà il trasferimento in altre sedi del personale di polizia penitenziaria, circa settanta lavoratori che prestano servizio a Lamezia e ivi vivono con le proprie famiglie, al cui inevitabile ed importante disagio si unirà quello degli operatori di diritto (avvocati, magistrati). La chiusura della Casa Circondariale priva in maniera ingiustificata la città di Lamezia Terme, da sempre impegnata in prima linea nella lotta alla criminalità, di un fondamentale presidio di legalità e sicurezza che inevitabilmente indebolisce e depaupera ancor di più l’apparato di giustizia del territorio lametino. La Segreteria provinciale Pd di Catanzaro, nell’esprimere piena solidarietà e vicinanza a tutti i lavoratori impiegati nella struttura carceraria di Lamezia Terme a nome di tutta la Federazione provinciale, sin da subito si attiverà, attraverso la propria Deputazione Regionale e Parlamentare, assumendo ogni possibile e necessaria iniziativa volta a scongiurare la formale soppressione dell’Istituto Penitenziario di Lamezia Terme". Ragusa: incontro tra gli studenti dell’Istituto "Galilei-Campailla" e i detenuti di Modica www.radiortm.it, 1 aprile 2014 La scuola come luogo di educazione alla legalità, al rispetto della diversità e al superamento del pregiudizio, è un orizzonte importante nella formazione degli studenti, atteso che è suo compito aiutare i giovani ad accettare di vivere la complessità: non ci sono buoni o cattivi, il male e il bene non si dividono così facilmente, la vita delle persone è ben più complicata, e nessuno può pensare di essere immune dal male e di poter giudicare con intransigenza chi si macchia di un reato. In questo quadro culturale e formativo si inserisce il progetto "La scuola incontra il carcere", proposto dai docenti di religione dell’Istituto, Eleonora Rinzivillo, Giuseppa Gugliotta e Domenico Pisana, progetto che si snoderà in tre incontri tra studenti delle quinte classi e i detenuti del penitenziario di Modica alta. Gli incontri si svolgeranno il 3, il 7 e il 9 aprile , dalle ore 8,30 alle ore 12,30. Al primo incontro parteciperà anche il Dirigente scolastico del "Galilei-Campailla", che ha condiviso e sostenuto il progetto affermando che occorre "mettere in crisi l’idea che in carcere ci stiano i predestinatì quelli che si sapeva che prima o poi ci sarebbero finiti e che è importante sul piano umano ed educativo aprire il carcere a pezzi di società, come appunto il mondo della scuola". Gli incontri prevedono, dopo il saluto del Direttore del carcere, dott.ssa Giovanna Maltese, e del Dirigente Carrubba, un confronto tra il gruppo degli studenti e i detenuti sul tema: devianza, legalità, rispetto delle regole e pregiudizio visti dal carcere e fuori dal carcere, nonché singoli interventi sia degli studenti che dei detenuti. Sulmona (Aq): visita al carcere dell’on. Melilla (Sel), corsi universitari per 5 detenuti di Maria Trozzi www.quiquotidiano.it, 1 aprile 2014 Quasi 500 detenuti ad alta sicurezza (ex 41 bis e 416bis c.p.) nel carcere di Sulmona. Ottanta di loro sono studenti che frequentano la scuola elementare, le medie e le superiori, accolti dagli insegnanti nelle aule del penitenziario. Molti seguono le lezioni e presto alcuni si loro si diplomeranno in Agraria. Sono 5 gli iscritti ai corsi universitari. Uno segue il corso di laurea in Sociologia, un altro s’impegna per conseguire una laurea specialistica in Storia, studio matto e disperato anche per gli altri che puntano alla laurea in Giurisprudenza. Studenti modello, a quanto pare, seguiti da docenti e piuttosto presi ad imparare, a conoscere per tentare quel passo importante che porta al cambiamento. Questo è il carcere più grande d’Abruzzo. "La casa di reclusione di Sulmona nasce come struttura di eccellenza e garantiva ad ogni singolo detenuto una cella dotata di servizi igienici. Il sovraffollamento ha costretto al raddoppio e quello che era uno spazio da garantire al singolo è stato diviso in due, con i letti a castello, ma sempre entro i limiti di spazio garantiti dalla legge - dichiara il deputato di Sel, Gianni Melilla, oggi in visita ispettiva nella Casa di reclusione della valle Peligna - in passato il rapporto era di un agente per detenuto, con la spending review a Sulmona gli agenti sono 253, 40 sottufficiali, e almeno per i pluriergastolani il rapporto dovrebbe essere mantenuto" . Melilla è arrivato alle 10 nel carcere di Sulmona, ha incontrato e parlato a lungo con il direttore, Luisa Pesante, e con il Comandante della struttura, Pierluigi Rizzo che lo ha accompagnato in visita nei padiglioni. La visita è durata più di 2 ore e l’onorevole, impegnato a conoscere la realtà delle carceri italiane, ha potuto costatare di persona il grande lavoro che si svolge nel penitenziario abruzzese. "Ringrazio il direttore Pesante e il Comandante Rizzo per la loro grande disponibilità". Puntuale come al solito, a mezzogiorno, il deputato ha incontrato i giornalisti per fare il punto sul carcere di Sulmona: "Il mio più forte apprezzamento alla Polizia Penitenziaria di Sulmona per l’abnegazione e tutta la mia solidarietà ai 5 agenti feriti in un incidente stradale durante una traduzione in Basilicata. Per poter rispondere al carico di lavoro che richiede la struttura questi agenti fanno 40 ore di straordinario e se fino al momento non ci sono state evasioni è per l’impegno che con sacrificio portano avanti questi uomini grazie al notevole livello di preparazione che hanno". Niente tossicodipendenti al carcere ovidiano. la droga è off limits perché l’affiliazione ai clan vieta l’uso di queste sostanze. All’istituto detentivo sono affidati 170 ergastolani e pluriergastolani che, a differenza dei collaboratori di giustizia ospitati, non hanno accesso ai benefici di legge: "Occorre puntare sulla redenzione, l’accesso ai benefici dovrebbe essere garantito anche a chi ne è escluso, se si comporta bene! - il deputato ha presentato una proposta di legge per l’abrogazione dell’ergastolo e del carcere di via Lamaccio racconta. Ci sono persone che hanno alle spalle una lunga detenzione con diverse patologie fisiche e psichiche. È vero, 5 medici e 12 infermieri nel presidio garantiscono assistenza sanitaria H24, ma non quella specialistica con un aggravio dei costi" riferisce Melilla. Una falegnameria, una pelletteria e una sartoria impegnano quotidianamente quasi 500 detenuti: "Agli ergastolani va garantito un lavoro anche se hanno fatto errori gravissimi - dichiara il deputato di Sel - Le tre officine della casa di reclusione di Sulmona sono efficienti. C’è una sartoria dove si producono camici bianchi, una calzoleria-pelletteria per realizzare scarpe e borse e una falegnameria". L’8 Marzo gli operai di via Lamaccio hanno fabbricato degli oggetti in legno per le detenute di Rebibbia. Il deputato è rimasto piacevolmente sorpreso dal ricordo che il penitenziario sulmonese conserva di Armida Miserere. All’ingresso dell’ufficio del direttore del carcere su di un tavolo sono gelosamente custoditi alcuni oggetti appartenuti al grande direttore scomparsa 10 anni fa. Di ottima fattura anche la libreria realizzata dai detenuti per l’ufficio del direttore ricca di testi interessanti. L’onorevole Melilla si sta attivando per incrementare il fondo Mercedi, i tagli stanno compromettendo anche il recupero dei detenuti lavoranti. Il parlamentare chiarisce: "In questo carcere si sta allentando il rapporto con le famiglie perché arrivare dalla Sicilia è una spesa, si preferisce inviare dei pacchi. Non hanno soldi. Nel carcere non ci sono boss, ma manovalanza e parliamo di persone che non vedono le famiglia da moltissimi mesi e sono a carico della stessa. Il morale cade a pezzi!". Cinque rieducatori ed uno psicologo devono assistere quasi 500 detenuti nella struttura. Il parlamentare interverrà anche per migliorare le condizioni di sicurezza del carcere, per garantire nuove risorse di personale: "Almeno 40 agenti in più! Dovete sapere che in carcere ci sono due tipi di detenuti e lo Stato deve garantire un livelli di umanità ai reclusi e ai poliziotti". Terni: in carcere un corso di micologia aperto alle forze di polizia del territorio Il Messaggero, 1 aprile 2014 Per la prima volta la micologia entra in carcere. A partire da lunedì e per nove lezioni, infatti, un contingente della Polizia Penitenziaria e del personale del comparto ministeri in servizio presso la Casa circondariale di Terni, parteciperà a un corso micologico di base proposto e tenuto dagli esperti del Gruppo Micologico ternano. L’offerta formativa interesserà anche altre forze di polizia del territorio ternano. Si tratta del primo corso del genere dedicato alle forze dell’ordine, ed è finalizzato al conseguimento di un attestato personale di frequenza che verrà consegnato al termine delle lezioni ai partecipanti che avranno seguito il corso per almeno sedici ore. L’attestato consentirà poi di richiedere il tesserino di autorizzazione alla raccolta dei funghi spontanei in alcune Regioni italiane, tra cui Lazio e Marche, molto frequentate dai raccoglitori di funghi ternani. Il corso si terrà nella sala conferenze della casa circondariale dal 31 marzo al 5 maggio, il lunedì e il giovedì dalle 16 e 15 alle 18 e15. Durante il corso verranno fornite le nozioni necessarie per un sicuro riconoscimento dei funghi spontanei commestibili, velenosi, tossici o non commestibili. Il corso è gratuito. Bologna: alla Dozza detenuto incendia oggetti della cella, evacuata sezione per fumo Ansa, 1 aprile 2014 Un episodio che la dice lunga sulla sicurezza nelle carceri italiane. A Bologna i detenuti della Dozza hanno dovuto abbandonare una delle sezioni per via di un incendio che ha causato del fumo, rendendo l’aria irrespirabile. Il motivo del rogo è stata la mano di un ristretto, italiano, che ha incendiato alcuni oggetti contenuti nella sua cella. Una nube ha invaso l’intera sezione, rendendo necessario lo spostamento dei reclusi in un altro reparto. Inoltre, tre agenti di polizia penitenziaria sono rimasti intossicati e per questo portati subito in ospedale. Lo ha reso noto il sindacato Sappe che torna a sottolineare la difficoltà con cui si trovano ad operare gli agenti per via della scarsità di uomini e mezzi nelle carceri. "Attualmente - ricorda il Sappe - nel carcere della Dozza ci sono circa 850 detenuti, per una capienza di 470 posti. Mancano circa 150 agenti". La Garante Desi Bruno: non può rimanere lì, necessita di cure in struttura idonea "È del tutto evidente che il ragazzo non può più stare in carcere, ma necessita di opportune cure in struttura idonea al suo stato di salute e comportamentale, diversa dall’Opg. La madre avrebbe già individuata una struttura sanitaria nel parmense, che già nel passato ha avuto in cura il giovane, e con la quale è in contatto". Così la Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, sul ragazzo detenuto nel penitenziario bolognese della Dozza, dove avrebbe dato fuoco alla cella. "Venerdì scorso - spiega Bruno - ho visto nell’infermeria del carcere della Dozza il giovane detenuto L.S di anni 24, segnalatomi nella stessa giornata da alcuni parlamentari e da Rita Bernardini, facendo richiesta di una verifica urgente relativamente alla sua critica situazione. Il ragazzo, con gravi problemi psichici, è stato visto dallo psichiatra e viene riferito che dopo un iniziale comportamento aggressivo (avrebbe brandito due lamette, subito tranquillizzato dagli agenti intervenuti) appariva più sereno". Prosegue la Garante: "Ho verificato che L.S., a partire dal 2012, ha avuto una serie numerosa di trasferimenti nelle carceri dell’Emilia-Romagna ed è stato altresì ricoverato in Opg per osservazione psichiatrica. È arrivato al carcere di Bologna il 13 marzo dove avrebbe svolto colloqui con la madre. A me personalmente ha riferito, seppur in modo molto confuso, di voler andare a casa e di essere in attesa dei benefici penitenziari che, a suo dire, ritardano nell’arrivare. Sarebbe disponibile anche un collocamento in comunità". In ogni caso, "senza alcun dubbio il ragazzo mi è apparso molto sofferente e con evidenti difficoltà ad effettuare un dialogo compiuto". "Questa mattina ho ricevuto la telefonata della madre molto preoccupata. L. ha dato corso a comportamenti autolesionistici, con preoccupanti riflessi sia verso se stesso che verso gli altri, avrebbe dato fuoco alla cella dove si trovava dichiarando che voleva morire e molteplici sono stati gli sforzi da parte degli operatori e della polizia penitenziaria. È del tutto evidente che il ragazzo non può più stare in carcere, ma necessita di opportune cure in struttura idonea al suo stato di salute e comportamentale, diversa dall’Opg. La madre - chiude Desi Bruno - avrebbe già individuata una struttura sanitaria nel parmense, che già nel passato ha avuto in cura il giovane, e con la quale è in contatto". Ferrara: tensione davanti al carcere Arginone, i No Tav bloccano la via e la polizia carica di Federico Malavasi Il Resto del Carlino, 1 aprile 2014 Bottiglie, fumogeni, petardi slogan contro le istituzioni e traffico in tilt. Una mezzora ad altissima tensione quella che si è consumata intorno alle 18.30 di ieri davanti all’Arginone nel corso di una manifestazione No Tav (regolarmente autorizzata), alla quale ha dovuto porre fine una carica di alleggerimento del reparto mobile della questura. L’intervento degli agenti ha infatti convinto i manifestanti a rompere il presidio ed a ritirarsi prima che la situazione degenerasse ulteriormente. Si è concluso senza gravi conseguenze dall’una e dall’altra parte quindi il sit-in di protesta organizzato per il pomeriggio davanti alla casa circondariale. Manifestazioni alle quali ormai i movimenti antagonisti hanno abituato la città, soprattutto da quando le celle dell’Arginone ospitano un esponente di spicco del movimento che si oppone ai lavori per la linea ferroviaria in Val di Susa. Si tratta di Claudio Alberto, uno dei quattro No Tav recentemente arrestati con l’accusa di terrorismo. Ed è proprio in solidarietà al loro ‘compagno’ che oltre un centinaio di militanti del movimento si sono riuniti intorno alle 16. Inizialmente il gruppo si piazza davanti al parcheggio del personale del carcere. Le casse sparano musica ad alto volume e partono i primi cori zeppi di insulti contro le istituzioni. Qualche fumogeno e alcuni petardi: quello che in gergo viene chiamato il saluto anarchico. La manifestazione scorre abbastanza liscia fino a quando, a circa un’ora dalla conclusione, scatta il blitz. Il gruppo all’improvviso si muove e si piazza proprio al centro di via Arginone. L’intento, formare un cordone per bloccare il traffico. A quel punto la polizia decide di intervenire. Gli uomini del reparto mobile scendono dalla camionetta e si piazzano davanti al presidio No Tav. Nel frattempo la polizia municipale chiude l’accesso alla strada da un lato e dall’altro, deviando il traffico. La tensione è palpabile. Volano parole forti all’indirizzo degli agenti, insieme ad alcune bottiglie di birra. Esplodono petardi e vengono accesi fumogeni. L’aria ben presto diventa densa e irrespirabile. Il fumo raggiunge anche le abitazioni ai lati della strada, dalle cui finestre i residenti osservano atterriti le avvisaglie della tempesta. Parte una piccola carica di alleggerimento. Abbastanza per far sciogliere il cordone senza dare origine a scontri. I due schieramenti non vengono infatti mai a contatto e nessuno resta ferito. I manifestanti si allontanano alla spicciolata. Il tutto non dura più di mezz’ora e in breve gli agenti della questura, in collaborazione con i colleghi della polizia penitenziaria, riescono a ristabilire l’ordine. Sull’asfalto restano solo le tracce della battaglia sventata. Bottiglie rotte, cartelli divelti lungo il perimetro del carcere, resti bruciacchiati di fumogeni e le immancabili scritte su muri e cassonetti. Il loro personalissimo segno di congedo dai militanti detenuti. Un "arrivederci" al prossimo ‘saluto anarchico’. Vercelli: volontariato in carcere; al via corso del Csv, 6 lezioni dal 10 aprile al 19 giugno di Roberto Maggio La Stampa, 1 aprile 2014 A Vercelli sta per partire un corso per aspiranti volontari che vogliono dedicare un po’ del loro tempo a sostegno delle persone in carcere. L’iniziativa, la prima del genere nella nostra provincia, è promossa dall’associazione San Vincenzo De Paoli, in collaborazione con il ministero della Giustizia, la casa circondariale di Vercelli e l’Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna). Ente coordinatore, il Centro servizi per il volontariato di Vercelli. Si tratta di sei lezioni che si terranno dal 10 aprile al 19 giugno nella sede del Csv: l’obiettivo è di rendere consapevoli i partecipanti sul significato del volontariato in carcere, e di fornire loro le conoscenze e gli strumenti che li mettano in grado di offrire assistenza e un servizio efficace. "Durante il corso - spiega Tullia Ardito, direttrice del Billiemme - saranno forniti anche elementi di diritto penitenziario, e verranno approfonditi alcuni aspetti legali connessi alla detenzione in carcere e all’esecuzione della pena in misura alternativa: in questi momenti di sovraffollamento e di riduzione dei fondi per le carceri italiane, è importante istruire le persone sul modo migliore per affrontare i detenuti e le diverse situazioni interne al penitenziario". Una volta concluso il corso, i volontari verranno impiegati per diverse mansioni: dal supporto alle associazioni per la distribuzione dei prodotti, all’aiuto nei colloqui, o all’accompagnamento dei carcerati nelle visite fuori dalla struttura. Attualmente al Billiemme ci sono circa 300 detenuti; "la capienza è ridotta rispetto agli ultimi anni - continua Ardito. Ora è a regime aperto, cioè i detenuti possono rimanere più di otto ore al giorno fuori cella. I colloqui avvengono ogni giorno da lunedì al venerdì, e in un festivo al mese, e non ci sono più di due persone in ogni camera". Per partecipare è necessario avere compiuto 25 anni e non aver avuto condanne penali. Per informazioni e iscrizioni si può chiamare l’Uepe allo 0161-502236 o uepe.vercelli@giustizia.it. Genova: con "Incontro possibile" detenuti e bambini sul palco del Teatro della Corte Ansa, 1 aprile 2014 Mercoledì 23 Aprile 2014 al Teatro della Corte va in scena lo spettacolo "L’incontro possibile" di Anna Solaro, prodotto dal Teatro dell’Ortica e interpretato da alcuni detenuti del Carcere di Pontedecimo e dai bambini della scuola elementare Daneo. Lo spettacolo andrà in scena con doppia rappresentazione: alle ore 11 e alla ore 20:30. Sarà possibile acquistare i biglietti da martedì 1 Aprile presso il Teatro Stabile. "L’incontro possibile" nasce da un’esperienza di teatro sociale portata avanti da anni dal Teatro dell’Ortica che unisce due mondi all’apparenza molto lontani tra loro: il carcere e la scuola. Un gruppo di detenuti e detenute della struttura Circondariale di Pontedecimo, un gruppo di bambini, insegnati e genitori della scuola elementare Daneo e gli allievi del Teatro dell’Ortica metteranno in scena l’incontro tra i questi due mondi, tra chi sta dentro e chi sta fuori dalla prigione attraverso racconti a distanza. Si tratta di un progetto volto al reinserimento e alla risocializzazione delle persone detenute. Alghero: Niffoi incontra i detenuti di Alghero e presenta il suo libro da "Cyrano" La Nuova Sardegna, 1 aprile 2014 Salvatore Niffoi (premio Campiello nel 2006 con il suo romanzo "La vedova scalza") sarà ad Alghero giovedì per due incontri con i lettori promossi dalla libreria Cyrano e dall’Atelier di Antonio Marras e dedicati al suo nuovo romanzo dello scrittore di Orani, "La quinta stagione è l’inferno", appena pubblicato da Feltrinelli. Il primo, alle 9.30, è una occasione speciale. Niffoi racconterà il suo romanzo ai detenuti della Casa circondariale . È il terzo appuntamento di un ciclo promosso dalla direzione del Carcere in collaborazione con la libreria Cyrano. Alle 19 l’autore incontrerà il pubblico dei lettori nell’Atelier Antonio Marras e converserà del suo nuovo romanzo con Lalla Careddu e con Carlo Sechi. Protagonista de "La quinta stagione è l’inferno" è il bandito Bantine Bagolaris, che ritorna a Maragolò, in Barbagia, con un proiettile confitto in testa. Vuole raccontare al figlio il destino che gli ha segnato l’esistenza, ma lo farà solo a patto che il figlio giuri di non rivelare mai la sua confessione. Niffoi cerca nell’allucinazione della memoria il filtro che accende il delirio, il delitto, l’amore che gonfia il petto, e la musica della giovinezza. Droghe: stop alla criminalizzazione, negli Usa molti stati aprono all’approccio terapeutico Adnkronos, 1 aprile 2014 Dopo anni di linea dura, che ha avuto come effetto quello di riempire le carceri americane di piccoli spacciatori consumatori, molti stati americani si stanno orientando verso un approccio diverso, teso all’aiuto ed al recupero dei tossicodipendenti piuttosto che alla loro criminalizzazione. Ed in trentina di stati dal 2009 sono state approvate leggi che garantiscono l’immunità da incriminazioni per uso di droga chi chiama il 911 per segnalare un caso di overdose, e permettere che intervengano i soccorsi. In New Jersey, uno degli stati dove è stata approvata la "legge del buon samaritano", come è stata chiamata la misura, ad animare la campagna per la sua approvazione è stata Patty Di Rienzo, la madre di un ragazzo morto di overdose che forse si sarebbe stato salvato se i compagni non avessero avuto paura di finire in carcere chiamando il 911. Così la donna ha creato una pagina Facebook ed ha scritto praticamente ogni giorno al governatore Chris Christie ed ai 120 membri del Congresso statale per convincerli della necessità della legge. Le leggi rientrano in un più ampio cambiamento culturale in tutti gli Stati Uniti nei confronti della lotta alla droga. Si pensi ai referendum con cui è stata legalizzata la produzione ed il consumo della marijuana in Colorado - dove la legge è entrata in vigore all’inizio della anno producendo un picco di entrate fiscali nelle casse dello stato - e nello stato di Washington, con altri stati che stanno preparando simili consultazioni referendarie. Mentre nelle scorse settimane il dipartimento di Stato ha chiesto alla commissione che fissa le linee guida per le sentenze detentive di ridurre le pene per i reati di droga minori. India: caso marò; il probabile futuro premier Modi attacca Sonia Gandhi sui due fucilieri di Alessandra Muglia Corriere della Sera, 1 aprile 2014 Il timore che la vicenda dei marò irrompesse con violenza sul palcoscenico della campagna elettorale indiana si è rivelato fondato. A poco più di una settimana dall’inizio della maratona per il voto il clima si è surriscaldato e ieri per la prima volta il leader dell’opposizione nazionalista Narendra Modi, candidato premier dato per favorito, si è scagliato apertamente contro Sonia Gandhi, davanti a un fiume umano color zafferano, colore del partito e simbolo dell’induismo: "Signora Sonia, visto che lei ha sfidato il nostro patriottismo, vorremmo sapere in quale carcere sono detenuti i due italiani", ha tuonato con sarcasmo Modi riferendosi ai due fucilieri di Marina accusati dell’uccisione di due pescatori al largo del Kerala e in libertà provvisoria nell’ambasciata italiana a New Delhi. Il candidato della destra ha parlato da Pasighat, la più antica città dell’Arunachal Pradesh, Stato dell’estremo Nordest del Paese, rivendicato dalla Cina. In testa indossava un "dumuluk", il copricapo tradizionale delle tribù locali, modello che Modi aveva già sfoggiato in un recente comizio nella città, quando il bersaglio era stato la Cina e le sue "mire espansionistiche" ("Nessun potere al mondo potrà portare via un solo centimetro all’India"). Le sue parole d’ordine: radicamento al territorio e difesa dell’ex colonia britannica contro i "nemici" stranieri e quanti li sostengono anche dentro casa. Come Sonia, l’italiana. L’occasione per attaccare era arrivata domenica, quando la Gandhi aveva messo in guardia contro la retorica patriottica degli avversari: "Alcuni suonano i tamburi del patriottismo ma vogliono solo appropriarsi del potere ingannando il popolo". "Non abbiamo bisogno di certificati di patriottismo rilasciati da lei", ha reagito ieri Modi, incalzando il governo a chiarire perché l’anno scorso ha lasciato liberi di rientrare in Italia i due militari italiani quando questi chiesero di poter votare in patria. Non che il destino dei due marò gli importi granché: la vicenda per i nazionalisti del Bjp è solo un pretesto per infierire sul partito del Congresso, al potere da dieci anni ma indebolito negli ultimi tempi da scandali e dal malcontento per il carovita, la disoccupazione galoppante e la mancanza di sicurezza, soprattutto per le donne. Un Paese frustrato anche nelle sue ambizioni di "attore" internazionale, chiamato in causa per lo più per controbilanciare l’influenza cinese, e pure in crisi con l’alleato americano dopo il fermo di una rappresentante indiana a Manhattan. In questo acceso botta e risposta, il vero sfidante di Modi, Rahul Gandhi, primogenito di Sonia, resta nell’ombra. E quasi ci si dimentica che è lui il candidato premier del partito del Congresso. "Modi non nomina mai Rahul e se la prende sempre con Sonia. Così diminuisce il peso politico del suo avversario" racconta al Corriere da New Delhi la giornalista Rini Khana, aggiungendo: "Lui parla alla pancia della gente, sa bene che Sonia non controlla i tribunali, la magistratura è indipendente anche in India". Nella capitale cresce l’insofferenza per gli attacchi personali e l’esigenza di un dibattito aperto sulle questioni chiave per il Paese. Modi da oltre 12 anni guida il Gujarat, Stato che vanta tra i più alti tassi di crescita nel Subcontinente. I suoi sostenitori dicono che questi risultati dimostrano la sua capacità di fare, i detrattori lamentano che manca un progetto su come estendere i risultati a livello federale e non dimenticano la strage di musulmani del 2002. L’uscita provocatoria di Modi è avvenuta nel giorno in cui il tribunale di Delhi che doveva decidere se far rimanere i marò in ambasciata o affidarli alla polizia antiterrorismo (Nia) ha aggiornato la seduta al 31 luglio. Rinvio prevedibile ma non così a lungo termine, visto che la Corte Suprema si esprimerà già a fine mese sul ricorso presentato dai marò e accettato venerdì contro l’utilizzo della Nia. India: sui marò doccia gelata, rinvio del processo a luglio e pericolo carcere di Maria G. Maglie Libero, 1 aprile 2014 A una buona notizia che è solo un pezzetto del puzzle segue naturalmente la notizia cattiva, ed è tanto grossa quanto prevedibile, quanto soprattutto significativa che con le chiacchiere, caro Matteo Renzi, non si piegano gli indiani ma neanche si prendo per i fondelli a lungo gli italiani. Che non bastasse per cantare vittoria l’annullamento delle indagini della Nia, l’antiterrorismo indiano che aveva impazzato per due anni contro i due marò e contro la nostra sovranità, era evidente; che tanto presto Latorre e Girone sarebbero ufficialmente entrati nella campagna elettorale e che il palleggio tra Corte Suprema e Tribunale Speciale avrebbe sputato addirittura un rinvio a luglio, è un incubo, prevedibile tutto, ma sempre incubo. Adesso le chiacchiere sono esaurite, Palazzo Chigi, dove con piglio brusco e giovanile si lavora fin dall’alba, ci faccia sapere nell’ordine: che cosa aspetta il governo per formalizzare l’arbitrato, per adire il Consiglio di sicurezza, per accompagnare alla porta, sbattendola, l’incaricato del governo Letta e finora anche di Renzi, ancor prima sottosegretario agli Esteri, ma sempre incapace e inetto, Staffan de Mistura. Sarebbe gradita una qualche agitazione proficua della cosiddetta opposizione, finora molto cauta con l’eccezione di Fratelli d’Italia che ha chiesto formalmente una commissione d’inchiesta sulla storiaccia, seguito ora dai 5stelle di Grillo; con l’ecce - zione di un appello a candidare alle europee Latorre e Girone, avanzato ufficialmente da Elio Vito di Forza Italia, ipotesi suggestiva ma non so quanto praticabile per molte e non tutte nobili ragioni. Le notizie di ieri. Il tribunale speciale indiano, dopo aver preso atto della sospensione del procedimento penale decisa tre giorni fa dalla Corte Suprema, ha fissato l’udienza al 31 luglio, ben dopo le elezioni politiche, tra quattro mesi. In piena campagna elettorale il premier del partito nazionalista indiano, Narendra Modi, attacca Sonia Gandhi, leader del Partito del Congresso al governo, sulla vicenda dei fucilieri e chiede perché non sono in carcere, speculando sulle origini italiane per la verità ormai molto poco sentite dalla signora; come riporta l’Hindustan Times, dice: "Signora Sonia, dal momento che lei ha contestato il nostro patriottismo, vogliamo sapere in quale prigione vengono tenuti i due marò italiani". Se Modi dovesse vincere, e perfino alla fine della campagna se il partito dei Gandhi si sentisse in seria difficoltà, l’ipotesi di togliere la custodia all’ambasciata italiana per restituirla al tribunale, dunque alle galere indiane, diventerebbe non solo possibile, probabile. In attesa trepidante di notizie sul futuro prossimo venturo, pesco da un articolo del generale Fernando Termentini, pubblicato sul suo blog "La voce di un italiano", due domande sul passato alle quali una commissione d’inchiesta magari potrebbe rispondere. Come mai, nonostante Massimiliano Latorre e Salvatore Girone fossero indagati per omicidio volontario non è stato adottato nei loro confronti alcun provvedimento restrittivo, primo fra tutti la possibilità di espatrio, rinuncia che di fatto ha conferito prevalenza e precedenza all’indebita azione giudiziaria indiana.? Chi ha deciso il "risarcimento ai fini umanitari" delle famiglie dei due poveri pescatori morti, elargendo 145mila euro? Un riconoscimento di responsabilità e non un semplice "atto di generosità", come a suo tempo si giustificò l’ex ministro della Difesa Di Paola. Non è chiaro chi abbia autorizzato pagamenti sicuramente non imputabili ai capitoli della gestione corrente dell’amministrazione dello Stato né tantomeno della Difesa. Non risulta, infatti, che siano previste voci di spesa titolate "risarcimento ai fini umanitari" o "per atti umanitari". Fondi riservati, autorizzati dall’allora premier, per questi bei risultati? Stati Uniti: violenta la figlia di 3 anni, ma non va in carcere… "non si troverebbe bene" www.fanpage.it, 1 aprile 2014 Il giudice nonostante l’imputato sia reo confesso lo ha condannato solo a 8 anni di libertà vigilata. "L’ambiente carcerario non è adatto a lui". Ha confessato di aver stuprato la figlia di 3 anni, ma non è andato in galera perché in quel posto "non sarebbe in grado di cavarsela", secondo il giudice che gli ha concesso la libertà vigilata. Protagonista della vicenda è Robert Richards IV, 47 anni, conosciuto per aver eredito il patrimonio milionario dalla famiglia dei magnati della chimica americana Du Pont. La notizia è riportata dal News Journal. C’è da dire che il procedimento a carico dell’uomo risale al 2009, ma è stato divulgato solo ora dopo che la ex moglie di Richards ha intentato una causa civile nei confronti dell’uomo. Richards è stato dichiarato colpevole di violenza carnale, un crimine che può portare ad una pena detentiva di 15 anni, secondo il News Journal. Il giudice Jan Jurden ha condannato il presunto pedofilo a otto anni di carcere, ma la pena è stata sospesa. Questo significa che non si farà un giorno di carcere a meno che non violi la libertà vigilata. Il giudice infatti ha ritenuto che Richards non avrebbe potuto sopravvivere in un ambiente, quello carcerario, a cui non era abituato. "È una circostanza estremamente rara che il carcere serve bene il detenuto" ha detto Brendan J. O’Neill, avvocato difensore di Richards. Il legale fa parte di un grande studio di avvocati, la Richards Layton & Finge, a cui ha dato vita proprio la famiglia Du Pont. "Lo scopo del carcere è quello di punire, di separare il condannato dalla società, e l’idea che il carcere possa servire per redimere non è stato dimostrato nella maggior parte dei casi". Medio Oriente: 5mila i palestinesi nelle carceri israeliane, tra loro anche 200 minorenni www.infopal.it, 1 aprile 2014 In una dichiarazione, la "Società in sostegno ai prigionieri palestinesi" ha affermato che le forze d’occupazione israeliane trattengono nelle proprie carceri circa 5000 prigionieri tra Arabi e Palestinesi, distribuiti in 22 penitenziari di ogni tipologia. La società, nel comunicato rilasciato il 30 marzo, in occasione della Giornata della Terra, ha sottolineato la propria preoccupazione per le condizioni di vita davvero precarie di 19 detenute palestinesi, alle quali viene negata la possibilità di beneficiare dei diritti fondamentali. La più anziana di esse, Lina al-Jarbouni, proveniente dai territori occupati nel 1948, è stata condannata a 17 anni di reclusione, 11 dei quali già scontati. Nella dichiarazione si aggiunge che 200 ragazzini palestinesi, di età inferiore ai 18 anni, languono nelle sezioni minorili dei penitenziari israeliani si "Meghiddo", "Hasharun" e "Ofer". Oltre alle umiliazioni arrecategli da tribunali che non tengono in minima considerazione la loro età, su questi ragazzi vengono sperimentati vari metodi di tortura. Si segnala poi la presenza, nei penitenziari israeliani, di 600 detenuti malati che soffrono a causa dell’inadempienza medica e per i ritardi nel somministrare le cure di cui abbisognano. Tra essi, 160 vivono in condizioni di criticità cronica. Le loro malattie variano dal cancro a patologie allo stomaco, all’intestino, ai reni, al cuore, all’apparato respiratorio fino a includere casi di disabilità fisica o psichica. Questi detenuti, come ad esempio i sette casi clinici riscontrati dal "dipartimento medico del penitenziario di Ramla", vivono costantemente nel terrore di poter morire da un momento all’altro. Iran: anniversario della rivoluzione islamica, l’ayatollah Khamenei grazia 920 detenuti www.atlasweb.it, 1 aprile 2014 La guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha graziato o ridotto la condanna a 920 detenuti in occasione del 35esimo anniversario della Rivoluzione Islamica, che si celebra oggi. Come riporta l’agenzia di notizie iraniana Irna, la decisione è stata presa su proposta del capo della magistratura, l’ayatollah Sadeq Amoli Larijani. Per il momento non è stata resa pubblica la lista dei detenuti beneficiari della grazia concessa dalla massima autorità religiosa e politica della Repubblica Islamica. Tra questi potrebbero esserci alcuni prigionieri politici, come Amir Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi - la loro scarcerazione è stata richiesta questo mese al governo di Hassan Rouhani dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, ex candidati presidenziali che hanno respinto la controversa rielezione di Mahmoud Ahmadinejad nel 2009. Lo scorso settembre le autorità avevano rimesso in libertà un’ottantina di prigionieri politici, tra cui l’avvocato per i diritti umani Nasrin Sotoudeh, vincitrice del Premio Sajarov per la libertà di pensiero dell’Unione Europea nel 2012. Germania: Uli Hoeness atteso in carcere, avrà una cella di 8mq e lavorerà come macellaio di Giulia Zonca La Stampa, 1 aprile 2014 Tra 15 giorni il boss dei bavaresi sarà nel carcere dove Hitler scrisse Mein Kampf. La prigione di Landsberg è fatta di storia e il suo fascino finisce lì. Presto Uli Hoeness dovrà adattarsi a una vita dura: sveglia alle 5, lavoro in macelleria, niente cellulare e zero partite. Tra 15 giorni il presidente del Bayern inizierà a scontare i tre anni e mezzo, la condanna per una frode fiscale da 28.5 milioni. Dovrà farlo in un carcere che ospita diversi detenuti alla prima condanna, non è di massima sicurezza ma è di totale severità e il direttore ha chiarito che non ci saranno trattamenti di riguardo. Hoeness passerà le prime due settimana in una cella comune per il protocollo sanitario, poi sarà trasferito in una stanza di otto metri quadri e lì resterà per l’intero periodo della pena. La sua storia ha spaventato gli evasori tedeschi, in molti si sono costituiti dopo questo processo e l’esempio continua. Hoeness non potrà vedere il suo Bayern, in compenso potrà giocare a calcio che è una delle attività previste. Potrà avere visite per due volte al mese, per 2 ore. Probabile che Pep Guardiola rientri nella lista degli ospiti. La prigione, a 70 km da Monaco, è stata costruita nel 1910 e ha ospitato anche Hitler che proprio lì ha iniziato a scrivere "Mein Kampf". In realtà Landsberg è diventata famosa dopo la guerra quando è stata ribattezzata "la galera per nazisti". Oltre 200 prigionieri sono stati impiccati lì. Oggi ci sono tanti colpevoli di crimini da "colletti bianchi" ma anche ladri e detenuti per crimini sessuali. Due anni fa c’è stata una rivolta, ora hanno rivisto i blocchi dei prigionieri e diviso i più pericolosi dagli altri. Ma questo è il solo lusso concesso. Egitto: chiama l’asino come ministro Al-Sisi, allevatore condannato a un anno di carcere Aki, 1 aprile 2014 È stato condannato a un anno di carcere Omar Abul Maged, allevatore di 31 anni, che ha deciso di chiamare il suo asino "Sisi" come l’ex ministro della Difesa e candidato favorito alle prossime elezioni presidenziali egiziane. Lo ha deciso il Tribunale di Qena, che ha riconosciuto l’uomo colpevole di "umiliazione dell’esercito" per aver chiamato il suo animale come il capo delle Forze Armate dimissionario Abdel Fatah al-Sisi. La protesta satirica di Abdul Maged contro il governo sostenuto dai militari era iniziata il 20 settembre dello scorso anno quando l’allevatore, sostenitore del deposto presidente Mohammed Morsi, aveva cavalcato il suo asino nel villaggio di Ashraf. L’animale aveva un berretto militare sul capo e il suo dorso era coperto da un poster raffigurante al-Sisi. La polizia lo ha quindi arrestato e, dopo sei mesi di detenzione preventiva, è stato condannato a un anno di carcere.