Giustizia: "marcia indietro" del Dap sulla Circolare che negava i dati ad Antigone? di Dimitri Buffa www.clandestinoweb.com, 18 aprile 2014 La notizia non è ancora ufficiale ma sembra che al Dap starebbero pensando. Opportunamente istruiti da via Arenula a una marcia indietro che avrebbe del clamoroso su quella famigerata circolare, ribattezzata della "non trasparenza", che vieta di fornire dati sui detenuti nelle singole carceri italiane alle associazioni di volontariato come Antigone. La "Circolare Antigone" era stata stigmatizzata dalla segretaria di Radicali italiani Rita Bernardini e da numerosi esponenti politici. La motivazione di questa censura sui dati era stata questa: si crea confusione se tutti possono accedervi. In realtà poteva sembrare (e pare che questo a Orlando non sia andato giù, di qui la suggerita retromarcia) che ci fosse stata una volontà ministeriale di accentrare questi numeri in attesa della famosa sentenza Cedu del 28 maggio prossimo affinché lo stato italiano non venisse più smentito (per non dire sbugiardato) come era accaduto al ministro Andrea Orlando solo ai primi di aprile. Quando si era recato in Europa a dire che i posti in carcere disponibili in Italia erano 48 mila e rotti. Il tutto ignorando che i dati dello stesso Dap spiattellati alla Bernardini per rispondere, nelle loro intenzioni, per le rime a una precedente polemica, evidenziavano poco più di 43 mila posti. Due giorni fa una delle responsabili di Antigone, Susanna Marietti, ha risposto al Dap su un blog del "Fatto quotidiano" affermando che quella dell’amministrazione penitenziaria "…pare una tesi senza fondamento". E questo perché, oltretutto, "la rilevazione periferica dei dati è sicuramente più capillare e utile di quella centralizzata". Poi la conclusione al veleno: "Sappiamo che il Ministro vorrebbe che la circolare venisse ritirata. Ci auguriamo che ciò accada al più presto". E infatti dal ministero trapelano voci che questa pezza, alla situazione che si è venuta determinando, verrà messa. Anche perché, altrimenti, il 28 maggio in Europa qualcuno, oltre al balletto dei dati sui detenuti e sui posti di capienza, potrebbe rinfacciarci persino questo maldestro tentativo di censurare chi si occupa di carceri e carcerati. Come la stessa Antigone e i radicali italiani. Giustizia: nel dopo-Berlusconi la politica ha l’obbligo di fare la riforma di Maurizio Belpietro Libero, 18 aprile 2014 A Milano volano gli stracci, a Palermo anche: per quanto riguarda Roma c’è solo da attendere. Tolto di mezzo Berlusconi, la giustizia si rivela per quel che è, ossia una guerra tra correnti (evitiamo di scrivere bande solo per non incorrere nei rigori della legge, che, quando ci sono dimezzo i magistrati, scatta come una tagliola). Il Procuratore capo del tribunale lombardo contro il suo aggiunto e viceversa. Il primo sibila al secondo una specie di avvertimento: occhio, che se fossi andato in bagno quando c’era da votarti, tu non saresti qui. Il secondo replica accusando il suo capo di avergli nascosto le carte e di essersi dimenticato nel cassetto alcune inchieste scottanti. Bel quadretto, che rincuora chiunque debba sottoporsi al giudizio dei signori con la toga, o, come in questo caso, che sia indagato dai suddetti signori. Tuttavia se a Milano più che un Palazzo di giustizia sembra un palazzo dei veleni, Palermo non è da meno. Una volta resi noti gli atti che riguardano la Procura del capoluogo siciliano, escono i dettagli di una guerra che anche lì ha visto contrapposti il numero uno e il numero due. Francesco Messineo, reggente dell’ufficio nella città che fu di Falcone e Borsellino, accusa il suo vice di aver fatto politica e insinua il dubbio che certe inchieste avessero obiettivi personali più che penali. Antonio Ingroia, che un anno fa ha appeso la toga per dedicarsi a tempo pieno alle sue campagne politiche, replica dando del bugiardo al suo capo. Mentre altri magistrati entrano a vario titolo nella rissa. Anche questa è una scenetta che mette tranquillità: se due uomini che dovrebbero assicurare il rispetto della legge si accusano l’un l’altro di averla aggirata, si può immaginare lo stato d’animo di chi è costretto a difendersi o a reclamare giustizia. E fin qui siamo alle cose note, che riguardano quella che un tempo veniva definita la Capitale morale e il capoluogo di Regione più sfiorato dalle infiltrazioni mafiose. Invece di esercitare l’azione penale, le procure più esposte sul fronte della criminalità organizzata (che i criminali abbiano i colletti bianchi o la coppola non fa molta differenza) se le danno di santa ragione. Messineo contro Ingroia e viceversa; Alfredo Robledo contro Edmondo Bruti Liberati andata e ritorno. Il tutto finisce davanti al Csm, che dovrebbe essere il tribunale delle toghe e stabilire chi abbia ragione e chi torto. Ma più che un Consiglio superiore della magistratura, quello è il consiglio supremo della spartizione, dove le correnti la fanno da padrone, al punto che tempo fa, per non deludere un collega e riservargli il posto a lui gradito, il Csm approvò una delibera in cui spostava di qualche decina di chilometri una città, in maniera che il compagno di militanza sindacale non venisse escluso. Milano e Palermo ad ogni buon conto non sono le sole città in cui si consumano faide tra magistrati. È di ieri la notizia che a Roma il procuratore capo è dovuto intervenire per ricordare che le intercettazioni non si fanno a strascico, ma su delega di un gip. In pratica è successo che nella fase di ascolto delle conversazioni svoltesi dentro un ristorante della Capitale, oltre al piano di fuga dei Marcello Dell’Utri, gli agenti abbiano colto anche qualche accenno imbarazzante sui rapporti tra un imprenditore e una toga. Secondo quanto riferisce il settimanale Panorama, il primo si sarebbe rivolto al secondo per ottenere l’alleggerimento di certi controlli e lo avrebbe ottenuto. Chi è questo magistrato? E saranno vere le vanterie dell’industriale o finanziere? Risposta difficile, perché la lentezza nei tribunali è la regola, ma a quanto pare anche gli sgambetti fra colleghi. Contrasti che si svolgono in punta di diritto e di coltello e che al singolo cittadino fanno capire una sola cosa e cioè che le sentenze vengono emesse in nome della legge e anche di qualche cosa d’altro. Fino a ieri i conflitti erano semi nascosti da un’unità d’intenti: i magistrati in apparenza non si dividevano fra loro perché c’era un nemico comune da abbattere, ma oggi che il Cavaliere è stato spedito all’ospizio ad allietare nonni e disabili, tornano gli antichi odi. Non sappiamo a che punto sia la marcia tra le riforme del presidente del Consiglio. A occhio, tra un rinvio e l’altro ci pare piuttosto in ritardo. Ciò nonostante se c’è una riforma che deve viaggiare spedita, questa è quella della Giustizia. Più di tanti provvedimenti annunciati e non ancora arrivati in porto, cambiare le regole con cui si amministra la legge potrebbe far crescere il Pil, ma di sicuro metterebbe ordine nei tribunali e contribuirebbe, oltre che a sedare le risse tra toghe, anche a far tornare la fiducia nella magistratura. L’alibi del Cavaliere non c’è più, la politica dunque non ha più scuse. Giustizia: intesa tra Regioni nordest e Prap per migliorare assistenza sanitaria ai detenuti www.today.it, 18 aprile 2014 Tre regioni del nord est e le relative amministrazioni penitenziarie hanno firmato il protocollo d’intesa per collaborare insieme e migliorare l’assistenza sanitaria prevista per i detenuti. In Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto chi è ristretto potrà davvero "stare meglio". Non solo quindi cura e messa a norma delle emergenze ma anche iniziative per la prevenzione e il mantenimento della salute. Soddisfatti anche gli assessori alla Salute delle regioni. L’accordo prevede prestazioni assicurate dalle relative Asl, sicurezza in caso di ricoveri o visite in strutture esterne e l’accesso in carcere di medici di fiducia del detenuto. Sarà questa l’occasione per attivare un osservatorio regionale per la sanità penitenziaria per monitorare efficacia degli interventi e per proporre strumenti correttivi in caso di criticità. Per questo il protocollo sarà in sperimentazione per un anno e poi ci sarà la possibilità di chiedere eventuali modifiche. Giustizia: estradizione di Dell’Utri, un team di 12 interpreti per tradurre 500 pagine di Grazia Longo La Stampa, 18 aprile 2014 Un team di 12 interpreti, molti dei quali costretti a saltare le vacanze di Pasqua, per tradurre in francese le 500 pagine della sentenza d’appello bis che ha condannato Marcello Dell’Utri a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. I professionisti dell’ufficio Affari penali del ministero della Giustizia stanno lavorando a ritmo serrato per tradurre i documenti necessari all’estradizione dal Libano dell’ex braccio destro di Silvio Berlusconi. L’unica consolazione - almeno per le casse dello Stato - è che l’operazione è a costo zero, perché si tratta di dipendenti ministeriali già in servizio. Entro 7-10 giorni il lavoro dovrebbe essere concluso. Ancora un rebus sono invece la questione del numero delle pagine da tradurre e quella della lingua. L’avvocato libanese dell’ex senatore Pdl, Nasser Al Khalil, insiste: "Tutta la documentazione deve arrivare tradotta in arabo, altrimenti non sarà presa in considerazione. E non basteranno le 500 pagine della sentenza d’appello bis, ma occorrono anche le altre. Duemila pagine circa in tutto". Ma sia il ministero della Giustizia sia la nostra ambasciata a Beirut replicano che bastano le 500 pagine delle motivazioni dell’appello bis. Da chiarire definitivamente è invece l’aspetto della lingua, perché se è vero che entrambe le istituzioni concordano sul francese, in base alle norme del Trattato tra i due Paesi del 1970, divergente è invece il loro parere sul "riassunto del caso in arabo". Da via Arenula ribadiscono di non aver avuto pressioni in tal senso, mentre l’avvocato libanese dell’ambasciata italiana a Beirut, Georges Jabre, precisa che "la copertina e il riassunto del caso, neppure una decina di pagine, dovranno essere tradotte in arabo come ha suggerito la vice procuratore generale". Al ministero della Giustizia, tuttavia, sono pronti a tutto: se davvero sarà indispensabile il riassunto in arabo, verrà realizzato senza problemi. L’ufficio Affari penali è infatti abituato a gestire ogni genere di emergenza grazie alla squadra dei 12 traduttori. Il nodo da dipanare, semmai, è un altro: se il 9 maggio arriverà la sentenza della Cassazione, la richiesta di estradizione dovrà avvenire per "scopi esecutivi" e non "processuali" come quella ora in corso. La scadenza è fissata all’11 maggio perché la richiesta di estradizione deve pervenire entro 30 giorni dall’arresto. La dead-line è quindi l’11 maggio. Basterà il tempo per gli interpreti? In linea di massimo sì, perché in quel momento si avrà solo il dispositivo, di poche pagine, della sentenza. Mentre le motivazioni arriveranno entro i 90 giorni successivi. Sembrano calcoli da ragioniere, ma considerate le influenze politiche di cui gode Dell’Utri a Beirut, ci si può aspettare di tutto. Sardegna: Sdr a parlamentari sardi; avviare indagine su lavori per carceri, non solo Uta Ristretti Orizzonti, 18 aprile 2014 "Si susseguono le dichiarazioni e le inchieste giornalistiche ma i Parlamentari sardi nei due rami del Parlamento devono attivarsi affinché venga promossa un’indagine a tutto campo. Quanto rivelato di recente anche da Report sulla mancata impermeabilizzazione dei nuovi Istituti Penitenziari nell’isola, la quantità di milioni di euro spesi e l’assenza di una programmazione razionale richiedono un’attenzione finora assente. Il caso Cagliari-Uta è emblematico per ritardi e inadempienze di Opere Pubbliche". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", sottolineando che "la questione della presenza nell’isola dei detenuti in regime di 41bis rischia di essere uno specchietto per allodole. Le maggiori criticità emergono nella progettazione di edifici che sembrano essere stati pensati da chi non conosce la realtà del carcere". "Nel Villaggio Penitenziario di Cagliari-Uta, per la cui realizzazione sono stati spesi 98 milioni di euro, dentro ciascuna cella continueranno ad essere utilizzati per cuocere e scaldare i cibi - ricorda Caligaris - i fornellini a gas, quanto di più pericoloso per l’incolumità dei detenuti. Sono state invece realizzate due mega cucine da Masterchef, un teatro da 500 posti e una bellissima Cappella. Nessuna cella singola, nonostante la presenza di ergastolani e benché il bagno sia separato dall’angolo cucina, la privacy non è garantita perché la parete divisoria è di vetro". "Difficile inoltre raggiungere la prima porta senza prendersi un malanno d’inverno e un’insolazione d’estate. La notevole distanza tra l’accesso e l’ingresso non ha infatti - evidenzia la presidente di Sdr - alcuna copertura e vedrà esposti gli operatori penitenziari alla clemenza del tempo. Nel Centro Clinico, ancora in alto mare, è stato necessario rivedere gli impianti di supporto per adattarli ai sussidi medicali e diagnostici con uno spreco di tempo e di lavoro. Nonostante la disponibilità di spazi il numero per i degenti è minore di quello attuale di Buoncammino cioè solo 20 posti contro i 30 dello storico istituto cagliaritano". "Un’ultima esemplificazione riguarda la gestione di una struttura che, articolata su più Padiglioni a più piani rialzati e con sistemi tecnologici all’avanguardia, è particolarmente delicata. Il minimo problema farà saltare l’intero circuito imponendo nell’immediato lunghi momenti di attesa all’apertura delle porte che separano le sezioni e le celle nonché - conclude Caligaris - una manutenzione costante e dispendiosa. Ecco perché riteniamo improcrastinabile una Commissione Parlamentare d’Inchiesta proprio per le approfondire le conoscenze sulle quattro mega strutture sorte nell’isola che ha complessivamente 1.300 cittadini privati della libertà ma dovrà ospitarne a breve più del doppio senza contare i circa 200 sottoposti al 41bis. È poi forse da prendere in considerazione il mancato rispetto da parte di Opere Pubbliche degli impegni contrattuali e delle spettanze ai lavoratori dal momento che gli operai sono costretti allo sciopero ormai quasi ogni mese". Lamezia Terme: Favi (Pd); il carcere è stato chiuso per "economie"... immaginarie Ristretti Orizzonti, 18 aprile 2014 "Non è la prima volta che l’Amministrazione penitenziaria ci sorprende per una spending-review creativa, che si risolve a spese degli operatori, dei detenuti e delle loro famiglie e del territorio. Nonostante Lamezia Terme sia stato confermato circondario di Tribunale, anche in sede di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, inopinatamente il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, con un blitz, ha ordinato la chiusura della casa circondariale, senza che sia stato adottato, a quanto ci risulta, il necessario decreto del Ministro della giustizia. Ora l’Autorità penitenziaria locale pretenderebbe di gestire le conseguenze di quell’ordine, come se fosse dovuto ad indefinite ragioni superiori, a cui segue il solito rimpallo delle responsabilità, che impedisce di identificare l’attore della decisione. Ancor più sorprendente è la manifestata intenzione di utilizzare le strutture dell’istituto Lametino come sede del Provveditorato della Calabria per presunte ragioni di economia sulla locazione degli uffici a Catanzaro, sebbene il Comune abbia offerto immobili a sua disposizione in comodato gratuito a lunghissima scadenza (30 o 40 anni). Il carcere di Lamezia Terme, pur nelle sue ridotte dimensioni, era un istituto efficiente e funzionale alle esigenze della circoscrizione giudiziaria, già interessato da costosi interventi di adeguamento strutturale per l’uso detentivo e proiettato ad un trattamento rispettoso della vocazione rieducativa e al rispetto della dignità dei ristretti. Anche l’Avvocatura del circondario Lametino protesta, peraltro motivatamente, per la lesione dei diritti della difesa dei loro assistiti trasferiti dalla sede del Tribunale competente. Che dire poi del trasferimento in provincia del Provveditorato regionale, che dovrebbe operare in stretto raccordo con la Regione e con gli altri organismi pubblici di interesse regionale? Ci sembra prospettarsi solo una ulteriore regressione burocratica del suo ruolo e della sua funzione. Crediamo che il Ministro Orlando debba valutare attentamente l’opportunità di ratificare questa scelta che non ci sembra sensata, ma dettata da una concitata gestione dell’emergenza, priva di una programmazione delle risorse e di una visione di sistema della realtà penitenziaria in terra di Calabria". Foggia: interrogazione su tentativo suicidio detenuto nel reparto "protetti omosessuali" www.foggiatoday.it, 18 aprile 2014 Il deputato Lello Di Gioia interroga il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. "Strutture come quella nella città di Foggia rischiano, da un momento all’altro, di esplodere". "Quali nuove notizie si hanno in merito al tentato suicidio del detenuto di 22 anni nel reparto "protetti omossessuali" del carcere di Foggia, avvenuto pochi giorni orsono, e se tale reparto sia dotato di strutture e personale adeguato alle necessità". È la prima richiesta contenuta nella interrogazione a risposta scritta che il deputato pugliese, Lello Di Gioia, ha presentato al ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Il detenuto, di nazionalità romena, è stato salvato dall’intervento degli agenti di polizia penitenziaria, e si trova ora all’Ospedale Riuniti di Foggia dove è tenuto sotto osservazione. "Il carcere di Foggia - spiega il deputato - è uno dei complessi maggiormente in difficoltà anche per mancanza di organico, per questo chiedo al ministro Orlando di intervenire sul dramma delle carceri in Italia, a cominciare da strutture come quella nella città di Foggia che rischiano, da un momento all’altro, di esplodere, nonché se si ritiene necessario rivedere le piante organiche del personale degli istituti penitenziari, viste le difficoltà estreme in cui, gli operatori del settore, sempre più spesso, si trovano a intervenire". La notizia del tentato suicidio è stata data dal segretario generale del Coordinamento sindacale penitenziario (Cosp), Domenico Mastrulli, cha ha sottolineato come l’episodio sia anche il sesto tentativo nelle carceri pugliesi dall’inizio dell’anno. Sono 60.197 i detenuti, tra donne e uomini, di cui 20.729 di nazionalità estera, ospitati nelle carceri italiane, secondo i dati diffusi dal ministero della Giustizia, il 31 marzo scorso, e su di una capienza regolamentare di circa 48 mila. In Puglia, secondo il Cosp, i detenuti sarebbero 3.661, dei quali 669 stranieri e 162 donne, per una struttura di 2.431 posti. Come si intende operare - interroga Di Gioia - per porre fine alle condizioni di sovraffollamento e precarietà cui versano i detenuti nella maggioranza dei penitenziari italiani, con il risultato che i più "deboli" fra loro cercano di sfuggire da tali circostanze procurandosi volontariamente la morte". Massa Marittima (Gr): reinserimento dei detenuti… serve il sostegno delle aziende www.ilgiunco.net, 18 aprile 2014 "Carcere e territorio: modalità, incentivi e vantaggi dell’inserimento socio-lavorativo di detenuti", l’iniziativa promossa dalla Direzione del Carcere di Massa Marittima in collaborazione con il Centro per l’Impiego di Follonica e Slow food Monteregio e con il patrocinio del Comune di Massa Marittima e della Provincia di Grosseto, è in programma per lunedì 28 aprile, alle 9.30, al Complesso delle Clarisse di Massa Marittima. Il seminario si rivolge ad imprese, cooperative di tipo B e, in generale, a chiunque sia interessato al tema, con l’obiettivo di informare sulle modalità e sui diversi percorsi possibili per il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti. Sarà l’occasione per approfondire le dinamiche che mettono in relazione il carcere, le associazioni, le cooperative e le imprese del territorio per offrire ai detenuti la possibilità di reintegrarsi nella società attraverso l’occupazione. All’iniziativa saranno presenti rappresentanti dell’amministrazione provinciale e del Comune di Massa Marittima, oltre al direttore del Carcere e ad un consulente del Centro per l’Impiego di Follonica che illustrerà le possibilità di incentivi e finanziamenti disponibili per imprese e associazioni che assumono un detenuto. "Con questa iniziativa - spiega Carlo Alberto Mazzerbo, direttore del Carcere di Massa Marittima - vogliamo far conoscere il mondo dell’esecuzione penale e ridurre le distanze tra l’istituzione penitenziaria e le realtà che la circondano, incentivando anche percorsi di reinserimento sociale e lavorativo". Isernia: delegazione della Giunta Regionale molisana oggi in visita al carcere Ansa, 18 aprile 2014 Il Vice Presidente della Giunta Regionale, Michele Petraroia, con una delegazione dell’Assessorato alle Politiche Sociali, è oggi visita all’Istituto Penitenziario di Isernia domani mattina. La decisione dopo la denuncia della "condizione di abbandono" della struttura fatta dalla Uil-Pa. L’assessorato alle politiche sociali rende noto che sarà fatta "una ricognizione sulle condizioni dei detenuti ed individuare, di concerto con il Ministero della Giustizia, con l’Asrem e le altre amministrazioni pubbliche coinvolte, delle possibili e tempestive soluzioni che restituiscano certezze di regole e di diritti agli operatori della Polizia Penitenziaria, alla struttura carceraria e ai detenuti". Ancona: scoperto buco nel muro della cella, sventata l’evasione da Montacuto Il Messaggero, 18 aprile 2014 Detenuto tenta di evadere da Montacuto, uno dei due carceri di Ancona, in perfetto stile hollywoodiano. Un’impresa da film già riuscita una volta a tre tunisini che, nei primi anni 80, scavarono le pareti della cella con cucchiai e coltellini, facendo scoppiare l’inchiesta sui carceri d’oro che portò ad arresti e condanne. Per Gennaro Giuffrida, 32enne brindisino trasferito ad Ancona da un’altra struttura di detenzione, è finita male. L’uomo è stato condannato ieri in Tribunale a un anno e due mesi di detenzione. Il giudice Paolo Giombetti ha aumentato i nove mesi di pena richiesti dal pubblico ministero. Vicenda mai trapelata dalle pareti del penitenziario dorico. Il 20 agosto del 2011 le guardie carcerarie di Montacuto stavano eseguendo la verifica dei muri e delle inferriate delle celle. Uno dei tanti giri perlustrativi di routine. Durante il sopralluogo nella cella di Giuffrida, le guardie si sarebbero accorte di un lenzuolo che copriva una porzione di muro. Il telo avrebbe nascosto un buco da cui si intravedevano dei tubi idraulici. Secondo la ricostruzione della Procura, il raggio delle condutture sarebbe risultato sufficientemente ampio da consentire ad un uomo di piccola costituzione di sgattaiolare fino ai sotterranei del carcere. Giuffrida, secondo la pubblica accusa, avrebbe danneggiato il muro con l’intenzione di infilarsi nei tubi, sbucare nelle fognature e accedere all’esterno delle mura. Arrivato a quel punto, un eventuale fuggitivo avrebbe comunque dovuto oltrepassare le due ulteriori recinzioni che proteggono la casa circondariale. Cremona: Sappe; telefono cellulare con caricabatteria e sim-card sequestrato a detenuto Ristretti Orizzonti, 18 aprile 2014 Un telefono cellulare è stato trovato nel carcere di Cremona. A darne notizia è Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. "Ancora una volta le medesime modalità dell’ultimo rinvenimento, ovvero all’interno di un paio di scarpe ben occultato nella suola vi era nascosto il telefonino con caricabatteria e sim card. Era nella disponibilità di un detenuto bulgaro del 1986, giudicabile. Il cellulare è stato notato dalla medesima poliziotta che ha operato la scorsa volta, tramite macchinario raggi x. Il tutto è stato ritirato e segnalato ai superiori uffici dipartimentali e regionali nonché all’Autorità Giudiziaria. Al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria chiediamo interventi concreti come, ad esempio, la dotazione ai Reparti di Polizia Penitenziaria di adeguata strumentazione tecnologica per contrastare l’indebito uso di telefoni cellulari o altra strumentazione elettronica da parte dei detenuti nei penitenziari italiani", aggiunge. "Il rinvenimento è avvenuto - spiega Capece - grazie all’attenzione, allo scrupolo ed alla professionalità di Personale di Polizia Penitenziaria in servizio". Il Sappe ricorda che "sulla questione relativa all’utilizzo abusivo di telefoni cellulari e di altra strumentazione tecnologica che può permettere comunicazioni non consentite è ormai indifferibile adottare tutti quegli interventi che mettano in grado la Polizia Penitenziaria di contrastare la rapida innovazione tecnologica e la continua miniaturizzazione degli apparecchi, che risultano sempre meno rilevabili con i normali strumenti di controllo". "A nostro avviso - conclude il leader dei Baschi Azzurri - appaiono pertanto indispensabili, nei penitenziari per adulti e per minori, interventi immediati compresa la possibilità di "schermare" gli istituti penitenziari al fine di neutralizzare la possibilità di utilizzo di qualsiasi mezzo di comunicazione non consentito e quella di dotare tutti i reparti di Polizia Penitenziaria di appositi rilevatori di telefoni cellulari per ristabilire serenità lavorativa ed efficienza istituzionale, anche attraverso adeguati ed urgenti stanziamenti finanziari". Cagliari: negata a un detenuto visita al padre in punto di morte, la denuncia di Busia (Cd) L’Unione Sarda, 18 aprile 2014 Ad un giovane detenuto a Buoncammino non è stato consentito di far visita al padre in fin di vita, a causa di gravissime patologie. L’autorizzazione del giudice è arrivata troppo tardi, precisamente il giorno stesso in cui il padre del ragazzo è morto senza che il figlio abbia potuto dare l’ultimo saluto al genitore. Lo denuncia l’avvocato Anna Maria Busia, consigliera regionale del Centro Democratico. "Accade a causa del diniego di un medico ospedaliero di certificare il pericolo di vita del paziente - spiega Busia - pur sapendo che tale certificazione era indispensabile, assolutamente imprescindibile, affinché il Giudice procedente concedesse l’autorizzazione al figlio detenuto del paziente". Napoli: presidio non-violento dei Radicali davanti al Penitenziario di Secondigliano Il Velino, 18 aprile 2014 Oggi, venerdì 18 aprile 2014 a partire dalle ore 08.00 una delegazione di militanti dell’associazione Radicale ‘Per la Grande Napoli’ insieme a parenti di cittadini detenuti terrà un presidio nonviolento davanti al Penitenziario di Secondigliano. In attesa del 28 maggio, termine imposto all’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per porre rimedio al drammatico sovraffollamento carcerario e ai problemi strutturali del sistema giustizia, continua l’iniziativa di lotta nonviolenta dei Radicali per l’amnistia, per la giustizia, per lo stato di diritto e per il rientro dello stato italiano nella legalità costituzionale. In occasione del sit-in verranno raccolte segnalazioni su detenuti ammalati nonché adesioni allo sciopero della fame a sostegno del Satyagraha che vede impegnati a circa 1.500 cittadini italiani oltre a militanti e dirigenti radicali. Alghero: lettera del Cappellano; gruppo detenuti parteciperà ai riti della Settimana Santa www.buongiornoalghero.it, 18 aprile 2014 Ancora una volta un gruppo di detenuti del carcere di Alghero parteciperà ai riti della Settimana Santa algherese. È un incontro che ha come spinta fondamentale la fede in Cristo, in Colui che ha offerto la sua vita per tutti noi. È un incontro con la popolazione di Alghero, con uomini e donne di buona volontà. È un incontro che porta alla solidarietà e all’accoglienza, segno di uno sforzo importante per imparare a riorganizzare la propria vita prendendo innanzitutto coscienza dei propri errori. Da qualche tempo è in via di elaborazione e organizzazione un progetto che prevede, prima di tutto, varie occasioni di contatto e rapporto con la società civile, con tutti coloro i quali hanno fatto dell’accoglienza il loro punto di riferimento. Ringrazio la Fraternità di Misericordia algherese. Ringrazio il suo presidente, il segretario, tutti i suoi componenti e tutti coloro i quali hanno accolto e accoglieranno come fratelli i detenuti che parteciperanno alle celebrazioni del Giovedì Santo nella Santa Messa in Coena Domini e alle celebrazioni del Venerdì Santo, la mattina per la processione della Via Crucis e l’innalzamento del Cristo; e la sera per la "processione del Discendimento" è la successiva "processione del Venerdì Santo". Tutto ciò nell’ottica di una realtà carceraria che sempre più compie sforzi significativi per migliorarsi e aprirsi alla società esterna, al territorio, ai cuori delle persone di buona volontà. Don Mario Chessa, Cappellano del carcere di Alghero Matera: inizia torneo di calcetto, vi partecipano 5 squadre di detenuti e 1 dell’Aics Ansa, 18 aprile 2014 Con l’obiettivo di favorire il recupero dei reclusi e l’integrazione delle carceri con il territorio, comincia oggi nella Casa circondariale di Matera un torneo di calcio a 5 che prevede la partecipazione di cinque squadre di detenuti e di una esterna dell’Associazione italiana cultura e sport (Aics). L’iniziativa, promossa dall’Aics e dalla direzione del carcere nell’ambito di progetti finanziati dalla Regione Basilicata e che coinvolgono per altri aspetti anche le case circondariali di Potenza e Melfi, è stata illustrata oggi nel corso di una conferenza stampa a cui hanno partecipato rappresentanti del carcere di Matera, il delegato provinciale dell’Aics, Nicola Andrisani e del comitato festeggiamenti "Maria Santissima della Bruna" guidato dal presidente Domenico Andrisani. La formula del torneo, composta da due gironi all’italiana di tre squadre ciascuna, designerà le squadre per le finali che si terranno a giugno. La vincitrice del torneo affronterà in una gara amichevole, presso la casa circondariale, la formazione della Takler Matera che milita nella serie B di calcio a 5. Gli organizzatori hanno individuato anche altri settori di collaborazione e tra questi il coinvolgimento dei reclusi, per il 2015, nella fattura del carro trionfale nella lavorazione della cartapesta utilizzando i percorsi già avviati da enti locali come la Camera di commercio. Immigrazione: nuove norme europee, vietate le operazioni di respingimento in alto mare L’Osservatore Romano, 18 aprile 2014 Con 528 voti a favore, 46 contrari e 88 astensioni, il Parlamento europeo ha approvato ieri le nuove regole per la ricerca e il salvataggio dei migranti in mare e per definire i modi in cui gli uomini in servizio nelle operazioni marittime della Frontex dovranno trattare le persone soccorse. Le nuove regole, già informalmente concordate dai negoziatori del Parlamento e del Consiglio europeo, dovrebbero entrare in vigore prima dell’estate e rientrano nelle azioni indicate dalla task force dell’Ue per il Mediterraneo, istituita dopo la tragedia del 3 ottobre dello scorso anno al largo delle coste di Lampedusa (366 migranti morti). "Di recente abbiamo assistito a troppe tragiche perdite di vite nel Mediterraneo - ha commentato il commissario Ue agli Affari interni, Cecilia Malmström - e avere norme chiare e vincolanti su individuazione, ricerca e salvataggio, e sbarco, aiuterà a prevenire altre tragedie". Secondo il relatore, Carlos Coelho, le norme approvate "permetteranno alla Frontex di reagire in maniera più efficace per prevenire le morti in mare, conciliando così la necessità di garantire la sicurezza con il dovere di proteggere i diritti umani". In base al regolamento, il piano operativo che disciplina le operazioni di sorveglianza alle frontiere coordinate dalla Frontex deve comprendere le procedure per garantire che le persone bisognose di protezione internazionale, le vittime della tratta di esseri umani, i minori non accompagnati e altre persone bisognose siano identificati e ricevano un’assistenza adeguata. Eventuali misure coercitive potranno essere adottate solo dopo l’identificazione dei migranti (le norme d’identificazione sono obbligatorie, mentre quelle di esecuzione sono facoltative). I parlamentari europei hanno inasprito le regole per garantire il rispetto del principio di "non respingimento", in base al quale le persone non possono essere rimpatriate in Paesi ove sussiste il rischio di persecuzioni, torture o altri danni gravi. Tutte le operazioni di respingimento in alto mare saranno vietate. Le guardie di frontiera potranno solamente avvertire il natante e ordinargli di non entrare nelle acque territoriali di uno Stato membro. Ora il progetto di regolamento dovrà essere formalmente approvato dal Consiglio dell’Ue. Quando, il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, entrerà in vigore, sarà direttamente applicabile in tutti gli Stati membri. Immigrazione: riapre in estate la "prigione per stranieri" di via Corelli a Milano di Luca Fazio Il Manifesto, 18 aprile 2014 Nonostante molte voci "contro", tra cui quella del Comune di Milano e di alcuni esponenti del Pd nazionale, il governo ha deciso di riaprire il Cie milanese. Alla fine dell’anno la struttura concentrazionaria simbolo del fallimento delle politiche per l’immigrazione verrà affiancata da un Centro di accoglienza per richiedenti asilo. Le associazioni milanesi e i sindacati protestano e preparano una manifestazione di protesta L’immigrazione? Non c’è più. Il turbo governo di Renzi ha risolto la "questione" eliminandola dal discorso politico, così come sono spariti una ministra e un ministero nel silenzio generale. E non c’è nemmeno lo straccio di una delega a qualche sottosegretario. Non è un disimpegno ma un’indicazione precisa: ordine pubblico e galere regoleranno la "materia", in attesa di nuovi sbarchi e tragedie annunciate (per l’operazione militare Frontex nel Mediterraneo l’Europa ha appena stanziato 7,1 milioni). Ne è una prova anche la riapertura del Cie milanese di via Corelli prevista in estate. La struttura concentrazionaria addirittura raddoppia: entro la fine dell’anno la prigione per stranieri che non hanno commesso alcun reato - aperta nel ‘98 con la legge Turco-Napolitano e chiusa mesi fa perché distrutta da una rivolta - verrà affiancata da un Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo). Con buona pace dei "democratici" del Pd che si sono sbilanciati in chiave antirazzista contro una mostruosità non solo giuridica, come Emanuele Fiano qualche mese fa ("via Corelli va chiuso), Khalid Chauki qualche giorno fa ("mi opporrò e mi farò sentire") e l’assessore del Comune di Milano Pierfrancesco Majorino ("un’occasione persa").La nuova prigione per stranieri da 140 posti verrà gestita dalla società Gepsa di proprietà del colosso francese Gdf Suez, un’azienda leader nel settore carcerario, "uno dei partner principali dell’amministrazione penitenziaria francese". Un esperimento, il primo passo verso la privatizzazione delle carceri. Gepsa si è aggiudicata l’appalto al ribasso per via Corelli (40 euro al giorno per detenuto), cifra che aveva scoraggiato la Croce Rossa dopo sedici anni di gestione impossibile e contestata, tra rivolte, pestaggi, violenze e tentativi di fuga e suicidio.Via Corelli, come gli altri Cie sparsi per l’Italia (quasi tutti chiusi o in ristrutturazione), è la prova di un fallimento generale che coinvolge anche chi non ha più avuto la forza o la voglia di battersi contro un simbolo piuttosto ingombrante dell’ingiustizia che domina il mondo, perché muri e celle sono qui, nelle nostre città. Il Cie è inutile, non funziona, è anti economico, e la sua stessa esistenza è una violazione dei diritti umani, senza bisogno che vi si commettano violenze. A Milano però non c’è aria di rivolta, anche se qualcosa si sta muovendo, non fosse altro che per una questione di toni. Inusuali, per esempio, quelli di Cgil-Cisl-Uil che protestano definendo il Cie "luogo di segregazione su base razziale che non può essere più tollerata". I sindacati chiedono a prefettura e Comune di Milano che la struttura venga riconvertita in un centro di accoglienza per rifugiati, "perché si esca finalmente da una visione securitaria e punitiva del fenomeno dell’immigrazione per attivare, al di là delle belle dichiarazioni, politiche di integrazione e di accoglienza". Luca Cusani, presidente del Naga, parla di "vuoto abissale della politica" e teme il peggio: "Dato che la ristrutturazione è avvenuta in seguito a una distruzione da parte dei detenuti e visto che le ribellioni sono state l’unica vera forma di contrasto ai Cie, immaginiamo che la nuova versione conterrà strumenti e dispositivi che tenteranno di neutralizzare ogni forma di rivolta attraverso meccanismi di sottomissione e costrizione". Via Corelli non è ancora aperto. Nei primi giorni di maggio, con una manifestazione ancora da preparare, alcune associazioni proveranno ad inaugurare una nuova stagione di resistenza antirazzista. Difficile. Ma tutti si augurano almeno che possa accadere con a fianco il Comune di Milano. Immigrazione: Camera penale Milano; preoccupante la notizia della riapertura del Cie Ansa, 18 aprile 2014 La Camera Penale di Milano è preoccupata dalla notizia della riapertura a Milano del Cie, il centro di identificazione ed espulsione, e dell’inaugurazione del centro di accoglienza per Richiedenti Asilo e promette una "attenta vigilanza" perché siano rispettati i diritti "troppo spesso violati, che devono essere garantiti a ogni persona, sia essa cittadino o straniero". Secondo l’Unione delle Camere Penali, infatti, i Cie sono luoghi di "effettiva detenzione, in palese violazione di tutti i diritti sanciti dalla Costituzione e dalle norme vigenti, anche comunitaria". "L’affido della gestione della struttura a un raggruppamento d’imprese condotto da Gepsa, società privata francese che gestisce le carceri - spiega in un comunicato la Camera penale di Milano - desta ancora maggior preoccupazione e denota l’effettività del carattere detentivo dei luoghi di asserito trattenimento". Droghe: in Campania proposta legge regionale per la disciplina dei farmaci cannabinoidi Ansa, 18 aprile 2014 Prende spunto dal modello abruzzese la proposta di legge regionale sulla disciplina di medicinali cannabinoidi per finalità terapeutiche, presentato dal gruppo del Partito Socialista Europeo in consiglio regionale, su proposta di Radicali Salerno "Maurizio Provenza". Oggi a palazzo di città, nella sede del gruppo consiliare socialista, il primo firmatario della proposta di legge, il consigliere regionale, Gennaro Mucciolo, assieme al segretario Radicali Salerno Associazione "Maurizio Provenza", Donato Salzano, ha illustrato le finalità della proposta di legge che è racchiusa in otto punti. "L’avvio del trattamento può avvenire - ha detto Gennaro Mucciolo - sia in ambito ospedaliero o in strutture accreditate, sia in ambito domiciliare. Per quanto riguarda i costi la proposta di legge prevede l’intera copertura finanziaria del Servizio Sanitario Regionale". Al momento nella relazione finanziaria per gli anni 2014 e 2015 è prevista una copertura di 50 mila euro. Per gli anni successivi è previsto un apposito capitolo di bilancio. Mucciolo ha anche ricordato che " in attesa che si avvii l’iter legislativo saranno disposte le audizioni in Commissione Sanità con tutti i soggetti interessati al problema". Donato Salzano segretario dei Radicali Salerno Associazione "Maurizio Provenza" ha posto l’accento sul tipo di cannabinoide che viene utilizzato per uso terapeutico. "Si tratta di cannabis sativa - ha detto - che è completamente differente dalla cannabis indica". Salzano ha anche annunciato la nascita del "Salerno cannabis club" al quale potranno aderire disabili ed ammalati". All’incontro di oggi ha preso parte anche Mariangela Perelli, presidente d’onore della cellula Luca Coscioni di Salerno, che ha portato la propria testimonianza sull’efficacia dei medicinali cannabonoidi. "Sono una vittima di un pirata della strada - ha raccontato - e da 22 anni sono relegata su una sedia a rotelle. Oggi per lenire il dolore sono costretta a ricorrere a 120 mg. giornalieri di ossicodone (morfina sintetica). Dieci anni fa per le gravi lesioni riportate sia in una clinica svizzera sia in un’altra tedesca - ha detto - ho provato un farmaco cannabonoide prodotto in Gran Bretagna. Devo dire che era un’ottima alternativa alla morfina e non creava effetti collaterali. Spero che questa legge passi al più presto". Bolivia: 18 napoletani in carcere per una truffa e dimenticati dal governo italiano di Arnaldo Capezzuto Il Fatto Quotidiano, 18 aprile 2014 "L’ambasciata italiana e il Ministero degli Esteri hanno abbandonato diciotto italiani nelle galere della Bolivia disinteressandosi delle condizioni carcerarie, del loro stato di salute e delle lungaggini della giustizia locale". L’accusa è dell’avvocato Sabato Tufano, legale di fiducia di uno degli arrestati, Gennaro Ciardi, 22 anni, arrestato a La Paz, località a Sud della Bolivia, lo scorso 5 febbraio, insieme ad altri 17 napoletani e due boliviani. Una vicenda ingarbugliata: tutti sono accusati dall’autorità giudiziaria di aver organizzato una truffa nella vendita di apparecchiature prevalentemente per l’agricoltura "made in China" e fatte passare per tedesche. Il classico e spregevole "pacco napoletano", purtroppo d’esportazione. Responsabilità che i diciotto fermati non negano - certo occorre accertare i fatti precisi per ognuno di loro - ciò però non giustifica uno stato detentivo assurdo. I diciotto italiani sono reclusi nel penitenziario di San Pedro, un carcere spesso finito sotto i riflettori della cronaca per via del suo sovraffollamento per le condizioni disastrose della struttura che portano ad evidenti e gravi problemi di ordine igienico/sanitario e psicologico per i detenuti che si trovano a dover vivere, in condizioni veramente al di là di un’umana sopportabilità. Il paradosso è che una volta entrato nel carcere, il detenuto non è controllato da nessuno e, non viene nemmeno tutelato in caso di aggressione, violenza o abuso: i detenuti stanno dentro le mura, la polizia carceraria sta fuori. Le giornate non sono scandite da orari, attività o da un rigido regolamento che i detenuti sono tenuti a seguire. Tutto ciò che succede all’interno del carcere è regolato da una sorta di "regolamento interno" dei carcerati, che si organizzano in maniera del tutto autonoma, eleggendo alcuni delegati che stabiliscono norme e regole di vita e convivenza da seguire all’interno di quelle quattro mura. "Il penitenziario si trova ad una altura di oltre tremila metri e in questo momento fa molto freddo - continua l’avvocato Tufano - per avere una coperta il mio assistito ha dovuto attendere un mese". Ma il problema più serio è che sia l’ambasciata italiana in Bolivia sia il ministero degli Affari Esteri sembrano proprio disinteressati della vicenda. "Ho più volte sollecitato un intervento della Farnesina e dell’ambasciata affinché - sottolinea il legale - si celebrasse almeno l’udienza o si definisse bene il capo d’imputazione per gli imputati invece a distanza di oltre due mesi tutto langue. Nessuno risponde, nessuno interviene, nessuno fa nulla e c’è solo il continuo rinvio della causa. In più c’è da dire che noi avvocati italiani non abbiamo alcun modo di interagire né con i colleghi della Bolivia né con l’autorità giudiziaria". "Se il reato è stato consumato - aggiunge - parliamo sempre di una truffa e non di cose ben più gravi come il narcotraffico. Ma ciò che è scandaloso - denuncia il legale - è il silenzio colpevole che è calato da parte delle nostre autorità preposte ad intervenire e dei media. Sembra che ci siano italiani di serie A, B, C fino a Z abbandonati a loro stessi dove insomma essere italiani non conta praticamente nulla". E l’avvocato Tufano a nome delle famiglie dei detenuti italiani nel carcere di San Pedro conclude rivolgendo un appello al neo ministro degli Esteri Federica Mogherini: "Occorre che l’Italia intervenga e faccia sentire il suo peso internazionale verso connazionali che avranno anche commesso dei reati ma devono essere trattati con dignità e nel rispetto delle leggi e fatti rientrare in Italia". Stati Uniti: parlamentari Pd-Sel-Sc chiedono revisione di processo a Enrico "Chico" Forti Dire, 18 aprile 2014 Ottenere la revisione del processo negli Usa nei confronti di Enrico "Chico" Forti, l’imprenditore trentino da 15 anni detenuto in Florida presso Dade Correction Institution perchè condannato per omicidio "al termine di un processo lampo durato 25 giorni". È questa la battaglia che alcuni parlamentari stanno facendo presentando anche una mozione a Montecitorio sostenuta, tra gli altri, dai deputati del Pd Walter Verini e Michela Rostan, insieme a Florian Kronbichler (Sel) e Mariano Rabino (Scelta Civica). "Intendiamo sostenere la campagna - ha detto Verini - perchè il governo italiano compia ogni attività possibile sul piano del diritto internazionale e in campo diplomatico affinché le autorità statunitensi garantiscano un processo giusto". Per Rostan,"al di là della vicenda processuale di Forti, "c’è un interesse collettivo dell’Italia ad assicurare un giusto processo, come previsto dalla nostra Costituzione". Giulio Terzi, ex ministro degli esteri e ambasciatore, ha detto che "sulla vicenda Forti è possibile una svolta vera, anche perchè finora non c’è stata una sufficiente mobilitazione dell’opinione pubblica. Nell’indagine e nel processo ci sono state gravissime lacune". Alla conferenza stampa ha partecipato anche Gianni Forti, fratello di Enrico. Stati Uniti: giudice chiede alla Cia di svelare il trattamento dei detenuti a Guantanámo Tm News, 18 aprile 2014 Un giudice militare che sta supervisionando i processi alla prigione di Guantánamo ha ordinato alla Cia di svelare dettagli sul trattamento dei detenuti e sulle prigioni segrete. Il colonnello James Pohl ha chiesto nello specifico di rivelare i nomi, le date e i luoghi delle carceri segrete dove è stato detenuto il saudita Abd al-Rahim al-Nashiri, tra il suo arresto - avvenuto nel 2002 - e il suo trasferimento a Guantánamo nel 2006. L’uomo è accusato dell’attacco al cacciatorpediniere Uss Cole avvenuto nel 2000 nel Golfo Persico, in Yemen, e in cui hanno perso la vita 17 marinai americani. La richiesta - avvenuta a pochi giorni dalla pubblicazione di un rapporto da parte della Commissione Intelligence del Senato - apre la possibilità di sapere di più sulle tecniche di interrogatorio, detenzione tortura utilizzate dalla Cia. Iran: la donna che ferma il boia… sul patibolo schiaffeggia e grazia il killer di suo figlio di Francesca Paci La Stampa, 18 aprile 2014 Le storie dei condannati a morte in Iran non finiscono bene neppure in un romanzo d’amore come "Underground Bazar" di Ron Leshem. Per questo vale la pena raccontare quella vera del giovane Balal Abdullah, perdonato dalla madre della sua vittima a pochi istanti dalla fine, quando aveva già la benda nera sugli occhi e il nodo scorsoio introno al collo. Balal era stato destinato alla pena capitale nel 2007 per aver ucciso a coltellate il coetaneo diciassettenne Abdollah Hosseinzadeh durante una rissa in strada a Noshahr, nel nord del paese. L’ora X era fissata per martedì e la piazza centrale della città aspettava muta l’ennesima prova dell’impermeabilità di Teheran all’affermazione dei diritti umani. Secondo Amnesty International e gli osservatori Onu dall’elezione del presidente Hassan Rohani, lo scorso agosto, il lavoro del boia si è addirittura intensificato con almeno 537 esecuzioni negli ultimi 8 mesi, 200 delle quali dall’inizio del 2014 a oggi. Il paese stagna in un perenne deprimente bivio, il passato e il futuro, la spietata ineluttabilità della legge di Dio e la resilienza degli uomini. La logica dell’occhio per occhio prevedeva che spettasse a mamma Samereh Alinejad scalciare via la sedia da cui Balal in piedi lanciava le sue ultime grida, abbandonandolo al vuoto. Invece lei, che dopo Abdollah aveva perso un figlio di 11 anni in un incidente di moto, ha detto no, ha schiaffeggiato l’assassino implorante perdono, si è calmata, ha guardato i concittadini ai quali poco prima aveva domandato "Sapete cosa vuol dire vivere in una casa vuota?", ha ascoltato i loro applausi e poi ha chiesto al marito Abdolghani di liberare il condannato dalla corda fatale. Ora sconterà la pena in carcere. "Sono una credente, tre giorni fa ho sognato il mio ragazzo che mi diceva di essere in un bel posto e mi chiedeva di non cercare il regolamento dei conti così ho punito l’assassino schiaffeggiandolo" ha spiegato la donna ai giornalisti locali. Un gesto irrazionale di segno opposto alla vendetta. Il consorte, un ex allenatore di calcio, ha aggiunto al "Guardian" che si è trattato di un incidente, che Balal non voleva uccidere suo figlio e che era "inesperto, non sapeva maneggiare il coltello da cucina". La Repubblica islamica dell’Iran è seconda solo alla Cina per il numero di condanne a morte eseguite pubblicamente ogni anno. Ementre il paese reale spera che il rallentamento del programma nucleare porti a un accordo internazionale il 20 luglio prossimo, quello ferale composto dagli ultraconservatori e dai Pasdaran tiene sotto pressione il presidente Rohani per il suo tentativo di concedere alcune minime libertà culturali, in particolare nel campo dei social network. Balal, per il quale nei mesi scorsi si erano spesi artisti e personaggi dello sport tra cui il popolare commentatore di calcio Adel Ferdosipour e l’ex calciatore internazionale Ali Daei, è tornato in prigione. Il sistema della "qisas", una variante islamica della legge del taglione, stabilisce infatti che le famiglie delle vittime possano intervenire sulla pena di morte e non sulle sentenze carcerarie. Ma la sua storia vera ha galvanizzato i 140 mila firmatari della petizione per il perdono di Reyhaneh Jabbari, la 26enne in attesa della sentenza di morte per l’omicidio di un membro dei servizi segreti che, ripete lei, voleva violentarla. Venezuela: opposizione; niente dialogo senza un’amnistia per arrestati durante proteste Ansa, 18 aprile 2014 Gli studenti e i settori radicali dell’opposizione che rifiutano il dialogo con il governo di Nicolas Maduro esigono una legge di amnistia per i detenuti durante le proteste antichaviste che si susseguono da oltre due mesi - con un bilancio di oltre 40 morti - come unico possibile "segnale chiaro" della volontà politica di una "riconciliazione fra venezuelani". "Non è possibile che il governo dica che sta dialogando mentre continuano ad arrestare i nostri compagni e rifiutano ogni possibilità di amnistia", ha detto Carlos Bello, dirigente del movimento studentesco che ha lanciato la protesta di piazza a inizio febbraio, e che non ha voluto partecipare al dialogo promosso con la mediazione dell’Unasur e del Vaticano. Bello ha ribadito le condizioni poste dagli studenti per un dialogo con il governo: "l’incontro deve essere trasmesso in diretta da tutti i canali tv, in presenza del nunzio apostolico, della conferenza episcopale venezuelana e del settore studentesco che ha lanciato la protesta". L’arcivescovo di Caracas, cardinale Jorge Urosa Savino, ha appoggiato questa richiesta, sottolineando che "è necessario che ci sia una legge di amnistia" e denunciando che i sindaci Daniel Ceballos e Enzo Scarano, così come il leader oppositore Leopoldo Lopez "sono detenuti in condizioni inumane, e non si capisce perché siano tenuti in segregazione".