La Carta dei figli dei genitori detenuti Il Mattino di Padova, 14 aprile 2014 Se a un bambino succede che gli arrestino uno dei genitori, riuscire a mantenere la relazione familiare, senza sentirsi tradito da quel genitore, ma anche senza sentirsi spaventato da quelle istituzioni, che rinchiudono in carcere suo padre o sua madre, è fondamentale perché la sua crescita sia ugualmente equilibrata e il più possibile serena. È da questa esigenza che è nata la Carta dei figli dei genitori detenuti, un Protocollo d'Intesa sottoscritto dal Ministero della Giustizia, dall'Autorità Garante dell'Infanzia e dell'Adolescenza e dall'Associazione Bambinisenzasbarre Onlus, a tutela dei diritti dei 100mila bambini e adolescenti che entrano nelle carceri italiane. La Carta dei figli dei genitori detenuti riconosce il diritto di questi figli, spesso considerati "orfani di padri o madri vivi", alla continuità del proprio legame affettivo con il genitore detenuto, ma anche il diritto di quei padri e quelle madri a non perdere la loro famiglia nel periodo drammatico della detenzione. Affidiamo a due figli di detenuti, finiti a loro volta in carcere da adulti, il compito di portare la loro testimonianza difficile, ma significativa di come occuparsi dei diritti di questi figli voglia dire anche garantire a loro un futuro dignitoso e alla società più giustizia e più sicurezza sociale. Il carcere fa nascere e crescere nei bambini un muro di durezza Nei giorni scorsi è stato firmato un protocollo d’intesa affinché ai figli delle persone in carcere sia garantito proprio il diritto ad essere figli. Purtroppo le carceri italiane e le leggi attuali in merito a questo tema sono molto inadeguate rispetto a quello che succede in tanti altri Paesi europei, infatti è sempre più difficile oggi per i figli delle persone detenute riuscire a mantenere un rapporto umano con il proprio congiunto, e in questo modo si rischia che siano proprio i figli a pagare la vera pena per gli errori che hanno commesso i loro genitori, dovendo crescere sentendosi come bambini di serie B rispetto ai loro coetanei, perché ci si dimentica che invece anche loro sono vittime delle scelte dei genitori, rinchiusi per aver commesso dei reati. Io sono un genitore detenuto, e prima di essere padre sono stato figlio a mia volta di un padre detenuto. Nonostante siano passati ormai molti anni da quando ero figlio di un detenuto, è ancora nitido il ricordo della sofferenza e della disumanità che sono stato obbligato a vivere in quegli anni quando mi recavo nei vari istituti a trovare mio padre, o la rabbia e la frustrazione che crescevano dentro di me in quel periodo nei confronti delle istituzioni ogni qual volta all’uscita da scuola o nei vari eventi come un compleanno, le recite, la comunione, diversamente dai miei compagni io ero senza la presenza di mio padre. In questo modo per i figli la pena del padre diventa una punizione crudele, in quanto non tiene conto della loro dignità e tanto meno del diritto ad essere figlio. Io credo che una pena utile deve privare un genitore solo della propria libertà e non del ruolo genitoriale, come invece oggi avviene per chi sta in carcere, perché in questo modo si fa pagare ai figli delle persone detenute male con male, usando lo stesso linguaggio di violenza che hanno usato i loro genitori nel commettere i loro reati, e con il tempo questa punizione rischia di diventare deleteria nei confronti di chi è stato figlio di un detenuto, perché fa nascere e crescere nei bambini un muro di durezza, che invece di avvicinarli alle istituzioni e alla legalità finisce per allontanarli. Credo che infatti non sia un caso che tanti bambini che hanno avuto i genitori in carcere a loro volta crescendo si sono trovati ad avere problemi con la giustizia e quindi a sperimentare l’esperienza carceraria. Io credo che ci sia bisogno non solo di un protocollo d’intesa, ma anche di una rivoluzione culturale nel nostro Paese in merito a questo tema per cambiare rotta, altrimenti sulla carta continuiamo ad avere moltissimi diritti, ma poi di fatto i figli dei detenuti continuano a vivere una vera e propria negazione di esperienze di conoscenza autentica nei confronti dei propri genitori, che nel tempo in molti casi rischia di trasformarsi in un senso di inferiorità fisica e psicologica. Io apprezzo il buon senso dell’iniziativa presa dai vari operatori del settore in merito a quest’ultimo protocollo d’intesa che rafforza ulteriormente la sacralità di essere figli "senza se e senza ma", ma auspico però che chi è preposto poi ad applicare queste leggi dimostri maggior sensibilità su questo tema e non continui a far rimanere i diritti solo parole scritte sulla carta e mai applicate. Luigi Guida Io sono cresciuto con il sentimento più brutto che possa esistere: l’odio Come si può non dare il giusto valore agli affetti in carcere? Io ho sbagliato nella mia vita, ma non è giusto che io venga privato della possibilità di coltivare i miei affetti in maniera umana. In questi giorni, dopo tanti anni, ho fatto il colloquio con una persona importante, una persona con cui mi accomuna l’amore per nostra figlia. Una figlia che io non ho mai conosciuto, oggi lei ha quasi cinque anni. Uno dei motivi per cui ho deciso di non conoscerla è che so che il contatto con il carcere da bambini è pericoloso. Può incidere sul suo futuro, sulla sua personalità, e questo non lo voglio. So di cosa stiamo parlando. Io sono figlio di un carcerato e sono cresciuto con il sentimento più brutto che possa esistere: l’odio. L’odio nei confronti di un sistema che io vedevo nemico e, soprattutto, nei confronti di me stesso. È per questo che ho deciso di non conoscerla. Tutto questo ti dilania l’anima, è come se ti mancasse un pezzo per completare questo enorme puzzle che è la vita. Sento tanto parlare di affetti. Quando si ottiene qualche piccola conquista, gioisco. Grazie alla redazione di Ristretti Orizzonti, siamo riusciti a ottenere la possibilità di un colloquio lungo ogni due mesi, da fare in palestra pranzando con la propria famiglia, e due telefonate da 10 minuti in più al mese, ma è poco di fronte all’importanza degli affetti, e alle poche possibilità di averne cura. Noi lottiamo per questo problema che è comune a tutti gli istituti penitenziari italiani. Non capisco da dove possa derivare questa attenzione così scarsa alle famiglie dei detenuti, visto che uno dei principi su cui è fondata la vita del nostro Paese è il valore della famiglia. È vero che io ho fatto una scelta di vita sbagliata, ma non è giusto che per questo paghi una generazione futura. Anche i figli dei carcerati devono avere il diritto sacrosanto di avere dei genitori presenti il più possibile. Dunque perché esiste una cultura che tanto assomiglia a una tortura vera e propria? Ci sono dei dati sconcertanti che dimostrano che circa il 30% dei figli di detenuti rischia di finire a delinquere. È orrendo pensare che dei bambini abbiano un futuro segnato, mi dà l’impressione di una società davvero poco civile. Una cosa che mi sono sempre chiesto è perché l’agente penitenziario deve avere per forza la divisa anche nei colloqui dove sono presenti i bambini. La divisa è un simbolo che fa tenere le distanze, fa mantenere i ruoli, ma cosa capisce un bambino? Vede solamente questa diversità. Vede una persona con la divisa che aprirà delle porte per condurlo dal proprio genitore, una divisa per i soliti riti di perquisizione e per i continui controlli. È facile intuire che questo può incidere sulla crescita del figlio. Cosa cambierebbe per esempio se gli agenti fossero in borghese? E poi perché non creare degli sportelli di sostegno per le famiglie? La mancanza della possibilità di veder crescere i propri figli in maniera umana è una condanna aggiuntiva, priva di ogni senso. Non c’è niente di rieducativo, anzi non è altro che un incremento di odio verso quelle istituzioni che dovrebbero reinserire il detenuto. Noi non chiediamo clemenza per quello che siamo stati e che abbiamo fatto, chiediamo solo di non privare i nostri figli di quella dignità di cui oggi siamo privati noi reclusi. Chiediamo che i nostri figli possano vivere il proprio genitore in maniera costruttiva, e solo così il genitore può raggiungere la consapevolezza di avere commesso dei gravi errori e insegnare a loro che tutto può avere un senso, anche una condanna penale. Chiediamo che i nostri figli facciano di diritto parte della società e che non si sentano emarginati da un sistema, che deve garantire per il loro futuro. Queste sono le richieste di un genitore che ama sua figlia, ma che non può dimostrarglielo. Non vi sto chiedendo di scarcerarmi, ma di liberarmi da quel dolore gratuito che oggi mi state imponendo. Lorenzo Sciacca Giustizia: rieducare un detenuto salva lui e aiuta noi di Gian Carlo Caselli Il Fatto Quotidiano, 14 aprile 2014 Sulle tracce del principio che la legalità "conviene" (perché migliora la qualità della vita), si può riflettere sull’esecuzione della pena. L’utilità della norma, in questo caso, non sta soltanto nel comune sentire che "chi sbaglia paga". C’è di più, o quanto meno dovrebbe esserci. All’antica legge del taglione si sono sostituite col progresso civile logiche diverse, ispirate all’obiettivo di ricomporre una socialità ferita, divisa da inimicizie e fratture profonde per effetto dei reati commessi. Il che significa che la pena va sì eseguita, ma senza accanirsi sul colpevole fino a schiacciarlo e impedirgli di cambiare. Si deve invece tendere all’ideale rieducativo, risocializzante e riconciliante dell’art. 27 Costituzione. Ma per tutta una serie di ragioni (sovraffollamento delle carceri e caratteristiche personali dei detenuti stranieri o tossicodipendenti, di fatto esclusi da certi circuiti) si tratta di un ideale quasi sempre irraggiungibile. Il carcere spessissimo diventa una porta girevole, nel senso che chi esce torna a delinquere e quindi rientra in galera. Una spirale inarrestabile che crea insicurezza per la collettività, mentre un carcere che recupera fa del bene non solo al detenuto ma anche alla comunità esterna: perché il detenuto recuperato che non delinque più cessa di essere un problema per la sicurezza dei cittadini, la cui serenità perciò aumenta e con essa la qualità complessiva della vita sociale. Purtroppo la storia del sistema penitenziario italiano è un rincorrersi continuo di emergenze, violenze e povertà con la conseguenza che i problemi legati ai soggetti portatori di fragilità complesse (immigrazione, consumo di droghe, malattie mentali, marginalità...) vengono sbrigativamente trattati con il carcere, trasformato in una specie di "discarica" nella quale seppellire tutti i problemi esterni che non si sa come risolvere. Dimenticando la realtà inconfutabile che alla diminuzione della spesa sociale (in quanto argine rispetto a quelle fragilità) corrisponde l’aumento della spesa sanitaria e penale. Mentre in tempi bui di penose ristrettezze economiche come le attuali, sarebbe utile invertire la tendenza limitando le due ultime voci con l’incremento della prima. Occorrerebbe però alzare lo sguardo oltre la contingenza e mettere mano alle questioni che ci si illude di risolvere con la "miopia" della risposta detentiva, passando ad una politica che eviti in radice la periodica riproposizione dell’emergenza carceri. Ecco un percorso che libererebbe dalle catene dell’astrattezza se non dell’utopia la regola aurea della rieducazione del condannato: con evidenti benefici sia per la sicurezza dei cittadini che per la razionalità della destinazione del denaro pubblico. Vale a dire con benefici che ancora una volta rinsalderebbero l’equazione "legalità/qualità della vita". Giustizia: i Radicali inoltreranno al Consiglio d’Europa un nuovo "dossier carceri" www.radicali.it, 14 aprile 2014 Si è riunito a Roma dall’11 fino a ieri 13 aprile 2014 il Comitato Nazionale di Radicali Italiani. Nella Mozione Generale si legge il rilancio del Satyagraha "abbiamo contato gli anni, ora contiamo i giorni" iniziato il 28 febbraio scorso per sensibilizzare sui "trattamenti inumani e degradanti" nei 205 penitenziari italiani ed il ringraziamento radicale agli oltre 1.500 cittadini, in gran parte detenuti e loro familiari, che hanno animato "la lotta nonviolenta" assieme alla Segretaria di Radicali italiani. I Radicali danno mandato agli organi statutari di "inoltrare sollecitamente al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il dossier predisposto dall’avvocato radicale Deborah Cianfanelli sullo stato delle nostre carceri in vista della riunione in cui verranno valutate le misure adottate dall’Italia per corrispondere all’ingiunzione della sentenza Torreggiani". Il Ministro Orlando, intervistato due giorni fa dal quotidiano L’Unità sul caso Dell’Utri, ha parlato della sua scorsa visita a Strasburgo per presentare il piano di risoluzione della questione carceraria italiana: "abbiamo messo in evidenza progressi e punti critici - ha detto il Guardasigilli. I progressi sono nei numeri: oggi circa 60mila detenuti a fronte ci circa 45mila posti disponibili. Prima di una lunga serie di interventi eravamo arrivati a circa 40mila posti a fronte di una crescita tendenziale che puntava a circa 70mila detenuti. Bene: questo trend è stato bloccato e tutti i mesi assistiamo a una piccola diminuzione". Lo scopo per il Ministro è quello di "ridurre ulteriormente, arrivare a una forbice di circa diecimila unità. Non è chiaramente l’ottimo ma è un obiettivo che consente di iniziare a lavorare sulla qualità della detenzione". Orlando la settimana scorsa è stato anche a La Spezia nel corso della convention "Parole di Giustizia" ed ha riaffrontato il problema del sovraffollamento, che "va risolto - ha spiegato il Ministro Orlando - e ci stiamo lavorando, ma è il tasso di recidiva che preoccupa. In Italia è del 75%, in Francia del 25%, questo perché il detenuto italiano cade in un baratro da cui rischia di non uscire più. Sono pochi gli istituti con scuole all’interno e con possibilità di formazione e crescita, vero antidoto a una ripetizione del reato". Il Ministro sta pensando anche ad una classificazione delle carceri. Il piano giustizia nel timing renziano è previsto per giugno, intanto sui numeri forniti dall’amministrazione penitenziaria e dal Ministro ancora vengono avanzati dubbi da diverse associazioni. La data del 28 maggio è vicina e lo stallo parlamentare sui ddl amnistia e indulto non lascia intravedere sbocchi positivi per i provvedimenti di clemenza. Giustizia: la chance della "messa alla prova" dell’imputato, per estinguere il reato di Fabio Fiorentin Il Sole 24 Ore, 14 aprile 2014 Possibile chiedere la sospensione del procedimento fin dalle indagini per gli illeciti puniti con pena pecuniaria o detenzione fino a 4 anni. Debutta la sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell’imputato, introdotta dal Ddl sulle pene alternative al carcere - approvato dal Parlamento il 2 aprile e in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale - per deflazionare il numero di processi e limitare l’applicazione di una pena detentiva. La nuova disciplina, che sarà operativa con l’entrata in vigore del Dd è ispirata all’analogo istituto previsto per i minorenni (articolo 28 del Dpr 448/88), stabilisce che la misura concessa su istanza dell’imputato in procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per 1 delitti previsti dall’articolo 550, comma 2, del Codice di procedura penale (violenza, minaccia o resistenza a un pubblico ufficiale, oltraggio a un magistrato in udienza aggravato dall’attribuzione di un fatto determinato, violazione di sigilli commessa dal custode, rissa con l’esclusione deli casi in cui qualcuno resti ucciso o riporti lesioni gravi o gravissime, furto aggravato, ricettazione). La domanda La richiesta può essere formulata nel corso delle indagini preliminari (in questo caso è acquisito il parere motivato del Pm), o fino a che non siano formulate le conclusioni a nonna degli articoli 421 e 422 del Cpp, o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Nel caso di giudizio immediato, la domanda è proposta in base all’articolo 458, comma 1, del Cpp: occorre depositare la domanda nella cancelleria del Gip con la prova dell’avvenuta notifica al Pm entro 15 giorni dalla notificazione del decreto di giudizio immediato. Nel procedimento per decreto, la richiesta è presentata con l’atto di opposizione. La volontà dell’imputato va espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale, con sottoscrizione autenticata da un notaio, da altra persona autorizzata o da un difensore (articolo 583, comma 3, del Cpp ). All’istanza è allegato un programma di trattamento elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, che illustra il progetto di recupero sociale da seguire, che può comprendere il volontariato, le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche nei confronti della persona offesa per riparare il danno da reato. L’esecuzione Il programma può prevedere prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora in un determinato luogo, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. La concessione del beneficio è subordinata obbligatoriamente allo svolgimento di un lavoro di pubblica utilità, non retribuito, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, prestato a favore della collettività, presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, le Asl o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione va regolata con mudai ita che non pregiudichino le esigenze di lavoro, studio, famiglia e salute dell’imputato e non può durare più di otto ore al giorno. La messa alla prova, dalla quale sono esclusi i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, non può essere concessa più di una volta. Il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129 del Cpp - acquisite le necessarie informazioni anche tramite la polizia giudiziaria e sentite le parti - se ritiene che il programma proposto sia idoneo e che l’imputato non commetterà nuovi reati (è valutato anche il domicilio, in relazione alle esigenze della persona offesa), applica la misura con ordinanza, ricorribile per Cassazione. Durante la sospensione del procedimento (non superiore a due anni se il reato è punito con pena detentiva e di un anno nel caso di pena solo pecuniaria) il corso della prescrizione del reato è sospeso, ma - in deroga all’articolo 161, comma 1, del Codice penale - non per gli eventuali correi. Non è sospeso nemmeno, nei confronti dell’imputato, l’eventuale processo civile per i danni. Durante la sospensione sono acquisite, a richiesta di parte, con le modalità stabilite per il dibattimento, le prove non rinviabili e quelle che possono condurre al proscioglimento dell’imputato. L’esito In caso di esito positivo della prova, il giudice dichiara con sentenza l’estinzione del reato per cui si procede, ma non è pregiudicata l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, quando previste. Nel caso di grave o reiterata trasgressione al programma o al le prescrizioni, di rifiuto del lavoro di pubblica utilità, o di commissione di un altro delitto non colposo o di un reato della stessa indole nel corso della prova, il giudice revoca il beneficio, in esito all’udienza appositamente fissata, cui partecipano le parti e la persona offesa. Nel caso di revoca o esito negativo della messa alla prova, l’istanza non può essere riproposta e il procedimento riprende, ma il Pm detrarrà dalla pena da eseguire la quota corrispondente al periodo in cui la misura è stata eseguita dall’imputato. Giustizia: l’avvocato di Dell’Utri "speriamo di ottenere una misura diversa dal carcere" di Riccardo Arena La Stampa, 14 aprile 2014 "Macché fuga", dice l’avvocato Giuseppe Di Peri, che con Massimo Krogh domattina affronterà l’udienza di Cassazione forse più in salita della sua carriera. Eppure fa l’avvocato fino in fondo e sostiene che Dell’Utri non intendeva affatto sottrarsi alla giustizia italiana. Dice il difensore dell’ex parlamentare condannato a 7 anni, in attesa della sentenza definitiva per mafia e arrestato sabato mattina a Beirut, dopo una fuga durata alcuni giorni: "Sarebbe andato in un Paese non legato al nostro da un trattato di estradizione, se avesse pianificato la fuga. Non avrebbe usato la carta di credito né il telefonino a lui intestato, né si sarebbe registrato in albergo con il suo nome. È quello che sosterrà davanti al giudice libanese. La speranza nell’immediato è di avere una misura meno afflittiva del carcere". Potrebbe giocare anche la carta del biglietto aereo di ritorno verso l’Italia, che gli sarebbe stato trovato dagli investigatori? "Non so se questo biglietto ci sia. Se ci fosse, sarebbe l’ulteriore riprova che non voleva andarsene, ma che era in viaggio e intendeva tornare". Sarà dura, convincere il magistrato che non era lì per fuggire. "Intanto il giudice dovrà convalidare l’arresto e non è detto che lo faccia: il mio cliente lo sosterrà e ha elementi per provarlo. E se ci fosse la convalida, si dovranno verificare l’esistenza del trattato, la vigenza attuale, le sue clausole. Ci vorranno uno o due mesi". E in questo periodo Dell’Utri starà in carcere? "Mi auguro che accolgano la richiesta che faranno i legali libanesi, di concedergli una misura cautelare diversa". Domiciliari o la libertà su cauzione? A un imputato che aveva lasciato il proprio Paese, in attesa di una sentenza che potrebbe costargli 7 anni di prigione? "Non era in fuga. Era lì per altri motivi. Non c’era alcun piano". Avete studiato il trattato? Ci sono spazi per evitare l’estradizione? "No, ne abbiamo appreso l’esistenza dai mezzi di informazione. Non siamo preparati". Secondo gli esperti ci sono notevoli margini di manovra per la difesa: a partire dalla condizione di reciprocità. Il reato di concorso in associazione mafiosa non è riconosciuto in Libano, l’estradizione potrebbe essere negata. "Ho letto qualcosa su Internet". Nessun avvocato italiano andrà all’udienza? "No, per quel che mi risulta. Occorrono difensori del luogo, che conoscono la legislazione di quel Paese. Il senatore Dell’Utri mi risulta sia in totale isolamento". Questa storia rischia di condizionare la decisione della Cassazione, che due anni fa annullò la decisione con rinvio, mentre l’imputato Dell’Utri era chissà dove, all’estero? "Non dovrebbe essere così, il giudizio di legittimità prescinde da questa situazione di fatto, contingente". Però, insomma, siamo tutti uomini… "Queste vicende devono restare fuori dall’aula della Suprema Corte". Lettere: il "niet" del Dap ad Antigone... un’amministrazione sempre più isolata di Redazione www.poliziapenitenziaria.it, 14 aprile 2014 Ormai è palese: siamo di fronte ad una dirigenza arroccata in assetto difensivo come se fosse assediata da tutte le parti. Atteggiamento tipico di chi non è in grado di uscire fuori allo scoperto e che vede "fantasmi" in ogni dove. Lo dimostra l’inadeguatezza del gesto e delle parole usate dal Capo del Dap per intimare a tutti i Provveditorati di non fornire informazioni e dati sulle carceri all’Associazione Antigone che da decenni si occupa del settore penitenziario. Non è la prima volta che il Dap si abbassa a simili sotterfugi difensivi. Sempre la gestione Tamburino, nei mesi scorsi, ha subìto la vergogna dei dati sbagliati sulla capienza delle carceri, sui quali è stato clamorosamente smentito dalla Ministro Cancellieri. Per non parlare, poi, della "propaganda" sulla sorveglianza dinamica. Il Dap non ha mai brillato nel settore della comunicazione pubblica, ma almeno prima, rimanendo in silenzio, uno poteva anche avere il dubbio di avere di fronte un interlocutore che stava riorganizzando le proprie idee. Questa Circolare, a nostro parere, getta discredito su tutta l’Amministrazione penitenziaria ed è l’ennesima conferma di quale sia la levatura del Capo del Dap e di chi lo consiglia. Dov’è quel "carcere trasparente" di cui il Dap si è tanto riempito la bocca negli ultimi venti anni? Dove sono le regole minime di informazione, amministrazione pubblica, rendicontazione, trasparenza, se poi un Capo del Dap non ha vergogna di scrivere certe parole e nessuno dei suoi stretti collaboratori è in grado di fermarlo, di farlo ragionare, di consigliarlo per il bene dell’Amministrazione? I toni da "Soviet Supremo" utilizzati dalla circolare ai Provveditorati sono del tutto inadeguati, per tanti motivi. Sono fuori tempo, fuori luogo, inutili e per questo anche dannosi per quella stessa "immagine" che Tamburino, proprio con quelle parole ai Provveditorati, aveva la presunzione di voler difendere. Speriamo che questa sia l’ultima figuraccia della gestione Tamburino nel governo di un’amministrazione dello Stato così importante come quella penitenziaria e che i cambi dei vertici previsti dallo spoil system del Governo, arrivino al più presto a bussare a Largo Daga e si portino via questa stuola di dirigenti allo sbaraglio. Lettere: il paradossale caso di Mario Trudu… ovvero il trasferimento a spese del detenuto di Francesca de Carolis Ristretti Orizzonti, 14 aprile 2014 Il caso di Mario Trudu, fine pena mai, 35 anni di detenzione, da 10 anni a Spoleto, chiede di scontare la sua pena in un carcere sardo per essere vicino alla famiglia: dal Ministero rispondono che "si deve pagare il viaggio, scorta e tutte le spese attinenti al trasferimento". Segnaliamo una notizia che ci arriva dal carcere di Spoleto, di evidente gravità. La subordinazione della concessione di un avvicinamento-colloquio alla copertura da parte del detenuto del pagamento delle spese di viaggio, scorta e annessi compresi. È la risposta che il Ministero avrebbe dato a Mario Trudu, ergastolano, al 35esimo anno di carcerazione, che chiede un avvicinamento sia pur temporaneo alla famiglia, in Sardegna. Da tempo non incontra la sorella, in difficoltà per motivi di età e di salute, mentre gli incontri con gli altri familiari sono stati molto rari per via, oltre che della distanza, delle non floride condizioni economiche, che impediscono trasferimenti frequenti. È la prima volta che ci giunge notizia di una simile richiesta. Ci chiediamo se esiste, e da quando, una disposizione del Ministero che subordini i trasferimenti alla copertura della spesa da parte del detenuto, o se quanto meno leghi questa richiesta al superamento di un tetto di costo. Cosa che, oltre che violazione di un diritto, visto che null’altro osterebbe al trasferimento, comunque sembra essere fortemente discriminatoria. Ci sono vicende che si fa davvero fatica a crederci. Tanto che il primo pensiero che viene è che si tratti di uno scherzo, una burla… e questa mi è arrivata ieri sera in busta gialla, messa nero su bianco da Mario Trudu (giusto per ricordare, ergastolano, di Arzana, in carcere dal 1978, gli ultimi dieci nella casa di reclusione di Spoleto), come un pesce d’aprile giunto un po’ in ritardo, ma con le poste, si sa, bisogna a volte avere pazienza… Mario Trudu, dunque, che da molto tempo non vede le sorelle, e i motivi si possono ben immaginare: il costo del viaggio dalla Sardegna al continente, e quello della permanenza nei dintorni del carcere per chi ricco non è, l’età ormai avanzata e la salute che comincia a zoppicare…, da tempo dunque chiede un trasferimento sia pur temporaneo in un carcere sardo per avvicinarsi alla famiglia. Un avvicinamento-colloquio, come si dice. Uno spiraglio sembrava essersi aperto, qualche mese fa, e con pazienza Trudu ha aspettato. La pazienza… per chi è in carcere da 35 anni si pensa sia cosa infinita… Non nascondeva, Mario, l’ultima volta che l’ho incontrato, una tenue contentezza per i segnali buoni che aveva ricevuto. Dopo tanto tempo e tante vane attese. E la risposta dal Ministero è arrivata, dicendo, in poche parole, che Mario Trudu sarebbe potuto andare in un carcere in Sardegna, "pagandosi il viaggio, scorta e tutte le spese attinenti al trasferimento". Avete letto bene: il permesso può essere concesso, ma il Ministero lo affianca alla richiesta di una sorta di "concorso in spese", anzi di più, della copertura totale delle spese. Questo nel documento arrivato da Roma a Spoleto e che è stato fatto leggere a Trudu. Cifre non ne vengono specificate, ma facendo un po’ di calcoli qualcuno sussurra una cifra che presumibilmente può arrivare, fra andate e ritorni, a circa 10.000 euro. La motivazione di questa stupefacente richiesta? Sembra che lo Stato non abbia i soldi per pagare la scorta per avvicinare temporaneamente Mario Trudu in un carcere della Sardegna. Chi qualcosa sa del carcere, sa delle piccole spese per il sopravvitto, per avere qualcosa in più oltre alle poche cose "d’ordinanza", a volte meno del minimo necessario per la decenza… va bene mi piacciono le iperboli, ma mi sono chiesta se a breve verrà chiesto ai detenuti di pagarsi il costo della serratura della cella… in un paese dove (è vero si tratta di altre amministrazioni, ma che al medesimo Stato fanno capo) non si va a guardare troppo per il sottile per i rimborsi di spese fatte in tutta allegria da amministratori di vario livello e a vario titolo… La domanda più stupida che viene in mente: e dove andrà a prenderli mai un detenuto di famiglia non ricca, chiuso in carcere da 35 anni, i soldi per pagare un viaggio per sé, per la scorta e per tutto quanto si ritenga necessario alla bisogna… da quale lavoro, da quale fonte di reddito? Mentre proprio per la Sardegna negli ultimi mesi sono stati imbarcati e continuano ad esserlo detenuti dell’Alta Sicurezza, da tutta l’Italia, destinati a carceri proprio lì costruiti apposta per loro. E pensiamo al costo delle carceri e al costo dei trasferimenti… Altra domanda: le cose sarebbero diverse dunque se Trudu appartenesse ad una ricca famiglia che potesse pagare il viaggio come richiesto? E non si configurerebbe in questo caso una vera e propria discriminazione? O meglio bisogna chiedersi: c’è una disposizione del Ministero per cui è stabilito che le spese per avvicinamenti-colloquio devono essere effettuati a carico del detenuto? E a partire da quale data, visto che sappiamo di recenti avvicinamenti-colloquio (pure di persone in regime di Alta Sicurezza, e quindi con scorta adeguata) avvenuti regolarmente. Oppure esiste, e da quando?, una disposizione che chiede al detenuto la copertura del costo del trasferimento al di sopra magari di una certa somma? Insomma, trasferimenti con massimali di costi, oltre i quali sono affari, e spese, del detenuto? E non configurerebbe anche questo, il costo della distanza, grave discriminazione? Una notizia buona forse in tutto questo ci sarebbe. Mario Trudu potrebbe dunque essere avvicinato a casa. I motivi che ostano all’avvicinamento al luogo d’origine per chi abbia commesso gravi reati, dopo 35 anni infine sono caduti… e allora ancor di più la condizione che pone il Ministero non sa solo di beffa, ma suona violazione di diritto. Se da qualche parte dell’ordinamento penitenziario è pur scritto che i diritti fondamentali della persona vanno rispettati anche per chi è in stato di detenzione, in particolare con riferimento alle esigenze di tutela delle relazioni familiari. E visto che quando tutto manca ci si appella all’Europa, ecco le Regole penitenziarie europee, che stabiliscono che "la detenzione, comportando la privazione della libertà, è punizione in quanto tale. La condizione e i regimi di detenzione non devono quindi aggravare la sofferenza inerente ad essa, salvo come circostanza accidentale giustificata dalla necessità dell’isolamento o dalle esigenze della disciplina". Ma caduta la necessità dell’isolamento e le esigenze di disciplina "ogni sforzo deve essere fatto per assicurarsi che i regimi degli istituti siano regolati e gestiti in maniera da mantenere e rafforzare i legami dei detenuti con i membri della loro famiglia e con la comunità esterna, al fine di proteggere gli interessi dei detenuti e delle loro famiglie". Già, gli interessi delle famiglie… vittime dimenticate anch’esse se nel nostro ordinamento mancano totalmente gli strumenti di tutela nei confronti dei familiari. Vittime, anche se non direttamente autori di un reato, se pagano comunque il peso della detenzione e della distanza. Gli interessi dei detenuti e delle famiglie, vittime, scopriamo oggi per un aspetto in più, di uno Stato che dimentica troppo spesso di avere preso in consegna "persone", da riavvicinare, come pure la Costituzione chiede, prima o poi alla società. Comincio a pensare non ci sia norma più violata. Per quanto riguarda Mario Trudu, sembra che tutto miri ad una sola cosa. Come gli ostativi destinato a morire in carcere, nonostante il percorso compiuto in tutti questi anni, e che chi lo ha seguito conosce e riconosce… si aggiunge ora una punizione in più: sapere di non poter sentire mai più l’odore di casa, neanche attraverso le sbarre di una cella. Catanzaro: Pd e Radicali a Siano; carcere migliorato, ma ancora qualche aspetto negativo Ristretti Orizzonti, 14 aprile 2014 Come preannunciato, dopo circa tre mesi, Pd e Radicali nella giornata di ieri 12 aprile, sono tornati ad ispezionare il sovraffollato Carcere Giudiziario del capoluogo calabrese sito nel quartiere di Siano. A varcare il cancello è stata Enza Bruno Bossio, Deputato del Partito Democratico, che da un po’ di tempo a questa parte ha deciso di dedicare particolare attenzione anche al "pianeta carcere" soprattutto oggi che le prigioni italiane sono riconosciute come luoghi non di espiazione della pena o di custodia degli imputati ma luoghi di tortura, di violenze, ingiustizie ed abusi. Chi non le ha mai "assaggiate" né visitate personalmente ignora di cosa si stia parlando. Ad accompagnare la parlamentare nell’ispezione Emilio Quintieri e Sabatino Savaglio, esponenti del Movimento dei Radicali italiani che seguono, da tempo, la situazione carceraria calabrese. È stato, altresì, presente il Direttore dell’Istituto Angela Paravati ed il Comandante del Reparto di Polizia Penitenziaria, Vice Commissario Aldo Scalzo. La delegazione, in questa occasione, ha potuto esprimere un giudizio leggermente diverso da quello effettuato lo scorso 19 gennaio riconoscendo lo sforzo della Direzione per risolvere le criticità denunciate. Ed infatti, in questi mesi, sono state ritinteggiati le pareti di diversi reparti detentivi ivi compreso le celle ed i locali doccia che, in precedenza, erano corrose dal tempo e ricoperte di umidità e muffa anche per la copiosa infiltrazione di acqua piovana dall’esterno. In altri reparti, invece, si è potuto constatare (come ad esempio, nel Reparto AS3, secondo piano, lato sinistro) che i locali doccia sono ancora malridotti e non funzionanti. In molti di questi locali doccia, che dovrebbero essere all’interno di ogni cella ed invece sono in comune, sono stati installati degli aspiratori per prevenire la successiva formazione di umidità e muffe. Pare che sia stato risolto, anche se non completamente, il problema dei topi come confermato dai detenuti. La Direzione ha provveduto ad acquistare anche degli stenditoi, sistemati nel corridoio, per consentire ai detenuti di far asciugare i loro indumenti non essendoci altro idoneo posto in cella. Tutte le sale colloquio sono state ristrutturate ed eliminato l’illegale muro divisorio che impediva ai ristretti di avere contatti con i propri congiunti e specie con i figli minori. Sono state comprate anche delle televisioni che sono state messe in delle stanze ed alle quali i detenuti possono accedere in ore prestabilite per guardare dei film. Ma, quel che è più importante, è che le celle di 12 metri quadrati circa compreso l’attiguo bagno non sono più occupate da 3 detenuti come prima ma, bensì, da 2 persone. Ma, in ogni caso, non si è in regola con i parametri spaziali siccome definiti dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella nota sentenza "Torreggiani ed altri contro Italia" poiché, sottratta dalla superficie totale quella adibita a servizio igienico, ciascun ospite fruisce di uno spazio vitale di circa 4 metri quadrati lordi, ulteriormente ridotto, al netto, dalla presenza degli arredi (letti a castello, armadietti, etc.), a meno di 3 metri quadrati, spazio non conforme ai criteri della giurisprudenza comunitaria e costituente, di per sé, violazione all’Art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Difatti, lo stesso Magistrato di Sorveglianza, in più occasioni, ha accolto i reclami avanzati dai detenuti poiché le condizioni di detenzione erano lesive della loro dignità personale segnalandolo pure al Ministro della Giustizia, al Capo del Dipartimento ed al Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e, per conoscenza, al Presidente della Repubblica. In queste condizioni parole come "rieducazione" o "reinserimento" sono assolutamente improponibili. La stragrande maggioranza della popolazione detenuta (detenuti presenti 474, capienza regolamentare 354, esubero 120) ha lamentato, nuovamente, l’eccessiva severità della Magistratura di Sorveglianza che non terrebbe in considerazione, ai fini della concessione dei benefici penitenziari, anche le relazioni fatte dal Gruppo di Osservazione e Trattamento del Carcere e della inesistente attività di vigilanza ed ispezione dei locali di detenzione. Numerosi detenuti appartenenti al circuito differenziato dell’Alta Sicurezza con tanti anni di carcere sulle spalle da scontare hanno, infine, lamentato di essere stati assegnati a Catanzaro nonostante in detta Casa Circondariale non sia presente per loro una Sezione di Reclusione, volgarmente nota come "Sezione Penale", destinata ai condannati definitivi con pene molto lunghe, ergastolo compreso. Per quanto concerne, invece, la Sanità Penitenziaria resta un forte giudizio negativo. Infatti sono stati sentiti diversi detenuti che attendono, da svariati mesi, di essere sottoposti ad una risonanza magnetica presso l’Azienda Ospedaliera "Pugliese-Ciaccio" di Catanzaro, nonostante la gravità della situazione riscontrata e la necessità di tale accertamento diagnostico per procedere ad interventi chirurgici anche abbastanza seri e rischiosi. Il Deputato democratico insieme ai Radicali ha assicurato i cittadini ristretti che continuerà ad impegnarsi per far sì che l’esecuzione della pena per i condannati e della custodia degli imputati avvenga nel rispetto dei diritti umani fondamentali. Proprio per questo motivo, Vincenzo Rucci, 49 anni, detenuto ininterrottamente da 23 anni in espiazione di una condanna all’ergastolo, dopo un colloquio avuto con la delegazione, ha sospeso immediatamente lo sciopero della fame, praticato da 40 giorni, decidendo di riprendere i rapporti con la famiglia che non voleva più né sentire né vedere. A causa delle sue condizioni psico-fisiche e temendo che potesse compiere qualche gesto inconsulto (atti autolesivi o suicidari), il radicale Quintieri, lo aveva segnalato alla Direzione dell’Istituto - informando anche l’Ufficio di Sorveglianza di Catanzaro - proponendo di sottoporlo a grande sorveglianza custodiale. Diversamente, ritenendo più grave la situazione, su disposizione del Servizio Sanitario Penitenziario, il detenuto è stato sottoposto al più rigoroso regime di "sorveglianza a vista" con un Agente di Polizia Penitenziaria piantonato 24 ore su 24 davanti alla sua cella. Anche questo provvedimento, grazie all’intervento della delegazione ed alle dichiarazioni rilasciate a verbale dall’interessato, è stato subito revocato. Nei prossimi giorni l’Onorevole Bruno Bossio con una Interrogazione chiederà chiarimenti al Ministro della Giustizia Andrea Orlando sull’operato della Magistratura di Sorveglianza, proponendogli di valutare l’istituzione a Catanzaro di una Sezione di Reclusione anche per i detenuti dell’Alta Sicurezza nonché di finanziare ed accelerare i lavori finalizzati alla realizzazione delle docce all’interno delle celle. Al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin chiederà, invece, come intenda far assicurare dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro ai cittadini detenuti livelli di prestazione analoghi a quelli garantiti ai cittadini in stato di libertà. Ferrara: quarantotto ore di digiuno per migliorare le condizioni di vita dei detenuti www.estense.com, 14 aprile 2014 A questa iniziativa, lanciata a livello nazionale dal Coordinamento del detenuti, aderiranno a Ferrara sia l’associazione 34R che il laboratorio Sancho Panza. L’azione simbolica, che comincerà mercoledì 16 e verrà condotta a staffetta fino a lunedì 23 aprile, fa parte di una più articolata mobilitazione organizzata sull’intero territorio italiano a partire dal 5 aprile, una mobilitazione finalizzata a rivendicare i diritti di chi è recluso, condotta sia all’interno che all’esterno degli istituti detentivi. Essa comprende presidi informativi e solidali, come quello realizzato nel capoluogo estense domenica 30 marzo in via Arginone, al quale hanno partecipato circa 80 persone, cittadini emiliani ma anche provenienti da fuori Regione. Il collettivo 34R e il laboratorio Sancho Panza intendono continuare questo impegno, sostenendo l’informazione e la battaglia per i diritti di chi è ristretto, anche attraverso la pubblica lettura e la divulgazione del comunicato redatto dal Coordinamento dei detenuti, favorendo la donazione di libri per la casa circondariale in occasione della giornata "Macero No" del 12 aprile. "Ho deciso di non alimentarmi per 48 ore per due motivi - racconta la sua scelta una delle ragazze che intraprenderà il digiuno: voglio avvicinarmi, a livello emotivo, all’esperienza di digiuno intrapresa da diversi detenuti, per sentirmi partecipe e vicina a livello viscerale; inoltre voglio sfruttare questa esperienza personale come veicolo per le importanti lotte che queste persone portano avanti all’interno delle carceri". Questo è l’appello che i soci di 34R e Sancho Panza rivolgono alla cittadinanza ferrarese: "Chiediamo alle persone di essere solidali, di diffondere il comunicato e mobilitarsi a loro volta, nella convinzione che il carcere non sia una soluzione ma un problema, in una società già piena di contraddizioni". Pistoia: struttura per l’accoglienza dei detenuti negli spazi del convento dei Cappuccini di Martina Vacca La Nazione, 14 aprile 2014 Visita del sottosegretario alla giustizia Ferri in Santa Caterina e poi al convento. La Fondazione Caript, ha annunciato il presidente Paci, finanzierà l’operazione con 370mila euro. Il Ministero della Giustizia ha autorizzato il Provveditorato di Firenze a stipulare il contratto che permetterà al carcere di Santa Caterina di Pistoia di usufruire, a titolo gratuito, degli spazi dell’antico convento dei Cappuccini di via degli Armeni. L’annuncio è stato fatto ieri dal sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri, che è intervenuto, alla biblioteca San Giorgio, al convegno sul tema "Situazione carceraria e diritti umani", organizzato in collaborazione con la direzione della Casa circondariale di Pistoia. Al convegno ha preso parte anche il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, Ivano Paci, che ha confermato la disponibilità a finanziare l’importante intervento di ristrutturazione dei locali del monastero: "Si tratta di due opere diverse: la predisposizione degli spazi che accoglieranno i detenuti a fine pena e le famiglie dei detenuti del carcere che vivono in luoghi distanti, per permettere loro di far visita ai propri cari. Si tratta di un intervento che avrà un costo di 250mila euro. L’altra opera (costo intorno ai 120mila euro) consisterà nell’adeguamento dei locali per i detenuti in semilibertà, appunto". Nella mattina, il sottosegretario Ferri ha visitato il carcere di via dei Macelli, insieme al direttore Tazio Bianchi e poi il convento dei cappuccini, dove è stato accolto da padre Alfredo. Il sottosegretario ha incontrato un detenuto anziano, che uscirà in agosto, e si è impegnato ad assicurargli una struttura pronta ad accoglierlo e a garantirgli la necessaria assistenza sanitaria. "Il problema del sovraffollamento delle carceri è un tema complesso - ha spiegato il sottosegretario - che necessita di un piano di intervento. Quello che vorremmo è innanzitutto fare in modo che i detenuti siano, all’interno degli istituti penitenziari il più possibile occupati e che ricevano una formazione, che possa essere spesa per il loro successivo reinserimento nel mondo del lavoro, all’interno di cooperative o associazioni di volontariato. Per questo abbiamo pensato di incentivare le aziende che si rendano disponibili ad impiegarli, anche all’interno del carcere, mediante sgravi contributivi e fiscali. Poi c’è il lavoro svolto dai Consigli di aiuto sociale, che tra l’altro cura il mantenimento delle relazioni dei detenuti con le loro famiglie e si occupa dell’avviamento al lavoro dei dimessi dagli istituti di prevenzione e di pena". Quanto alla situazione di Pistoia, i detenuti sono attualmente 106, in uno spazio che potrebbe accoglierne 75 al massimo, mentre i semiliberi sono 9. Il sottosegretario Ferri ha spiegato che: "La soluzione di accoglienza dei detenuti semiliberi all’interno del convento dei cappuccini sembra ottimale, anche in termini logistici e di sicurezza, data la vicinanza al carcere". "Ho trovato gli spazi del monastero in buone condizioni - ha spiegato Ferri - e ho avuto come guida padre Alfredo, che mi ha permesso di visitare la cella in cui ha vissuto padre Gabriele, poi divenuto santo. Mi ha detto che la sua forza era nel profondo coraggio. Anche per attuare le riforme ci vuole coraggio!". Vicenza: San Pio X, tre agenti feriti da detenuto che chiedeva il trasferimento Giornale di Vicenza, 14 aprile 2014 Un detenuto sofferente con problemi psichici, che pochi giorni fa ha semidistrutto la sua cella creando il caos. E che l'altro ieri durante l'ora d'aria si è arrampicato sul muro di cinta del cortile interno del carcere di Vicenza minacciando di buttarsi giù se non accettavano la sua richiesta di essere trasferito in un altra sede. È finita con tre agenti lievemente feriti e il giovane romeno riportato alla calma. Ma, come sottolinea Luigi Bono, segretario provinciale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, solo l'ultimo episodio di una situazione sempre più difficile da gestire. "L'emergenza carcere e le tensioni che determina sono sotto gli occhi di tutti - dice, per cui servono strategie di intervento concrete. Si dovrebbe potenziare di più il ricorso alle misure alternative alla detenzione, introdurre il lavoro durante il periodo dietro le sbarre soprattutto per i detenuti con pena definitiva. E i carcerati stranieri dovrebbero scontare la condanna nei Paesi di provenienza, almeno per le etnie più numerose". Viterbo: Nicastrini (Uil-Pa); ritorna il sereno confronto sindacale a Mammagialla www.ontuscia.it, 14 aprile 2014 "Dopo un lungo periodo di burrasca, arrivando addirittura ad un incontro con i vertici del Dap lo scorso fine gennaio, possiamo dire che grazie anche a quell’incontro la direzione e il comandante di reparto hanno saputo riportare ad un sereno confronto le relazioni sindacali, a cui la Uil Penitenziari non si è sottratta rendendosi partecipe. L’incontro avuto lo scorso 9 aprile per affrontare argomenti di carattere organizzativo della struttura, ha dimostrato che questa organizzazione sindacale non ha mai avuto alcun pregiudizio sulla conduzione della struttura ma solo la fermezza di avere la massima attenzione delle esigenze del personale di polizia penitenziaria nel procedere con altrettante garanzie di supporto nel rendere sicura la loro attività operativa. Pertanto la Uil Penitenziari scioglie le riserve rappresentate all’indomani del confronto al Dap, auspicando che nel tempo si possano mantenere le armonie che si sono raggiunte nelle ultime settimane". Matera: scivola su una pedana, ferito un agente della Polizia penitenziaria www.basilicata24.it, 14 aprile 2014 Un assistente capo della Polizia penitenziaria del carcere di Matera è rimasto ferito nella mattinata di domenica 14 aprile dopo essere scivolato su una pedana mobile posizionata all’ingresso del penitenziario. L’agente subito dopo essere stato soccorso dai colleghi è stato prima trasportato nell’nfermeria del carcere per essere poi trasferito, su disposizione del medico di guardia, urgentemente presso il pronto Soccorso dell’Ospedale Madonna delle Grazie di Matera. L’uomo è stato sottoposto a controlli e medicato. Per lui una prognosi di dieci giorni. La notizia dell’incidente è stata diffusa dal Coordinamento sindacale penitenziario. "Avevamo come Segreteria Regionale Coordinamento Sindacale Penitenziario in loco già da tempo segnalato innumerevoli volte la situazione di precarietà della struttura - si legge in una nota - così come avevamo come Coordinamento Sindacale Penitenziario richiesto il diretto intervento del Provveditore Regionale della Basilicata e del Visag regionale per una moltitudine di situazioni ancora oggi lasciate nel totale abbandono. Il fatto poi che chi è diretto referente e responsabile della sicurezza sui luoghi di lavoro lasci predisporre una discutibile installazione di "pedana in legno" tra l’altro movibile, che appare in contrasto con le norme sulla Sicurezza sul lavoro, oggi crea sgomento ed amarezza su come si interviene in materia di sicurezza pubblica e sul lavoro in un istituto penitenziario fortemente discusso da miriadi di segnalate situazioni. Risulterebbe altresì dalla segreteria regionale Sindacale -prosegue la nota del Cosp-che a Matera il referente della Sicurezza da tempo ha depositato all’Amministrazione Penitenziaria le proprie dimissioni dall’incarico. Il Coordinamento Sindacale Penitenziario richiede che si accertino le dirette responsabilità di chi e perché si sia disposta l’installazione della pedana in legno mobile atteso anche il vertiginoso numero di ingresso di personale di polizia, dipendenti, detenuti e chiunque a qualsiasi titolo e ragione acceda da quella importante postazione senza che si siano adottati cautele e sicurezza indispensabile per la salute pubblica". Massa: Andrea Bocelli canta in carcere, i detenuti lo accolgono con un coro Il Tirreno, 14 aprile 2014 Una mattinata all’insegna della musica e della solidarietà, quella che si è svolta nella casa circondariale cittadina, dove il cantante Andrea Bocelli ha fatto visita agli ospiti del carcere, partecipando ad un incontro finalizzato ad augurare una buona Pasqua sia ai detenuti sia al personale in servizio presso la struttura. Il celebre tenore è stato accolto nella sala polivalente dal coro dei detenuti, nato poche settimane fa, che sulle note della hit "Si può dare di più" ha fatto da colonna sonora all’ingresso di Bocelli, accompagnato dalla moglie Veronica e dai figli. Il maestro si è intrattenuto coi detenuti, con una esibizione al pianoforte (messo a disposizione da "La musica" di Carrara), emozionando tutti i presenti con una splendida Ave Maria di Schubert e con altri brani. Poi ha risposto alle domande del pubblico, relative tanto la sua carriera artistica quanto la sua persona. "Ho accettato l’invito a far visita a questo carcere per dire, attraverso quel linguaggio universale che è la musica, che nessuno di noi può giudicare gli altri: sarebbe troppo facile puntare il dito contro qualcuno, quando magari nella vita c’è solo chi è stato meno fortunato", ha detto fra l’altro Bocelli. Alla manifestazione, che è proseguita con una visita del cantante presso i laboratori e le aziende del carcere, erano presenti numerosi detenuti, gli educatori, i rappresentanti delle autorità politiche, civili e militari della città, il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri, il procuratore capo Aldo Giubilaro. A fare gli onori di casa, la direttrice del carcere di via Pellegrini Maria Martone, soddisfatta per il buon esito della mattinata: "Siamo onorati di questa visita - ha detto - che testimonia come la comunicazione tra il mondo esterno e il carcere sia fondamentale". La manifestazione si è quindi trasferita nel giardino del carcere, dove è stato offerto il buffet preparato dai detenuti allievi del corso di formazione professionale "Cooking" organizzato da "Met at work" in collaborazione con l’associazione Cuochi di Massa-Carrara. Ma prima l’illustre ospite è stato omaggiato dai detenuti con il dono di alcuni oggetti prodotti nei laboratori artigianali interni al carcere: un quadro realizzato con il riso, una borsa, un accappatoio ed un modellino di violino in legno. Udine: l’On. Gian Luigi Gigli (Pi) ieri mattina ha visitato la Casa Circondariale Ristretti Orizzonti, 14 aprile 2014 Dopo aver partecipato con i detenuti alla S. Messa della Domenica delle Palme, il deputato dei Popolari per l’Italia ha illustrato ai carcerati i provvedimenti adottati dal Parlamento nel corso del primo anno della nuova legislatura ed ha ascoltato dalla voce di alcuni carcerati i problemi relativi alla detenzione, impegnandosi a tornare a breve termine per un ulteriore approfondimento. Nel corso della visita l’On. Gigli ha potuto rilevare la riduzione delle condizioni di sovraffollamento verificatasi anche nel carcere di Udine a seguito dei provvedimenti di politica carceraria e ha apprezzato l’aumento dell’orario di apertura delle celle che ha interessato buona parte del carcere udinese, con libera circolazione per 10 ore al giorno nell’ambito dei piani dell’edificio. L’estensione della circolazione anche tra i piani necessiterebbe di interventi di adeguamento tecnologico del sistema di video-sorveglianza per i quali è necessario reperire risorse finanziarie. Roma: Papa Francesco in piazza con la croce di legno donata dai detenuti Il Messaggero, 14 aprile 2014 Oltre centomila persone in piazza San Pietro per la messa delle Palme celebrata da papa Francesco, secondo le stime riferite dal vicedirettore della sala stampa vaticana padre Ciro Benedettini. Acclamato e salutato dai fedeli, il Papa ha fatto un giro sulla jeep per via della Conciliazione. "Ho la gioia di annunciare - ha detto durante l'Angelus - che, a Dio piacendo, il 15 agosto prossimo, a Daejon, nella Repubblica di Corea, incontrerò i giovani dell'Asia nel loro grande raduno continentale". Il Papa - preceduto dalla processione di ministranti, giovani di Roma e di tutti i continenti e di circa cento tra preti, vescovi e cardinali che celebreranno con lui - è arrivato in piazza San Pietro a bordo della jeep bianca scoperta, per celebrare la messa delle Palme, che apre la Settimana Santa. Papa Francesco, che indossava il mantello liturgico rosso, è apparso piuttosto affaticato. Francesco aveva una croce in legno donatagli ieri dai detenuti del carcere di Sanremo. Il Papa, all'Angelus recitato sul sagrato di San Pietro dopo la messa, ha affidato ai giovani polacchi la croce delle Gmg consegnata loro dai giovani brasiliani, e ha ricordato che l'affidamento della croce fu compiuto trenta anni fa da papa Wojtyla: "Egli - ha ricordato - chiese loro di portarla in tutto il mondo come segno dell'amore di Cristo per l'umanità". "Il prossimo 27 aprile - ha aggiunto papa Bergoglio - avremo tutti la gioia di celebrare la canonizzazione di questo Papa, insieme con Giovanni XXIII. Giovanni Paolo II, che è stato l'ideatore delle Giornate mondiali della Gioventù, ne diventerà il grande patrono; nella comunione dei santi continuerà ad essere per i giovani del mondo un padre e un amico". I giovani brasiliani hanno animato lo scorso luglio la Gmg con papa Francesco, mentre i polacchi animeranno, nel 2016, la Gmg a Cracovia. "Dove è il mio cuore, a quale di queste persone mi assomiglio? E questa domanda ci accompagni per tutta la settimana". Con queste parole il Papa ha concluso la sua omelia della messa delle Palme, interamente a braccio, nella quale ha analizzato l'atteggiamento di tanti personaggi durante la passione e la morte di Cristo, interrogandosi sui diversi modi di guardare a Gesù. Tra gli atteggiamenti che ha analizzato, quelli dei farisei, di Giuda, delle donne al sepolcro, di Giuseppe di Arimatea. "Questa settimana - ha detto Francesco nella sua omelia - tutto il popolo accoglie Gesù, i bambini lodano, cantano, ma questa settimana va avanti nel mistero della morte di Gesù e la sua Risurrezione, abbiamo sentito la passione del Signore, soltanto si farà bene farci una domanda, chi sono io? Chi sono io davanti al mio Signore? Chi sono io davanti a Gesù che entra di festa in Gerusalemme? Sono capace di esprimere la mia gioia, di lodarlo? O prendo distanza? Chi sono io davanti a Gesù che soffre? Abbiamo sentito tanti nomi, tanti nomi, il gruppo dei dirigenti, alcuni sacerdoti, alcuni farisei, maestri della legge che avevano deciso di ucciderlo, aspettavano l'opportunità di prenderlo. Sono io come uno di loro? Anche abbiamo sentito un altro nome, Giuda, trenta monete, sono io come Giuda? Abbiamo sentito altri nomi, discepoli che non capivano niente, che si addormentavano mentre il Signore soffriva. Mia vita è addormentata? O sono come i discepoli, che non capivano cosa fosse tradire Gesù? Come quell'altro discepolo che voleva soluzionare tutto con la spada. Sono io come loro? Sono io come Giuda che fa finta di amare e bacia il maestro per consegnarlo? Per tradirlo? Sono io traditore? Sono io come quei dirigenti che di fretta fanno il tribunale e cercano falsi testimoni? Sono io come loro? E quando faccio queste cose, se io le faccio, credo che con questo salvo il popolo? Sono io come Pilato che quando vedo che la situazione è difficile me ne lavo le mani? E non so assumere la mia responsabilità e lascio condannare o condanno io le persone? Sono io come quella folla che non sapeva bene se era in una riunione religiosa, in un giudizio, o in un circo, e sceglie Barabba, per loro era lo stesso, era più divertente per umiliare Gesù. Sono io come i soldati che colpiscono il Signore, sputano addosso a lui, insultano, si divertono con l'umiliazione del Signore? Sono io come il cireneo che tornava dal lavoro affaticato ma ha avuto la buona volontà di aiutare il Signore a portare la croce? Sono io come quelli che passavano davanti alla croce e facevano di Gesù motivo di beffa: "ma tanto coraggioso, scenda dalla croce e noi crederemo in lui". La beffa a Gesù. Sono io come quelle donne coraggiose e come la mamma di Gesù che erano lì, soffrivano in silenzio? Sono io come Giuseppe, il discepolo nascosto, che porta il corpo di Gesù con amore per dargli sepoltura? Sono io come queste due Marie che rimangono alla porta del sepolcro piangendo, pregando? Sono io come questi dirigenti che il giorno seguente sono andati da Pilato per dire 'ma guardi che questo diceva che risusciterebbe, ma che non venga un altro ingannò e bloccano la vita, bloccano il sepolcro, per difendere la dottrina, perchè a vita non venga fuori? Dove è il mio cuore, a quale di queste persone mi assomiglio? E questa domanda ci accompagni per tutta la settimana". Padova: in regalo a bambini malati uova Pasqua per diabetici prodotte dai detenuti Adnkronos, 14 marzo 2014 Un uovo di Pasqua dolcificato con la stevia ai bambini diabetici in cura all'ospedale civile maggiore di Verona. E' una iniziativa dell'Istituto italo latino americano (Iila), che si inserisce nel quadro dei suoi progetti con la Cooperazione Italiana allo Sviluppo del ministero degli esteri a sostegno dei piccoli produttori di cacao del Cantone di Babahoyo (Ecuador) e delle donne produttrici di stevia - il dolcificante privo di calorie e ricco di proprietà curative - delle comunità rurali di San Vicente e Chino Kuè, in Paraguay, un progetto quest'ultimo sostenuto anche dal Mise. La campagna per promuovere il consumo della stevia, che sarà presentata martedì alle 12 alla sede dell'Iila a Roma (via Paisiello 24) alla presenza fra gli altri del sottosegretario agli esteri Mario Giro, del segretario generale dell'Iila Giorgio Malfatti di Monte Tretto e del direttore generale per la Cooperazione allo Sviluppo, Gianpaolo Cantini, è resa possibile anche grazie alla collaborazione con il maestro artigiano del cioccolato Mirco Della Vecchia e all'Officina Giotto (cooperativa che opera all'interno del Carcere di Padova che offre lavoro a più di 100 detenuti), distributore delle uova che saranno anche messe in vendita per finanziare le attività delle donne produttrici delle comunità del Paraguay. Cile: incendio di Valparaiso; 4 morti e 5mila evacuati, spostate anche le detenute La Presse, 14 aprile 2014 È di quattro morti e 5mila evacuati in Cile il bilancio dell'enorme incendio che si è sviluppato a Valparaiso a partire da una zona boschiva. Lo riferisce il ministro dell'Interno, Rodrigo Penailillo, precisando che le vittime sono tre uomini e una donna. Dal carcere della città, che è stato avvolto da una fitta nube di fumo, sono state evacuate 204 detenute, trasferite in uno stadio; nove detenute incinte sono invece state portate in un'altra prigione nella vicina città di Quillota. Al momento restano invece nel carcere gli oltre 2.700 detenuti uomini. Il numero degli evacuati in città sembra destinato a salire. Il sindaco di Valparaiso, Jorge Castro, fa sapere che le fiamme hanno già distrutto 500 case e che ci sono blackout di elettricità. Libia: figli di Gheddafi ed ex capo intelligence sotto processo a Tripoli Aki, 14 aprile 2014 Nuova udienza oggi a Tripoli del processo a Seif al-Islam e Saadi Gheddafi, oltre all’ex capo dei servizi segreti libici Abdullah al-Senussi, all’ex premier Al-Baghdadi al-Mahmudi e ad altri 30 collaboratori eccellenti del deposto regime di Muammar Gheddafi, accusati di essere responsabili della repressione della rivolta del 2011 che portò alla deposizione e all’uccisione del colonnello. Secondo fonti della procura libica, il processo odierno rischia di essere rinviato per una seconda volta in quanto il Tribunale non ha ancora deciso se alcuni imputati, che non sono detenuti a Tripoli dove si svolge il processo, possano apparire in videoconferenza. Il riferimento è a Seif al-Islam, detenuto a Zintan nell’ovest della Libia da quando è stato catturato dai ribelli nel novembre del 2011. La sua assenza in aula aveva già fatto rinviare l’avvio del processo, la cui prima udienza era stata fissata per il 24 marzo. Saadi Gheddafi è stato invece estradato in Libia dal Niger il mese scorso. Tra le accuse contro i figli e i collaboratori di Gheddafi ci sono quelle di omicidio, rapimento, incitamento allo stupro, sabotaggio, saccheggio, appropriazione indebita e minaccia all’unità nazionale. "Probabilmente il processo verrà nuovamente aggiornato per questioni tecniche che permettano il collegamento" via satellite con gli imputati, ha detto un funzionario della procura libica, Seddik al-Sour. Seif al-Islam e l’ex capo dell’intelligence Senussi sono ricercati dal Tribunale penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità commessi durante la rivolta. A maggio il Tpi aveva respinto la richiesta di processare al-Senussi a Tripoli mettendo in dubbio l’equità del procedimento penale, ma la magistratura libica ha fatto appello e a ottobre è stato concesso di condurre un processo cogestito nel Paese.