Giustizia: intervista a Luciano Violante “vent’anni di immobilismo su questo terreno” di Dino Martirano Corriere della Sera, 13 aprile 2014 “Una riforma della giustizia deve partire dalla organizzazione degli uffici e non dalle norme”. Nell’ambito della stessa regione, ci sono uffici Gip-Gup che sbrigano i procedimenti in una media di 88 giorni (a Salerno) e altri (a Napoli) che impiegano 422 giorni. Alcuni uffici hanno una produttività superiore alla media europea. Altri sono alla catastrofe. Per cui, sostiene l’ex presidente della Camera Luciano Violante che gli affari di giustizia li conosce bene, “prima di avviare nuove riforme bisognerebbe individuare le cause di queste grandi disparità e incidere su di esse. Non si può sperare nel successo solo cambiando una norma, che continuerà ad avere applicazioni differenziate sul territorio”. Eppure negli ultimi 20 anni i veti incrociati hanno generato un blocco totale. Le riforme sulla giustizia sono state un vero tabù per la sinistra, come sostiene “Left”, l’inserto del sabato dell’Unità? “Non è esatto, anche se non possiamo dirci soddisfatti. Penso alla riforma del giusto processo, all’ordinamento giudiziario del governo Prodi, al processo telematico. E, da ultimo, il pacchetto proposto dal ministro Severino, con la legge anticorruzione, il tribunale delle imprese, la riforma delle circoscrizioni giudiziarie, e gli interventi recentissimi per decongestionare le carceri. In realtà, la vita degli ultimi governi è stata troppo breve per poter avviare riforme strutturali”. Ma i nodi sono sempre gli stessi: il giudice terzo, la distinzione delle funzioni, la giustizia che dovrebbe tutelare i più deboli, il Csm. “In questi 20 anni c’è stato un blocco ideologico, anche alimentato da una pressione elitario-borghese esterna al Parlamento, che ha teorizzato: “Con Berlusconi non si fa nulla”, “con la destra non si tocca nulla”. È pure vero, però, che la destra non ha mirato a migliorare la giustizia, ma a risolvere specifiche questioni giudiziarie. E questo secondo aspetto ha fortemente influenzato il primo”. Di queste riforme, mancate per alcuni, evitate come la peste per altri, qual è la prima alla quale potrebbe metter mano il governo Renzi? “C’è un punto chiave in tutto questo ragionamento: la disciplina dei magistrati. Mi riferisco a tutti: ordinari, amministrativi e della Corte dei Conti. A dire il vero la magistratura ordinaria ha mostrato una certa trasparenza nella gestione dei “processi” disciplinari, anche se con risultati a volte discutibili. La responsabilità dei magistrati contabili e amministrativi rimane un mistero. Per questo un’Alta corte per tutte le magistrature sarebbe il punto essenziale per decorporativizzare la decisione disciplinare”. A luglio si rinnova la componente togata del Csm. Poi arriveranno i laici. C’è qualcosa da cambiare? “Bisognerebbe seguire il modello della Corte costituzionale dove i giudici, giunti a fine mandato, vengono rinnovati uno per volta. Alla Consulta il plenum non scade mai. Invece, al Csm succede che il primo anno di consigliatura i “laici” nominati dal Parlamento, che sanno poco del governo interno della giustizia, vengono sopraffatti dai “togati” che sanno tutto, perché è il loro mondo professionale”. Ma veramente crede che basti partire da qui per scardinare l’impasse? “Interventi di questo tipo scuotono la struttura, la rendono diversa da quella che è stata fino ad ora”. Il Pd a guida Renzi potrà osare dove altri si sono tenuti a debita distanza? “Molto dipende da come andranno le elezioni europee. Di lì nascerà la nuova carta geopolitica italiana”. La ricetta più popolare è aumentare i titoli di reato. È un’illusione? “Il vero studio strategico riguarda cosa deve essere punito penalmente nel XXI secolo. Sono scelte frutto di una riflessione profonda sui beni e i valori della società. Per esempio, non condivido la proposta di chi intende inserire nel codice penale l’omicidio stradale. Rispetto il dolore delle persone, ma non ce n’è bisogno. La sanzione penale finisce per essere una bandiera che può piantare uno Stato per dimostrare la propria sensibilità”. Ecco, appunto, nel breve capitolo sulla giustizia del discorso programmatico davanti alle Camere, Renzi ha citato l’omicidio stradale. “Lo capisco, anche lui ha il problema del consenso, è un argomento popolare... Con la capacità di traino che ha, credo comunque che Renzi può dire le parole giuste per modernizzare davvero. E il ministro Orlando è davvero un’ottima scelta”. E l’obbligatorietà dell’azione penale regge ancora? “È ancora inevitabile. Mentre non va bene la prassi di fare indagini al solo scopo di vedere se per caso un reato è stato commesso. Il magistrato deve agire solo se ha ricevuto, in qualunque forma, una seria notizia di reato. Altrimenti è un abuso contrario ai principi dello stato di diritto”. Giustizia: Dl su proroga chiusura Ospedali Psichiatrici Giudiziari al Senato dal 22 aprile Asca, 13 aprile 2014 La proroga al 31 marzo 2015 del termine per sostituire gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) con un nuovo sistema di assistenza basato su strutture sanitarie sostitutive per l’esecuzione delle misure di sicurezza (le cosiddette Rems), di per sé non è un fatto positivo trattandosi della presa d’atto dell’impossibilità di rispettare la scadenza già fissata dalla legge. L’esame del Dl di proroga, però, può rappresentare l’occasione per introdurre misure atte a completare la transizione verso un sistema rispettoso dei diritti degli infermi di mente autori di reato. E l’atto di indirizzo sugli Opg, di recente approvato all’unanimità dalla commissione Sanità del Senato può rappresentare un ottimo spunto per individuare gli interventi necessari come - secondo quanto indicato dalla senatrice del Pd Manuela Granaiola - il potenziamento dei servizi territoriali di salute mentale, così da rendere il ricorso a misure di sicurezza privative della libertà davvero eccezionale; la revisione della normativa in tema di pericolosità sociale, in modo da evitare fenomeni di “ergastolo bianco”; l’istituzione di un organismo di coordinamento e monitoraggio, che agevoli l’azione sinergica dei diversi attori istituzionali coinvolti nel processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. È quanto emerso durante la discussione del provvedimento urgente da parte delle commissioni riunite Giustizia e Sanità di palazzo Madama, in cui anche il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo ha convenuto sul fatto che la risoluzione approvata - su cui il governo aveva espresso un parere favorevole - possa rappresentare un utile punto di riferimento per individuare proposte di modifica ampiamente condivise. Il termine per gli emendamenti è stato fissato per martedì prossimo, mentre il testo dovrebbe iniziare il suo iter in Aula da martedì 22 aprile. Giustizia: lavoro e carceri nella Via Crucis di Bergoglio, con il Pastorale fatto dai detenuti di Gian Guido Vecchi Corriere della Sera, 13 aprile 2014 Quattordici stazioni, la Via Crucis del nostro tempo. Il lavoro perduto e gli imprenditori suicidi, i femminicidi e le morti nella Terra dei fuochi, i migranti e i carcerati, le vittime di abusi, giustizia e media. Papa Francesco ha affidato a monsignor Giancarlo Bregantini la stesura dei testi che saranno letti in sua presenza la sera del Venerdì Santo al Colosseo e l’arcivescovo di Campobasso, di origine trentina, pastore “di strada” già in prima linea a Locri (suoi, tra gli altri, i libri “Non possiamo tacere” e il volume di orazioni “La preghiera sfida la mafia”), ha scritto una Via Crucis scandita dai mali dell’attualità. La Croce come “il peso di tutte le ingiustizie che hanno prodotto la crisi economica, con le sue gravi conseguenze sociali: precarietà, disoccupazione, licenziamenti, un denaro che governa invece di servire, la speculazione finanziaria, i suicidi degli imprenditori, la corruzione e l’usura, le aziende che lasciano il proprio Paese”. E la preghiera perché si creino “ponti di solidarietà e speranza”, la capacità di “lottare insieme per il lavoro in reciprocità” e “recuperare stima nella politica, cercando di uscire insieme dai problemi”. Il tema è “Volto di Cristo, volto dell’uomo”. Già la condanna di Gesù, alla prima stazione, richiama “le facili accuse, i giudizi superficiali, i preconcetti che chiudono il cuore e si fanno cultura razzista, di esclusione e di scarto. Accusati, si è subito sbattuti in prima pagina; scagionati, si finisce in ultima!”. Ma la Passione si compone oggi di tanti dolori. Nel testo c’è l’invito a “non chiudere la porta a chi bussa alle nostre case, chiedendo asilo, dignità e patria”, a non essere “indifferenti”. C’è “il lamento straziante delle madri per i loro figli, morenti a causa dei tumori prodotti dagli incendi dei rifiuti tossici”, la tragedia dei “bimbi soldato”, la trepidazione delle mamme “per i giovani travolti dalla precarietà o inghiottiti dalla droga e dall’alcol, specie il sabato notte!”. E ancora il pianto “su quegli uomini che scaricano sulle donne la violenza che hanno dentro”, per le donne “schiavizzate dalla paura e dallo sfruttamento”: sapendo che “non basta battersi il petto e provare compassione” perché “Gesù è più esigente” e “le donne vanno rassicurate come fece Lui, vanno amate come un dono inviolabile per tutta l’umanità”. Il Cristo imprigionato richiama “il carcere ripudiato della società civile”, le “assurdità della burocrazia e le lentezze della giustizia”, la “doppia pena del sovraffollamento, un’ingiusta oppressione che consuma carne ed ossa”, fino alla “tortura ancora diffusa in varie parti della Terra”. Anche qui “ci si rialza solo insieme, sostenuti dalla mano fraterna dei volontari e sollevati da una società civile che fa sue le tante ingiustizie dentro le mura di un carcere”. Gesù è anche l’immagine della “dignità violata di tutti gli innocenti, specialmente dei piccoli”, gli abusi sui minori: “Dio è irrevocabilmente e senza mezzi termini dalla parte delle vittime”. L’elenco è lungo, dai malati a coloro che “muoiono di solitudine”. Ma “la morte non spezza l’amore, perché l’amore è più forte della morte”. Le sette parole di Gesù sulla Croce “sono un capolavoro di speranza”, conclude Bregantini. “Superiamo la cattiva nostalgia del passato, la comodità dell’immobilismo, del “si è sempre fatto così!”. Giustizia: Dell’Utri in cella di isolamento a Beirut, dopo la suite da 12mila € euro a notte di Grazia Longo La Stampa, 13 aprile 2014 Il silenzio è un lusso. Reso ancora più prezioso dal mattone di banconote - 40 mila euro in tutto - appoggiato sulla scrivania, ma un lusso effimero. Non proferisce verbo l’ex senatore Marcello Dell’Utri, di fronte ai poliziotti libanesi che ieri mattina lo arrestano nella suite dello sfarzoso Hotel Phoenicia Intercontinental, cuore di Beirut. Ma presto dovrà dare molte spiegazioni. Alla presenza di un funzionario della nostra Polizia di Stato, lo hanno arrestato mentre ancora si trovava a letto, da solo. “Abbiamo un mandato d’arresto per lei, deve seguirci” gli hanno spiegato dopo aver bussato alla sua porta alle 9,30. In risposta, un sopracciglio alzato e due sole parole: “Mi vesto”. Poi, il silenzio ha inghiottito tutti i segreti di questo ultrasettantenne che per la legge è stato il mediatore tra la mafia e l’ex premier Silvio Berlusconi. Blazer blu, pantaloni grigi, Marcello Dell’Utri non ha rinunciato alla consueta eleganza e ha abbandonato la sua dimora dorata, dove si era rifugiato una settimana fa. Dire che il Phoenicia è tra gli alberghi più lussuosi dell’intero Libano è riduttivo. Marmo di Carrara e lampadari di cristalli di Boemia, scale mobili e profumi di olio essenziali della spa, in un’atmosfera ovattata e scintillante, con uomini d’affari di mezzo mondo - dall’inglese sobrio con cravatta di Hermes all’arabo in sgargiante camicia rosa e un Rolex d’oro e brillanti che sembra pesare mezzo chilo - quest’angolo di paradiso per super ricchi è l’ultima cosa bella rimasta impressa negli occhi dell’ex re di Publitalia. A confronto, l’austero e grigio quartier generale della polizia di Beirut, dov’è rinchiuso, è una fortezza da brivido. L’accesso è impraticabile, ameno che non si venga autorizzati. Dell’Utri vi è entrato in silenzio, e in silenzio vi è rimasto per le ore successive, in isolamento, senza la possibilità di contatti con l’esterno. Certo che lo choc, dalla sua bellissima suite da oltre 200 metri quadri e 12mila euro a notte, alla freddezza della camera di sicurezza della caserma della polizia centrale, dev’essere stato notevole. Un brutto colpo per chiunque, figurarsi per un uomo abituato ad essere circondato dalle cose belle. “Proprio perché ama la cultura, l’arte e la bellezza era andato a Parigi prima di recarsi a Beirut dove doveva consultare un cardiologo” ricorda il fratello gemello Alberto. Chissà se è vero. Un mese fa Dell’Utri è stato operato al cuore, un’angioplastica, all’ospedale San Raffaele di Milano. Due settimane fa un viaggio a Madrid per consultare un noto cardiologo, poi Parigi, “dove ha acquistato libri antichi di cui è collezionista”, e il 3 aprile è arrivato a Beirut. Beirut, crocevia di oriente e occidente, un frullatore di cultura e di novità che guardano ancora al passato. Un mix di grattacieli e case ancora bombardate, segno delle vecchie ferite della guerra civile. Una città che lascia un segno dentro. A due passi dal lussuosissimo Phoenicia, ad esempio, ci sono due palazzi che portano ancora i segni della guerra. L’immagine si sarà fermata negli occhi dell’ex latitante Dell’Utri? Nell’albergo hanno poca voglia di parlare, “la privacy è uno dei tanti nostri preziosi optional”, ma chi si concede racconta di “un signore distinto e generoso, lasciava laute mance e si rivolgeva a noi in francese”. Non è dato sapere di più su appuntamenti o colazioni di lavoro: “Il business è uno degli ingredienti delle nostre tavole” racconta un cameriere che di Dell’Utri ricorda solo l’accurata scelta nella carta dei vini, “anche se poi in realtà beveva poco”. Dall’esilio dorato alla fortezza della polizia è un bel salto nel buio, anche se tuttavia una somiglianza esiste: per entrare in hotel è necessario oltrepassare un varco monitorato come in aeroporto, con tanto di borsa sul nastro scorrevole per l’esame del suo contenuto. E prima ancora, arrivando in taxi, la vettura viene minuziosamente controllata con un radar. “Security” taglia corto il tassista per nulla infastidito. Contrasti tra buoni e cattivi. Contrasti tra verità e menzogne. In questa brutta storia della latitanza preventiva è tutto un rincorrersi di notizie e smentite. Si dice che il difensore dell’ex senatore, l’avvocato Giuseppe Di Peri, abbia scambiato qualche parola con il suo assistito. “Non è vero, avrei voluto, ma non sono riuscito a parlargli” dice Di Peri. Di sicuro ha parlato con la famiglia: “Sto bene”, si è limitato a dire. Chissà se a Beirut arriveranno uno dei tre figli o la moglie di Dell’Utri, che si trovava a New York. “Io non posso venire - dice il gemello, Alberto Dell’Utri, anche se non vedo l’ora di riabbracciarlo. L’ultima volta che ci siamo parlati, l’8 aprile, mi aveva chiamato per farmi gli auguri di buon onomastico. Creda a me, questa storia della mafia è una pura ingiustizia. Mio fratello non merita il carcere, men che meno in Libano”. Lettere: silenzio stampa sulle carceri… ma l’Italia sarà multata di Paolo Izzo Il Fatto Quotidiano, 13 aprile 2014 Mi sembra una notizia di drammatico rilievo che Rita Bernardini sia giunta al suo 40esimo giorno di sciopero della fame. La segretaria di Radicali italiani lotta per il ripristino della legalità nel nostro Stato in tema di giustizia e carceri, cioè per l’uscita dell’Italia da quella “flagranza criminale di reato” - come la chiama Marco Pannella - che già ci è valsa una “sentenza pilota” della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea, che sarà effettiva il prossimo 28 maggio nel caso che l’Italia non smetta di perpetrare “trattamenti inumani e degradanti” ai suoi reclusi. Toscana: Brogi e De Robertis (Pd), fare chiarezza su tempi ristrutturazione carcere Arezzo Ansa, 13 aprile 2014 “È giunto il momento di fare chiarezza una volta per tutte sui tempi e le modalità di esecuzione dei lavori di ristrutturazione” della casa circondariale di Arezzo”. Lo affermano in una nota i consiglieri regionale Pd Enzo Brogi e Lucia De Robertis, firmatari di una mozione approvata all’unanimità dal Consiglio toscano nell’ultima seduta. Nel documento viene riassunta la vicenda dei lavori di ristrutturazione della Casa circondariale di Arezzo, sottolineando che la mancata piena utilizzazione della struttura produce “riflessi negativi” sulla già delicata questione del sovraffollamento carcerario in Toscana e incide pesantemente sulla condizione dei detenuti e dei lavoratori. Per i consiglieri Pd “siamo di fronte a una vera e propria emergenza della burocrazia italiana. Un caso limite che la relazione 2013 del Garante regionale dei detenuti ha evidenziato a tinte forti”. Lazio: delegazione Ministero Giustizia norvegese in visita presso il Garante dei detenuti Ansa, 13 aprile 2014 Osservare da vicino, il funzionamento dell’Authority regionale per i diritti detenuti e prendere visione, in particolare, delle buone pratiche adottate dal Garante in campi particolarmente sensibili come la salute, il lavoro, la cultura, l’istruzione ed il tema degli stranieri in carcere. Sono stati questi gli scopi della visita compiuta da una delegazione del Ministero della Giustizia norvegese nella sede del Garante dei detenuti del Lazio. La delegazione del Dipartimento del Ministero della Giustizia - Servizio per la sicurezza e l’educazione (Correctional Service of Norway) era composta da cinque persone, guidata dalla dottoressa Berit Johnsen. Nel corso dell’incontro con il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni ed i suoi collaboratori, sono stati affrontati in primis i temi generali legati alle problematiche della giustizia nei due Paesi. In Norvegia i detenuti sono 3.700 (una media di 75 ogni 100.000 abitanti) reclusi in 54 carceri. In Italia i detenuti sono oltre 60.000 (120 ogni 100.000 abitanti) stipati in 206 istituti. Soltanto le 5 carceri di Roma ospitano quasi gli stessi detenuti di tutta la Norvegia. Nel paese scandinavo, inoltre, sono previsti spazi per i rapporti intimi dei detenuti mentre in Italia l’ordinamento prevede addirittura sanzioni per il possesso, in cella, di riviste per soli adulti. Il discorso si è quindi spostato sulla specificità della Regione Lazio e sul lavoro quotidiano del Garante. In particolare, gli ospiti hanno mostrato molto interesse sia per i progetti della Teleuniversità e della Telemedicina - indicati dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) quali da replicare su tutto il territorio nazionale - che per le innovative modalità utilizzate dagli operatori del Garante per affrontare le problematiche legate all’alto numero di stranieri in carcere. “Non tutte le regioni hanno un’authority di garanzia per i detenuti - ha detto al termine dell’incontro il Garante - e, fra quelle istituite, non tutte hanno la nostra forza, cresciuta in anni di lavoro sul campo. Dal confronto tra la nostra realtà e quella norvegese è emerso che l’ordinamento italiano ha ancora troppe norme che producono carcere, nonostante il recente intervento legislativo in tema di misure alternative. Occorre depenalizzare il sistema per consentire di applicare pienamente la funzione di recupero sociale del detenuto che è garantita dalla Costituzione”. “Abbiamo voluto questo incontro - ha detto il capo della delegazione norvegese Berit Johnes - per conoscere da vicino il lavoro del Garante dei detenuti del Lazio. Siamo soddisfatti perché abbiamo conosciuto una prospettiva del sistema giudiziario italiano che non conoscevamo, quella vista cioè da un profilo istituzionale. Siamo rimasti colpiti dall’importanza che il Garante attribuisce alla cultura, all’educazione ed alla tutela della salute e ci ha particolarmente impressionato la creatività che questo ufficio utilizza per affrontare il disagio legato al mondo del carcere”. Palermo: con Progetto il Rise per l’inclusione dei minori “solo” 1 su 5 diventa recidivo Ansa, 13 aprile 2014 Da cinque anni abbiamo avviato insieme al Comune di Palermo il progetto “Rete per l’inclusione socio economica” (Rise) e dai dati a nostra disposizione abbiamo riscontrato che su 120 ragazzi coinvolti, a due anni dal percorso, solo un ragazzo su cinque è recidivo, mentre entro i cinque anni la recidiva cala moltissimo. La giustizia minorile italiana funziona bene”. Lo ha detto il direttore dell’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Palermo Rosalba Salierno intervenendo nel corso dell’incontro “Cambiamo il finale”, nell’auditorium Rai, dedicato alle buone pratiche di recupero dei minori a rischio e dei giovani detenuti. “I progetti di inclusione sociale avviati - ha aggiunto - si sono rivelati efficaci anche contro la disoccupazione giovanile Nel Mezzogiorno il tasso di disoccupazione è di circa il 50 per cento. Quello dei nostri ragazzi si aggira intorno al 40 per cento; questo vuol dire che alla fine dei nostri progetti i minori a rischio all’ingresso del mercato del lavoro hanno condizioni pari rispetto a quelle dei loro coetanei siciliani. Foggia: detenuto romeno tenta il suicidio, salvato dagli agenti di Polizia penitenziaria Gazzetta del Mezzogiorno, 13 aprile 2014 Un detenuto di 22 anni di nazionalità romena ha tentato il suicidio nel reparto protetti omosessuali del carcere di Foggia, reparto aperto da pochi giorni, ed è stato salvato dall’intervento degli agenti di polizia penitenziaria. Lo riferisce in una nota il segretario generale del Coordinamento sindacale penitenziario (Cosp), Domenico Mastrulli. È il sesto tentativo di suicidio nelle carceri pugliesi dall’inizio dell’anno, sottolinea il Cosp. Il giovane, si riferisce nella nota, è stato trovato semi seduto nel bagno della sua cella, quasi privo di sensi, con un cappio al collo ricavato dal lembo della sua camicia e da lacci per scarpe legati a loro volta alle inferriate della finestra. Il detenuto è stato trasportato agli Ospedali Riuniti di Foggia, dov’è tenuto sotto osservazione. Il Coordinamento sindacale penitenziario ricorda nella nota che nelle carceri italiane sono ospitati 60.109 detenuti tra uomini e donne, dei quali 20.664 stranieri; in Puglia i detenuti sono 3.661, dei quali 669 stranieri e 162 donne, mentre la capienza è di 2.431 posti. La struttura di Foggia, sottolinea Mastrulli ricordando una visita compiuta il 9 aprile scorso, è tra quelle in maggiore sofferenza, anche per carenza di organico. Sulmona (Aq): encomio a detenuto As per condotta esemplare durante incidente stradale di Maria Trozzi www.quiquotidiano.it, 13 aprile 2014 Encomio a Carmine Campanella, il detenuto ad Alta Sicurezza (As1), leggermente ferito alla testa nel ribaltamento del blindato della Polizia Penitenziaria che lo traduceva in Basilicata, a Potenza, accompagnato da 5 agenti di scorta. Nonostante le armi a terra e la drammaticità del momento, il mezzo si è ribaltato più volte a pochi metri da un viadotto, l’uomo ha tenuto una condotta ammirevole benché potesse sfruttare la situazione a suo vantaggio, conoscendo persino il luogo in cui è avvenuto l’incidente stradale, nei pressi di Melfi, località Rionero in Vulture. Campanella non ne ha approfittato! A conferirgli il riconoscimento è Francesco Cascini, Vice capo del Dipartimento Amministrazione penitenziaria (Dap), intervenuto ieri al convegno di criminologia “31.12.9999 Fine Pena Mai!?” svolto nel carcere di Sulmona, diretto da Luisa Pesante. “Si è comportato molto bene, ha avuto un grande senso di umanità rispetto ai nostri colleghi che erano rimasti feriti - dichiara il direttore al pubblico che affollava la sala polivalente della Casa di Reclusione - Tra l’altro, quando è rientrato dall’istituto di Melfi gli ho chiesto, ovviamente se voleva sentire, con una telefonata straordinaria, i suoi familiari e lui non ha approfittato di questa mia richiesta e mi ha detto che li aveva già sentiti e aveva già fatto la telefonata straordinaria da Melfi e si è subito interessato di sapere come stavano i poliziotti che lo stavano accompagnando e che aveva lasciato feriti e sanguinanti”. Il Vice del Dap, Cascini legge le motivazioni del riconoscimento al detenuto di Alta sicurezza: “Campanella ha avuto un comportamento esemplare nell’incidente occorso al mezzo che lo conduceva in traduzione il 24 Marzo 2014 dov’è rimasto ferito unitamente al personale della scorta. Si è condotto con lealtà là dove il mezzo era stato ribaltato, le armi del personale di scorta erano in terra e l’incidente è avvenuto in zona ben conosciuta al detenuto in quanto suo luogo d’origine. Campanella ha osservato tutte le indicazioni del personale di polizia e si è adoperato per i soccorsi in un contesto di rispetto per il prossimo che denota un forte senso di responsabilità e maturità, nonché una riacquisita sensibilità ai più alti valori della collettività senza alcuna distinzione di appartenenza sociale. Il comportamento tenuto da Campanella acquista ancora più valore se si considera che lo stesso ha ricevuto la notifica di un provvedimento di custodia cautelare, un mese prima dell’incidente, che ha comportato un aggravamento della sua posizione giuridica che lo vede già condannato con un fine pena lontano”. Il vice capo del Dap consegna l’encomio e aggiunge: “Come amministrazione invitiamo i nostri operatori, direttori delle carceri, a creare le condizioni perché le persone possano dimostrare, i detenuti possano dimostrare che possiamo avere fiducia in loro. È bellissimo questo comportamento, ma noi queste condizioni, per dimostrare che la nostra fiducia se la meritano e possono cambiare, gliele dobbiamo offrire all’interno. Quindi chiedo che occasioni come queste vengano date perché questo evento dimostra che possono meritare la nostra fiducia e possono cambiare”. Lucca: il Sottosegretario Ferri partecipa al convegno “Carcere, la certezza del recupero” di Manuela Bartolotta www.volontariatoggi.info, 13 aprile 2014 “Quella delle pene alternative - ha affermato Cosimo Maria Ferri, sottosegretario al Ministero della Giustizia - è una tematica su cui tutti devono accendere i riflettori”. Con queste parole, il sottosegretario alla Giustizia ha introdotto il dibatto sulle misure alternative al carcere, all’interno dell’incontro che si è tenuto nel pomeriggio al Festival del Volontariato. Al dibattito, intitolato “Carcere, la certezza del recupero. I vantaggi economici e sociali delle misure alternative alla pena”, hanno preso parte Ilaria Vietina, vicesindaco di Lucca, Elisabetta Laganà, presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Roberta Palmisano, direttore dell’Ufficio Studi, Ricerche, Legislazione e Rapporti internazionali del Dap, Pier Giorgio Licheri, vicepresidente del Centro Nazionale per il Volontariato e Don Virginio Colmegna della Casa di Carità Milano. Ha moderato l’incontro la giornalista Rai Giovanna Rossiello. Cosimo Maria Ferri, sottosegretario al Ministero della Giustizia, ha aperto il dibattito ricordando le ultime novità introdotte dal governo: “Con la nuova legge delega del Ministero - ha detto il sottosegretario - il giudice avrà un’alternativa obbligatoria per i reati dai tre ai cinque anni, potendo scegliere se una persona condannata per un reato debba andare in carcere o agli arresti domiciliari. È un cambio di cultura forte, che va in direzione di una sensibilità diversa”. Un altro nodo cruciale è la formazione del detenuto: “L’istruzione è fondamentale - ha spiegato il sottosegretario - e deve essere interpretata come tutela di un diritto costituzionale, non come un momento di passaggio. Il volontariato ha un ruolo fondamentale, sia dentro che fuori dal carcere. Non deve però essere abbandonato a se stesso, ma bisogna fare squadra assieme a tutte le realtà impegnate”. Sulla possibilità di misure post pena sembra che qualcosa si stia muovendo: “Spesso - ha proseguito Ferri - chi esce dal carcere è senza casa o non trova lavoro. Occorre coinvolgere maggiormente le imprese, ma siamo ancora molto lontani dal recupero. Con la legge n. 94/2013 sono state ampliate le opportunità di lavoro. È stata inserita la possibilità per gli ex detenuti di svolgere lavori di pubblica utilità a titolo volontario o di lavorare a sostegno delle famiglie vittime dei reati. Crediamo in un paese civile, che tenga il passo dell’Europa”. Ilaria Vietina, vicesindaco di Lucca, ha annunciato gli interventi del Comune: “La collaborazione con la casa circondariale di Lucca - ha detto - è stata avviata. Abbiamo dato la possibilità ai detenuti che si trovano a fine pena di compiere esperienze fuori dal carcere. Abbiamo scelto di realizzare attività di volontariato, perché non avevamo risorse sufficienti per inserire percorsi di lavoro. Chiediamo al governo di creare nuovi percorsi, dandoci gli strumenti. Pensiamo, ad esempio, alla possibilità di utilizzare i patrimoni abitativi bloccati per costruire nuovi centri. Il cambiamento culturale è lento, ma ha bisogno di segni e azioni. Chiediamo al governo misure realistiche e operative”. Elisabetta Laganà, presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, ha ricordato i rischi che corre il nostro paese se non verranno prese al più presto le misure necessarie: “L’Italia - ha dichiarato la presidente - è già stata condannata tre volte dalla Corte Cedu di Strasburgo, dimostrando di mettere in atto violazioni dei diritti sistematiche. La legge quadro dell’Unione europea ci dice che siamo passibili di sanzioni. Violare i diritti è quindi più costoso che farli rispettare, e vorremo che il governo recepisse questa concezione. Negli ultimi anni sono state introdotte misure utili, come il decreto Cancellieri, senza però garantire la necessaria copertura economica”. Roberta Palmisano, direttore dell’Ufficio Studi, Ricerche, Legislazione e Rapporti internazionali del Dap ha ricordato la necessità di ricostruire gli spazi sociali attorno ai detenuti: “ All’interno del carcere - ha spiegato - bisogna riproporre la vita di comunità. Il passaggio alla società deve restituire un detenuto responsabilizzato, abituato alla vita di relazione. La vita ristretta all’interno della cella, purtroppo diffusa, deve svolgersi in spazi di vita comune, a partire dai refettori. La scommessa è ricreare la dignità per ciascuno. Il disegno di legge, appena approvato, introduce sanzioni alternative e segna un primo cambiamento. È però un inizio timido per i limiti di applicazione”. Pier Giorgio Licheri, vicepresidente del Centro Nazionale per il Volontariato ha posto una riflessione sul meccanismo di recidiva: “Per le persone che scontano in carcere la pena - ha dichiarato - la recidiva è a livelli inimmaginabili. Crolla del 20% nei percorsi che prevedono misure alternativa. In termini di sicurezza e spesa la strada è chiara”. Don Virginio Colmegna della Casa di Carità Milano ha parlato di un cambiamento che deve essere prima ancora culturale: “I lavori di pubblica utilità - ha detto - sono un modo per ricostruire il bene comune, immettendo nella società la capacità di offrire un recupero della persona. La sfida è anzitutto culturale e va sostenuta. Il carcere deve essere ricompreso in una logica di proposta minimale, ed è una parte di welfare e di società civile. La cultura dei capri espiatori rischia di trasformare la domanda di carcere in un’istanza diffusa”. Padova: 400 uova di Pasqua offerte dalla coop Giotto al Cottolengo e alle Cucine Popolari Il Mattino di Padova, 13 aprile 2014 Quattrocento uova di Pasqua per addolcire un giorno di festa: è la donazione che la cooperativa Giotto, impegnata da anni con i carcerati del Due Palazzi, ha offerto al Cottolengo di Sarmeola ed alle Cucine popolari di Padova. Un’iniziativa di solidarietà che si ripete anche quest’anno. Non sono uova di cioccolato qualunque: nascono dalla collaborazione tra Ecuador, Paraguay e Italia, uniti in un progetto sociale diretto dall’Iila (Istituto Italo-Latino Americano) con il sostegno del ministero degli Affari Esteri e dello Sviluppo Economico. Dal lavoro congiunto dell’Iila e della cooperativa Giotto è nato, infatti, un progetto per esportare in America Latina il modello delle cooperative sociali operanti nelle case di reclusione italiane, dando lavoro a più di duemila detenuti. E visto che l’Officina Giotto è nota soprattutto per la pasticceria, l’Iila ha preso spunto dai suoi progetti per creare le uova di cioccolato confezionate con cacao equadoregno di altissima qualità, a cui è stata unita la Stevia: una dolcificante estratto da un arbusto paraguaiano, ipocalorico e ricco di proprietà farmacologiche e fitoterapiche. Le uova sono frutto di una ricerca gastronomica e portano ben due firme: del maestro artigiano del cioccolato Marco dalla Vecchia e della cooperativa Giotto, che insieme a Stevia ha lanciato l’uovo sul mercato italiano. “Abbiamo usato un cioccolato fondente al 70%, quindi di alta qualità ma destinato in gran parte agli intenditori. Siccome alle Cucine Popolari ed al Cottolengo ci saranno anche famiglie e soprattutto bambini, abbiamo aggiunto duecento uova al latte, in modo che ce ne fossero per tutti i gusti”, ha spiegato Nicola Boscoletto, presidente del Corsorzio Rebus di cui fa parte la Cooperativa Giotto. La presentazione del progetto è stata l’occasione anche per inaugurare la nuova linea di colombe pasquali della “Pasticceria Giotto del Carcere di Padova”, compresa l’ultima novità, costata un anno di lavoro ed esperimenti culinari: la colomba con pesca ed albicocca. Oggi aprirà, infine, un nuovo punto vendita estero della cooperativa: sarà a San Marino, presso la sede dell’associazione Unsolomondo. Sassari: presentato nel carcere di Bancali il libro sulla Colonia penale di Tramariglio di Gianni Bazzoni La Nuova Sardegna, 13 aprile 2014 Il coraggio di giocare una sfida che in molti davano persa in partenza. Perché il carcere è già negativo di per sè, è un posto dove tutti ci stanno male e quando le strutture sono terribili - come era San Sebastiano - allora il rischio è quello di buttare all’aria anche le poche cose che portano speranza. Come il lavoro. In sei, tutti detenuti e provenienti da esperienze diverse, che sembrava impossibile integrare in un gruppo, hanno dato un contributo fondamentale per vincere quella scommessa che ha coinvolto le strutture del carcere (dalla direzione all’area educativa e fino alla polizia penitenziaria) e il Parco di Porto Conte, insieme all’Archivio di Stato e ad alcuni consulenti preziosi che hanno reso possibile la realizzazione di un progetto che ora merita di essere definito, come sostiene Maria Paola Soru, responsabile dell’Area educativa del carcere di Bancali che coordina l’incontro. Il libro. Il volume che riporta d’attualità alcuni momenti della quotidianità vissuta dai detenuti della colonia penale di Tramariglio è stato presentato ufficialmente ieri mattina nel carcere di Bancali, per la prima volta aperto agli esterni nell’accogliente sala conferenze. Edito da Carlo Delfino (per la collana I quaderni del Parco di Porto Conte), si intitola “La colonia penale di Tramariglio. Memorie di vita carceraria”. La memoria. Manon è solo un libro. Le testimonianze raccolte aiutano a ricostruire la complessità dei rapporti umani nella colonia penale. “Dietro questo volume ci sono storie e persone - ha detto Giampaolo Cassitta, direttore regionale dell’Area educativa - c’è la memoria. E nella memoria degli uomini c’è sempre qualcosa da raccontare”. Il salvataggio. Davide Aristarco, Simone Silanos, Lorenzo Spano, Daniele Uras, Giuliano Usala e Roberto Varone hanno lavorato dal carcere, poi sono e sono usciti dalle celle per dare vita a un percorso imprevedibile, attraverso i benefici consentiti da chi accede all’articolo 21 (lavoro all’esterno). Prima negli scantinati di San Sebastiano, tra polvere, muffa, topi e pulci, in condizioni assurde. Quando terminavano il turno di lavoro si lavavano con l’acqua minerale che pagavano loro, perché spesso le docce erano a secco a San Sebastiano. Ogni volta che trovavano un fascicolo, esultavano come quando si segna un gol. Ora tutto quel materiale è un patrimonio messo in salvo, che può essere tramandato agli altri, anche oltre la Sardegna. Senza il lavoro dei detenuti sarebbe andato perduto. Il direttore. Patrizia Incollu, direttore del carcere non nasconde la portata di quella che considera una sfida giocata e vinta. “È stato recuperato un pezzo di storia - dice - e dietro c’è il viaggio di un gruppo di persone consegnate al carcere e che vengono restituite alla società cambiate, migliorate tanto. Lo dico oggi qui, a Bancali, in una struttura nuova, dove siamo arrivati a luglio e ci stiamo ancora sistemando. Ci siamo lasciati alle spalle la vergogna di San Sebastiano. La validità del lavoro ci è stata riconosciuta anche dal ministro Cancellieri in occasione della sua visita a Sassari”. Il Parco. Il Parco di Porto Conte è stata un po’ la seconda casa per il gruppo dei detenuti inseriti nel progetto che ha consentito di salvare la storia e la memoria della colonia penale di Tramariglio. Vittorio Gazale è un esperto nel portare a compimenti progetti impossibili: “Esperienza unica e incredibile - dice il direttore del Parco - e il nostro impegno è stato ripagato con stima e affetto da parte di persone speciali. Li abbiamo visti arrivare, all’inizio tristi e quasi rassegnati, poi sono cambiati anche fisicamente. Segno che l’ambiente e la natura aiutano, poi servono la forza e il coraggio degli uomini per centrare l’obiettivo”. Un parere condiviso dal presidente del Parco Stefano Lubrano. La continuità. Ora il passo più difficile, dare continuità al progetto, e per farlo occorrono le risorse finanziarie. Vittorio Gazale ha sottolineato che alla Regione sono fermi, ormai da anni, altri 2milioni di euro legati a un bando europeo che nel frattempo si sono ridotti a 800mila euro. “Dicono che basta niente per sbloccarli, pare un input politico. Ma ancora la burocrazia ne rallenta l’evoluzione: quei soldi vanno spesi entro il 31 dicembre, altrimenti non saranno più disponibili. Speriamo che qualcosa si muova, perchè vuol dire che possiamo dare continuità a un progetto come questo”. L’editore. Carlo Delfino dà l’annuncio davanti a tutti: “Il libro lo portiamo al Salone di Torino - afferma - perché è una pubblicazione speciale. La dimostrazione del “volere-potere”. Il percorso era pieno di ostacoli, ma tutti volevano arrivare al traguardo, e la risposta che è arrivata da chi ha sbagliato e affronta l’esperienza del carcere è un grande risultato che vale come insegnamento per tutti”. Ce l’abbiamo fatta anche per tutti gli altri… Le testimonianze di chi ha creduto nel progetto e ora chiede continuità: speriamo che non finisca qui. In questi casi, occorre non esagerare mai. “Ne angeli e neppure diavoli”, come si diceva per evitare di dare troppi meriti a chi ha sbagliato e fare lievitare la sofferenza di chi ha sopportato un grande dolore. Una cosa normale. Il carcere non può fare miracoli, però può rispettare le persone, offrire opportunità, garantire percorsi per un rientro nella società con la convinzione che il tempo trascorso dietro le sbarre non sia stata solo una inutile punizione. Davide Aristardo è il più giovane del gruppo di lavoro: “Quando ho visto il mio nome sul libro quasi non ci ho creduto. Però poi ho capito che quello era l’obiettivo: e allora dico che se ce l’ho fatta io ce la possono fare anche tutti gli altri. Mi auguro che serva d’esempio, che in carcere ci si possa formare, per avere un mestiere e trovare lavoro anche all’esterno”. Come Davide, anche Simone Silanos è già fuori dal carcere, ma lesta legato al progetto di archivista. “Penso a tutto quello che abbiamo fatto. E ancora quasi non ci credo. Il mio augurio è che anche altri possano fare lo stesso percorso e arrivare alla fine, così come è stato per noi”. Roberto Varone riconosce che non è stato facile. “Io durante il percorso ho perso mia madre, è stato un momento terribile. Ma avevo attorno un gruppo che mi ha aiutato a non mollare, e ce l’ho fatta. Per me questo è il punto di partenza e non di arrivo, spero che altri possano fare la stessa esperienza. Il lavoro è fondamentale per chi sta in carcere”. E continuità chiede anche Daniele Uras, perchè fermarsi ora non avrebbe senso, dopo avere imparato tanto. “Ringrazio chi ha creduto in noi, è la dimostrazione che si può fare. Anche se non è per niente facile, niente è scontato. Io la mia scommessa per ora l’ho vinta, ne sono orgoglioso”. Lorenzo Spano è il più anziano del gruppo, e lancia un appello: “Mi auguro che non finisca qui, è stata una esperienza positiva, ma non basta. Ognuno ha fatto la sua parte, altrimenti non avrebbe funzionato. Spero che chi ha il potere di farlo si adoperi per sbloccare i finanziamenti, che ci sono”. E chiude con una battuta tutta sassarese: “Senza dinà no si canta messa”. Giuliano Usala è timido, di poche parole. Emozionato di fronte alla platea, quasi non riesce a esprimere le sue sensazioni. Poi, però, prende il microfono: “È stato un lavoro importante, ci ha fatto tornare indietro nel tempo. Spero solo che il progetto continui, non può fermarsi qui...”. Con i detenuti, oltre a tutta la struttura del Parco di Porto Conte, hanno lavorato anche Angelo Ammirati, già direttore dell’Archivio di Stato, e Stefano Tedde che è stato un po’ l’anima di tutto il progetto, tanto che Maria Paola Soru ha detto: “Senza di lui non sarebbe stato possibile”. Tedde ha ripercorso il lungo cammino proiettando diapositive e legandole alle lettere dell’alfabeto, isolando singole storie. Come quella di Nino Vettoriani, un detenuto di 23 anni che nel 1943 rubò una pecora a un pastore sardo e venne condannato a 15 anni di reclusione. Drammatica e attuale la lettera della madre del ragazzo: “Caro figlio, a quelli che hanno rubato i milioni li fanno deputati, a te ti tengono in galera”. E poi le evasioni, tante da Tramariglio. Con i fuggitivi ripresi a Sant’Orsola, un altro vicino a Oristano dopo avere camminato per giorni a piedi. E l’omicidio dell’agente Giuseppe Tomasiello, al quale è stato dedicato il museo sulla storia della vita carceraria di Tramariglio visitato già da migliaia di persone. Il lavoro non c’è, io aspetto da anni… La prima volta dei detenuti seduti nelle poltroncine rosse, a contatto con poco più di 150 invitati esterni riserva anche un colpo di scena. La risposta a chi crede che gli incontri siano organizzati alla perfezione e tutto fila liscio. Invece no, c’è spazio anche per una protesta forte ma garbata. Uno dei detenuti si alza e con tono della voce potente denuncia: “Non c’è lavoro in carcere, queste sono solo delle eccezioni. Non è vero che si può lavorare, io aspetto inutilmente da anni”. Il segnale di una difficoltà reale: il lavoro dietro le sbarre è ancora troppo poco. Un privilegio per pochi. Verona: “Conoscere per Giudicare”, a Nogara dibattito su ospedali psichiatrici giudiziari L’Arena di Verona, 13 aprile 2014 “Conoscere per Giudicare”: è questo il tema dell’incontro pubblico organizzato dalla sezione del Partito Democratico per mercoledì 16 aprile, alle 20.45, in sala civica “Ciresa”, per informare la popolazione sulla situazione dell’ex ospedale Stellini e sulla nuova struttura che ospiterà malati psichici degli ex istituti psichiatrici giudiziari. Alla serata interverranno Alessio Albertini, segretario provinciale Pd, Franco Bonfante, consigliere regionale Pd, e alcuni esperti in materia di ospedali psichiatrici. Il circolo locale del segretario Mattia Bertolini ha deciso di chiamare a Nogara Giuseppe Capello, medico psichiatra e profondo conoscitore dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia, e Giovanni Trisolini, che per anni ha lavorato all’interno della struttura emiliana. L’incontro arriva dopo una serie di critiche all’attuale amministrazione del sindaco Luciano Mirandola riguardanti in particolare le modalità con cui è stato proposto il progetto della nuova struttura per detenuti psichiatrici, “senza condividere la proposta con le minoranze”. Olanda: se ora ci sono più secondini che detenuti… è per effetto anche di pene troppo miti di Maurizio Stefanini Libero, 13 aprile 2014 Da noi si discute di provvedimenti svuota carceri per risolvere il problema delle galere sovraffollate. Ma in Olanda, dove un provvedimento simile è stato fatto anni fa, oggi ci si pente di averlo fatto; e per la ragione opposta alla nostra: lì ci sono troppo pochi detenuti. E costi altissimi. Il ministero della Giustizia dei Paesi Bassi, infatti, ha rivelato come per la prima volta nella storia del Paese ci siano più secondini che carcerati. Da 15.000 detenuti su 17 milioni di abitanti che c’erano nel 2008, infatti, a marzo ne erano rimasti 9.710, custoditi da 9.914 guardie. E se si tolgono 650 belgi che i Paesi Bassi stanno ospitando in base a un accordo temporaneo, il rapporto sarebbe di 9060 a 9914, su una capacità da 12.100 posti. Ovvia l’osservazione che farà il lettore: e non è bene che in un Paese il numero dei detenuti diminuisca? In linea di principio, sì. Ma, ad esempio, un tale rapporto carcerati-guardie è antieconomico. La California con quasi 38 milioni di abitanti ha 168.000 detenuti equivalenti a cinque per ogni guardia, mentre l’Italia con oltre 60 milioni di abitanti ne ha 64.323, con 38.543 agenti di polizia penitenziaria, dei quali però 3870 non lavorano nelle carceri ma secondo una prassi tipicamente nazionale sono distaccati un po’ dappertutto: dal Senato al Csm, passando addirittura per la Consob, l’Autorità che vigila sulla borsa. La capienza di 47.668 posti che ci sarebbe nei 207 penitenziari italiani e i 45.000 poliziotti penitenziari che sarebbero previsti in organico lascia intendere che per la nostra amministrazione un rapporto di un secondino per ogni carcerato verrebbe invece giudicato corretto. Ma, appunto, le nostre carceri sono sovraffollate, come ci rimprovera l’Europa in continuazione. È forse interessante ricordare come sono giusto i 22.700 detenuti stranieri da noi a eccedere la cifra prevista. Spese di soggiorno Nei Paesi Bassi, al contrario, sono arrivati a “invitare” detenuti belgi, pur di non sottoutilizzare troppo le strutture. Un’altra soluzione, di cui pure su Libero avevamo parlato, era stata con la nuova legge per obbligare i detenuti a pagare 16 euro al giorno per le spese di soggiorno, in modo da risparmiare 65 milioni di euro. In Italia una quota di 1,7 euro per il “mantenimento carcere” è già prevista dalla legge 354 del 1975, ma viene regolarmente abbonata per buona condotta, o chiedendo la trasformazione del debito in libertà vigilata, in ragione di 150 euro per ogni giorno. Ma se gli olandesi si ostinano a non voler finire in galera, diventa difficile non ristrutturare tutto il settore a colpi di licenziamenti, e il ministero della Giustizia ha già elaborato un piano per ridurre gli organici di 3.500 persone su cui il sindacato Abvakado Fnc ha annunciato battaglia. In un’intervista alla tv Nos il leader sindacale Corrie van Brenk dice invece che in questo momento nelle carceri olandesi la situazione “è esplosiva” proprio per “carenza di personale”. Standard europei Jochgem van Opstal, portavoce del ministero della Giustizia, afferma in effetti che il problema sta venendo studiato. Da 174 omicidi del 2005, quando il tasso fu di 1,1 omicidi ogni 100.000 abitanti, i Paesi Bassi scesero nel 2006 a 128, con 0,8, per poi stabilizzarsi sullo 0,9: 143 omicidi nel 2007, 150 nel 2008, 154 nel 2009, 144 nel 2010, 143 nel 2011, 145 nel 2012. È esattamente lo stesso 0,9 dell’Italia e dell’Austria, mentre Spagna e Germania stanno a 0,8, e Francia e Regno Unito a 1. È insomma sugli standard europei, anche se il vicino Belgio è relativamente più pericoloso, con un 1,6. Gli olandesi hanno però sui reati una mentalità calvinista per cui il rispetto della legge è talmente importante, che se in troppi la violano tanto vale abolirla. Per questo con la politica dello spinello legale all’interno dei Coffee Shop hanno drasticamente abbattuto una delle principali cause di affollamento delle carceri, e con la legalizzazione dei bordelli hanno inciso su un altro tema piuttosto sensibile. Nelle campagne elettorali, però, sono fortissime anche le polemiche sul fatto che le pene nei Paesi Bassi sono miti, ed è quasi automatica la liberazione una volta scontati i due terzi del periodo. È vero che l’assassino di Theo Vah Gogh Mohammed Bouyeri ha avuto l’ergastolo, ma quello di Pim Fortuyn Volker van der Grasf se l’è cavata con 18 anni di prigione e sarà liberato il 2 maggio dopo soli 12, malgrado il primo ministro Mark Rutte in campagna elettorale avesse promesso di cacciare il ministro della Giustizia che avesse concesso un tale sconto, che pure ora si propone di abolire per far quadrare i conti. Libia: rivolta nel carcere Ain Zara soffocata dalle forze di sicurezza, morti 2 detenuti Aki, 13 aprile 2014 È di due detenuti morti e diversi feriti il bilancio di una rivolta scoppiata in un carcere libico nei pressi di Tripoli. La rivolta, secondo l’agenzia di stampa ufficiale libica Lana, è scoppiata la scorsa notte quando un gruppo di detenuti ha dato alle fiamme parti della prigione di Ain Zara e attaccato la polizia penitenziaria nel tentativo di evadere. La rivolta è stata soffocata dalle forze di sicurezza, come ha fatto sapere il vice direttore del penitenziario, Ashraf Zayed, secondo il quale “la situazione è ora sotto controllo”. Ad Ain Zara sono rinchiusi 700 detenuti.