Giustizia: intervista al ministro Orlando "Carceri e mafia… ecco le risposte del governo" di Claudia Fusani L’Unità, 12 aprile 2014 Migliora la situazione nei penitenziari grazie agli interventi strutturali, ora dobbiamo insistere. Mattinata di tensione in via Arenula, l’allarme per le ricerche di Marcello Dell’Utri, le tensioni in Senato sul nuovo reato di voto di scambio politico-mafioso, la riforma della giustizia che palazzo Chigi dà in consegna entro giugno e non un giorno di più. E le carceri, il problema di cui nessuno parla ma che è il più urgente perché, dice il ministro Guardasigilli Andrea Orlando, "stiamo migliorando, abbiamo invertito una tendenza ma non è ancora stabilizzata e dobbiamo assolutamente dimostrare che in Italia è cambiato qualcosa nel sistema delle pene". Occuparsi di carcere è qualcosa che impegna molto, fa rischiare parecchio e mediaticamente dà scarsi risultati. Ministro, i suoi uffici sono soggetto attivo nelle ricerche dell’ex senatore Dell’Utri? "Come sempre in questi casi, sono state attivate le ricerche a livello internazionale. La richiesta è stata inoltrata dalla procura generale di Palermo e sta seguendo l’iter attraverso gli uffici amministrativi del ministero della Giustizia". Giovedì in Senato è saltata di nuovo l’approvazione del 416 ter, il nuovo reato di scambio politico-mafioso. Sarà legge in tempo utile per le elezioni amministrative ed europee? "Faremo di tutto perché questo avvenga...". Utilizzerete anche il decreto? "Mi auguro che possa avvenire con i fisiologici passaggi parlamentari". I Cinque Stelle vi accusano di aver indebolito il testo, la circostanza di reato e le pene. "È una buona legge che deve assolutamente essere vigente prima del voto e direi anche durante questo mese di campagna elettorale". Nel senso che pesa la campagna elettorale? "Direi che è un forte condizionamento. Faccio solo notare che la stessa norma è stata votata alla Camera quasi all’unanimità. Al Senato, due settimane dopo, si è assistito a uno scontro frontale". Ci sono altre iniziative per contrastare la mafia? "Con il ministro dell’Interno Alfano è stato depositato a palazzo Chigi il disegno di legge sull’auto-riciclaggio, uno strumento importantissimo in questi anni nei quali le mafie sono diventate soggetti imprenditoriali a tutti gli effetti. Con l’auto-riciclaggio si va a colpire chi realizza profitti con attività illecite e poi, senza trasferirli a terzi, li reinveste in prima persona. Sembra incredibile, ma a tutt’oggi questo in Italia non è punito". Cioè, questo governo mette la lotta alla mafia al primo posto anche se ne parla poco? "Il nuovo reato di auto-riciclaggio è nell’ambito di un pacchetto antimafia che prevede anche procedure più snelle per passare dal sequestro alla confisca dei beni dei mafiosi; per lo scioglimento degli organi elettivi e degli enti locali a rischio di infiltrazione mafiosa; maggior tutela per le vittime e le loro famiglie a cui sarà dedicata una giornata nazionale". Tra poco più di un mese scade il termine stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per dimostrare che siamo diventati un paese civile, che sa amministrare le pene. Altrimenti fioccano decine di milioni di multa. "A Strasburgo abbiamo messo in evidenza progressi e punti critici. I progressi sono nei numeri: oggi circa 60mila detenuti a fronte ci circa 45mila posti disponibili. Prima di una lunga serie di interventi eravamo arrivati a circa 40mila posti a fronte di una crescita tendenziale che puntava a circa 70mila detenuti. Bene: questo trend è stato bloccato e tutti i mesi assistiamo a una piccola diminuzione". Situazione stabilizzata ma resta una forbice di circa 15mila detenuti in più. Qual è l’obiettivo? "Ridurre ulteriormente, arrivare a una forbice di circa diecimila unità. Non è chiaramente l’ottimo ma è un obiettivo che consente di iniziare a lavorare sulla qualità della detenzione". Ambizioso. Come ci si arriva? "Ce la facciamo se non contrapponiamo le ricette già sul tavolo: ridurre il ricorso alla cautelare ha già ridotto i numeri dai circa 20mila detenuti in attesa del giudizio di primo grado nel 2009 agli attuali diecimila; le pene alternative; la collocazione dei detenuti tossico dipendenti in comunità; il cosiddetto svuota carceri che, come dimostrano i numeri, non ha svuotato proprio nulla. In questo senso, tutte le misure in atto e quelle in fase di approvazione hanno effetti piccoli e strutturali. Si può e si deve fare ancora di più senza determinare ricadute negative sulla sicurezza". Riusciremo a riportare nei paesi d’origine i detenuti stranieri? "Anche questa è una politica che si alimenta di un lavoro quotidiano. Al di là degli accordi con Paesi extracomunitari, come il Marocco, stiamo mettendo a regime, cancellando alcune farraginosità, il rientro dei detenuti comunitari per cui non serve l’autorizzazione dell’interessato. Abbiamo quasi 5mila detenuti comunitari". L’abolizione della Fini-Giovanardi aprirà le porte a migliaia di detenuti? "Anche questa è solo propaganda. Ci attendiamo piccoli ma utili numeri, tenendo conto che circa un terzo dei detenuti è per reati legati alla droga". Legge sulle droghe: sta rientrando dalla finestra quello che è uscito dalla porta della Consulta? "Dobbiamo recepire la sentenza della Corte e cioè distinguere tra droghe pesanti e droghe leggere. Abbiamo quindi fatto nuove tabelle. E questo produrrà effetti anche sulla riduzione dei detenuti. Nulla di per sé risolutivo". Strasburgo, però, non ci dice solo di metterci a posto con i metri quadrati delle celle e l’ora d’aria. "Ci chiede qual è il regime detentivo, se ci sono progetti di lavoro, di reinserimento, di socializzazione. Insomma, se riusciamo a superare l’attuale modello che induce alla passività e alla recidiva. Poi, Strasburgo chiede un rimedio interno, che potrebbe essere per chi è ancora in carcere la trasformazione della pena. Ho letto che la nostra proposta sarebbe stata quella di dare qualche euro a chi vive in condizioni inaccettabili, nulla di più falso. Questa ipotesi potrebbe valere solo per chi ha già scontato la pena in condizioni degradanti e avrebbe comunque riconosciuto un conseguente risarcimento da parte di Strasburgo. Stiamo elaborando un sistema che eviti l’avvio di migliaia di denunce alla Cedu per detenzione contro la dignità umana". Sono già tremila? "Sono già quattromila. E dobbiamo evitare un effetto valanga". Dobbiamo creare, cioè, un filtro interno alla cause in Europa? "Prima di tutto dobbiamo dire basta a un sistema carcerario che genera solo recidiva, il 75% dei nostri detenuti è recidivo". L’altro giorno l’amministrazione penitenziaria ha spostato 250 boss. Un’operazione del genere sfuggiva alla cronache dai primi anni novanta. C’è stato un allarme speciale? "È fisiologico trasferire i boss per evitare che restando anni nello stesso penitenziario possano consolidare rapporti con l’esterno. Detto questo, si può discutere dell’opportunità di farlo con quei grandi numeri in un periodo così ristretto: modalità che può creare indubbiamente allarme". Il premier Renzi ha fissato a giugno la data per la riforma della giustizia. Ministro, lei è un mago? "È una sfida grande che possiamo vincere realizzando le necessarie precondizioni, tra le quali l’emergenza carceri e la funzionalità degli uffici. Tutte le possibili soluzioni tecniche per una riforma più complessiva sono già sul tavolo, non dobbiamo inventare nulla. A cominciare dal processo civile telematico, ora la volontà politica c’è". Giustizia: emergenza carceri, già 39 decessi dall’inizio dell’anno, 11 i suicidi www.direttanews.it, 12 aprile 2014 Trentanove decessi dall’inizio dell’anno, dei quali undici suicidi, due morti nell’ultima settimana, un detenuto vittima di un violento pestaggio a Padova: questi i numeri di un’emergenza senza fine, quella dei penitenziari italiani, nonostante l’approvazione dei recenti provvedimenti riguardanti la messa in prova. Sono dati che invitano a una riflessione seria quelli riguardanti la situazione carceraria. Venerdì scorso, Fabio Giannotta, di 37 anni, è deceduto nel carcere di Civitavecchia. Si trattava di un giovane con una serie di problemi psichici e di tossicodipendenza, che attendeva la decisione circa un eventuale trasferimento in una comunità terapeutica. Due giorni dopo, al carcere Pagliarelli di Palermo, è deceduto un altro giovane uomo, Vito Bonanno, detenuto in attesa di primo giudizio; il referto medico parla in maniera generica di arresto cardiocircolatorio. In poche ore, nel penitenziario Due Palazzi di Padova, si sono resi necessari due ricoveri, con entrambi i detenuti che lottano tra la vita e la morte. Il primo è un 60enne rumeno, vittima di un pestaggio; spiega il sindacato di polizia penitenziaria Sappe: "Il grave episodio accaduto domenica mattina nel carcere di Padova, dove due detenuti sono venuti alle mani per una banalità (la restituzione di un secchio), conferma l’alto indice di tensione che permane nei penitenziari italiani". Nel pomeriggio di domenica, invece, un altro rumeno, di 26 anni, aveva provato a impiccarsi nella sua cella, venendo salvato dall’intervento dei suoi compagni di cella. Anch’egli è ora ricoverato in fin di vita. Nessuna connessione sembra esserci tra i due episodi. Dal carcere di Treviso, infine, una ‘buona notizia’: è uscito da qualche settimana ed è scaricabile online un disco realizzato dai detenuti della casa circondariale, che in precedenza avevano anche partecipato a un laboratorio di scrittura creativa. L’album è ascoltabile anche in diversi locali della provincia di Treviso che hanno deciso di aderire a un’iniziativa di sensibilizzazione promossa da alcune associazioni. Giustizia: i Radicali denunciano illegalità carceri con lettera a Barroso, Shultz e Rompuy Public Policy, 12 aprile 2014 "Possiamo affermare senza timore di smentita che in Italia la situazione relativa alla violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea, inerente ai trattamenti inumani e degradanti nelle carceri, non sia materialmente cambiata. A oggi, per il prossimo futuro, non esistono prospettive realistiche che essa possa modificarsi in alcun modo e sicuramente non entro il termine del 28 maggio 2014 fissato dalla sentenza Torreggiani". È uno dei passaggi di una lettera che i Radicali italiani invieranno a Sebastian Kurz, ministro per l’Europa, Integrazione e Affari esteri dell’Austria, presidente del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, Segretario generale del Consiglio d’Europa e Dean Spielmann, presidente della Corte europea dei diritti umani. "Dobbiamo registrare - si legge ancora nel documento firmato dall’ex senatore radicale Marco Perduca e dai leader storici Emma Bonino e Marco Pannella - che negli ultimi giorni sono morte nelle carceri italiane altre due persone, ambedue trentasettenni, una nel carcere di Civitavecchia e l’altra in quello di Pagliarelli di Palermo. Salgono così a 39 le persone detenute morte nei primi 4 mesi del 2014, tra queste, ben 11 sono stati i suicidi". Per porre rimedio al problema del sovraffollamento carcerario, "l’Italia deve adottare una prima riforma strutturale: un’amnistia attraverso la quale l’amministrazione della giustizia possa riprendere il suo cammino democratico interrotto da decenni. Prima di tutto per se stessa. Un’amnistia per la Repubblica prima ancora che un’amnistia e indulto per le decine di migliaia di persone che soffrono trattamenti inumani e degradanti nei 205 istituti penitenziari del nostro Paese e per i milioni di cittadini colpiti, sia nel penale che nel civile, da una giustizia irragionevolmente ritardata". Secondo i dati forniti da Rita Bernardini durante una conferenza stampa a Montecitorio, segretario di Radicali italiani, le carceri del nostro Paese possono ospitare circa 41.000 detenuti, rispetto agli oltre 60mila attualmente incarcerati. Numeri che sono stati al centro di un duro confronto già nei giorni scorsi tra il segretario e il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia. "Mi sono permessa di dire che il Dap sta a uscendo fuori di testa. Ha reagito in modo scomposto - ha sottolineato Bernardini - alla mia richiesta insistente nei confronti del ministero della Giustizia affinché fornissero e rendessero pubblici i dati effettivi sulle capienze delle carceri". Un altro segnale, ha sottolineato il segretario, giunta oggi al 43° giorno di sciopero della fame proprio per protestare contro la situazione nelle carceri, "è stato l’invio di una circolare con cui ha chiesto a tutti i direttori delle carceri di non dare più informazioni all’associazione Antigone. Il Dap ha detto che le mie dichiarazioni sono diffamatorie. Aspetto la relativa denuncia e se non arriva vorrà dire qualcosa". Bernardini: nessuno ascolta i detenuti, a partire dai magistrati "Con lo sciopero della fame sto benissimo, perché riesco a sentire di più il dramma che le persone in carcere stanno vivendo. Non li ascolta nessuno, a partire dai magistrati. Si trovano contro un muro". Lo dice il segretario di Radicali italiani, Rita Bernardini, aprendo la seconda riunione del comitato nazionale del partito dopo il congresso di Chianciano. L’ex deputata è oggi al 43° giorno di sciopero della fame. Giustizia: Circolare del Dap ai direttori delle carceri "Basta dati ad Antigone" di Eleonora Martini Il Manifesto, 12 aprile 2014 Nervi tesi nelle stanze dell’amministrazione penitenziaria, in attesa dello spoil system e della nomina del Garante nazionale dei diritti dei detenuti. Sarà il clima di incertezza che si respira a ridosso della scadenza per il completamento dello spoil system (90 giorni dalla fiducia al governo), sarà che in certi ambienti ci si sta già preparando alla nomina del Garante nazionale dei diritti dei detenuti - collegio finalmente istituito dall’ultimo decreto "svuota carceri" e che verrà nominato dal capo dello Stato su indicazione del governo, sarà per questo o per l’imminente dead-line del 28 maggio imposta dalla corte di Strasburgo o altro ancora, ma nelle stanze del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria tira una strana aria. Nervi a fior di pelle, evidentemente, se nei giorni scorsi dalla sede romana di Largo Luigi Daga è partita, alla volta dei provveditori regionali e dei direttori generali dell’amministrazione penitenziaria, una circolare firmata dal vice capo Dipartimento, Dott. Luigi Pagano, che vieta d’ora in poi di fornire direttamente "dati ed informazioni sugli istituti penitenziari" all’"Associazione Antigone", "onde evitare incoerenze pregiudizievoli in ordine all’immagine esterna dell’amministrazione". Pagano si riferisce con ogni evidenza alla querelle sui posti realmente disponibili nelle carceri, risolta nell’ottobre scorso dall’allora ministra Annamaria Cancellieri che pubblicamente ammise: "I letti sono 37 mila e non 47 mila come calcola il Dap". Ogni richiesta da parte di Antigone, si legge ancora nella circolare, dovrà invece essere girata "a questo Dipartimento, il quale provvederà a valutarla secondo le linee di massima trasparenza alle quali si ispira". In effetti da qualche giorno (la Circolare è datata 25 marzo) gli operatori di Antigone avevano trovato la strada particolarmente sbarrata al loro lavoro. Quando Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione, ne ha capito il motivo, ha scritto a Pagano e al capo del Dap, Giovanni Tamburino, informando anche il Guardasigilli Andrea Orlando e il suo capo gabinetto Giovanni Melillo che erano all’oscuro dell’iniziativa. In questa "fase cruciale per il cammino delle riforme" che richiede "determinazione" e "massima trasparenza", scrive Gonnella, un tale "suggerimento" appare come "un pericoloso passo indietro" da parte di un’amministrazione che negli ultimi tempi aveva mostrato apprezzabili "aperture informative". Dopo aver spiegato nei dettagli le conseguenze di un simile ordine, sia sul loro lavoro di informazione, sia sull’immagine pubblica del Dap stesso, Gonnella chiede che la circolare sia ritirata e che venga consentito ad Antigone, "come abbiamo sempre fatto a partire dal 1998, di raccogliere dati direttamente dai direttori di Istituto, anche al fine di non rinchiuderli dietro un imbarazzante silenzio". Nelle ultime ore, il Dap sembra aver fatto un passo indietro su questa vicenda, anche se la circolare non è stata ancora ritirata. Forse presto Antigone potrà ricominciare a svolgere il suo prezioso lavoro, ma nel frattempo bisognerà vigilare sulla nomina del Garante nazionale dei detenuti, sperando che la scelta cada su una persona che porti un respiro internazionale e che sia estranea agli equilibri di potere interni all’amministrazione penitenziaria. Giustizia: perché il Dap se la prende con Antigone? Paura che la verità arrivi in Europa? di Chiara Sirianni Tempi, 12 aprile 2014 Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria invita i direttori dei penitenziari a non fornire dati e informazioni all’associazione Antigone. La battaglia sui numeri e la multa europea. Bernardini: "Sono stupita". Il governo di Matteo Renzi ha tempo fino al 28 maggio prossimo per convincere la Cedu di aver cambiato rotta. Le carceri italiane sono un’emergenza esplosiva che il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, si è ritrovato sul tavolo. E che va affrontata subito, per evitare multe dalla Corte di Strasburgo. Nel frattempo, la tensione sale. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha inviato una circolare ai direttori delle carceri perché non forniscano più dati e informazioni sugli istituti penitenziari all’associazione Antigone. "Onde evitare - scrive il Dap - incoerenze pregiudizievoli all’immagine esterna dell’Amministrazione". Antigone è un’associazione di volontariato attiva nelle carceri da quasi trent’anni, lavora per renderle più umane, annovera parlamentari e giuristi tra i suoi aderenti ed è interlocutore di governi ed enti locali. Le visite degli osservatori di Antigone negli istituti penitenziari italiani sono autorizzate dal ministero della Giustizia e il frutto di questo lavoro di monitoraggio viene riassunto in un rapporto. "Dal 1998 - spiega il presidente, Patrizio Gonnella, in una lettera al Dap - l’associazione è autorizzata a svolgere attività di osservazione e, salvo una brevissima parentesi ai tempi del ministero guidato da Roberto Castelli, abbiamo sempre potuto svolgere serenamente le nostre visite e raccogliere informazioni dai direttori. Questa nota ci pare un pericoloso passo indietro". Informazione e dati Nella circolare del Dap, datata 25 marzo, "si ritiene opportuno che le richieste di dati e informazioni sugli istituti penitenziari italiani presentate dall’associazione "Antigone" siano indirizzate direttamente a questo Dipartimento, il quale provvederà a valutarle secondo le linee di massima trasparenza alle quali si ispira". Il problema è che doversi rivolgere non più ai direttori ma all’amministrazione centrale, secondo il presidente di Antigone, "ritarda l’assunzione di informazioni di rilevanza pubblica". Inoltre così facendo il Dap "dà l’impressione che si sia qualcosa da nascondere o un’assenza di fiducia rispetto alle direzioni periferiche". Di fatto rischia di venire ridotta l’opportunità di informare correttamente l’opinione pubblica intorno alle condizioni di vita nelle carceri che dipendono molto dal tasso di affollamento, dalle presenze, dai posti letto disponibili. Gonnella infine chiarisce come Antigone non chieda dati e informazioni sensibili o che riguardano la sicurezza penitenziaria: "Siamo interessati solo a dati che ci consentono di informare correttamente l’opinione pubblica sui temi che ineriscono il mandato costituzionale della pena. L’immagine esterna dell’Amministrazione è meglio tutelata da un rapporto trasparente con le organizzazioni non governative". Le condizioni dei carcerati La polemica sulle cifre ufficiali si inasprisce in giorni particolarmente complicati. Il 28 maggio l’Italia dovrà rendere conto all’Europa dello stato delle carceri e rischia una multa miliardaria. Il ministro della Giustizia è volato a Strasburgo per convincere i giudici della Cedu che l’Italia rispetterà la scadenza. Il 26 e 28 marzo scorsi una delegazione della Commissione Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni del Parlamento Europeo è stata in Italia per verificare i progressi del nostro Paese in merito alla condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Torreggiani. La missione, guidata dal socialista spagnolo Juan Frenando Lopes Aguilar, ha visitato, tra l’altro, le carceri di Rebibbia, a Roma, e Poggioreale, a Napoli. Nel report realizzato a margine delle verifiche emergono una serie di rilievi e suggerimenti mossi all’Italia, in particolare per quanto riguarda custodia cautelare, pene alternative, garante dei detenuti, pene dei condannati per droga dopo l’abolizione della Fini-Giovanardi, reato di tortura. L’Italia, si legge nel rapporto, ha un alto tasso di sovraffollamento carcerario, con 147 detenuti per 100 posti disponibili, e viene solo dopo la Serbia e la Grecia. Il 40 per cento è in attesa di giudizio. La percentuale più alta nell’Unione europea. Bernardini: "sono stupita" La delegazione europea aveva incontrato diverse personalità: dal ministro Orlando al direttore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, passando per il sindacato di polizia penitenziaria, il Csm, e la stessa associazione Antigone. C’era anche il segretario dei Radicali, Rita Bernardini, che sui numeri forniti all’Europa è molto critica: "I posti effettivamente agibili nei 206 istituti penitenziari italiani non sono 49.000, come sostiene Orlando, ma molte migliaia di meno, perché ai 49.000 occorre sottrarre le sezioni inagibili, quelle in ristrutturazione, e quelle non utilizzate per carenza di personale", spiega. "Le cifre sono importanti, perché non si tratta di numeri, ma di persone. Del resto che le cifre diffuse dal Dap fossero erronee le aveva confermato lo scorso ottobre anche il ministro Cancellieri, con onestà intellettuale. Lo aveva precisato con chiarezza, convenendo con quanto denunciato dall’Associazione Antigone". E ora cos’è cambiato? "Smascherati sui dati farlocchi sulle capienze regolamentari, ora se la prendono con Antigone. Sono stupita: ho sempre collaborato col Dap, sono riusciti a intervenire su numerosi casi di persone che subivano maltrattamenti, che non venivano curati adeguatamente, o che vivevano lontano dalla famiglia. Ora l’atteggiamento è cambiato. La mia impressione è che stiano stringendo le possibilità di controllo democratico di quello che avviene negli istituti penitenziari. Forse perché hanno paura che la verità arrivi in Europa?". Giustizia: Clemenza e Dignità; per carceri esempio di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II www.informazione.it, 12 aprile 2014 "Quando mancano 47 giorni alla scadenza del termine ultimo imposto dall’Europa, nei nostri Istituti sono ancora presenti oltre 60.000 detenuti. C’è un problema di diritti umani e di umanità della pena che ancora non è stato risolto". È quanto afferma in una nota Giuseppe Maria Meloni, responsabile del movimento Clemenza e Dignità, che aggiunge: "I diritti umani, per essere compresi appieno e veramente tutelati, necessitano di una particolare predisposizione dell’animo, che non è richiesta normalmente per tutti gli altri diritti. La piena comprensione e tutela dei diritti differenti da quelli propriamente dell’uomo, difatti, avviene in maniera molto più intellettuale e tecnica, in maniera fredda e formale, quasi meccanica". "I diritti umani, - osserva - o perlomeno il loro nucleo essenziale, invece, funzionano in maniera diversa, funzionano in maniera che, per essere compresi compiutamente e veramente tutelati, necessitano in maniera imprescindibile di quel particolare sentimento che è il senso di umanità". "È quindi evidente, - sottolinea - di quanto possa allontanarsi la soluzione del problema, di quante difficoltà possano ancora insorgere nell’iter di risoluzione, se in merito al dramma delle carceri, continuassimo a ragionare solo di capienza regolamentare, di metri quadrati, di quantità di luce, di ore d’aria, e molto altro ancora, senza porre a monte il vero motore dell’umanizzazione della pena, il vero motore, da cui tutto discenderebbe in senso naturale e senza alcuno ostacolo: il senso di umanità, di cui anche all’art. 27 della nostra Costituzione Repubblicana". "Purtroppo, - continua Meloni - non sono in grado di suggerire e descrivere dettagliatamente quei particolari meccanismi dell’animo, che potrebbero avvicinare il nostro Legislatore e le Istituzioni a questo specifico sentimento di umanità. Posso, tuttavia, fornire un esempio, l’esempio di due uomini, dotati in maniera molto pronunciata di questo particolare senso: Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Il primo, - conclude - durante la sua visita al carcere di Regina Coeli, nel dicembre del 1958, addirittura, disse, "Miei cari figlioli, miei cari fratelli, siamo nella casa del Padre anche qui", e poi ancora "Io metto i miei occhi nei vostri occhi: ma no, perché piangete? Siate contenti che io sia qui. Ho messo il mio cuore vicino al vostro". Il secondo, invece, è il Papa che pubblicamente e dinanzi al Parlamento Italiano chiese un segno di clemenza nei confronti dei detenuti, e soprattutto è il Papa che perdonò il suo attentatore Alì Agca, un killer professionista che il 13 maggio 1981 gli sparò due colpi di pistola". Lettere: Opg, il silenzio non serve a nessuno di Maria Antonietta Farina Coscioni (ex deputata radicale) L’Unità, 12 aprile 2014 Luoghi di "estremo orrore" che "umiliano l’Italia rispetto al resto dell’Europa", così il presidente Giorgio Napolitano definì i sei Ospedali Psichiatrici Giudiziari esistenti. Era il luglio 2011, la tragica realtà degli Opg era esplosa in tutta la sua drammaticità, il Parlamento ne aveva disposto la chiusura, prevedendo che i circa mille malati venissero assistiti in strutture adeguate che dovevano essere approntate dalle regioni. A dire il vero gli Opg erano stati dichiarati illegittimi già dal 2003, ma come spesso accade in Italia si era fatto finta di nulla, proseguendo a colpi di proroga. Così quei malati hanno continuato a restare rinchiusi in strutture-galera fatiscenti, con assistenza ridotta al minimo, spesso vittime di vere e proprie torture. Regioni ed enti locali si sono sempre giustificate dicendo che mancavano i fondi per realizzare strutture residenziali alternative non più gestite dall’autorità giudiziaria, poiché la legge prevede un passaggio di competenza alla sanità pubblica. Certo, abbiamo poi visto in Lazio e in Lombardia, in Piemonte e in Sicilia che fine ha fatto il denaro a disposizione delle regioni! Fatto è che le Regioni sono inadempienti: dovevano occuparsi della gestione e del mantenimento di queste strutture e le Aziende Sanitarie Locali dovevano avviare progetti di riabilitazione e reinserimento sociale per le persone che sarebbero dovute essere dimesse. E invece nulla di tutto ciò. In questi giorni, sia pure con rammarico, il presidente Napolitano ha firmato l’ennesima proroga e quelli che sono stati definiti "un oltraggio alla coscienza civile del nostro Paese, per le condizioni aberranti di vita" sono ancora in funzione. Molti degli attuali internati che hanno scontato la pena e sono stati giudicati non socialmente pericolosi, quindi "dimissibili", restano all’ interno di queste strutture proroga dopo proroga. Indubbiamente va scongiurato il rischio che le nuove strutture regionali ricalchino il modello dei vecchi Opg, e che quindi psicologi, psichiatri e altri operatori si debbano occupare più di contenzione che di cura. Occorre insomma scongiurare la creazione di mini Opg / manicomi regionali e realizzare servizi di salute mentale 24 ore su 24 integrati con i servizi territoriali, che promuovano formazione lavorativa e inclusione sociale. Occorre certo tener presente che sono necessari interventi tali da garantire per esempio la messa in sicurezza sia dei pazienti sia degli operatori e della comunità. Mentre oggi i reparti non sono assolutamente preparati a gestire, in assenza di una rete coordinate alle spalle, la situazione che si è venuta a creare. Ora è vero, come è stato osservato, che chiudendo gli Opg oggi molti degli internati potrebbero confluire in carceri già sovraffollate e se la situazione cambierà potrebbe davvero diventare esplosiva. Ed è verissimo che il superamento degli Opg e il pieno passaggio dell’assistenza psichiatrica nelle carceri al sistema sanitario nazionale devono procedere parallelamente nell’ambito della più ampia riorganizzazione della Sanità penitenziaria e delle nuove competenze dei Dipartimenti di Salute mentale. Ma è accettabile che un Paese civile non sappia, non voglia, non possa assicurare un’assistenza degna di questo nome a circa mille persone, condannate anno dopo anno, proroga dopo proroga, a vivere in condizioni unanimemente riconosciute come vergognose e disumane? Presidente Renzi, un twitter, per favore su questa drammatica urgenza. Umbria: il Garante "Altro che inutile, abbiamo perso tempo. Ecco cosa farò" di Daniele Bovi www.umbria24.it, 12 aprile 2014 Intervista al professor Carlo Fiorio: "Il ruolo rispetto a un consigliere regionale è diverso. Studio e istruzione fondamentali, voglio un polo universitario carcerario" Parla il nuovo garante dei detenuti: "Altro che inutile, abbiamo perso tempo. Ecco cosa farò". Un inferno con i suoi gironi, da quelli abitati da chi sta al 41bis, il carcere duro per i mafiosi, a quelli dei ladri di polli. Lì dentro si muoverà il professor Carlo Fiorio, martedì scorso eletto garante per i detenuti da un consiglio regionale inadempiente da otto anni. Una sorta di Virgilio che quei gironi e quei dannati li frequenta da molto tempo. Nato a Torino nel 1965, è avvocato e iscritto all’Ordine di Perugia, nella cui Università insegna Diritto processuale penale. Per conto del dipartimento di Giurisprudenza cura dal 2010 lo "Sportello legale dei diritti", un servizio che, con la partecipazione dei laureandi, offre assistenza e consulenza ai carcerati, in particolare a quelli che non se lo possono permettere. Professore, la sua nomina arriva dopo otto anni di inadempienza da parte della politica. Che cosa si è perso in tutto questo tempo? Fortunatamente poco perché l’Umbria ha avuto popolazione carceraria nei limiti dell’affollamento, che non è cresciuta tanto quanto quella nazionale. Abbiamo avuto un ottimo Dipartimento, direttori sempre attenti e un’ottima magistratura di sorveglianza. Certo, ci sono state vicende gravi come quella di Bianzino e altre che toccano da vicino il diritto alla salute, i diritti minimi che non hanno sempre avuto un’interlocuzione. Ora il garante dovrà stare in carcere, parlare con la gente, capirne i bisogni e poi metterli in rete con il Dap, i magistrati, l’Uepe (l’Ufficio penale per l’esecuzione esterna, ndr), le associazioni. Comunque, del tempo lo abbiamo perso. Qualche consigliere regionale del centrodestra ha detto che la sua è una figura inutile. È così? È una polemica sterile. Il consigliere può, o meglio dovrebbe, entrare in carcere. Io non so quanti ci sono entrati, come del resto non l’hanno fatto tanti magistrati o avvocati. Un consigliere ci dovrebbe andare, e ci va con l’autorità politica, mentre il garante fa un lavoro di vigilanza e di rete che il consigliere istituzionalmente non deve fare. Io sono contento se si alzano e ci vanno, anzi, li invito a farlo. Quindi no, non è una figura inutile. In cosa differiscono le quattro carceri umbre? Quali i loro problemi principali? Conosco poco Orvieto, lasciato inopportunamente a parte perché dicevano che lì si stava meglio. Fin dal 1994-95 sono stato volontario a Spoleto, Perugia e Terni, tre realtà completamente diverse. Spoleto e Terni ospitano criminalità medio alta, condannati a pene medio-lunghe, anche 20 o 30 anni, e paradossalmente stanno meglio perché là c’è omogeneità etnica. Perugia invece è un porto di mare con un 70-80% di detenuti stranieri, che magari stanno là 3-4 giorni o una settimana e con i quali è più difficile comunicare e fare una mediazione linguistico-culturale. E poi ricordiamo che in Italia il 38% dei detenuti è in carcerazione preventiva, e questo è uno dei grandi mali perché con loro non si possono fare programmi. Il suo mandato, per volontà del consiglio regionale, terminerà nella primavera del 2015. Cosa pensa di fare in questo arco di tempo? Quali sono le sfide che dovrà affrontare? Penso di partire dal basso, voglio andare in tutte le quattro carceri anche se insieme a Stefano Anastasia, con il quale gestiamo lo Sportello dei diritti, facciamo il "garante ombra" da quattro anni. Cercheremo di capire i bisogni dei detenuti e voglio creare un tavolo con provveditore, direttori, Uepe e magistratura di sorveglianza. Fondamentale sarà interloquire anche con le Asl per la garanzia del diritto alla salute, che è molto sentito. Sul breve periodo vorrei poi creare un polo universitario carcerario come fanno Emilia e Toscana: in un carcere, ad esempio Perugia, dovrà esserci una struttura per detenuti universitari che potranno continuare a studiare. Ho laureato un 41bis e anche degli ergastolani ed è stata un’esperienza molto bella: a un uomo che non usciva da oltre 20 anni è stato concesso un permesso di dieci ore per discutere la tesi. Al di là della scarsità di risorse però, a contare è anche la creatività e lo spirito di iniziativa. Studio e istruzione sono quindi due pilastri fondamentali della sua azione Sì, sono una chiave di volta, e poi io sono un insegnate. Vorrei anche lavorare su presidi formativi, creando un vademecum in più lingue, però dovranno essere i detenuti a dire di cosa hanno bisogno. In più sarà fondamentale dare vita ad una rete anche informatica con la magistratura di sorveglianza per rendere più veloci le procedure. E proprio su quest’ultimo punto va sottolineato il problema di risorse: in tutta Italia ci sono meno di 180 magistrati di sorveglianza per oltre 60 mila detenuti, e così il carico di lavoro diventa difficile da smaltire. Da quanti anni è attivo lo Sportello? Dal 2010. Oggi 150-200 studenti all’anno, divisi in otto gruppi, visitano costantemente Capanne. Luoghi dove non si deve entrare con la spocchia di essere migliori, o come se si andasse allo zoo. O si va per aiutare o non si va. E anche la politica, radicali e socialisti a parte, conosce poco le vicende, c’è poca dimestichezza. Che cosa chiedono più spesso i detenuti? Prevalentemente c’è una richiesta di informazioni per avere benefici, oppure sul lavoro post penitenziario, sul diritto alla salute, mentre tanti stranieri chiedono la possibilità di espiare la pena all’estero. Purtroppo in carcere manca l’informazione, e c’è la necessità di relazionarsi umanamente. Di fronte al problema del sovraffollamento l’indulto è una soluzione? No, ma a volte serve in un Paese che non offre soluzioni. Nel 2006 ad esempio è stato necessario, ha dimezzato la popolazione carceraria ma l’anno dopo è tornato tutto come prima. In quel caso fui d’accordo dopo aver visto celle da due abitate da tre persone, col terzo materasso a terra e la persona in alto col naso a trenta centimetri dal soffitto; oppure quelli che quasi si uccidono per problemi di spazio. E poi dove non è possibile uscire perché la struttura non dispone di spazi esterni, si rimane in cella: e allora dov’è la differenza tra un 41bis che sta 23 ore dentro e uno che di ore dentro ne deve passare 22 e ha rubato una mela? Quali sono allora le soluzioni? Innanzitutto abbiamo un sistema di misure alternative alla detenzione sottodimensionato. Un esempio: il 40% dei detenuti ha commesso reati legati alla droga o è tossicodipendente, perciò mi sembra strano che gli affidi terapeutici siano così pochi. Si tiene questa gente in carcere quando invece andrebbe gestita, ne gioverebbero sia lui che gli altri. Poi vanno potenziate le misure alternative per le pene medio-basse, attraverso convenzioni con enti locali che permettano ad esempio ai detenuti di aiutare il settore pubblico. Penso inoltre alla necessità di un rapporto continuo con la magistratura di sorveglianza attraverso un protocollo informatico. Cosa direbbe a un cittadino che potrebbe sentirsi spaventato dall’indulto? Bisogna sapere che la recidiva è bassissima e che oggigiorno la gente non scappa: la latitanza è per pochi avendo dei costi che neanche gli industriali potrebbero sopportare. Servono tante coperture, tanti soldi contanti e siamo tutti mappati. Quindi, studiando i casi, si può dare fiducia ma ci vuole buon senso. Che cosa insegna un caso come quello di Aldo Bianzino? Non sono uno ma sono tanti. Io ritengo che l’Italia dal punto di vista delle norme non sia in linea con l’Unione europea. La persona arrestata deve essere sempre controllata da un medico, anche di fiducia. L’avvocato e il medico devono essere sempre presenti. Inoltre è gravissimo che nel nostro ordinamento non sia stato inserito il reato di tortura, che non può essere parificato a quello di violenza privata. Toscana: nel carcere di Prato nasce sezione "ad hoc" per i detenuti-studenti universitari www.provincia.fi.it, 12 aprile 2014 È la missione di un organismo particolare che questa mattina, nel carcere di Prato, è stato confermato e rinnovato in accordo fra Regione, Università e Amministrazione Penitenziaria: il "Polo universitario penitenziario della Toscana". "Consentire ai detenuti il conseguimento dei titoli di studio di livello universitario". Questa la missione di un organismo particolare che questa mattina, nel carcere di Prato, è stato confermato e rinnovato in accordo fra Regione, Università e Amministrazione Penitenziaria: il "Polo universitario penitenziario della Toscana". 68 i detenuti che, oggi, vi fanno riferimento (35 iscritti all’Università di Firenze, 10 a Pisa, 23 a Siena), distribuiti nei corsi di laurea di quasi tutte le aree disciplinari; e una esperienza ormai pluridecennale alle spalle: risale infatti all’ottobre 2000 una prima collaborazione tra il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap), Università di Firenze e Regione Toscana - poi estesa alle altre due università - che 10 anni dopo, nel gennaio 2010, si è trasformata in "polo" regionale. Il tutto in base ad alcune premesse: gli articoli della Carta costituzionale sul riconoscimento del diritto all’istruzione e sul fatto che le pene, per le persone in carcere, devono tendere alla rieducazione. 24 i detenuti che, in seguito alle attività del "polo" penitenziario, si sono laureati fino ad oggi presso l’Università di Firenze: 5 in agraria e altrettanti in giurisprudenza, 4 in Scienza della Formazione e 3 in Scienze Politiche, 3 in Lettere e Filosofia, 2 in Medicina e Chirurgia. Gli altri due si sono laureati in Belle Arti e in Farmacia. Il protocollo d’intesa rinnovato questa mattina, in una affollata manifestazione di apertura dell’anno accademico ospitata nella palestra del carcere della Dogaia, è, nel suo genere, l’iniziativa più rilevante in ambito nazionale: sia per estensione che per coinvolgimento delle istituzioni, sia per offerta formativa che per numero di docenti interessati. Il progetto si estende anche ai detenuti in alta sicurezza, di sezioni protette e in esecuzione penale esterna. La Regione Toscana, presente alla cerimonia con la sua vicepresidente, interviene ogni anno con un finanziamento di 25 mila euro a sostegno del polo. Per la vicepresidente, intervenuta anche come assessore responsabile delle politiche sociali, si tratta del modo giusto e dell’ottica corretta per affrontare il mondo del carcere sulla base del dovere di offrire una nuova opportunità a chi ha sbagliato. In premessa il direttore del carcere pratese (686 detenuti di cui 403 stranieri con 33 nazionalità diverse) si era soffermato sul significato dello studio ai fini dell’inclusione sociale; concetto ribadito da tutti gli altri intervenuti: il rettore dell’ateneo fiorentino, il sottosegretario del governo, il provveditore toscano dell’amministrazione penitenziaria, il presidente del Tribunale di sorveglianza. Hanno portato un saluto anche gli assessori al sociale di Comune e Provincia di Prato. La voce degli studenti è stata affidata a un detenuto: un giovane straniero del cui intervento restano tre, assai concrete, sottolineature: l’importanza di avere maggiori strumentazioni telematiche per didattica e assistenza, la constatazione che una volta usciti dal carcere per fine pena i neo-laureati non potranno trovare assunzioni nella pubblica amministrazione, la circostanza che le concrete possibilità di impiego per chi è stato in carcere sono, rispetto alle esigenze, comunque assai poche. Le sedi ufficiali del polo sono le Case circondariali di Prato e Pisa nonché la Casa di reclusione di Ranza-San Gimignano, ciascuna dedicata alle attività che fanno rispettivamente capo alle università di Firenze, Pisa e Siena. Detenuti iscritti sono, o sono stati, presenti anche in altri istituti della Toscana: Volterra, Sollicciano, Siena, Livorno e OPG Montelupo. Al vertice del polo un Comitato di indirizzo e coordinamento. Nelle diverse sedi le attività sono affidate ai delegati dei tre rettori. L’ateneo fiorentino gestisce la segreteria regionale del polo, finanziata dalla Regione Toscana, costituita da operatori del Servizio civile regionale e integrata con l’associazione del volontariato penitenziario (presso cui operano, come tutor senior, anche docenti universitari in pensione). Dopo la cerimonia di avvio del nuovo anno accademico è stata anche inaugurata, all’interno della Casa circondariale di Prato, la nuova sezione universitaria: 17 posti - ha detto il direttore - ottenuti grazie alla manodopera dei detenuti (alcuni fra i quali, qualche tempo fa, muniti di pennelli e secchi di vernice, imbiancarono tutte le aule della scuola elementare di Montale, un comune pistoiese che confina con il territorio pratese su cui opera il carcere). Sottosegretario Ferri: Polo universitario penitenziario esempio di eccellenza Il Polo universitario penitenziario è un esempio di eccellenza delle nostre carceri. Valorizziamo gli aspetti che funzionano quando parliamo di Carceri, non si può solo parlare di ciò che non va". Così il sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri in occasione dell’inaugurazione nel carcere di Prato di una sezione per detenuti-studenti. "Il diritto alla studio va garantito a tutti e l’istruzione in carcere non rappresenta solo una fase del trattamento rieducativo ma il rispetto di un diritto costituzionalmente garantito. Bisogna - dice Ferri - superare la prassi che vede percorsi formativi finalizzati soltanto all’acquisizione di abilità artigianali e bisogna impostare percorsi ‘altì come quello organizzato qui a Prato con il Polo universitario penitenziario, per garantire a tutti il diritto allo studio. In questa direzione va il protocollo Miur quasi in scadenza ma che verrà certamente ristipulato arrivando ad immaginare un rapporto stretto anche di contiguità fisica tra i nostri istituti penitenziari e la filiera formativa. Grazie all’università sarà più facile portare il mondo delle imprese e quindi il lavoro dentro il carcere. Cultura, lavoro, istruzione ci aiuteranno a portare in Europa una nuova immagine del nostro sistema penitenziario". Napoli: Poggioreale, le contraddizioni di un carcere gestito con strumenti ottocenteschi di Claudia Procentese Il Mattino, 12 aprile 2014 Detenuti stipati in spazi inumani. Eppure un padiglione da 300 posti è ristrutturato non può essere usato. Il rumore dei cancelli chiusi a mandate è quello delle vecchie galere. Perché nel carcere di Poggioreale mancano adeguati sistemi di automazione. Nessuna telecamera a circuito chiuso né sala regia, nessun impianto antintrusione e anti-scavalcamento - progetto bocciato per mancanza di fondi, tutto è affidato al servizio armato sul muro di cinta. Quasi 1.500 metri di camminamento perimetrale e garitte, percorsi 24 ore su24 dai "baschi blu" della penitenziaria. "Poliziotti che potrebbero servire alla sorveglianza nei reparti, visto che siamo sottorganico e sotto stress - denuncia Domenico De Benedictis, responsabile campano Uil-Pa Penitenziari - le 350 unità attuali non bastano, ne servirebbero almeno altre 150. Il paradosso sta proprio nel fatto che in ogni turno sul muro di cinta sono previste 5 postazioni presidiate, ovvero 40 agenti al giorno impegnati come sentinelle: invece di spendere soldi in ronde, non sarebbe meglio dotare finalmente il carcere di una moderna impiantistica di sicurezza ed impiegare le persone per la migliore vivibilità del carcere?". Una fortezza di inizio 900 rimasta tale non solo nella struttura, ma anche nelle pratiche quotidiane. Nessun supporto tecnologico, ad esempio, nei controlli identificativi fatti ai familiari prima dei colloqui. "Tutti compiti eseguiti a mano, con un enorme spreco di tempo - sottolinea il sindacalista - si pensi, poi, che gli addetti alla spesa del sopravvitto, cioè una decina di agenti che eseguono conteggi e smarcature sui prodotti acquistati dai reclusi nello spaccio del carcere, lo fanno senza l’ormai diffuso sistema del codice a barre, ma con carta e penna. Del resto non ci sono pc nei reparti, e quando c’è una stampante serve a tre diversi uffici. Nell’arco di dieci anni i capitoli di spesa sono stati decimati: si continua a tagliare, senza soffermarsi sugli sprechi". E di certo i ritardi non producono risparmio ed efficienza. Si soffre il sovraffollamento nel carcere di Poggioreale, eppure il reparto Genova è chiuso da più di tre anni per lavori di ristrutturazione, ora sospesi a causa di un contenzioso amministrativo. Completarli porterebbe ad un recupero di circa 300 posti in un istituto che ospita 2.400 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 1.500. Il progetto del padiglione ammodernato prevede su tre piani celle piccole, meno affollate, docce in camera e l’assenza di barriere architettoniche. Ma tutto è fermo. "La controversia amministrativa ha portato al blocco dei lavori da parte della ditta che stava eseguendo le opere di adeguamento - spiega De Benedictis - questo va ad aggravare il sovraffollamento: 300 posti in più sarebbero una valvola di sfogo per una struttura con standard detentivi fuori norma in termini di presenze effettive di detenuti, anche se negli ultimi mesi la percentuale di popolazione carceraria è scesa di circa 500 unità, tra sfollamenti ed effetti della legge svuota-carceri". Mai numeri non bastano a mettere in regola Poggioreale, c’è la qualità dello spazio e del tempo da garantire come diritto costituzionale. "È un complesso di un secolo fa, calibrato su una tipologia di detenzione obsoleta - ci tiene a precisare il rappresentante Uil-Pa - mancano gli spazi per la socialità, le attività trattamentali di recupero e riabilitazione. Il carcere non può funzionare da unico deterrente al crimine, occorre che il mondo di fuori si attivi affinché chi esce di prigione non vi entri più. Non solo misure alternative, ma investimento nel futuro lavorativo dei detenuti. Se il sistema carcere fallisce, è perché ha fallito anche il mondo oltre le sbarre". Napoli: Mario Barone (Antigone); o cambiare… o pagare, l’Ue ci ha dato un ultimatum Il Mattino, 12 aprile 2014 È stato reso pubblico, in queste ore, il report della commissione Libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento Europeo sulle carceri italiane. A fine marzo una delegazione, guidata dallo spagnolo Juan Fernando Lopez Aguilar, in visita ispettiva a Rebibbia e a Poggioreale, ha incontrato, oltre al ministro della Giustizia Orlando e al Dap, i rappresentanti di alcune realtà che operano nel settore. Tra questi anche Mario Barone, presidente campano dell’associazione Antigone a tutela dei detenuti. In base alla sentenza pilota Torreggiani, con cui la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per trattamento inumano nelle carceri, ci si ordina di cambiare. O di pagare. Il 28 maggio scade l’ultimatum. Presidente Barone, cosa racconta il report a proposito di Poggioreale? "Pare di leggere un dossier di Amnesty International su un paese non occidentale, lontano dai parametri di uno Stato a democrazia avanzata. E la delegazione ha fatto sue le nostre denunce". Quali? "A Poggioreale si sta in cella, o meglio cameroni con 6-12 persone, 22 ore su 24, senza aria e luce; hanno la doccia in cella solo i Reparti Centro Clinico, Firenze, Avellino, Napoli, Milano, mentre in un edificio possiamo trovare 3 docce per 87 detenuti. Quindi un turno di due docce a settimana, in alcuni casi senza acqua calda né riscaldamento; 3,50 euro per il vitto giornaliero e solo due cucine senza portavivande termici per il trasporto". Aggiungerebbe qualche considerazione? "Occorrerebbe restituire a Poggioreale la sua natura di Casa circondariale, destinata a detenuti in attesa di giudizio. Si contano, invece, circa 800 definitivi su 2.400 presenti". E quindi quale condanna ci si aspetta dall’Europa? "La Corte di Strasburgo è stata chiara: anche quando un detenuto ha uno spazio vitale minimo superiore ai 3 metri quadrati, ma il carcere presenta altri problemi - esigenze sanitarie, impossibilità perfino di soddisfare i bisogni corporali in modo riservato - c’è violazione dell’articolo 3 della convezione europea dei diritti dell’uomo che vieta la tortura". Il sindaco De Magistris ha rilanciato l’idea di un nuovo carcere a Napoli per arginare il sovraffollamento. "Non ci convince. Nell’epoca della incarcerazione di massa, non si fa in tempo a costruire un nuovo contenitore della penalità, o a svuotarlo, che subito viene riempito: nel 2006 - dopo l’ultimo indulto - i detenuti erano 39mila, nel 2010 erano già 67mila". Cagliari: Sdr; tutto pronto al nuovo carcere di Uta, già trasferiti i detenuti più pericolosi www.castedduonline.it, 12 aprile 2014 "È stato completato il trasferimento dei detenuti dell’Alta Sicurezza della Casa Circondariale di Cagliari. Un passaggio necessario in attesa dell’inaugurazione del "Villaggio Penitenziario" di Uta dove non è prevista la presenza di cittadini privati della libertà in As". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", rilevando "l’incomprensibile scelta del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di escludere la sezione As nella nuova mega struttura alle porte di Cagliari". "È evidente che la logica del Dap - sottolinea Caligaris - è orientata a evitare qualunque contatto tra i ristretti in regime di massima sicurezza (41 bis), la cui presenza è stata prevista in un apposito padiglione attualmente in costruzione, e quelli dell’Alta Sicurezza che sono ormai fuori dal circuito più restrittivo. C’è però il problema che gli Uffici e i Magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia sono a Cagliari mentre i detenuti sono stati suddivisi tra Oristano-Massama e Tempio-Nuchis. Una condizione che sembra in contraddizione con la volontà di ridurre le spese più volte espressa dal Dap". "Sarà infatti inevitabile - osserva ancora la presidente di Sdr - che i Magistrati abbiano necessità di interrogare anche più volte gli eventuali imputati e/o condannati se non altro per attingere informazioni. L’assenza della sezione AS a Uta determinerà inevitabilmente il ricorso a trasferte temporanee e, in diversi casi, a spostamenti di Magistrati con dispendio di risorse umane e non solo. Una problematica che forse non è stata posta in sufficiente luce ma che costituirà motivo di disagio per molti". "La drastica riduzione dei detenuti dell’As e la presenza di circa 344 ristretti non hanno peraltro abbassato la soglia di sovraffollamento. Nelle celle di Buoncammino rimaste vuote infatti non possono essere allocati i cittadini privati della libertà in regime di media sicurezza (detenuti comuni) anche perché alcune sono occupate da chi si trova a Cagliari per affrontare il processo. I numeri dunque - conclude Caligaris - anche se molto lontani da quelli di qualche mese orsono non corrispondono a una condizione ideale. Ciò in particolare nel Centro Clinico dove la presenza di persone con gravi problemi di salute è costante". Forlì: il nuovo carcere che doveva essere pronto "entro il 2012"... forse lo sarà nel 2016 di Luca Bertaccini Il Resto del Carlino, 12 aprile 2014 "Il nuovo carcere di Forlì sarà pronto nel dicembre 2012". Lo dichiarò, nell’ottobre 2009, l’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano in risposta a un’interrogazione del senatore Sergio Zavoli. Anche l’ex Guardasigilli si è sbilanciato sulla fine dei lavori della struttura, in costruzione in via Celletta dei Passeri, nel quartiere Quattro. Al momento di (quasi) pronto c’è solo la palazzina destinata a ospitare la direzione e gli uffici. "Si parla di fine lavori per il 2015, inizio 2016", dice il vice sindaco del Comune di Forlì, Giancarlo Biserna. È ottimista, l’amministratore, perché fino a qualche mese fa non erano nemmeno chiare le previsioni su quando gli operai avrebbero lasciato il cantiere (i lavori sono iniziati nel 2008). C’è poi un altro punto oscuro, quello dei costi (a carico dello Stato). Inizialmente si era parlato di un progetto di 59 milioni, ma l’allungamento dei tempi è destinato a far lievitare la cifra in fattura. Come si è arrivati a questo punto? Diciamo che si tratta di un impasto di burocrazia, imprevisti, sfortuna, soprintendenze varie, questioni legate agli appalti e, buon ultimo, ritrovamento di ordigni bellici. È mancata giusto un’invasione di cavallette, per citare i Blues Brothers. I lavori sono divisi in due lotti. Il primo, già avviato, prevede la costruzione del muro di cinta e della palazzina con gli uffici. Il secondo lotto è destinato a partire a breve. Servirà, spiega Biserna, "per costruire altre palazzine. Quella per i detenuti e quella per il personale". I due lotti, in buona sostanza, "dovrebbero proseguire insieme". Ora, completata la bonifica bellica, i cantieri si rimetteranno in moto. "Già in diverse occasioni - continua l’amministratore - abbiamo manifestato la nostra preoccupazione per i troppi e lunghi rallentamenti che in una realtà forlivese, che ha il carcere in così cattive condizioni, non possono essere consentiti". Già, dove si trovano ora i detenuti? Citofonare alla Casa circondariale, in via della Rocca. Anche questa, un’altra saga infinita. Nel 2011 i detenuti mandarono una lettera al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, minacciando uno sciopero della fame. "Topi che escono dai water, malattie, poco cibo", scrisse il portavoce dei detenuti. "È impossibile vivere in questa struttura fatiscente dell’era fascista", aggiunse. Sì, perché il carcere è inserito nella cittadella della Rocca di Ravaldino (il tutto a cinque minuti dal centro storico di Forlì). "Sul finire dell’Ottocento, all’interno della piazza d’armi vennero edificate le carceri", raccontano Gabriele Zelli e Marco Viroli nel loro "Forlì. Guida alla città". Detto in altro modo: il carcere è vecchio. Al momento un lato è oggetto di lavori. "Sa cosa succede? - racconta Daniela Avantaggiato, segretaria Settore penitenziario Funzione pubblica-Cgil. I problemi sono due. Piove dentro al carcere e in più vogliono ripristinare la sezione a "custodia attenuata". Quest’ultima, chiusa nel 2009, ospita detenuti con particolari problematiche (come i tossicodipendenti). "Il problema è che per seguire questi carcerati servono agenti penitenziari appositamente formati". E già ora gli agenti scarseggiano. "Tra uomini e donne sono 80, quando dovrebbero essere almeno 100. Inoltre sono 80 solo sulla carta, perché alcuni di loro hanno limitazioni di vario genere. Problemi di salute, non possono lavorare nei feriali o di notte". Identico ragionamento per la sezione femminile, che conta 20 detenute, 15 guardie carcerarie ma solo 6 con i tutti i requisiti per garantire servizi notturni e nei feriali. Il lavoro dell’agente "è usurante e di responsabilità. Ci sembra che vogliano fare le nozze con i fichi secchi". Pisa: fuoco ai materassi, degenera la protesta dei detenuti, intossicato anche un poliziotto La Nazione, 12 aprile 2014 Da alcuni giorni i numerosi detenuti della casa circondariale Don Bosco - ben oltre la metà dei quali sono stranieri - hanno messo in atto una forma di protesta pacifica contro quelle che da più parti vengono definite "disumane condizioni carcerarie", consistente nel rifiuto del vitto fornito loro dall’Amministrazione Penitenziaria e "battendo" contro le inferriate delle loro celle. Giovedì sera, però, questa protesta - in corso a "macchia di leopardo" anche in altri penitenziari del nostro Paese - è degenerata in quasi tutte le sezioni del Don Bosco, ma il peggio è stato sventato nella sezione "1° piano giudiziario", dove alcuni detenuti di origine tunisina hanno dato fuoco a materassi, lenzuola e coperte. In pochi minuti l’intero reparto giudiziario si è riempito di fumo, mentre gli agenti di custodia hanno spento le fiamme e messo in sicurezza la sezione. Un poliziotto e un detenuto italiano sono rimasti leggermente intossicati per aver respirato il fumo. Entrambi sono dovuti ricorrere alle cure del Pronto Soccorso del policlinico di Cisanello. Dopo essere stati medicati, entrambi sono stati subito dimessi con prognosi di pochi giorni. "A questo proposito - si legge in una nota della segreteria provinciale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) di Pisa, a firma di Alessio Vetri, solo il pronto intervento e la professionalità degli agenti di Polizia Penitenziaria hanno evitato che tale gesto potesse avere conseguenze ancora più gravi". "Questo - conclude il documento del sindacato - deve far capire che la Polizia Penitenziaria pisana, nonostante la carenza di organico e le note difficoltà, svolge brillantemente il loro servizio a difesa della collettività ed anche a difesa dei diritti dei detenuti, mantenendo fede ai valori che distinguono il nostro Corpo di Polizia. Infine vogliamo esprimere solidarietà al collega rimasto intossicato". Ragusa: l’Ugl denuncia "detenuto tenta suicidio 3 volte" e protesta per situazione del personale di Duccio Gennaro www.corrierediragusa.it, 12 aprile 2014 Carenze di personale e situazione difficile all’interno della Casa circondariale di via Di Vittorio. L’Ugl ha segnalato un episodio inquietante che ha visto protagonista un detenuto che ha cercato di togliersi la vita per ben tre volte. Protagonista un detenuto in attesa di giudizio che la prima volta ha sbattuto volontariamente la testa contro le sbarre delle cella dove era custodito. Poi, una volta in tribunale, ha cercato di buttarsi dalla tromba delle scale ed infine nella cella del furgone mentre attendeva le cure del medico. La segreteria provinciale del sindacato ha rilevato più volte la situazione difficile dovuta alla mancanza di personale ed insieme alle altre sigle sindacali ha segnalato i fatti al Provveditorato competente perché siano ripristinate le normali condizioni di lavoro. Si legge nella lettera dell’Ugl: "Il personale tutto è stanco e demotivato, e sottoposto a turni stressanti tanto che hanno preannunciato insieme alle altre sigle sindacali alle autorità penitenziarie ed al Prefetto lo stato di agitazione ed un sit-in di protesta la cui data sarà presto resa nota. Tra gli ultimi episodi segnatati il tentativo di un detenuto di togliersi la vita. "Le condizioni dei detenuti che scontano la pena nel penitenziario ragusano , fatiscente ed oltre i limiti della tollerabilità, con servizi igienici non separati dal resto della stanza, portano a gesti estremi come autolesionismo e tentativi di suicidio. Nessuno si cura del personale penitenziario che vivendo certe drammaticità ne rimane emotivamente coinvolto perché spesso abbandonato a se stesso ed in diverse occasioni non adeguatamente preparato a fronteggiare eventi significativi". L’Ugl dice basta all’emergenza ed ha invocato provvedimenti urgenti. Catania: questa mattina presidio dei Radicali davanti alla Casa circondariale di Piazza Lanza www.radicali.it, 12 aprile 2014 Da un mese e mezzo Rita Bernardini è in sciopero della fame per amnistia, indulto e riforma della giustizia. Tra un mese e mezzo scade l’ultimatum della Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Il 28 maggio scadrà il termine dato, dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo all’Italia, per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario e assicurare negli istituti di pena condizioni di vita non lesive della dignità della persona. Ultimatum contenuto nella sentenza pilota "Torreggiani" con cui la corte di Strasburgo ha condannato lo Stato italiano per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo che, sotto il titolo "proibizione della tortura", recita: "nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani e degradanti". Le carceri italiane attualmente ospitano 60.167 detenuti in locali adibiti per 43.547 persone. Questi dati - fortemente sollecitati dalla segretaria Rita Bernardini e finalmente resi noti dal Dap lo scorso 2 aprile - tengono conto del fatto che in questo momento, nelle 205 strutture penitenziarie attive sul territorio nazionale, quasi 5000 posti detentivi sono indisponibili per ragioni di inagibilità o per esigenze di ristrutturazione. A un mese e mezzo dal 28 maggio abbiamo circa 17.000 detenuti in più rispetto ai posti regolamentari effettivamente disponibili. Siamo in una situazione di persistente violazione dei diritti umani. Situazione che non può essere tollerata e che espone il nostro Paese al rischio di pesantissime sanzioni pecuniarie. Sabato 12 aprile dalle 10,30 alle 12,00 davanti alla Casa circondariale di piazza Lanza avrà luogo un presidio a sostegno dell’iniziativa nonviolenta di Rita Bernardini, giunta al 43° giorno di sciopero della fame nell’ambito del Satyagraha radicale per l’Amnistia e la Giustizia. Insieme a militanti ed esponenti radicali, sarà presente l’avvocato Vito Pirrone, presidente dell’Associazione Nazionale Forense - sezione distrettuale di Catania. La Spezia: ministro Orlando a "Parole di giustizia"… il problema delle carceri va risolto di Marco Toracca Secolo XIX, 12 aprile 2014 "Basta con l’Europa solo economica". Lo ha detto Andrea Orlando, ministro della Giustizia, al centro Salvador Allende della Spezia nel corso della convention "Parole di Giustizia", la due giorni dedicata ai temi del diritto che quest’anno mette al centro l’Europa. "La crescita non può essere basata solo sull’economia. Servono anche il diritto e la giustizia. Altrimenti vincono i populismi", ha spiegato Orlando giunto intorno alle 16 dopo l’introduzione di Diana Brusacà, giudice del Tribunale della Spezia, e membro dell’Associazione di Studi Giuridici Giuseppe Borrè, promotrice dell’evento insieme al comune della Spezia e all’Istituzione per i Servizi Culturali con il patrocino dell’Ordine degli Avvocati e della Camera Penale della Spezia. "La crescita economica non può essere l’unico indice da tenere presente per raggiungere lo sviluppo", ha ripreso Orlando che ha identificato nella situazione carceraria uno dei nodi da sciogliere. "Il problema del sovraffollamento va risolto - ha detto - e ci stiamo lavorando ma è il tasso di recidiva che preoccupa. In Italia è del 75%, in Francia del 25%, questo perché il detenuto italiano cade in un baratro da cui rischia di non uscire più. Sono pochi gli istituti con scuole all’interno e con possibilità di formazione e crescita, vero antidoto a una ripetizione del reato". Per questo Orlando sta pensando a una classificazione delle carceri. "In base ai servizi che offrono. Possibilità di formazione e assistenza sanitaria saranno tra le griglie di valutazione principali", ha osservato Orlando che poi ha delineato un altro pericolo. "Il populismo penale", ha concluso il ministro della Giustizia. E la necessità di rilanciare l’idea di Europa è stata sottolineata anche da Andrea Corradino, penalista e presidente della Cassa di Risparmio della Spezia, Massimo Federici, sindaco della Spezia e Anna Canepa, segretario generale dell’Associazione Nazionale Magistrati. "Oggi stiamo vivendo una fase di stanca - ha detto Corradino - ma è necessario rilanciare l’idea di un’Europa vicina alle persone e ai diritti". Genova: studenti e detenuti recitano insieme nel teatro della Casa circondariale di Marassi di Valentina Evelli La Repubblica, 12 aprile 2014 Un pomeriggio eccezionale nel teatro della Casa circondariale, con i ragazzi del Pertini. Studenti e detenuti per un pomeriggio sono solo attori. Un incontro speciale nel carcere di Marassi. Il teatro, completamente in legno, è ancora in costruzione, ma nelle dieci panche c’è spazio per tutti. Tre ore di spettacolo, pochi convenevoli e tante emozioni legate dalla magia della recitazione. I primi a salire sul palco sono i 18 detenuti della "Compagnia teatrale Scatenati" che dal 13 al 18 maggio porteranno al teatro della Tosse l’Amleto. In platea, cinquanta ragazzi del liceo Pertini che assistono divertiti e con attenzione alle prove generali. "È un’occasione speciale, non è mai capitato di avere un pubblico così, una bella emozione e un’inaugurazione anticipata per il teatro che speriamo possa essere pronto per l’autunno", spiega Mirella Cannata, presidente della Onlus Teatro Necessario che segue i detenuti anche nella formazione scolastica. A unire i due gruppi c’è Sandro Baldacci, il regista che alterna le prove della tragedia shakespeariana nel carcere con quelle del musical "Black and White "che gli studenti del liceo Pertini porteranno in scena a novembre proprio su questo palco "È un incontro speciale per i ragazzi, un’occasione di crescita che permette di unire con il linguaggio del teatro due mondi apparentemente distanti - spiega la professoressa Elisabetta Battista che segue gli studenti nella preparazione del musical. Ma sul palco le differenze si annullano e il teatro è un modo per conoscere meglio se stessi e imparare a rapportare con gli altri, una scuola di vita che vale per tutti". Le luci si accendono, i ragazzi sono tutti in piedi per applaudire Amleto e tutta la compagnia. Appena il tempo di ringraziare con un inchino e la tragedia lascia il posto al suono di chitarra, flauti e clarinetti. I detenuti si accomodano, ora tocca ai ragazzi andare in scena. Dalle retrovie si sente la voce autorevole del regista che richiama tutti all’ordine. Su il sipario, lo spettacolo è appena cominciato. Modica (Rg): gli studenti del Isis "Galilei-Campailla" a confronto con detenuti del penitenziario www.radiortm.it, 12 aprile 2014 Un’ esperienza d’umanità è stato l’incontro tra un gruppo di studenti delle quinte classi dell’Istituto Superiore "Galilei-Campailla" di Modica e 20 detenuti del locale Istituto penitenziario ubicato nella parte alta della città. L’incontro ha fatto anche scorrere qualche lacrima ed "è stato realizzato - afferma il Dirigente scolastico Sergio Carrubba - all’interno del progetto "La scuola incontra il carcere", proposto dai docenti di religione dell’Istituto Eleonora Rinzivillo, Giuseppa Gugliotta e Domenico Pisana, ed inserito nel Piano dell’Offerta Formativa dell’Istituto". Sono le ore 8,30 del 7 aprile. Varchiamo i cancelli del carcere ed entriamo nella struttura. Ad accoglierci c’è la Direttrice del carcere, Giovanna Maltese, insieme ad una equipe di agenti del Penitenziario. Ci sottoponiamo alle procedure di ingresso. Carta d’identità alla mano, deposito di borse e cellulari e ci addentriamo nella struttura, precisamente la sala dei colloqui. Il luogo è austero, ma caldo e umano. La Direttrice ci parla della vita dei detenuti, ci accompagna nella cosiddetta "zona d’aria" e lì incontriamo già un gruppo di detenuti. Ci salutiamo con qualche breve scambio di parole. Loro sanno della nostra presenza, ci aspettano e ci diamo appuntamento nell’aula. Proseguendo nel cammino, la Direttrice ci dice che il carcere è per definizione la misura più restrittiva della libertà personale; il soggetto che vi fa ingresso non cambia solo il domicilio, ma viene privato del suo ambiente familiare, dei suoi affetti, trovandosi a condividere gli spazi con soggetti sconosciuti. I detenuti non sono liberi di muoversi quando vogliono, ma devono attenersi agli orari per uscire all’aria, per consumare i pasti, per svolgere qualsiasi attività e attendono il fine settimana per vedere i genitori, i figli o per sentirli telefonicamente. Mentre camminiamo, gli studenti liceali guardano di qua e di là, si rendono conto del prezzo che deve pagare chi non ha rispettato le norme del codice penale e che pertanto si trova costretto a vivere nel carcere, che non ha solo carattere afflittivo ma soprattutto lo scopo di rieducare le persone che hanno sbagliato per reinserirle nella società da cittadini sani. Saliamo al piano superiore, vediamo alcuni detenuti nelle loro celle, altri nel corridoio che passeggiano; ci raggiungono le insegnanti educatrici del carcere, la maestra Grazia e anche due docenti esterni che lavorano con i detenuti: Graziella Modica e Mirella Spillicchi. Dopo un breve percorso ci sistemiamo a semicerchio nell’aula degli incontri. Ci guardiamo negli occhi: studenti , professori e detenuti; alcuni sono più aperti, altri un po’ impacciati. Una quarantina di persone in tutto, più gli agenti di polizia penitenziaria. Tra i detenuti alcuni si presentano, altri no; ci sono detenuti che hanno commesso reati di spaccio di eroina, rapine, qualcuno si è macchiato di omicidio. L’età è varia: giovani, meno e giovani e anche oltre i 50 anni. Sono quasi tutti provenienti da altre parti della Sicilia. Finalmente la Direttrice crea l’atmosfera giusta per l’ascolto e per la condivisione. "La vostra presenza in questo luogo - ci dice la dott.ssa Maltese - testimonia che la scuola oggi non è una istituzione che dà solo conoscenze e nozioni, ma tende ad essere una scuola di vita, che insegna i valori civili importanti: la legalità e la solidarietà verso il prossimo. L’incontro di oggi - prosegue - per voi studenti sarà una esperienza importante e significativa perché avrete modo di capire il valore della libertà personale costatandone gli effetti negativi della sua privazione". Le parole della Direttrice del carcere stimolano l’attenzione di tutti, studenti e detenuti, sciolgono il clima di ansietà che si intravede nel volto di qualcuno e aprono la strada ad un sereno, cordiale e intenso confronto. Prendono la parola due studenti, Federico Brafa e Francesco Foresta. Sono emozionati, si presentano, dicono di volere fare un riflessione sul tema della libertà. Lo fanno ricorrendo alla declamazione di due testi poetici del loro professore Domenico Pisana, dal titolo "I giorni" e "Il gabbiano", testi tratti dalla raccolta poetica del 1990 "Oltre il silenzio della parola", e con essi vogliono far capire che la libertà è anzitutto una "conquista interiore"; si può essere liberi fisicamente, esteriormente, ma non essere liberi dentro, nel cuore e nell’anima. Il confronto si fa più caldo. Intervengono Giuseppe Paradiso, Stefano Pisana e Giuseppe Gugliotta della V E, parlano di pregiudizio verso i detenuti, dicono "che la società spesso acuisce un’ immagine negativa dei carcerati , creando quasi l’idea che ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, e che anche il male e il bene stanno in parti opposte , come se non fosse vero che non esistono persone che non sbagliano. Nessuno può pensare - dicono i tre allievi - di essere immune dal male e di poter giudicare con intransigenza chi si macchia di un reato: anzi dall’errore si può imparare per riprendere il cammino verso il bene". Si fanno le ore 10,00. Prende la parola Graziella Modica che tiene corsi di scrittura creativa con i detenuti. Parla a nome di alcuni reclusi, legge delle testimonianze scritte da alcuni di loro che non si sentono di esprimerle verbalmente e che vogliono siano anonime. Le parole sono commoventi, si coglie un grande sentimento e una forte esigenza di vita: "Nonostante in carcere, ho ritrovato il senso del vivere - ascoltiamo attentamente dalla lettura, ho conosciuto una donna, che amo fortemente insieme al mio bambino"; "in carcere si vive per attimi - emerge dalla lettura di un’altra testimonianza - e penso sempre a quando sarò fuori". Intanto sul volto di una studentessa della V F scorrono lacrime. Qualche detenuto del gruppo, come Francesco Leotta, non ha timore di comunicare apertamente i suoi sentimenti agli studenti. "Il primo giorno, quando sono arrivato in questa casa Circondariale, mi sono sentito tanto triste, ero arrabbiato - dice Francesco; questo luogo non mi era simpatico, non lo accettavo, poi grazie alla disponibilità umana delle maestre Grazia e Raffaella e della Direttrice è avvenuto in me un cambiamento, ed ora mi sento più sereno, cerco di accettare la mia condizione e di scontare la mia pena". La testimonianza dei detenuti riempie il cuore della mattinata, sembra d’un tratto rendere serena l’atmosfera; gli studenti ascoltano attentamente, pendono dalle labbra dei reclusi e , così, li incalzano, chiedono, sotto lo stimolo della prof.ssa Rinzivillo, come vivono le giornate, cosa provano dentro, perché si sono macchiati di reati e confessano come sia davvero difficile per loro abbattere il muro dei pregiudizio; ma dall’ascolto delle parole dei detenuti qualcosa comincia ad essere vista diversamente. Ora che l’incontro prende il volto di un scambio quasi tra amici, interviene Piero Crescimone, detenuto anziano con 6 nipoti: " noi abbiamo fatto un corso sui beni culturali, siamo andati a pulire il chiostro annesso al carcere, facciamo in modo artigianale dei piccoli oggetti per poterli offrire ai visitatori; ci sentiamo utili! Lo so, è dura, ho sbagliato e debbo pagare il debito, ma chiedo che le Istituzioni ci aiutino. Mi dispiace sentire che vogliono chiudere il carcere di Modica, perché posso testimoniare a testa alta che questo carcere, a differenza di altri dove sono stato, è un vero modello". La pensano così anche altri detenuti presenti, come Josef, che è venuto in Italia nel 2003. È un giovane di colore che dopo anni di lavoro nero, non avendo più asilo in Italia e quindi non riuscendo a trovare lavoro, decide di arruolarsi come spacciatore di eroina per poter mangiare e sopravvivere e mandare qualcosa a casa. "Sono stato arrestato più volte - dice Josef - ma ora è giunto il tempo di cambiare davvero e quando uscirò di qui non farò più quello che ho fatto": Intanto arriva anche una chitarra e uno dei docenti presenti la prende tra le mani e invita studenti e detenuti a fare un canto; tutti si accodano, c’è anche l’augurio per gli anni compiuti da un detenuto. La mattinata sembra volare velocemente. Sono già le 11,30 e alle ore 12,00 i detenuti ci devono lasciare per il pranzo. Il tempo giusto per ascoltare ancora Roberta Giudice, studentessa della V E, che legge una sua lettera rivolta ai detenuti presenti e in cui esprime il suo sentimento di solidarietà, e poi Emanuele, detenuto di origini palermitane che da 6 anni si trova in carcere; e ancora Julian che viene dall’Albania, anche lui finito in carcere per spaccio di droga, e che deve conseguire il diploma di terza media. A questi si aggiungono poi i versi poetici di un altro detenuto, Corrado Moncada: "Una preghiera voglio dire/In questi giorni di soffrire/In ginocchio davanti ad un altare /perché non sono un criminale/È stato un gesto non voluto,/il mio cuore cerca aiuto./ La mia mente/aspetta e spera/Di uscire da questa galera/In questa cella male si sta: quanto è bella la libertà". Il tempo scorre e la mattinata volge alla fine. Interviene la prof.ssa Spillichi che esorta gli studenti ad organizzarsi per attivare momenti di volontariato , quindi gli studenti Brafa e Foresta chiudono con due testi poetici del loro professore Domenico Pisana, dal titolo "Giriamo ogni tanto le foto!" e "La mia anima non vuol perdere l’olio", tratti dal poemetto "Canto dal Mediterraneo" del 2008. I due allievi ricorrono a questi testi poetici per lasciare ai detenuti un messaggio di speranza e per far capire loro che nella vita c’è il dolore, il male, l’errore, ma bisogna sapere riscattarsi per guardare anche a tutto ciò che di bello la vita contiene. A questo messaggio si accoda la Direttrice del carcere, che rivolgendosi agli studenti afferma: "Questo è il mandato che voglio dare a voi che rappresentate la società futura: non emarginare chi ha sbagliato, ma accoglierlo, dargli fiducia e l’opportunità di migliorare e di correggere la sua vita. Se così farete voi, la società sarà più civile, equa, sociale. Attuando una giustizia sociale, dando a tutti le stesse opportunità con una famiglia, un paese civile, una educazione scolastica, un lavoro, non ci sarà più motivo di commettere reati. Molti di loro se avessero avuto l’opportunità di un’istruzione, di un lavoro di un paese senza guerre e fame, oggi non sarebbero qui. A voi, ragazzi, il compito di costruire una società migliore!. Consumiamo con i detenuti dei dolci, li salutiamo e ci dirigiamo verso il piano terra. Seguiamo le procedure di uscita, riprendiamo le nostre borse, salutiamo gli agenti del Penitenziario, e usciamo. Si chiude il grande cancello del carcere. Andiamo via ricchi dentro e con nuove conoscenze. È stata davvero una bella lezione! Firenze: svolto convegno: "Amnistia, indulto e clemenza", verso una nuova visione della giustizia di Francesca Pucci www.t-mag.it, 12 aprile 2014 Assenza di trasparenza e una mancata coscienza politica sul problema. I dati delle carceri e un quadro dei tempi effettivi della giustizia infatti non sono noti, se a questo aggiungiamo una volontà politica spesso distorta dai sentori giustizialisti allora una riforma in materia che affronti con fermezza il problema è lungi dall’arrivare. Ma una maggioranza per la riforma che introduca amnistia e indulto c’è, considerando le forze in campo ed escludendo solo M5S e Fratelli D’Italia, all’appello manca solo il Pd. E alla scadenza della sentenza di Strasburgo mancano meno di due mesi. Mercoledì 9 aprile al convegno "Amnistia, indulto e clemenza. Dall’emergenza carceri ad una nuova visione della giustizia", organizzato da Il Rottamatore, si è fatto il punto sui possibili sviluppi e ricadute sociali con Enrico Costa, viceministro della Giustizia, Valerio Spigarelli presidente Unione camere penali, Luigi Compagna, senatore Ncd, e Rita Bernardini segretaria nazionale di Radicali italiani. Non c’è ripresa del Paese senza riforme, a partire da quella della giustizia. Quali sono le prospettive future? Secondo Enrico Costa un tema cardine da affrontare è quello della custodia cautelare che viene esaminato in un testo al momento in commissione Giustizia alla Camera. "È importante l’innovazione - introdotta alla Camera e confermata al Senato - in base alla quale il giudice deve escludere l’applicazione della custodia cautelare e degli arresti domiciliari se ritiene che l’eventuale pena possa essere sospesa ai sensi dell’articolo 656 comma 5 del codice di Procedura penale". Parlando di indulto, il viceministro della Giustizia ha ricordato come "una parte non irrilevante della popolazione carceraria che ha fruito dell’indulto nel 2006 sia rientrata in carcere. Non sempre - spiega Costa - le statistiche fanno la fotografia della realtà, ma i numeri sono questi. È fuori dubbio che entro il 28 maggio l’Italia è chiamata a una sfida molto importante e il tema è all’ordine del giorno degli incontri con il ministro Orlando. Prevedere se possa esserci una maggioranza politica per varare una riforma su amnistia e indulto non è certo prerogativa del governo". "Il carcere italiano - ha detto Valerio Spigarelli, presidente Unione camere penali - è una forma di tortura dei detenuti. La custodia cautelare, di cui si abusa, è già una pena. Ma la soluzione delle soluzioni, amnistia e indulto, in questo momento non si riesce ad affrontare. Occorre un mutamento del sistema, la pena non è una vendetta sociale. La classe politica non sa, negli ultimi tre anni non ha fatto che inasprire i reati legati alla strada. Si ipotizza il reato di omicidio stradale con una pena fino a 16 anni, senza sapere che nel codice Rocco del periodo fascista per l’omicidio colposo la condanna è a 21 anni, in pratica un’equiparazione. Non c’è conoscenza dei principi della giustizia questo, è solo un modo per riempire le carceri, non riduce gli incidenti stradali". A concludere Rita Bernardini, segretaria nazionale di Radicali italiani, che mette in luce la poca trasparenza dell’informazione sulle carceri e la mancanza di interesse di media e influencer. "I tempi prolungati sono un’arteria intasata della giustizia italiana, una classe politica che pensa di fare le riforma senza un monitoraggio serio sui dati è un’amministrazione cieca". Per mantenere alta la soglia di attenzione su un problema profondo nel paese Maria Antonietta Calabrò, giornalista del Corriere della Sera, ha lanciato lanciando l’ashtag #siamotuttiradicali concludendo i lavori. Palermo: con l’Uisp "porte aperte" al carcere Ucciardone, cento detenuti per una gara podistica www.blogsicilia.it, 12 aprile 2014 La libertà di correre con lo sguardo rivolto verso il cielo e, per un giorno, dimenticare di trovarsi all’interno di un istituto penitenziario. È quanto accadrà domani a partire dalle otto e mezza all’interno del carcere dell’Ucciardone di Palermo dove si svolgerà "Vivicittà - Porte Aperte". Dopo un mese di allenamento, poco meno di cento detenuti correranno insieme a una delegazione di atleti che hanno partecipato alla gara podistica del 6 aprile. "Un passaggio di testimone tra le due corse cittadine, - affermano i promotori dell’iniziativa - un momento di unione e condivisione tra chi ha avuto un percorso difficile e i cittadini che si sono impegnati donando un euro in più all’iscrizione che sarà destinato a far proseguire le attività nel carcere dopo la manifestazione". Si correrà lungo un percorso di circa tre chilometri senza confini, detenuti e cittadini fianco a fianco per mettere in primo piano i valori fondamentali dello sport, come la lealtà e il rispetto delle regole. "Vivicittà - Porte Aperte" è una manifestazione organizzata dal Comitato provinciale UISP Palermo e dal Comune di Palermo con la collaborazione della Lega atletica UISP Sicilia e la casa circondariale Ucciardone. Testimonial della manifestazione l’atleta olimpionico Rachid Berradi, un esempio per tutti coloro che hanno avuto una vita difficile ma vogliono realizzarsi e riscattarsi attraverso lo sport Spoleto (Pg): prosegue la collaborazione tra la Settimana della Danza e i detenuti di Maiano www.tuttoggi.info, 12 aprile 2014 I giovani reclusi nel carcere di Spoleto a scuola di Hip Hop. Lo spettacolo organizzato dalla Settimana Internazionale della Danza all’interno della Casa Circondariale ha avuto momenti di grande commozione e si è concluso tra gli applausi convinti dei detenuti e dei visitatori. I ballerini della compagnia "Street Style" di Paolo Aloise hanno coinvolto nella loro performance anche alcuni ragazzi che scontano la loro pena a Maiano. Scopo dell’evento, nelle intenzioni di Paolo Boncompagni, ideatore della Settimana della Danza e di Luca Sardella, direttore della Casa Circondariale era quello di far incontrare, in nome dell’arte, dei giovani che vivono situazioni così diverse e lontane ma sono comunque uniti dalla voglia di farcela e da progetti di vita futura costruiti sull’impegno, la forza di volontà e la disciplina interiore. All’iniziativa era presente anche il comandante della polizia penitenziaria Marco Piersigilli insieme alle guardie carcerarie e agli insegnanti che lavorano nella scuola interna al carcere di massima sicurezza. Paolo Aloise ha spiegato lo spettacolo raccontando anche la storia dell’Hip Hop, una danza nata negli Stati Uniti, nelle feste di strada in cui i giovani afroamericani e latino americani interagivano suonando, ballando e cantando a ritmo della musica. La collaborazione tra la Settimana della Danza e la Casa Circondariale continua anche con una mostra, organizzata dai giovani detenuti che frequentano l’Istituto d’Arte: "No space, no time", una esposizione di modelli tridimensionali, fotografie, disegni e video visitabile fino al 12 aprile nel cortile del Chiostro di San Nicolò, sede della manifestazione giovanile di danza più importante in Italia. La competizione, giunta alla ventiquattresima edizione, è l’unica tra quelle nazionali accettata dall’International Federation Ballet Competition, la federazione mondiale che associa le più importanti manifestazioni del settore. Messina: "Un giorno in carcere", l’iniziativa a cura dell’European Law Students’ Association www.24live.it, 12 aprile 2014 The European Law Students’ Association (Elsa) Messina presenta: "Un giorno in carcere: Prospettive di attuazione della sentenza Torreggiani". Il prossimo 15 aprile 2014, alle ore 14.00, un gruppo di studenti iscritti alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Messina parteciperà alla Visita guidata all’interno degli spazi della Casa Circondariale di Gazzi. A seguire, all’interno della sala teatro avrà luogo un confronto riguardante le attuali problematiche delle carceri italiane alla luce delle seguenti condanne europee e dei consequenziali frequenti provvedimenti di scarcerazione, oggetto di discussione parlamentare. Alla conferenza interverranno: il Dott. Calogero Tessitore, Direttore della Casa Circondariale Gazzi; il Dott. Nicola Mazzamuto, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Messina; l’Avv. Antonino Centorrino, Presidente Ass. PE93; il Prof. Corrado Rizzo, docente presso la Facoltà di Giurisprudenza di Messina; la Dott.ssa Teresa Travaglia, ricercatrice alla Facoltà di Giurisprudenza di Messina. Libri: "Carceri, i confini della dignità", di Patrizio Gonnella (Jaca Book) www.informazione.it, 12 aprile 2014 Il nuovo libro di Patrizio Gonnella presentato in anteprima a Milano alla libreria Jaca Book il 16 aprile alle ore 18.30. Intervengono con l’autore, Adolfo Ceretti Professore Ordinario in Medicina Legale all’Università di Milano Bicocca, Mirko Mazzali Presidente Commissione Sicurezza del Comune di Milano, Alessandra Naldi Garante Detenuti del Comune di Milano. Un’opera coraggiosa quanto frutto di una straordinaria esperienza da parte del presidente dell’associazione Antigone che da anni lavora e lotta per i diritti dei carcerati e per le condizioni nelle carceri. Occorre cambiare radicalmente la visione delle carceri: abbandonare la retorica del luogo educativo e guardare ai diritti dei detenuti. Una tematica esplosiva, in prima pagina nell’agenda sociale e politica dell’Italia di oggi. Dopo lunghi decenni dedicati e in parte persi inseguendo la retorica rieducativa, in questo libro si propone un cambio di paradigma. Si ridisegnano i confini della pena carceraria attraverso una descrizione qualitativa e critica dei diritti dei detenuti, avvalendosi di standard internazionali. Diritto alla vita, diritto alla salute, diritto agli affetti, diritto alla libertà di conoscenza e di coscienza, diritto di voto, diritto al lavoro, diritto di difesa non sono nella disponibilità di chi detiene il potere di punire. Ognuno di questi diritti va a comporre un contenitore giuridico, umano e sociale capace di mettere in crisi un modello di pena altrimenti onnivoro, violento e illimitato che tende pericolosamente a riprodursi e ad espandersi in modo arbitrario. La pratica penitenziaria evidenzia una distanza tra diritti proclamati e diritti garantiti. Lo svelamento di questo fossato, e quindi delle aporie nonché delle violazioni sistematiche dei diritti che avvengono nelle carceri, serve a chiarire a noi stessi che lo stato sociale costituzionale di diritto si difende con il lavoro giuridico affiancato necessariamente a un intenso lavoro culturale e politico. Immigrazione: il Garante Marroni; da 5 giorni un tunisino costretto a vivere su traghetto Asca, 12 aprile 2014 A causa di quello che viene definito un "un paradosso burocratico", da 5 giorni un cittadino di origine tunisina sarebbe costretto a vivere sulla motonave "Fantastic Gnv", una nave che fa quotidianamente la spola fra Palermo e Civitavecchia. La vicenda è stata denunciata dal Garante dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni che ha inviato una nota urgente al Ministero dell’Interno, al Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, alla questura di Palermo e di Roma. L’uomo, Mohmoudi Alì, è trattenuto a bordo dallo scorso 6 aprile, in quanto destinatario di un provvedimento di respingimento della Polizia di frontiera di Palermo, e dovrà essere ricondotto in Tunisia il 12 aprile. Da oltre 10 anni in Italia e residente in un paesino della Provincia di Modena insieme al fratello, Alì era in possesso di un permesso di soggiorno per regolare occupazione rilasciato dalla Questura di Modena scaduto lo scorso 17 agosto 2013. La richiesta di rinnovo era stata respinta dalla Questura di Modena, che aveva concesso ad Alì 15 giorni per lasciare l’Italia dalla notifica dell’atto. Il provvedimento è stato effettivamente notificato ad Alì solo il 6 aprile scorso a Palermo, al momento del suo ritorno in Italia dopo un soggiorno in Tunisia. "Dal punto di vista giuridico - ha detto il Garante - quest’uomo si trova in una condizione di limitazione della libertà personale senza aver commesso reati e senza che la misura sia stata stabilita da un organo giudiziario, circostanza che potenzialmente viola la riserva di giurisdizione affermata dall’art. 13 della Costituzione". Al di là della violazione "delle norme e del buonsenso", secondo il Garante la vicenda insegna "che è necessaria una profonda opera di sburocratizzazione dell’ordinamento, che rimetta al centro di tutto la persona". Immigrazione: aggiudicata gara per la nuova gestione del Cie di Milano, presto sarà operativo Ansa, 12 aprile 2014 Si sono concluse le procedure di gara per l’affidamento della gestione del Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) di Milano. Il prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca, ha infatti firmato il provvedimento di aggiudicazione in favore del costituendo raggruppamento temporaneo d’imprese composto da Gepsa s.a. e Associazione Culturale Acuarinto. Lo ha comunicato la Prefettura. Sono inoltre terminati i lavori di ristrutturazione dei locali danneggiati dagli ospiti del Centro, per cui la struttura sarà presto nuovamente operativa. È invece in fase di realizzazione il Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo dedicato agli stranieri che richiedono il riconoscimento dello status di rifugiato. Il Cara è destinato ad ospitare i richiedenti asilo per il tempo necessario a consentire l’identificazione e la definizione della relativa procedura. Immigrazione: istituzioni e sindacati contro riapertura Cie Bologna, creare strutture alternative Ansa, 12 aprile 2014 È necessaria "l’assunzione di decisioni, anche in chiave sperimentale, finalizzate alla non riapertura del Cie di Bologna e alla possibilità di adottare modalità alternative per la identificazione e il rimpatrio dei migranti privi di titolo di soggiorno regolare". Lo scrivono in una nota congiunta la Regione Emilia-Romagna, la Provincia e il Comune di Bologna, Cgil-Cisl-Uil regionali e di Bologna. Secondo le istituzioni, al posto del Cie di Bologna e di Modena, è necessario creare una o più strutture di prima accoglienza, "finalizzate - si legge nella nota - a dare risposte sia ai migranti potenziali richiedenti asilo, sia ai migranti neo arrivati, sia a coloro che, in attesa del rimpatrio, necessitano di soluzioni alloggiative temporanee". Inoltre si richiede "l’accelerazione della messa a regime delle procedure previste dai provvedimenti legislativi - continua la nota - relativamente alla identificazione in carcere degli stranieri" e l’attuazione della direttiva europea che ha lo scopo di "incentivare ed agevolare la modalità del rimpatrio volontario e/o assistito come strumento prioritario prima di procedere a qualunque forma di allontanamento coatto, mettere in atto programmi di assistenza al rimpatrio volontario e di reintegrazione nei paesi d’origine, con l’obiettivo di superare l’esigenza del trattenimento amministrativo". Olanda: pochi detenuti e troppe guardie… il governo avvia la chiusura di alcune carceri La Presse, 12 aprile 2014 Il governo olandese deve affrontare un problema insolito: un numero di detenuti mai così basso nelle carceri. Per la prima volta adesso ci sono più guardie e dipendenti dei penitenziari che prigionieri, secondo i dati resi noti dal ministero della Giustizia. Nel 2008 c’erano più di 15mila detenuti. A marzo di quest’anno erano solo 9.710, a fronte di 9.914 guardie. Il tasso di criminalità è leggermente diminuito negli ultimi anni ma non è notevolmente più basso in Olanda che nei Paesi vicini, e molti cittadini olandesi pensano che le sentenze per i criminali siano troppo leggere. Negli Stati Uniti, il dato è di un membro dello staff ogni cinque prigionieri. "Stiamo studiano le ragioni per questo declino", ha detto il portavoce del ministero della Giustizia Jochgem van Opstal. Il ministero ha già avviato la chiusura di alcune prigioni. Stati Uniti: migranti in sciopero della fame nei "Cie americani", quasi 34.000 persone rinchiuse Tm News, 12 aprile 2014 Ufficialmente, il Northwest Detention Center di Tacoma, nello Stato di Washington, non è un carcere, come non lo sono tutti gli altri che, in nome dello Us Immigration and Customs Enforcement (Ice), sono amministrati da aziende private, in cui non ci sono guardie, ma manager, e ospiti al posto di detenuti. Questa distinzione, però, tende a evaporare per molte persone, la cui permanenza si trascina per settimane, mesi, anni. Quasi 34.000 migranti senza permesso sono rinchiusi nei centri di detenzione, dove si sta diffondendo una protesta che ha in Tacoma il suo luogo d’origine. A occuparsene è il Guardian. "Non sono libero. Mi hanno messo in manette" ha raccontato Ramon Mendoza Pascual, 37 anni, rinchiuso dal settembre dello scorso anno. "Perché? Non mi sento un criminale. Non sono un criminale". Il centro di detenzione di Tacoma è uno dei più grandi negli Stati Uniti, che ha una rete di 250 strutture che, insieme, danno ‘ospitalità’ a 34.000 persone in attesa di essere espulse. L’uomo, un immigrato messicano, ha guidato centinaia di altri detenuti in una serie di scioperi della fame che hanno provocato anche la protesta in un centro di detenzione del Texas, portando l’attenzione su uno dei punti più controversi del sistema di espulsione. Grosse critiche si sono sollevate ultimamente contro il presidente non solo per il numero record di persone espulse da quando Barack Obama è alla Casa Bianca (con circa due milioni di rimpatri, Obama ha raggiunto in poco più di 5 anni George W. Bush), ma anche per la scelta dei migranti da punire e per il trattamento a loro riservato. Mendoza è entrato illegalmente negli Stati Uniti 20 anni fa, in cerca di una vita migliore; se l’è costruita nella costa nord-occidentale del Paese, a Seattle, dove si è messo a fare il carpentiere, si è costruito una casa, si è sposato e ha avuto tre figli, di 5, 10 e 12 anni, tutti cittadini degli Stati Uniti. Lo scorso settembre, ha bevuto qualche birra di troppo ed è stato arrestato dalla polizia, che lo aveva fermato per un controllo. Le accuse contro di lui sono cadute, perché Mendoza era fermo in macchina, in attesa che la moglie lo andasse a prendere. L’uomo, però, era già stato arrestato per guida in stato d’ebbrezza nel 2007 e per questo è stato consegnato al Cie come "immigrato illegale con un fedina penale sporca" e incarcerato a Tacoma. A dicembre, un giudice lo ha definito "un pericolo per la comunità", negandogli la libertà in cambio di una cauzione. "Mi considerano un pericolo per la società, ma ho trascorso tutti i giorni della mia vita lavorando onestamente. Come posso occuparmi della mia famiglia?" ha detto Mendoza. I detenuti dei centri hanno due possibilità: firmare il foglio per il rimpatrio o restare lì a combattere per ottenere il diritto a vivere negli Stati Uniti, un processo per cui potrebbero essere necessari diversi anni. Dato che si tratta di cause civili, non penali, i detenuti non hanno diritto a un avvocato; a Tacoma, più dell’80% degli ospiti ne è sprovvisto. Obama, definito dai critici il "deporter-in-chief" (invece del commander-in-chief, ovvero il comandante in capo), ha sempre detto che l’obiettivo delle espulsioni è quello di colpire i criminali, non di dividere le famiglie. Quello che sta passando Mendoza, però, mostra che a rimetterci sono anche persone colpevoli di infrazioni minori e che i loro non sono casi isolati: dai dati governativi sulla presidenza Obama analizzati giorni fa dal New York Times emerge che i due terzi dei rimpatri coinvolgono persone che hanno la fedina penale pulita o che hanno commesso solo infrazioni lievi; solo il 20% - circa 394.000 - dei casi coinvolge persone che hanno commesso reati gravi, compresi quelli legati agli stupefacenti. I dati analizzati dal Times si riferiscono a oltre 3,2 milioni di rimpatri in oltre dieci anni, ottenuti grazie al Freedom of Information Act, da cui emerge che il numero di persone rimpatriate con violazioni al codice della strada come infrazione più grave è più che quadruplicato nei cinque anni di presidenza Obama, rispetto agli ultimi cinque anni di Bush (da 43.000 a 193.000). Nello stesso periodo, i rimpatri connessi alle condanne per ingresso illegale nel Paese sono triplicati, superando con l’attuale presidente il numero di 188.000 casi. Medio Oriente: Fadwa Barghouti a Firenze per sostenere la liberazione dei prigionieri politici www.provincia.fi.it, 12 aprile 2014 Il 14 aprile 2014 alle 10.00, presso la Sala Pistelli della Provincia di Firenze, sarà presentata un’altra delle iniziative locali della Campagna per la Liberazione di Marwan Barghouti e dei Prigionieri Politici Palestinesi. è una campagna internazionale, avviata lo scorso ottobre dal carcere di Robben Island in Sudafrica da parte di diverse personalità internazionali, nella stessa cella in cui è stato detenuto Nelson Mandela. La questione dei prigionieri politici è da decenni un punto nodale del conflitto mediorientale, dal momento che lo Stato di Israele utilizza la prigionia per i palestinesi come uno dei principali strumenti dell’occupazione militare, e come forma di punizione collettiva, contravvenendo alla legalità internazionale, a partire dalle Convenzioni di Ginevra. I prigionieri palestinesi oggi ancora nelle carceri israeliane sono più di cinquemila, tra cui 11 parlamentari, 13 donne e 195 giovani, di cui 36 al di sotto dei 16 anni. Diversi di loro sono arrestati in detenzione amministrativa, in carcere per diversi anni senza processo e senza capi di accusa definiti. Amnesty International, Physicians for Human Rights, l’organizzazione israeliana Bet Selem e diverse altre organizzazioni hanno denunciato il conclamato uso di tecniche di tortura, oltre che di limitazioni alle cure mediche e al sostegno legale, come riconosciuto dal diritto umanitario internazionale, come accade a Karim Younes, in carcere ormai da 32 anni. Dal 1967, anno in cui è partita l’occupazione militare e civile della Palestina, sono più di 750.000 i palestinesi passati nelle carceri israeliane. Praticamente ogni famiglia palestinese ha avuto persone in carcere. Tra i prigionieri tuttora in carcere, Marwan Barghouti è un leader politico, che ha trascorso complessivamente più di 18 anni di carcere, i primi sette durante la prima Intifada, e poi negli ultimi 11 anni. Non ha visto crescere i suoi tre figli, a causa delle regole restrittive imposte alle visite dei familiari. Tutti sostengono che, se fosse libero, oggi sarebbe il leader palestinese capace di gestire le difficili dinamiche interne alla società palestinese, oltre che trattare il processo di pace con lo Stato di Israele. Marwan Barghouti è stato condannato per resistenza militare a cinque ergastoli e 40 anni di prigione, accusato di essere il mandante di operazioni militari contro l’occupazione, senza però il sostegno di prove certe, e soprattutto senza le garanzie di un processo regolare, nel rispetto del diritto alla difesa garantito a tutti gli individui. Marwan Barghouti non ha riconosciuto la legittimità della Corte che lo giudicava, come aveva fatto Mandela per il suo popolo, ed ha rivendicato il diritto dei palestinesi alla libertà, alla pace e alla democrazia. La campagna per la sua liberazione, e per la liberazione di tutti i prigionieri politici palestinesi, sostenuta in diversi paesi nel mondo da tante forze politiche e sociali, è stata lanciata da diverse personalità internazionali, tra cui i Premi Nobel Desmond Tutu, Jody Williams, Adolfo Perez Esquivel, Josè Ramos Horta e Maireread Maguire. L’iniziativa del 14 aprile si inquadra nella settimana di mobilitazione internazionale per i prigionieri politici palestinesi e vedrà la presenza privilegiata di diversi testimoni e relatori di eccellenza: Fadwa Barghouti, moglie di Marwan Barghouti; Mai Al Kaila, ambasciatrice palestinese in Italia; Luisa Morgantini, ex vice presidente del Parlamento Europeo; Andrea Barducci, presidente della Provincia di Firenze; Susanna Agostini, presidentessa della Commissione Pace del Comune di Firenze. La campagna in Toscana è promossa da un vasto comitato di organizzazioni aderenti, che hanno risposto al primo appello lanciato da Assopace Palestina, Associazione di Amicizia Italo-Palestinese, Cospe, campagna Bds Firenze, Arci Firenze. Vietnam: morto l’attivista Dinh Dang Dinh, è stato detenuto per "propaganda contro lo Stato" Asia News, 12 aprile 2014 In prigione per "propaganda contro lo Stato", il famoso professore e attivista contro le miniere di bauxite scopre di avere un tumore. Le autorità lo liberano, per cure, solo allo stadio terminale della malattia. Negli ultimi giorni chiede di essere battezzato e diventare cattolico. I Redentoristi di Saigon celebrano le esequie, davanti a una folla di attivisti e cittadini. Prima di morire per un cancro allo stomaco ha voluto diventare un "figlio di Dio", mutuando le sue stesse parole, facendo il proprio ingresso nella Chiesa cattolica. Qualche giorno più tardi, la sera del 4 aprile, è spirato in pace e serenità nell’affetto dei suoi familiari, dopo aver trascorso gli ultimi due anni in un carcere vietnamita. È la storia del professore di liceo Dinh Dang Dinh, uno dei più famosi dissidenti vietnamiti, la cui scomparsa ha destato grande sconforto fra quanti hanno vissuto e ammirato il suo coraggio e la sua eroica testimonianza. Egli era stato condannato a sei anni di prigione il 21 novembre 2012, il giorno successivo alla Festa degli insegnanti, per presunta "propaganda contro lo Stato" e "abuso delle libertà democratiche". All’indomani della sentenza, la polizia ha minacciato la famiglia cercando di insabbiare la vicenda mentre l’uomo, rinchiuso nel braccio della morte assieme a detenuti in attesa di essere giustiziati, ha cercato a più riprese di sollevare l’animo dei compagni aiutandoli a sopportare sofferenze e paure. Il prof. Dinh Dang Dinh, storico militante e docente di chimica, è stato a lungo una vera e propria icona del patriottismo, avendo dedicato una fetta consistente della sua vita alla lotta contro il progetto di scavo di una miniera di bauxite negli Altipiani centrali del Vietnam. Un progetto che definiva nefasto per le conseguenze sull’ambiente, contro il quale si era scagliato anche il generale Giap, eroe nazionale e simbolo della guerra nazionalista vietnamita contro il colonialismo occidentale. Il prof. Dinh ha scritto una lettera aperta di protesta, che ha saputo raccogliere in poco tempo oltre 3mila adesioni di intellettuali e personalità di primo piano del Paese. In questi due anni di prigionia, egli si è ammalato di cancro allo stomaco; a fronte di ripetute richieste di rilascio e a provvedimenti di grazia per essere sottoposto a cure, le autorità hanno sempre opposto un netto rifiuto. E quando è arrivato il nulla osta al ricovero, la situazione era già degenerata e non è stato possibile intervenire. Il 25 febbraio scorso, quando il tumore era ormai allo stadio terminale, un provvedimento governativo ha sospeso l’esecuzione della pena mentre la grazia è arrivata il 21 marzo, quando ormai era in fin di vita. Nelle ultime due settimane, trascorse nella casa a Dak Nông, sugli Altipiani centrali, il prof. Dinh Dang Dinh ha deciso di diventare "figlio di Dio" facendo il suo ingresso nella Chiesa cattolica. Una decisione frutto anche del racconto, fatto dalla figlia, della storia personale di Nguyn Hu Cu, forse il più famoso prigioniero politico vietnamita che proprio in cella ha voluto diventare cattolico. Da qui il desiderio del professore di imitarlo: un sacerdote Redentorista giunto apposta da Saigon gli ha amministrato il battesimo. La moglie racconta che, dall’uscita dall’ospedale, egli ha continuato a pregare e domandare a Dio di alleviare le sue sofferenze. Lo scorso 6 aprile le sue spoglie sono state trasferite a Ho Chi Minh City e tumulate in una cappella dei Redentoristi, meta nei giorni scorsi di un incessante pellegrinaggio di dissidenti, attivisti e semplici cittadini che hanno voluto rendere omaggio alla sua memoria, cos come ai funerali celebrati il 7 aprile dal segretario generale della Commissione di Giustizia e Pace della Conferenza episcopale vietnamita. Turchia: a giornalista ex-detenuto premio Unesco World Press Fredom Prize 2014 Ansa, 12 aprile 2014 Il premio World Press Fredom Prize 2014 dell'Unesco è stato assegnato al giornalista turco Ahmet Sik, di recente rimesso in libertà dopo 11 mesi di carcere preventivo, riferisce la stampa di Ankara. Secondo il Comitato internazionale per la Protezione dei Giornalisti (Cpj) la Turchia del premier Recep Tayyip Erdogan è il paese del mondo con il maggior numero di cronisti in carcere. Sik è stato coinvolto nel processo contro la OdaTv, una emittente anti-Erdogan, dopo avere scritto un libro "L'esercito dell'Imam" - sulla misteriosa e molto influente confraternita islamica Hizmet del predicatore Fetullah Gulen, allora ancora stretto alleato del primo ministro turco. Dall'autunno scorso Erdogan e Gulen sono impegnati in una lotta di potere senza esclusione di colpi. In una nota il comitato del premio Unesco sottolinea che il giornalista turco è un "ardente difensore della libertà di espressione" che "ha dedicato la sua carriera a denunciare la corruzione e gli abusi dei diritti umani". Sik ha lavorato per diverse importanti testate turche, fra cui Cumhuriyet, Radikal e Evrensel.