Giustizia: carceri, se lo Stato certifica la disumanità di Andrea R. Castaldo Il Mattino, 7 agosto 2014 Il decreto anti-sovraffollamento e l’immagine dell’impotenza Immaginiamo che un turista prenoti una stanza d’albergo con bagno e all’arrivo riceva la sgradita sorpresa dell’assenza dei servizi igienici in camera. Certamente gli spetterà un indennizzo, ma è difficile credere che accetterà di rimanere lì. Il paragone può sembrare irriverente ma in realtà calza con il rimedio introdotto per chi sconta la pena in condizioni che violano la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo. Facciamo un passo indietro, per comprendere cosa è accaduto. Il 2 agosto è stato convertito in legge il D.L. 92/2014, che contiene due importanti novità, passate pressoché in silenzio complice il clima vacanziero, in tema di sovraffollamento carcerario e di limiti della custodia cautelare. In particolare, il detenuto in condizioni carcerarie disumane (cioè una cella inferiore a 3 mq, spazio minimo invalicabile secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) può fare istanza al Magistrato di Sorveglianza, il quale disporrà a titolo di risarcimento del danno una riduzione di un giorno della pena detentiva per ogni dieci di permanenza in carcere in tale situazione. In alternativa, la legge riconosce al detenuto un importo in denaro di 8 euro per ciascun giorno di detenzione in violazione dei parametri di vivibilità. Ora, si può fare della facile ironia sui criteri prescelti dal legislatore e discutere se il forfait stabilito (a stento pizza e caffè in un locale di modeste pretese) compensi le sofferenze di chi si trova ristretto in carcere, o se sia congruo lo sconto di pena di tre giorni al mese. Ma il vero punto in discussione è il singolare principio sottostante: il riconoscimento e l’accettazione dello status quo, l’impossibilità di eliminare il pregiudizio in itinere, la consequenziale sensazione di impotenza e di resa dello Stato. In definitiva la pretesa punitiva abdica alla funzione assegnata dalla Carta Costituzionale: nel silenzio imbarazzato e reticente, certifica di fatto le modalità disumane dell’esecuzione della pena. Senonché, l’articolo 27 comma 3 Cost. vieta i trattamenti disumani e assegna alla pena un compito di reinserimento sociale. Ebbene, è addirittura paradossale immaginare una finalità special-preventiva per il condannato che viva con modalità giudicate lesive dei suoi diritti naturali. La norma approvata certifica dunque l’inconsueto ossimoro di una pena detentiva disumana risocializzante. L’ipocrisia regna sovrana e si fa scudo della cronica carenza di risorse economiche per la costruzione di nuove carceri. Analoghe perplessità desta l’articolo 8, che vieta la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari se il giudice ritiene che la pena detentiva da scontare non supererà i tre anni. Obiettivo nobile ridurre il sovraffollamento carcerario ed evitare il carcere a chi in carcere quasi certamente non andrà in caso di condanna definitiva, ma la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Perché al giudice viene richiesto, più che una valutazione prognostica, un vaticinio, dovendo immaginare a distanza di anni, in base alle future prove, allo sviluppo del processo, la pena detentiva in concreto che si infliggerà, dipendente anche dal comportamento processuale dell’imputato e cioè da un parametro per definizione ignoto al Gip all’atto in cui applica la misura cautelare. A peggiorare le cose l’emendamento che deroga al divieto e consente il carcere per una serie di reati di grave allarme sociale (si tratta di un variopinto catalogo, dove convivono stalking, maltrattamenti in famiglia, incendio boschivo e numerosi altri). A parte le censure di costituzionalità per non avervi ricompreso altri reati di pari importanza, non si comprende la limitazione intervenuta: se infatti l’imputato è innocente sino a condanna definitiva e quindi la custodia cautelare rimedio eccezionale, se anche in ipotesi di condanna il reo non andrà in carcere per effetto della normativa vigente, la norma deve valere per ogni tipo di reato, non essendovi liste di proscrizione, per le quali il clamore della piazza risuoni più forte delle garanzie dell’individuo. Giustizia: cronaca di un ordinario orrore carcerario di Valter Vecellio www.lindro.it, 7 agosto 2014 Si può cominciare con una storia emblematica: secondo il Tribunale di Milano le sue condizioni sono incompatibili con la detenzione, ma per il giovane romano che vive sulla sedia a rotelle, l’uscita dal carcere di Opera è scattata solo un paio di giorni fa. Come mai? Per "colpa" della mancanza di strutture in grado di accoglierlo e, naturalmente, la solita burocrazia. L.V. poteva, dunque, essere scarcerato, ma dietro le sbarre c’è rimasto per nove lunghissimi mesi. Per la mancanza di strutture in grado di accoglierlo e per colpa della burocrazia. L.V. è un giovane romeno, ha tentato due volte il suicidio in cella ed è semi-paralizzato. Il Tribunale di sorveglianza di Milano ha stabilito, nel novembre dell’anno scorso, che le sue condizioni sono incompatibili con la detenzione. Solo dopo nove mesi il Comune di Milano e il garante per i detenuti sono riusciti a trovargli un posto all’Istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone. Il suo caso era stato denunciato dalla stesso direttore del carcere, Giacinto Siciliano, durante un’audizione alla sottocommissione carcere di Palazzo Marino: "Abbiamo percorso tutte le strade possibili perché qualche struttura esterna se ne occupi ma nessuno vuole prenderlo in carico". Il paradosso è che quando la struttura si trova, non si riesce a farlo uscire per problemi burocratici. "L’attuale normativa prevede infatti che debba essere garantita l’assistenza sanitaria a tutte le persone detenute o sottoposte a misure alternative alla detenzione", afferma Alessandra Naldi, garante per i detenuti del Comune di Milano. "L.V. però non è in nessuna di queste due situazioni perché il Tribunale di sorveglianza gli concede il differimento pena per motivi di salute. Il differimento pena non è formalmente una misura alternativa alla detenzione, e quindi non rientra tra le situazioni in cui è esplicitamente prevista la garanzia dell’assistenza sanitaria anche ai cittadini stranieri". Per farla breve: l’Asl non concede la tessera sanitaria perché formalmente L.V. non è più un detenuto. Allo stesso tempo la Sacra Famiglia non può ricoverarlo perché non ha la tessera sanitaria e quindi il carcere di Opera non può lasciarlo libero. La situazione si sblocca quando il Comune di Milano interviene e garantisce per il giovane L.V.. "È una storia che fa anche rabbia", dice Alessandra Naldi, "perché la lentezza e le incongruenze della burocrazia a volte creano situazioni paradossali. Per questo a fine giugno abbiamo istituito un tavolo con Asl, Regione, Comune e amministrazione carceraria per creare un protocollo che colmi questi vuoti che impediscono ai detenuti di usufruire di benefici di cui hanno diritto". Altra emblematica vicenda. Un po’ tutti conoscono e sanno chi è Primo Greganti, il famoso ‘compagno G.’, protagonista delle vicende tangentocratiche della prima, della seconda e della terza Repubblica. Attualmente Greganti si trova in carcere per vicende relative a tangenti e corruzioni a Expo 2015. Sia colpevole o no, qui non interessa. Greganti aveva il cuore malandato, ha bisogno di un intervento chirurgico urgente, tuttavia impiega quasi un mese per avere l’autorizzazione dalla burocrazia carceraria. Quattro settimane per spostare Greganti dal carcere al Policlinico San Donato di Milano per poter rimediare ai danni provocati dalla rottura della valvola mitralica. Alla fine l’intervento è stato fatto, è andato bene, Greganti è fuori pericolo. Resta il fatto che per un intervento urgente sono occorse quattro settimane, a causa della burocrazia carceraria. Si annunciano comunque novità per il mondo carcerario. Il decreto governativo convertito in legge sabato scorso prevede oltre 20 milioni di euro da qui al 2016 per indennizzare i detenuti sottoposti a trattamenti inumani, meno carcere preventivo e priorità agli arresti domiciliari, oltre a più magistrati di sorveglianza e agenti penitenziari. Sono 204 i penitenziari in Italia, 54.414 i detenuti, 5.012 in più rispetto ai posti disponibili, un terzo sono stranieri, 36.415 condannati in via definitiva, gli altri per metà in carcere preventivo e per metà in attesa di giudizio definitivo. Ma ecco come valuta la situazione don Virgilio Balducchi, Ispettore generale dei Cappellani delle Carceri italiane. A "Radio Vaticana" dice: "Si va verso una conduzione della giustizia che utilizzi il meno possibile il carcere. Questa scelta di costruire delle pene sul territorio è più responsabilizzante per le persone, perché le mette nella condizione di dover rispondere alle loro responsabilità: si va a lavorare per mantenere anche la propria famiglia e, se si ha un reddito, per ricominciare a riparare anche economicamente ai danni fatti, ad esempio. Gli arresti domiciliari dovrebbero però essere accompagnati da un’opera sul territorio che permetta a queste persone di fare qualche piccola attività o dei lavori socialmente utili o del volontariato". Pene sul territorio che vanno evidentemente organizzate, anche per quietare i timori di chi teme una ricaduta sul territorio di reiterata criminalità, perché, dice don Balducchi "il rischio aumenta se le persone non sono in grado di "reggere" economicamente…Le persone che sono in carcere, che hanno le loro responsabilità e di cui devono risponderne, sono però persone che vivono nelle nostre società. È una chiamata di corresponsabilità ad affrontare il male". E di "male", chiamiamolo così, ce n’è davvero tanto. Nel loro libro ‘Viaggio nelle carcerì, Davide La Cara e Antonino Castorina descrivono così la situazione del carcere romano di Rebibbia: "Nella cella accanto dormono in undici, su una superficie che potrebbe contenerne massimo quattro, hanno risolto installando vecchi letti a castello in legno a tre piani. Vicino c’è una porta che conduce a una l’acqua per la pasta, accanto a questa, il lavandino e il water". Si parla di Rebibbia, ma potrebbe essere uno qualunque degli istituti di pena italiani, dove da tempo i detenuti vivono in condizioni disperate. Sono davvero tante le storie raccolte nel libro che tracciano il panorama delle carceri italiane. Un viaggio in luoghi avvilenti che denuncia le innumerevoli carenze strutturali di cui oggi soffrono gli istituti di pena italiani. Una delle interviste di La Cara e Castorina è a Nobila Scafuro, madre di Federico Perna, morto a Poggioreale lo scorso anno a causa di un ictus, ma sulle cui cause certe di morte, c’è ancora da fare chiarezza. "Federico mi aveva raccontato di aver subito abusi sessuali, da parte delle stesse guardie carcerarie a cui avrebbe dovuto denunciare il fatto", racconta Nobila. "Non ho mai capito perché abbia girato 9 carceri in 3 anni. Un ragazzo malato di epatite C e di cirrosi epatica, per quale motivo viene sbattuto da carcere a carcere, per andarsi a prendere altri virus?". Prosegue il "viaggio" dell’Osservatorio carcere Ucpi all’interno degli Ospedali psichiatrici giudiziari italiani per valutare le condizioni di vita di chi è ristretto in queste strutture ibride, a metà tra il penitenziario e il nosocomio. Antonella Calcaterra e Annamaria Alborghetti, per l’Osservatorio Carceri, insieme al Presidente della Camera Penale di Napoli Domenico Ciruzzi sono entrati nella struttura di Napoli adiacente alla casa circondariale di Secondigliano. Ancora una volta colpiscono i numeri, in particolare quelli relativi alle presenze non necessarie sotto il profilo della gravità dei reati commessi e dell’effettiva pericolosità delle persone internate che, al contrario, avrebbero necessità di essere prese in carico, come previsto dalla legge, dai servizi di cura territoriali. Ancora una volta la chiusura degli ospedali Psichiatrici Giudiziari è stata rinviata. Una nuova proroga, pochi mesi fa, ne ha stabilito la chiusura nel 2015. Il problema, spiega l’avvocato Ciruzzi, "sono le strutture esterne esistenti solo sulla carta perché non vengono realizzate. Il problema è a monte perché si deve stabilire se queste persone hanno bisogno di cure o di detenzione, le strutture ibride non sono efficaci". Non si mette in dubbio la professionalità degli operatori interni e i loro sforzi anche sotto il profilo umano, ma "questo stato di cose non può continuare ad andare avanti in questo modo, è necessario applicare misure alternative, differenti a seconda del caso e ricordare che la detenzione resta sempre l’estrema ratio. La loro professionalità non può e non deve farci dimenticare quello che il dettato normativo oggi ci impone, e cioè la rigorosa ed esclusiva applicazione delle misure di sicurezza non detentive". Giustizia: decreto carceri, con conversione in legge stop all’automatismo dei domiciliari di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 7 agosto 2014 La custodia cautelare resta per stalking e mafia, trattamento severo anche per i furti nelle abitazioni. Niente più custodia in carcere per i detenuti in attesa di giudizio se il giudice ritiene che la loro condanna non sarà superiore ai tre anni. Con il via libera della Camera alla conversione in legge del decreto carceri (92/2014, operativo dal 28 giugno) arriva al traguardo anche il travagliato percorso dell’articolo 8 che interviene sul codice di rito cambiando i criteri di scelta per le misure cautelari per limitare, in nome del contrasto al sovraffollamento, il ricorso alla custodia cautelare in carcere. La stesura finale risente dell’allarme suscitato dall’automatismo tra domiciliari e tetto dei tre anni che aveva indotto giuristi e magistrati a denunciare il rischio che la norma restituisse la libertà anche a chi si era macchiato di delitti di particolare allarme sociale. Un timore fugato dalle modifiche apportate in prima lettura dalla Camera con l’approvazione dell’emendamento, proposto dal relatore David Er-mini (Pd), che sbarra la strada dei domiciliari ad alcuni reati. Il Dl riscrive l’articolo 275 e modifica il comma 2bis del codice di procedura civile. Il nuovo comma, oltre a ribadire il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere, (ed escludere anche l’applicazione dei domiciliari) quando perii giudice è probabile la concessione della sospensione condizionale della pena, fa scattare il semaforo rosso per la forma meno afflittiva di misura cautelare per alcuni delitti. Le porte del carcere restano aperte per i reati per i quali l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario esclude la concessione di benefici: associazione mafiosa, terrorismo, omicidio, sequestro di persona a scopo di estorsione, reati associativi finalizzati al traffico di droga e di tabacchi, riduzione in schiavitù, tratta di persone, violenza sessuale semplice e di gruppo. Non meritevoli di una misura cautelare più lieve non sono neppure i maltrattamenti di familiari e conviventi, lo stalking, i furti in abitazione e con strappo. Resta in carcere chi non può disporre di un luogo adeguato agli arresti domiciliari; un’abitazione privata o una residenza protetta. Gli arresti domiciliari possono poi essere revocati a chi trasgredisce al divieto di allontanamento. Colpo di spugna, invece, per evitare una disparità di trattamento in contrasto con la Costituzione, sul comma 3 dell’articolo 4 che prevedeva per chi era già in cella la possibilità di far slittare la data della concessione dei domiciliari in caso di carenza dei braccialetti elettronici. Un’ipotesi che consentiva di subordinare la scarcerazione alla disponibilità del dispositivo elettronico violando i principi di parità della Carta e per questo è stata eliminata dalla Commissione giustizia della Camera. Con la previsione di un ricorso più limitato al carcere preventivo l’Italia risponde positivamente a una lunga serie di raccomandazioni da parte del Consiglio d’Europa, che invita sempre più spesso gli Stati membri a considerare il carcere solo quando le altre misure si rivelano inadeguate. Con l’ultima, proprio sull’elettronic monitoring (19 febbraio 2014) il Comitato dei ministri sollecitava un maggiore ricorso alla sorveglianza elettronica per sfoltire le prigioni. Giustizia: sulla riforma è scontro tra Orlando e Forza Italia, stretta sulle intercettazioni di Liana Milella La Repubblica, 7 agosto 2014 Dai berlusconiani no su tutta la linea al ministro. Maggioranza, magistrati e avvocati promuovono il testo sul civile. Niente patto del Nazareno in via Arenula. Forza Italia, nella vecchia versione "falco", rompe con il Guardasigilli Andrea Orlando e boccia la sua riforma della giustizia. Un’ora di colloquio, e due berlusconiani di stretta osservanza, peraltro vecchi inquilini del palazzo, come l’ex Guardasigilli Nitto Palma e l’ex sottosegretario Giacomo Caliendo, fanno a pezzi i 12 punti che il ministro Pd sta riempiendo di contenuti. Il vertice si tiene all’improvviso, e a tarda sera, dopo una giornata positiva per Orlando in cui i partiti della maggioranza prima, Anm e avvocati (Cnf e Oua) poi, promuovono la riforma del civile. Poi ecco la gelata che, guarda caso, arriva a poche ore dal vertice Renzi-Berlusconi, quasi a smentire che i due abbiano cercato intese anche su un tema sensibile come la giustizia. Il Niet di Palma e Caliendo è a tutto tondo. La riforma, se resta quella annunciata, "sarà bocciata in Parlamento". Il civile? "Norme superate e piene di errori". La responsabilità? "Un testo deludente". Le intercettazioni? "Finora un silenzio clamoroso". Il falso in bilancio? "In clamoroso ritardo". Nitto Palma è "avvelenato" perché il governo ha di fatto bloccato la "sua" commissione Giustizia del Senato chiedendogli continui rinvii sul ddl Grasso. Palma arriva all’avvertimento politico: "Se non vi muovete, io a settembre vado avanti". Opposizione reale o melina? Quale ne sia il retroscena, il fatto è che la delegazione di Fi se ne va senza lasciare un solo spiraglio aperturista. L’unico commento di Orlando riguarda il vertice con la maggioranza: "Il lavoro fatto e il metodo scelto sono stati apprezzati. Ci sono le condizioni per fare un buon lavoro". Ma, come aveva detto domenica a Repubblica, il confronto "non sarà una passeggiata". Certo, un bocconcino gustoso per Fi potrebbero essere le intercettazioni. In una bozza del ddl su autoriciclaggio e falso in bilancio, compare l’articolo 5 che "vieta il rilascio di copia dei decreti, dei verbali e dei supporti" quando di mezzo ci sono gli ascolti. Stabilisce che "il contenuto dei verbali non può essere riprodotto e può essere richiamato unicamente nel contenuto". Lo stesso tribunale "non può riprodurre il contenuto dei verbali". Orlando è andato ripetendo in queste ore che la questione delle intercettazioni sarà affrontata alla fine e che per ora non c’è alcun testo. Il testo citato, che Repubblica ha letto, contiene la stretta sulla pubblicazione di cui lo stesso Renzi ha parlato a palazzo Chigi il 30 giugno, presentando la riforma. Vedremo gli sviluppi. Il ddl sul falso in bilancio è da tre mesi un "cantiere aperto", su cui ancora ieri discutevano il capo del legislativo di palazzo Chigi Antonella Manzione e i tecnici del Mef e del Mise. Potrebbe contenere una novità annunciata da Orlando, applicare alla corruzione l’istituto delle misure di prevenzione in uso per la mafia, colpendo i patrimoni quando la loro natura non è chiara. Di anticorruzione oggi discutono Orlando e M5S, che accetta di confrontarsi (è la seconda volta sulla giustizia) ma in diretta streaming. Sulla responsabilità civile si scambiano battute Orlando e il presidente dell’Anni Rodolfo M. Sabelli. S’incontrano e subito Orlando dice: "Deluderò Sabelli ma oggi non parlo di responsabilità civile perché non è la mia priorità". In chiusura Sabelli provoca: "Ma allora ministro ci vediamo il 14 agosto per discutere di responsabilità?". A tarda sera, online la sotto-torta sulla responsabilità: libera l’interpretazione delle norme, ma raccordo tra azione di rivalsa e disciplinare. Giustizia: Vietti (Csm); subito la riforma, il Governo passi dalle parole ai fatti di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 7 agosto 2014 Vietti sferza il governo a varare le riforme finora annunciate. In questa intervista al Sole 24 ore, il vicepresidente del Csm fa un bilancio dei quattro anni di consiliatura (prorogati finché il Parlamento non eleggerà i componenti laici: prossimo voto l’11 settembre) e analizza (sia pure calibrando le parole) alcuni temi cruciali dell’attualità di politica giudiziaria. Presidente, il quadriennio si è chiuso all’insegna delle polemiche. L’ultima nasce dal richiamo del Quirinale a nominare i capi degli uffici rapidamente e in ordine cronologico. Richiamo che ha bloccato la nomina del nuovo procuratore di Palermo, già in fase avanzata. Napolitano ha, come sempre, esercitato le sue prerogative di presidente del Csm. La materia dei direttivi è stata oggetto, in questo quadriennio, di numerosi richiami del Capo dello Stato per sollecitare una copertura più tempestiva che evitasse vacanze troppo lunghe e quindi dannose per il buon funzionamento degli uffici. In questo contesto si inserisce anche il recente richiamo che, partendo dalle 38 procedure di nomina ancora aperte (una del 2012 e 12 del 2013), invita il Consiglio a coprire "in via prioritaria i posti direttivi vacanti da più lungo tempo", seguendo l’ordine cronologico delle scoperture, anche per evitare "scelte riferibili a una composizione del Csm diversa da quella del Consiglio che sta per insediarsi". Palermo non c’entra niente, se non perché è una delle sedi di scopertura più recente, che andrà coperta quando verrà il suo turno. Lascerete la nomina in eredità ai vostri successori oppure, vista la proroga, la porterete al traguardo? Procederemo nell’ordine indicato dal Capo dello Stato e se ci sarà tempo arriveremo anche a Palermo. Il caso Bruti/Robledo, secondo lei, che cosa racconta? Con tutto il rispetto per il lavoro del Consiglio e a titolo strettamente personale, mi sembra che la montagna abbia partorito un topolino. Dopo un dibattito troppo lungo e troppo enfatizzato mediaticamente, il Consiglio si è limitato a rilievi inversamente proporzionali al danno di immagine nel frattempo subíto dalla procura di Milano. E allora chi è l’artefice di quel danno d’immagine? Chi ha sollevato il "caso"? Non posso e non voglio sostituire il mio giudizio a quello del Csm. Certo, tempi e modi della polemica all’interno della procura non sono stati adeguati alla delicatezza delle indagini in corso e all’esigenza prioritaria di tutelare l’immagine di un ufficio comunque affidabile. Dopo 4 mesi di annunci, il governo si è presentato all’appuntamento con la riforma della giustizia con 12 "linee guida". Anche se ne parla come se la riforma ci fosse già, a parte le schede illustrative sul sito del ministero non è stato varato neanche un testo. Se l’aspettava? Forse la necessità di rispettare la scadenza del 30 giugno, annunciata per la riforma, ha imposto una corsa contro il tempo che può aver determinato qualche approssimazione. Non ho esperienza di consultazioni in rete, tanto meno su una materia delicata e tecnica come la giustizia, però attendo fiducioso che a settembre il governo vari gli articolati, come promesso dal ministro. Parlare di corsa contro il tempo per una riforma pluri-annunciata equivale a dire che il governo era impreparato o non è coeso? Ogni governo ricomincia da capo e durante i quattro anni della mia consiliatura si sono succeduti ben cinque guardasigilli. In queste condizioni di precarietà è difficile pensare a riforme di sistema. Mi auguro che l’orizzonte di questo governo lo consenta. Che cosa devono pensare gli investitori stranieri di questi continui annunci e rinvii? I mercati sono perennemente in movimento e la concorrenza riguarda anche gli ordinamenti giudiziari. Chi non li rende tempestivi ed efficaci ha già perso la partita per attrarre risorse. I giuristi a vario titolo non sono esenti da responsabilità per la mancata ripresa economica del Paese. Se Berlusconi ha fatto scuola quanto a comunicazione politica (annunci), Grillo è diventato un modello quanto alla rete come luogo di consultazione di ogni decisione. È così che si cerca il consenso? La rete, piaccia o meno, è la comunicazione di oggi. Come tutti gli strumenti, non esclusi giornali e tv, si presta a usi strumentali e a distorsioni che esigono cautela ma non possono metterne in dubbio la rivoluzionaria portata innovativa. Certo, la politica non può pensare di delegare alla rete la responsabilità delle sue decisioni. Nonostante le priorità conclamate da tempo immemorabile - civile, prescrizione, corruzione - a un certo punto spuntano sempre la responsabilità civile dei magistrati e le intercettazioni, per poi non farne mai nulla. Sembra una mossa intimidatoria verso toghe e stampa. Giustizia: Ucpi; bene responsabilità civile magistrati, su riforme terremo gli occhi aperti www.camerepenali.it, 7 agosto 2014 Le linee guida pubblicate dal Ministero sul tema della responsabilità civile dei magistrati vanno esattamente nella direzione auspicata dall’Unione. A questo punto la politica non deve farsi condizionare dalle solite ed interessate grida d’allarme. Le anticipazioni in tema di prescrizione e giudizio di appello, invece, ci preoccupano non poco e, se confermate, ci vedranno in prima linea contro ogni forma di arretramento. Come penalisti italiani concordiamo con l’iniziativa del Governo, che dalle linee guida appena pubblicate sembra raccogliere alcune delle indicazioni che abbiamo sempre dato in tema di eliminazione filtro e rideterminazione delle ipotesi di responsabilità. La cosa fondamentale è ora che il Governo e le forze politiche non si facciano condizionare dalle prese di posizione ipercorporative che sono venute immediatamente dall’Anm e dai suoi corifei, e che questa riforma vada in porto nella maniera più significativa. Questa iniziativa è il primo spiraglio che vediamo nel progressivo sviluppo del progetto di riforma, al quale si contrappongono anticipazioni di ben diverso tenore in tema di prescrizione e appello, ovviamente ancora tutte da verificare, che invece preoccupano assai l’avvocatura penale. Il tema è sempre il medesimo: la politica deve imporre il suo primato, che si deve esercitare però sui principi propri di un sistema penale moderno e avanzato e non sul ricatto demagogico e giustizialista di chi, contro ogni evidenza statistica, strumentalizza le necessità di riforma. L’avvocatura è pronta a fare la propria parte, anche sostenendo le iniziative positive, ma allo steso tempo dichiarando la propria determinazione incrollabile a che non ci siano arretramenti dalla strada intrapresa e a che finalmente si recepisca il monito avanzato da più parti, prima fra tutti la Presidenza della Repubblica, per la realizzazione di una vera riforma di struttura della giustizia. Giustizia: Sappe; bene Orlando, attendiamo nomina nuovo capo Dap Adnkronos, 7 agosto 2014 "Finalmente il provvedimento per la nomina del nuovo capo del Dap dovrebbe andare in Consiglio dei ministri. Auspichiamo un capo Dipartimento in grado di mettere in acque sicure l’Amministrazione e capace di dare dinamicità e motivazioni alla Polizia penitenziaria, per anni abbandonata a se stessa". Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, commenta così, con l’Adnkronos, le parole del Guardasigilli, Andrea Orlando, che ha annunciato per i prossimi giorni la nomina del sostituto di Giovanni Tamburino alla guida del Dap. "Dopo il via libera al decreto carceri e dopo la sentenza di Strasburgo - rimarca Capece - ora l’attenzione si concentri sul lavoro dei baschi azzurri. Servono risorse e uomini". "Apprezziamo il lavoro del ministro della Giustizia - conclude il leader del Sappe - dal suo insediamento Orlando ha fatto molto di più dei suoi predecessori". Moretti (Ugl): grande sfida attende nuovo capo Dap "Auspichiamo che l’annuncio del Guardasigilli sulla prossima nomina del Capo del Dap si concretizzi quanto prima e che il sostituto di Giovanni Tamburino sia in grado di affrontare la sfida immane che lo attende: restituire serenità lavorativa al personale di Polizia Penitenziaria, oggi abbandonato a se stesso". Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti. "Purtroppo - continua - le misure approvate in questi giorni, anche rispetto al potenziamento dell’organico, non sono né esaustive né adeguate ad affrontare l’emergenza derivante dalle disastrate condizioni strutturali e strumentali della quasi totalità dei penitenziari italiani. Inoltre, l’attuazione del progetto di vigilanza dinamica, ad un anno dal suo lancio, non risulta aver sortito effetti benefici né per i detenuti né per gli agenti, anzi, le aggressioni ai danni dei baschi azzurri sono significativamente aumentate dopo l’introduzione del nuovo modello gestionale. Per non parlare del fatto che la quasi totalità delle strutture o è del secolo scorso o è stata costruita con materiali scadenti e, quindi, poco sicure e già da ristrutturare a causa delle numerose infiltrazioni e del deterioramento". "Insomma - conclude il sindacalista - il neo Capo del Dap dovrà avere la capacità di invertire la rotta, oltre che decidere se mettere finalmente alla guida del Corpo il vertice della categoria". Giustizia: Mattiello (Pd); sulla revoca del 41-bis a Provenzano serve nuova valutazione 9Colonne, 7 agosto 2014 "Le condizioni di salute di Bernardo Provenzano impongono una nuova valutazione sulla compatibilità tra detenuto e regime del 41 bis. Il regime carcerario del 41 bis introdotto nell’agosto del 1992 ha uno scopo fondamentale che ne giustifica l’estremo rigore: impedire ai mafiosi di continuare a comandare dal carcere. Questo scopo si traduce nella impossibilità per il detenuto di comunicare con l’esterno. Oggi per Provenzano il 41 bis è assicurato dalle sue stesse condizioni di salute. Prenderne atto e sospendere l’applicazione del 41 bis per Provenzano non è soltanto un atto di giustizia proprio di uno Stato di diritto che mai confonde punizione con vendetta, ma è anche il modo migliore per salvaguardare lo stesso istituto del 41 bis da chi non lo ha mai digerito e che ha usato e usa ogni mezzo per cancellarlo dall’ordinamento: dai papelli alla Cedu". Così Davide Mattiello, deputato Pd della commissione Antimafia. Che aggiunge: "Guai a dare argomenti a chi voglia dimostrare che il 41 bis provoca una condizione di fatto inumana e degradante, guai a fornire alibi a chi voglia equipararlo ad una forma di tortura. Piuttosto invito il Ministro Orlando, che ha già dimostrato grande sensibilità, a verificare se il 41 bis venga applicato sempre correttamente, impedendo ai boss di comunicare con l’esterno sia direttamente, sia indirettamente". Lettere: la riforma per superare una giustizia assente di Giuseppe Maria Berruti (Presidente di sezione di Cassazione) Corriere della Sera, 7 agosto 2014 Caro direttore, non si dovrebbe parlare di "crisi" della giustizia civile. Nessuna crisi dura tanto. E soprattutto nessuna crisi, con i mali che sembra denunciare, offre tanta occasione di economia. L’inefficienza del processo civile italiano è occasione di lavoro. Fa girare un’enorme macchina, 0 cui prodotto è soprattutto l’oggettivo trascorrere del tempo, il quale porta attività, costi e spese. Una vera economia, insomma: benché malsana. Passare a un processo credibile significa capire che è superato lo schema ottocentesco che assegna al giudice il potere di decidere come se la sua causa fosse unica e la sua soluzione fosse sganciata da ogni contesto. Le liti, in una economia nazionale sempre più connessa con il mondo, determinano la qualità del tessuto economico dentro il quale, poi, si muovono i diritti. Non esiste diritto al lavoro se non vi sono aziende che richiedono lavoratori avendo la certezza del modo di organizzarli. Non esiste diritto di libertà individuale se non c’è un’economia nella quale ciascuno può avanzare la pretesa della propria affermazione. E non esiste libertà politica se non vi è certezza delle posizioni giuridiche, una volta che proprio la politica, con le leggi, le ha riconosciute. Tutto questo, che è elementare di ogni Stato di diritto storicamente realizzato, è messo in dubbio da un processo giudiziario imprevedibile, che non decide e che crea, con la incertezza delle decisioni, vere e proprie "sub-leggi", che escono dal caso particolare, si affermano come princìpi ma - essendo precarie - ostacolano la formazione di assetti economici stabili. Il processo civile oggi non è adeguato: dunque la nostra non è crisi, è assenza di giustizia. Occorre, con coraggio, rivedere il cosiddetto potere diffuso del giudice. Si tratta della prerogativa che consente al giudice di decidere come ritiene giusto, motivando la sua decisione in modo da mostrare che essa - a suo avviso, ma secondo un ragionamento che applica i protocolli della sua professione - applica la legge. Questo potere è stato essenziale a far uscire l’Italia dall’arretratezza lasciata dalla dittatura fascista. La Repubblica aveva bisogno di un carburante forte che facesse partire la Costituzione, anzitutto attraverso le risposte alle domande di giustizia: e il potere diffuso del giudice scardinò le vecchie idee, affermando che la giusta retribuzione era non un indirizzo, ma un comando; che l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge è la bussola per qualunque affermazione del diritto; e che essa è operante anche dentro in cancelli delle fabbriche. Questo percorso di modernità, fondato come è sulla professionalità del giudice, ha però scontato un certo grado di oscillazione delle soluzioni e anche di arbitrarietà. La storia che viviamo impone la compatibilità dei diritti individuali con le realtà economiche. Diritti acquisiti vacillano di fronte alla difficoltà del Paese di mantenere i patti tra le generazioni, alla diseguaglianza e alla povertà dei più giovani. Cosicché il fisiologico disordine del potere diffuso diventa un problema di efficacia dell’azione di governo. Da affrontare come avviene in molti Paesi europei: mediante la scorciatoia degli obblighi di non discostarsi dalla Corte di Cassazione. I magistrati devono capire la novità delle difficoltà. Il colloquio tra Corti in Europa - dunque tra diritti nazionali, quello europeo e quello della Convenzione dei diritti dell’uomo - è ormai una costante giurisprudenziale e richiede esperienza, saggezza, misura e capacità tecnica. In questo quadro, le toghe italiane devono imparare a essere in ogni causa il giudice di tutti gli italiani che hanno un problema simile; devono essere consapevoli della grandezza dei problemi e della importanza ritrovata del valore della certezza delle situazioni giuridiche. Il disordine considerato dalla Costituzione quando fondò il potere diffuso del giudice deve oggi essere abbandonato, per una concezione del processo attenta al contesto nel quale la decisione dovrà calarsi. Non si tratta di limitare l’interpretazione della legge, ma di rimettere al centro il limite che separa la sentenza che applica la legge dalla scelta politica che scrive la legge stessa. Di uscire, in altre parole, dall’assenza di giustizia, ammodernando la nostra democrazia fondata sulla legge. Campobasso: detenuti al lavoro per tutela ambiente, accordo con scuola e quartiere Ansa, 7 agosto 2014 Alcuni detenuti del carcere di Campobasso saranno impegnati in attività di pubblica utilità nel settore ambientale. Lo prevede un protocollo tra Istituto Iovine, direzione della Casa circondariale e associazione "Il nostro quartiere S. Giovanni", recepito dalla Giunta comunale. L’iniziativa vuole coinvolgere i detenuti in un percorso di sensibilizzazione all’educazione ambientale e alla tutela della sicurezza pubblica come condizione per creare una rete occupazionale per il loro impiego. Forlì: interrogazione parlamentare di Molea (Sc) sui lavori per il nuovo penitenziario Dire, 7 agosto 2014 "È necessario prendere misure urgenti per la ripresa e la conseguente accelerazione dei lavori per il penitenziario di Forlì, in quanto sono stati eseguiti lavori solo sul primo dei due lotti in cui è divisa l’opera, quello della palazzina che ospiterà gli uffici. Non c’è invece il muro esterno e il corpo vero della struttura è ancora da realizzare: le palazzine dei detenuti, l’edificio del personale, i servizi; eppure, a fine 2009 l’allora ministro della giustizia Alfano assicurò che il carcere sarebbe stato aperto nel dicembre 2012. Non solo: appena cinque mesi fa, su richiesta del Comune, dal ministero hanno garantito la fine dei lavori nel 2015, al massimo all’inizio del 2016. Ora si parla già del 2017". Lo chiede il vicepresidente del gruppo Scelta civica alla Camera, Bruno Molea, in una interpellanza urgente al ministro della Giustizia, che il deputato ha presentato oggi. Novara: il Garante regionale dei detenuti, Bruno Mellano, in visita al carcere www.oknovara.it, 7 agosto 2014 L’onorevole Bruno Mellano, garante regionale dei detenuti, ha visitato nella giornata di martedì 5 agosto il carcere di massima sicurezza della città. Qui ha incontrato la direttrice del carcere dottoressa Rosalia Marino e la comandante della polizia penitenziaria Paola Bussoli. Nel carcere di Novara sono detenute 167 persone di cui 71 in regime di carcere duro (ex art. 41 bis). Dopo la visita al carcere l’onorevole Mellano ha incontrato a Palazzo Cabrino il vicesindaco Nicola Fonzo. Il vicesindaco ha illustrato le diverse iniziative in corso a Novara per l’utilizzo di persone detenute in progetti di cantieri di lavoro, in questo momento attivati con Assa, esperienza che sarà ripetuta nei prossimi mesi Forlì: i detenuti adottano "a distanza" una bambina del Medio Oriente di Alessandro Rondoni Il Resto del Carlino, 7 agosto 2014 È appena arrivato l’ok dell’Avsi: si tratta di una ragazza del Medio Oriente. L’idea di un carcerato che ha coinvolto gli altri raccogliendo il denaro necessario. Pianeta carcere: corpo estraneo alla città o periferia di relazioni? Mentre si discute del nuovo carcere che sorgerà nella zona del Quattro e i cui tempi sembrano allungarsi, la casa circondariale segnala una presenza che, con il suo microcosmo di persone che vivono la reclusione in vista di una rieducazione, questiona la città. Anche in consiglio comunale negli ultimi anni con interpellanze e interrogazioni è stata richiamata l’attenzione sulla realtà carceraria, ottenendo considerazione pure per i familiari dei detenuti che prima erano costretti, in occasione delle visite, ad aspettare all’esterno senza adeguate protezioni. Nella struttura di via della Rocca l’opera di relazione e rieducazione prosegue anche attraverso l’impegno del nuovo cappellano, don Enzo Zannoni, succeduto nel settembre scorso a don Dario Ciani, che è stato per 27 anni cappellano della Casa circondariale. "A 62 anni - racconta don Zannoni - ho cominciato a fare il prete in un ambiente nuovo, mettendomi umilmente a imparare, guardare, ascoltare. Sono stati, e sono, mesi di scoperta continua". Il cappellano delle carceri è nominato dal Vescovo e opera seguendo le indicazioni del ministero della Giustizia. Ogni giorno don Enzo entra nella Rocca di Forlì per i colloqui con i detenuti che attualmente sono circa un centinaio, per la celebrazione delle messe festive, una nella sezione maschile e una in quella femminile, per le catechesi, gli incontri con la direttrice, Palma Mercurio, gli agenti di custodia, e i volontari. Don Zannoni, che è anche rettore della chiesa di San Filippo Neri in via Giorgina Saffi e docente di religione al Liceo classico di Forlì, osserva: "In carcere c’è un grande bisogno, materiale e spirituale, si trovano sentimenti di rabbia, di abbattimento e di scoramento e c’è la necessità di accompagnare le persone a considerare questo periodo come possibilità di riscatto e di vita vera. Accadono incontri imprevedibili come quello con i musulmani che sono venuti a chiedere di recitare il rosario per rispondere all’appello di papa Francesco per la pace in Siria". Di recente i detenuti hanno "adottato" una bambina mediorientale. È arrivata da pochi giorni, infatti, in via della Rocca la lettera di Avsi in risposta alla richiesta dei carcerati per un’adozione a distanza. "È una delle cose inaspettate che accadono in questo luogo - afferma don Zannoni. È nato tutto dall’iniziativa di un detenuto che ha coinvolto gli altri carcerati raccogliendo tra loro la quota necessaria". L’impegno del sacerdote prosegue anche fuori dal carcere. "In seguito ai recenti decreti - racconta ancora - sono usciti una trentina di detenuti e ora continuano a cercarmi. Molte sere li ritrovo a messa, a San Filippo. Vengono da Forlì, ma anche da altre parti d’Italia. Cercano lavoro soprattutto, una casa. Hanno bisogno di essere stimati, di essere presi sul serio anche nella ricerca di risposta al loro bisogno". Verona: atlete pallavolo trasportate sui bus penitenziari, si infiamma la polemica di Marzio Perbellini L’Arena, 7 agosto 2014 Il Sappe attacca: "Vergognoso, mezzi istituzionali usati per manifestazioni private" La Fipav replica: "Frutto di un accordo col ministero e partecipano tutte le forze armate". Botta e risposta. Si scalda la polemica tra il Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria, e la Fipav, la federazione di volley. Al centro della contesa una disposizione piombata l’altro giorno sui tavoli dei provveditorati regionali del ministero della Giustizia, titolari della gestione dei mezzi dell’amministrazione carceraria, e che dispone vengano messi a disposizione del comitato organizzatore dei mondiali femminili di pallavolo undici autobus con relativi autisti per il trasporto delle atlete. Sorvolando sull’immagine bizzarra che può suscitare soprattutto agli stranieri la visione di squadre nazionali trasportate in mezzi destinati ai detenuti, e sulla quale Sappe e Fipav hanno una ovviamente una visione opposta, ("surreale" per la Sappe, "un modo nuovo per farsi conoscere" per la Fipav), la Circolare ha fatto saltare sulla sedia Donato Capece, il segretario generale del Sappe, che l’altro giorno ha attaccato il provvedimento dichiarandolo assurdo e fuori luogo vista la carenza dei mezzi e degli uomini con i quali da anni nelle carceri devono fare i conti. Parole che hanno sorpreso Stefano Bianchini, presidente provinciale Fipav (Verona è una delle sedi dei mondiali dove si terranno dal 23 settembre al 5 ottobre). Che ieri ha replicato ricordando che la decisione è frutto di un accordo tra il Coni e il Ministero di Giustizia e che a queste manifestazioni concorrono, da sempre, anche tutte le forze armate, dall’aeronautica, alla marina, dalla polizia alla guardia di finanza, dai carabinieri all’esercito. "A Verona sarebbero destinati solo 2 pullman", sottolinea Bianchini, "in base ad un accordo stipulato tra Giovanni Malagò, presidente del Coni, e l’allora ministro di Grazia e Giustizia Annamaria Cancellieri". Frutto di un’iniziativa del ministero che intendeva portare lo sport nelle carceri e prevedeva che le varie federazioni sportive mettessero a disposizione materiale e tecnici. "E noi", ricorda il rappresentante Fipav, "siamo stati l’unica tra tutte le 44 federazioni che si è proposta e ha partecipato attivamente a questo progetto con interventi da febbraio a giugno nelle carceri femminile di Rebibbia e nelle carceri maschili di Bologna. Nell’ottica di questa vicinanza la Polizia penitenziaria ha dato quindi il suo benestare mettendo a disposizione i pullman in un accordo di "carattere nazionale" , e di certo non solo per Verona". E poi, aggiunge, niente di strano: una prassi quella dell’utilizzo dei mezzi delle forze armate e che viene spesso messa in atto in occasione di manifestazioni sportive di un certo livello, come ad esempio nella World League a Firenze, nel World Gran Prix di Montichiari dell’anno scorso organizzato dal Col di Verona. "Collaborazioni svolte con grande partecipazione e abnegazione pure dagli autisti coinvolti in una esperienza nuova al di fuori della loro realtà" continua il presidente provinciale. Che poi precisa: "E comunque siamo ancora in attesa di una comunicazione da Roma su questo aspetto, appena avremmo riscontro definitivo lo comunicheremo". Riscontro che il Sappe, da parte sua, si augura non arrivi. E Capece, il segretario generale, non arretra di un millimetro. "Mi sembra una cosa vergognosa", ribatte, "e di questo stiamo anche informando la Corte dei conti perché si tratta di distrarre dei mezzi istituzionali per delle manifestazioni sportive. Che c’azzecca il mondiale di pallavolo con i pullman che servono per accompagnare i detenuti o gli agenti durante i servizi di scorta? Ma il ministro attuale sa niente? Qualcuno lo ha informato? E qualcuno a proposito dovrà dare pure delle spiegazioni", rincara. Anche se, a ben guardare, non è la prima volta che dei mezzi della polizia penitenziaria sono stati usati per una manifestazione sportiva: proprio dal 7 al 21 luglio due pullman sono stati impiegati a Bergamo e a Riva del Garda per gli europei giovanili di tennis tavolo. E Bianchini si domanda: "Perché la polemica solo adesso?". "Perché", risponde indirettamente Capece, "già sono pochi i bus per i servizi istituzionali ai quali sono destinati, se poi continuano a venire utilizzati anche per altre cose...". E aggiunge: "Chi paga il personale? Chi paga lo straordinario? Per ogni pullman verranno impiegati un autista e un capo macchina, chi li paga visto che dovranno fare servizio dalle 7.30 alle 21? Quello che lascia esterrefatti", conclude, "è la disinvoltura con cui l’amministrazione continua a usare i mezzi pubblici, istituzionali, per dei servizi di carattere privato". Una polemica che pare destinata a non esaurirsi. Si attendono sviluppi. Sant’Angelo dei Lombardi (Av): la "tappa" in carcere della Route Nazionale dell’Agesci Ristretti Orizzonti, 7 agosto 2014 Zaino in spalla, fazzolettone al collo e scarponi ben stretti: la tenuta presidenziale di San Rossore, a Pisa, da mercoledì 6 a domenica 10 agosto sarà invasa da oltre 30 mila scout, di età compresa tra i 16 e i 21 anni. L’appuntamento si svolge al termine dei 456 incontri regionali. Una delle tappe del viaggio assume un senso particolare proprio per la particolarità del sito in cui si è svolta. Giovani appartenenti all’Agesci (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani) hanno richiesto ed ottenuto dal Ministero della Giustizia di poter vivere un’esperienza unica nell’ampio ventaglio delle scelte che si potevano prendere in considerazione: vivere per 24 ore in un vero e proprio carcere, in un istituto penitenziario che da molte voci è stato definito come "modello avanzato" per la rieducazione dei condannati. La Casa di Reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi (Av), con la supervisione attenta del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Campania di Napoli, ha consentito a circa 50 scout di montare il campo-tenda nell’impianto sportivo del carcere e vivere un’esperienza unica nel suo genere, tra le variegate attività lavorative, di formazione professionale e trattamentali che si svolgono nel plesso penitenziario. I "giovani in cammino" hanno avuto modo di apprezzare la colorata ludoteca, l’ampia area verde (ove i ristretti incontrano le famiglie per un pranzo all’aperto), l’impiego lavorativo dei detenuti nel vigneto (con quattro tipologie di vino: fiano, coda di volpe, falangina e greco), nell’apiario (con tre tipologie di miele: sulla, trifoglio e millefiori), la cura dell’uliveto e delle serre, le prelibatezze nascoste del frutteto autoctono e dei Vhortus conclusus, luogo interamente dedicato alla comunità penitenziaria che produce e consuma in giornata ortaggi a zero impatto ambientale e a "km zero". Ma lo stupore vero è stato scoprire come la collaborazione con la Cooperativa Sociale onlus "Il Germoglio" di Sant’Angelo dei Lombardi (nata da una felice idea della Conferenza Episcopale Italiana) consente l’assunzione di numerosi detenuti nell’azienda agricola, nei lavori di grafica della tipografia interna e, recentemente, anche nella cura degli spazi verdi dell’Ospedale di Sant’Angelo dei Lombardi. "Veniamo da posti molto diversi tra loro: da Roma, dalla Sardegna, dalla Sicilia, dalla Campania, da Firenze. Alcuni di noi hanno già conosciuto altre realtà carcerarie, ben diverse da questa altirpina. Ricorderemo con affetto la calorosa accoglienza della comunità santangiolese e non avremmo mai immaginato che proprio qui, nel nostro avvicinarci a San Rossore, avremmo incontrato un carcere capace di restituire dignità a persone che, pur sbagliando, rimangono sempre esseri umani capaci di un cammino diverso. Un po’ come noi, che siamo in cammino, armati solo del nostro coraggio e della nostra fede. Ci piace immaginare che l’alfiere" - il nostro rappresentante eletto per alzata di mani - saprà ben raccontare la straordinaria esperienza vissuta in carcere". Insomma, i giovani che hanno vissuto l’esperienza penitenziaria a Sant’Angelo dei Lombardi cosa porteranno a Pisa? Cosa diranno quando incontreranno il Presidente del Consiglio Renzi (ex scout), quale testimonianza renderanno al presidente del Senato Pietro Grasso, cosa rimarrà nelle loro memorie al cospetto del Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, quali emozioni esterneranno al presidente della Cei, il cardinal Angelo Bagnasco? Viterbo: con Kyrahm l’arte diventa protesta nell’ex penitenziario di Soriano nel Cimino di Francesco Lo Dico Il Garantista, 7 agosto 2014 L’artista resterà due giorni senza cibo e sonno nell’ex penitenziario di Soriano nel Cimino. "In scena per l’introduzione del reato di tortura". Isolata per due giorni e due notti in una cella senza acqua né cibo per portare all’attenzione di tutti le incivili condizioni di detenzione che si verificano nei penitenziari italiani. Sarà una performance di drammatica attualità, quella che aspetta l’artista Kyrahm presso l’ex carcere del Castello Orsini, a Soriano Cimino. In occasione dell’Esposizione arte contemporanee, a cura di Paolo Berti, l’artista sperimentale esponente della Live Art italiana rimarrà isolata per due giorni e due notti in una cella nel corso delle performance intitolata "Dentro/Fuori". La location prescelta, quella del Castello Orsini di Soriano Cimino, risuona in questo senso di note sinistre. Nel 1848, quando la cittadina venne ceduta allo Stato pontificio, il castello fu abbandonato dalla nobiltà e riciclato come struttura carceraria: prima al servizio della Santa Sede e poi, dal 1871, dello Stato italiano. In questa veste, il castello funzionò come casa di lavoro, fino alla fine degli anni Ottanta per poi essere chiuso definitivamente nel 1989 ed essere messo in vendita da Mario Monti non più tardi di due anni fa. E proprio in questi luoghi ricchi di storia e sofferenza, che Kyrahm vivrà due giorni come una carcerata soggetta a detenzione dura, dovendo fare a meno di cibo, acqua e sonno. La performance dell’artista è finalizzata a ricordare le infinite morti nei carceri dovute alle condizioni vitali primarie che vengono meno nel momento immediatamente dopo l’arresto. "Non finirò di raccontare le loro storie fino a che il mio corpo non crollerà dal sonno, dalla sete o dalla fame" sono le parole di Kyrahm, parole di protesta da una parte e di sfida dall’altra. Nell’esibizione di Kyrahm non manca infatti una scoperta finalità politica: l’artista intende affliggere il corpo e introiettare la sofferenza carceraria per denunciare come il reato di tortura in Italia non sia ancora stato codificato, anche per il timore che molti condannati possano invocarlo a causa di condizioni di detenzione che nella Penisola sono spesso disumane, provocano numerosi suicidi, e sono state fermamente condannate dall’Europa anche grazie all’instancabile attivismo dei Radicali italiani. Ma la performance di Khyrham è anche la risposta, provocatoria, a chi vuole l’arte contemporanea del tutto aliena dalla realtà, e totalmente alienata da un presente che la confina in una nicchia post-umana. "La comunicazione è un processo di decodificazione di segni attraverso il quale è possibile entrare in relazione con altri ed esprimere messaggi e significati - spiega Kyrham. Attraverso il corpo presente, mezzo semantico per eccellenza, cerchiamo una connessione orizzontale con il pubblico che assiste e interpreta. Noi ci esprimiamo attraverso il linguaggio della performance art e dell’arte visuale. Spesso partiamo da un vissuto personale, perché crediamo fortemente nell’autenticità dei messaggi da veicolare". Televisione: Italia, Camerun e Perù… tre carceri a confronto su "BlogNotes" (Italia 1) di Massimo Tosti Italia Oggi, 7 agosto 2014 La troupe di BlogNotes (Italia 1, martedì, ore 23,55), capeggiata da Mimmo Lombezzi, ha visitato tre penitenziari (uno in Italia, uno in Camerun e uno in Perù) per raccontarci la vita dei detenuti, la loro disperazione, le loro (ridotte) speranze. Nel carcere Beccaria di Milano, i giovani detenuti giocano a rugby (un modo per sfogare la loro aggressività e per adeguarsi alle rigide regole del gioco che impone di rinunciare agli individualismi e puntare sul gruppo). Il cappellano del carcere è don Luigi Rigoldi, l’idea del rugby è di Giorgio Terrazzi, giornalista sportivo di Mediaset. Gli altri due luoghi di pena visitati dalla troupe sono Bafassun (in Camerun) e Lurigancho (in Perù), dove le condizioni di vita dei carcerati sono spaventose: sottoposti alle violenze dei secondini, condannati ad anni di carcere per reati minori (tre anni per il furto di un materasso, cinque per quello di una capra, in Camerun, dove si da molto da fare un frate cappuccino, Gioacchino Catanzaro, che cerca di confortare le vittime di una giustizia palesemente ingiusta e persecutoria). Quello peruviano è considerato il carcere più pericoloso del mondo, pieno di terroristi e narcotrafficanti, dove la legge è diversa per tutti. Un boss della droga ha strangolato la moglie nella sua cella, e i secondini se ne sono accorti parecchi mesi più tardi, soltanto a causa dell’odore nauseabondo, da imputare al cadavere in putrefazione. Le celle sono sovraffollate all’inverosimile, e le epidemie uccidono molti detenuti. La denuncia di BlogNotes è commendevole, ma il raffronto con un carcere modello italiano tende a far dimenticare che l’Italia è stata ripetutamente sanzionata dall’Unione europea proprio per le condizioni di vita delle nostre galere. È facile trovare termini di paragone lusinghieri andando a cercarli in paesi dove la detenzione è rimasta ferma ai tempi del conte di Montecristo e dell’abate Faria. Le denunce di Marco Pannella sembrano parole cancellate dal vento. Televisione: documentari sulle carceri, tra denuncia e confusione di Mirella Poggialini Avvenire, 7 agosto 2014 Quello delle carceri è uno dei problemi contingenti che più spesso si citano senza risolverli, accontentandoci, a livello fattivo, di propositi e parole. Che sono affollate, mal gestite, insufficienti quanto a capacità ricettiva e del tutto inutili circa il fine che le istituzioni hanno loro affidato, quello del recupero e del riscatto dei detenuti tramite il lavoro. "Non ci sono posti", si giustificano i responsabili: come se la prigione fosse un albergo con prenotazione, trascurando la considerazione ovvia della quantità di luoghi, di proprietà statale, che potrebbero esser adibiti allo scopo, magari coinvolgendo gli stessi destinatari a lavori di ripristino. E curiosamente anche i servizi televisivi che di carceri mostrano ambienti e problemi, di questi tempi, si rifanno quasi sempre a esempi remoti: già Luisella Costamagna in CI Crime+Investigation ha mostrato 12 documentari nei quali sono state descritte le esperienze di giovani condotti in carcere per un educativo confronto con gli ospiti e l’ambiente. E "Blog Notes" di Italia 1, serie di documenti nei quali la realtà del mondo viene descritta con originalità e coraggio, a cura di Mimmo Lombezzi e di Lorena Bari, ha proposto martedì sera una densa puntata, tanto ricca da sembrar confusa, dedicata ai problemi delle carceri nel mondo, passando dal riformatorio milanese "Beccaria" alle prigioni infernali del Cile e del Camerun. Interessante il colloquio con gli educatori del riformatorio italiano e con don Gino Rigoldi, che ne è l’anima: con l’esempio dei giovani instradati all’attività sportiva tramite il rugby, in cui sfogano energie e attingono alla scuola della responsabilità e delle regole. Forse un intervento di qualcuno dei ragazzi sarebbe stato opportuno, ma il clima positivo è stato reso con evidenza. Meno efficace, invece, anche se fortemente drammatico per le immagini di estremo realismo, il percorso nel mondo delle prigioni remote, da Bafassun in Camerun a Lurigancho in Perù, sono state descritti con abbondanza di immagini, l’affollamento e l’allucinazione, il luridume e il caldo affocato, l’eccitazione che rasenta la follia e la fame. Masse urlanti e violenza bruta, che in Perù coinvolge una sezione dedicata alle lunghe detenzioni dei prigionieri politici, difesi dalla loro capacità di rapporti e di comunicazione ma anche penalizzati da una cultura che li espone a una sofferenza più forte. Prigione come difesa dalla ferocia, per la società, ma anche prigione come costante penalizzazione che appare spesso tortura, e che nega, nei fatti, qualsiasi intento di recupero e riabilitazione. Un programma che, iniziato dopo la mezzanotte, ha reso difficile il sonno, perchè ci sono state voci di speranza, dal Camerun, ma la pena le ha sopraffatte. Immigrazione: rivolta immigrati Pescopagano (Ce), denunciati titolari coop La Custodia Ansa, 7 agosto 2014 Venti giorni dopo i fatti di Pescopagano (Caserta), dove il ferimento di due immigrati ivoriani scatenò la rivolta degli altri stranieri, e la reazione dei residenti italiani, la polizia ha denunciato per il reato di esercizio abusivo di attività di vigilanza i titolari della Cooperativa La Custodia: in particolare sono finiti sul registro degli indagati della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere Gianfranco Cipriani, marito dell’ex vice-sindaco di Mondragone Anna Barbato dimessasi la settimana scorsa, il fratello Lorenzo, detenuto per associazione a delinquere di stampo camorristico perché ritenuto elemento del clan Fragnoli-Gagliardi, e il figlio di quest’ultimo Luciano, di 24 anni, posto alla presidenza della coop, secondo quanto emerso dagli accertamenti, da appena una settimana. La Cooperativa è quella per cui per cui lavoravano il 21enne Cesare Cipriani, tuttora in carcere con l’accusa di aver sparato ai due africani, e il padre Pasquale, indagato per aver nascosto la pistola utilizzata dal figlio (il 60enne fu arrestato e poi scarcerato, ndr) e fratello di Gianfranco Cipriani. L’indagine è stata condotta dal commissariato della polizia di Stato di Castel Volturno guidato da Carmela D’Amore in collaborazione con la Divisione Amministrativa della Questura di Caserta diretta da Arturo Compagnone. I tre Cipriani rispondono anche di falso in atto pubblico ed evasione fiscale per una serie di false fatturazioni legati all’attività della Coop Custodia. Le indagini sulla società sono partite subito dopo i fatti di Pescopagano; gli investigatori, nonostante parte della documentazione sia andata distrutta nell’incendio della sede aziendale durante la rivolta degli immigrati del 13 luglio scorso, hanno verificato che la coop dei Cipriani non svolgeva servizio di portierato a pagamento presso le abitazioni di Pescopagano, come emergeva dalla documentazione ufficiale, e per la quale peraltro i titolari avevano apposita licenza, ma un’attività di vigilanza notturna e diurna per la quale serve un’autorizzazione prefettizia, mai richiesta. Determinante è stata anche la collaborazione di molti residenti, che hanno confermato l’ipotesi investigativa; non ha trovato però al momento conferma, nelle parole dei testimoni, il sospetto che il servizio possa essere stato imposto dai Cipriani. Stati Uniti: dossier sulle torture della Cia, Obama sotto pressione dopo accuse censura Tm News, 7 agosto 2014 Continua lo scontro tra l`amministrazione Obama e il Senato sul rapporto che proverebbe l`uso di tortura, dopo gli attentati dell`11 settembre, negli interrogatori di presunti terroristi da parte della Cia. La leader della commissione intelligence del Senato, Dianne Feinstein, ha accusato la Casa Bianca e l’agenzia d’intelligence di averlo "censurato" e ha bloccato la diffusione del dossier, attesa lunedì scorso. La politica democratica ha promesso che la pubblicazione non avverrà fino a quando le verità oscurate non saranno state reinserite. Ma ha fatto di più: ha annunciato che scriverà una lettera al presidente con un elenco di punti dove, a suo giudizio, sarebbero stati eliminati "fatti chiave". Il dossier di circa 700 pagine è un riassunto di quello di 6.800 completato nel dicembre 2012 sugli interrogatori condotti dalla Central Intelligence Agency. Questa parte è stata rivista dalla comunità dell’intelligence americana ed è stata approvata dalla Casa Bianca. Non è tutto. Le accuse di Feinstein potrebbero creare problemi allo stesso presidente che si è sempre vantato di aver messo fine nel 2009 alle pratiche di interrogatori approvate da Bush. Proprio la scorsa settimana aveva ammesso: "Sono state torturate persone". Le omissioni che Feinstein vuole riportare nel documento potrebbero provare un maggiore coinvolgimento dell’amministrazione Obama o il tentativo del presidente di proteggere la Cia. Questo dopo un altro scandalo: l’agenzia di intelligence, come ha ammesso lo stesso direttore John Brennan ha spiato i computer dei senatori che stavano lavorando al rapporto. Intanto, secondo fonti anonime citate da diversi media americani, il dipartimento di Stato Usa ha rafforzato la sicurezza in alcune ambasciate, temendo le proteste che potranno seguire la diffusione del rapporto. La tensione si ripercuote anche in Europa. Come riporta il Guardian, Londra avrebbe fatto pressioni su Washington perché dal rapporto scompaiano informazioni sul suo presunto ruolo nelle extraordinary rendition (consegne speciali, ovvero detenzioni illegali di sospetti in Paesi "amici" degli Usa). Avrebbe permesso agli Usa di utilizzare a questo scopo l`isola di Diego Garcia, Territorio britannico d`oltremare nell`Oceano indiano. È stato l`ex segretario agli Esteri William Hague, ha scritto il Guardian, a confermare colloqui sul dossier. Intanto, diversi detenuti di Guantanamo hanno affermato di essere stati sull`isola e documenti ritrovati in Libia confermano che fosse intenzione degli Usa di inviarvi un oppositore del colonnello Muammar Gheddafi, Abdul-Hakim Belhaj. Egitto, 12 condannati a morte per omicidio generale di polizia Nabil Faraj Asca, 7 agosto 2014 Dodici uomini sono stati condannati a morte in Egitto per l’omicidio, avvenuto quasi un anno prima, di un generale di polizia che coordinava un raid in una roccaforte dei sostenitori del presidente Mohamed Morsi, destituito dall’esercito. Il generale Nabil Faraj era morto nel pieno di una sanguinosa repressione contro i fedelissimi del deposto presidente islamista, il primo democraticamente eletto a seguito della caduta di Hosni Mubarak nel 2011. L’esercito lo aveva destituito e arrestato il 3 luglio 2013. Da quella data l’Egitto è guidato con il "pugno di ferro" dal maresciallo in pensione Abdel Fattah al Sissi, l’ex capo delle forze armate, eletto presidente dopo aver estromesso ogni tipo di opposizione dallo scenario politico, compresi i Fratelli Musulmani. Un tribunale del Cairo ha confermato la pena di morte inflitta a giugno contro dodici uomini accusati della morte del generale, raggiunto da un solo proiettile. I condannati potranno ricorrere in cassazione: sette sono detenuti, cinque latitanti. As altri dieci imputati è stato inflitto l’ergastolo. Svizzera: si impicca in cella l’accusato del furto delle cartelle cliniche di Schumacher Corriere della Sera, 7 agosto 2014 Si è impiccato in cella a Zurigo il sospettato del furto delle cartelle cliniche di Michael Schumacher. Lo ha riferito la magistratura svizzera. L’uomo, di cui non è stata rivelata l’identità, era un dirigente della Rega, una società di soccorso aereo svizzero contattata a giugno per il trasferimento del pilota a Losanna, ricoverato a Grenoble dopo il drammatico incidente sugli sci di fine dicembre. L’arresto era stato effettuato martedì dopo la denuncia della stessa Rega e della famiglia Schumacher. A luglio in varie redazioni, dopo il trasferimento dell’ex pilota in Svizzera (avvenuto il 16 giugno via terra con un’altra compagnia), un utente misterioso "Kagemusha", aveva inviato delle mail in cui annunciava l’intento di offrire la cartella con le informazioni cliniche di Schumacher per 60 mila franchi svizzeri, poco meno di 50 mila euro. La polizia francese era risalita al computer da cui questi messaggi erano partiti localizzandolo appunto negli uffici della Rega, l’importante società svizzera di elicotteri con sede a Zurigo. Proprio la società che era stata contattata in prima battuta per un elitrasporto, e cui erano state fornite le informazioni su un paziente identificato come "Jérémy Martin", ovvero Schumi. In prima battuta erano invece stati i lettighieri della normale ambulanza a essere sospettati. La procura ha dichiarato che attualmente non ci sono prove di ulteriori sospettati e che probabilmente il caso verrà chiuso. "Questo tragico evento ci lascia tristi e senza parole", ha dichiarato l’amministratore delegato della Rega Ernst Kohler, aggiungendo che l’azienza sta offrendo un sostegno ai parenti dell’uomo. Colombia: le Farc vogliono che anche i detenuti politici partecipino al processo di pace di Luca Pistone www.atlasweb.it, 7 agosto 2014 La guerriglia colombiana delle Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) ha chiesto che ai ribelli detenuti sia concesso di viaggiare all’Avana per partecipare ai colloqui di pace in veste di "vittime" del conflitto armato, richiesta che il governo colombiano ha definito "quasi incomprensibile". Da più di un anno e mezzo il governo del presidente Juan Manuel Santos e la prima guerriglia colombiana negoziano la fine del conflitto più antico dell’America Latina, che ha lasciato un saldo di oltre 200mila morti. La prossima fase dei colloqui, in programma per il 12 agosto, prevede la partecipazione di alcune vittime del conflitto. "Ci sono membri delle Farc prigionieri che sono stati e sono vittime di gravi violazioni dei diritti umani", hanno detto questa settimana le Farc in un comunicato. Secondo la guerriglia, il governo "dovrà dare le garanzie e i permessi" necessari per far viaggiare i detenuti a Cuba. Ma la richiesta delle Farc sembra aver irritato il ministro della Difesa Juan Carlos Pinzón: "Sembra un po’ strano che coloro che minacciano bambine e bambini, che distruggono villaggi, che hanno ucciso, sequestrato, reclutato minori, violato il diritto internazionale umanitario, vogliono ora essere trattati come vittime. È quasi incomprensibile per il popolo colombiano". In un comunicato congiunto diffuso ieri, governo e Farc hanno chiesto che "prevalgano equilibrio e pluralismo" nella selezione delle vittime che offriranno la loro testimonianza ai negoziati. Il testo non menziona i ribelli in carcere. Attualmente le parti stanno trattando parallelamente i temi dell’abbandono delle armi e il risarcimento delle vittime del conflitto, dopo aver depennato dalla lista i punti relativi a riforma rurale, partecipazione politica e droghe illecite. L’ultima questione che dovranno affrontare è la controfirma di un eventuale accordo da sottoporre a referendum.