Carcere, per un po’ d’amore in più: proposta di legge e un appello di Ginevra Gatti Redattore Sociale, 6 agosto 2014 Liberalizzare le telefonate e consentire colloqui riservati in carcere: una battaglia storica che la redazione di Ristretti Orizzonti rilancia in questi giorni per spingere all’approvazione di una legge, presentata nel 2002 e ora riformulata e ripresentata. "Per qualche metro e un po’ di amore in più". È l’appello lanciato redazione Ristretti Orizzonti a Padova per porre l’attenzione sull’emergenza della tutela degli affetti in carcere. Una battaglia storica che la redazione della rivista ha deciso di rilanciare - le firme dei detenuti a Padova ci sono già - per sensibilizzare l’opinione pubblica e spingere all’approvazione di una legge per liberalizzare le telefonate e consentire i colloqui riservati nelle carceri, già presentata nel 2002, e sottoscritta allora da 64 parlamentati di tutti gli schieramenti, ma rimasta nel cassetto. "È un tema che riteniamo prioritario anche sull’emergenza del sovraffollamento delle carceri - spiega Ornella Favero, direttrice di "Ristretti Orizzonti", assistente sociale ed esperta di carceri in Italia - sento continuamente persone disperate: gente che ha due-tre figli a cui può dedicare solo pochi minuti a settimana. E poi spazi per gli incontri spesso tristi e affollati, attese lunghe, estenuanti, umilianti. Quello degli affetti è un nostro tema da sempre, ma ora abbiamo deciso di fare qualche iniziativa forte per rilanciarlo. L’Italia è uno dei pochi Paesi che ha un ordinamento penitenziario arretrato: una telefonata a settimana di dieci minuti e sei ore di colloquio al mese sono una miseria". La proposta di legge è stata ripresa da alcuni parlamentari, su iniziativa del deputato di Sel Alessandro Zan, e riformulata per essere nuovamente presentata. Di qui l’appello della redazione "Ristretti Orizzonti". "Su questo appello chiediamo di raccogliere le firme delle persone detenute in tutte le carceri, e anche fuori, tra amici e famigliari: hanno un valore simbolico ma ci permettono di dare gambe e cuore alla nostra battaglia". Un dato, diffuso dalla rivista, è significativo: il 30% circa di figli di detenuti da grandi rischiano di entrare pure loro in carcere. "Crediamo che sia inaccettabile questa triste prospettiva di bambini con un futuro già segnato". Ornella Favero ricorda la fatica nel condurre questa battaglia: "Si parla di affetti e si è speculato con titoli del tipo: celle a luci rosse". "Carceri più umane significa carceri che non annientino le famiglie", si legge nella petizione. "L’Europa non si può accontentare dei tre metri di spazio a detenuto per decretare che le nostre carceri non sono più disumane. Lo sono eccome, e lo sono in particolare per come trattano i famigliari dei detenuti". Dunque la necessità di una legge che, aiutando a salvare l’affetto delle famiglie delle persone detenute, produrrebbe "quella sicurezza sociale, che è cosa molto più nobile e importante della semplice sicurezza". E una scadenza: 24 dicembre 2014. "Per quel giorno, raccogliamo migliaia di firme, da tutte le carceri, per un po’ di amore in più". Giustizia: responsabilità civile dei magistrati, la farsa dei risarcimenti mai pagati di Enrico Novi Il Garantista, 6 agosto 2014 Da quando esiste la legge sulla responsabilità civile i magistrati non hanno mai sborsato un euro. C’è una legge che regola la responsabilità civile dei giudici. Esiste dal 1988 ed è nota con il nome di legge Vassalli. Quella norma prevede in teoria che lo Stato, se costretto a risarcire un cittadino per un errore giudiziario, possa rivalersi sul giudice. In teoria, appunto. Perché in pratica quest’ultima circostanza si è verificata zero volte. Da 26 anni cioè non è ma successo che un magistrato abbia pagato per un proprio errore. Il che fa comprendere per quale motivo il ministro della Giustizia Andrea Orlando intenda rivedere la norma. Meno comprensibili sono le resistenze opposte dall’Anm. Soprattutto se si pensa che ogni anno vengono intentate, per esempio, decine di migliaia di cause per errori sanitari (circa 600mila dal 1994), e che di queste un terzo si conclude con una condanna. Su una cosa il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli batte con insistenza, riguardo alla responsabilità civile: non vanno toccati i filtri di ammissibilità. Il che di fatto equivale a dire che la legge Vassalli deve sopravvivere così com’è. Perché i "filtri" - cioè la valutazione di ammissibilità delle cause per danno giudiziario - rappresentano il punto decisivo: se non si tolgono quelli non cambia niente. E se non cambia niente i giudici continueranno a non risarcire un euro. Un euro che sia uno, e non è un’iperbole. Dall’introduzione della legge Vassalli sulla responsabilità civile dei magistrati, infatti, non è mai successo che lo Stato si rivalesse su un giudice. Mai, neppure una volta in 26 anni, perché la Vassalli è dell’88. Venne approvata per recepire l’esito di un referendum promosso dai radicali l’anno prima. Dopo 26 anni, con tutto il rispetto del grande giurista di cui porta il nome, si può dire che quella legge è una presa in giro. Non nelle intenzioni, evidentemente, ma nei fatti sì. Solo 4 condanne In 26 anni solo 4 volte è capitato che arrivasse a sentenza definitiva una causa di risarcimento intentata contro lo Stato per un errore giudiziario. Parliamo di 4 volte in 26 anni, cioè in media viene condannato un giudice ogni 6 anni e mezzo. Dopodiché neppure in queste 4 misere occasioni il giudice in questione ha tirato fuori un soldo. Perché? Lo si deve proprio alla formulazione della legge Vassalli. Che su un punto si è rivelata particolarmente vaga: l’obbligo di rivalsa da parte dello Stato. Tale obbligo è formulato in modo talmente vago che di fatto non esiste. Cosicché neppure in una delle 4 occasioni in cui lo ha dovuto pagare un cittadino per colpa di un giudice, lo Stato ha provveduto ha rivalersi sul responsabile. Certo, seppure lo avesse fatto, il giudice non avrebbe comunque tirato fuori un euro dalle proprie tasche. Dalle buste paga di tutti i magistrati italiani infatti viene trattenuta una piccola quota che serve a pagare l’assicurazione sulla responsabilità civile. A quanto ammonta? "Io ho smesso di fare il giudice nel 2001: all’epoca la trattenuta era di 100mila lire l’anno", ricorda il presidente della commissione Giustizia del Senato Francesco Nitto Palma. Oggi si arriva a circa 150 euro l’anno. Cifra davvero bassa: per una categoria di medici particolarmente esposta alle cause civili come quella dei chirurghi possono scattare premi assicurativi superiori ai 15mila euro, come segnala l’Ordine dei medici di Pavia. In pratica per ogni euro pagato all’assicurazione da un giudice, un chirurgo ne paga 100. Le polizze farsa Come si può intuire la posizione rigida assunta dall’Anm su questa materia rischia di perpetuare un effetto paradossale, di certo non voluto: ossia di preservare non solo l’intangibilità delle toghe ma anche il lucro delle assicurazioni. In 26 anni di legge Vassalli le compagnie hanno occupato il tempo a stappare champagne. Due conti: oggi a ogni magistrato vengono trattenuti in media 150 euro l’anno per la polizza; moltiplicato per i 9.000 magistrati italiani fa un milione e 350mila euro l’anno; moltiplicato per 26 anni, pure a tenere conto dell’inflazione, siamo intorno ai 30 milioni di euro. Una cifra regalata alle assicurazioni, pulita. Perché come detto, in questi 26 anni le compagnie non hanno mai dovuto pagare neppure un risarcimento. È pur vero che in qualche modo l’interesse delle toghe coincide con quello degli assicuratori. Se infatti le maglie della responsabilità civile fossero allargate, come vorrebbe fare il ministro Andrea Orlando, e aumentasse il rischio di veder condannati gli errori giudiziari, da una parte le compagnie comincerebbero finalmente a risarcire qualche danno, dall’atra aumenterebbero anche i premi assicurativi. Cioè potrebbe succedere che lo Stato debba trattenere dalla busta paga di un magistrato una cifra un po’ più consistente degli attuali 150 euro. Sempre di soldi si tratta, dunque. Di soldi e di rischi: roba da broker più che da guardasigilli. La rivalsa Ecco perché nella riforma di Orlando ci sono almeno altri due aspetti, oltre all’eliminazione dei filtri di ammissibilità, che tengono in allarme l’Associazione nazionale magistrati. Il primo è la definizione precisa dell’obbligo di rivalsa da parte dello Stato. Secondo la scheda tematica pubblicata l’altro ieri sul sito del ministero della Giustizia, la rivalsa sarebbe automatica non solo nel caso estremo del dolo (lo è già oggi) ma anche di fronte a una particolare fattispecie di colpa grave: la cosiddetta "mancanza per negligenza inescusabile". Il secondo motivo di tensione tra governo e giudici è l’estensione dei casi nei quali un giudice può essere citato in giudizio: l’esecutivo pensa di recepire un’indicazione della Corte europea, secondo cui la responsabilità civile di un giudice deve essere prevista anche in caso di mancata adesione alla giurisprudenza comunitaria. L’Anm vorrebbe che questa casistica venisse limitata il più possibile. Il match, come si vede, è destinato ad andare avanti per parecchie riprese. Giustizia: perché sul potere dei magistrati devono decidere i magistrati? di Astolfo Di Amato Il Garantista, 6 agosto 2014 I quotidiani hanno iniziato a pubblicare indiscrezioni sulle proposte di riforma della giustizia, che il Ministro Orlando si appresta a presentare in Consiglio dei Ministri. Come sempre accade, ormai dall’epoca di mani pulite, quando si parla di amministrazione della giustizia, gli animi si scaldano. Al confronto si sostituisce l’urlo e l’insulto. Alla fine diventa difficile anche capire di cosa si discute. I livelli di analisi si mischiano e tutto si riduce ad una rissa inconcludente. Quello che colpisce di più è che dietro ogni proposta di riforma si avverte che alla fin fine il quesito, intorno al quale ruota il dibattito, è se la proposta sia a favore o contro i magistrati. Non a caso essa diventa ogni volta oggetto di trattativa con la magistratura, sia nella sua espressione istituzionale, il Consiglio superiore della Magistratura, e sia nella sua espressione associativa, l’Associazione Nazionale Magistrati. Uno sprovveduto potrebbe, allora, pensare che il tema in discussione abbia a che fare con la retribuzione dei magistrati o con la loro progressione in carriera. Niente di tutto questo: sono temi che non vengono neppure sfiorati. Gli stipendi sono periodicamente adeguati secondo parametrici matematici e la carriera si svolge secondo il criterio del non demerito. Ed, allora, cosa si intende dire quando si afferma che una riforma è con o contro i magistrati? Su quale argomento governo e forze politiche devono negoziare con la magistratura? Se si va a guardare il merito del contenzioso, si deve rilevare che la discussione riguarda temi quali quelli delle condizioni perché sia disposta la custodia cautelare in carcere, o della immunità parlamentare, o della abolizione di vecchie incriminazioni o della introduzione di nuove incriminazioni. Quando la magistratura non è d’accordo parte un fuoco di sbarramento sul piano sia politico e sia giudiziario. Sul piano politico, vi sono forze fiancheggiatrici che fanno proprie le posizioni della magistratura ed aggrediscono violentemente le opinioni difformi. Sul piano giudiziario si assiste ad un’opera interpretativa di svuotamento delle novità e, quando è necessario, ad una molteplicità di immediati ricorsi alla Corte Costituzionale affinché le novità sgradite siano cassate. A ben riflettere, tuttavia, questi temi nulla hanno a che vedere con la posizione ed il trattamento dei magistrati. Essi, viceversa, riguardano direttamente tutt’altra cosa: il potere dei magistrati. E qui sta il punto. È istituzionalmente corretto che il potere dei magistrati sia oggetto di trattativa con gli stessi magistrati? La Costituzione, invocata molto spesso a vanvera, davvero prevede che il potere di mettere in carcere e di condannare, istituzionalmente affidato ai magistrati, non si esaurisca nel potere di dare applicazione alla legge del Parlamento, ma si estenda al potere di negoziare la legge da applicare? La politica ha, indubbiamente, perso legittimazione e capacità trainante. Un po’ per l’inadeguatezza degli uomini ed un po’ perché nell’epoca attuale la character assassination è ormai una costante che colpisce chiunque assuma una posizione di evidenza. Questo, tuttavia, non è sufficiente a nascondere che questo modo di procedere costituisce una profonda lacerazione del tessuto democratico. Esso realizza un trasferimento di potere non solo non contemplato dalla Costituzione, ma che ha in sé il germe pericoloso dell’idea che gli unti dal Signore siano i soli a poter risolvere i problemi di questa epoca difficile. Oggi i magistrati. Domani chissà! Giustizia: responsabilità dei magistrati, anche questa volta finirà nella solita farsa di Filippo Facci Libero, 6 agosto 2014 Il governo riprova a rendere più efficace la responsabilità civile per gli errori delle toghe. In passato l’Anm l’ha sempre disinnescata. È tutto già visto, già letto e prevedibile: il teatrino sorto attorno alla nuova "responsabilità civile dei giudici" è lo stesso di 25 anni fa, e identiche sono le velleità - peraltro legittimate, nel 1987, da un referendum - e identico il corollario di pro e di contro, di apocalissi annunciate e rassicurazioni governative. Ma il vero rischio è che tutto resti identico anche all’effetto della legge, cioè nessuno. Prendete questa uscita fatta l’altro giorno dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli: "L’assenza di meccanismi che possano disincentivare cause meramente strumentali rischia di far proliferare cause palesemente infondate, aggiungendosi anche alla mole di lavoro degli uffici". Fate le opportune tare, assomiglia tanto a quanto disse nel 1987 l’allora presidente dell’Associazione nazionale magistrati Raffaele Bertoni: "Si scatenerà la pratica di cause intentate ai giudici; nasceranno organizzazioni e studi professionali che non avranno altro scopo; i giudici saranno costretti ad astenersi, centinaia di processi saranno sospesi; l’estensione provocherà tempi morti...". E ora prendete questa uscita di Giancarlo Caselli: "Nasce il timore che si voglia creare un’occasione per arrivare finalmente allo show down dei rapporti tra magistratura e certi settori del mondo politico". Quando l’ha detta, ieri? L’altro ieri? No, l’ha detta il 17 ottobre 1987 a proposito dell’ipotesi di responsabilità civile. E poi quest’altra di Vladimiro Zagrebelsky: "Visto che un controllo dei giudici non è possibile perché la Costituzione lo vieta, si tenta di mettere in discussione l’attendibilità della Magistratura minacciando i magistrati che si espongono con la sanzione patrimoniale". L’ha detta ieri? Domenica scorsa? No, il 21 ottobre 1987 sempre a proposito della responsabilità civile dei giudici. Altri attori, essendo passati 27 anni, sono cambiati: ma identico è il copione. Ai tempi, il vicepresidente dell’Associazione Nazionale Magistrati si chiamava Vincenzo Accattatis, ma la sua dichiarazioni del 7 gennaio 1986 vanno benissimo anche per oggi: "Se responsabilità dei giudici ci deve essere, non deve intaccare in maniera assoluta l’indipendenza della magistratura, altrimenti degraderemmo da uno Stato democratico a un’altra forma di regime". Dichiaratore automatico All’Anm potrebbero mettere un dichiaratore automatico. Poi ci sono sparate come questa: "C’è la volontà di colpire l’indipendenza della magistratura, di punirla per aver esplorato i santuari velenosi della P2, per aver messo sotto accusa amministratori corrotti, per aver aperto inchieste sugli scandali". E come questa: "Vogliono oggettivamente attuare uno dei cardini del piano eversivo della Loggia P2, mirante a minare la democrazia e a dare mano libera alle lobbies politiche ed economiche". Sono editoriali del Fatto Quotidiano? È una qualsiasi uscita del grillino di turno? Macché: la prima è dell’ex parlamentare della Rete Alfredo Galasso (18 ottobre 1987) e la seconda è dell’ex parlamentare demoproletario Giovanni Russo Spena (1 novembre 1987). Poi ci sono le citazioni che nessuno ricorda mai, anche se le parole di Giovanni Falcone sono state sezionate e stiracchiate all’infinito: "Per alcuni essere magistrati non significa svolgere un servizio, ma esercitare un potere. Debbo dire che il sì al referendum mi sta bene. Da quanto tempo non facciamo autocritica? Ebbene, è stato facile addossare la colpa ai giudici di tutte le disfunzioni. Adesso, passata la contestazione in negativo, vedremo le proposte in positivo. Il referendum è stato salutare. Sia pure in termini negativi ha riavvicinato i problemi della società civile alle istituzioni". Falcone lo disse al Giornale di Sicilia il 20 novembre 1987. Tentativo fallito Poi sappiamo com’è andata. Il Parlamento approvò una legge sulla responsabilità civile il 13 aprile 1988 (n. 117) ma poi l’asse Dc-Pci-magistrati la svuotò progressivamente, posto che era già vuota di suo. In caso di colpa grave o di palese negligenza, in teoria, i magistrati già ora dovrebbero pagare per i propri errori: in pratica non è quasi mai accaduto, si parla di 4 casi in 25 anni. Nell’88-89, all’entrata in vigore, i ricorsi per l’azione di responsabilità furono 80. L’anno dopo, 30. Nel 1993, 16. Nel 1994, solo 7. E via a morire. Oggi le cause sono pochissime e in ogni caso viene accolto solo l’1 per cento delle richieste. La legge è piena di paletti, e su questi avrebbe dovuto lavorare il Guardasigilli Andrea Orlando: a oggi sono escluse da ogni "responsabilità" un’erronea interpretazione di legge e una fallace valutazione dei fatti e delle prove; le impugnazioni previste, poi, sono addirittura nove: tre per l’ammissibilità, tre per le responsabilità e tre per la rivalsa dello Stato. L’attività giurisdizionale del magistrato comunque resta "insindacabile" e, in caso di abnormi o macroscopiche violazioni di legge, o ancora di distorsioni della funzione giudiziaria, può intervenire soltanto il Csm con provvedimenti disciplinari. Nel caso, poi, i giornalisti possono scriverne solo se non nominano i singoli magistrati. E in caso di risarcimento, cioè mai, il risarcimento dei danni pesa sullo Stato, non sul magistrato. La causa va fatta perciò allo Stato e nel caso paga lo Stato, che può rivalersi sulla toga. Praticamente mai successo. Infine: una successiva modifica (2 dicembre 1998, n. 420) ha stabilito che qualsiasi causa deve aver luogo lontano da dove lavora il giudice denunciato: questo per non sputtanarlo tra i colleghi. Più che paletti, è una palizzata insormontabile. Bene, e che cosa cambierebbe con la legge Renzi-Orlando? Non la sostanza: prima il cittadino non poteva fare causa direttamente al magistrato che ritenesse colpevole: e ora neppure. Un paio di mesi fa la Camera aveva approvato un emendamento di segno contrario, ma il governo non ne vuole sapere: il cittadino deve far causa allo Stato, che poi, eventualmente, si rivarrà sul magistrato. Dalle linee guida della nuova legge, per il resto, si capisce poco. Un magistrato, se colpevole, potrà vedersi trattenuta metà dello stipendio e non più solo un terzo. Alcuni dei filtri (tipo le corti d’appello) dovrebbero essere eliminati, ma senza dettagli si capisce poco. Lo stesso presidente dell’Anm ha detto che prima di esprimersi compitamente vorrà esaminare il testo. Per scatenare l’apocalisse c’è sempre tempo. Giustizia: al Senato sfiorato "incidente" per competenza su amnistia e indulto di Daniele Di Mario Il Tempo, 6 agosto 2014 Il governo si salva per due voti: il Senato non voterà le leggi sulla clemenza. Il via libera del ddl costituzionale tra domani e venerdì. Renzi parlerà in Aula. Matteo Renzi vede il traguardo. Il primo di una lunga corsa a tappe, ma pur sempre un traguardo. L’iter delle riforme costituzionali a Palazzo Madama - dopo la bagarre sui primi due articoli riguardante il Senato non elettivo e la sua composizione - procede ora a passo spedito e l’obiettivo di approvare in prima lettura il ddl costituzionale presentato dal ministro per le Riforme Maria Elena Boschi entro l’8 agosto è a un passo. "Inizia un cambiamento storico", dice il presidente del Consiglio, per il quale il voto del Senato è la prova del nove. Il premier non vuole perdersi il rush finale. Il traguardo potrebbe già arrivare domani e il presidente del Consiglio sta valutando l’ipotesi di un intervento in Aula. Ieri intanto sono stati approvati gli articoli 13, 14, 16, 17, 18 e 20. Tra l’altro è stato introdotto un giudizio preventivo di costituzionalità delle leggi elettorali da parte della Consulta, si è deciso lo stop ai decreti omnibus e che il Capo Stato può rinviare anche parti delle leggi. Il Senato inoltre non voterà le leggi di amnistia e indulto. L’esecutivo - che ieri ha incassato anche la fiducia su decreto Pubblica amministrazione - quindi accelera. "Quanti - si chiede Renzi - avrebbero scommesso venti giorni fa che saremmo arrivati dove siamo? È stato ridotto il numero delle persone che vivono con la politica e di politica". Insomma per il presidente del Consiglio e segretario del Pd da Palazzo Madama sta arrivando "un segnale bellissimo". "Bisogna avere il passo del maratoneta - spiega comunque Renzi. Gli italiani ci chiedono di cambiare e cambieremo". Le opposizioni e il fronte bipartisan dei frondisti nel frattempo restano sulle barricate. Un emendamento presentato dal dissidente Pd Felice Casson che lasicava al Senato il potere di decidere su amnistia e indulto è stato bocciato con voto segreto per soli due voti. L’incidente era a un passo e nel Pd non si manca di osservare come al momento del voto segreto in Aula non fossero presenti i dissidenti Dem Corradino Mineo, Massimo Mucchetti e Paolo Corsini. Polemiche anche sul MoVimento 5 Stelle, i cui senatori - usciti di nuovo per protesta - sono rientrati in Aula solo per partecipare al voto segreto e tentare di mandare sotto il governo. Ma al di là delle proteste di Sel, delle critiche del M5S e delle invettive della Lega, l’iter del ddl Boschi procede speditamente. Tanto che le forze politiche già pensano al prossimo step, ovvero alla questione della legge elettorale. L’Italicum del resto fa parte integrante del pacchetto di riforme istituzionali. Angelino Alfano ha incontrato Renzi, ribadendo tre obiettivi: premio di maggioranza robusto "perché chi vince ha diritto di governare"; le preferenze; soglie "ragionevoli" perché l’opposizione ha diritto a essere rappresentata. Anche gli altri partiti di maggioranza guardano al nuovo sistema di voto e ieri mattina hanno avuto una riunione al Senato a margine dei lavori sulle riforme. Sul tavolo anche la legge di stabilità. "C’è stato un atteggiamento positivo da parte di tutti - spiega Mario Mauro (Popolari per l’Italia) - Le riforme costituzionali potevano rappresentare un’occasione affinché le forze di maggioranza diverse del Pd ponessero con forza le proprie posizioni inducendo Renzi ad aprire un dialogo vero. Purtroppo non è accaduto e abbiamo perso un’occasione, ma adesso c’è la legge di stabilità". Certo il rischio che "Forza Italia possa nuovamente correre in soccorso di Renzi" sulla legge di stabilità c’è ed è concreto, ma è anche vero che per Berlusconi potrebbe rappresentare un boomerang. Prima dell’assoluzione del Cav in secondo grado per il processo Ruby, Forza Italia era sull’orlo della scissione sull’appoggio a Renzi sulle riforme. Una larga parte del partito - quella che fa capo al presidente dei deputati azzurri Renato Brunetta - non ha mai usato mezzi termini nel dire che un conto è dialogare su Italicum, Senato e Titolo V, altro conto il giudizio sui provvedimenti economici del governo. Il Mattinale ha sempre parlato di politiche fallimentari e inconcludenti, di conti pubblici fuori controllo e di nuove tasse in arrivo. Cosa accadrebbe in FI se Berlusconi decidesse di soccorrere Renzi sulla legge di stabilità? Probabilmente la rivoluzione. Di qui la strategia delle altre forze di maggioranza: puntare sul fatto che Renzi difficilmente potrà avere il soccorso esterno del Cav sui provvedimenti economici e, di conseguenza, dovrà ascoltare i temi che gli verranno posti da Ncd, Udc, Popolari e Scelta Civica. "Vorrei chiedere a Renzi: quante maggioranze hai? - rincara la dose Mario Mauro - Dia un risposta, abbia il coraggio di darla. Se ritiene indispensabile avere una doppia maggioranza, una per l’esecutivo e una per le riforme, e se è vero, com’è vero, che l’Italicum è parte integrante del patto del Nazareno, dovremmo essere coerenti e passare prima all’appoggio esterno e poi uscire dalla maggioranza". L’autunno si preannuncia caldo. Giustizia: Orlando; presto la nomina del nuovo Capo dell’Amministrazione penitenziaria Adnkronos, 6 agosto 2014 "Nei prossimi giorni proporrò al Consiglio dei ministri la nomina del nuovo capo del Dap", il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Lo ha annunciato il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, al termine di un incontro al ministero, ricordando che si era impegnato a questo passaggio dopo il via libera al decreto carceri e dopo la sentenza di Strasburgo. Il nuovo capo del Dap prenderà il posto di Giovanni Tamburino. L’attuale reggente è Luigi Pagano, vice capo vicario del Dipartimento che in questo periodo ha retto la responsabilità del Dap. Giustizia: l’antidoto per le carceri, rimpatriare gli stranieri di Federico Colosimo Giornale d’Italia, 6 agosto 2014 Con l’ultimo decreto "svuota carceri", diventato legge grazie all’approvazione del Senato, il governo Renzi ha messo solo una toppa al gravissimo problema del sovraffollamento delle prigioni, senza risolverlo davvero. La maggior parte dei mass media e dell’opinione pubblica continuano a sostenere che l’indulto e l’amnistia siano, adesso, le uniche soluzioni possibili. Tant’è, mentre le discussioni vanno avanti su giornali, blog e social network, l’Italia spende 1 miliardo di euro all’anno per tenere nelle patrie galere detenuti stranieri che in buona parte potrebbero scontare la pena nei loro paesi d’origine. Gli accordi per lo scambio ci sono, multi e bilaterali, stretti con quasi tutti i Paesi del mondo (eccezion fatta per Romania, Tunisia e Marocco, che sono in cima alla classifica delle presenze nelle nostre galere). Ma nessuno incentiva questo strumento per svuotare gli istituti penitenziari. E i detenuti trasferiti, alla fine, sono talmente pochi che non vengono neppure conteggiati nelle statistiche sulla giustizia italiana. È infatti praticamente impossibile avere un dato su quanti abbiano usufruito di questa possibilità e diritto, come prevede la convenzione di Strasburgo del 1983, che l’Italia ha inserito nel proprio ordinamento dal 1989. Una vergogna. Perché questa strada avrebbe potuto certamente segnare la svolta sulla questione carceri. Ed evitare le continue condanne arrivate dalla Corte Europea dei diritti umani per aver sottoposto a trattamento inumano e degradante i detenuti. La recente "assoluzione", con Strasburgo che ha chiuso non uno, ma tutti e due gli occhi, "per i risultati (magrissimi, ndr) ottenuti grazie alle misure strutturali adottate per conformarsi alle sentenze", ha il sapore della beffa. Perché dalle galere italiane non è arrivato alcun proscioglimento. Ma grida di rabbia e indignazione. Urla non ancora così forti da cambiare la realtà. Alle Istituzioni, ancora oggi, non è chiaro infatti che la maggior parte dei crimini e dei reati sono commessi da extracomunitari. E che il costo della loro permanenza in carcere (pasti compresi) è dei cittadini italiani. Sono gli stessi che affollano le prigioni rendendole invivibili, ed è quindi palese (non al governo) che l’unica soluzione possibile è quella di mandarli a scontare le pene a casa loro. La violazione dei diritti umani in carcere è una realtà innegabile. Tanti sono i colpevoli, molti i presunti innocenti. "Vittime" di una vergogna chiamata carcerazione preventiva, in attesa di giudizio, rinchiusi in appena 3 metri di spazio vitale. Di fronte a questo drammatico scenario, viene da chiedersi quanto possa esserci di effettivamente rieducativo (per i condannati) in un sistema punitivo basato sulla reclusione; quanto una situazione simile di inciviltà e regresso influisca sul carattere del ristretto quando questi rientrerà in un regime di ‘libertà’, dal momento che, piaccia o meno, il fine pena non è un miraggio del detenuto ma un dato di fatto che si trasforma in fenomeno sociale. Diventa a questo punto obbligatorio domandarsi pure se i ruoli della punizione e del castigo abbiano un valore sociale, o non solo vendicativo, e quindi se il carcere serva concretamente a qualcosa, oppure assolutamente a nulla. Oltre che ad aumentare il numero dei suicidi, increscioso. Le patrie galere italiane non solo non rieducano nessuno, ma spesso forgiano i criminali del domani. Chi entra in punizione per circostanze non eccessivamente allarmanti, tende a uscire con tutte le carte in regola per delinquere professionalmente e con cognizione di causa. Per le amicizie maturate all’interno dell’istituto, per le difficoltà economiche, ma soprattutto per aver compiuto quella particolare metamorfosi che rende l’uomo meno umano e più rabbioso. L’Italia dovrebbe prendere esempio dalla Svizzera, dove il Consigliere di Stato ha già avviato trattative con i principali paesi di provenienza dei criminali (in particolare Marocco, Romania e Tunisia), per estradare gli "ospiti" dalle carceri elvetiche. Gli immigrati rinchiusi nei nostri penitenziari ci costano 3 milioni di euro al giorno, uno spreco immane di risorse non più tollerabile. La società dovrebbe capire che "usando i criminali come capri espiatori e tentando di distruggerli, perché non è in grado di sopportare il riflesso delle proprie colpe, non fa in realtà che pugnalarsi al cuore" (Ruth Eissler). Giustizia: Zampa (Pd): risoluzione per censire biblioteche dietro le sbarre Dire, 6 agosto 2014 "I libri sono come l’acqua per tutti i carcerati, o come una zattera. La prigione è un naufragio e non è un caso che all’inizio d’estate le pagine di varietà ricomincino con la domanda: Che libro vi portereste su un’isola deserta?". Così Adriano Sofri ha rilanciato su Repubblica il tema della lettura, spesso negata, dietro le sbarre. Che libro vi portereste in carcere? dovrebbe essere la domanda, se questo fosse possibile. Una risposta viene da Sandra Zampa, vice presidente del Pd e della Commissione bicamerale Infanzia e Adolescenza che oggi, proprio ricordando l’appello di Sofri, ha sollecitato il Governo a impegnarsi per la diffusione della lettura e la libera circolazione dei libri nelle carceri italiane. Un richiamo, in realtà al Parlamento, al rispetto della legge 354 del 1975 che prevede l’esistenza di una biblioteca in ogni istituto penitenziario. "Condividendo pienamente la riflessione di Sofri, con il collega Walter Verini abbiamo presentato una risoluzione che impegna il governo a censire le biblioteche degli istituti penitenziari italiani e a favorire la circolazione dei libri, anche stranieri, e dei giornali - scrive Zampa in una nota. Di grandissima importanza per tutti, la lettura è strumento di crescita e di riflessione e rappresenta, soprattutto per i minori detenuti, una possibilità per restare inseriti nel mondo che li attende, per costruire una identità rinnovata e rintracciare così nuovi e migliori percorsi esistenziali". Sofri chiudeva così il suo appello: "I liberi si castigano spesso accontentandosi del mondo virtuale. I prigionieri sono mutilati anche di quello". Una riflessione che la deputata Pd rilancia: "La lettura può favorire il riscatto personale e solo da questo nasce il riscatto sociale cui ogni individuo ha diritto, così secondo la nostra Costituzione secondo la quale "le pene devono tendere alla rieducazione", quindi al reinserimento nella società, quando è possibile, ma sempre e comunque alla salvaguardia della dignità umana". Giustizia: Sappe, esposto a corte Conti su uso improprio Polizia penitenziaria Adnkronos, 6 agosto 2014 "Il parco automezzi della Polizia penitenziaria è stato ed è destinato a servizi di trasposto e accompagnamento che nulla hanno a che fare con i servizi di polizia, in un periodo in cui tra l’altro molti poliziotti sono giustamente in ferie". Lo afferma in una nota Donato Capece, segretario generale del Sappe. Abbiamo scoperto - continua Capece - che l’amministrazione penitenziaria, la Direzione Generale delle Risorse Materiali, dei Beni e dei Servizi, ha disposto di impiegare mezzi e agenti di Polizia penitenziaria a disposizione un po’ di tutti. Della Federazione Italiana Tennistavolo per i campionati europei giovanili dall’11 al 20 luglio scorsi a Riva del Garda. Della Federazione Pugilistica Italiana per trasportare gli atleti che hanno partecipato ai campionati europei femminili giovanili di boxe in programma ad Assisi dal 18 al 28 luglio". "Lo chiediamo al ministro della Giustizia Andrea Orlando, auspicando che vorrà disporre urgentemente una inchiesta interna. Glielo chiediamo per dovere di trasparenza e per rispetto delle migliaia di donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria impegnati ogni giorno nei servizi di trasporto e piantonamento dei detenuti, spesso su mezzi vecchi e fatiscenti". "Il Sappe, che annuncia sulla questione un esposto alla Corte dei Conti perché valuti eventuali danni erariali, auspica infine che nell’ambito dell’annunciata riorganizzazione del ministero della Giustizia, e quindi anche dell’Amministrazione Penitenziaria, "si istituisca al Dap la Direzione Generale della Polizia Penitenziaria, che avochi a sé tutte le attività demandate al Corpo, oggi frammentate in più Direzioni Generali e senza un reale coordinamento, come l’incredibile vicenda dell’uso disinvolto dei mezzi del Corpo dimostra". E ancora, rileva Capece, "della Federazione italiana di Atletica Leggera per accompagnare la rappresentanza regionale giovanile del Lazio al Raduno tecnico giovanile in Trentino Alto Adige dal 24 al 31 agosto prossimo. E ancora: 4 pullman ed altrettanti autisti sempre a disposizione della Fidal dal 10 al 15 settembre per trasportare gli atleti che parteciperanno ai campionati del mondo corsa in montagna di Casette di Massa e, infine, auto e motociclisti della Polizia penitenziaria per essere impiegati a Chieti ai campionati italiani di tiro alla targa". Lettere: caro Pippo Civati… ma perché sulla giustizia non leggi Terracini? di Piero Sansonetti Il Garantista, 6 agosto 2014 Il giovane Pippo Civati, giovane piddino intelligente e scaltro, ha rilasciato una intervista a "Repubblica" per dire due o tre cose che - a suo giudizio - renderanno più forte la sua posizione dentro il partito, e magari daranno fastidio a Renzi. Per essere esatti ha detto cinque cose. Ha detto che la riforma della giustizia va fatta senza Berlusconi. Che la riforma della giustizia va fatta, invece, insieme ai magistrati. Poi ha detto anche che la riforma della giustizia va fatta con Grillo. E infine si è scagliato contro indulto e amnistia, giudicandole iniziative demagogiche, e si è detto invece soddisfatto del decreto carceri che - a suo giudizio - alleggerisce la condizione dei carcerati. Dei carcerati stipati nelle celle: come lo alleggerisce, onorevole? Con gli otto euro al giorno, che sono l’equivalente di 8 secondi della sua diaria da parlamentare? Il giovane Pippo Civati, che politicamente è nato insieme a Renzi, alla Leopolda, ma poi si è distaccato dal fiorentino scegliendo di diventare - così mi dicono - il leader dell’ala sinistra del Pd, probabilmente sa poco della storia della sinistra e della destra in Italia, e non è il solo. E ignora - a occhio - che le sue posizioni favorevoli alle galere, contrarie alle amnistie, e desiderose di lasciare che siano i magistrati a riformare la giustizia, assomigliano parecchio a quelle che furono di un certo Mario Scelba e pochissimo a quelle che furono di un certo Umberto Terracini. Visto che il giovane Civati, come è logico, è giovane, è possibile che non sappia nulla di Scelba e Terracini (del resto molti intellettuali di sinistra più anziani di lui ne sanno pochissimo, o vogliono saperne pochissimo, o fingono di saperne pochissimo). Dunque riassumo: Mario Scelba, siciliano, nato nel 1901. Fu il segretario particolare di don Sturzo, poi legò con De Gasperi che lo fece ministro dell’Interno. Comunisti e socialisti lo chiamavano ministro di polizia. Usò la mano dura, seminò le piazze di morti e feriti e le prigioni di militanti politici, pensò la legge-truffa e la difese, poi divenne presidente del Consiglio dopo De Gasperi in un governo nel quale il vicepresidente era Saragat, e che Nenni, scherzosamente ma non tanto, usando le iniziali dei due leader, definì il governo "S.S.". Poi Scelba fece una legge che stabiliva che il fascismo fosse un reato d’opinione, per fortuna mai applicata, ma questa legge non gli conquistò -come lui si aspettava - simpatie a sinistra, perché le sinistre intuivano che nella sua testa c’era l’idea di fare una legge successiva, che trasformasse anche il comunismo in reato d’opinione. Insomma, onorevole Civati, capito che tipo era questo Scelba? A lui non piacevano indulto e amnistia, amava le celle ben stipate e voleva che la giustizia fosse forte e salda nelle mani dei magistrati. Umberto Terracini invece era un avvocato ebreo genovese - il padre si chiamava Jair, come la mitica ala destra dell’Inter - di sei anni più vecchio di Scelba, era nato nel 1895, amico di Gramsci, fondatore del partito comunista, antistalinista, espulso dal Pci negli anni trenta e poi riammesso, sempre anticonformista, sempre libertario, e quando era già vecchio, negli anni Settanta, si batté ferocemente contro la legge Reale e altre leggi speciali e liberticide volute dal governo e appoggiate dal Pci per colpire il dissenso di sinistra (e anche un po’ di destra). Terracini - oratore fantastico - è quel signore che nel dicembre del 1947 firmò la Costituzione Repubblicana. Capito? Terracini si batté contro Scelba nelle piazze, si batté contro Scelba nei tribunali, si batté contro la legge truffa, fu sempre favorevole alle amnistie e agli indulti, combatteva all’arma bianca contro le sopraffazioni dei magistrati, si trovò a battagliare spalla a spalla con Marco Pannella. Scelba mise in prigione molte persone. Terracini andò lui in prigione, per una decina d’anni. Ora torniamo un momento alle sue tesi. Fare la riforma della giustizia escludendo Berlusconi - cioè l’opposizione liberale - ed includendo i magistrati, è qualcosa di terrificante. Lei pensa che affidando ai magistrati il compito di autoriformarsi si difende l’indipendenza tra i poteri? Lei pensa che non esista un conflitto di interessi se una riforma viene decisa da chi dovrebbe essere l’oggetto di questa riforma? Lei pensa che escludere i liberali dalla riforma della giustizia sia una cosa saggia? E poi, posso farle un’altra domanda che nasce da una pura curiosità): ma come mai non le è neanche venuto in mente, allora, di chiamare gli avvocati a collaborare? I magistrati sì, gli avvocati no. Forse perché gli avvocati non sono un potere? Quanto a Grillo, e alla proposta di collaborare con lui sul terreno della giustizia, mi sembra proprio una bella idea: ieri Grillo ha detto che preferisce Pinochet al partito democratico, ed effettivamente se l’Italia diventasse come il Cile di Pinochet, il problema giustizia sarebbe risolto e anche il problema carceri (magari si porrebbe una nuova questione: dove far giocare la seria A di Tavecchio, con tutti gli stadi occupati dai prigionieri…). Vabbè, Onorevole, veda un po’ lei. Io però torno per un attimo alle biografie di quei due padri della patria dei quali le parlavo, per porle un’ultima domanda: Scelba o Terracini? Lei chi preferisce? Perché il partito democratico, sarà un paradosso, ma è così: è erede di entrambi. Di uno dei massimi leader della Dc e di uno dei massimi leader del Pci. Si tratta di decidere il proprio punto di vista. Quello che un po’ mi preoccupa è che lei, che vuole fare il capo della sinistra del Pd, mi sembra molto più vicino a Scelba che a Terracini. Non so spiegarmi perché. Forse perché ormai il modo è girato tutto alla rovescia, i valori si sono invertiti, i pensieri aggrovigliati. O forse invece è per calcolo politico. Perché qualcuno immagina che per essere di sinistra bisogna essere coi giudici contro Berlusconi, e dunque per le galere contro la libertà, e poi per Grillo e tutto il resto, e anche se a Grillo piacciono Le Pen e i golpisti cileni va bene lo stesso…si, si, però voi siete sicuri che questa sia ancora sinistra? Lettera aperta a Matteo Renzi di Beppe Battaglia (Associazione Liberarsi) Ristretti Orizzonti, 6 agosto 2014 Ancora sindaco di Firenze, il Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi, impartiva lezioni di etica a chi chiedeva l’amnistia per le persone detenute in condizioni inumane. Pur di fronte alla sollecitazione del Presidente della Repubblica che non escludeva il ricorso a misure eccezionali quali l’amnistia e l’indulto. "Non è la soluzione", "sarebbe diseducativo di fronte alle giovani generazioni" e via di questo passo, tuonava il sindaco, dimenticando - peraltro - i morti che pure uscivano dal carcere di Sollicciano, senza parlare delle condizioni disastrose che regnavano (e regnano) all’interno del carcere fiorentino, non differentemente da altre carceri italiane. Naturalmente, quale poteva "essere la soluzione" lei, signor Presidente, non ce l’ha mai detto. Ora dal suo gabinetto è uscito il decreto d’urgenza, approvato da entrambe le Camere, per "risarcire" i circa diecimila detenuti che hanno fatto ricorso a Strasburgo per trattamento inumano e degradante. Ma, al di là della furbizia di attribuire 8 euro per ogni giorno di tortura patita (o per chi è ancora in esecuzione penale, riduzione della pena di un giorno per ogni dieci scontati), ben al di sotto delle cifre risarcitorie riconosciute da Strasburgo, viene scontata la domanda: è questa l’etica di Matteo Renzi? Le …giovani generazioni ne usciranno "educate" da questo mercimonio al ribasso e che sicuramente "non è la soluzione"? Di questo se ne sono occupati, poco e male, un po’ tutti gli organi di stampa. Quello che a noi preme sottolineare qui è un altro aspetto. Il Governo italiano, per la prima volta, riconosce ed ammette che nelle sue carceri è praticata la tortura! A tal punto ne è consapevole il Consiglio dei Ministri dal lei guidato, da varare un provvedimento d’urgenza (decreto legge) teso a "risarcire" i torturati che hanno fatto un ricorso al Tribunale Europeo per la prevenzione della tortura. Va da sé che un governo che fa ammissione di colpa verso le persone detenute, non solo perde la faccia di fronte al mondo, ma implicitamente perde la legittimità di detenere altre persone, pur colpevoli (e non sempre!) di reati. Ora non si può più dire che sono quattro scalmanati, Radicali in testa, a sostenere che nelle nostre carceri vengono torturate le persone detenute. A dircelo è il suo Consiglio dei Ministri che stabilisce anche la quota risarcitoria che sarà pagata coi soldi dei cittadini contribuenti! Davvero un capolavoro d’astuzia! C’è da dire che, nel frattempo, le condizioni di detenzione nelle carceri italiane, pur a fronte di un lieve calo dei numeri, non sono affatto migliorate. Dalla carta igienica, al vitto, alla sanità, alla scuola, al lavoro, alla sopravvivenza stessa del popolo dei puniti. Tutto resta come prima. E tutto fa immaginare che malgrado le astuzie del suo Governo, non solo i ricorsi a Strasburgo aumenteranno, ma non saranno sufficienti gli otto euro al giorno a titolo di risarcimento; ben altro risarcimento imporrà il Tribunale di Strasburgo quando scadrà il termine di un anno (maggio 2015) concesso al suo Governo per il superamento delle condizioni inumane e degradanti accertate e dal suo Governo stesso riconosciute con un decreto legge. Forse è questa la "soluzione" a cui pensava il sindaco Matteo Renzi quando diceva che l’amnistia "non è la soluzione"? Lei non sa ancora oggi, evidentemente, quale mole di lavoro aggiuntivo ha procurato ai Tribunali e quanti soldi dei cittadini contribuenti continuerà a dissipare per risarcimenti, lavoro aggiuntivo, attese definizioni di atti giudiziari che si prolungheranno, prescrizioni di una mole crescente di reati, sofferenza gratuita aggiuntiva per i torturati. Naturalmente l’attuale stato di tortura non è prodotto dal suo Governo. I governi precedenti da un ventennio a questa parte hanno fatto quanto era possibile per trasformare le carceri in piccoli gulag riempiti, allora come adesso, per il 90% da poveri e immigrati. Ma perlomeno quei governi hanno fatto carte false pur di non ammettere lo stato flagrante di un delitto grave e continuato nei confronti di un intero strato sociale: il delitto di tortura. Il suo Governo, invece, non solo è in perfetta continuità con quelli che l’hanno preceduto, ma ha la sfacciataggine di riconoscere la responsabilità criminale di esercitare la tortura! Presidente Renzi, forse l’amnistia non voleva essere "la soluzione", ma - come suggeriva il Presidente della Repubblica - sicuramente avrebbe dato respiro a tutti gli operatori giudiziari in attesa che le piccole modifiche (pur insufficienti) potessero andare a regime, non fosse per altro che per non perdere la faccia di fronte al mondo. E invece lei ha preferito spingere sotto il tappeto la sporcizia! Sanare con quattro soldi (peraltro non suoi) una situazione che sotto il profilo etico, giuridico, politico e culturale è solo spregevole, non è una grande alzata d’ingegno, è solo miopia, barbarica malvagità e desiderio di continuità nella stessa melma della quale, come italiani, non possiamo che vergognarcene! È questo il nuovo che avanza, signor Presidente? È questa la lezione di etica per le giovani generazioni? È questo il capo-verso che ha annunciato? La nuova cultura politica che lei continua a concordare con un delinquente (di quelli che in carcere non ci devono andare)? Presidente, non dimentichi che le bugie hanno le gambe corte e che, in definitiva, sono proprio le carceri a dare la misura delle bugie, delle incoerenze, dei giochi illusionistici delle tre carte che l’intera classe politica, Governo in primis, mette in atto. La dura terra del carcere (che lei si rifiuta di visitare) non perdona nessuno. È su quella terra che i peggiori torturatori prima o poi hanno battuto il muso. Piemonte: la Regione "dimentica" le carceri, le proposte del Garante dei detenuti Mellano di Bruno Babando www.lospiffero.com, 6 agosto 2014 Ai "piemontesi" in carcere l’amministrazione regionale ha finora riservato scarsa attenzione. Superato, almeno per ora, l’allarme sovraffollamento occorrono programmi di reinserimento e interventi sanitari. Le proposte del Garante dei diritti dei detenuti Mellano. La Regione vada in carcere. No, questa volta non si tratta dell’ennesima inchiesta, ma dell’appello lanciato da Bruno Mellano, garante per i detenuti nominato tre mesi fa in quello che fu uno degli ultimi atti del Consiglio della passata legislatura. "La Regione ha poteri e competenze per fare molto per i nostri detenuti" dice al termine dell’ennesima visita. Ieri è stato a Novara nella struttura di via Sfarzesca dove ha incontrato la direttrice Rosalia Marino e la comandante della polizia penitenziaria Paola Bussoli. Nelle settimane scorse aveva già visitato le strutture di Asti, Ivrea, le due carceri di Alessandria, Fossano, Saluzzo, Torino, Verbania e Vercelli. Giovedì sarà nell’istituto femminile del capoluogo, lunedì a Cuneo e poi a Biella e Alba. Sono complessivamente 14 gli istituti tra Piemonte e Valle d’Aosta, la buona notizia è che, per il momento, è stata superata l’emergenza sovraffollamento. Il 18 maggio scorso il Piemonte ospitava 4.271 detenuti, il 9 luglio sono diventati 3.913, sotto soglia 4mila che è la capacità massima per le strutture regionali. Su tutti valgano i dati relativi alla casa circondariale torinese, Lorusso e Cutugno dove oggi sono "ospitate" 1.140 persone, tre mesi fa erano 1.332, mentre l’anno scorso erano arrivate a raggiungere quota 1.700. Un dato positivo anche rispetto a quello nazionale dove i detenuti sono complessivamente 54.414 (di cui 17.423 stranieri), circa 5mila in più rispetto alla capienza massima. Merito solo in parte dell’ultimo decreto svuota carceri, approvato la scorsa settimana, quanto piuttosto di una serie di trasferimenti da Torino e dal resto del Piemonte alla Sardegna dove sono state costruite tre nuove strutture. Mellano, però, ammonisce: "La Corte europea per i diritti dell’uomo non ci ha condannati solo per il sovraffollamento, ma anche per la mancanza strutturale di percorsi di reinserimento nel contesto sociale dei nostri carcerati. E in questo settore la Regione può fare molto". Già consigliere regionale con i Radicali e deputato per la Rosa nel Pugno, Mellano è da sempre tra gli esponenti politici più attenti al tema: entro il 31 marzo dovrà redigere la sua prima relazione annuale da presentare al Consiglio regionale. "Ciò che vorrei emergesse è che l’emergenza è stata momentaneamente superata esclusivamente per una delle tante criticità dei nostri istituti. Si tratta di strutture in molti casi fatiscenti, in cui i detenuti passano tutta o quasi la loro giornata a guardare il soffitto". Prosegue Mellano: "È vero: ci sono dei progetti d’eccellenza, affidati a una serie di associazioni o enti ma che coinvolgono solo una minoranza della popolazione carceraria". Il modello da seguire è quello di Bollate, "una struttura nella quale il 90 per cento dei detenuti è impegnato a lavorare a fare delle attività socialmente utili". Insomma, se la civiltà di un popolo si misura dalle sue carceri anche in Piemonte c’è ancora molto da fare. Un approdo possibile solo attraverso una serie di investimenti da parte degli enti territoriali, "a partire dalla Regione, che può contribuire per la formazione". L’idea è di dar vita a percorsi di sinergia tra territorio e carceri anche a vantaggio delle comunità locali. Idea che comuni possano utilizzare forza lavoro dei detenuti che insistono su quel territorio.Anche perché le statistiche parlano chiaro: tra quei detenuti che non sono stati coinvolti in nessun percorso formativo o di reinserimento la possibilità di recidiva è del 67 per cento, cioè due su tre nel giro di poco tempo tornano dietro le sbarre. Una percentuale che si abbassa al 17 per cento per quelli che durante la detenzione hanno lavorato o studiato. Infine: "la Regione riprenda in mano la questione della Sanità penitenziaria, sostenga le Asl che hanno in carico i detenuti con progetti ad hoc, perché quella sì che rischia di diventare un’emergenza". Porto Azzurro (Li): detenuto ritrovato morto in cella, un altro è stato salvato dal suicidio Ansa, 6 agosto 2014 Un detenuto è stato trovato morto in cella nel carcere di Porto Azzurro, all’Isola d’Elba, e ancora non sono chiare le cause del decesso, mentre un altro recluso dello stesso penitenziario, albanese, è stato salvato dal suicidio dall’intervento degli agenti penitenziari. A dare notizia di entrambi gli episodi è il Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Il morto è un detenuto serbo di 40 anni: il decesso sarebbe avvenute nelle prime ore del mattino nella sua cella del reparto detentivo di Porto Azzurro. "Non sono ancora note le cause della morte del detenuto serbo la cui salma è a disposizione del magistrato, mentre quello albanese è stato salvato dai poliziotti che si sono accorti tempestivamente del suo tentativo di suicidio. Questi - spiega il segretario generale del Sappe Donato Capece - aveva creato una corda rudimentale con le lenzuola del letto e si era legato ai tubi del termosifone, che sono sul soffitto. Uno degli agenti lo ha sollevato per le gambe e ha chiamato in aiuto i colleghi per slegare la corda dal collo del detenuto. Professionalità, competenza e umanità ogni giorno contraddistinguono l’operato delle donne e degli uomini della polizia penitenziaria con tutti i detenuti per garantire una carcerazione umana ed attenta pur in presenza ormai da anni di oggettive difficoltà operative come il sovraffollamento, le gravi carenze di organico di poliziotti, le strutture spesso inadeguate". Lecce: rocambolesca fuga, detenuto rompe finestra ed evade dal reparto psichiatrico www.lecceprima.it, 6 agosto 2014 Mario Leone, 52enne di Leverano, si trovava all’Ospedale "Vito Fazzi". È riuscito ad eludere tutti i controlli. La palazzina è bassa e così il più è stato forzare l’imposta per poi allontanarsi. Sulle sue tracce carabinieri e polizia, ma per il momento nessuna traccia. Un momento di distrazione e Mario Leone ha preso il volo. Non proprio letteralmente, perché la palazzina è bassa, e in un modo meno cruento rispetto al finale di "Qualcuno volò sul nido del cuculo". Tuttavia, un rimando al capolavoro interpretato da Jack Nicholson ci potrebbe anche essere, visto che l’uomo era ricoverato nel reparto di psichiatria. Cinquantaduenne di Leverano, Leone era sottoposto agli arresti domiciliari, ma da qualche giorno ricoverato, avendo tentato un suicidio. È stato un medico ad accorgersi della sua assenza. Ha aperto la porta e, semplicemente, Leone non c’era più. Infrangendo un vetro, è riuscito fuggire, senza dare nell’occhio. Maglietta da pigiama estivo a maniche corte sopra, pantaloncini sotto, visto il clima sarà stato scambiato per un uomo qualunque vestito per la stagione. Era il primo pomeriggio, e di Leone davvero nessuna traccia. Sarà riuscito a guadagnare l’uscita principale in pochi minuti e a fuggire a piedi all’esterno. Il recinto dell’ospedale è immenso. Il medico ha avvisato il posto fisso di polizia che ha subito allertato chi di competenza: questura e carabinieri. In particolare, ovviamente, quelli della stazione del suo paese, dipendenti dalla compagnia di Campi Salentina. Sono i militari che procedono nelle indagini. Il più, per l’uomo, è stato forzare la finestra. Poi, gli è bastato scavalcare. Il reparto sorge in una palazzina bassa, di un piano, annessa all’edificio principale e non lontano dalla camera mortuaria. L’uomo ha precedenti, fra l’altro, per droga. Nel febbraio del 2011 fu arrestato per il possesso di 41 grammi di cocaina. Proprio da quelle manette, partì un’inchiesta più grande, l’operazione "The Tower", chiusa nel maggio del 2013 e in cui di recente vi sono stati anche nuovi verdetti. Della rocambolesca fuga è stato informato il pm di turno, Roberta Licci. Trieste: effetto "svuota carceri" al Coroneo, 20% dei detenuti in meno www.triesteprima.it, 6 agosto 2014 Mentre il dl "svuota carceri", stilato per assecondare le imposizioni della Corte Europea, diventa legge (il voto definitivo del Senato risale alla scorsa settimana), le carceri italiane hanno già iniziato lentamente a svuotarsi. Anche a Trieste: dai 242 detenuti ospitati nella Casa circondariale cittadina al 19 luglio 2013, si è scesi a quota 197 (-45). Un buon 20 per cento di persone in meno, quindi, e nonostante la struttura si trovi comunque in una situazione di sovraffollamento (la capienza prevista è di 159 persone), "la misura al momento sembra essere efficace", afferma il direttore Ottavio Casarano. "A seguito da quanto previsto dal dl n. 92 del 26 giugno del 2014 (dal 4 agosto convertito in legge, ndr), sono stati ordinati 5 concessioni agli arresti domiciliari, 14 scarcerazioni per revoca della misura cautelare e 9 rigetti di istanze per la revoca o sostituzione di misura cautelare. Ventisei, invece, le istanze presentate per la richiesta di risarcimento danni sotto forma monetaria o di decurtazione della pena". Risarcimenti per la realizzazione dei quali c’è qualche scetticismo: "Benché la norma ora lo preveda - commenta un avvocato - si tratta di una disposizione di difficile attuazione, perché bisogna attendere che qualcuno stabilisca dei parametri definiti per individuare quali siano oggettivamente le "condizioni disumane" da individuare nei diversi carceri". La legge Nella sentenza dell’8 agosto 2013 (la "sentenza Torreggiani") la Corte Europea dei diritti condanna l’Italia a pagare un risarcimento pari a 100 mila euro per sette detenuti perché obbligati in spazi ristretti per quasi 20 ore al giorno, violando l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il pronunciamento diventa una sentenza pilota. E sempre per lo stesso motivo, individuato dall’Ue come problema strutturale, la Corte Europea ha imposto al nostro Paese di adottare entro il 28 maggio 2014 una serie di provvedimenti in materia penitenziaria, previo il pagamento di pesanti sanzioni. La legge approvata in via definitiva dal Senato la scorsa settimana, dunque, muove ulteriormente verso la soluzione di una questione di vecchia data risalente, come affermato pure dall’ex ministra della Giustizia Annamaria Cancellieri, ancora agli anni ‘90. Un nodo in cui il sovraffollamento, causa di stress, contagio e diffusione delle malattie, è solo uno degli elementi evidenziati anche dal recente docu-web "Inside carceri" promosso l’anno scorso dall’associazione Antigone (www.insidecarceri.com) dal quale emerge come, salvo alcune eccezioni, l’apparato sembra lontano da quel compito rieducativo che gli spetterebbe. Risarcimenti Risarcimenti monetari pari a 8 euro per ogni giorno trascorso per chi ha già finito di scontare la pena (previo ricorso entro i primi sei mesi dalla scarcerazione) o un giorno in meno di pena per ogni dieci trascorsi in una situazione in cui è avvenuta la violazione del diritto a spazio e condizioni adeguate: sono alcuni dei contenuti previsti dal decreto appena tramutato in legge. Ai quali si aggiungono le nuove modalità di applicazione degli arresti domiciliari, l’impossibilità di ricorrere alla misura cautelare nei confronti degli imputati per i quali si prevede una pena non superiore ai tre anni, limitazioni della libertà personale tramutate in prosecuzione di percorsi rieducativi fino ai 25 anni per gli imputati e condannati minorenni che, nel corso dell’esecuzione, siano divenuti maggiorenni, nonché nuove disposizioni sull’impiego del personale del Corpo di polizia penitenziaria e dell’Amministrazione (aumento degli agenti e assistenti e diminuzione degli ispettori). Questa legge si aggiunge al precedente decreto "svuota carceri" incassato dal governo Letta e tramutato in legge nel febbraio 2014 (domiciliari con uso di braccialetti elettronici per pene entro i 18 mesi, riduzione delle pene per piccolo spaccio, espulsione degli immigrati per pene inferiori ai due anni). Lecce: manca braccialetto elettronico; niente domiciliari, detenuto resta in carcere Ansa, 6 agosto 2014 Sono stati arrestati insieme per procurata evasione e condannati a pene similari (due anni l’uno, due anni e quattro mesi l’altro), hanno ottenuto entrambi il beneficio degli arresti domiciliari, ma solo uno dei due è a casa: il complice è ancora rinchiuso nel carcere di Lecce perché sono finiti i braccialetti elettronici. La notizia è pubblicata dal Nuovo Quotidiano di Puglia nell’edizione leccese. Protagonista della vicenda sono Ivan Spedicati e Antonio Vitale, di 23 e 31 anni, entrambi di Surbo (Lecce), condannati per aver favorito l’evasione dal carcere di Padova di un moldavo, Sergei Vitali, di 30 anni, che stava scontando una condanna a 15 anni per aver ucciso con colpi di accetta un connazionale. A Spedicati i domiciliari sono stati concessi 20 giorni fa, quando c’era ancora disponibilità di braccialetti elettronici. A Vitale il beneficio è stato concesso alcuni giorni dopo ma non essendoci braccialetti elettronici è ancora in cella. Il suo legale, l’avv. Mario Ciardo, ha scritto alla direzione del carcere di Lecce facendo presente questa disparità di trattamento e la mancata ottemperanza della disposizione del giudice. Pavia: carcere di "Torre del Gallo, mancano sei infermieri di Arianna Filippini La Provincia Pavese, 6 agosto 2014 Dopo che nel giro di due settimane nella casa circondariale di Torre del Gallo un detenuto si è tolto la vita e un altro ha tentato il suicidio, ieri mattina una piccola delegazione del Pd, formata dal consigliere regionale Giuseppe Villani e dalla deputata Chiara Scuvera, ha fatto visita al penitenziario per valutare lo stato complessivo della struttura. "Questa visita - ha spiegato Villani - era in programma da tempo, perché volevamo verificare il funzionamento del nuovo padiglione, ma è stata resa indispensabile dai recenti avvenimenti". "La direttrice del carcere - ha detto Scuvera - ci ha assicurato che questi due drammatici episodi non sono legati al regime carcerario dei detenuti, ma vanno piuttosto ricondotti alle loro complesse situazioni personali. Un’ulteriore democratizzazione delle pene è fondamentale per scongiurare fatti del genere e abbiamo notato con piacere che la direzione, il personale e i volontari operano sulla base di questi stessi principi". La visita della delegazione Pd è cominciata alle 10.30 e si è conclusa poco prima delle 12. Villani e Scuvera si sono intrattenuti con gli agenti di polizia penitenziaria, con i medici e con alcuni detenuti"., Abbiamo constatato un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione carceraria - spiega Villani - Il numero dei detenuti, che qualche anno fa superava di molto quota 600, è sceso ora a 585 unità: il nuovo padiglione ospita 240 persone, a fronte di una capienza di 300, mentre il sovraffollamento è limitato all’ala vecchia. Una situazione che speriamo possa risolversi a breve". "Oltre ad una strutturale carenza di agenti e di investigatori, il vero dramma di Torre del Gallo è l’emergenza sanitaria - ha continuato il consigliere - in tutta la struttura ci sono solo due medici: uno in servizio 24 ore su 24, l’altro fino alle 18. L’aspetto sanitario compete alla Regione: mi impegnerò personalmente perché questa situazione possa cambiare". La carenza di personale non risparmia nemmeno gli infermieri: nel carcere pavese sono 12, ma dovrebbero essere almeno 18. Con questi numeri i servizi essenziali, come la somministrazione di medicinali e i prelievi, procedono a rilento. "In qualità di amministratori - ha concluso Scuvera - il nostro imperativo è adoperarci per la ridistribuzione del personale a seconda delle esigenze delle varie strutture. Torre del Gallo è destinata a diventare un polo psichiatrico e già oggi ospita detenuti con particolari condizioni di fragilità. Senza personale adeguato è impossibile garantire un’esecuzione umana della pena, in linea con quanto previsto dal provvedimento che è stato banalmente definito "svuota carceri", ma è ispirato a principi fondamentali come la rieducazione e il reinserimento". Sulmona: detenuto denunciato per atti osceni in luogo pubblico… e un po’ di amore in più di Maria Trozzi www.report-age.com, 6 agosto 2014 Per atti osceni in luogo pubblico, nelle Casa di reclusione di via Lamaccio a Sulmona, è stato denunciato un detenuto di origine pugliese. Secondo indiscrezioni, nel corso di un colloquio con la moglie, la scorsa settimana, il carcerato avrebbe esagerato nel riservare certe attenzioni alla donna proprio nell’affollato parlatorio dell’istituto, durante la visita settimanale e per di più con altri parenti della coppia presenti all’incontro appassionato. Accade in mattinata, nell’orario di visita dei familiari, è una di quelle 6 ore preziose che sarebbero concesse, ogni mese, al detenuto e ai suoi parenti. Cosa possono rappresentare un pugno di ore per chi ha tanto da dirsi e da troppo tempo sta dentro? A Sulmona il problema è evidente, ma non ancora s’interviene. Altrove intanto la stanza dell’affettività di Bollate (Mi) fa scuola, ma non ci sono altri alunni tra i dirigenti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria? Ci sono 160 ergastolani nel carcere sulmonese e tanti altri, dentro quelle mura, devono scontare pene lunghissime, parliamo di oltre 500 rinchiusi nel carcere peligno e gli affetti familiari si garantiscono col contagocce. Discorso a parte per chi lavora lì dentro. I fatti. A starle tanto vicino qualsiasi uomo avrebbe difficoltà a tenersi. Questa è la compagna di vita di un detenuto ristretto nel carcere di Sulmona, sua moglie è una donna affascinante e l’ascolta al telefono per pochi minuti a settimana e quando è l’ora se l’abbraccia in quella manciata di ore di colloquio garantite al mese. Lei non salta un incontro e lui non riesce proprio a trattenersi quando ce l’ha di fronte, tanta bellezza non può lasciarlo indifferente. Il sentimento li ha uniti in matrimonio e l’amore li lega nonostante tutto. Insieme per sempre, ma da anni lui è rinchiuso, per i suoi legami con la criminalità organizzata, da tempo ormai non ha più rapporti intimi con quella creatura, così la guarda, la sfiora e poi? Poi una carezza tira l’altra e non riesce più a fermarsi all’ultimo incontro. I parenti che accompagnano la signora, impacciati, quasi sembrano proteggerli in principio. Guardare e non toccare resta fin troppo difficile in quelle condizioni, da tanto lui è dietro le sbarre e quelle attenzioni particolari, tenerezze rivolte alla sua donna, si fanno sentire sempre più profonde, intime e inconfessabili. Proprio non arriva a trattenersi davanti a tutti. Nella sala non ci sono solo loro, una quindicina di persone assistono confuse, imbarazzate. Sono quelle che gravitano attorno alle altre 5 postazioni del parlatorio per l’ora di ricevimento, sono tutti familiari di detenuti e ci sono anche dei bambini in quello spazio affollato, a stento conquistato dopo un’estenuante attesa davanti al cancello e in fila. La coppia purtroppo crea imbarazzo quando l’uomo la stringe e la tocca. Ha una quarantina d’anni lei, è vestita a modo, ma qualsiasi cosa indossasse, anche una tunica, non cancellerebbe la sua grazia. Lui pugliese va per la cinquantina, con una lunga detenzione alle spalle e all’orizzonte. Nemmeno mezzogiorno su via Lamaccio n. 1, il caldo si fa sentire alla testa anche se il locale è al fresco. All’esterno della sala ricevimento gli agenti si accorgono della situazione e la Polizia penitenziaria deve intervenire quando la mano del detenuto, sulla moglie, dopo il seno e i fianchi scivola giù, sulle parti intime, arriva là dove non sarebbe il caso di azzardare e insistere tanto, almeno in pubblico. Così scatta la denuncia per atti osceni in luogo pubblico di cui l’uomo dovrà rispondere dinanzi ad un giudice. Lui riconosce la sua colpa e accetta di buon grado, ammette tutto e chiede anche scusa agli agenti per quanto accaduto, per quel che ha fatto. Così nel carcere di via Lamaccio, a Sulmona, si ripropone il problema dell’affettività in carcere, soprattutto tra coniugi e dell’amore tra le sbarre che, il secolo scorso, mobilitò l’amministrazione penitenziaria per metter su un progetto, rimasto al palo, che coinvolse anche grandi direttori come Armida Miserere. Sarà una coincidenza, ma proprio in questi giorni da Ristretti.it i familiari di tantissimi detenuti lanciano una petizione on line Per qualche metro e un po’ di amore in più e si mobilitano per chiedere all’Europa di occuparsi anche di loro invitando l’Italia a introdurre misure nuove ed efficaci per tutelarli: "L’Europa non si può accontentare dei 3 metri di spazio a detenuto per decretare che le nostre carceri non sono più disumane, lo sono eccome, scrivono i parenti dei ristretti e invitano ad aderire all’iniziativa. Le condizioni sono disumane in particolare per come trattano i famigliari dei detenuti: 6 ore al mese di colloqui e 10 miserabili minuti a settimana di telefonata, spazi per gli incontri spesso tristi e affollati, attese lunghe, estenuanti, umilianti". In tutte le carceri italiane raccoglieranno migliaia di firme, entro il 24 dicembre 2014, questo per un po’ di amore in più. A sostenerli è anche la redazione di Ristretti Orizzonti. C’è dell’altro se, nel 2010, l’allora Sottosegretaria alla Giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, sosteneva la necessità di occuparsi anche della vita sessuale dei detenuti: "Una persona repressa nel suo istinto naturale e sessuale può avere qualche altra polarizzazione sessuale, magari anche non desiderata, o addirittura imposta dall’ambiente. Bisognerebbe predisporre delle stanze nelle quali poter incontrare il marito/la moglie per un intrattenimento di carattere sessuale-affettivo. Riserverei a questi incontri lo stesso tempo dedicato ai colloqui con la famiglia, diciamo un’oretta". Di diverso avviso un sindacato di Polizia penitenziaria: "Gli agenti non sono baby sitter o guardoni di Stato" è la reazione smodata del Sappe alle dichiarazioni della sottosegretaria. Dal 1985, le Direttive europee consigliano un impegno per la tutela dell’intimità ai carcerati e sollecitano gli Stati membri dell’Ue. Già ai tempi dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, in Russia, sperimentarono questa possibilità e così intraprendono, più tardi, la stessa strada anche altri Paesi: Austria, Danimarca, Finlandia, Germania, Norvegia, Olanda, Spagna, Svezia (dove è permesso incontrare fidanzati e familiari in piccoli appartamenti all’interno degli istituti di pena) e l’Italia? Nel 1998 è il Ministro di grazia e giustizia, Oliviero Diliberto, a prendere posizione sul problema poi passato nelle mani dei dirigenti degli istituti. Nel 1999 si parla, nella penisola, di un nuovo Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario e della previsione, per i detenuti, di contatti affettivi con i familiari: 12 incontri di 24 ore in apposite unità abitative, senza sorveglianza a vista, per chi non è lontano dal fine pena. Non si tratta però dei colloqui intimi previsti già in altri Paesi europei. "Il tentativo di ricostruire il nucleo e il clima familiare, sia pure all’ interno dell’ istituto "chiarisce a quei tempi il sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone che ne parla in una intervista al Corriere della Sera il 24 settembre. Sull’esempio delle case-famiglia della cattolicissima Spagna, in provincia di Milano, a Bollate, il direttore del penitenziario milanese Lucia Castellano, per circa 10 anni, organizza e garantisce la stanza dell’affettività. Si tratta di una vera e propria casa in cui alcuni genitori detenuti possono effettuare colloqui straordinari, oltre gli ordinari. La stanza è pensata per evitare il trauma dell’ambiente carcerario ai bambini più piccoli e quindi favorire un rapporto più sereno tra il genitore detenuto e la propria famiglia. La famiglia che si riunisce nella stanza ha la possibilità di cucinare, consumare un pasto insieme, giocare o fare i compiti con i bambini. Gli incontri durano circa 4 ore e sono controllati con videocamere a circuito chiuso, evitando così la presenza fisica dell’agente. Il servizio viene attivato su proposta dell’educatore o dell’assistente sociale che segue il detenuto. Una equipe di psicologi offre un supporto alla famiglia, con possibilità di colloqui di sostegno. Il progetto è finanziato dalla Provincia di Milano e gestito da un’associazione. Stati Uniti: pena di morte, prima esecuzione un mese dopo "tortura" per mix sperimentale Agi, 6 agosto 2014 Prima esecuzione negli Stati Uniti, dopo il caso dell’uomo morto il mese scorso dopo una lunga agonia per un problema con il siero sperimentale dell’iniezione letale. Questa volta la combinazione di farmaci ha funzionato e Michael Worthington, condannato per lo stupro e l’omicidio di una donna nel 1995, "è stato pronunciato morto alle 00:11", dieci minuti dopo la somministrazione dell’iniezione letale, hanno riferito i funzionari del carcere del Missouri. Worthington aveva confessato la violenza sessuale e l’omicidio della sua vicina di casa e aveva detto di essere sotto l’influenza di cocaina e alcol. Lo scorso 23 luglio, Joseph Wood, condannato alla pena capitale per duplice omicidio, è morto dopo due ore di agonia e 15 dosi di un nuovo cocktail di farmaci non testato, utilizzato negli Usa dopo lo stop dell’export dei farmaci ‘tradizionali’ dall’Europa. Quella di Wood è stata la terza esecuzione quest’anno che si è trasformata in tortura. Iran: 11 morti in incendio scoppiato in carcere nel centro del Paese La Presse, 6 agosto 2014 Undici detenuti sono morti nell’Iran centrale nel corso di un incendio scoppiato in una prigione. Lo riporta l’agenzia di stampa ufficiale Irna, citando un funzionario giudiziario locale, Abdullah Mousavi, il quale ha precisato che le vittime sono morte per inalazione di fumo. Le cause dell’incendio alla prigione di Shahr-e Kord sono ancora sotto investigazione, ha aggiunto Mousavi, affermando che ora la situazione è sotto controllo. Tuttavia, l’agenzia semi-ufficiale Isna riporta che "le videocamere della prigione hanno registrato l’inizio dell’incendio, innescato intenzionalmente da una persona, che è sopravvissuta ed è stata identificata". Secondo i media iraniani ci sarebbero numerosi feriti. Tunisia: definisce "insignificante" il presidente della Repubblica, 16 mesi di reclusione Nova, 6 agosto 2014 Un cittadino tunisino di 39 anni è stato condannato dal tribunale di prima istanza di Tunisi a 16 mesi di carcere per aver definito il presidente della Repubblica, Moncef Marzouki, "Tartour", che significa "personaggio insignificante". Dei sedici mesi di reclusione, otto sono stati comminati all'uomo per aver pubblicamente insultato l'agente di polizia che, dopo le sue dichiarazioni, lo ha arrestato.