Giustizia: un decreto-carceri approvato sotto dettatura dei magistrati di Enrico Novi Il Garantista, 5 agosto 2014 Il ministro della Giustizia Orlando impone il voto di fiducia sul decreto carceri, che passa al Senato: ora il provvedimento è legge. Ma con la forzatura di sabato scorso è stata cancellata la modifica approvata dalla commissione Giustizia del Senato, che aveva eliminato la norma sui Tribunali di Sorveglianza affidati ai giudici ragazzini. Il governo aveva mostrato molta più disponibilità, quando si era trattato di accogliere le rettifiche imposte, alla Camera, dall’Anm. A inizio seduta i senatori di opposizione sono assaliti da quelli che il ragionier Fantozzi definirebbe "vaghissimi sospetti". Le voci di un maxiemendamento dell’esecutivo sul decreto carceri circolano già da giovedì. Poi una passeggiata per i corridoi di Palazzo Madama toglie ogni dubbio: molti colleghi di maggioranza sono arrivati armati di trolley, pronti a volare verso una domenica di relax. Due indizi bastano in questo caso a fare una prova: il provvedimento sui detenuti sarà risolto con maxiemendamento governativo e fiducia, niente discussioni lunghe. Così il calendario, già alleggerito dal "canguro", si libera. E lascia spazio per un mini week end, prima dello sprint sulla riforma costituzionale. Così è: a un’oretta dall’inizio dell’esame in aula il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi comunica che l’esecutivo pone la fiducia sul decreto detenuti. Proteste dell’opposizione, uno striscione vecchia maniera della curva leghista ("Il governo sta dalla parte dei criminali"). Contestuale comunicazione che la capigruppo ha revocato a maggioranza la seduta fissata, con orario 9-24, anche per oggi. Altre proteste, stavolta soprattutto del capogruppo cinque stelle Vito Petrocelli. I suoi fotografano i trolley e li postano sul blog di Grillo. Ma finisce secondo previsioni: la fiducia viene votata e il decreto è convertito in legge, con 162 favorevoli, 39 contrari e nessun astenuto. Due obiettivi in un colpo solo, per Renzi. Evitare di stressare ulteriormente un’aula attesa dalla fase finale dell’esame sulla riforma della Costituzione. E tagliare corto sulla questione carceri, diventata fastidiosissima per il premier e il guardasigilli Orlando, dopo l’emendamento fatto passare dalle opposizioni in commissione Giustizia. Una modifica che avrebbe costretto a sottoporre di nuovo il provvedimento all’esame di Montecitorio, con il rischio di vederlo decadere. Disciplina ripristinata, rapporti di forza chiariti. Anche se a costo di insistere su un decreto carceri che rischia di essere bocciato in sede europea, per l’esiguità del risarcimento da 8 euro al giorno. E con la possibilità che la Consulta lo dichiari incostituzionale, dopo i dubbi sollevati dal Csm. Riforme, si tratta D’altronde l’aula si presenta vuota per un terzo, segno che le voci sulla fiducia sono considerate sufficientemente affidabili da indurre a un’ampia diserzione. Il riflettori si spostano subito sulle riforme. Partita in cui resta da definire ancora qualche nodo. Potrebbe essere perfezionato l’armistizio tra Pd e Sei, dopo il ritorno in aula dei vendoliani. Sul tavolo c’è la disponibilità offerta dal ministro Boschi per "modifiche migliorative sugli articoli del ddl di riforma che vanno dal 2 al 40". Le concessioni potrebbero estendersi fino alla soppressione dell’immunità. Con una valvola di sicurezza: se saltasse la trattativa il premier potrebbe additare all’opinione pubblica chi ha causato la sopravvivenza del privilegio. Dopodiché il vero punto di caduta dell’accordo resta la legge elettorale. Il partito del governatore pugliese chiede soglie di sbarramento meno severe. È lì lo snodo che può consentire di arrivare alla "quadra" sull’italicum. Lo strappo Intanto il combinato disposto tra la norma canguro e la determinazione cieca di Renzi riportano l’equilibrio in favore dell’esecutivo. Che riesce a liquidare in tempi più rapidi del previsto anche l’insidiosa questione del decreto detenuti. Un po’ la scena iniziale inganna. Perché il Pd Beppe Lumia fa un discorso spiazzante. Del tipo: "Sull’impiego dei magistrati appena vincitori di concorso nei tribunali di sorveglianza sono emerse molte perplessità". E vero che all’inizio dell’esame in Commissione anche il relatore democratico Felice Casson aveva espresso dubbi. Poi però è bastato che il viceministro Costa inarcasse le sopracciglia perché lo stesso Casson desistesse. Tanto da limitarsi a uscire dall’auletta al momento del voto. A governo battuto, Lumia se l’è presa con l’unico senatore di maggioranza ad aver votato l’emendamento, Susta di Scelta civica. Perciò a sentirgli pronunciare quell’"abbiamo espresso perplessità" per un attimo fa pensare che la fiducia e il ritorno al testo della Camera non siano scontati. Invece finisce proprio così. Con Orlando che rivendica la necessità del decreto detenuti di fronte agli impegni assunti in Europa dopo la sentenza Torreggiani: "Dobbiamo evitare il rischio di una condanna europea sulle carceri nel pieno del semestre di presidenza italiano". Viene dunque ripristinata e approvata la versione del provvedimento in cui compare anche la norma sui giovani magistrati di sorveglianza. Ma lo stesso Orlando si impegna a riproporne l’eliminazione "nel primo provvedimento utile". Nessun ripensamento, neppure postumo, sul risarcimento da 8 euro a chi è detenuto "in condizioni inumane e degradanti". È il vero cuore del provvedimento. Un ristoro che il Csm ha bocciato come insufficiente e iniquo, addirittura a rischio incostituzionalità. Ma anche su questo il governo tira dritto. C’è da piantare la bandiera delle riforme, e la piccola bandierina delle carceri rischiava di essere un intralcio. Che poi da qui a qualche mese il Consiglio d’Europa possa sollevare obiezioni sulla "idoneità" della misura, o che la Corte costituzionale italiana possa cancellarla, è problema che ci si porrà dopo. Giustizia: il ministro Orlando; responsabilità dei magistrati, si amplia l’area di intervento Dire, 5 agosto 2014 "Un corretto funzionamento della responsabilità civile dei magistrati costituisce un fondamentale strumento per la tutela dei cittadini ed un necessario corollario all’indipendenza ed all’autonomia della magistratura". È quanto si legge nelle linee guida della riforma della giustizia pubblicate sul sito del ministero dal Guardasigilli, Andrea Orlando. Tra i punti individuati l’ampliamento dell’area di responsabilità e il superamento del filtro. "Il meccanismo previsto dalla legge Vassalli adottato in esito al referendum abrogativo del 1987 ha funzionato in modo assolutamente limitato. La legge, infatti, pur condivisibile nell’impianto, prevede una serie di limitazioni per il ricorrente che, di fatto, finiscono per impedire l’accesso a questo tipo di rimedio e rendono poi aleatoria la concreta rivalsa sul magistrato ritenuto eventualmente responsabile", prosegue la scheda. Si tratta, quindi, "d’intervenire per rendere effettivo questo strumento. Un’ulteriore esigenza di intervento è rappresentata dalle pronunce della Corte Europea di Giustizia, che sollecita una maggiore effettività nelle procedure previste per il riconoscimento delle responsabilità conseguenti alla errata applicazione del diritto comunitario da parte del giudice", ricorda il ministero della Giustizia. Ecco i punti di riforma segnalati dal Guardasigilli, Andrea Orlando, nelle linee guida. Ampliamento dell’area di responsabilità L’intervento sull’attuale disciplina di settore riguarda in primo luogo il profilo dell’ampliamento dell’area di responsabilità su cui possa far leva chi è pregiudicato dal cattivo uso del potere giudiziario, in linea con il diritto dell’Unione europea che include le ipotesi di violazione manifesta delle norme applicate ovvero manifesto errore nella rilevazione dei fatti e delle prove. In secondo luogo la responsabilità sarà estesa, nella ricorrenza dei medesimi presupposti, al magistrato onorario. I giudici popolari resteranno responsabili nei soli casi di dolo. Superamento del filtro Uno degli obiettivi del progetto è il superamento di ogni ostacolo frapposto all’azione di rivalsa, nei confronti del magistrato, che lo Stato dovrà esercitare a seguito dell’avvenuta riparazione del pregiudizio subito in conseguenza dello svolgimento dell’attività giudiziaria. Certezza della rivalsa nei confronti del magistrato L’azione di rivalsa nei confronti del magistrato, esercitabile quando la violazione risulti essere stata determinata da negligenza inescusabile, diverrà obbligatoria. Incremento della soglia della rivalsa Sarà innalzata la soglia dell’azione di rivalsa, attualmente fissata, fuori dei casi di dolo, a un terzo dell’annualità dello stipendio del magistrato: il limite verrà incrementato fino alla metà della medesima annualità. Resterà ferma l’assenza di limite all’azione di rivalsa nell’ipotesi di dolo. Coordinamento con la responsabilità disciplinare Saranno rafforzati i rapporti tra la responsabilità civile del magistrato e quella disciplinare. Giustizia: responsabilità civile dei magistrati con obbligo di rivalsa per lo Stato di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 5 agosto 2014 Le linee guida del governo criticate dall’Anm. Il meccanismo cambierà: potrà colpire fino a metà stipendio. Nel piano anche le primarie per ridurre il peso delle correnti nel Csm. Ci sono troppe limitazioni all’attuale meccanismo della responsabilità civile dei magistrati, che lo rendono pressoché inapplicabile. Quindi la legge va cambiata, ma tenendo fermo un principio base: impedire l’azione diretta del cittadino che si ritiene danneggiato contro il giudice o il pubblico ministero autori del presunto danno. Due mesi fa la Camera ha approvato, con voto segreto e un cospicuo numero di "franchi tiratori", un emendamento che stabilisce l’esatto contrario, ma il governo insiste nel mantenere questo impianto. L’ipotetica vittima dell’errore derivante da dolo, colpa grave o "inescusabile negligenza" di una toga, potrà fare causa allo Stato e solo successivamente scatterà la rivalsa dell’istituzione sul magistrato. Le linee guida È su questo secondo passaggio che il Guardasigilli Andrea Orlando vuole inserire dei cambiamenti per rendere applicabile la legge varata dopo il referendum che nel 1987 mirava a introdurre la responsabilità civile dei giudici. Il progetto è racchiuso in un elenco di "linee guida" da discutere prima di arrivare al disegno di legge vero e proprio, da ieri consultabile sul sito Internet del ministero del Giustizia. Rispetto alla norma attuale sono previste tre principali novità: l’ampliamento dell’area della responsabilità; il superamento del filtro sull’azione di rivalsa dello Stato, che diventa obbligatoria; l’aumento dell’entità economica della rivalsa, che da un terzo dello stipendio può arrivare fino alla metà. Inoltre si mira ad inserire una più stretta relazione tra responsabilità disciplinare e civile, e la riforma riguarderà non solo i magistrati ordinari ma anche quelli onorari. L’ampliamento immaginato dal ministro Orlando prevede che il "cattivo uso del potere giudiziario" contro cui il cittadino può intentare una causa (allo Stato) comprenda anche le "ipotesi di violazione manifesta delle norme applicate, ovvero il manifesto errore nella rilevazione dei fatti e delle prove". Si tratta di un’enunciazione piuttosto generica, che può cambiare significato a seconda che venga tradotta in nome più o meno stringenti, che potrebbero intaccare il "tabù" dell’interpretazione del diritto e e della valutazione del fatto e delle prove, che attualmente non possono dar luogo a responsabilità del magistrato. Le altre modifiche Più chiare e di diretta applicazione le altre modifiche. Dall’eliminazione del filtro esercitato dalle Corti d’appello, che in un quarto di secolo ha pressoché impedito la rivalsa dello Stato su giudici e pm, alla sua obbligatorietà dopo un verdetto che abbia accertato la "negligenza inescusabile" del magistrato come causa del danno subito dal cittadino. Chiaro anche l’aumento da un terzo alla metà dello stipendio della quota massima che il magistrato dovrà restituire in caso di risarcimento dovuto alla condanna. La riforma del Consiglio Con le idee relative alla responsabilità civile, che hanno già suscitato qualche perplessità nell’Associazione nazionale magistrati, Orlando ha colmato (sempre nei limiti delle enunciazioni di principio) sei dei dodici punti in cui si dovrebbe articolare la grande riforma della giustizia annunciata in coppia con il premier il 30 giugno scorso. Restano quelli più delicati e forieri di contrasti: dai mutamenti nel processo penale (a cominciare dalla prescrizione) alle intercettazioni, fino alla riorganizzazione del Consiglio superiore della magistratura sotto vari aspetti: separazione tra chi nomina e chi giudica, nuovo sistema elettorale. Su quest’ultimo punto, entro agosto da Via Arenula dovrebbero riempire la casella di qualche contenuto. L’obiettivo è ridurre il condizionamento delle correnti del Csm (sebbene suoni un po’ paradossale per un dicastero con un sottosegretario magistrato e capo carismatico di una corrente: Cosimo Ferri, già leader di Magistratura indipendente), forse attraverso l’obbligo di elezioni primarie, che potrebbero poi sfociare in una lista unica, comprensiva di tutti i vincitori. Ma una proposta organica e definitiva non è ancora pronta. La direzione delle carceri Entro Ferragosto il ministro dovrebbe anche provvedere alla nomina del nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Dall’inizio dell’estate le carceri sono senza un direttore generale, situazione poco adeguata a un settore sempre sull’orlo della crisi. Nell’ultimo anno il sovraffollamento s’è ridotto di circa 10.000 unità grazie agli interventi messi in campo dal ministro Cancellieri, col precedente governo, proseguiti e integrati da Orlando, arrivando a 54.400 detenuti: una cifra che si sta avvicinando alla soglia "tollerabile", sebbene restino situazioni di forte criticità. Per questo c’è bisogno di una guida certa, che però il Guardasigilli non ha ancora individuato nella rosa di nomi che gli sono stati sottoposti. Giustizia: magistrati, indipendenza non è impunità di Massimo Adinolfi Il Mattino, 5 agosto 2014 Mettere mano al delicatissimo tema della responsabilità civile dei giudici, a quanto pare, finalmente, si può fare. Con la pubblicazione della bozza di riforma da parte del Ministero della Giustizia, sembra prendere concretamente avvio un’azione riformatrice che si annuncia incisiva e coraggiosa. Oltre che, diciamolo, doverosa. Naturalmente bisognerà aspettare che la riforma vada in porto - che cioè diventi legge - ma perlomeno è chiara fin d’ora l’intenzione del governo di fare sul serio. In tema di responsabilità civile dei giudici - cioè della possibilità per il cittadino di essere risarcito per "cattivo uso del potere giudiziario" - sul serio, finora, non si era fatto. Vi fu un referendum, promosso e vinto dai radicali, ma poco dopo intervenne una legge - la legge Vassalli del 1988 - che di fatto vanificò l’esito referendario. Come correttamente spiega oggi il ministero, nei venticinque anni successivi alla sua introduzione la legge ha funzionato "in modo assolutamente limitato", perché essa "prevede una serie di limitazioni per il ricorrente, che finiscono per impedire l’accesso a questo tipo di rimedio e rendono poi aleatoria la concreta rivalsa sul magistrato". In termini appena più espliciti: preoccupata di garantire l’indipendenza del magistrato, la legge non assicurava affatto al cittadino la possibilità di ricorrere contro le ingiustizie subite. Il numero assolutamente ridicolo di ricorsi andati a buon fine sta lì a dimostrarlo. E oggi il ministero ne prende atto. Nelle linee guida predisposte dal ministro Orlando, è invece perseguito con chiarezza l’obiettivo di rendere effettiva, non più velleitaria, l’azione di risarcimento. Questo non vuol dire che l’indipendenza del magistrato verrà compromessa, ma che non verrà più scambiata per irresponsabilità o, peggio, impunità - come nei fatti è finora accaduto. La riforma promossa dal ministro della giustizia non prevede la possibilità di agire direttamente contro il magistrato per dolo o colpa grave: sarà dunque lo Stato a rivalersi a seguito dell’azione intentata dal cittadino; ma, per un verso, cadono i paletti posti finora all’ammissibilità dei ricorsi, e, per l’altro, lo Stato è tenuto d’ora innanzi a procedere contro il magistrato in caso di "negligenze inescusabili". Si ampliano poi le ipotesi in cui può essere intentata causa: non solo dolo e colpa grave, ma anche "violazione manifesta delle norme applicate" e "manifesto errore nella rilevazione dei fatti e delle prove". Si tratta di un ampliamento significativo, che rende meno opinabile e sfuggente l’individuazione delle responsabilità, poiché ne àncora la determinazione a condotte sufficientemente tipizzate perché possano essere riconosciute nella loro oggettività. Come dire: le norme ci sono, il magistrato le conosce e non può non applicarle, senza rispondere della mancata applicazione. Lo stesso dicasi quando è conclamata la negligenza riguardo al rilevamento dei fatti. Accampare in maniera pretestuosa la discrezionalità del magistrato diviene ora più difficile. Non viene certo compromesso il principio: tocca sempre al magistrato valutare fatti e circostanze, ma non si può fare come se non ci fossero leggi, fatti o prove. Più in alto della discrezionalità e del libero convincimento del singolo magistrato sta l’evidenza di ciò che è "manifesto": neppure un giudice, insomma, può negarlo senza risponderne. Insomma, a guardare i lineamenti della riforma messa finalmente in cantiere, qualcosa finalmente si muove anche nel pianeta più refrattario ai cambiamenti: quello, appunto, della giustizia. Bisogna ora che il governo dimostri di avere la forza politica per portare a casa il risultato. Perché le resistenze non mancano e non mancheranno. Per ora si esprimono in forma di distinguo, di qualche solenne affermazione di principio, di valutazioni circospette e di attese prudenti. In fondo, che l’Associazione nazionale magistrati, per bocca del suo segretario Sabelli, trovi il modo di soffermarsi non solo sul rischio delle "cause strumentali", sollevate cioè con l’obiettivo di intimidire i magistrati, ma anche su aspetti tutto sommato marginali, come l’elevamento della soglia economica della rivalsa, che nel testo della riforma passa da un terzo a metà dello stipendio annuale del magistrato, prova l’attenzione occhiuta che verrà prestata a tutti i punti della riforma, nessuno escluso. La strada è dunque ancora lunga, ma per la prima volta si vede la possibilità di mettere la parola fine a una storia lunga un quarto di secolo. E chissà che a chiuderla non possa essere la morale che tirava Esopo in una sua favola: quando in uno Stato regna la giustizia e i giudici la rispettano, anche i deboli possono vivere tranquilli. Giustizia: Orlando; la responsabilità civile dei giudici non sarà un meccanismo punitivo di Francesco Grignetti La Stampa, 5 agosto 2014 Entra nel vivo la riforma della giustizia. Il Guardasigilli Andrea Orlando in settimana incontrerà i parlamentari delle commissioni Giustizia di maggioranza e poi quelli di opposizione per discutere della prima tranche della riforma. In questa intervista il ministro spiega che per lui i risultati dei primi incontri, quelli con la maggioranza, saranno "impegnativi", senza chiudere però agli apporti costruttivi delle opposizioni. Ministro, di che cosa discuterete? "Dei dodici capitoli in cui è composta la riforma della giustizia, ora è il momento di approfondire i temi di cui abbiamo pubblicato le schede sul nostro sito e su cui è già aperta la consultazione popolare on-line. Vogliamo evitare una discussione onnicomprensiva, che diventerebbe subito difficile, e restare ancorati al merito delle proposte sui singoli temi. Vorrei si mantenesse il rilievo che finora è stato dato al processo civile ad esempio, un tema fondamentale da affrontare dopo i buoni risultati dell’innovazione prodotta dal processo civile telematico. Ritengo che su questi temi, così come sulle proposte per fronteggiare la criminalità economica ed organizzata, ci sia una buona condivisione di partenza. Su altri temi (ad esempio i tempi delle prescrizioni ndr) le distanze sono più importanti. Ci sarà da fare più lavoro". Il tema della responsabilità civile dei magistrati, per dire, è uno di quelli più controversi. Giusto ieri avete reso pubblico lo schema della riforma. Ci sarà anche questo nei colloqui? "Preferirei, in questo primo giro, affrontare le proposte più strettamente legate a come incide la giustizia sull’economia, il civile e gli strumenti per la lotta alla criminalità economica. Voglio riservare la parte ordinamentale ad un secondo passaggio". Ci spiega come dovrebbe essere, secondo il governo, il nuovo meccanismo della responsabilità civile dei giudici? "Innanzitutto non dovrà essere un meccanismo punitivo. E non sarà una riforma né pro, né contro. Partendo dal principio che riteniamo sbagliata la rivalsa diretta del cittadino contro il magistrato, così come era nel famoso emendamento Pini. Dico così perché penso che quel meccanismo porterebbe a un pericoloso conformismo giudiziario, in grado persino di minare l’efficacia e la credibilità dei diversi gradi di giudizio. L’impianto della legge Vassalli è condivisibile ma va rivisto il suo funzionamento. Va eliminato il tappo all’entrata, ossia il filtro che in modo sommario porta a respingere molti ricorsi dei cittadini. Vanno ampliate le fattispecie di responsabilità da parte dello Stato nei confronti del cittadino, recependo le indicazioni della corte europea. Va garantita un’effettiva rivalsa su chi ha sbagliato gravemente. Il punto è di offrire al cittadino una nuova garanzia, che finora nel nostro ordinamento ha funzionato solo molto parzialmente. Chi avvia un ricorso deve sapere che avrà una risposta nel merito e che non ci sono blocchi invisibili, che c’è un giudice più accessibile per chi subisce un danno ingiusto". E lei, ministro, pensa che questo meccanismo troverà tutti d’accordo? Al Senato si sono scannati per settimane, tra destra e sinistra, sui valori delle possibili rivalse. "Sicuramente devono essere più significative di quelle previste oggi. Si può passare da un terzo a metà dell’annualità dello stipendio del magistrato, restando fermo che non c’è limite nell’ipotesi di dolo". Di tutto questo parlerete con gli alleati. Ma Forza Italia come la considerate? "Come una forza di opposizione che ha scelto il confronto, così come mi auguro facciano altre forze. Mi pare che il presidente del Consiglio abbia appena risposto con chiarezza a questa stessa domanda. Noi, a monte, abbiamo deciso che la riforma della giustizia si farà con leggi ordinarie e non costituzionali. Quindi le procedure parlamentari e le maggioranze necessarie sono diverse. E anche il metodo di lavoro. Un conto sono le riforme istituzionali. Altro la giustizia. Qui stiamo procedendo pubblicando una scheda alla volta, su ognuna chiedendo il parere ai cittadini con la consultazione on-line, poi discutendo con le forze politiche, innanzitutto di maggioranza per trovare una posizione comune. Poi allargando il confronto alle opposizioni, con cui spero di trovare delle intese sulle questioni di merito, e in ultimo presentando gli articolati. Lavoreremo tutto agosto; entro il 20 conto di avere pubblicato tutte le schede e a settembre avremo pronti gli articolati. Utilizzando la legge ordinaria la strada è diversa da quella delle riforme costituzionali". Eppure le due riforme s’intersecano inevitabilmente. Come sarà il futuro Consiglio superiore della magistratura? E chi, tra Camera e nuovo Senato, ne voterà i rappresentanti di nomina parlamentare? "La proposta del governo è molto chiara: i membri del Csm di scelta parlamentare continueranno a essere votati da Camera e Senato riuniti in sede congiunta. Quanto al Csm, stiamo ragionando sui diversi sistemi elettorali per attenuare il peso delle correnti nella scelta dei capi degli uffici. Così come vogliamo distinguere più nettamente la funzione amministrativa da quella disciplinare: chi decide di promuovere un dato giudice non può essere lo stesso che poi decide su un eventuale illecito disciplinare dello stesso magistrato". Giustizia: Sabelli (Anm) adesso ci aspettiamo una pioggia di ricorsi di Liana Milella La Repubblica, 5 agosto 2014 Che vi sia una stretta sui magistrati mi pare evidente. Il ministro sa come la pensiamo. Si discute da 20 anni, sembra più urgente questo tema della riforma del processo. Preoccupato? "Beh... la stretta mi pare evidente". Che cosa la preoccupa di più? "Eliminare il filtro significa aprire la porta a una pioggia di ricorsi". Deluso dal Guardasigilli Orlando? "Ci abbiamo parlato e ci riparleremo, lui sa bene come la pensa l’Anm su questo tema cruciale per la vita dei magistrati". Rodolfo Maria Sabelli, il presidente dell’Anm, non è uomo né magistrato che si fa prendere la mano dall’emozione del momento, ma sarebbe sbagliato sottovalutare la sua preoccupazione, che però non vuole definire "allarme", per queste linee guida del governo sulla responsabilità. Se l’aspettava così dura questa nuova formula? "Le linee guida sono abbastanza sintetiche. Per esprimere un parere concreto su un tema così delicato bisogna attendere il testo completo, soprattutto perché in questa materia la differenza la fanno i dettagli". E quelli che legge non sono sufficienti? "Quando si parla di rispetto per i principi stabiliti dalla Corte europea bisogna stare attenti, perché proprio la Corte ha riguardo per il diritto comunitario e ha stabilito delle cautele. Inoltre richiama volutamente l’attenzione sul grado di chiarezza della norma violata e sul carattere inescusabile della violazione. Non ci si può fermare al dispositivo di una decisione, ma bisogna rispettare la sentenza integrale". Fuori dai denti, ha l’impressione che il governo voglia limitare il vostro potere di interpretare le leggi? "Non corriamo troppo. In quella nota non se ne parla. Il ministro Orlando ha sempre detto che l’interpretazione della legge va sempre salvaguardata perché rappresenta il cuore dell’attività giurisdizionale. Detto questo, che vi sia una stretta mi pare evidente, sia sui casi di responsabilità, sia sul filtro, sia sull’obbligatorietà della rivalsa". Ha l’impressione che per la prima volta si stabilisce che dall’azione civile ne può scaturire una disciplinare? "È un aspetto che andrebbe ben definito perché per ora, da quello che leggo, non capisco bene il rapporto tra i due tipi di responsabilità. Ma una cosa è certa, e lo dico subito: va escluso qualsiasi automatismo, perché i due tipi di responsabilità sono completamente diversi. Spesso s’invoca quella civile come mezzo di controllo, mentre si tratta di un risarcimento, in quanto la verifica sul corretto esercizio della giurisdizione si attua con gli strumenti dell’autogoverno e dei dirigenti". Non vi allarma la saldatura tra le due responsabilità? "Mi preoccupa la salvaguardia della qualità della giustizia, che certamente non è garantita dalla responsabilità civile. E sarebbe molto riduttivo concentrare il tema delle riforme sulla responsabilità civile". Contesta che venga prima di altre riforme importanti? "Mi preoccupa l’eccesso di attenzione sull’argomento, quasi che da questo dipenda la qualità della giurisdizione". Il governo lancia un segnale alle toghe che sbagliano? "Sono 20 anni che si discute di questo tema e se ne discute male. La percentuale di attenzione è stata ed è superiore di quella che c’è sulla riforma del processo penale". Non sarà un mood anti-giudici? "Mi fa pensare che ci sia quantomeno un’attenzione sproporzionata. Penso, per esempio, a quanto è avvenuto per l’azione diretta di responsabilità, che era un’evidente violazione dei principi costituzionali e sovranazionali". Giustizia: Bernardini (Radicali): in questo Paese comandano i magistrati, testo cambierà di Andrea Barcariol Il Tempo, 5 agosto 2014 Il segretario dei Radicali dubita che il testo finale resterà simile alla bozza: "L’Anm farà pressioni pesanti". Rita Bernardini, segretario dei Radicali italiani, accoglie positivamente le linee guida sulla riforma della Giustizia ma con una grande riserva sul testo finale: "Dubito che rimanga così". Ampliata la responsabilità civile dei magistrati, in linea con le direttive europee, anche se non ci sarà responsabilità diretta. Soddisfatta? "Si tratta di una serie di intenzioni che mi sembrano piuttosto serie. Essendo passati 27 anni da quando il popolo italiano decise che voleva la responsabilità civile dei magistrati (legge Vassalli ndr), mi auguro che questa sia la volta buona". Si aspetta dei cambiamenti tra la bozza e il testo finale? "Le pressioni che farà l’Anm (Associazione Nazionale Magistrati) saranno pesanti, come è normale in uno Stato dove non è affermata in modo chiaro la separazione dei poteri. Basti pensare a tutti i magistrati fuori ruolo che sono distaccati, in particolare presso il ministero della Giustizia. Affermare la responsabilità civile è giusto ma è necessario intervenire anche in altri settori come quello dell’obbligatorietà dell’azione penale che oggi lascia completamente nelle mani della magistratura la scelta dei processi da celebrare e quelli da far cadere in prescrizione che sono circa 140 mila all’anno". Il presidente Sabelli dell’Anm ha già parlato del "rischio di cause strumentali". "Saranno sempre i magistrati a giudicare... Cause strumentali ci possono sempre essere, a volte sono strumentali quelle che vengono fatte nei confronti dei cittadini che subiscono processi inutili". Quali sono gli aspetti che la convincono di più del testo? "Voglio vedere quanto regge il testo rispetto alle pressioni, ciò dimostrerà anche la determinazione del governo. L’aver previsto la violazione manifesta del diritto è un passaggio importante su cui c’era forte opposizione da parte dei magistrati. Sull’azione di rivalsa è vero che è sempre indiretta però lo Stato deve obbligatoriamente rivalersi nei confronti del magistrato quando c’è una negligenza inescusabile". Quindi, secondo lei è stato centrato l’obiettivo dichiarato di togliere le limitazioni del ricorrente per facilitare l’azione di rivalsa? "Se il testo rimane questo mi sembra un enorme passo avanti, ma io ne dubito". Hanno troppo potere i magistrati... "Comandano loro. Loro si scelgono i reati da perseguire e quelli da far cadere in prescrizione". Il 2 agosto è stato approvato il decreto carceri. Un giudizio sul testo? "Lo abbiamo definito il prezzo della tortura. Si dovevano spendere 450 milioni di euro, invece così ce la siamo cavata con 20. In questo modo hanno ingannato anche l’Europa che aveva chiesto rimedi concreti. Su questo tema, della salute nelle carceri, io sono al 35° giorno di sciopero della fame". Giustizia: a Milano un’associazione aiuta le vittime della malagiustizia… sono migliaia di Paolo Lambruschi Avvenire, 5 agosto 2014 Vivono da senza tetto ridotti all’elemosina per una colpa che non hanno commesso. Mario Caizzone è stato uno di loro. Insieme a un gruppo di giovani legali si impegna per far ripartire queste vite distrutte. Meglio sgomberare subito il campo da equivoci. Qui si parla di poveri cristi, non di ricchi e potenti". Difficile trovare Mario Caizzone, commercialista milanese di origine siciliana sopravvissuto dopo 20 anni di un incredibile travaglio giudiziario che gli ha rovinato la vita, lontano dalla sede dell’Aivm, l’associazione italiana vittime di malagiustizia. Si trova a Milano, in piazza Luigi d’Aosta 22, vicino alla Stazione Centrale. Oggi Mario ha recuperato una fedina penale immacolata, ma a causa di errori a catena di alcuni giudici per molti anni per lavorare ha dovuto lasciare la città dove era approdato con molte speranze alla fine degli anni 80 e spostarsi in Irlanda. Per sopravvivere è stato aiutato perfino dalla Caritas Ambrosiana nei momenti più duri. "Tra i poveri che dormono in stazione o in fila alla Caritas ci sono le vittime di malagiustizia, lo posso confermare", afferma. "Basta un’intercettazione, un avviso di garanzia e perdi dignità, amici, relazioni, conto in banca. Poi nessuno scrive con la stessa evidenza che era tutto falso e tu intanto sei rovinato, ma sei innocente. Ci sono persone che dormono sotto i portici o vanno mangiare alla mensa della Caritas per queste ragioni". In molti casi si rivolgono agli sportelli anti usura perché per sopravvivere e proseguire con le attività si erano fatti prestare denaro dagli usurai. Caizzone ha messo gratuitamente la propria esperienza a servizio degli altri creando due anni fa l’Aivm. Il sito (www.aivm.it) si apre con la citazione del versetto del Vangelo di Matteo, "Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati". La malagiustizia è un problema nascosto e diffuso. Su Facebook L’Aivm ha ricevuto un milione e mezzo di contatti e ha esaminato 1.500 casi. Da questi ha elaborato una statistica, la prima che indica chi sono le vittime di malagiustizia. La maggioranza (il 62%) ha tra i 40 e i 60 anni, il 53% viene dal nord, sette su dieci sono uomini, poco più della metà è separato o celibe, un quarto è disoccupato, mentre un terzo è un lavoratore autonomo, il 52% ha cause penali in corso e il 42% civili. Di queste, il 57% del civile è fermo in primo grado mentre la percentuale del penale e dell’amministrativo è fermo al 69%. Caizzone ha già presentato l’attività del centro di ascolto dell’Aivm a 13 vescovi di altrettante diocesi del Centro nord. La struttura (telefono, 02.66715134) funziona grazie a un gruppo di giovani legali stagisti e operatori che fanno il primo screening dei 1.500 casi finora inviati via mail o per lettera dagli interessati o dai loro legali. Quindi, dopo un attento esame, i quesiti chiave vengono inviati a professionisti che prestano sempre gratuitamente opera di consulenza e quindi si decide se procedere o no indicando le vie per provare a ottenere la revisione della sentenza, la riabilitazione o un risarcimento Passaggi nei quali il cittadino si trova da solo contro u-na macchina complessa che non ammette quasi mai di avere sbagliato. "L’associazione non è nata per scopi politici o per attaccare i giudici - precisa - perché l’errore giudiziario può verificarsi in buona fede. La malagiustizia, invece, deriva da una forte negligenza, da imperizia e da pregiudizi e può trasformarsi in violenza e abuso di potere. Molti dei casi che finiscono sotto i riflettori riguardano i potenti, ma ci sono centinaia di storie che passano sotto silenzio perché riguardano cittadini qualunque. Noi vogliamo aiutare concretamente persone finite in carcere o che stanno patendo per un errore giudiziario o per la lunghezza delle cause penali e civili, una delle piaghe italiane. Una condanna ingiusta inflitta ad un innocente o una sentenza che mette sul lastrico il condannato sono i casi più frequenti che portano all’annientamento della persona. E a chi ci si rivolge? Non si sa". Spesso gli errori derivano da imperizie o poco interesse degli avvocati d’ufficio. In autunno l’Aivm vuole discuterne in un convegno a Milano. I punti su cui sta riflettendo un gruppo di lavoro sono tre: allargare la soglia di accesso al patrocinio gratuito, un miglior controllo degli avvocati d’ufficio e la revisore dell’impianto della difesa d’ufficio con una proposta di legge. E intanto chi ha sete e fame di giustizia almeno ora ha uno sportello cui rivolgersi. Giustizia: Balducchi (Ispettore Cappellani), pochi detenuti con un lavoro, in estate peggio Adnkronos, 5 agosto 2014 "In Italia, la percentuale di detenuti che ha un lavoro da svolgere è molto bassa e il disagio aumenta in estate, quando molti agenti vanno in ferie e anche chi tra i detenuti svolge un’attività si blocca: in agosto, chi sta in carcere si sente ancora di più abbandonato, anche se molti volontari non fanno mancare totalmente la loro presenza". A spiegarlo, in un’intervista al Sir, l’agenzia della Cei, ripresa dall’Osservatore Romano, è don Virgilio Balducchi, responsabile dell’Ispettorato generale dei cappellani. "La situazione è a macchia di leopardo: ci sono casi preoccupanti ma anche belle esperienze, dove la collaborazione tra gli operatori del carcere, il mondo della cooperazione sociale, gli enti pubblici permette di far uscire le persone dal carcere per andare a lavorare", osserva don Balducchi. "Il problema è che il carcere nel nostro Paese viene utilizzato come la modalità principale per scontare la pena". Sono circa 220 i cappellani che prestano il loro servizio nei penitenziari italiani, accanto agli agenti penitenziari e agli altri operatori e a migliaia di volontari. "Le richieste di aiuto che arrivano ai cappellani sono di tutti i tipi, da quelle più banali o materiali fino a quelle spirituali - informa l’Osservatore Romano. Tra i reclusi, è in crescita la richiesta dei sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo, cresima, comunione; ndr) e c’è chi riscopre la propria fede riavvicinandosi alla comunità". Per don Balducchi, "l’emergenza carceri impone di abbattere il volume dei moltissimi procedimenti in corso. Ci vuole una riforma seria, che veda il carcere come extrema ratio: le misure alternative, l’affidamento, la semilibertà, la mediazione penale, i lavori socialmente utili dovrebbero essere le pene prioritarie. Per realizzare tale obiettivo ci vuole però la riforma del Codice penale, che speriamo arrivi presto: ci vorrebbe un ribaltamento di prospettiva, a partire dalla consapevolezza che le pene sul territorio non sono meno responsabilizzanti o faticose del carcere: lavorare per mantenere la famiglia o riparare al danno fatto è più faticoso che stare a far niente tutto il giorno". Giustizia: intervista a Don Virgilio Balducchi, chiede maggior sostegno a pene alternative Radio Vaticana, 5 agosto 2014 In Italia, novità annunciate per il mondo carcerario, secondo il decreto governativo convertito in legge sabato scorso, dopo l’approvazione con voto di fiducia al Senato. Novità nel sistema detentivo che continuano ad aprire dibattito. Il testo prevede oltre 20 milioni di euro da qui al 2016 per indennizzare i detenuti sottoposti a trattamenti inumani, meno carcere preventivo e priorità agli arresti domiciliari, oltre a più magistrati di sorveglianza e agenti penitenziari. Roberta Gisotti ha intervistato don Virgilio Balducchi, Ispettore generale dei Cappellani delle Carceri italiane: Sono 204 i penitenziari in Italia, 54.414 i detenuti, 5.012 in più rispetto ai posti disponibili, un terzo sono stranieri, 36.415 condannati in via definitiva, gli altri per metà in carcere preventivo e per metà in attesa di giudizio definitivo. Favorevole all’impianto generale della nuova legge è don Balducchi: "Si va verso una conduzione della giustizia che utilizzi il meno possibile il carcere. Questa scelta di costruire delle pene sul territorio è più responsabilizzante per le persone, perché le mette nella condizione di dover rispondere alle loro responsabilità: si va a lavorare per mantenere anche la propria famiglia e, se si ha un reddito, per ricominciare a riparare anche economicamente ai danni fatti, ad esempio. Gli arresti domiciliari dovrebbero però essere accompagnati da un’opera sul territorio che permetta a queste persone di fare qualche piccola attività o dei lavori socialmente utili o del volontariato". Pene sul territorio che vanno quindi organizzate, anche per quietare i timori di chi teme una ricaduta sul territorio di reiterata criminalità… Il rischio aumenta se le persone non sono in grado di "reggere" economicamente. Altro punto è il risarcimento per chi è sottoposto a trattamenti inumani… Questo è un punto dolente. Comprendo chi dice: "Come? Dobbiamo anche tirare fuori dalle casse dello Stato dei soldi per chi?"... Ma chiunque di noi venga danneggiato, che cosa chiede? Almeno un risarcimento economico. Sarebbe forse meglio sapere che la dignità dei carcerati sarà garantita, piuttosto che sarà risarcita? Questo sicuramente, perché pagare la dignità con i soldi non è la cosa migliore di questo mondo, anche perché in questo modo viene monetizzato tutto. Però, di fatto, in alcuni procedimenti giuridici la mediazione viene fatta fondamentalmente su un accordo economico. Ripeto, quindi, questa sicuramente non è la migliore scelta: la migliore scelta sarebbe avere meno gente in carcere e dei luoghi di detenzione dignitosi. Che dire invece dei benefici per i minori che sono estesi fino ai 25 anni: vengono alzati quindi dai 21 ai 25 anni… Questa scelta ha l’intenzione, e spero sia compresa in questo modo, di permettere che la società si renda conto che i giovani che commettono reati sono anche frutto di un ambiente, di un modo di vivere. Favorire quindi l’elemento educativo rispetto alla pena: io questo lo vedo in modo positivo. Bisognerà poi verificare in che termini anche questo aspetto abbia le gambe per essere costruito in maniera decente. Per poter avere delle alternative per ragazzi di 24-25 anni, bisogna avere maggiori posti ad esempio nelle comunità e devono essere seguiti sul territorio in maniera diversa. Il problema rimane se la normativa non viene accompagnata anche da politiche sociali, che intervengano sulle situazioni Importante è sensibilizzare tutti al mondo del carcere, che non è un mondo "altro"... Non è il frutto della cattiveria di tutti quelli che sono in carcere. Le persone che sono in carcere, che hanno le loro responsabilità e di cui devono risponderne, sono però persone che vivono nelle nostre società. È una chiamata di corresponsabilità ad affrontare il male. Giustizia: Sandra Zampa (Pd); governo s’impegni su libera circolazione libri nelle carceri Ansa, 5 agosto 2014 "Qualche settimana fa dalle pagine di un autorevole quotidiano Adriano Sofri lanciava un appello a sostegno della libera diffusione dei libri in carcere così richiamando il Parlamento al rispetto della legge 354 del 1975 che prevede l’esistenza di una biblioteca in ogni istituto penitenziario. Condividendo pienamente la sua riflessione, con il collega Walter Verini abbiamo presentato una risoluzione che impegna il governo a censire le biblioteche degli istituti penitenziari italiani e a favorire la circolazione dei libri, anche stranieri, e dei giornali. Di grandissima importanza per tutti, la lettura è strumento di crescita e di riflessione e rappresenta, soprattutto per i minori detenuti, una possibilità per restare inseriti nel mondo che li attende, per costruire una identità rinnovata e rintracciare così nuovi e migliori percorsi esistenziali". Così Sandra Zampa, vice presidente del Partito democratico e della Commissione bicamerale Infanzia e Adolescenza. "Sofri chiudeva quel suo appello con una frase e una riflessione che faccio mia: "i liberi si castigano spesso accontentandosi del mondo virtuale. I prigionieri sono mutilati anche di quello". La lettura può favorire il riscatto personale e solo da questo nasce il riscatto sociale cui ogni individuo ha diritto, così secondo la nostra Costituzione secondo la quale "le pene devono tendere alla rieducazione", quindi al reinserimento nella società, quando è possibile, ma sempre e comunque alla salvaguardia della dignità umana". Giustizia: Sappe; mezzi e agenti per accompagnare atleti ai campionati mondiali pallavolo Comunicato Sappe, 5 agosto 2014 11 autobus del Corpo di Polizia penitenziaria ed altrettanti Agenti autisti destinati al "servizio taxi" delle ragazze partecipanti ai Campionati mondiali di pallavolo femminile che si terranno a Verona dal 23 settembre al 5 ottobre 2014. Lo ha disposto l’Amministrazione Penitenziaria con una nota diretta a 8 Provveditorati Regionali (Padova, Bologna, Genova, Pescara, Palermo, Napoli, Cagliari e Roma) ai quali si chiede di mettere a disposizione del Comitato Organizzatore uomini e mezzi. "Trovo che sia una cosa vergognosa usare uomini e mezzi dello Stato per il servizio taxi delle atlete e dei relativi accompagnatori, tanto più se si considera le gravi condizioni del parco automezzi nazionale della Polizia Penitenziaria. Ma le sa queste cose il Ministro della Giustizia Andrea Orlando o le fanno a sua insaputa?", denuncia Donato Capece, Segretario Generale del primo Sindacato del Corpo, il Sappe. "Questo non è affatto un servizio finalizzato a valorizzare l’immagine dei Baschi Azzurri e il nostro duro e difficile lavoro ma puramente un servizio di trasporto: assurdo, se si considera che l’uso dei mezzi andrà inevitabilmente a incidere sulla funzionalità dei medesimi. Non solo. Sono anni che denunciamo la fatiscenza di buona parte dei mezzi con i quali quotidianamente viaggiano le donne e gli uomini del Corpo impegnati nei servizi di traduzione e piantonamento dei detenuti e gli stessi ristretti. Parliamo, nel 2013, di 187mila traduzioni per complessivi 368mila detenuti trasportati in tutta Italia con automezzi e furgoni verso altri carceri, aule di giustizia, visite ospedaliere, arresti domiciliari. Poliziotti penitenziari, e questo va denunciato con forza, che hanno in Italia centinaia di automezzi fermi nelle autorimesse in attesa di riparazioni che non possono essere eseguite perché mancano i soldi, tanto che è lo stesso Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) a comunicarlo ufficialmente nelle note di risposta alle lettere delle Direzioni delle carceri che chiedono, appunto, fondi per le riparazioni. Dipartimento che però è solerte a impiegare mezzi della Polizia Penitenziaria per servizi non istituzionali come quello connesso ai Campionati mondiali di pallavolo femminile". Capece attacca l’Amministrazione penitenziaria anche sulle determinazioni assunte verso il parco automezzi del Corpo di Polizia in relazione alla revisione della spesa. "È grave che siano state messe in vendita autovetture della Polizia Penitenziaria che potevano, in gran parte, essere riutilizzate per gli effettivi servizi istituzionali anziché essere svendute per una ambigua operazione di facciata. Questa operazione di "pulizia" potrebbe pre-configurare un probabile nuovo grande acquisto di vetture che per motivi di facciata saranno "per servizi di polizia", che la norma tutela, ma che di fatto potrebbero essere, ancora una volta, dirottate ad uso e consumo dei dirigenti penitenziari. E il grave è che le tragedie che pur si sono verificate nel tempo e che hanno visto coinvolti nostri mezzi di Polizia sembrano non insegnare nulla ai burocrati e alla nomenclatura dell’Amministrazione penitenziaria, che si fa scarrozzare in lungo e in largo con le auto blu e ora arriva persino a disporre che i nostri Agenti debbano fare da tassisti, con automezzi di Polizia, per le atlete di pallavolo". Giustizia: Bernardo Provenzano, vegetale col cuore battente detenuto al 41-bis di Gianluca Perricone L’Opinione, 5 agosto 2014 È che certe ammissioni arrivano tardi, forse troppo tardi. E lo scriviamo perché eravamo davvero in pochi, nel febbraio del 2011, a sostenere che "davanti a condizioni di salute drammatiche di un detenuto, non si debba tener conto né del suo cognome, né del suo curriculum criminale. Lo Stato civile, in altri termini - sostenevamo più di tre anni fa - non deve sostituirsi al boia (lo stesso articolo 27 sancisce, del resto, la non ammissibilità della pena capitale) facendo letteralmente morire un detenuto nelle patrie galere sottoponendolo, per di più, ad un regime carcerario eccezionale denominato 41 bis". Quel detenuto era (e, a malapena, è tutt’ora) Bernardo Provenzano, un recluso che non riesce a dare ordini nemmeno a se stesso e al suo corpo, figurarsi se in grado di impartirne a chicchessia. E questo, l’altro giorno, è riuscito ad ammetterlo - con un ritardo non del tutto inspiegabile - anche il dottor Antonio Ingroia tramite un contributo apparso sulle pagine del Garantista. Eppure Provenzano sta malissimo e non da oggi. "Se gli staccano i fili - dice il suo avvocato Rosalba Di Gregorio - avrà sì e no 48 ore di vita. Pesa 45 chili, è alimentato artificialmente con un sondino che va dal naso non più allo stomaco, che ormai non reagisce più, ma direttamente all’intestino. Dovranno fargli la Peg (l’inserimento di un tubo dalla cavità gastrica verso l’esterno per permettergli di nutrirsi), ma col suo tipo di encefalopatia, l’anestesia potrebbe ucciderlo. Provenzano è un vegetale col cuore battente, ma senza più orientamento spazio-temporale". Sembra tardiva, considerando lo stato di salute del detenuto, ogni considerazione a favore della revoca del regime del 41 bis a Provenzano. Eppure anche le procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze hanno espresso parere favorevole alla revoca. "Ma il ministro della Giustizia le ha ignorate riapplicando il 41 bis. Anche la Procura nazionale antimafia ha detto "no" alla revoca", dichiara l’avvocato Di Gregorio. La quale, tramite le pagine de "Il Tempo", lancia anche una provocazione: "Lasciate il mio cliente al 41 bis perché ormai il trattamento disumano è stato già fatto tutto. Toglierlo adesso vuol dire solo lavarsi la coscienza. Il diritto, con Provenzano, è stato violentato in vario modo e non c’è "programma di protezione per chi si pente adesso". Di certo non ci si può chiedere di fare a meno di ricordare il titolo di un articolo scritto agli inizi del luglio 2013, poco più di un anno fa: "Provenzano: Stato debole?". Lo scrivemmo allora ed il dubbio ancora ci rimane. Giustizia: inchiesta appalti Expo Milano; perizia sulle condizioni salute di Primo Greganti Ansa, 5 agosto 2014 Il Tribunale del Riesame di Milano disporrà una perizia sulle condizioni di salute di Primo Greganti, l’ex funzionario del Pci arrestato lo scorso 8 maggio nell’inchiesta milanese sulla presunta "cupola degli appalti", che nei giorni scorsi ha subito un’operazione chirurgica. È quanto è emerso al termine dell’ udienza, che si è tenuta stamani, per discutere il ricorso contro la misura della custodia cautelare in carcere presentato dai legali di Greganti, gli avvocati Roberto Macchia e Nicola Durazzo, in seguito ai problemi di salute del loro assistito. I giudici si sono riservati e la decisione, che verrà presa anche sulla base degli esiti della perizia, è attesa per i prossimi giorni. Attualmente l’ex funzionario del Pci è ricoverato al Policlinico San Donato di Milano. "Chiediamo che Greganti - ha spiegato l’avvocato Macchia - possa svolgere la riabilitazione in regime di arresti domiciliari". Sardegna: Sdr; potenziare Uepe, per favorire misure alternative al carcere Ristretti Orizzonti, 5 agosto 2014 "In Sardegna e in particolare a Cagliari è indispensabile potenziare il personale degli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna altrimenti c’è il rischio che le misure alternative al carcere restino solo un’illusione con gravi ripercussioni sanzionatorie europee e aggravi di spesa per lo Stato". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", sottolineando che "la legge 67 del 2014 ha introdotto nel codice penale e in quello di procedura penale l’istituto della messa alla prova attivando un’importante riforma per ridurre il sovraffollamento. Si tratta dell’impiego delle misure alternative che garantiscono tassi di recidiva ridotti rispetto alla reclusione". "Ciò nonostante l’Ufficio Uepe di Cagliari - osserva Caligaris - che comprende 157 Comuni per un numero di abitanti di oltre 852 mila persone, non è nelle condizioni di far fronte alle esigenze. È carente il personale del servizio sociale, con particolare riferimento agli psicologi e agli educatori, e quello contabile. Fanno riferimento all’Uepe del capoluogo gli Istituti Penitenziari di Buoncammino, Iglesias, Is Arenas, Isili e Lanusei. Inoltre con la sede di servizio di Oristano (compresi Massama e Macomer) copre il 70% dell’intero territorio dell’isola". "Appare paradossale - evidenzia ancora la presidente di Sdr - che non solo non disponga dell’autonomia contabile, dovendo pertanto dipendere anche per le spese ordinarie dalla Casa Circondariale di Cagliari, ma possa contare solo su dotazioni informatiche obsolete e non abbia ancora attivato un sito internet. Ha necessità inoltre di spazi adeguati e di un sufficiente numero delle indispensabili auto di servizio". "Non è pensabile - sottolinea ancora Caligaris - che una struttura così importante e complessa, la cui funzionalità garantirebbe il sistema di probation giudiziaria dando una reale svolta al problema del sovraffollamento, possa permanere in una condizione di costante emergenza. Non è sufficiente neppure contare sulle indiscusse qualità organizzative del dirigente che, oltre a un protocollo d’intesa con il Tribunale di Sorveglianza, ha attivato convenzioni con amministrazioni, enti e associazioni di volontariato. Per mettere le ali a una riforma molto innovativa nel sistema sanzionatorio penale è determinante creare i presupposti anche informativi. La sensazione è che si corra il concreto rischio di rendere sterile l’impegno nella predisposizione e attuazione di programmi di messa alla prova e di percorsi di recupero e sicurezza sociale con trattamenti personalizzati". "Non è con la costruzione di nuove carceri dunque che si riduce il sovraffollamento ma con il potenziamento dei servizi dell’Uepe e dell’Ufficio di Sorveglianza di Cagliari. La strada chiaramente indicata dalla riforma valorizza il ruolo della esecuzione penale esterna e può incidere positivamente sulla società attivando iniziative di pubblica utilità che coinvolgono gli Enti Pubblici e Privati affinché il dettato della Costituzione possa davvero - conclude Caligaris - essere pienamente rispettato". Napoli: Osservatorio carcere Ucpi; allarme negli Opg, stanno aumentando gli internati Roma, 5 agosto 2014 Prosegue il viaggio dell’Osservatorio carcere Ucpi all’interno degli Opg d’Italia per valutare le condizioni di vita di chi è ristretto in queste strutture ibride, a metà tra il penitenziario e il nosocomio. Nei giorni scorsi Antonella Calcaterra e Annamaria Alborghetti, per l’Osservatorio Carceri, insieme al Presidente della Camera Penale di Napoli Domenico Ciruzzi sono entrati nella struttura di Napoli adiacente alla casa circondariale di Secondigliano. Ancora una volta colpiscono i numeri, in particolare quelli relativi alle presenze non necessarie sotto il profilo della gravità dei reati commessi e dell’effettiva pericolosità delle persone internate che, al contrario, avrebbero necessità di essere prese in carico, come previsto dalla legge, dai servizi di cura territoriali. Ancora una volta la chiusura degli ospedali Psichiatrici Giudiziari è stata rinviata. Una nuova proroga, pochi mesi fa, ne ha stabilito la chiusura nel 2015. "Il problema - spiega l’avvocato Ciruzzi - sono le strutture esterne esistenti solo sulla carta perché non vengono realizzate. Il problema è a monte perché si deve stabilire se queste persone hanno bisogno di cure o di detenzione, le strutture ibride non sono efficaci". Non si mette in dubbio la professionalità degli operatori interni e i loro sforzi anche sotto il profilo umano, ma questo stato di cose non può continuare ad andare avanti in questo modo, è necessario applicare misure alternative, differenti a seconda del caso e ricordare che la detenzione resta sempre l’estrema ratio. "La loro professionalità - dicono dopo la visita alla struttura - non può e non deve farci dimenticare quello che il dettato normativo oggi ci impone, e cioè la rigorosa ed esclusiva applicazione delle misure di sicurezza non detentive". Palermo: mancano agenti carcere Ucciardone al collasso, interrogazione Cancelleri (M5S) Il Moderatore, 5 agosto 2014 "Gli agenti di polizia penitenziaria sono troppo pochi ed all’Ucciardone di Palermo la situazione è all’anno zero. Chiedo al ministero un intervento forte ed urgente". Così la parlamentare del Movimento 5 Stelle alla Camera dei Deputati Azzurra Cancelleri commenta l’interrogazione che la vede prima firmataria, rivolta al Ministero delle Finanze in cui chiede una presa di posizione del Governo sulla carenza di personale nelle carceri italiane, con riferimento all’Ucciardone di Palermo. "La situazione delle carceri italiane - si legge nell’interrogazione - viola i diritti dei detenuti e l’Italia era obbligata da Strasburgo a risolvere il problema entro il maggio del 2014. La popolazione carceraria non è fatta di soli detenuti, delle condizioni di detenzione e del sovraffollamento ne fa le spese anche il personale della polizia penitenziaria in servizio presso le carceri italiane. Dal 2000, fa sapere Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria, si sono consumati all’interno del corpo cento suicidi. Considerato che il lavoro degli agenti di polizia penitenziaria è un lavoro usurante come pochi, perché il carcere è terra di frontiera e di contraddizioni, accanto a una esposizione diretta al rischio c’è la percezione del dolore altrui che non può non colpire la sensibilità. In Italia ci sono circa 3.700 agenti in meno rispetto alla dotazione prevista ed a Palermo la situazione è al collasso. L’istituto palermitano di via Enrico Albanese, è una struttura che soffre di una grave carenza di personale di polizia penitenziaria, carenza che comporta l’abbassamento della soglia di sicurezza sebbene gli Agenti penitenziari dell’Ucciardone abbiano sempre operato per il benessere dell’istituto in generale, mettendosi a disposizione per una turnazione in 3 quadranti anziché 4, lavorando otto ore piuttosto che sei; una situazione divenuta ormai insostenibile, perché la straordinarietà è diventata regola dato che ogni anno si ricorre alla mobilità ordinaria, inoltre non si attua un’integrazione di organico ma solo sostituzioni di personale che successivamente viene trasferito in altre sedi. Per queste ragioni - conclude l’atto parlamentare - chiedo al Ministero se intenda mettere in pratica una corretta integrazione del personale, per evitare che si lavori sotto organico, tenendo presente che molti agenti, che offrono servizio da svariati anni, sono in attesa di un trasferimento per avvicinarsi alla propria casa". Venezia: poliziotti della Questura "anche noi vogliamo gli 8 euro previsti per i detenuti…" La Nuova Venezia, 5 agosto 2014 Gli agenti della questura di Venezia protestano per lo stato di spogliatoi e bagni: "I lavori del tram hanno provocato infiltrazioni e ci ritroviamo le divise umide e ammuffite". "Risarcire i detenuti per i disagi? E a noi chi ci risarcisce?". I poliziotti in servizio alla questura di Venezia, a Santa Chiara, protestano per gli spazi in cui sono costretti a vivere e cambiarsi. "Mentre Renzi e Alfano pensano a risarcire i detenuti con 8 € al giorno a causa del sovraffollamento dei carceri e si decide di non far andare in galera più nessuno, ai poliziotti non ci pensa nessuno. costretti a lavorare in uffici sporchi e in spogliatoi impraticabili", dice Mauro Armelao, segretario generale provinciale dell’Ugl Polizia di Stato, "e tutto questo succede nella bellissima questura della città più bella del mondo. Che siano dati anche ai poliziotti 8€ al giorno a causa delle condizioni in cui versano i nostri ambienti di lavoro". Secondo Armelao: "A causa dei lavori del tram, gli spogliatoi della questura a Santa Chiara, sono praticamente invasi dall’acqua dovuta alle infiltrazioni venutesi a creare dopo i lavori. I locali di proprietà dell’Autorità Portuale, dati in affitto alla questura di Venezia, sono oramai invasi dall’acqua. Gli armadi sono oramai arrugginiti sulla base e le divise contenute sono umide alcune delle quali piene di muffa. Per non parlare poi dei muri pieni di muffa e infiltrazioni. Chiediamo che il nuovo questore intervenga in maniera celere affinché siano trovati nuovi locali da adibire a spogliatoio e nel frattempo restaurare radicalmente i locali, verificando se vi siano anche delle responsabilità da parte della ditta incaricata ai lavori del tram. Non possiamo più permetterci di essere trattati in questo modo. Blocco del tetto salariale, blocco degli assegni di funzione, blocco del riordino delle carriere, taglio alle risorse della sicurezza, pulizie dei locali praticamente inesistenti e ora locali vergognosi. Abbiamo una dignità anche noi" Sulmona (Aq): ripartiti i lavori di ampliamento al carcere di via Lamaccio di Maria Trozzi www.report-age.com, 5 agosto 2014 Sono di nuovo all’opera nel carcere di Sulmona e da questa mattina sono in azione i mezzi del cantiere. I lavori per il nuovo padiglione sono ripartiti, erano stati interrotti il 5 giugno, proprio nel giorno in cui l’Unione europea aveva deciso di sospendere, per l’Italia, la procedura d’infrazione grazie ai risultati raggiunti dal Paese nell’azione di contrasto al sovraffollamento nelle carceri. E questa azione di contrasto si era tradotta, lungo tutto lo stivale, nel Piano carceri per stillare circa 12 mila nuovi posti di detenzione, a Sulmona si realizza poi nell’ampliamento della struttura penitenziaria peligna. Quasi una chimera considerando che la messa in opera del nuovo blocco, nella città ovidiana, per due mesi si è arenata, dopo essere partita in ritardo rispetto ai tempi previsti nel programma. Le cause alla base degli intoppi? Si dice che fosse scaduto il contratto di supervisione per l’esperto della Soprintendenza per i Beni Architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici, che deve presiedere tutte le movimentazioni del cantiere nei siti di interesse (e l’area ai piedi della montagna sacra, il monte Morrone, sembra davvero interessante da questo punto di vista), nessuno si era degnato di procedere al rinnovo dell’atto, per la funzionaria che, dalla Sardegna, era partita per lavorare in valle Peligna. L’ampliamento del carcere di Sulmona sarebbe dovuto partire i primi di Marzo, ma l’avvio dei lavori è stato garantito solo a metà aprile, all’apertura del cantiere edile si voleva accompagnare l’idea di far lavorare anche i detenuti di Sulmona, almeno fino a febbraio. Polizia Penitenziarie prove report-age.comLa Fillea Cgil è contrattualmente coinvolta con il Protocollo di Legalità, già sottoscritto in Prefettura a L’Aquila, e la Contrattazione di anticipo con l’impresa aggiudicataria che regola le condizioni di lavoro per l’importante appalto. Erano previsti 400 giorni di lavoro per l’opera, ma occorreranno almeno due anni per realizzare del nuovo blocco della struttura carceraria considerati i tempi lumaca. Il commissario straordinaria al Piano carceri, Angelo Sinesio, durante il Congresso Fillea Cgil di febbraio, negò il fatto che fosse stato individuato, durante i carotaggi nell’area del cantiere, un sito archeologico. Eppure sarebbe proprio la scoperta di un sito, probabilmente di interesse, consistente in un muro di cinta rinvenuto nel cantiere in cui si ora si dovrebbero finalmente gettare le fondamenta del nuovo blocco, la causa dell’interruzione dei lavori per l’ampliamento della struttura carceraria che porterà la casa di reclusione ad ospitare 200 ospiti in più, rispetto alla capienza massima del carcere, ovvero 306 posti letto dietro le sbarre, ma il penitenziario attualmente ospita oltre 502 detenuti. Non sono mancati in questi giorni evidenti segnali di una prossima riapertura del cantiere. Lanciano (Ch): questa mattina sit-in dei sindacati degli agenti della Casa circondariale Agi, 5 agosto 2014 La manifestazione si terrà dalle 11.30 alle 12.30 di fronte all’istituto di Villa Stanazzo. Lo annunciano, in una nota congiunta, Uil, Sappe, Osapp Sinappe, Cgil Cnpp. La protesta, in particolare, che è contro la carenza di personale, potrebbe essere poi seguita da un’astensione dalla mensa di servizio, passando per uno "sciopero dello straordinario" ed altre possibili iniziative che le organizzazioni stanno valutando. I sindacati parlano di "turni massacranti" di 10/12 ore per servizio, a fronte delle sei previste. Le organizzazioni di categoria lamentano, inoltre, il mancato confronto con il Provveditore e l’amministrazione penitenziaria, che sino ad oggi - affermano - "non ci hanno degnato della benché minima attenzione". Tempio Pausania: l’indipendentista Bainzu Piliu presenta suo libro di memorie in carcere La Nuova Sardegna, 5 agosto 2014 Torna in carcere l’ideologo dell’indipendentismo Bainzu Piliu, condannato a 4 anni di reclusione per "complotto separatista". Ma questa volta la sua presenza tra i detenuti, domani a Nuchis, non è la conseguenza di un nuovo arresto. A quasi 80 anni il professore universitario che ha pagato a carissimo prezzo la sua militanza in favore dell’autonomia sarda rimette piede in un penitenziario solamente per presentare il suo libro di memorie. Un saggio nel quale ripercorre alcune tappe chiave della sua vita, proprio a cominciare dall’esperienza della reclusione, senza però rinunciare a tratteggiare i punti salienti del suo pensiero politico. Non a caso il libro è intitolato "Cella numero 21 - Il lungo cammino verso la dignità". Seguirà, nella stessa giornata, poco più tardi, un secondo appuntamento in una libreria di Tempio. Ma ecco il programma preciso della giornata di martedì. A Nuchis, alle 15, presenterà l’autobiografia di Piliu in carcere Emiliano Deiana, sindaco di Bortigiadas. Mentre alle 19, a Tempio, nella libreria Max88 di piazza Gallura, a parlare dell’opera dell’ideologo sarà Luigi Piga, esponente del Fronte Indipendentista Unidu. Roma: nasce "Atletico diritti", la squadra di calcio con studenti, migranti e detenuti Dire, 5 agosto 2014 Studenti, migranti e detenuti fanno squadra per mandare in gol l’integrazione. Nasce così "Atletico diritti", una polisportiva che intanto prende la forma di una società di calcio e parteciperà l’anno prossimo al campionato di terza categoria di Roma. Il progetto parte da un’idea messa in campo dall’Università Roma Tre, Progetto Diritti Onlus (che ha tra i propri fini la tutela dei diritti delle fasce sociali meno abbienti e la promozione di azioni per lo sviluppo locale) e l’Associazione Antigone (che si occupa di giustizia, di diritti umani e di carceri). "Oggi abbiamo registrato la società alla Lega nazionale dilettanti- spiega all’agenzia Dire il presidente della società e coordinatore nazionale di Antigone, Susanna Marinetti- Atletico Diritti vuole lanciare il messaggio dell’integrazione, attraverso il calcio, lo strumento più popolare, insieme alla musica. In questa squadra giocheranno studenti, rappresentanti delle comunità degli immigrati e di detenuti ed ex detenuti". L’obiettivo sportivo è "quello di vincere- dice ironicamente il presidente- e magari arrivare col tempo fino alla Champions League", ma fuori dal campo "il primo successo per noi è che la gente si incuriosisca, che si parli di questa esperienza e si guardi a noi con simpatia". Per ora "c’è rispondenza, tanti ragazzi ci scrivono e ci fanno i complimenti". Ma chi comporrà effettivamente la squadra? "Per ora abbiamo chiesto ai ragazzi della squadra di Roma Tre chi volesse giocare con noi e una decina di loro ci hanno dato la disponibilità. Per quanto riguarda le comunità straniere, la selezione avverrà attraverso Progetto Diritti e infine, sui detenuti, abbiamo chiesto un aiuto anche al direttore del carcere di Rebibbia Nuovo complesso, il dottor Mariani". Per chi volesse seguire le partite casalinghe dell’Atletico Diritti, l’appuntamento è al campo della Polisportiva Quadraro Cinecittà a via del Quadraro, 311. Venezuela: visita consolare dell’Ambasciatore ad Enzo Scarano e Salvatore Lucchese www.agoramagazine.it, 5 agosto 2014 Ieri mattina (martedì 4 agosto), l’Ambasciatore d’Italia in Venezuela Paolo Serpi ha visitato l’ex Sindaco di San Diego Enzo Scarano e l’ex capo della polizia municipale Salvatore Lucchese, attualmente detenuti presso il carcere di Ramo Verde. L’Ambasciatore ha trovato i due detenuti in buone condizioni fisiche e li ha incoraggiati, informandoli che è stata inoltrata al governo venezuelano una richiesta di grazia per i due a nome delle autorità italiane. L’Ambasciatore ha ricevuto una buona collaborazione da parte dell’amministrazione carceraria di Ramo Verde. Ambasciata e Consolato Generale continueranno a monitorare con attenzione le condizioni di detenzione di Enzo Scarano e Salvatore Lucchese". Kazakhstan: concessa libertà condizionata per un detenuto italiano www.agccommunication.eu, 5 agosto 2014 L’ambasciata del Kazakhstan in Italia, ieri ha dato la notizia che dal primo di agosto, F. Sidani cittadino Italiano è in regime di libertà condizionata. Il detenuto fino a tale data era detenuto presso Dsep di Atyrau. Di seguito pubblichiamo il comunicato stampa. Nell’Ente II -157/1 (istruttorio dell’isolamento) Dsep (Dipartimento del sistema esecutivo penale) della regione di Atyrau, fino al 01.08.2014, scontava la pena il cittadino della Repubblica Italiana Sig. F. Sidani, che è stato condannato, con sentenza del Tribunale Speciale interregionale sulle questioni penali della Regione di Atyrau del 14.09.2010, art.259, parte 3, paragrafi "b, c" del Codice Penale con l’applicazione dell’art. 55 del C.P., a 6 anni di reclusione, pena da scontare nella colonia rieducativa. Il 16.07.2014 il ricorso con il fascicolo personale è stato inoltrato dall’Ente al Tribunale Speciale interregionale sulle questioni penali della Regione di Atyrau, per esaminare la questione della liberazione condizionale anticipata. Con il decreto del Tribunale Speciale interregionale sulle questioni penali della Regione di Atyrau del 01.08.2014, il ricorso del condannato F. Sidani sulla liberazione condizionale anticipata è stato accolto. Al 20.04.2014 il Sig. F. Sidani aveva scontato 2/3 della condanna ed è quindi iniziato il termine formale per la liberazione condizionale anticipata. Inoltre, l’applicazione dell’art. 70 del Codice Penale della Repubblica del Kazakhstan (della liberazione condizionale anticipata) non è un dovere, ma è un diritto del Tribunale. Il Tribunale ha preso questa decisione tenendo conto del comportamento del detenuto nel rispetto delle Leggi, la sua applicazione nell’impegno lavorativo, la partecipazione attiva alle iniziative educative, oltre alla considerazione dell’esistenza di correlazioni costruttive e sviluppi dinamici tra il Kazakhstan e l’Italia, nell’ambito del diritto e della giurisdizione penale. Stati Uniti: detenuti minorenni picchiati e seviziati nella prigione di Rikers a New York Il Secolo XIX, 5 agosto 2014 Detenuti adolescenti picchiati e seviziati. A volte anche violentati. Il tutto di nascosto dalla telecamere a circuito chiuso e soprattutto con il tacito consenso di insegnanti e medici. È quanto è emerso in un rapporto agghiacciante del governo federale americano, riferisce il New York Times, sulla "profonda cultura delle violenza" perpetrate dalle guardie carcerarie contro i detenuti minorenni nella prigione di Rikers a New York. Il rapporto, già consegnato al sindaco Bill De Blasio e altri funzionari pubblici, denuncia un "potente codice del silenzi" fra il personale carcerario insieme all’inutile sistema per indagare i vari casi: 79 pagine dove vengono descritti nei dettagli le sevizie subite dai minorenni. Le guardie carcerarie picchiavano gli adolescenti alla testa e al viso ad un "ritmo allarmante", per punirli anche se non avevano fatto nulla; a volte li portavano in zone dove non potevano essere ripresi per picchiarli indisturbati. Altri minorenni, terrorizzati che potesse toccare a loro, chiedevano spontaneamente di essere rinchiusi nelle celle di isolamento. E ancora, altri venivano segregati, a turno, per un mese. In un caso, le guardie hanno aggredito 4 detenuti per diversi minuti, picchiandoli con radio, bastoni e battendo la loro testa contro il muro. Un altro detenuto aveva ancora le impronte degli stivali sulla schiena dopo essere stato picchiato ripetutamente; un altro è stato trascinato via durante una lezione perché; dormiva e aggredito. Il rapporto, che ha coperto il periodo dal 2011 al 2013, sottolinea che gli adolescenti spesso venivano sorvegliati da staff che non aveva esperienza e che spesso sfogava la propria frustrazione su di loro. Solo nel 2013, i detenuti al di sotto dei 18 anni hanno riportato 1,057 ferite in 565 casi di violenza. In un conteggio della popolazione carceraria minorile, dal 30 ottobre del 2012, quasi il 44% ha subito l’uso della forza da parte dello staff almeno una volta. E la violenza è aumentata costantemente di anno in anno, si legge nel rapporto. Molti dei casi più violenti non sono stati denunciati. Il rapporto accusa il New York City Department of Correction di aver sistematicamente violato i diritti civili dei detenuti minorenni a Rikers "per aver fallito nel non proteggerli dall’uso di forza non necessaria ed eccessiva da parte delle guardie carcerarie". Il rapporto elenca 10 pagine di misure da adottare insieme a nuove politiche e procedure; in caso contrario, il dipartimento di Giustizia potrebbe trascinare il caso in tribunale e chiedere ad un giudice di intervenire. Il Comune ha 49 giorni di tempo per rispondere. Stati Uniti: pena morte; testimone cruciale per esecuzione 2004 ammette di aver mentito Adnkronos, 5 agosto 2014 Un testimone che è stato cruciale per la condanna a morte e poi l’esecuzione di Cameron Todd Willingham nel 2004, condannato in Texas per l’omicidio delle sue tre figlie, ha ammesso di aver mentito durante il processo. È quanto risulta da un’inchiesta realizzata dal Marshall Project, e pubblicata oggi dal Washington Post, che indica come organizzazione di giornalisti che indagano sul sistema giudiziario e penitenziario americano sia arrivata ad avere le prove che dimostrerebbero in modo incontrovertibile come un innocente sia stato mandato a morte. La prova principale è l’intervista in cui Johnny Webb, un detenuto che divideva la cella con Willingham, ammette di aver detto il falso in tribunale - sostenendo di aver ricevuto una confessione del compagno di cella - in cambio di uno sconto di pena sulla condanna per rapina ed anche del sostegno economico da parte di un proprietario terriero di Corsicana. Il procuratore John Jackson ha sempre negato, anche prima dell’esecuzione di 10 anni fa, che vi fosse stato alcuno accordo con Webb. Una posizione mantenuta anche quando, negli anni scorsi, nuove indagini - sostenute dall’Innocence Project di New York - stabilirono che era molto improbabile che Willingham avesse volontariamente appiccato l’incendio in cui morirono il 23 dicembre del 1991 morirono le sue figlie, una di due anni e due gemelle di uno. Smentendo quindi le perizie che nel 1992 portarono, insieme alla testimonianze di Webb, alla condanna a morte. In passato Webb ha comunque già ritrattato e poi confermato ancora la sua testimonianza. Ma ora i reporter del Marshall Project hanno ottenuto anche nuovi documenti, tra i quali lettere che il procuratore Jackson scriveva all’informatore, che mostrava segni di cedimento, ricordandogli l’interesse con cui continuava a seguire il suo caso. "Mr Pierce ed io parliamo regolarmente dei tuoi problemi", scriveva nell’agosto del 2000 parlando del proprietario terriero di Corsicana fondatore di un’associazione per il recupero di giovani pregiudicati. "Stiamo lavorando a vari livelli, anche con l’ufficio del governatore per farti rilasciare in anticipo, credimi non sono insensibile o indifferente ai tuoi problemi". E il detenuto in effetti ebbe un trattamento di favore nella gestione del suo caso, e nella richiesta della libertà vigiliata, che, se fosse stato rivelato prima, avrebbe forse potuto far ottenere a Willingham un nuovo processo invece di portarlo sul lettino del boia. Ora le due associazioni che si battono contro la pena di morte hanno presentato un ricorso allo State Bar del Texas in cui accusano Jackson - che nel 1996 è diventato giudice e dal 2012 è in pensione - di "aver violato i suoi obblighi professionali, etici e costituzionali" chiedendo che si apra un’inchiesta sul suo operato. Se questa verrà avviata e confermerà i risultati dell’inchiesta giornalistica, allora si avrà ufficialmente negli Stati Uniti il primo caso di un condannato innocente mandato a morte. Cina: giornalista rilasciato dopo un anno di carcere "colpevole" di inchiesta su corruzione Ansa, 5 agosto 2014 Le autorità cinesi hanno liberato su cauzione un giornalista detenuto per quasi un anno, mentre conduceva un’inchiesta sulla corruzione nella metropoli di Chongqing e nella provincia dello Shaanxi. Liu Hu, giornalista investigativo del New Express, quotidiano della metropoli meridionale di Guangzhou, era stato arrestato a fine agosto dell’anno scorso, dopo aver lanciato accuse in particolare su Ma Zhengqi, un potente dirigente politico che in passato è stato vicesindaco della metropoli di Chongqing. Nelle sue inchieste, Liu aveva più volte più volte accusato diversi funzionari di abusi di potere e corruzione. Per il suo legale, le accuse sono senza fondamento, anche se non è certo che l’inchiesta sia stata chiusa. Al suo rilascio, il giornalista ha trovato vari colleghi a festeggiarlo all’uscita del carcere. Come Liu, un altro reporter investigativo, Chen Baocheng, del settimanale finanziario Caixin, era stato rilasciato su cauzione un mese fa, dopo circa un anno di detenzione. Era stato arrestato per aver partecipato ad una protesta per bloccare la demolizione di case nel suo villaggio.