Per qualche metro e un po’ di amore in più Ristretti Orizzonti, 4 agosto 2014 Carceri più umane significa carceri che non annientino le famiglie. L’Europa non si può "accontentare" dei tre metri di spazio a detenuto per decretare che le nostre carceri non sono più disumane. Lo sono eccome, e lo sono in particolare per come trattano i famigliari dei detenuti: sei ore al mese di colloqui e dieci miserabili minuti a settimana di telefonata, spazi per gli incontri spesso tristi e affollati, attese lunghe, estenuanti, umilianti. E allora chiediamo all’Europa di occuparsi anche delle famiglie dei detenuti, e di invitare l’Italia a introdurre misure nuove per tutelarle. Siamo convinti che unirci in questa battaglia possa essere una forza in più per ottenere il risultato sperato. E noi speriamo che questa battaglia qualche risultato lo dia: una legge per liberalizzare le telefonate, come avviene in moltissimi Paesi al mondo, e per consentire i colloqui riservati. E una legge così, aiutando a salvare l’affetto delle famiglie delle persone detenute, produrrebbe quella "sicurezza sociale", che è cosa molto più nobile e importante della semplice sicurezza. Firmiamo per chiedere finalmente questa legge, coinvolgiamo le famiglie di chi è detenuto, ma anche quelle dei cittadini "liberi", perché in ogni famiglia può capitare che qualcuno finisca in carcere, e nessuno più dovrebbe essere costretto alla vergogna e alla sofferenza dei colloqui, come avvengono ora nelle sale sovraffollate delle nostre galere. Facciamo del 24 dicembre, vigilia di Natale, festa delle famiglie, una scadenza importante per sostenere, con tutte le forme di lotta non violente che riusciamo a immaginare, questa nostra richiesta. 24 dicembre 2014: per quel giorno, raccogliamo migliaia di firme, da tutte le carceri, ma anche dal "mondo libero", per un po’ di amore in più. Si può firmare anche nel sito www.ristretti.org. La redazione di Ristretti Orizzonti Non chiamiamolo "sconto di pena"… Ristretti Orizzonti, 4 agosto 2014 Intervista a Francesco Maisto, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna. Un giorno di carcere in meno ogni dieci, otto euro al giorno per chi ha scontato la pena: si tratta di un "rimedio risarcitorio", di carattere compensativo, con cui è il detenuto ad essere in qualche modo risarcito per la "condotta" dell’Amministrazione penitenziaria. In merito al decreto n° 92 del 26 giugno 2014, che è entrato in vigore il 28 giugno 2014 e che dovrebbe essere in questi giorni convertito in legge, che prevede che la persona detenuta possa presentare istanza per ottenere uno sconto di pena per risarcimento e possa presentare questa istanza al magistrato di Sorveglianza, in quali casi l’istanza può essere presentata da parte del detenuto? Innanzitutto non è uno sconto di pena; se cominciamo a parlare di sconto di pena confondiamo il nuovo e specifico "rimedio risarcitorio", di carattere compensativo, con i benefici penitenziari che hanno come condizione generale la meritevolezza da parte del condannato. In particolare, si confonde il nuovo rimedio con la liberazione anticipata, che tradizionalmente è sempre chiamata in gergo carcerario "sconto di pena", sia se si tratta della liberazione anticipata ordinaria che di quella speciale. Qui invece, è il detenuto ad essere in qualche modo, risarcito per la "condotta" dell’Amministrazione penitenziaria. Ora possiamo precisare in quali casi il detenuto può ottenere il rimedio. Può ottenerlo in tutti i casi il detenuto (quindi, non solo il condannato) che abbia subito (quindi, anche se il pregiudizio non sia più attuale), oppure continui a subire un pregiudizio durante la sua carcerazione e cioè, quel pregiudizio che integra gli estremi dell’art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo: un trattamento inumano e degradante, tortura. Poi il decreto legge precisa che deve trattarsi si del pregiudizio di cui all’art. 3, ma "come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo". Ecco, quindi, che su questo inciso si può aprire una discussione: non basta soltanto tener conto della dizione ampia dell’art. 3 della Convenzione, ma anche dell’interpretazione che è stata data dalla Corte. Generalmente si sta cominciando a profilare l’idea secondo la quale soltanto i detenuti in uno spazio inferiore ai tre metri quadri, quindi secondo la sentenza Torreggiani, possono chiedere la computazione di un giorno per dieci giorni; però è ammissibile anche un’altra interpretazione più ampia, non secondo l’interpretazione Torreggiani, ma secondo la precedente sentenza Sulejmanovic, pure di condanna dell’Italia, che, per ritenere integrato il trattamento inumano e degradante, non si riferisce soltanto ai tre metri quadri, ma anche a uno spazio calpestabile superiore ai tre metri quadri. E poi sono rilevanti anche gli altri parametri, secondo la precisa griglia elencata dalla sentenza Sulejmanovic. Inoltre possono chiedere il rimedio i detenuti che hanno subìto questo pregiudizio, oppure anche le persone che non sono più detenute; solo che cambia il giudice al quale rivolgere l’istanza. Quindi diciamo che il rimedio è a carico dello Stato e non è un beneficio, ma una sorta di compensazione per la maggior sofferenza, che si armonizza con gli altri rimedi e misure varate negli ultimi mesi per attuare le richieste della Corte europea. Oltre i detenuti (e questo è un aspetto che molti trascurano) possono chiedere il rimedio gli internati, cioè le altre persone ristrette che non si possono qualificare come detenute, nelle Case di lavoro, nelle Colonie agricole, negli Ospedali psichiatrici giudiziari o nelle Case di cura e custodia. Quindi, per esempio, per 10 giorni di Casa di lavoro in condizione della violazione dell’art. 3 si può avere un giorno in meno di Casa di lavoro, e questo vale anche per gi internati negli Ospedali psichiatrici giudiziari. Appunto è una cosa che è stata abbastanza tralasciata, non se n’è parlato molto, non si è dato risalto a questo aspetto... Però, non solo il nuovo art. 35 ter della legge penitenziaria, immesso nel sistema dall’art.1 del decreto legge 92, è chiarissimo in questo senso, ma anche l’art. 2 dello stesso decreto si riferisce agli internati. Per internati si intendono le persone che sono in esecuzione di una misura di sicurezza detentiva, cioè: la Casa di lavoro e la Colonia agricola, oppure l’Ospedale psichiatrico giudiziario o la Casa di cura e custodia. Questa tesi è ora sostenibile, nonostante la strutturale indeterminatezza della durata delle misure di sicurezza, alla luce dei nuovi principi del decreto legge n. 52 del 31 marzo 2014, convertito il legge n.81 del 30 maggio del 2014 sugli Ospedali psichiatrici giudiziari. Questa legge, tra le altre tante novità non rilevanti ora, all’art.1, comma 1 quater, riguarda tutte le misure di sicurezza detentive e pone un termine finale di durata disponendo che non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, eccetto l’ergastolo. Quali altre condizioni possono essere ritenute inumane e degradanti, oltre alla limitazione dello spazio fisico? Credo che se si accetta, come ritengo, la tesi secondo la quale non bisogna fare riferimento solo alla sentenza Torreggiani, ma anche alla sentenza Sulejmanovic - ma ce ne sono tante altre della Corte nei confronti degli altri Stati che ritengono il trattamento inumano e degradante -, allora non si ha trattamento inumano e degradante soltanto quando lo spazio calpestabile è di un certo numero di metri quadri, ma anche quando vengono violati altri parametri, come per esempio: la luce diretta nella cella, nella camera di pernottamento, per usare un eufemismo, oppure le ore di aria, oppure il diritto alla salute. Tutto ciò che è in violazione di tutti i parametri che ha preso in considerazione la Sulejmanovic. Quindi, l’ispirazione radicale di fondo è la tutela della dignità della persona e non un problema di allevamento ottimale di galline ovaiole in batteria, oppure di spazi necessari per il corretto allevamento dei maiali. Quindi un detenuto può presentare istanza non solo perché in condizioni di spazio ristrette. ma per altri motivi? Si, infatti il decreto configura il pregiudizio secondo la previsione dell’articolo 69, sesto comma, lettera B della legge penitenziaria, cioè quando c’è stata una violazione di diritti del detenuto e di doveri da parte dell’Amministrazione. E, dopo la modifica dell’art. 35 bis, non solo da parte dell’Amministrazione penitenziaria. Ecco, però poi c’è tutta un’altra serie di condizioni, quindi dicevamo che possono chiedere il rimedio per un computo non inferiore a 15 giorni perché se è meno di 15 giorni, invece di dare un giorno per ogni 10 giorni, bisogna invece dare il rimedio compensativo degli 8 euro al giorno. Poi è necessario innanzitutto, l’input mediante istanza, o personale del detenuto o dell’internato , oppure di un avvocato con procura speciale del detenuto. Cosa significa: tramite difensore munito di procura speciale? Significa che o il detenuto fa istanza, come in genere nei casi in cui chiede una misura alternativa o un permesso, oppure deve nominare un difensore di fiducia e dargli la procura speciale per questo tipo di procedimento. Quindi non basta il difensore di fiducia solito, abituale, il difensore nominato per le misure alternative nel procedimento di sorveglianza, deve essere un difensore nominato con una procura ad hoc: es. nomino come mio difensore l’avvocato tal dei tali in relazione al procedimento per ottenere il rimedio risarcitorio di cui al decreto legge 92 del 2014. Da che data parte il risarcimento? Il risarcimento non ha, come si dice in gergo tecnico un dies ad quem e un dies a quo. Proprio perché si tratta di un rimedio compensativo per sofferenze ulteriori rispetto a quella sofferenza che già dà la restrizione della libertà personale, non c’è un termine. Non si può dire: "a partire dal...". Se dunque io detenuto dico che sono stato posto in una condizione di trattamento inumano e degradante cinque anni fa, e per tutti i cinque anni dico che sono stato posto in questa situazione chiederò il rimedio risarcitorio per cinque anni. Infatti, la regola generale è che quando la legge ha voluto precisare i termini lo ha detto chiaramente. Prendete per esempio, la liberazione anticipata speciale, quella prevista dal decreto legge del 23 dicembre 2013, n.146 convertito nella legge del 21 febbraio 2014 n. 10, essa può essere concessa per le pene dall’1 gennaio 2010 e per un periodo di due anni dalla data di pubblicazione del decreto medesimo. Questa è una norma eccezionale, cioè i 75 giorni di " sconto", se ci sono i presupposti, non verranno dati tra 15 anni. Invece, quella del rimedio risarcitorio è una norma di sistema per obbedire al dettato della Corte europea dei diritti dell’uomo. Quindi, è una norma che viene inserita stabilmente nell’Ordinamento penitenziario, tanto è vero che la norma sulla liberazione anticipata speciale non è parte integrante dell’Ordinamento penitenziario, non ha una numerazione progressiva tipica dell’Ordinamento penitenziario. Il testo ci sembra che non specifichi però in che modo e in che termini il magistrato di Sorveglianza debba muoversi per la valutazione effettiva delle condizioni degradanti e l’accertamento che queste siano perdurate per il periodo che il detenuto dichiara... No, no. Ho letto anche da qualche parte una posizione di questo tipo. Non è esatto perché il precedente decreto ha stabilizzato nel sistema l’articolo 35bis e quindi finalmente, anche se con qualche opacità, è previsto che, in caso di violazione di diritti soggettivi, il detenuto si rivolga al magistrato di Sorveglianza per vedere riaffermato il suo diritto soggettivo e per ripristinare una situazione di legalità. Questo decreto non poteva dire niente di più e, d’altra parte, nulla di più avrebbe dovuto dire perché le sentenze della Cedu fanno stato nel nostro Ordinamento e quindi, i criteri ai quali si deve ancorare la giurisprudenza del magistrato di Sorveglianza e poi, in caso di impugnazione, il tribunale di Sorveglianza, sono quelli della giurisprudenza sovranazionale e della legge nazionale e sovranazionale. Il trattamento legale del detenuto viene assicurato in Italia nel momento in cui si rispetta la Costituzione, le Convenzioni, le leggi nazionali ed in particolare, la legge penitenziaria e il regolamento di esecuzione della legge penitenziaria con tutte le previsioni dei diritti e dei doveri, per quanto riguarda il tempo libero, le attività ricreative, la formazione, il lavoro e così via. Quindi, i parametri ai quali deve ancorare il suo giudizio il magistrato di Sorveglianza, sia nel caso in cui compensi un giorno per dieci giorni, sia nel caso in cui liquidi otto euro al giorno, sono i criteri della giurisprudenza e della corte. Non sono criteri evanescenti. Sembrano evanescenti perché, come dire, è la prima volta che apprezziamo una normativa di questo tipo stabilmente nel nostro Ordinamento. Più che evanescenti, ci chiedevamo la fattibilità di questa verifica che deve essere fatta per capire se effettivamente poi, per tutto il tempo che il detenuto dichiara, si sia effettivamente trovato in condizioni di detenzione inumane e degradanti... Mah, la fattibilità si realizza prospettando tutti i mezzi di prova. Ad esempio, prospettando che è stato compresso, è stato violato un mio diritto soggettivo da questo giorno a questo giorno. Da questo giorno a questo giorno avevo diritto a una certa prestazione sanitaria perché mi era stata prescritta, accerti il magistrato di Sorveglianza se ciò è vero, se ciò non è vero e decida. Il magistrato di Sorveglianza, sulla base di queste affermazioni contenute nell’istanza, svolge gli accertamenti necessari e, non a caso, è un procedimento in contraddittorio in cui si versano le richieste del detenuto e del suo difensore; quindi non è un procedimento, come dire, senza contraddittorio, sbrigativo, de plano. Il magistrato di Sorveglianza darà l’avviso al Pubblico Ministero, l’avviso all’Amministrazione penitenziaria, assumerà dei mezzi di prova in concreto, caso per caso, oppure, di fronte a situazioni generalizzate di detenzione in violazione di legge, di tutto un carcere, sarà sufficiente acquisire e valutare documenti generali di quel carcere. Anche per quanto riguarda l’assunzione dei mezzi di prova, lo stesso detenuto o il suo difensore potranno indicarli specificamente; potranno indicare circolari dell’amministrazione che non sono state rispettate; potranno indicare testimonianze, ecc. La prova è libera da questo punto di vista, e soggetta alla valutazione motivata del giudice. Bisogna portare al giudice il fumus, come si dice in gergo, la parvenza delle prove, e il magistrato deve accertarle, ha l’obbligo di accertarle. Nel caso in cui poi emette un’ordinanza di rigetto della richiesta del detenuto, questa ordinanza è impugnabile davanti al tribunale di Sorveglianza che a sua volta, proprio perché si tratta di impugnazione, in certi casi, potrà rinnovare l’istruttoria. Immaginiamo però che con tutte le istanze che ci saranno, sarà complicato per i magistrati riuscire a rintracciare la storia delle singole persone, anche perché molti detenuti avranno magari avuto condizioni non continuative di violazione dei loro diritti... Voglio cercare di chiarire questo. Allora, un conto è che si faccia una buona legge e altro conto è, poi, immediatamente fare in modo che ci sia la struttura organizzativa e le risorse umane e personali in modo che la legge funzioni. Insomma, la legge deve poi avere i piedi per camminare. Ecco, queste sono le cose che bisogna fare. Però non bisogna lasciarsi spaventare dal numero di istanze che arriveranno. Certo, ne arriveranno tantissime, ma se ne dovessero arrivare tante poi questo sarebbe il sintomo che molto male in più, molta sofferenza in più è stata inferta dal nostro sistema penitenziario in questi 15 anni. Ed in più rispetto a quella che la legge richiedeva. Quindi, non bisogna lasciarsi spaventare dal prevedibile fenomeno. Bisogna mettere in atto gli strumenti perché queste istanze vengano valutate e vengano decise dalla magistratura in un tempo ragionevole. Ma questi strumenti quali sono? Innanzitutto, un numero di magistrati di Sorveglianza sufficiente in ogni ufficio di Sorveglianza, in ogni tribunale di Sorveglianza. Attualmente crede che siano sufficienti? Attualmente sono del tutto insufficienti. E dire insufficienti è dire poco, perché la situazione è drammatica. Poco più di 150 magistrati di Sorveglianza si devono occupare di 55.000 detenuti! E poi sono aumentate sempre di più, nel corso degli anni, le competenze, le mansioni, cioè le attività che deve svolgere il magistrato di Sorveglianza. E invece, non sono aumentati gli organici. Quindi abbiamo innanzitutto degli organici non completi che bisogna completare, cioè bisogna fare in modo che tutti gli uffici di Sorveglianza e i tribunali di Sorveglianza abbiano gli organici pieni, completi. E poi bisogna far aumentare gli organici dei magistrati di Sorveglianza. Ci sono notevoli sproporzioni per esempio tra uffici e uffici, in particolare tra il nord e il sud. Valuto per esempio che nel mio tribunale di Sorveglianza ogni magistrato di Sorveglianza ha 200 condannati in più rispetto a una magistrato della Lombardia oppure di Roma, del Lazio. Bisogna acquisire una mentalità sistemica, per cui se aumenta il numero degli istituti in un certo territorio e quindi aumenta il numero dei detenuti, in modo quasi automatico deve aumentare l’organico dei magistrati. Inversamente, se diminuisce in una certa regione il numero degli istituti e il numero dei detenuti, lì, in quel caso, bisogna far diminuire il numero dei magistrati. Quindi è necessaria una visione moderna che non c’è. Detto questo, cioè il problema della magistratura, c’è un problema ancora più grave ed è quello del personale di cancelleria, perché ben bene che il magistrato abbia deciso con una certa celerità, è necessario che il fascicolo venga composto, venga messo a posto, la documentazione ci deve stare nel fascicolo perché il magistrato decida. E questo deve succedere sia prima che il magistrato decida, sia dopo che il magistrato decide ai fini dell’esecuzione. E tutto questo non c’è. Vero è che il decreto legge prevede assistenti volontari ex art. 78 che collaborino con la magistratura di Sorveglianza, ma a me sembra che questo servirà a poco. Prevede anche, il decreto legge, che finalmente, non soltanto i magistrati che da un certo tempo siano in carriera possano andare a fare i magistrati di Sorveglianza, ma anche i magistrati di prima nomina, e quindi si possa attingere anche per la magistratura di Sorveglianza ai nuovi ai giovani magistrati. Però questo significa soltanto riuscire ad avere l’organico pieno, ma non significa aumentare il numero dei magistrati di Sorveglianza e invece, bisogna aumentarli. Poi è chiaro che il decreto legge prevede anche tutta una serie di aspetti importanti, come per esempio il caso della liquidazione, quando la pena sia già stata espiata. In quel caso però, la competenza non è del magistrato di Sorveglianza, ma bisogna proporre una vera e propria azione al tribunale del capoluogo del distretto in cui ha la residenza la persona che è stata scarcerata, cioè davanti al giudice civile. Però vedo che anche qui c’è una discrepanza, una asimmetria, perché non basta affermare secondo legge che un diritto esiste, poi quel diritto deve vivere e per poter vivere è necessario che, se viene violato, il giudice lo possa ristabilire subito. Allora nel caso, per esempio, del pregiudizio come trattamento inumano e degradante, mentre il procedimento per la persona che è stata scarcerata davanti al tribunale civile è un procedimento più agile, ma meno garantito perché praticamente è prevista l’emissione di un decreto da parte del giudice civile monocratico, peraltro, un decreto non reclamabile, cioè non impugnabile e quindi non garantito, invece, è più garantito, ma meno agile il procedimento della persona detenuta perché è previsto un primo grado di giudizio davanti al magistrato di Sorveglianza, un secondo grado, l’impugnazione davanti al tribunale di Sorveglianza, poi il ricorso per Cassazione e, nel caso in cui non ci sia l’esecuzione, il giudizio di ottemperanza. Ma capite bene che un procedimento così articolato e complesso può facilmente slittare in una negazione del diritto, perché non è possibile che per avere un giorno su dieci giorni oppure otto euro al giorno di debba aspettare il giudizio di Cassazione, oppure il giudizio di ottemperanza. È probabile, come mi auguro, che questo non succederà sempre, però poiché si applica il rito dell’art. 58 bis, l’ordinanza del magistrato di Sorveglianza deve essere non più impugnabile, cioè dev’essere esecutiva. Invece è soggetta ad impugnazione. (Intervista concessa a Radio Cooperativa e rivista dal magistrato stesso) Giustizia: decreto-detenuti, ecco cosa prevede il provvedimento licenziato dal Senato Public Policy, 4 agosto 2014 L’Aula del Senato ha approvato in via definitiva, sabato in prima lettura, il decreto Detenuti. Il governo, dopo che la commissione Giustizia di palazzo Madama aveva approvato una modifica battendo la maggioranza, è stato costretto a mettere la fiducia sul testo così come uscito da Montecitorio a fine luglio tra le proteste della Lega. Il provvedimento contiene - tra le altre cose - l’introduzione di una forma di risarcimento per i detenuti in condizioni "inumane o degradanti", l’eliminazione della custodia cautelare per le pene inferiori ai 3 anni, l’anticipo della scadenza del commissario straordinario per le infrastrutture carcerarie e una riorganizzazione del personale attivo nelle strutture detentive. Risarcimento per i detenuti: sconto pena o 8 euro In caso di violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ("proibizione della tortura"), il decreto istituisce due forme di risarcimento: nel caso in cui il periodo di detenzione in condizioni "inumane o degradanti" sia superiore a 15 giorni il magistrato di sorveglianza dispone una riduzione della pena pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio; in caso di periodo inferiore a 15 giorni - o di periodo di pena rimanente da scontare non sufficientemente lungo - un risarcimento pari a 8 euro per ogni giornata di pregiudizio. Lo stesso tipo di risarcimento in denaro può essere chiesto da chi ha subito il maltrattamento in stato di custodia cautelare o da chi ha finito di scontare la pena, a patto che la richiesta venga presentata entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere. Per questa misura il governo prevede di spendere 5 milioni di euro nel 2014, 10 milioni nel 2015 e 5,3 milioni nel 2016. Le risorse quest’anno saranno trovate nelle somme non spese derivanti dalle sanzioni amministrative irrogate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, e per gli anni successivi da una riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica. Niente custodia cautelare per pene inferiori a 3 anni Un articolo del decreto prevede che le misure della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari non possano essere disposte quando il giudice ritiene che la condanna a pena detentiva possa presuntivamente rientrare entro il limite dei 3 anni. ‘La disposizione - si legge nella relazione tecnica - è finalizzata a prevenire ulteriori situazioni di sovraffollamento’. Viene però specificato che la misura non si applica in caso di alcuni reati ad allarme sociale (maltrattamenti in famiglia, stalking, incendio boschivo, furto in abitazione e furto con strappo) e ai reati gravissimi - come quelli, per esempio, di mafia o di terrorismo - contenuti nel comma 4-bis della legge n. 354 del 26 luglio 1975. Estensione misure alternative fino a 25 anni Il decreto prevede che le disposizioni in materia di esecuzione dei provvedimenti limitativi della libertà personale (misure cautelari, alternative, sanzioni sostitutive, pene detentive e misure di sicurezza) che si applicano nei confronti dei minorenni si adottino anche alle persone che non abbiano ancora compiuto 25 anni e non più, come era previsto, 21 anni. Questo è stato stabilito, come si legge anche nella relazione illustrativa del governo, ‘in un’ottica sia di deflazione della popolazione carceraria sia finalizzata a differenziare il trattamento rieducativo nei confronti di soggetti in giovane età. La norma è sempre valida a meno che ‘non ricorrano particolari ragioni di sicurezza valutate dal giudice competente, tenuto conto altresì delle finalità rieducative. Più agenti e meno ispettori di polizia penitenziaria Viene ridotta di 703 posti la dotazione organica degli ispettori del corpo di Polizia penitenziaria (le cui funzioni sono state assorbite in questi anni dai commissari) e viene aumentata di massimo 907 posti la dotazione organica del ruolo degli agenti e assistenti. "Tale operazione consentirà una maggiore flessibilità nell’assegnazione del personale necessario ad adeguare le piante organiche alle effettive esigenze degli istituti penitenziari - si legge nella relazione tecnica del provvedimento - con effetti finanziari di sostanziale neutralità, a parità di organico complessivo, in relazione agli oneri stipendiali fissi ed accessori". Viene prevista, inoltre, la riduzione della durata del corso di formazione degli allievi vice ispettori, da 18 a 12 mesi, per "rendere più rapido l’impiego operativo dei nuovi assunti e con effetti virtuosi di risparmio in relazione ai costi di formazione attualmente sostenuti dall’amministrazione penitenziaria". Un articolo del decreto stabilisce, inoltre, che il personale appartenente ai ruoli del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) non potrà essere comandato o distaccato - per i prossimi due anni - presso altre pubbliche amministrazioni e altri ministeri. Nomina veloce per i Magistrati di Sorveglianza Il Consiglio superiore della magistratura potrà attribuire le funzioni di magistrato di sorveglianza, al termine del tirocinio, anche prima del conseguimento della prima valutazione di professionalità. La novità riguarda solo i 370 nuovi magistrati ordinari assegnati con il decreto ministeriale del 20 febbraio 2014, e potrà essere applicata solo nel caso in cui "sussista una scopertura superiore al 20% dei posti di magistrato di sorveglianza in organico". Era questa la norma che la commissione Giustizia del Senato aveva abrogato battendo la maggioranza su un emendamento di Forza Italia. Anticipo scadenza Commissario carceri Sinesio Viene anticipata la scadenza del commissario straordinario del governo per le infrastrutture carcerarie, il prefetto Angelo Sinesio, al 31 luglio 2014 anziché al 31 dicembre 2014. Sinesio che il mese di giugno ha ricevuto dalla procura di Roma un avviso di garanzia nell’ambito di una indagine legata alla ristrutturazione di alcune carceri - è attivo come commissario straordinario del governo per le infrastrutture dal 1 luglio 2013, secondo quando stabiliva l’allora piano carceri del governo. Tra i suoi compiti ci sono la manutenzione straordinaria delle strutture penitenziarie, la realizzazione di nuovi istituti, la destinazione e la valorizzazione delle strutture già esistenti. La norma stabilisce anche che con un decreto del ministro della Giustizia, di concerto con quello delle Infrastrutture, saranno "definite le misure necessarie per assicurare la continuità ed il raccordo delle attività già svolte". Nella motivazione all’emendamento che aveva introdotto questa norma alla Camera era possibile leggere che il provvedimento "si giustifica con l’attenuarsi della emergenza del sovraffollamento penitenziario, che era all’origine della sua previsione, nonché con l’esigenza di razionalizzazione delle modalità d’impiego del personale dell’amministrazione penitenziaria". Niente scorta per chi è agli arresti domiciliari Il decreto introduce una specifica regolamentazione relativa alle modalità di esecuzione degli arresti domiciliari. In questo caso - a meno di particolari esigenze processuali o di sicurezza - l’imputato raggiunge senza accompagnamento il luogo di esecuzione della misura e il giudice informa il pubblico ministero e la polizia giudiziaria che possono, anche di propria iniziativa, controllare l’osservanza delle prescrizioni imposte. Informativa in caso di condannati internazionali Viene previsto che i giudici di sorveglianza debbano informare, in caso di provvedimenti su detenuti in Italia e condannati da tribunali o Corti penali internazionali, il ministro della Giustizia (fornendo idonea documentazione) e che quest’ultimo ne informi il ministro degli Affari esteri e, qualora previsto da accordi internazionali, ne dia successiva informazione all’organo internazionale che ha pronunciato la condanna. La norma - si legge nella relazione illustrativa- fa "fronte di alcune doglianze rappresentate da tribunali e Corti penali internazionali riguardanti la mancata comunicazione della pendenza di procedimenti incidenti sullo stato di libertà personale di soggetti condannati da questi organismi e detenuti in Italia". Giustizia: riforma; su appello e prescrizione si cambia, presentazione mercoledì prossimo di Liana Milella La Repubblica, 4 agosto 2014 Mercoledì Orlando presenta ai capigruppo di maggioranza le novità del suo progetto: stretta alla pubblicazione delle intercettazioni e intervento soft sulla responsabilità dei giudici. Nessuna modifica alla concussione. Una dead-line, quella del 20 agosto, che costringerà via Arenula alle tappe forzate. Scelte, come quella sulla stretta al ricorso in appello, alla prescrizione bloccata dopo la sentenza di primo grado, alle intercettazioni non pubblicabili, alla concussione, che toglierebbero il sonno anche a un orso in letargo. Un confronto, quello con Forza Italia e inevitabilmente con Berlusconi, destinato a trasformare il dibattito sulla giustizia in un’arena. Non può che essere caldo l’agosto del Guardasigilli Andrea Orlando che, come sempre, misura i toni e cerca di tenerli al minimo, pur se intorno a lui c’è grande agitazione, anche per le nomine di uffici importanti, come il Dipartimento delle carceri e l’ispettorato, scoperti ormai da un paio di mesi. I 12 punti della riforma - sommariamente discussi a palazzo Chigi, nel consiglio dei ministri del 30 giugno, ma ufficializzati dal premier Renzi e da Orlando in conferenza stampa - dovranno diventare altrettanti articolati, pronti a settembre per il consiglio dei ministri e per il dibattito in Parlamento. Le novità sono presto dette. È probabile che lo stesso Orlando cominci ad annunciarle mercoledì prossimo alle 12 quando, nella famosa stanza che fu di Togliatti, incontrerà i capigruppo parlamentari della maggioranza, in vista del confronto politicamente più delicato, quello con le opposizioni e in particolare con Forza Italia. Il governo sta studiando una formula morbida per la responsabilità civile dei giudici, i cui contenuti dovrebbero essere messi online già questa settimana, in modo da escludere quella diretta (votata alla Camera anche da Forza Italia su emendamento del leghista Pini), mantenere la formula del "dolo e colpa grave", garantire "la libera interpretazione della legge", ma eliminare del tutto il filtro del tribunale che finora ha di fatto bloccato i ricorsi. Poi il tema caldo della riforma del processo penale, per cui si sta pensando di ridurre le griglie per il ricorso in appello, senza eliminare la possibilità, ma limitandolo ai casi effettivamente necessari. Nella logica di accorciare i tempi del processo, si lavora anche a un intervento sui poteri dei gup, i giudici dell’udienza preliminare che ormai molto spesso dura quanto un intero grado del giudizio. Sulla prescrizione l’orientamento che sta prevalendo tra i tecnici del Guardasigilli è di fermare l’orologio alla sentenza di primo grado. La stretta sulle intercettazioni riguarderà l’impossibilità di pubblicare quelle di persone non indagate. Delusione invece per chi si aspettava una marcia indietro sulla concussione per riunificare il reato diviso in due dall’ex Guardasigilli Severino. È praticamente certo che resta tutto com’è adesso. Per ora, nella sua road map, Orlando vuole assicurarsi che la maggioranza sarà compatta nell’attendere il governo pur in presenza di provvedimenti in discussione da tempo tra Camera e Senato, come la responsabilità civile e le norme su falso in bilancio e riciclaggio. Quanto a Berlusconi, Orlando non lo nomina neppure. Rifugge dalla polemica su una trattativa che potrebbe vedere dall’altra parte del tavolo un condannato definitivo. Con questa realtà dovrà fare i conti, ma al momento inutile chiedergli se per la riforma della giustizia si andrà a un nuovo patto del Nazareno. Per ora l’emergenza di Orlando è quella di completare i suoi 12 punti e poi di mettere al più presto online anche gli articolati. Giustizia: Civati (Pd); su questo punto non si può accettare un altro "patto del nazareno" La Repubblica, 4 agosto 2014 Orlando? "Mi piace il suo agosto laborioso". Il confronto con Berlusconi? "Sulla giustizia il patto del Nazareno non è riproponibile". Il paletto irrinunciabile? "Una riforma "con", e non "contro" i magistrati". Pippo Civati, leader della sinistra Pd, al Guardasigilli consiglia di "guardare oltre Berlusconi". Si annuncia un confronto anche con Fi. Come lo giudica? "Non è una sorpresa. Lo schema di Renzi è sempre stato quello che Orlando declina oggi. Il ministro aveva assicurato che non ci sarebbero stati accordi sottobanco, una puntualizzazione molto giusta viste le opacità che tuttora permangono sul patto del Nazareno". È un incontro impossibile? "Sicuramente complicato per evidenti ragioni storico- politiche e per le scelte orrende che Berlusconi ha fatto negli ultimi 20 anni proprio sulla giustizia. Purtroppo lo schema del Pd sulla questione da 2 anni è pilatesco, mentre occorrerebbe un lavoro complessivo, se è vero, come dice Cantone, che il tema della legalità è fondamentale. Invece si è perso tempo e si è nascosto il problema. Rivolgersi a questa o a quell’opposizione è dirimente". Il patto del Nazareno è riproponibile? "No, affatto. Né nelle modalità, né nella formula. Perché l’interlocutore non è affidabile. Con un partito che ha lavorato per il "salva questo-salva quello", che ha azzerato il falso in bilancio, che ha occultato il tema della legalità, è complicato interloquire. Se poi lo schema è quello del confronto parlamentare, ci sono forze politiche come M5s o Sel, meno numerose, che possono interloquire meglio. Ovviamente c’è il problema della forza politica di centrodestra oggi è alleata del governo". Si può trattare sulla giustizia con chi è indagato ed è stato espulso dal Senato perché condannato? "Sono più gravi le questioni politiche, ma questa è certamente un’aggravante per un patto esclusivo con un solo partito. Siamo di fronte a un conflitto d’interessi gigantesco. Prevedo un autunno caldo per la giustizia, rinviata per due anni in modo compromissorio perché prima Berlusconi era un alleato e poi è rimasto tale sulle riforme costituzionali, mentre questioni fondamentali come l’auto-riciclaggio e la l’anti-corruzione venivano accantonate. Mi piace l’Orlando laborioso agostano, ma questo non cancella i due anni di rinvii, che non riguardano lui, ma lo schema politico". Diamo per scontato che il confronto con Fi avvenga alla luce del sole. Quali sono i paletti? "Il rispetto verso il lavoro della magistratura. Io vorrei una riforma "con" i magistrati e non "contro" di loro. Finora c’è stata una certa confusione nell’equilibrio tra i poteri, invece io tengo al rigore estremo. Non ci possiamo permettere di rinviare ancora la modifica delle leggi vergogna, o essere in imbarazzo sull’evasione fiscale, temi da sempre nel nostro programma elettorale. Poi starei lontano dalla demagogia, evitando le battute di Renzi su indulto e amnistia, quando poi abbiamo affrontato lo stesso un percorso per alleggerire il peso delle carceri. Mi chiedo se un Pd forte non possa insistere sulla legalizzazione delle droghe leggere. Al coraggio, almeno, non dovremmo rinunciare". Dopo gli scontri al Senato, che prevede sulla giustizia? "Voglio credere alle parole di Orlando. Sulla giustizia non si può andare al modello semplicistico, o con me o contro di me, per il patto o contro il patto, dobbiamo confrontarci con tutti. Perché, grazie a Dio, in Parlamento non c’è solo Forza Italia". Napoli: Poggioreale e Secondigliano, rapporto choc su condizioni di vita nei penitenziari di Claudia Sparavigna Roma, 4 agosto 2014 "Nella cella accanto dormono in undici, su una superficie che potrebbe contenerne massimo quattro, hanno risolto installando vecchi letti a castello in legno a tre piani. Vicino c’è una porta che conduce a una sorta di cucina: un mobiletto col cucinino a gas che sta scaldando l’acqua per la pasta, accanto a questa, il lavandino e il water". Si parla del carcere romano di Rebibbia, in questo passo del libro "Viaggio nelle carceri" , di Davide La Cara e Antonino Castorina, del movimento Giovani Democratici, ma potrebbe essere uno qualunque degli istituti di pena italiani, dove da tempo i detenuti vivono in condizioni disperate. Il saggio è ricco di contributi da parte di chi, nel corso degli anni, si è battuto per la causa delle carceri come Rita Bernardini, segretaria dei Radicali Italiani, Roberto Giacchetti, vicepresidente della Camera dei Deputati, l’onorevole Laura Coccia, l’onorevole Enza Bruno Bossio e molti altri. Sono tante le storie raccolte nel libro, edito da Editori Riuniti Internazionali, che tracciano il panorama delle carceri italiane. Un viaggio in luoghi avvilenti che denuncia le innumerevoli carenze strutturali di cui oggi soffrono gli istituti di pena italiani. "Negli istituti ho incontrato molta gente, migliaia di occhi, ma prima di tutto persone con le loro storie, i loro drammi, le loro speranze - racconta l’onorevole Coccia nel libro - Visitando una sezione sovraffollata, mentre avevo una sensazione opprimente al limite della claustrofobia, ho sentito un urlo "Benvenuti allo zoo": mi si è gelato il sangue". E così che i detenuti si sentono, trattati come animali in gabbia. Non sono oggetto di studio, ma persone che hanno un debito con la società che va saldato, non con la mera punizione, ma con il reinserimento sociale. Non con le percosse ma con l’istruzione. Sono questi i motivi per cui la corte Europea ha sanzionato l’Italia molte volte, non ultima la sentenza Tor-reggiani, "che ha giudicato le condizioni dei detenuti una violazione degli standard minimi di vivibilità che determina una situazione di vita degradante". È proprio da qui che bisogna ripartire, dalla riforma delle carceri, del sistema penitenziario, della reclusione come formazione e non come tortura per poter parlare di una riforma organica dell’intero sistema Giustizia. E la Costituzione italiana a imporre un cambiamento di quello che Filippo turati definiva "la maggior vergogna del nostro Paese, l’esplicazione della vendetta sociale nella forma più atroce che si abbia mai avuta": le carceri. Una delle interviste di La Cara è a Nobila Scafuro, madre di Federico Perna, morto a Poggioreale lo scorso anno a causa di un ictus, ma sulle cui cause certe di morte, c’è ancora da fare chiarezza. "Federico mi aveva raccontato di aver subito abusi sessuali, da parte delle stesse guardie carcerarie a cui avrebbe dovuto denunciare il fatto - racconta Nobila. Non ho mai capito perché abbia girato 9 carceri in 3 anni. Un ragazzo malato di epatite C e di cirrosi epatica, per quale motivo viene sbattuto da carcere a carcere, per andarsi a prendere altri virus?". Sono numerose le interrogazioni parlamentari ma pare che il problema non si riesca a risolvere in nessun modo. Occorrono nuove strutture carcerarie o applicare le misure alternative. Venezia: i controlli dello Spisal a Santa Maria Maggiore "nelle celle manca la luce…" di Giorgio Cecchetti La Nuova Venezia, 4 agosto 2014 La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte condannato l’Itala per le condizioni in cui i detenuti sono costretti a scontare la pena nelle carceri. In primo luogo, la questione dello spazio: ci devono essere nelle celle almeno tre metri quadrati calpestabili per ogni detenuto, visto tra l’altro che buona parte del loro tempo la passando rinchiusi in cella. Anche il presidente del Tribunale di sorveglianza di Venezia Giovanni Maria Pavarin ha recepito questa direttiva e con una sentenza ha dato questa indicazione alle varie direzione delle case circondariali venete. Ma, tra gli stessi giudici di sorveglianza c’è chi ha messo in discussione la direttiva, ad esempio sostenendo che in quei tre metri va conteggiato anche lo spazio dedicato ai servizi igienici. Le conclusioni alle quali sono giunti i tecnici del Servizio prevenzione dell’Asl 12 sul carcere di Santa Maria Maggiore non lasciano dubbi: "L’illuminamento e il rapporto illuminante, misurato all’interno delle sei celle oggetto d’indagine presentano valori variabili. La valutazione delle condizioni di illuminamento, con riferimento agli standard tecnici e normativi degli ambienti di vita e di lavoro, non è soddisfacente in tutti i locali esaminati... l’illuminamento artificiale in uso non è sufficiente a colmare la carenza di illuminamento naturale diretto". Questo si legge nelle conclusioni della relazione firmata dal direttore dello Spisal Giancarlo Magarotto consegnata al presidente del Tribunale di Sorveglianza Giovanni Maria Pavarin. A Santa Maria Maggiore, dunque, oltre agli spazi ristretti a causa del sovraffollamento - anche se negli ultimi mesi la situazione da questo punto di vista è migliorata - i detenuti non possono contare neppure su un illuminazione sufficiente. Eppure la presenza di un’illuminazione sufficiente dei locali in cui si vive è importante e a spiegare perché è la stessa relazione. "L’illuminazione di un ambiente è elemento molto importante in quanto agisce sullo stato di benessere dell’individuo. Condizioni di illuminazione ottimali consentono che la funzione visiva si ep0lichi senza affaticamento e conseguenze dannose" si legge. E ancora: "Nel caso di ambienti confinati, in linea generale, deve essere garantita sufficiente luce naturale; le aperture verso l’esterno permettono all’individuo di cogliere le modulazioni del ciclo della luce a cui sono legate importanti funzioni fisiologiche e di mantenere un legame visivo col mondo circostante, che è un bisogno psicologico elementare per l’uomo". Oltre alla libertà, anche questo è negato ai detenuti rinchiusi nel carcere lagunare. Comunque, i tecnici dello Spisal suggeriscono alla direzione di Santa Maria Maggiore alcuni interventi, eccoli: "Eliminazione parziale o totale delle schermature esterne poste sulle finestre; potenziamento dell’illuminazione artificiale; interventi di manutenzione per il controllo delle lampade e la regolare pulizia delle vetrate; valutare la sostituzione delle attuali vetrate con altre a maggiore trasparenza; valutare la dotazione di illuminazione localizzata al fine di consentire ai detenuti di variare la luminosità locale in riferimento al compito visivo e alle condizioni individuali quali età e difetti visivi". I tecnici dello Spisal veneziano erano entrati nel carcere di Santa Maria Maggiore il 9 giugno scorso, accompagnati dal presidente del Tribunale di sorveglianza, dal procuratore della Repubblica, dal comandante della Polizia penitenziaria e dai legali dei sette detenuti che avevano segnalato con i loro esposti le condizioni di vita all’interno delle celle, gli avvocati Annamaria Marin, Barbara De Biasi e Federico Cappelletti, esponenti della Camera penale veneziana che da anni si batte per migliorare le condizioni di vita di chi è costretto a vivere a Santa Maria Maggiore per mesi o per anni. Quella mattina, tra l’altro, c’era il sole e la giornata era molto luminosa, nonostante questo la relazione dipinge una situazione pessima. Gorizia: ristrutturazione in corso per "salvare" il carcere Messaggero Veneto, 4 agosto 2014 Proseguono senza intoppi i tanto attesi lavori di ristrutturazione del carcere goriziano, cominciati nel giugno del 2013, e che, con una spesa di poco superiore a un milione di euro, consentiranno finalmente di risolvere le maggiori problematiche che per lungo tempo hanno afflitto il vetusto edificio di epoca asburgica che ospita la casa circondariale di via Barzellini. Problematiche che per anni hanno messo in forse la stessa sopravvivenza del carcere goriziano, la cui chiusura avrebbe rappresentato un ennesimo, pesante depauperamento per la città con riflessi negativi anche sull’adiacente Tribunale. La ristrutturazione sarà insomma fondamentale non soltanto per ripristinare finalmente un livello minimo di decoro per un edificio che da anni versava in condizioni disastrose, ma anche per cancellare definitivamente il rischio che proprio la situazione di degrado potesse indurre l’amministrazione penitenziaria nazionale a decidere la chiusura della casa circondariale goriziana. Tre anni fa si era parlato addirittura di un decreto di chiusura già pronto, rimasto chiuso nei cassetti dei ministri Angelino Alfano e Nitto Palma. Ora quel rischio appare definitivamente scongiurato e, stando alle ultime previsioni, non manca molto al completamento dell’intervento di ristrutturazione: i lavori dovrebbero essere terminati entro la fine dell’anno. È previsto il rifacimento delle camere detentive che saranno più moderne e dignitose, saranno realizzate docce autonome all’interno dei singoli bagni delle celle e anche un piccolo angolo cottura autonomo. Una parte della struttura potrà essere valorizzata per ospitare le attività ricreative culturali e formative. Attualmente, in coincidenza con i lavori, il carcere goriziano ospita solo 16 detenuti. Una volta completata la ristrutturazione, la capienza potrà tornare a salire, ma non dovrà andare oltre il limite dei 60 detenuti. Lo stanziamento da parte dell’amministrazione penitenziaria nazionale per "salvare" la casa circondariale goriziana risale al febbraio 2012 ed era giunto anche grazie ad un lungo "pressing" che aveva visto impegnati i rappresentanti sindacali (in primis la Cisl) ed esponenti istituzionali locali come il sindaco Romoli. Catania: progetto "PartyAmo", i libri per regalare un pizzico di libertà dietro le sbarre di Agnese Virgillito La Sicilia, 4 agosto 2014 Leggendo un libro si trova un pizzico di libertà anche dietro le sbarre di un. E così Valeria Giunta, trentasettenne originaria di Ispica ma catanese d’azione, con un passato nei servizi sociali nel Ragusano, ha pensato di scommettersi in prima persona e aprire una libreria ad Acireale con lo scopo di venir incontro ai più bisognosi e, fra questi, i detenuti. Si tratta del progetto "PartyAmo", approvato dal Ministero della Giustizia, allestito nell’Istituto penale per i Minorenni ad Acireale; progetto che si prefigge di recuperare socialmente i reclusi con un’attività di supporto all’area educativa. Il negozio di libri di Valeria Giunta apre le porte alle famiglie a rischio, ai giovani svantaggiati, ai meno abbienti, ai disabili e ai minori reclusi. Visto che i detenuti non possono recarsi in libreria, è lei che porta i testi nelle struttura di via Gozzano ad Acireale. Tutti i lunedì, si reca in carcere ed incontra il gruppo di detenuti: dieci in tutto, d’età compresa fra i quattordici ed i ventidue anni, con capi d’accusa sulle spalle che vanno dallo scippo alla rapina a mano armata, dallo spaccio al furto. Insieme, con l’occhio vigile degli educatori, si avvia la lettura di un’opera letteraria che poi gli stessi detenuti commentano con una relazione finale. L’iniziativa, condivisa in pieno dal direttore dell’Istituto penitenziario minorile di Acireale, Carmela Leo, è stata avviata lo scorzo marzo e sembra che abbia già portato risultati. Dalle 9 alle 12,30, il gruppo ha avuto modo di leggere: "Mi chiamo Chuk", di Aaron Karon, che sottolinea le problematiche adolescenziali, ed il romanzo "Come fossi solo" di Marco Magini che descrive lo scenario della guerra in Jugoslavia. Non è tutto. Il progetto vede anche il reinserimento nella società ed in particolar modo nel mondo del lavoro dei ristretti del carcere minorile che, a discrezione del Magistrato di Sorveglianza, potranno trovare impiego nella libreria di Valeria Giunta. "È un’iniziativa di vita più che di lavoro - rileva Valeria Giunta-. Ritengo che ciascuno di noi debba seriamente cooperare per la migliorare la società e l’ambiente in cui viviamo. I detenuti minorenni non sono ragazzi senza domani. Noi, che li seguiamo, siamo responsabili, se non del loro passato e presente, del futuro che li attende. Alle pareti del mio negozio sono appesi i quadri che i detenuti hanno dipinto e mi hanno donato il giorno dell’inaugurazione della libreria. I "ragazzi", infatti, erano presenti grazie al magistrato che li ha autorizzati affinché capissero che è meglio un libro in mano che una pistola". Giustizia: detenuto tunisino trovati in possesso di telefono cellulare va in escandescenze Comunicato Sappe, 4 agosto 2014 La scorsa notte un detenuto tunisino durante un’operazione di servizio veniva sorpreso ad utilizzare un telefono cellulare di piccole dimensioni. Il detenuto resosi conto di essere stato scoperto ha pensato bene, prima dell’ingresso del personale in cella, di nascondere il telefono. Ma un controllo approfondito ha permesso di trovarlo nascosto in un pacchetto di tabacco. A questo punto il detenuto ha reagito cercando di procurarsi delle ferite dando delle testate contro il muro o cercando di auto lesionarsi, per accusare di aggressione il personale intervenuto. Tale comportamento pericoloso ha costretto i poliziotti a contenerlo fisicamente. Il detenuto si riusciva a divincolarsi creando scompiglio nel carcere, correndo nei piani detentivi e lanciando qualsiasi oggetto verso i poliziotti. Tutto questo è inaudito ed il personale è costantemente sotto pressione, come in questo caso che il detenuto ha pensato bene accusare di aver subito un pestaggio da parte della Polizia Penitenziaria. Accusa prontamente smentita dalla visione dei filmati delle telecamere interne - afferma il Sappe regionale, il sindacato di categoria maggiormente rappresentativo. Non passa giorno che Marassi è teatro di eventi critici, tutti risolti abilmente dalla Polizia Penitenziaria genovese che così dimostra di saper fare bene il proprio mestiere. Il segretario regionale Lorenzo però, punta la sua accusa nei vertici dell’Amministrazione penitenziaria che, secondo il sindacalista, non prende provvedimenti e si limita ad osservare. Sono ben altre le strategie da adottare come ad esempio maggiore vigilanza ai cortili passeggi dei detenuti, luogo facilmente raggiungibile da lanci dall’esterno di materiale non consentito, è da ricordare che qualche giorno fa sempre i poliziotti penitenziari di Marassi hanno intercettato involucri contenenti sostanze stupefacenti e telefonini, occorre anche un maggior supporto tecnologico specialmente ai controlli dei colloqui detenuti-famigliari, ribadiamo la necessità di istituire un nucleo antidroga regionale, questo lo si può ottenere senza alcuna spese perché le strutture in Liguria ci sono e poi se fosse una questione di spesa pubblica, qualcuno deve spiegare il perchè si continua a pagare 400.000 € annuali per l’affitto dei locali del Provveditorato regionale quanto ci sono altri uffici disponibili gratuitamente sia a Marassi e sia a Pontedecimo dove esiste una palazzina totalmente inutilizzata. Il segretario Lorenzo ricorda che "per contrastare l’utilizzo abusivo di telefoni cellulari o altra strumentazione che può permettere comunicazioni non consentite con l’esterno, è ormai indifferibile l’adozione di strumenti tecnologici che consentano alla Polizia Penitenziaria di contrastare questo fenomeno, basterebbe ad esempio la schermatura del penitenziario per renderli inutilizzabili. Ma un ragionamento va fatto anche su chi a Marassi gestisce la sicurezza se questi sono i risultati allora dovrebbe essere destinato ad altri incarichi. Ancona: i detenuti stranieri ricevono gli attestati del Corso di Lingua e Cultura Italiana www.vivereancona.it, 4 agosto 2014 Emozioni forti e tanta partecipazione alla consegna degli attestati finali del corso di Lingua e Cultura Italiana per detenuti stranieri, promosso presso il carcere di Montacuto nell’ambito del progetto D.I.L.: Diritti e Integrazione Linguistico-culturale, grazie ai fondi stanziati dal Comune di Ancona (Settore Politiche sociali e Servizi scolastici) e dal Dipartimento di Studi Internazionali (Scuola di Lingue) dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Alla consegna era presente anche il prof. Bryan Cracchiolo, docente di Italianistica presso la State University of New York (New Paltz), che si è detto colpito da questo virtuoso esempio di collaborazione tra ricerca e territorio. Il progetto, diretto dalla Prof.ssa Antonella Negri e coordinato dalla Dott.ssa Maria Elisa Montironi dell’Università di Urbino, è stato condotto dai docenti Marco Manzo e Daniele Oreficini, entrambi alunni del master "Insegnare Italiano a Stranieri: Scuola, Università, Impresa" (Urbino) e ha trattato principalmente il tema della cultura culinaria, non solo italiana, ma di tutti i Paesi di provenienza dei corsisti, nell’ottica di un confronto cross-culturale. Il risultato si intitola Ricette da dove non ti aspetti. Piatti multiculturali e ricette di vita dalla casa circondariale di Montacuto, la cui pubblicazione è prevista per il mese di ottobre. Secondo i dati forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, aggiornati al 31 ottobre 2013, attualmente gli stranieri presenti nelle strutture penitenziarie italiane costituiscono il 35,1% della popolazione carceraria totale. Come si può ben immaginare, nella quotidianità della vita carceraria tale dato è gravido di conseguenze. Per gli operatori carcerari, infatti, è complesso comunicare con i detenuti non italofoni. I detenuti stranieri, al contempo, non riescono ad esprimere le loro esigenze, tendono ad avere una bassa motivazione alle attività formative e ricreative promosse dal carcere e più in generale all’integrazione nel contesto in cui vivono, così come una bassa consapevolezza dei servizi di supporto offerti dalle strutture pubbliche all’interno e all’esterno del carcere. Proporre, nelle strutture penitenziarie un corso di lingua e cultura italiana (L2), in cui le culture di provenienza dei corsisti vengono valorizzate, si presenta come un primo passo verso la risoluzione di tali difficoltà, nell’obiettivo di ottenere una sorta di riorientamento del detenuto sia su un piano culturale che sociale. Si tratta di un’operazione efficace anche per il Paese, in quanto ciò, secondo alcuni studi statunitensi, porterebbe ad una diminuzione del tasso di recidiva, proprio per l’acquisizione interiore di un volontario stile di vita che ambisce ad un’integrazione non imposta, ma voluta. Volterra (Pi): oltre cento persone a tavola per la cena "vegaleotta" Il Tirreno, 4 agosto 2014 Successo della cena vegaleotta all’interno del carcere cittadino, che ha inaugurato il "Festival Volterra Vegan edizione 2014". Oltre cento persone hanno mangiato nel cortile della Fortezza medicea in un’atmosfera suggestiva accompagnati dalla musica. Dall’aperitivo al dolce, tutto rigorosamente cruelty freee, una cena etica e per la quale nessun essere vivente è stato ucciso o ha sofferto, preparata dagli chef del ristorante "La Capra Campa" di Roma con la collaborazione dei detenuti. Oggi il Festival continua in piazza dei Priori con il mercatino, dove sono presenti numerosi stand di associazioni che lottano per la tutela degli animali, contro il fenomeno del randagismo e l’affermazione dei diritti di ogni essere vivente, insieme ad artigiani che promuovono originali prodotti vegan. Vestiti per grandi e piccini in fibre naturali, creazioni in argento, semi, pietre, e carta, saponi vegetali, detersivi alla spina, abbigliamento e giochi per neonati, scarpe e borse, e poi tantissime offerte di cibo assolutamente da assaggiare, come latte di mandorle, confetti, pasticcini, creme, biscotti, dessert al cucchiaio e torte, tutti senza latte vaccino e uova, e poi salse, sughi alle verdure, spezie, crepes, panini, focacce, fritti al cartoccio, dessert al cucchiaio, hot dog, tè, birra e vino. Un altro giorno di festa con musica, laboratori per imparare semplici e buonissime ricette come la Nutella vegan, la maionese, i dolcetti e i segreti per fabbricare un naturale, economico e salutare sapone vegetale. Ma ci sarà occasione anche per riflettere sull’attuale condizione in cui sono costretti a vivere tanti animali, e conoscere le alternative possibili per vivere senza causare alcuna sofferenza ad altri esseri viventi. Padova: "Pallalpiede" si prepara all’esordio, esperienza importante che va oltre lo sport Il Mattino di Padova, 4 agosto 2014 Pallalpiede si prepara all’esordio. La squadra di detenuti del carcere Due Palazzi di Padova parteciperà al prossimo campionato di Terza categoria con una piccola ambizione: dare del filo da torcere alle altre contendenti. E se lo dice chi li ha selezionati, il tecnico federale Valter Bedin, c’è da crederci. Il progetto della Nairi Onlus la cui referente Lara Mottardini è die anni che si danna l’anima per portare a casa il progetto, che ha trovato la collaborazione della polisportiva San Precario (del presidente Roberto Mastellaro) e il contributo della Lega Nazionale Dilettanti e di Banca Etica, ha portato entusiasmo tra i ragazzi della casa circondariale, pronti a farsi valere in un campionato ufficiale, caso raro in Italia. Mister Bedin, 51 anni, ha coordinato i provini che si sono svolti al campo sportivo del Due Palazzi. "La selezione è avvenuta in due tranche, mattina e pomeriggio" spiega l’ex allenatore del Carmenta, da vent’anni ct delle rappresentative regionali giovanili della Figc veneta. "Alcuni detenuti mi hanno raccontato di aver militato nelle varie categorie dilettantistiche, altri in società blasonate dei rispettivi paesi d’origine. Posso confermare di aver visto buone cose e sarà sicuramente una squadra competitiva". Un’occasione per vivere in modo diverso la reclusione, ma anche per unire attraverso lo sport: "È stata un’esperienza molto forte" aggiunge Bedin. "Mi ha fatto piacere dialogare con ragazzi che, tra l’altro, hanno dimostrato un atteggiamento positivo. Giocano a pallone un’ora a settimana e l’idea di una squadra di calcio vera e propria li ha riempiti di orgoglio". Dalle selezioni al team, però, la strada è molto lunga: " Non è semplice, anche perché i ragazzi devono imparare una cosa importantissima, lo spirito di gruppo. In una squadra bisogna superare gli individualismi e non arrabbiarsi se non si riceve sempre la palla sui piedi. E poi devono capire il significato dell’allenamento e di sacrificio". E a proposito di allenamenti, Bedin ha dato la disponibilità per una collaborazione esterna: "I carcerati potrebbero allenarsi solo di mattina o nel primo pomeriggio" dice. "Molto probabilmente avrei dei problemi con gli orari, visto che insegno a scuola. Nei prossimi giorni, in base alle indicazioni della direzione del carcere e dei vari enti che si sono impegnati nell’iniziativa, si deciderà come fare". Pallalpiede giocherà tutte le partite nel campo sportivo del carcere Due Palazzi, appena omologato dalla Figc. La polisportiva mira ad avere, nel giro di pochi anni, squadre impegnate in altre discipline sportive come basket e volley. Cinema: il regista Marco Simon Puccioni "Come il vento"… è un viaggio nella solitudine La Nuova Sardegna, 4 agosto 2014 Il critico Enrico Magrelli, uno dei curatori degli incontri di questa edizione del Festival della Maddalena (insieme a Boris Sollazzo e Fabrizio Deriu), lo definisce uno dei migliori film italiani degli ultimi tempi. Purtroppo una distribuzione non esattamente capillare, ha limitato la visibilità di "Come il vento". Il pubblico del Festival, organizzato dall’associazione Quasar, ha potuto recuperarlo ieri alla presenza della protagonista, Valeria Golino, ma anche del regista Marco Simon Puccioni che ha deciso raccontare la storia di Armida Miserere, una delle prime donne direttrici di carcere, in servizio in tanti penitenziari, morta suicida nel 2003. Un film che mostra le fragilità, la solitudine di una donna straziata dall’uccisione del suo compagno Umberto Mormile, mai dimenticato. "Nella fase di ricerca prima di scrivere la sceneggiatura - spiega il regista - leggendo i diari di Armida Miserere è venuta fuori la persona che era. I diari ci hanno permesso di entrare nel suo animo e il ritratto era quello che mi interessava di più, indipendentemente dal suo lavoro. Anche se ovviamente il suo lavoro ha influenzato tantissimo la sua vita". Un racconto intimo che si avvale anche delle stupende musiche firmate dal compositore giapponese Shigeru Umebayashi, musiche capaci di sottolineare perfettamente gli stati d’animo senza risultare invasive: "Ho sempre amato le sue cose - racconta Puccioni - C’era una mia forte attrazione verso quel tipo di lavoro, una musica strumentale, con strumenti classici, ma moderna di concezione. Tramite il mio montatore ci siamo conosciuti, gli ho scritto e lui ha amato subito il film". Attento da sempre ai diritti umani, alle tematiche sociali, Marco Simon Puccioni raccontando la storia di Armida Miserere sceglie questa volta il tema del carcere: "Ho sempre pensato al cinema come strumento di indagine sulla realtà - evidenzia il regista - Ma affrontare temi sociali non vuol dire che io voglia fare un cinema ideologico. Mi interessa soprattutto portare all’attenzione del pubblico alcuni aspetti, ma da un punto di vista molto umano, senza prendere una posizione così netta. Può essere la Palestina, i migranti o il carcere. Propongo il tema e delle storie umane che facciano riflettere. Ma resta fondamentale il lato estetico, la bellezza come espressione e capacità di comunicare". Una ricerca che ben si può vedere nell’uso degli spazi in "Come il vento". "Il carcere è un mondo a sé - sottolinea Puccioni -. Un luogo che ha una forza. Può essere fredda, brutta, come i carceri moderni, o evocare qualcosa alla Montecristo, come quelli storici. Ma in ogni caso ha una potente immagine, anche per quello che evocano come luoghi di reclusione e di sofferenza". Immigrazione: Cie Roma; due immigrati vengono ricoverati in ospedale, uno fugge Ansa, 4 agosto 2014 Sono due gli immigrati detenuti nel Cie di Ponte Galeria a Roma che ieri sono stati ricoverati all’ospedale Grassi di Ostia, secondo una prima ricostruzione della polizia, e in tarda serata uno di loro è scappato. Quest’ultimo era stato portato al Grassi a causa di un malore e ricoverato, viene riferito: intorno alle 23.30 ci si è accorti che aveva lasciato l’ospedale e sono iniziate le ricerche. Diversamente da quanto si era appreso in precedenza, non dovrebbe trattarsi dell’algerino che protestava con la bocca cucita. Un altro immigrato detenuto nel Cie era stato invece portato al Grassi dopo che aveva detto di aver ingoiato delle lamette da barba. Piantonato da tre agenti, stamani li ha aggrediti dopo aver dato in escandescenze. Bloccato, è stato denunciato per oltraggio e violenza a pubblico ufficiale. In seguito l’uomo avrebbe firmato per essere dimesso e sarebbe stato rimandato al Cie. Non è chiaro, al momento, se si tratti dell’algerino 28enne protagonista da 9 giorni assieme a un tunisino della protesta delle bocche cucite contro i tempi di permanenza al Cie di Ponte Galeria. Droghe: cancellare le pene illegittime di Stefano Anastasia Il Manifesto, 4 agosto 2014 Il 4 giugno scorso, rispondendo ad alcune interrogazioni parlamentari, il Ministro Orlando ha detto che erano circa 8.500 i detenuti in esecuzione di una condanna definitiva esclusivamente per il possesso di droghe. Di questi, circa 3.000 avrebbero potuto essere interessati alla rideterminazione della pena perché condannati per fatti di lieve entità quando questa condizione era un’attenuante non bilanciabile con l’aggravante della recidiva. Altri, potrebbero essere ancora in esecuzione delle pene previste dalla legge Fini-Giovanardi e giudicate illegittime dalla Corte costituzionale. Altri ancora, infine, potrebbero essere stati condannati sulla base di previsioni penali ridotte con la conversione in legge del decreto Lorenzin. Siamo dunque di fronte a ben tre cause possibili di detenzione illegittima che, se i numeri non sono cambiati nel frattempo, potrebbero interessare tra le 4.000 e le 5-6.000 persone (praticamente tutti i condannati per detenzione di droghe, al di fuori dei casi riguardanti il possesso di ingenti quantitativi di droghe "pesanti"). E’ mai possibile che in un Paese minimamente civile, che si dice ispirato ai principi liberali di tutela della persona umana e dei suoi diritti fondamentali, alcune migliaia di persone siano in carcere senza titolo giuridico legittimo, per inerziale applicazione di pene che hanno perduto la loro validità? Sono quasi sei mesi che poniamo questo problema, da quando la Corte costituzionale ha giudicato illegittima la legge Fini-Giovanardi. Sin da allora era chiaro a tutti che il problema applicativo più rilevante della sentenza riguardava i detenuti in esecuzione di pene spropositatamente più lunghe di quelle stabilite dalla legge tornata in vigore per effetto della pronuncia della Consulta. Per questo avevamo chiesto un decreto-legge o un indulto mirato alla cancellazione della parte illegittima delle pene in esecuzione. Ma col tempo, mentre il Governo produceva un inutile decreto volto a ripristinare tutto ciò che si poteva riciclare della legge incostituzionale, a quel problema si sono aggiunti gli altri. I giuristi formalisti, liberali vecchio stampo, tutti codici e pandette, potrebbero obiettare che il problema non esiste: i detenuti che lo vogliano possono avanzare istanza di rideterminazione della pena attraverso i loro avvocati e dunque perché metter di mezzo il Governo? Se però questi signori scendessero le scale della loro sapienza giuridica e si facessero una scarpinata in galera, scoprirebbero che quelle migliaia di detenuti quando non sono totalmente ignari del fatto che stanno subendo una pena illegittima, non hanno i mezzi per un’adeguata assistenza legale. E il risultato è, appunto, che in migliaia stanno ancora lì a riempire inutilmente carceri che (lo ricordiamo per inciso) ospitano ancora una decina di migliaia di detenuti oltre la loro capienza regolamentare. Il Governo, quindi, non può restare a guardare, aspettando che il tempo consumi l’illegalità in corso. Per questo al ministro Orlando chiediamo di fare almeno due cose: richiamare all’attenzione dei capi degli uffici di procura la responsabilità che il Pubblico ministero - quale garante dell’osservanza delle leggi e della regolare amministrazione della giustizia - ha di procedere anche d’ufficio alla rideterminazione di pene illegittime; e poi scrivere due righe a quegli 8500 detenuti, informandoli delle mutate condizioni normative che potrebbero riguardarli, sollecitandoli a far valutare il loro caso da un legale. Dentro e fuori e le carceri, anche in agosto troveranno associazioni e Garanti decisi a "cancellare le pene illegittime".