Per qualche metro e un po’ di amore in più Ristretti Orizzonti, 1 agosto 2014 Carceri più umane significa carceri che non annientino le famiglie. L’Europa non si può "accontentare" dei tre metri di spazio a detenuto per decretare che le nostre carceri non sono più disumane. Lo sono eccome, e lo sono in particolare per come trattano i famigliari dei detenuti: sei ore al mese di colloqui e dieci miserabili minuti a settimana di telefonata, spazi per gli incontri spesso tristi e affollati, attese lunghe, estenuanti, umilianti. E allora chiediamo all’Europa di occuparsi anche delle famiglie dei detenuti, e di invitare l’Italia a introdurre misure nuove per tutelarle. Siamo convinti che unirci in questa battaglia possa essere una forza in più per ottenere il risultato sperato. E noi speriamo che questa battaglia qualche risultato lo dia: una legge per liberalizzare le telefonate, come avviene in moltissimi Paesi al mondo, e per consentire i colloqui riservati. E una legge così, aiutando a salvare l’affetto delle famiglie delle persone detenute, produrrebbe quella "sicurezza sociale", che è cosa molto più nobile e importante della semplice sicurezza. Firmiamo per chiedere finalmente questa legge, coinvolgiamo le famiglie di chi è detenuto, ma anche quelle dei cittadini "liberi", perché in ogni famiglia può capitare che qualcuno finisca in carcere, e nessuno più dovrebbe essere costretto alla vergogna e alla sofferenza dei colloqui, come avvengono ora nelle sale sovraffollate delle nostre galere. Facciamo del 24 dicembre, vigilia di Natale, festa delle famiglie, una scadenza importante per sostenere, con tutte le forme di lotta non violente che riusciamo a immaginare, questa nostra richiesta. 24 dicembre 2014: per quel giorno, raccogliamo migliaia di firme, da tutte le carceri, per un po’ di amore in più. La redazione di Ristretti Orizzonti Serve una legge che "salvi" i nostri affetti Ristretti Orizzonti, 1 agosto 2014 Appello a tutti i giornali e le realtà dell’informazione dal carcere e sul carcere. Una delle più importanti battaglie che la redazione di Ristretti Orizzonti conduce da sempre è quella che riguarda gli affetti in carcere. Ormai sono anni che cerchiamo di sensibilizzare l’opinione pubblica su questa questione e, soprattutto, di coinvolgere i politici, che poi le leggi dovrebbero farle. A tale proposito, in occasione di un incontro con un gruppo di parlamentari del Veneto di schieramenti diversi, abbiamo ripreso questo tema, consegnando loro una proposta di legge elaborata dalla redazione stessa in collaborazione con molti esperti ancora nel 2002, e sottoscritta allora da 64 parlamentari di tutti gli schieramenti, ma mai calendarizzata. Ora questo testo è stato ripreso da alcuni parlamentari, su iniziativa del deputato di Sel Alessandro Zan, e riformulato per essere poi nuovamente presentato come proposta di legge. Abbiamo anche scritto un appello che ha al centro la liberalizzazione delle telefonate e l’introduzione dei colloqui riservati. Su questo appello vi chiediamo di raccogliere le firme delle persone detenute in tutte le carceri, e anche fuori, tra amici e famigliari: hanno un valore simbolico ma ci permettono di dare gambe e cuore alla nostra battaglia. Chiediamo allora una collaborazione a tutte le Redazioni interne alle carceri e invitiamo a dedicare, se possibile, un numero del loro giornale a questi temi, per promuovere una campagna di sostegno alla nostra proposta di legge, e di mandarci articoli per preparare un Dossier online su "Carcere e affetti" come risultato di un lavoro comune delle redazioni. Questo tema non riguarda esclusivamente le persone detenute, ma tutte le loro famiglie, che vivono delle situazioni di pesante disagio. Un dato veramente sconcertante è quello che riguarda i figli dei detenuti, il 30% circa da grandi rischiano di entrare pure loro in carcere. Crediamo che sia inaccettabile questa triste prospettiva di bambini con un futuro già segnato. Noi detenuti con gli anni finiamo per perdere ogni sensibilità ed equilibrio, e per provare solo rabbia verso le istituzioni. Lo stesso vale per i nostri figli, che rischiano di crescere con l’odio verso chi tiene rinchiusi i loro cari e dimostra a volte poca umanità. Se chiediamo poi un po’ di intimità con la nostra compagna, questa richiesta viene considerata solo sotto l’aspetto del sesso e la solita informazione distorta ci specula, intitolando articoli sul tema dei colloqui in carcere con titoli tipo "Celle a luci rosse". Ma l’intimità non è altro che un ingrediente fondamentale per cercare di mantenere un rapporto negli anni, anche una semplice carezza data in intimità può essere molto più efficace di qualsiasi manifestazione di affetto e vicinanza in mezzo a decine di estranei. Siamo fermamente convinti che unirci in questa battaglia possa essere una forza in più per ottenere il risultato sperato. E noi speriamo che questa battaglia un risultato lo dia: una legge per consentire i colloqui intimi e liberalizzare le telefonate. E una legge così, aiutandoci a salvare l’affetto delle nostre famiglie, produrrebbe quella sicurezza sociale, che è cosa molto più nobile e importante della semplice "sicurezza". Fiduciosi in un vostro coinvolgimento, attendiamo da voi riflessioni, proposte, sollecitazioni. La redazione di Ristretti Orizzonti Giustizia: detenuti risarciti, limiti alla custodia cautelare e più magistrati di sorveglianza di Vittorio Nuti Il Sole 24 Ore, 3 agosto 2014 Indennizzi, in denaro e sconti di pena, per chi è in carcere in condizioni inumane, stretta sulla custodia cautelare in carcere, più magistrati di sorveglianza e agenti penitenziari. Da ieri è legge, grazie al voto di fiducia n. 17 chiesto dal Governo e passato al Senato con 162 sì e 39 no, il decreto 92/2014 sui risarcimenti ai detenuti. L’ultimo tassello, dopo le nuove norme su pene alternative e messa in prova, del piano dell’Esecutivo per ridurre il sovraffollamento in cella e rispondere al pressing del Consiglio d’Europa. Ed evitare l’extrema ratio dell’amnistia (non piace né al Guardasigilli né al premier), su cui peraltro palazzo Madama lavora da tempo. Orlando: nessuna amnistia Il piano per rendere più vivibili le carceri, secondo via Arenula, sta funzionando, e il ministro della Giustizia Andrea Orlando, intervenuto in Aula prima della fiducia, ha respinto al mittente (Lega e M5S) l’accusa di aver messo in campo un "indulto mascherato". "In questi anni non ci sono stati né indulti né amnistie striscianti". "La sentenza Torreggiani - ha spiegato Orlando parlando della pronuncia pilota della Corte europea dei Diritti umani che a gennaio 2013 ha censurato l’Italia per trattamenti degradanti in violazione della Convenzione dei Diritti umani e imposto contromisure per le celle affollate - non è la causa, ma la conseguenza di una dinamica che ci ha portato a sfiorare i 70mila detenuti tra il 2011 ed il 2012". Ora però gli ultimi dati del Dap registrano 54.414 presenze (erano 58mila al 30 giugno) rispetto ad una capienza regolamentare di 49mila. Per Orlando, "non si può ritenere risolto il problema del sistema penitenziario, ma abbiamo superato la febbre. Ora ci del sono le condizioni per un intervento organico". Parole inaccettabili per la Lega, che ieri ha inalberato striscioni di protesta ("Renzi sta dalla parte dei criminali"), sventolando finte banconote da 8 euro. "Noi stiamo dalla parte della gente - ha spiegato il capogruppo Gian Marco Centinaio. Non votiamo la fiducia a un governo che sta dalla parte di Caino". Otto euro per ogni giorno Le banconote lanciate dai leghisti rimandano alla principale misura compensativa introdotta dal decreto: 8 euro, da chiedere entro 6 mesi dalla fine della carcerazione, per ogni giorno passato in cella in condizioni "disumane". Se la pena è ancora da espiare, previsto uno "sconto" di un giorno ogni dieci in cui è stato violato il diritto a uno spazio "umano" (almeno 3 mq). Stimando circa 3.100 i ricorsi pendenti a Strasburgo. Per una media di 540 giorni medi di violazione, il dl stanzia 20 milioni di euro da qui al 2016 per risarcimenti e spese legali. Carcere preventivo C’è poi una stretta sul carcere preventivo, con il divieto di applicare la custodia cautelare in carcere ( e utilizzare solo gli arresti domiciliari) se il giudice prevede che, alla fine del processo, la pena irrogata non sarà superiore ai tre anni. La norma ha scatenato molte polemiche (magistrati e Anm in prima fila) per il possibile ritorno in libertà di condannati per reati di particolare allarme sociale, come lo stalking, furti in abitazione, piccole rapine e i maltrattamenti in famiglia. Per correre ai ripari, in prima lettura alla Camera il Governo ha introdotto diversi paletti, grazie ai quali la custodia in carcere sarà comunque sempre possibile per reati gravi e di allarme sociale (tra cui associazione mafiosa e terrorismo, violenza sessuale, maltrattamenti, stalking, furto in abitazione e scippi). Stesso discorso se vengono violate le prescrizioni di una misura cautelare o il divieto di allontanamento (in caso di arresti domiciliari). Arresto cautelare in carcere anche se l’imputato è senza fissa dimora. Ribadito il divieto assoluto (norma già esistente) di carcere preventivo e domiciliari nei processi destinati a chiudersi con sospensione condizionale della pena. Sorveglianza Altro capitolo riguarda i magistrati di sorveglianza: con l’organico scoperto oltre il 20%, il Csm potrà destinarvi anche toghe di prima nomina (solo concorso 2011). Sul punto, in commissione Giustizia, giovedì si era registrato un passo falso del Governo, andato sotto su un emendamento Nitto Palma (Fi) che eliminava la possibilità di ricorrere a magistrati ancora in attesa della prima valutazione di professionalità. Per rimediare, il Governo ieri ha posto la fiducia sul testo uscito dalla Camera ma il Guardasigilli ha garantito comunque il recupero dell’emendamento "nel primo provvedimento utile". Giustizia: se Strasburgo ci avesse condannato avremmo dovuto risarcire 20 euro al giorno Intervista al ministro Andrea Orlando a cura di Liana Milella La Repubblica, 3 agosto 2014 "I detenuti? Rischiavamo una supermulta. Custodia preventiva, giusto mettere limiti". Non farà vacanze, il Guardasigilli Andrea Orlando. Al lavoro pure a Ferragosto "perché entro il 20 metterò on-line sul sito del ministero i 12 punti della riforma". Da settembre sarà pronto a partire con i singoli testi di quella che si annuncia la più importante manovra sulla giustizia degli ultimi vent’anni, visto che tocca i temi più dibattuti, dal Csm alla prescrizione, dalla corruzione al processo civile. Un assaggio del confronto ci sarà a partire da martedì, quando il ministro incontrerà i gruppi parlamentari della maggioranza per fare "un primo screening sulla riforma". Poi, a seguire, ecco il colloquio con l’opposizione. Mentre torna a La Spezia, la sua città, Orlando non nasconde la soddisfazione per il voto sulle carceri, "un importante passo avanti perché abbiamo evitato condanne da 300 milioni di euro e stabilito un principio di civiltà". Il cartello leghista in aula con su scritto "Renzi sta dalla parte dei criminali" non offusca la giornata? "È solo una risposta propagandistica, perché proprio la Lega conosce le conseguenze della grande contraddizione accumulata in questi anni, in cui sono state approvate norme che aumentano il ricorso al carcere senza contare sulle infrastrutture necessarie. Una situazione esplosiva è stata gestita senza ricorrere, come spesso s’è fatto in Italia, a un provvedimento generale di clemenza, ma con misure che hanno invertito la tendenza, e i cui primi passi sono stati fatti dal governo Berlusconi. Una strada in salita che comincia a dare i suoi frutti". Ce n’era un’altra fuorché pagare per le detenzioni definite disumane da Strasburgo? "Il sovraffollamento ci ha messo in una situazione di responsabilità di fronte alla Corte dei diritti dell’uomo, una struttura che funziona in modo rigoroso e di fronte alla quale un singolo cittadino che si sente violato può fare ricorso. Il rimedio interno, come quello adottato, è l’unico modo per evitare che il contenzioso venga risolto dalla Corte. La sentenza Torreggiani era chiara, segnalava il problema del sovraffollamento e l’assenza di rimedi nel nostro ordinamento. C’è un’evidente analogia con la legge Pinto sulla giustizia lenta. Se non si fosse fatta, da Strasburgo sarebbero arrivate condanne per chi ha subito un processo troppo lungo ed è ricorso alla Corte". Stesso criterio tra processi lenti e carcere afflittivo? "Una differenza c’è. Nel primo caso, nonostante la Pinto, i ritardi sono continuati a crescere. Per le carceri, il rimedio ha coinciso con un progressivo calo del sovraffollamento". È giusta o pretestuosa la polemica sugli 8 euro che per i detenuti ci sono, ma non per tanti italiani alla povertà? "Se Strasburgo ci avesse condannato, avremmo dovuto pagare 20 euro al giorno, per una cifra complessiva sui 300 milioni. Gli 8 euro vanno considerati come un risarcimento, che il Csm ritiene sia troppo basso, per evitare un danno economico ben maggiore. Non è una scelta discrezionale, ma il frutto di una giurisprudenza costante di Strasburgo. L’unico modo per non pagare questi soldi, per assurdo, sarebbe uscire dal Consiglio d’Europa e addirittura stracciare la Convenzione dei diritti dell’uomo, il che non è nemmeno immaginabile, tant’è che nessuno lo ha mai ipotizzato. E poi, diciamo la verità, un carcere non sovraffollato è in linea con la Costituzione". Quota 54.400 detenuti, non si va troppo sotto? "No, assolutamente, perché la riduzione è frutto di un ricalcolo delle pene, di una diminuzione dei detenuti in attesa di primo giudizio e di una ridefinizione delle condanne per droga calcolate dalla Cassazione dopo l’ultima sentenza della Consulta sulla Fini-Giovanardi". Il numero può calare e quale sarebbe quello ottimale? "Sul finire degli anni 80 l’Italia aveva 30mila detenuti. Certo, non c’era il boom dell’immigrazione. Oggi il sistema può reggerne intorno ai 50mila, poco sopra o poco sotto. È una cifra compatibile con la tutela della sicurezza, che comporta di rivedere ed eliminare le norme più "carcerogene" varate nel decennio scorso. Il più ragionevole punto di equilibrio è questo, su cui può incidere l’ulteriore ricorso a pene alternative". Niente carcere per i reati non gravi sotto i 3 anni. Troppo permissivismo? Voltiamo pagina rispetto ad anni di carcere a tutti i costi? "È una misura prevista in un ddl in discussione alla Camera, riproposta nel dl in vista di una disciplina più armonica. Lo spirito è che non può subire la custodia preventiva chi, per il reato commesso, non sarà condannato al carcere. Di fronte a crimini di forte allarme sociale, la norma è stata rivista, ma l’ultima parola passa al Parlamento". Tra due giorni incontra i gruppi parlamentari per fare il punto sulla riforma della giustizia. Che notizie darà? "Stiamo cercando un confronto sui 12 punti che sono via via in rete. Vedrò prima i parlamentari della maggioranza per costruire con loro le posizione più utili da sottoporre alle opposizioni. È una prima tappa, un tentativo di scaglionare il lavoro, per non discutere tutto assieme". Questo passaggio non è una perdita di tempo? "Era assolutamente indispensabile perché tra Camera e Senati ci sono iniziative, anche mature, come quelle sulla corruzione e sulla responsabilità civile dei giudici, per cui è opportuno un raccordo". Non sarà tempo di passare ai fatti su misure urgenti come falso in bilancio e corruzione? "Entro il 20 agosto pubblicheremo i 12 punti, a settembre saranno pronti gli articolati". Non teme che su un tema caldo come la giustizia, come per le riforme costituzionali, si vada allo scontro? "Non mi illudo, non sarà una passeggiata, ma il governo si sforza di tenere il confronto legato soprattutto al merito. Per questo stiamo compiendo passaggi intermedi per evitare contrapposizioni pregiudiziali. Tant’è che, com’è successo per il carcere, Sel ha dato una valutazione molto legata al merito, e mi auguro che lo stesso metodo e gli stessi risultati si possano ottenere con tutte le altre forze dell’opposizione. L’obiettivo è arrivare all’ultimo tavolo del confronto con uno sforzo di intesa sui dettagli, non solo sui titoli". Giustizia: il decreto-risarcimenti è legge, commenti di esponenti politici e operatori Ristretti Orizzonti, 3 agosto 2014 Buemi (Psi): meno detenuti e una detenzione che rieduchi "Richiamo l’attenzione del Ministro Orlando su un accorto utilizzo degli strumenti di riduzione della popolazione carceraria, in particolare quella che è costretta in una situazione di ozio, di inoperosità e di promiscuità deleteria pur non rappresentando un rischio effettivo per la società, che potrà essere messo a regime con l’esercizio della delega alla depenalizzazione conferita dal Parlamento. Essa potrà avvalersi anche delle modalità di migliore impegno delle strutture esistenti suggerite dallo stesso". Il senatore Enrico Buemi, capogruppo Psi in commissione Giustizia, è intervenuto così in aula al Senato in discussione generale sul dl Carceri. "In questo quadro ripropongo una nuova valutazione sull’attivazione di colonie penali in isole grandi e piccole, che con un modesto conferimento di risorse, per riattare gli edifici, può consentire una buona diversificazione delle esigenze detentive - ha continuato Buemi - da una parte sul fronte del diritto penale minimo, rendendo realmente dignitosa e utile alla rieducazione dei sottoposti a misura di sicurezza la struttura dei campi di lavoro, e dall’altra, sull’opposto versante del diritto penitenziario di massima sicurezza, assolvendo l’esigenza di isolamento mediante il ripristino di strutture come quella dell’isola di Pianosa". "Infine, un’accortezza: per evitare che il percorso giudiziario presso la Corte europea dei diritti umani riprenda, come ad alcuni pare scorgersi, qui si ricorre al sistema di monetizzazione della sofferenza, introdotto nel nostro ordinamento dalla legge Pinto nel 2001 per l’eccessiva durata dei processi in Italia", ha concluso il senatore socialista. Non sia però questo un motivo per riposare sugli allori!". Don Balducchi (Cappellani): serve ribaltamento di prospettiva, carcere misura estrema La capienza regolamentare delle carceri italiane è di 49.000 persone, oggi siamo a 55.000: ma anche se riguardo al sovraffollamento la situazione quest’estate è in generale "un po’ più leggera rispetto al passato, perché ci sono diverse persone in uscita, i problemi strutturali del carcere rimangono". A parlare è don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane, che in un’intervista al Sir (clicca qui) fa notare che uno dei problemi principali è l’inattività, "anche da sola provoca problemi di convivenza, di rapporto con le altre persone". La percentuale di detenuti che ha un lavoro da svolgere, denuncia il responsabile dei circa 220 cappellani che lavorano nelle carceri italiane, "è molto bassa, e il disagio aumenta in estate, quando gli agenti devono fare il loro riposo e anche chi tra i detenuti svolge un’attività si blocca. In agosto chi sta in carcere si sente ancora di più abbandonato, anche se molti volontari non fanno mancare totalmente la loro presenza". Per don Balducchi, "non è un problema di Nord e Sud, ma di tipologia del carcere e di sensibilità della comunità esterna, che può essere più o meno partecipe. In Italia la situazione è a macchia di leopardo: ci sono situazioni che preoccupano, ma anche belle esperienze". "Il problema è che il carcere nel nostro Paese viene utilizzato come la modalità principale per scontare la pena", denuncia Balducchi, ricordando che il presidente Napolitano "ha dato un’indicazione precisa: siamo in emergenza, ci vogliono strumenti per affrontare l’emergenza, ma poi si deve dar corso all’amministrazione della giustizia, altrimenti tra qualche anno siamo daccapo". In poche parole, "ci vuole una riforma seria dell’amministrazione della giustizia, che veda il carcere come extrema ratio: le misure alternative, l’affidamento, la semilibertà, la mediazione penale, i lavori socialmente utili dovrebbero essere le pene prioritarie, e il carcere dovrebbe diventare un rimasuglio. Per realizzare tale obiettivo ci vuole però la riforma del Codice penale". Don Balducchi auspica quindi "un ribaltamento di prospettiva, a partire dalla consapevolezza che le pene sul territorio non sono meno responsabilizzanti o faticose del carcere: lavorare per mantenere la famiglia o riparare al danno fatto è più faticoso che stare a far niente tutto il giorno". È la "sfida del reinserimento sociale" di cui ha parlato il Papa incontrando i detenuti a Isernia e Castrovillari: "Papa Francesco ne parla chiaramente, e non fa distinzioni tra dentro e fuori. Ci si può sempre tirare fuori, ma bisogna allontanarsi dal male. E anche chi ha commesso dei reati deve poterlo fare". Gonnella (Antigone): quando Stato viola dignità umana delle persone legittimo risarcirle "Quando lo stato viola la dignità umana di qualunque persona, è legittimo che debba essere risarcita". Sono queste le prime dichiarazioni di Patrizio Gonnella, presidente nazionale di Antigone, dopo la trasformazione in legge del decreto carceri. "Si tratta di una legge importante - prosegue Gonnella - che prevede un risarcimento per chi ha subito un trattamento inumano e degradante. Speriamo serva anche a fare in modo che in futuro non si ritorni ad una situazione di sovraffollamento ingestibile". "La stagione delle riforme ora non deve chiudersi. Basta poco perché si torni ad una situazione grave che metta a rischio i diritti dei detenuti". "Ricordiamo che sono ancora migliaia le persone in più nelle carceri rispetto ai posti disponibili, per questo - conclude il presidente di Antigone - è importante che, ad esempio in materia di droghe, si facciano passi avanti in direzione di una legge meno punitiva". Già nei giorni scorsi Antigone aveva predisposto dei modelli per la presentazione delle istanze di ricorso per chi ha subito un trattamento inumano e degradante (così come previsto dall’art.3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) perché costretto a vivere in una cella con meno di 3 mq. di spazio. I ricorsi possono essere presentati sia da chi è ancora detenuto sia da ex detenuti. Ricordiamo che la legge prevede uno sconto di pena di un giorno ogni dieci scontati in celle con meno di 3 mq. di spazio e un risarcimento di 8 euro al giorno per chi non è più in stato di detenzione. Nei modelli di ricorso presentati da Antigone c’è anche quello diretto ad ottenere l’interruzione dello stato di detenzione inumana e degradante per questioni legate al sovraffollamento, laddove attualmente esistente. Capece (Sappe): sbagliato indennizzo economico, servono riforme strutturali "Il Senato della Repubblica ha convertito in legge il decreto del Governo sui risarcimenti ai detenuti dopo le contestazioni della Corte di Giustizia europea. Non credo risolverà gli endemici problemi penitenziari. Certo trovo davvero singolare che, in un periodo di crisi economica, lo Stato tagli le risorse a favore della sicurezza del Paese e della Polizia Penitenziaria in particolare e poi sancisca un indennizzo economico giornaliero di 8 euro per gli assassini, i ladri, i rapinatori, gli stupratori, i delinquenti che sono stati in celle sovraffollate! A noi poliziotti non pagano da anni gli avanzamenti di carriera, le indennità, addirittura ci fanno pagare l’affitto per l’uso delle stanze in caserma e poi stanziano soldi per chi le leggi le ha infranto e le infrange. Mi sembra davvero una cosa francamente sconcertante, tanto più se si considerano i sacrifici che milioni di famiglie italiane affrontano da tempo in relazione alla grave crisi economica che ha colpito il Paese". Così commenta Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri, la conversione in legge del decreto del Governo sui risarcimenti ai detenuti dopo le contestazioni della Corte di Giustizia europea. Capece torna a sollecitare riforme strutturali per il sistema penitenziario del Paese. E, richiamando le conclusioni della relazione della Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza, sottolinea che "se si rimuovessero gli "sbarramenti" che impediscono l’accesso alle misure alternative al carcere e si incentivassero gli interventi per il reinserimento sociale; se si usasse sempre come "extrema ratio" la custodia cautelare (visto che quasi metà della popolazione penitenziaria è costituito da persone in attesa di giudizio); se si procedesse a "bonificare" l’ordinamento penitenziario dagli automatismi preclusivi e si desse maggiore margine di manovra alla magistratura di sorveglianza, le presenze stabili di detenuti all’interno delle carceri potrebbero scendere dalle 5mila alle 10mila unità nel giro di un anno. E si avrebbe un calo del flusso annuale di detenuti stimabile tra le 15mila e le 20mila unità, con un consistente aumento delle misure alternative alla detenzione in oltre 10mila casi in un anno. O prevedendo l’espulsione per gli stranieri detenuti in Italia che devono scontare meno di tre anni di carcere. Queste sono le vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena che servono: lavoro in carcere per i detenuti, espulsioni degli stranieri, detenzione in comunità per i tossicodipendenti ed alcol-dipendenti che hanno commesso reato in relazione al loro stato di dipendenza". Giustizia: numero di detenuti continua a calare, sono 54.414 a fronte di circa 49mila posti Agi, 3 agosto 2014 Continua a scendere il numero dei detenuti ristretti nei penitenziari italiani. Dai dati dell’Amministrazione penitenziaria, aggiornati al 31 luglio, i reclusi sono 54.414, rispetto a una capienza regolamentare di 49.402 posti, di cui 17.423 stranieri. Il 30 giugno scorso, invece, il totale dei detenuti raggiungeva quota 58.092. Per quanto riguarda la carcerazione preventiva, i detenuti in attesa di primo giudizio sono 8.665, mentre i condannati non definitivi sono 8.183. Coloro che invece stanno scontando già una pena definitiva in cella sono 36.415. Gli internati, infine, sono 1.105. Giustizia: Fi; approvati nostri Odg su tutela salute e prevenzione sanitaria nelle carceri Adnkronos, 3 agosto 2014 Approvati in Commissione Giustizia del Senato due ordini del giorno in tema di tutela della salute e prevenzione sanitaria nelle carceri italiane a firma dei senatori d’Ambrosio Lettieri e Caliendo, nell’ambito della discussione sul Decreto carceri oggi diventato legge. A darne notizia è il primo firmatario degli odg, il senatore d’Ambrosio Lettieri, capogruppo di Fi nella Commissione igiene e sanità del Senato. Il primo ordine del giorno impegna il governo - che in aula ha posto la fiducia sul provvedimento - a valutare l’opportunità di avviare un nuovo ed approfondito monitoraggio della situazione sanitaria nel sistema penitenziario italiano a seguito del transito delle competenze dal Ministero della giustizia al SSN; istituire, in seno all’Istituto Superiore di Sanità, l’Osservatorio Epidemiologico Nazionale sulla Salute in Carcere; effettuare una revisione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1º aprile 2008 e dell’allegato A) nelle parti relative all’organizzazione dei servizi all’interno delle Aziende sanitarie ed al transito del personale ex legge 740/1970; adottare misure legislative ad hoc per l’attribuzione dei codici-struttura agli Istituti Penitenziari, base indispensabile per integrare le attività finalizzate alla tutela della salute in carcere con il Fascicolo Sanitario Elettronico nazionale, elemento sostanziale per creare ed integrare la continuità diagnostico-terapeutica territorio-carcere-territorio. Il secondo odg invita il governo ad adottare misure urgenti per rendere immediatamente esecutive le norme che vietano il fumo nei luoghi pubblici anche nelle carceri italiane, e in particolare nelle sezioni detentive e a prevedere norme ad hoc che eliminino i rischi da fumo passivo sia per gli operatori penitenziari che per i detenuti non fumatori. D’Ambrosio Lettieri ricorda che "secondo quanto riportato nel documento del Comitato nazionale di Bioetica dello scorso settembre, su uno studio condotto su dati nazionali sulla differente distribuzione delle problematiche di salute fra detenuti e popolazione generale, è a rischio il 13 per cento della popolazione carceraria contro il 7% della popolazione generale". "La sproporzione è particolarmente evidente per alcuni disturbi", sottolinea, "la dipendenza da droghe raggiunge il 21,5% fra i detenuti contro il 2,1% della popolazione generale; il 15,3% dei detenuti ha problemi dentali (contro il 4,5 fra la popolazione generale); il 13,5% presenta malattie osteoarticolari e post traumatiche (contro l’11,9 fra la popolazione generale); il 2,08% soffre di infezione da Hiv (contro lo 0,2 della popolazione generale). "Il carcere si conferma, dunque, come ambiente a rischio: per i disturbi mentali e in particolare per i disturbi nevrotici e di adattamento, che sono presenti in misura dieci volte maggiore fra i detenuti, a conferma dello stress da vita carceraria; per le malattie infettive, la cui possibilità di trasmissione è aggravata dalla promiscuità; per le patologie cardiovascolari e per il diabete, legate alla sedentarietà e alle cattive abitudini alimentari", continua il senatore di Fi, "È evidente la necessità di attivare un Osservatori epidemiologico nazionale sulla Salute in Carcere, poiché i progressi della farmacologia, della clinica e della diagnostica oggi evidenziano un quadro sempre più fluido dell’evento malattia nei penitenziari, con una tendenza dinamica che necessita di approfondita conoscenza per migliorare i target dell’intervento". Giustizia: Galan resta in carcere, il Tribunale del riesame di Venezia nega i domiciliari di Gianluca Amadori Il Gazzettino, 3 agosto 2014 Sarà una lunga estate in carcere per Giancarlo Galan. Il Tribunale del riesame di Venezia ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Alberto Scaramuzza, ritenendo che vi siano gravi indizi di colpevolezza a suo carico e che sussista il rischio dì reiterazione di reati dello stesso tipo. Il dispositivo dell’ordinanza è stato depositato poco dopo le 13 di ieri e subito notificato ai difensori dell’ex Doge del Veneto, gli avvocati Niccolò Ghedini e Antonio Franchini: quest’ultimo era a Milano, nel carcere di Opera, a far visita al suo assistito. Il collegio presieduto da Angelo Risi (a latere Daniela Defazio e Sonia Bello) ha rilevato l’avvenuta prescrizione di tutti gli episodi precedenti al 22 luglio 2008, per ì quali a quella data (giorni di esecuzione della misura cautelare) era già trascorso il termine massimo di sei anni, oltre al quale non è più possibile perseguire i reati. Dunque l’ordinanza è stata annullata in relazione a tutte le dazioni antecedenti il 22 luglio 2008, e cioè i finanziamenti elettorali consegnati da Baita, i 200mila euro che sarebbero stati versati all’hotel Santa Chiara di Venezia, una parte dei finanziamenti per la ristrutturazione della villa di Cinto Euganeo, il versamento di 50mila euro avvenuto nel 2005 presso un conto corrente in una banca di San Marino. L’ordinanza è stata invece confermata in relazione a tutte le altre accuse per le quali il tempo a disposizione per definire l’eventuale processo sarà di 7 anni e mezzo (l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare costituisce, infatti, atto interruttivo e, di conseguenza, la prescrizione si allunga di un terzo). Le motivazioni saranno depositate verso la metà della prossima settimana. Il Tribunale ha rigettato le altre eccezioni preliminari proposte dalla difesa e ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità Costituzionale avanzata con riferimento all’articolo 111 della Costituzione (il "giusto processo") e all’articolo 6 della Convenzione sui diritti dell’uomo, ovvero l’asserita incompatibilità di uno dei giudici che, in sede di Riesame, si è già pronunciato nelle scorse settimane sulle posizioni degli altri coindagati. Di ritorno da Milano l’avvocato Franchini ha riferito di aver incontrato Galan e di averlo trovato "tranquillo, sereno e battagliero". Quanto all’ordinanza del Tribunale, il legale ha dichiarato che si sarebbe aspettato qualcosa di più, almeno la concessione dei domiciliari, ma per la difesa ci sono anche lati positivi: "Il processo viene molto ridimensionato attraverso la dichiarazione di prescrizione dell’80 per cento delle accuse: ora ci concentreremo sul rimanente", ha spiegato Franchini, domandandosi come il gip abbia potuto emettere un’ordinanza di custodia cautelare su episodi non più giudicabili. "Faremo ricorso per Cassazione: a nostro avviso tutti gli episodi contestati dall’aprile 2010 sono di competenza del Tribunale per i ministri; è lo stesso Mazzacurati a dichiarare che Galan fu pagato in qualità di ministro". In merito ai reati non prescritti (gli "stipendi" di Mazzacurati della seconda metà 2008, del 2009 e 2010 e le quote della società Adria Infrastrutture), Franchini sostiene che nel merito Galan dimostrerà l’infondatezza delle accuse: "È lo stesso Baita a smentire Mazzacurati quando dichiara che non ci furono pagamenti sistematici, ma soltanto occasionali". Il Riesame ha rigettato ieri anche il ricorso dell’imprenditore Andrea Rismondo, confermando per lui l’obbligo di dimora a Preganzìol, e ha disposto la remissione in libertà dell’ex giudice della Corte dei Conti, Vittorio Gìuseppone, ai domiciliari dal 4 giugno con l’accusa di corruzione per somme dì denaro incassate per sveltire l’iter dei contratti del Consorzio Venezia Nuova. Gli indizi sono gravi, ma i giudici ritengono che non sussistano le esigenze cautelari, anche perché l’indagato è in pensione da tempo. Lettere: l’Onu, l’Unione europea e i problemi del sistema carcerario italiano di Miriam Rossi (Unimondo) www.mentepolitica.it, 3 agosto 2014 Per quanto sia universalmente accolto il principio secondo cui il sistema carcerario denota lo stato di diritto di un Paese, è con difficoltà che tanto i governi quanto la società civile percepiscono e identificano in un trattamento disumano o degradante, se non in una tortura, l’assenza di una serie di standard di tutela del detenuto. La costrizione, il disordine, l’"accatastamento di esseri umani" con ovvi limiti alla riservatezza delle persone, la carenza di strutture ricreative e sportive, spesso l’assenza di norme igieniche sono fattori che determinano una clamorosa incompatibilità con i parametri fissati dagli standard internazionali e dall’obiettivo di rieducazione del condannato e di un autentico recupero sociale previsto dall’articolo 27 della Costituzione italiana. I problemi strutturali del sistema di detenzione. Di certo in uno Stato come l’Italia, tra i principali ratificatori di convenzioni internazionali in materia di diritti umani in ambito universale (Onu) ed europeo, l’assenza nel codice penale di una fattispecie del reato di tortura (a dispetto dell’entrata in vigore nel 1989 della Convenzione Onu in materia) costituisce una stridente contraddizione rispetto a tale conclamata volontà di tutela. A questa grave carenza si affianca un atteggiamento di colpevole disinteresse nella prevenzione della tortura e di trattamenti e punizioni crudeli, inumani o degradanti specie in ambiente carcerario, nonostante non manchino i richiami ad alto livello anche in occasione delle visite internazionali di osservazione. Il comunicato emesso dal Working Group dell’Onu, dopo l’ispezione alle carceri e ai Cie (Centri di identificazione ed espulsione) per verificarne lo stato, non manca di suggerire al governo italiano di adottare misure straordinarie come quelle alternative alla detenzione per porre fine al sovraffollamento delle carceri e per proteggere i diritti dei migranti. "Quando gli standard minimi (in materia di diritti umani) non possono essere garantiti in altro modo il rimedio è la scarcerazione" è scritto nero su bianco sul report rilasciato dagli ispettori. Un ammonimento e un consiglio al contempo per eludere il reitero della condanna emessa nel gennaio 2013 dalla Corte Europea dei Diritti Umani nel caso Torreggiani, allorché le condizioni di vita dei detenuti di Busto Arsizio e Piacenza erano state giudicate, in base all’articolo 3 della Convenzione Europea, una violazione degli standard minimi di vivibilità, avendo ciascuno uno spazio vitale di meno di tre metri quadrati. La sentenza "pilota" della Cedu, oltre a dare un giudizio sul singolo caso, ha individuato un problema strutturale del sistema penitenziario italiano; in futuro e in assenza di una riforma sostanziale, i numerosi ricorsi alla Corte per analoghe violazioni saranno dunque ricondotti a questa condanna. I primi risultati delle misure "svuota-carceri". Parole che giungono dopo che agli inizi di giugno c’era stata una promozione dell’operato italiano da parte del Consiglio d’Europa con il riconoscimento dei primi "significativi risultati" ottenuti attraverso "le varie misure strutturali adottate per conformarsi alle sentenze". Una promozione che è valsa la concessione all’Italia di un altro anno per dare piena soluzione ai problemi sollevati dalla condanna della Cedu. In questi mesi le misure "svuota-carceri" messe in atto si sono sostanzialmente sviluppate in un piano di più sistematico rimpatrio dei detenuti stranieri, di depenalizzazione del reato di clandestinità e di quelli minori connessi alla droga, di accordi per far scontare parte della pena dei detenuti tossicodipendenti in comunità, ma anche di trasferimento in massa di reclusi in istituti distanti dal luogo di residenza, di riduzione della durata delle pene e della custodia cautelate in carcere. Restano però insolute diverse questioni quali l’elevato numero di detenuti in attesa di giudizio, le condizioni di detenzione nei Cie, la prassi dei "rimpatri sommari di individui, compresi in alcuni casi minori non accompagnati e adulti richiedenti asilo". Ancora una volta l’immagine drammatica e impietosa del sistema penitenziario restituitaci dagli osservatori internazionali, spia delle gravi carenze dell’intero sistema di giustizia, getta luce su un mondo generalmente ignorato dai mass media e dalla politica. Ma l’attuazione di misure emergenziali svuota-carceri può davvero dare una soluzione di lungo termine all’irriformabile sistema giudiziario italiano? Friuli Venezia Giulia: una speranza per 262 carcerati, dopo bocciatura "Fini-Giovanardi" di Alessandra Ceschia Messaggero Veneto, 3 agosto 2014 Sono 644 i detenuti nelle carceri della regione, di cui 309 stranieri, a fronte di una capienza regolare delle carceri di 495 persone. I dati sono riferiti al 30 giugno, rivelano una diminuzione della popolazione carceraria di 119 unità rispetto al 31 dicembre scorso. Su questo decremento ha influito la sentenza della Corte costituzionale che ha abolito la legge Fini Giovanardi, che dal 2006 equiparava le droghe leggere a quelle pesanti. La sentenza è destinata ad avere ulteriori ricadute sulla popolazione carceraria. Se n’è parlato ieri durante l’incontro per la presentazione del V Libro Bianco sulla legge Fini Giovanardi. Si stima che, come ha spiegato Franco Corleone garante dei detenuti della Toscana, "il 30% dei detenuti entra in carcere per reati di droga, il 37,3% è condannato per reati di droga, mentre la presenza dei tossicodipendenti tocca il 23,7%. Nel circuito repressivo penale 33.676 persone sono state denunciate per droga, mentre il 45% delle denunce riguarda i cannabinoidi. In questo contesto le segnalazioni per cannabis sono passate dal 73% bel 2009 al 78,5% nel 2012, mentre le sanzioni amministrative sono salite da 11.850 nel 2007 a 15.877 nel 2013. "Acclarato che quella legge era illegittima, ora un terzo dei detenuti è nelle carceri per reati che hanno a che fare con una legge incostituzionale" osserva Massimo Brianese della Società della regione Onlus. Ma, come spiega l’avvocato Andrea Sandra, nel maggio scorso la Cassazione a sezioni unite ha deciso che è possibile rideterminare la pena con un incidente di esecuzione, presentando istanza" Un’opportunità che in Friuli potrebbe essere colta da 262 detenuti. A segnare un cambio di sensibilità indica l’avvocato Rino Battocletti "è poi la recente sentenza della Corte costituzionale che ha introdotto il concetto del consumo personale anche nella coltivazione delle sostanze stupefacenti". "Ora - precisa il garante dei detenuti di Udine Maurizio Battistutta - serve una nuova legge seria. Intanto - aggiunge - distribuiremo ai detenuti i modelli per richiedere l’incidente esecutivo, ma la questione dei risarcimenti potrebbe intasare i tribunali". E qualcosa potrebbe cambiare anche per il processo Rototom che a ottobre tornerà in aula con una nuova udienza, in tempo per vedere pene più miti, ma troppo tardi per recuperare al danno di un festival migrato all’estero Reggio Calabria: Radicali; l’8 agosto sit-in a Palmi contro tortura democratica del 41bis di Giuseppe Candido www.cmnews.it, 3 agosto 2014 Contro la tortura democratica del 41 bis, per fermare i suicidi e garantire il diritto alla salute nelle carceri, un sit-in e una conferenza stampa davanti al carcere di Palmi (Rc). "Venerdì 8 agosto, come Radicali calabresi, dalle 9.00 alle 15.00, manifesteremo con un sit-in presso la Casa circondariale di Palmi (Rc) per sostenere il Satyagraha in corso di Marco Pannella e Rita Bernardini, quest’ultima in sciopero della fame dal 30 giugno scorso, sostenuta da oltre trecento cittadini, per chiedere al governo e al Parlamento di interrompere il massacro delle morti e dei suicidi in carcere, interrompere la "tortura democratica" del 41bis perpetrata persino con detenuti dichiarati incapaci di intendere e di volere, e garantire diritto alle cure e alla salute nelle carceri. Alle 11,00 terremo una conferenza stampa anche per chiedere alla politica regionale di istituire il garante per i diritti delle persone private della libertà personale anche in Calabria". È quanto si legge in una nota di Giuseppe Candido, segretario dell’associazione Non Mollare e militante del Partito Radicale Nonviolento. I radicali chiedono, inoltre, una maggiore informazione su questi temi anche dal servizio radiotelevisivo pubblico regionale. "Non è più tollerabile" - continua Candido nella nota - "la censura operata su questi temi. Solo per fare un esempio, basti pensare che dal 7 al 9 luglio l’Italia è stata oggetto di una visita da parte di una delegazione di rappresentanti Onu per i diritti umani guidata dal norvegese Mads Adenas che ha chiesto al nostro Paese misure straordinarie. Misure come soluzioni alternative alla detenzione per eliminare l’eccessivo ricorso alla carcerazione, protezione dei diritti dei migranti, scarcerazione quando gli standard minimi non possono essere rispettati, rispetto delle raccomandazioni Onu del 2008 e quanto statuito nella sentenza Torreggiani, adozione delle raccomandazioni come quelle formulate dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nell’ottobre del 2013, incluse le proposte di indulto e amnistia. Su tutto ciò la censura è stata totale. A gli italiani non è stato consentito di conoscere tali richiami fatti all’Italia. Come non è dato conoscere le continue e trentennali battaglie nonviolente che i Radicali portano avanti. In Italia - continua Candido - siamo formalmente contro la pena di morte, ma tolleriamo la morte per pena inumana e degradante. Tolleriamo, cioè, la morte per suicidi di liberazione (24 dall’inizio dell’anno) e la morte per ritardo o mancanza di cure. Dall’inizio dell’anno 82 morti. Sono numeri che dovrebbero far riflettere. Satyagraha", prosegue Candido, "in indiano significa forza e amore per la verità. Ed è con la forza della verità e l’arma della nonviolenza che - assieme a Yvonne Graf, Emilio Quintieri, Sabatino Savaglio, parenti dei detenuti e simpatizzanti del partito della nonviolenza, saremo davanti al carcere di Palmi per dare corpo, anche in Calabria, a questa battaglia di civiltà". "Sul 41 bis, il cosiddetto "carcere duro", vorrei solo ricordare" - insiste Candido nello spiegare le ragioni dell’iniziativa - "che questo fu introdotto con decreto-legge nel giugno del 1992 poi convertito in legge nell’agosto dello stesso anno, come risposta dello Stato alle stragi di Capaci e via D’Amelio, in cui morirono i due magistrati in prima linea nella lotta alla mafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Dopo la morte del primo fu emanato il decreto legge. E dopo quella di Borsellino il decreto venne poi convertito in legge. Nel diritto internazionale, con il termine "tortura" - reato non ancora presente nel nostro codice penale ma che l’Europa ci chiede da anni di introdurre - indica, un "qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa ha commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o su una terza persona". Noi - in Italia, nel paese di Cesare Beccaria - abbiamo il 41bis, il "carcere duro" anche per i malati, la "tortura democratica" , dalla quale si esce solo da pentiti. Ce lo impone il "conformismo dell’antimafia"? L’incapacità dello Stato di rispondere con regole e certezza del diritto? L’imbarbarimento è divenuto così "istituzionale" al punto che, mentre Europa e Onu ci sanzionano per trattamenti inumani e degradanti equivalenti a torture, facciamo finta di non vedere e continuiamo a mantenere in regime di 41bis persino malati gravi come Bernardo Provenzano dichiarato da tre differenti tribunali della Repubblica persona incapace di intendere e di volere. Che aspettiamo? Che guarisca e collabori con la Giustizia? Siamo sicuri che il fine giustifichi - sempre e comunque - i mezzi? O, invece, proprio i mezzi che si usano per condurre giuste lotte com’è certamente quella alle criminalità organizzate sono in grado di compromettere gli scopi che ci si prefigge? D’altronde anche Papa Francesco, dopo aver in un giorno solo introdotto il reato di tortura nei codici canonici, ha scomunicato i mafiosi ma ha detto, altrettanto chiaramente, che la tortura è un peccato mortale per chiunque lo commetta. Cagliari: Movimento 5 Stelle, agenti sotto organico all’Ucciardone, situazione al collasso Adnkronos, 3 agosto 2014 "Gli agenti di polizia penitenziaria sono troppo pochi e all’Ucciardone di Palermo la situazione è all’anno zero. Chiedo al ministero un intervento forte ed urgente". Lo dice la parlamentare del Movimento 5 Stelle alla Camera dei Deputati, Azzurra Cancelleri, prima firmataria di un’interrogazione rivolta al ministero delle Finanze in cui chiede una presa di posizione del Governo sulla carenza di personale nelle carceri italiane, con riferimento all’Ucciardone di Palermo. "La situazione delle carceri italiane - si legge nell’interrogazione - viola i diritti dei detenuti e l’Italia era obbligata da Strasburgo a risolvere il problema entro il maggio del 2014. La popolazione carceraria non è fatta di soli detenuti, delle condizioni di detenzione e del sovraffollamento ne fa le spese anche il personale della polizia penitenziaria in servizio presso le carceri italiane. Dal 2000, fa sapere Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria - si legge ancora nel testo -, si sono consumati all’interno del corpo cento suicidi". In Italia, spiega la parlamentare pentastellata, ci sono circa 3.700 agenti in meno rispetto alla dotazione prevista ed a Palermo la situazione è al collasso. L’istituto palermitano di via Enrico Albanese, infatti, è una struttura che "soffre di una grave carenza di personale di polizia penitenziaria - si legge ancora nell’interrogazione, carenza che comporta l’abbassamento della soglia di sicurezza sebbene gli agenti penitenziari dell’Ucciardone abbiano sempre operato per il benessere dell’istituto in generale, mettendosi a disposizione per una turnazione in 3 quadranti anziché 4, lavorando otto ore piuttosto che sei. Una situazione divenuta ormai insostenibile" conclude l’atto parlamentare. Verona: cooperativa Maggiociondolo, l’impresa dei miracoli che dà lavoro agli ex detenuti di Matteo Rigamonti Tempi, 3 agosto 2014 La cooperativa che è rinata quando era sul punto di morire. Trasforma i rozzi bancali in prodotti di design e gli ex detenuti in artigiani intellettuali. A pochi minuti dall’uscita Verona Sud, sull’autostrada che da Milano porta a Venezia, in piena Zai, acronimo di Zona agricola industriale, sorge un’opera un po’ particolare. Stiamo parlando di una cooperativa dove da più di vent’anni si smontano e rimontano, con operosità certosina, bancali. Quei tanto semplici quanto preziosi elementi in legno modulari che sono alla base della logistica di tutta Europa e, praticamente, di ogni attività produttiva. Qualunque merce che viaggi attraverso l’Italia e il Vecchio Continente, per poter essere trasportata su rotaia, su gomma, via mare o via cielo, deve poggiare su un bancale. Il "pallet" è un così importante tassello dell’economia globale che qualcuno l’ha addirittura paragonato al maiale. Anche del bancale, infatti, non si butta via niente. Lo sa bene Giuseppe Padovani, architetto cinquantenne, ritornato da Milano nella terra della sua famiglia d’origine per rilanciare il Maggiociondolo, così si chiama la cooperativa nella quale è subentrato in qualità di presidente e rappresentante legale nel 2011. In quell’anno il Maggiociondolo ha subìto una battuta d’arresto tanto dura da minacciarne la scomparsa. "L’azienda era piena di debiti, ma grazie alla Provvidenza è sopravvissuta", racconta a Tempi Padovani. Per la verità il merito è anche del suo personale impegno, perché Padovani ha modificato radicalmente l’impostazione e la tipologia del lavoro svolto al Maggiociondolo. Che adesso si occupa ancora di recupero e vendita del pallet, ma non lo fa più esclusivamente attraverso la canonica rigenerazione dell’usato, altrimenti destinato a diventare legna da ardere: ora il materiale ricavato dallo smontaggio dei bancali viene riadattato ai più svariati utilizzi nell’arredo e nel packaging. Da un prodotto squisitamente industriale Padovani e la sua squadra ricavano ogni sorta di mensola, scaffale, rivestimento, sedia, sgabello, tavolino, libreria, scacchiera, gioco per bambini, confezione da vino, cornice e tutto ciò che l’immaginazione può inventare. Ottimizzando costi che altrimenti non sarebbero economicamente sostenibili. Questa scelta - che per dare un numero ha portato a differenziare la produzione in un 70 per cento di bancali e un 30 per cento di oggettistica e mobili da arredo - è frutto di un personale convincimento di Padovani. Il presidente di Maggiociondolo è infatti profondamente persuaso dell’importanza di restituire dignità a un mestiere che ormai sta scomparendo, quello dell’"artigiano intellettuale", professionalmente attrezzato ma insieme capace di inventare soluzioni cariche di gusto e di bellezza. A suggerire a Padovani la svolta dell’azienda, però, è stata anche la peculiarità del "capitale umano" che ha a disposizione, i lavoratori della cooperativa. A parte un paio di dipendenti storici, infatti, al Maggiociondolo lavorano a turno circa una trentina di persone provenienti da situazioni critiche come disintossicazione da alcol o droghe e detenzione carceraria in pena alternativa. Persone segnalate per lo più da uffici come gli Uepe (ufficio esecuzione penale esterna) e i Sert (servizio tossicodipendenze) o dalle comunità di recupero locali. A questa gente Padovani offre una seconda chance, attraverso la possibilità concreta di imparare un mestiere, per agevolarne il reinserimento lavorativo, nonché la piena riabilitazione nella società civile. C’è chi ce l’ha fatta, come Eriks, detto "l’Anguilla", lettone di Riga, con un passato nel teatro, soprannominato così perché "appena ti giravi cercava di sgusciare via e abbandonare il lavoro". Ora è uno dei più fidati collaboratori di Padovani e quando la cooperativa era in difficoltà ha trascorso le ferie lavorando gratis. Ma ci sono tanti giovani che il Maggiociondolo prova a strappare a destini avversi. "Noi crediamo nei miracoli", dice Padovani senza scomporsi. "Qui l’unica regola è stare insieme, condividere, perché crediamo nel cuore e portiamo avanti valori cristiani". Come dimostra la scelta di colorare di bianco e nero, come l’abito dei domenicani, le pareti esterne della cooperativa. "L’importante - gli fa eco Beppe, un dipendente - è avere l’umiltà di imparare". E ce ne vuole, visto che smontare un pallet è un lavoro "estremamente duro", assicura Padovani. Fallimenti ce ne sono stati, ma non hanno scoraggiato Padovani. È successo per esempio con diversi ragazzi messi alla prova come autisti. "È vero - ammette - non sono stato particolarmente fortunato con gli autisti, così ho deciso di fare da me. E ne è valsa la pena, perché i fornitori e i clienti restano molto colpiti quando si vedono consegnare o ritirare un bancale dal presidente in persona. Così tra l’altro si instaurano tanti rapporti che permettono di ottenere anche risultati migliori". Come quella volta che la Bauli dei panettoni decise di donare alla cooperativa veronese un bel numero di bancali, che si rivelarono indispensabili per la continuità della produzione. "Se la cooperativa si occupasse solo di rigenerare pallet - rivela Padovani - non andremmo da nessuna parte. Il numero "critico", e cioè la produzione minima per rendere l’opera economicamente sostenibile, è di 150 bancali al giorno. E con le sole nostre forze non saremmo in grado di raggiungerlo". Per fortuna, però, al civico 104 sulla Strada della Genovesa, dove si trova la cooperativa, qualcosa è cambiato: decisivo è stato il contributo di uno sparuto gruppo di giovani architetti e designer, molti dei quali disoccupati, che hanno cominciato a progettare e realizzare insieme al Maggiociondolo quegli oggetti di design che pian piano si sono fatti spazio nei negozi di Verona - gastronomie, macellerie, prestinai, take away "bio" e bar - hanno superato i confini locali grazie a siti di e-commerce come il tedesco DaWanda e sono arrivati fino a Milano, dove hanno impreziosito gli interni della sede di Federlegno Arredo, a cui la cooperativa ora è associata. "Una volta che il ciclo virtuoso è entrato a pieno regime - prosegue Padovani - si è potuta incrementare la produzione di bancali rigenerati diminuendo l’acquisto dai fornitori; questo ha consentito di abbassare i prezzi di vendita ai nostri clienti, portando a rimessa diretta o al massimo a trenta giorni fine mese i pagamenti che tradizionalmente avvenivano a sessanta, novanta o centoventi giorni". Dal punto di vista economico in effetti è un mezzo miracolo, tanto che "attualmente lavoriamo senza anticipi di fattura della banca", gonfia il petto Padovani. E aggiunge: "Con i primi utili è stato preso in affitto il capannone adiacente, poiché nel tempo è divenuta sempre più evidente l’esigenza di condividere lo spazio produttivo e le idee con quelle persone che pian piano si sono coinvolte nella cooperativa, che oggi conta 160 soci e si è affiliata al circolo oratoriale Anspi". È a questo punto che è nata l’idea di Avanguardia, l’associazione di promozione sociale fondata nel 2012 con lo scopo di promuovere e comunicare le realizzazioni del Maggiociondolo, puntando su progetti multi-tematici e dialogando con privati e istituzioni. "Se il Maggiociondolo realizza prodotti, Avanguardia ha il compito di creare indotti", è lo slogan con cui Padovani descrive l’iniziativa. "Indotti", ovvero tutto ciò che può nascere dal bancale e dal suo riutilizzo. Sia che si tratti semplicemente di arredare un locale o un altro ambiente, sia che si debba invece creare veri e propri eventi culturali e conviviali, concerti, mostre d’arte, convegni… Non a caso la nascita di Avanguardia ha dato il la a importanti collaborazioni. Una per tutte, quella sugli orti didattici con Gianni Fontana, presidente di Verde Fontana. "L’auspicio è che si mettano in atto processi virtuosi che arricchiscano di valore il territorio, modelli e piattaforme capaci di rispondere ai nuovi bisogni sociali", spiega a Tempi Francesca, figlia di Giuseppe, presidente e anima operativa di Avanguardia. Due sono i principali strumenti che oggi Avanguardia ha a disposizione: una rivista semestrale di arte e mestieri e una scuola di arti e mestieri per promuovere la cultura del fare. L’istituto offre la possibilità di fare esperienze pratiche, concrete, ed è rivolto a giovani che hanno finito o stanno finendo il percorso dell’obbligo. Ma anche a diplomati e laureati in cerca di lavoro e quindi di occasioni buone per arricchire il curriculum con quegli elementi ed esperienze che il settore del legno richiede sempre più insistentemente, ma fatica a trovare. Ed è solo l’inizio. Padova: "Pallalpiede", la squadra dei detenuti iscritta al campionato della Lega Dilettanti di Francesco Vigato Il Mattino di Padova, 3 agosto 2014 Iscritta al torneo di Terza Categoria padovano, sarà composta per il 90% da stranieri. Il progetto di San Precario realizzato anche grazie ai soldi della Lega Dilettanti. Una squadra di detenuti debutterà in Terza categoria nel girone padovano. L’iscrizione è stata formalizzata pochi giorni fa e, a quanto pare, c’è già una rosa di trenta giocatori pronta a iniziare la preparazione atletica. Si fa sul serio, al carcere Due Palazzi di Padova, che avrà una squadra di calcio iscritta, e questa è una novità assoluta, a un campionato organizzato dalla Figc. Un’iniziativa tutta padovana che ha trovato il beneplacito della direzione della casa circondariale, del Ministero della Giustizia e della Lega Nazionale Dilettanti. Il team avrà un nome che non tradisce l’ironia, Palla al Piede (formalmente il nome sarà tutto attaccato) e parteciperà al prossimo campionato di Terza Categoria. Settanta carcerati si sono contesi un posto nelle selezioni coordinate dal tecnico federale Valter Bedin, che a questo punto potrebbe anche restare sulla panchina della "Pallalpiede" per tutto il resto della stagione. "La squadra parteciperà fuori classifica e giocherà tutte le partite al Due Palazzi, in un campo che è stato appena omologato per la categoria" spiega il presidente del Comitato regionale veneto della Figc Giuseppe Ruzza. "Per motivi di sicurezza, la direzione del carcere otterrà in anticipo tutte le distinte degli avversari e le generalità dell’arbitro. Sarà composta al 90% da ragazzi stranieri e sarà uno spot per tutto il calcio italiano. In questo senso, un enorme ringraziamento va alla polisportiva San Precario, che ha portato avanti l’impegno". Proprio da una suggestione della società di Terza categoria e della Nairi Onlus (associazione che opera nell’ambito dei diritti umani) è nato il progetto "Rimettiamoci in gioco", partito ufficialmente due anni fa e in parte concretizzato con l’amichevole dello scorso 3 giugno tra Detenuti Due Palazzi e San Precario il cui allenatore è il leader del centro Pedro Max Gallob. Novanta minuti combattutissimi (3-2 il risultato finale), ed ecco l’idea di completare l’opera e creare una squadra vera e propria che potesse partecipare a campionati federali. Difficile, ma non impossibile. E soprattutto, senza precedenti in Italia se non a livello amatoriale. Eppure, da qualche giorno, Pallalpiede è una società di calcio a tutti gli effetti, anche grazie al contributo economico della Lnd. Un caso rarissimo, anche perché in Italia le realtà composte da detenuti impegnate nell’attività agonistica si contano sulle dita di una mano. Tra queste, spicca il team rugbistico "La Drola" della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino. Anche Pallalpiede sarà una polisportiva. Si partirà con il calcio (si punta a migliorare pure l’impianto sportivo, che ha comunque misure regolamentari) ma basket e volley potrebbero entrare presto nell’orbita. Sassari: ex detenuto diventa attore, il primo ciak è all’Asinara di Luca Fiori La Nuova Sardegna, 3 agosto 2014 Michele Cabizzosu è tornato nell’ex penitenziario per girare il film di Cabiddu. A Campu Perdu l’incontro con l’agente in pensione che è rimasto sull’isola. Aveva giurato di non metterci più piede in vita sua. Michele Cabizzosu, sassarese di 47 anni, all’Asinara ha scontato buona parte dei suoi errori di gioventù e quando nel 1997, con la nascita del Parco Nazionale lui e gli altri detenuti sono stati trasferiti in diverse strutture carcerarie, si è guardato allo specchio e a se stesso ha detto che quell’isola selvaggia non avrebbe mai più rivisto la sua faccia. Mentiva, perché proprio del suo volto fotogenico e della sua naturale propensione a stare davanti alla macchina da presa si è innamorato il regista cagliaritano Gianfranco Cabiddu, che da quasi un mese sull’isola-parco sta girando il suo ultimo film: "La stoffa dei sogni", un lungometraggio ispirato a un testo di Eduardo De Filippo con attori del calibro di Sergio Rubini ed Ennio Fantastichini. Qualche giorno fa Cabizzosu ha rimesso piede all’Asinara (per la prima volta da uomo libero) per interpretare il ruolo di un detenuto e, con grande stupore, sul set ha ritrovato Giommaria Deriu, agente della polizia penitenziaria in pensione, che dopo tanti anni di servizio sull’isola, si è ritrovato anche lui a recitare - come comparsa - proprio la parte di un "secondino". Due destini che si sono incrociati dopo tanti anni. Due uomini che hanno dovuto rivestire, ma solo per il cinema, gli abiti e i ruoli di un passato ormai lontano. "Quell’isola è meravigliosa - racconta Michele Cabizzosu - ma io avrei voluto non farci più ritorno. È un posto che ti distrugge se lo hai vissuto come l’ho vissuto io - aggiunge - e quando mi hanno proposto di fare la comparsa inizialmente ho detto che la cosa non mi interessava". Il film di Cabiddu è ambientato in una nave, con a bordo una modesta compagnia di teatranti e dei pericolosi camorristi, che naufraga sulle coste di un’isola. Non un’isola qualunque, ma l’Asinara, isola-carcere in mezzo al Mediterraneo, in cui diventa difficile distinguere gli attori della compagnia dai criminali. È stato il capo delle comparse Sergio Scavio a convincere Michele Cabizzosu che tornare in quel paradiso naturale per interpretare la parte di un detenuto non sarebbe stata una cattiva idea. "Non c’era riuscita neanche mia moglie - racconta il neo attore - l’anno scorso voleva visitare l’isola e farla vedere ai nostri due bambini, ma quando siamo arrivati a Stintino al momento di salire sul barcone mi è mancato il coraggio e siamo tornati indietro". Michele non era mai stato su un set cinematografico in vita sua, ma quando Cabiddu lo ha conosciuto e ha saputo la sua storia, lo ha messo alla prova e alla fine lo ha promosso: da comparsa è diventato un attore vero. Cabiddu gli ha assegnato il ruolo del detenuto a cui viene poi data la parte di Calibano, figura fondamentale della storia, che inizialmente avrebbe dovuto essere di Luca De Filippo, il figlio del grande Eduardo che all’ultimo momento ha dovuto rinunciare. "All’inizio ero molto teso - racconta Cabizzosu - ma poi tutta la troupe mi ha incoraggiato, mi ha messo a mio agio e sono riuscito a vincere l’emozione". All’Asinara fino al 1997 Michele aveva fatto altri lavori. "Quando ero detenuto a Campu Perdu - spiega - ho fatto un po’ di tutto, dal saldatore al pastore. Sull’isola la detenzione è diversa da quella delle altre carceri, potevo muovermi in bicicletta e nella mia diramazione eravamo abbastanza liberi - aggiunge - ma ricordo che quando trasportavano Toto Riina gli agenti ci costringevano a voltarci verso il muro, nessuno poteva incrociare il suo sguardo". Sul set Michele ha dovuto fare i conti anche con il passato. "È stato proprio durante gli anni trascorsi a Campo Perdu - ammette Cabizzosu - che ho smesso di raccontarmi bugie e ho deciso di cambiare vita". E ora, dopo tante difficoltà, magari proprio un film girato all’Asinara restituirà a Michele quello che gli anni sull’isola gli avevano tolto: la libertà e la voglia di ritornare in quel paradiso. Stati Uniti: ancora un’esecuzione drammatica, 15 iniezioni e due ore per morire Ansa, 3 agosto 2014 Un’altra esecuzione shock negli Stati Uniti. Stavolta in Arizona, nel carcere di Tucson, dove il boia per portare a termine il suo compito ha dovuto iniettare per ben 15 volte il mix letale di farmaci su un uomo di nome Joseph Wood. Quest’ultimo - sottolineano i media americani - è morto dopo ben due ore di atroci sofferenze. "Si tratta di una esecuzione senza precedenti", denunciano i legali del condannato e le associazioni contro la pena di morte. Nessuno dei protocolli legali è stato seguito. Dopo il fallimento della prima iniezione, infatti, la mano del boia avrebbe dovuto essere fermata, la pena capitale rinviata. Invece si è infierito. E ora l’amministrazione Obama vuole vederci chiaro, vuole capire perchè tanto accanimento. E il ministro della giustizia, Eric Holder, ha aperto un’inchiesta su quanto accaduto. L’indignazione è bipartisan. "Questi sono veri e propri episodi di tortura", ha commentato il senatore repubblicano John McCain, ex candidato presidenziale. E la mente non può che riandare a quanto accaduto lo scorso aprile in Oklahoma, quando Clayton Lockett morì dopo 43 lunghissimi minuti di agonia. Un episodio che provocò l’intervento anche del presidente Barack Obama, con la promessa di un’indagine sui metodi usati nei vari penitenziari della morte. L’ultimo increscioso episodio di Tucson si è verificato una settimana fa. Ma solo ora sono venuti fuori i verbali di quell’orribile nottata. Nelle vene di Wood sono stati iniettati le normali dosi di sedativo e di farmaci velenosi, ma l’uomo di morire non ne voleva sapere. Era l’1,53 del mattino. Invece di fermare la macchina della morte, è stato deciso di aumentare sempre di più la dose di veleno: altre 14 volte. Wood è stato dichiarato deceduto quando mancavano dieci minuti alle 4 del mattino. La scena - raccontano i testimoni - è stata raccapricciante, con l’uomo bloccato sul lettino che per almeno 60 volte ha tentato di liberarsi, gemendo e ansimando. Ora le esecuzioni in Arizona sono momentaneamente state sospese, e anche il governatore ha aperto un’inchiesta. Il sospetto è che alla fine tutto finisca in un nulla di fatto, come sempre. Ma tra i democratici c’è chi chiede a gran voce un’inchiesta vera e propria sulle istituzioni carcerarie, un’indagine indipendente. Perchè oramai troppo spesso si sta oltrepassando il limite della decenza e di ogni senso di umanità. Polonia: centro d’addestramento dei servizi segreti militari era una prigione della Cia di Caterina Mauro Il Manifesto, 3 agosto 2014 C’è una cosa che più di tutte colpisce il visitatore: la natura possente, rigogliosa e selvaggia. Gli abitanti della regione hanno coniato uno slogan: "Mazury cud natury", Mazuria miracolo della natura. Foreste, laghi e ancora laghi, grandi e grandissimi che si susseguono, si toccano, contornati dal verde lussureggiante che non smette di stupire chi gli sta di fronte. Poi d’improvviso, mentre la macchina percorre la strada che costeggia il lago vicino al villaggio di Stary Kiejkuty, spunta una doppia recinzione con filo spinato. Telecamere ovunque e se provi a parcheggiare, scendere e scattare foto, dopo appena qualche minuto arriva la sicurezza che ti sequestra la memory card: "zona militare, off limits, niente foto e video". Benvenuti al centro d’addestramento dei servizi segreti militari polacchi (Osrodek Szkolenia Agencij Wiwiadu), il posto più segreto e inaccessibile della Polonia. È qui che gli agenti della Cia portavano i terroristi (o presunti tali) e qui venivano torturati. Il classico posto tranquillo ad appena 20 km dall’aeroporto si Szczytno-Szymany, e soprattutto fuori dalla portata di sguardi indiscreti dove poter attuare il programma di "extraordinary rendition" (consegne straordinarie), ovvero la detenzione clandestina di un "elemento ostile" sospettato di essere un terrorista. Erano i tempi della guerra al terrore e la Polonia aveva deciso di entrarci dentro aiutando l’alleato americano a fare il lavoro sporco. Alcuni abitanti di Stary Kiejkuty ricordano bene il rumore degli aerei di notte. Troppi per un piccolo aeroporto come quello. I politici polacchi fanno orecchio da mercante: "Prigioni segrete? Io non c’ero, e se c’ero dormivo". È questo il succo delle loro dichiarazioni a proposito. Leszek Miller, 68 anni, segretario del partito socialista polacco (Sld), all’epoca primo ministro. Pur ammettendo la presenza di agenti americani a Stary Kiejkuty, lui ha sempre negato l’esistenza di prigioni segrete della Cia in Polonia. Diversa la ricostruzione di Alexander Kwasniewski, ex presidente della repubblica ed ex compagno di partito di Miller, il quale nel 2012 ha rivelato che "quel tipo di sito era stato approvato", ovviamente a sua insaputa. Oggi Kwasniewski aggiunge che "il governo polacco, le autorità polacche, guidate allora da Leszek Miller, io, come presidente e tutte le maggiori istituzioni dello stato, hanno agito in buona fede con l’alleato americano e in accordo per la difesa degli interessi nazionali". Detto in parole povere, a Washington non si poteva dire di no. Del resto, la Polonia è sempre stata un nodo strategico di primaria importanza per la politica estera a stelle e strisce. Lo era ai tempi di Reagan, che finanziava a suon di dollari la lotta di Solidarnosc contro il regime del socialismo reale. Lo era ai tempi di Bush padre che dopo l’89 mandò i propri consiglieri economici a Varsavia per costruire il Paese su basi neo-liberiste. Lo era per Bush figlio che in Polonia voleva istallare i radar per lo scudo spaziale. Lo è oggi per Obama e il suo progetto di ridispiegamento delle truppe Nato sullo scacchiere europeo. Un’alleanza forte, dunque, che preserva gli interessi strategici americani garantendo cospicue risorse ai polacchi in campo economico e militare. È in questa ottica che va inserita la questione delle prigioni segrete: "È l’economia bellezza". Egitto: Reporter Sans Frontières chiede liberazione dei giornalisti di al-Jazeera detenuti www.agensir.it, 3 agosto 2014 Un nuovo appello e una petizione per liberare i tre giornalisti della tv Al-Jazeera detenuti in Egitto sono stati lanciati in questi giorni da Reporter Sans Frontières (Rsf). L’organizzazione impegnata nella difesa della libertà di stampa nel mondo ricorda che un mese fa, il 23 giugno 2014, un Tribunale egiziano ha condannato i tre giornalisti (l’australiano Peter Greste, il canadese-egiziano Mohamed Adel Fahmy e l’egiziano Baher Mohamed) a pene che vanno dai sette ai dieci anni di prigione, perché accusati di appartenere a una "organizzazione terroristica" (i Fratelli Musulmani) e di avere "offuscato l’immagine dell’Egitto". I giornalisti stranieri sono stati condannati per "diffusione di notizie false". In realtà, precisa Reporter Sans Frontières, "la linea editoriale di Al-Jazeera non è piaciuta al potere". "I giornalisti non possono andare in prigione solo per aver esercitato il loro mestiere", afferma l’organizzazione, invitando a firmare una petizione on line. "Questo processo iniquo - si legge - totalmente orchestrato politicamente, dimostra la deriva totalitaria di un regime egiziano che non rispetta la Costituzione adottata nel gennaio 2014. Invece di esserne il garante, il maresciallo Al-Sissi, eletto a capo della Repubblica araba d’Egitto a fine maggio, sta affossando le libertà fondamentali, in particolare la libertà di espressione e d’informazione". Perciò chiedono al presidente Al-Sissi "di fare tutto ciò che è in suo potere per liberare i giornalisti". Dalla destituzione del presidente Mohamed Morsi nel luglio 2013 almeno sei giornalisti sono stati uccisi nell’esercizio delle loro funzioni, nell’impunità più totale. Almeno 65 operatori dell’informazione sono stati interrogati, alcune testate sono state chiuse, altre censurate. Numerosi altri giornalisti sono in carcere in attesa del processo. "Il potere - sottolinea l’organizzazione - sta organizzando una vera caccia ai giornalisti, che colpisce sia gli operatori che simpatizzano con i Fratelli Musulmani, sia gli altri". L’Egitto è oggi al 159mo posto nel mondo per la libertà di stampa.