Giustizia: la quotidiana strage nelle galere italiane di Valter Vecellio www.lindro.it, 30 agosto 2014 A. L., italiana, 42 anni, in carcere dal 2011 per una serie di reati comuni ed aveva problemi di dipendenza dalle droghe, negli ultimi tempi, dicono, aveva manifestato un forte disagio tanto da essere, proprio per questo, sottoposta in carcere alle misure previste in questi casi. L’altro giorno ha deciso di farla finita, si è lasciata andare, non voleva più vivere; e dire che fra qualche mese, il 1 dicembre, sarebbe uscita di galera. Quattro mesi di attesa insopportabili, in quella cella del carcere di Civitavecchia, più insopportabili della morte. Oppure è stato proprio il pensiero che sarebbe dovuta uscire, e che avrebbe dovuto riprendere la vita che l’aveva portata in carcere; e ha così preferito "chiudere"…vai a sapere. Angiolo Marroni, garante dei detenuti della regione Lazio, commenta: "Una persona che, a poche settimane dal fine pena, decide di negarsi in maniera tanto drammatica ogni speranza per il futuro dovrebbe farci riflettere sulla reale capacità della pena di tutelare i detenuti e di garantirne il pieno recupero". Ancora un episodio che dovrebbe far riflettere sull’utilità della detenzione per i tossicodipendenti e, più in generale, per tutti coloro che sono affetti da malattie. "Il carcere è un ambiente duro che piega la resistenza dei più forti, figurarsi di quanti vivono una situazione di disagio psicologico", dice Marroni: "Credo che il carcere non sia la risposta migliore ai problemi delle persone malate e che non basti diminuire le presenze per avere condizioni più umane di detenzione. La differenza sta nella funzione trattamentale e nell’individuare la soluzione più efficace a garantire i diritti dei reclusi, garantendo la continuità di trattamento anche quando finisce la detenzione. Per questi casi, la soluzione migliore può essere il ricorso a misure alternative alla detenzione come il ricovero nelle comunità terapeutiche, che sicuramente hanno maggiori professionalità per accogliere queste persone". La "notizia" del suicidio è stata data dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Il segretario Donato Capece, nel darla, ne ha fornito un’altra non meno inquietante: "È purtroppo il quarto caso in pochi anni che si verifica nella sezione femminile del carcere. Un Reparto il cui Ispettore coordinatore (un uomo) è spesso impiegato in altri servizi d’istituto. Questo episodio deve far capire all’Amministrazione penitenziaria l’importanza di avere un coordinatore stabile del settore detentivo femminile, magari destinando in quell’incarico un Ispettore di Polizia Penitenziaria femminile". Che al ministero della Giustizia non si batta ciglio di fronte a situazioni di questo tipo, è inquietante. Ma non solo. Si viene a sapere che "negli ultimi vent’anni anni, dal 1992 al 2012, abbiamo salvato la vita ad oltre 17.000 detenuti che hanno tentato il suicidio ed ai quasi 119mila che hanno posto in essere atti di autolesionismo, molti deturpandosi anche violentemente il proprio corpo. Numeri su numeri che raccontano un’emergenza ancora sottovalutata, anche dall’Amministrazione penitenziaria che pensa alla vigilanza dinamica come unica soluzione all’invivibilità della vita nelle celle senza però far lavorare i detenuti o impiegarli in attività socialmente utili". Si può ripetere? 17mila tentativi di suicidio sventati in vent’anni, quasi mille l’anno. 119mila atti di autolesionismo… La lettera che segue la scrive Carmelo Musumeci, detenuto nel carcere di Padova, uno di quelli del "fine pena mai". Da sola si commenta: "L’Italia è veramente uno strano paese dove la matematica non è una scienze esatta. E nelle galere italiane si usa la matematica fai da te. A secondo del governo di destra, di centro o di sinistra, e il ministro della giustizia che lo rappresenta, i posti letti in carcere aumentano e diminuiscono come per magia. Fino a poco tempo fa i posti letto erano 38.000 (Fonte: Associazione Antigone, confermati dall’allora Ministra della Giustizia, Annamaria Cancellieri). Dopo qualche mese i posti letto erano diventati 43.000 (Fonte dall’inchiesta di "Reporter" per Rai 3). E con meraviglia l’altro giorno ho letto che i numeri dei posti letto erano di nuovo cambiati: "(...) I dati, aggiornati al 31 luglio, del Ministro della Giustizia indicano nei 204 penitenziari 54.414 detenuti a fronte di 49.402 posti"(Fonte: Il Gazzettino, domenica 3 agosto 2014). Penso che neppure Gesù riuscirebbe a moltiplicare i posti letto come fanno i funzionari del Dipartimento Amministrativo Penitenziario. Credo che gli italiani siano famosi nel mondo per la loro creatività ma penso che negli ultimi tempi la maggioranza dei posti letto in carcere si siano moltiplicati facendo diventare doppie le celle singole e quintuple quelle triple. Bugie e semplificazioni sul carcere se ne sentono tante e ancora l’altro giorno ho letto "Detenuto suicida con la bombola a gas Il sindacato degli agenti di Polizia ha chiesto che siano vietate". Come se uno non si potesse suicidare impiccandosi con le lenzuola, o con le maniche di una camicia. E come proporre di non costruire più automobili perché nelle strade italiane ci sono troppi decessi per incidenti di macchine. Se si levassero i fornellini a gas nelle prigioni come farebbero i detenuti a mangiare? Non lo sa il sindacato degli agenti della Polizia penitenziaria che il cibo che passa l’Amministrazione dell’istituto non basterebbe neppure per i topi che vivono in carcere? Quante cose inesatte si dicono e si leggono sul carcere, ma è normale perché parlano tutti fuorché i carcerati. Sempre l’altro giorno sull’ultimo suicidio che è accaduto nel carcere di Padova, ho letto che il segretario generale del sindacato autonomo di Polizia penitenziaria denuncia carenze negli organici: "Come può un solo agente controllare 80 o 100 detenuti?". A parte che sono i detenuti che controllano la Polizia penitenziaria - perché non potrebbe essere altrimenti - come farebbe un solo agente da solo a controllare ottanta o cento detenuti senza l’aiuto e il consenso degli stessi prigionieri? Se le carceri non scoppiano, e i detenuti preferiscono ammazzarsi piuttosto che spaccare tutto come facevano nel passato, è merito della crescita interiore dei detenuti, o forse della loro rassegnazione, o, quasi certamente, della quantità di psicofarmaci e tranquillanti che vengono erogati. E trovo di pessimo gusto approfittare dei morti ammazzati di carcere per chiedere miglioramenti sindacali di organico e finanziari. Noi non abbiamo bisogno di agenti penitenziari piuttosto abbiamo necessità di educatori, psicologi, magistrati di sorveglianza e di pene alternative. Ricordo a proposito che per i detenuti che scontano l’intera pena la recidiva sale al 70%, invece per chi sconta pene alternative al carcere la recidiva non supera il 12%. Solo così aumenterebbero realmente i posti letto e diminuirebbero i detenuti nelle carceri italiane, non certo con la matematica fai da te". Si può chiudere con un libro. Un libro che fa male leggere, ti sprofonda in realtà di cui poco si parla e di conosce. Si ignorano, infatti (o si preferisce ignorare), la condizione cui sono costretti a vivere i circa tremila italiani attualmente detenuti all’estero, talvolta in spregio al diritto internazionale e nell’inadempienza dei nostri consolati. Pochi, probabilmente sanno che "l’American Dream" per un italiano si può trasformare in un incubo vissuto per anni dietro le sbarre, con il rischio di finire su una sedia elettrica o ucciso da un’iniezione; o che dietro il miraggio delle spiagge di Santo Domingo può nascondersi un "imprevisto" fatale. Oppure che il fascino di Paesi come India e Thailandia può celare aspetti oscuri e brutali. "Le voci del silenzio. Storie di italiani detenuti all’estero" di Fabio Polese e Federico Cenci (Eclettica Edizioni, prefazione di Roberta Bruzzone), racconta le condizioni che affliggono circa 3mila italiani nel mondo, per lo più sconosciuti. "Ci siamo accorti", spiegano Polese e Cenci, "che ad alcune disavventure giudiziarie, in cui erano incappati nostri connazionali all’estero, non veniva dedicato nessun spazio rilevante, né da parte dei media, né da parte delle nostre istituzioni. E così abbiamo provato a colmare noi questo vuoto, iniziandoci ad occupare del tema, cercando storie e testimonianze" Ed ecco, pagina dopo pagina, sfilare sotto i nostri occhi i casi e le vicende di Carlo Parlanti, Enrico Forti, Derek Rocco Barnabei, Mariano Pasqualin, Fernando Nardini, Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni con interviste dirette agli involontari protagonisti o ai loro familiari... Parlanti, per esempio, è rientrato in Italia dopo aver scontato quasi tutta la sua pena negli Stati Uniti; Nardini anche lui è rientrato nel nostro Paese dopo essere stato finalmente dichiarato innocente nel terzo grado di giudizio thailandese… Un lavoro non ha la presunzione di fungere da giudice e dichiarare l’innocenza a spada tratta degli italiani detenuti all’estero, ma intende dar voce a chi non ce l’ha: "Crediamo sia un atto doveroso nei confronti di chi è rinchiuso in pochi metri quadri di cemento armato in qualche angolo sperduto del mondo. Ogni storia tra quelle che abbiamo trattato possiede aspetti toccanti. Tuttavia la storia di Mariano Pasqualin, un giovane ragazzo di Vicenza arrestato per traffico di stupefacenti a Santo Domingo, è quella che ci è rimasta più impressa. In una galera del posto, dopo pochi giorni dal suo arresto, ha trovato la morte in circostanze molto dubbie. Nonostante la richiesta della famiglia di far rientrare la salma in Italia per effettuare un’autopsia che ne svelasse le cause del decesso, le autorità della Repubblica Dominicana hanno, senza autorizzazione, deciso di cremare il corpo e spedire in Italia le ceneri. Sua sorella Ornella ci ha trasmesso una grande forza d’animo, ma anche il dolore lacerante che ha colpito tutta la loro famiglia". L’Annuario statistico 2013 pubblicato dalla Farnesina "censisce" in 3.103 gli italiani detenuti oltre confine. In particolare 2.323 italiani sono imprigionati nei Paesi dell’Unione europea, 129 nei Paesi extra-Ue, 494 nelle Americhe, 64 nella regione mediterranea e in Medio Oriente, 17 nell’Africa sub-sahariana e 76 in Asia e Oceania. In Europa il record degli italiani detenuti se lo aggiudicano le carceri tedesche che ospitano 1.115 nostri connazionali, segue la Spagna con 524. Nel resto del mondo, il maggior numero di detenuti italiani si trova in Venezuela con 81 persone recluse nelle carceri amministrate dal governo di Caracas. "Purtroppo la nostra diplomazia", dicono Polese e Cenci, "in tutte le parti del mondo, anche secondo le testimonianze che abbiamo raccolto per la stesura del libro, è spesso assente e in alcuni casi impreparata ad affrontare certe situazioni". Giustizia: la burocrazia blocca le imprese che assumono detenuti di Andrea Monti www.linkiesta.it, 30 agosto 2014 Solo il 23% dei detenuti ha un lavoro. Le aziende scoraggiate davanti alla macchina amministrativa. Nel 1991 oltre un detenuto su tre lavorava. A fine 2013 la percentuale era del 23%, ma oggi i carcerati sono il doppio rispetto a inizio anni Novanta. Più difficile dare un impiego a tutti, a maggior ragione con la crisi. L’associazione Antigone denuncia il taglio dei fondi per i prigionieri stipendiati dall’amministrazione penitenziaria e le difficoltà economiche e burocratiche delle aziende che li assumono dall’esterno. Per queste ultime lavora appena il 16% dei reclusi che hanno un’occupazione. Legacoopsociali, che riunisce 2.300 società, conferma che le imprese che vogliono entrare in carcere non hanno vita facile. I dati del governo L’articolo 15 dell’ordinamento penitenziario stabilisce che il lavoro fa parte del trattamento rieducativo e prevede che a ogni detenuto ne sia assicurato uno, "salvi casi di impossibilità". Il sito del ministero della Giustizia riporta le statistiche in materia a partire dal 1991: la percentuale più alta di prigionieri occupati risale proprio ad allora, quando era del 34 per cento. In ventitrè anni di rilevazioni semestrali il 30% è stato superato solo altre due volte, e i tre momenti di picco sono gli unici in cui la popolazione carceraria è scesa sotto le 40mila unità: meno detenuti ci sono, più facile è riuscire a farne lavorare una buona fetta. Dal giugno 2009 gli abitanti dei penitenziari non sono mai stati meno di 60mila, e dal 2008 - quando è scoppiata la crisi - gli occupati sono sempre stati sotto il 25 per cento. A fine 2013 i reclusi erano circa 62.500 e solo il 23% aveva un impiego. Attivisti e aziende Antigone è un’associazione "per i diritti e le garanzie nel sistema penale" nata a fine anni Ottanta. Gianni Torrente coordina il suo osservatorio sulle condizioni di detenzione. "Le possibilità economiche", dice, "fanno sì che la quota di detenuti lavoranti sia assolutamente minoritaria. Spesso i dati ministeriali non rappresentano bene le realtà, perché includono persone che magari sono impiegate poche ore al giorno e con un reddito minimo". All’interno delle carceri si può essere occupati alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria o a quelle di terzi, di aziende esterne. Il primo caso coinvolge la grande maggioranza degli "attivi": a fine 2013 erano l’84%, e dal 1991 non si è mai scesi sotto l’81 per cento. "Per queste persone ci sono sempre meno soldi pubblici", spiega Torrente. "Per quelle assunte dalle imprese il problema è la crisi, che ha colpito molte cooperative. Negli ultimi anni diverse hanno chiuso. Per fortuna c’è un forte turnover: nel privato sociale nascono continuamente nuove iniziative, ma si tratta comunque di un ambito in difficoltà". Una conferma arriva da Legacoopsociali, associazione che conta al suo interno circa 2.300 aziende, di cui un terzo impegnato nell’inserimento di "persone svantaggiate" come i detenuti. Di questo settore si occupa Giancarlo Brunato. "La crisi si è fatta sentire anche sulle coop di questo tipo, che hanno impostato la loro attività soprattutto sui rapporti con gli enti pubblici. Quando questi hanno iniziato a dover tagliare sono aumentati i problemi", spiega. Poi ci sono altri tipi di ostacoli. "Entrare in carcere è molto difficile, bisognerebbe sistematizzare un po’ la burocrazia. Le coop sociali hanno una preparazione specifica che le rende motivate, ma per aziende di altro tipo è più facile scoraggiarsi di fronte ai difetti della macchina amministrativa". Nel 2013 il capo del dipartimento amministrazione penitenziaria aveva proposto di abbassare gli stipendi dei reclusi per attirare le imprese. "Non mi pare il punto principale", dice Brunato. Secondo le norme attuali ai detenuti spetta un compenso pari ad almeno due terzi del trattamento previsto dal contratto collettivo di categoria. Sgravi insufficienti Gianni Torrente di Antigone è contrario a un taglio delle remunerazioni, "perché hanno un forte valore trattamentale. Il lavoro non deve servire solo a passare il tempo, ma anche a reinserire la persona. Il fatto che il detenuto sia considerato come un cittadino occupato fuori dal carcere, anche se con salario ridotto di un terzo, è un punto forte del nostro ordinamento, anche nel contesto europeo". Torrente conferma le difficoltà burocratiche delle aziende che vogliono impiegare carcerati. "I penitenziari italiani non sono mai riusciti ad attirare imprese che volessero investire. La quantità di documenti necessari e la lentezza delle procedure non è compensata dagli sgravi fiscali". Gli ultimi sono arrivati a fine luglio: 30 milioni per le società che assumono reclusi per almeno un mese. "Serve una riforma di tutto il sistema penitenziario. Il carcere può essere un miglior luogo di lavoro se è meno carcere, meno rigido, meno chiuso in se stesso. Bisogna usare i penitenziari in modo residuale, riducendo il numero di detenuti e aprendoli di più alla società esterna". Cosa fanno al momento i prigionieri occupati? "Le attività più diffuse", dice Torrente, "sono le meno formative, come pulizie delle sezioni o opere di piccola manutenzione. Per fortuna ci sono anche realtà produttive portate avanti dal privato sociale con risultati positivi. Il punto è capire se questo tipo di esperienze può diventare di massa, per esempio coinvolgendo più detenuti in impieghi manifatturieri, che tipicamente richiedono più persone". Sul lavoro in carcere, come su altri ambiti, l’Italia potrebbe avere molto da imparare dal Nord Europa: "In particolare penso alla Scandinavia, che vanta pratiche efficaci soprattutto dal punto di vista dell’umanizzazione della pena. Per esempio hanno il regime delle "celle aperte", spazi in cui impiegare i detenuti fuori dalla costrizione delle sezioni. Bisogna anche dire, però, che il nostro modello è un vero gioiello sotto il profilo normativo: le difficoltà si presentano nella messa in pratica". Di recente il ministro della Giustizia ha sottolineato che il tasso di recidiva scende molto tra i prigionieri occupati. Secondo Antigone su questo non ci sono dati scientificamente attendibili. Di sicuro la recessione non aiuta chi esce dal carcere con le migliori intenzioni, né chi deve restarci senza poter lavorare. Giustizia: Violante (Pd); l’inasprimento della pena non porta certo a più ordine di Federico Ferraù Italia Oggi, 30 agosto 2014 "La giustizia può riequilibrare, ma il risanamento vero è fuori dell’ordine della giustizia". A dirlo è Luciano Violante, ex magistrato, penalista, membro di spicco del Pci poi del Partito democratico, già alla guida della commissione parlamentare antimafia e poi presidente della Camera dei deputati dal 1996 al 2001. D. Alla giustizia si sta chiedendo troppo? R. La giustizia può riequilibrare, ma non può risanare. Cos’è infatti la giustizia? Direi, semplificando, che è la contropartita di un danno. Ristabilisce un equilibrio, ma un equilibrio fra lesioni. Tu hai leso qualcosa di me, io ledo qualcosa di te e ristabiliamo l’equilibrio, ma nulla è risanato realmente perché il risanamento vero è fuori dell’ordine della giustizia. D. E chi lo compie? R. Questo ruolo non appartiene alla sfera della giustizia ma a quella della riconciliazione, alla capacità delle persone e della comunità di ricostruire i legami sociali, poggiandoli sul complesso dei valori umani. D. Ma ci sono esempi storici di quello che sta dicendo? R. Penso alle commissioni per la verità e la riconciliazione create in molti paesi del mondo, dal Sud Africa alla Corea del Sud, dal Salvador al Ghana dopo fasi molto violente, quando si è preferito, ai tribunali e alle condanne, cercare la verità e proporre la riconciliazione nazionale sulla base del riconoscimento delle proprie responsabilità da parte dei colpevoli. D. E un gesto come quello che lei ha descritto quali effetti ha? R. Sia chiaro, non dappertutto queste procedure hanno funzionato. Ma, dove hanno funzionato, nella maggior parte dei casi, si è raggiunta la pace. Il risanamento è un’espressione di pace. permette di superare realmente il conflitto, perché il responsabile della lesione ammette la propria colpa e la vittima accetta che questo riconoscimento possa essere sufficiente per chiudere le tensioni. D. Perché invece crediamo di ottenere la pace puntando sull’inasprimento della pena? R. E l’illusione repressiva. credere che un aumento della coercizione possa portare di per sé un aumento dell’ordine. Non è così. Quando c’è un eccesso di repressione rispetto alla entità del delitto, aumenta il disordine e si creano lesioni profonde nel senso di giustizia. I delitti vanno puniti, ma l’inasprimento irragionevole della repressione allo scopo di conseguire un ordine sociale che si sta perdendo o di acquisire consenso politico è una scorciatoia che finisce contro un muro. Dopo la giustizia occorre la riconciliazione, là biblica tsedaqa. La riconciliazione è possibile su un altro terreno, quello della gratuità. D. C’è ancora gratuità nella vita civile del nostro paese? R. L’invasione che il mercato ha latto degli spazi prima riservati alla politica, alla morale, alla religione, ha prodotto in molte parti del mondo, anche in Italia, un effetto di commercializzazione globale degli spazi vitali. Il mercato deve stare nei suoi ambiti; quando invade spazi che non gli sono propri crescono l’egoismo sociale, l’ambizione individuale, si logorano i legami sociali e rallentano i processi di civilizzazione. Tutto l’Occidente, anche se non tutto nella stessa misura, ha fatto passi indietro. In questo quadro, l’Italia non fa eccezione. Per questo dobbiamo riprendere il cammino, con fiducia. D. In che modo? R. Ci sono regole istituzionali che vanno ripristinate; lo si sta facendo, ma la civilizzazione non è soltanto un problema regolatorio. Machiavelli aveva osservato. "Così come gli buoni costumi per mantenersi hanno bisogno delle leggi, così le leggi per osservarsi hanno bisogno dè buoni costumi". Oltre alle leggi servono i comportamenti responsabili ispirati a grandi valori, la società deve responsabilizzarsi rispetto al proprio futuro perché nessuna società può salvarsi se non determina quello che non si compra e non si vende. D. E in concreto che cosa possiamo fare? "R. È urgente cominciare a prendere in mano le fila della gratuità, tanto quelle laiche quanto quelle religiose. Dobbiamo tornare ad agire con comportamenti che non hanno valore di scambio perché non sono orientati allo scambio, ma alla crescita umana. D. Ma ne siamo capaci? R. Sono convinto che l’Italia ha grandi valori, che vanno sollecitati con determinazione. Nessun processo di civilizzazione va avanti solo con la rivendicazione di diritti. Senza diritti non c’è democrazia. Ma una democrazia senza doveri resta in balia degli egoismi individuali e dei conflitti istituzionali, priva dei valori della solidarietà e dell’unità politica. E a quel punto franano anche i diritti. Occorre costruire il tempo dei doveri, pubblici e privati, non in modo antagonistico rispetto ai diritti, ma per integrare i diritti in una visione più equilibrata e più orientata al futuro. D. Questo indebolimento dei legami sociali è causato solo dai meccanismi del mercato? Non crede che abbia anche cause antropologiche e di costume? R. Naturalmente non c’è mai una ragione sola. Habermas ha rilevato che il legame sociale si logora nel momento in cui, ad ogni comportamento, viene assegnato un prezzo. Questo mi pare il problema principale. D. Lei prima ha citato una storia esemplare di perdono come quella del Sudafrica. Noi partiamo da zero? R. Negli anni del terrorismo, un certo numero di condannati per questo tipo di delitti chiesero di essere messi insieme, in carcere, nelle cosiddette "aree omogenee" per poter discutere di quello che avevano fatto. Con altri sostenni questa soluzione. Fu una svolta, la discussione tra coloro che avevano partecipato al terrorismo portò molti ad uscire dalla logica e dall’esperienza terroristica, e non sulla base di una contropartita (una riduzione della pena per esempio) ma di una riflessione sul significato dei delitti commessi. In nessun altro paese che ha avuto il terrorismo c’è stata la capacità di uscirne in questo modo. Aggiungo che quell’esperienza non comportava sconti di pena. D. Non pensa che anche Tangentopoli abbia indebolito i nostri legami sociali? R. A mio avviso, è stata la corruzione che ha indebolito i legami sociali. I processi sono stati la conseguenza di quel tipo di reati. Ma la lotta alla corruzione non può essere integralmente devoluta alla magistratura. Anche qui forti e concreti richiami ai doveri pubblici e privati potrebbero essere utili per un costume nuovo. Giustizia: Renzi; il processo civile durerà la metà, delega al Parlamento su intercettazioni La Repubblica, 30 agosto 2014 Fuoriprogramma dopo il Cdm con il premier che, prima di esporre la riforma, offre il gelato in risposta all’Economist. Responsabilità civile per i magistrati: "Chi sbaglia paga". Stop prescrizione dopo il primo grado. Anm: "Riforma punitiva e poco coraggio". Tornano falso in bilancio e auto-riciclaggio. Orlando: "Raggiunto punto di equilibrio". "Offesi da Economist? Non esageriamo. Non ci offendiamo perché facciamo un lavoro serio". Carrellino con gelataio al seguito, nel cortile di Palazzo Chigi, Matteo Renzi sceglie l’ironia per replicare alla copertina del settimanale inglese. "Se volete assaggiare un po’ di vero gelato italiano, ve lo offro volentieri - ha detto sorridendo a giornalisti e operatori - potete rompere gli argini". È il fuoriprogramma che chiude il consiglio dei ministri durato due ore e mezza, con all’ordine del giorno due piatti forti: il cosiddetto decreto sblocca-Italia e la riforma della Giustizia. È il secondo fronte quello più delicato e dove si sono registrate le tensioni maggiori all’interno della maggioranza, tra Pd e Ncd. Ma già prima dell’inizio dei lavori era stato il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, a rassicurare sui contenuti: ci sono sia il pacchetto civile che quello penale. Attese confermate nella conferenza di presentazione del premier. Una vera e propria "rivoluzione", - la definisce Renzi - che passa dal dimezzamento dell’arretrato della giustizia civile, dalle nuove norme sul falso in bilancio e sulla prescrizione, alle norme sulle responsabilità civile dei magistrati secondo il principio di "chi sbaglia paga", fino alla delega sulle intercettazioni e al dimezzamento della pausa estiva per i tribunali. È questo, in sintesi, il pacchetto giustizia varato dal consiglio dei ministri. Si parte dal decreto legge "per il dimezzamento dell’arretrato del processo civile" e la riduzione tempi (un anno in primo grado). Poi appunto "falso in bilancio, prescrizione, responsabilità civile, delega al Parlamento per le intercettazioni". Il principio - sottolinea il presidente del Consiglio - è che "è consentita l’intercettazione al magistrato, ma ciò che non riguarda l’oggetto del reato deve essere pubblicato con grande attenzione. Non immaginiamo sanzioni penali. Non vogliamo mettere il bavaglio, ma non si deve ledere la privacy delle persone". E sul punto Renzi conferma un confronto con i direttori dei giornali. Ridurre i contenziosi. Al ministro Orlando il compito di spiegare nel dettaglio i provvedimenti. Sulla giustizia civile l’obiettivo annunciato è "degiurisdizionalizzare la domanda di giustizia, cioè togliere ciò che non è strettamente necessario davanti al giudice". Dunque, divorzi e separazioni davanti ad altra autorità laddove siano consensuali. Agevolare l’attività di negoziazione tra parti con incentivi sempre senza passare davanti al giudice. Disincentivare le cause temerarie, così da garantire processi più rapidi. Rinforzare il tribunale delle imprese e delle famiglie. Stop alla prescrizione. Interrompere la prescrizione al primo grado di giudizio: questo - spiega Orlando - disincentiverà le condotte dilatorie. Ma ci dovrà essere una grande capacità di guardare a che si giunga all’appello entro due anni". "Sul processo penale, invece, - continua il ministro - abbiamo scelto di intervenire per snellire l’iter che porta al giudizio finale attraverso interventi sull’udienza preliminare e sui passaggi processuali, e con processi che mirano a razionalizzare il ricorso in appello su cui c’è una delega". In serata è arrivata la risposta dell’Associazione Nazionale Magistrati: "Il grosso neo della riforma della giustizia è non aver affrontato con il coraggio necessario il nodo spinoso della prescrizione. Ci aspettavano un intervento più massiccio e radicale che mettesse in discussione l’intero assetto della ex Cirielli, che ha dato cattiva prova di sè". Responsabilità civile delle toghe. "Non c’è più un filtro" che si era trasformato "in un tappo" impedendo una valutazione di merito. Così Orlando presenta la principale novità della responsabilità civile dei magistrati. La responsabilità resta "indiretta", ha spiegato. "Si rafforza l’automatismo della rivalsa nel momento in cui c’è una condanna nei confronti dello Stato" e c’è "un aumento della rivalsa sul magistrato dal 30 al 50 per cento" dello stipendio. Anche qui critica l’Anm: "Resta l’impressione" che la riforma sulla responsabilità civile sia "punitiva": "Si lancia il messaggio che la giustizia funziona male perché i magistrati fanno errori", ha detto il segretario Maurizio Carbone, "e si dà il via libera ad azioni strumentali contro i giudici". Contrasto alla criminalità economica. Torna anche il falso in bilancio. "In una fase come questa di crisi, aumenta il rischio di infiltrazione di capitale illeciti. Per questo - sottolinea Orlando - nella riforma abbiamo pensato alla introduzione e reintroduzione di auto-riciclaggio e falso in bilancio". Punto di equilibrio. Manca, come noto, la parte relativa al Csm. "Non è stata abbandonata, ma è solo in attesa di un’interlocuzione con il nuovo Consiglio", chiarisce Orlando. Che in conclusione sottolinea "Abbiamo raggiunto un punto di equilibrio su un tema importante, sul quale nel passato abbiamo vissuto una storia assai diversa". Giustizia: con la riforma del processo civile un nuovo lavoro per gli avvocati, l’arbitro di Antonio Ciccia Italia Oggi, 30 agosto 2014 Da avvocato a negoziatore o arbitro. Il legale viene chiamato al ruolo di subfornitore del servizio giustizia o di fornitore alternativo (esterno ai tribunali) del servizio di risoluzione delle liti. Il decreto legge di riforma del processo civile (nel testo attualmente noto), ieri all’esame del consiglio dei ministri, ancora una volta cerca fuori dai tribunali una soluzione all’ingolfamento giudiziario nel settore civile. E si affida alla esternalizzazione delle cause pendenti e delle future. Stavolta con un ricorso agli avvocati, cui, da un lato, si chiede di fare gli arbitri nelle cause pendenti (eliminati così d’un tratto dai ruoli degli uffici giudiziari); e, dall’altro lato, si chiede di diventare promotori di accordi tra le parti, che, se sottoscritti, sono equiparati alle sentenze (il procedimento prende il nome di negoziazione assistita). La filosofia del provvedimento è identica a quella della normativa sulla media-conciliazione (d.lgs. 28/2010), anche se di quella normativa dimentica le agevolazioni tributarie. Si può, comunque, dire che la legge continua a individuare strumenti per tenere la maggior parte del contenzioso fuori dagli uffici giudiziari, cui si vogliono lasciare solo cause conseguentemente definibili d’élite (cause di grosso valore o di materia specialistica). Rimane una valutazione di fondo: nei casi di negoziazione assistita bisognerà trovare un accordo, ciò che comporta la disponibilità a rinunciare a parte del proprio diritto; chi ha ragione dovrà essere disposto a questa rinuncia, ritenendolo il male minore rispetto alle lungaggini giudiziarie, cosicchè l’inefficienza giudiziaria diventa la causa della rinuncia. Altra cosa sarebbe, invece, garantire agli aventi diritto (anche quando si parla di liti minori) una procedura rapida e veloce per vedersi riconoscere sempre integralmente le proprie ragioni, senza dover considerare il ricorso alla giustizia come un pregiudizio. Evidentemente non ci sono le condizioni e le risorse per questa opzione. L’avvocato potrà assistere le parti in una negoziazione relativa a qualunque controversia su diritti disponibili. Il decreto si dilunga sul procedimento da seguire per il perfezionamento dell’accordo per iniziare la trattativa e sulla natura ed efficacia dell’accordo eventualmente raggiunto. Nulla si dice sulle modalità di svolgimento delle trattative, che sono lasciate alla professionalità degli avvocati. In sintesi le parti possono mettersi d’accordo a trattare per un tempo definito la loro controversia, stipulando apposita convenzione, nella quale, si ritiene, si possono indicare le modalità di svolgimento delle trattative. Se si raggiunge l’accordo, si stipula una scrittura privata. E qui gli avvocati sono chiamati a compiti molto delicati: asseverare il contratto, dichiarando che non è contrario a norme imperative o all’ordine pubblico; autenticare le firme delle parti. Quell’accordo varrà come una sentenza: si può passare all’esecuzione coattiva e si può iscrivere ipoteca. Bisognerà, però, sempre passare da un notaio quando l’accordo implica trasferimento di diritti per cui è prevista la trascrizione nei registri pubblici. L’articolato non specifica se l’accordo comporta agevolazioni tributarie (che costituirebbero un innegabile incentivo): si nota uno squilibrio con i verbali delle mediazioni definite dagli organismi di mediazione (d.lgs. 28/2010), non soggetti a imposta di registro per accordi di valore fino a 50 mila euro e per i quali si ha diritto a un credito di imposta per le spese sostenute (entro una soglia di 500 euro). Giustizia: limiti alle intercettazioni, esultano gli alfaniani "vittoria su tutta la linea…" di Andrea Fabozzi Il Manifesto, 30 agosto 2014 Giustizia. Stabiliti i principi generali per garantire riservatezza alle conversazioni, a partire dalle ordinanze. Esultano gli alfaniani: "Vittoria su tutta la linea". Ma sarà una legge delega. Orlando: è solo un passo formale. Molti testi sono ancora da scrivere. Guardare chi gioisce per capire chi ha vinto la partita sulla giustizia. Il Nuovo centrodestra esulta: "Abbiamo prevalso su tutta la linea". Quagliariello esagera, ma è vero che gli alfaniani hanno messo a segno il colpo che fa più scena: ci sono le intercettazioni nel pacchetto approvato ieri dal Consiglio dei ministri. E se ne parla più che del gelato del premier. Però, come si affretta a chiarire il ministro Orlando che aveva garantito che non avrebbe affrontato l’argomento prima di un confronto con giornalisti ed editori, è solo "un passo formale". Perché "c’è ancora ampio margine di manovra. Stabiliamo solo i principi". Quelli ovvi: "Nessun limite alle intercettazioni e nessun bavaglio, ma stop alla pubblicazione di notizie che non hanno rilevanza penale". Tradotto in testo: "Garantire la riservatezza delle comunicazioni in conformità con l’articolo 15 della Costituzione" e "incidere anche sulla modalità di utilizzazione cautelare" delle intercettazioni - che cioè non dovranno inondare le ordinanze di perquisizione o arresto. Sono principi, andranno tradotti. In fondo è solo una legge delega. E leggi delega sono anche le altre che erano (al contrario delle intercettazioni) già previste nell’ordine del giorno del Consiglio dei ministri. Affrontano il processo civile, la magistratura onoraria e le regole in tema di rogatorie. Altri due sono disegni di legge ordinari, anche quelli aperti a tutte le modifiche che farà il parlamento: riguardano la responsabilità civile dei magistrati e la prescrizione. Uno solo è il decreto, quello sul quale sono d’accordo tutti, anche Forza Italia, per "limitare il flusso di entrata", spiega Orlando, delle cause civili. Incentivando cioè gli arbitrati e le negoziazioni e disincentivando le cosiddette "cause temerarie". Di più non si può fare, visto il diritto costituzionale ad adire ai tribunali ribadito dalla Consulta: l’arbitrato non può essere un obbligo. Anzi, bisognerà guardare bene dentro alcuni degli altri strumenti annunciati ieri, visto che il governo prosegue con l’abitudine di convocare conferenze stampa senza licenziare testi di legge ufficiali e noi stiamo a quelli letti "all’entrata" del Consiglio. Ad esempio, il forte sconto di pena previsto per chi accede a un "maxi patteggiamento", che il ministro ha definito addirittura "una piena confessione", andrà letto alla luce del costituzionale diritto alla difesa. In altri casi sembra non essere stato raggiunto, non ancora, l’accordo tra alleati di governo. Per esempio sul falso in bilancio, novità annunciata ieri con orgoglio da Orlando, e invece osteggiata dal Nuovo centrodestra. Il ministro spiega che non si sa quale sarà l’entità della pena per le società non quotate in borsa (per le quotate si va dai 3 agli 8 anni); "potrò dare una risposta più chiara quando avremo il testo di legge scritto", ammette Orlando. Aspettiamo. Quanto alla riforma della responsabilità civile dei magistrati, è presentata come "la novità più rilevante", secondo Renzi è il principio che "chi sbaglia paga". L’enfasi porta l’Associazione nazionale magistrati a una critica immediata: "Si lancia il messaggio che la giustizia funziona male perché i magistrati fanno errori". E le toghe contrattaccano sulla prescrizione: "È mancato il coraggio". Cioè non si è toccata la legge ex Cirielli che ha abbassato la pena edittale per molti reati (solo agli incensurati), portando molti processi sul binario morto. L’accordo di ieri è una mediazione con il Nuovo centrodestra, che deve ingoiare lo stop alla prescrizione dopo una condanna in primo grado, ma ottiene che dopo due anni il timer si rimette in movimento e che l’interruzione si cancella in caso di assoluzione in appello. Soprattutto il nuovo regime si applicherà solo alle cause che saranno definite dopo l’approvazione della legge. E così adesso i vari imputati "eccellenti" - Galan, Formigoni, Berlusconi - scoprono un interesse nuovo: accelerare i loro processi, per lasciarli ancorati al vecchio regime di prescrizione. Giustizia: Assistenti Sociali, serve organismo tutela persone, con competenze sui minori Ansa, 30 agosto 2014 È necessario creare un organo che abbia competenza esclusiva sulla materia minorile, della tutela delle persone e delle relazioni familiari: è quanto emerso da un incontro, oggi, tra i professionisti operanti nel sistema giustizia per la persona, le relazioni familiari e i minorenni, con il coordinamento del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, in vista della riforma della giustizia che approderà domani in Consiglio dei Ministri. Questo organismo, è stato sottolineato, deve prevedere la specializzazione di tutti i soggetti che partecipano all’iter processuale. Altra caratteristica, la prossimità, "per assicurare l’accessibilità all’utenza e una relazione funzionale tra servizi alla persona, utenza, magistratura e avvocatura". L’eventuale partecipazione di esperti, inoltre, deve essere subordinata alla rigorosità dei criteri di selezione e alla formazione permanente multidisciplinare. Infine, è stata segnalata la necessità che alla riforma della giustizia si affianchi la riforma del Titolo V della Costituzione, "al fine di creare un sistema di garanzia, di effettività e di esigibilità dei diritti, nel pieno rispetto del principio di uguaglianza". All’incontro hanno partecipato, oltre ai vertici del Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali, esponenti dell’Associazione Nazionale Magistrati, dell’Associazione dei Magistrati per i minorenni e per la famiglia, del Garante per l’infanzia e l’adolescenza, dell’Associazione Avvocati per la famiglia e i minori, della Camera Nazionale Avvocati famiglia e minorenni e del Sindacato unitario nazionale assistenti sociali. Abruzzo: Agenzia delle entrate sigla intesa per informazione fiscale in istituti penitenziari Adnkronos, 30 agosto 2014 È stato stipulato nella giornata ieri un protocollo d’intesa tra la Direzione Regionale dell’Abruzzo dell’Agenzia delle Entrate e il Provveditorato Regionale per l’Abruzzo e il Molise del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Finalità dell’accordo siglato è la realizzazione di incontri di prima informazione fiscale a favore dei detenuti negli istituti penitenziari della regione, con particolare riguardo alle tematiche meritevoli di maggiori approfondimenti. Prevista, inoltre, la possibilità di fornire assistenza fiscale su richiesta degli stessi beneficiari, al fine di supportarli nel migliore dei modi nell’assolvimento dei propri adempimenti. L’impegno di entrambe le Amministrazioni, ciascuna nel proprio ambito, è quella di fornire ai detenuti la migliore assistenza possibile, soprattutto in vista del loro futuro reinserimento nella società civile. "Credo fortemente - dichiara il Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate dell’Abruzzo, Rossella Rotondo - che la rieducazione sia l’unica strada da percorrere per reinserire nel sociale queste persone, al fine di renderle, in un futuro più o meno prossimo, cittadini autonomi, integrati e non emarginati. Il protocollo siglato mira anche a questo, è una sorta di ponte tra il mondo carcerario e quello esterno". Trieste: la Garante; 31 detenuti oltre il limite, la speranza è nel nuovo carcere di San Vito www.triesteprima.it, 30 agosto 2014 La relazione della Garante dei Diritti dei Detenuti del Comune di Trieste Rosanna Palci mette in luce le criticità dell’istituto di Trieste e si augura che quello nuovo di San Vito al Tagliamento vada a coprire una carenza regionale. Il Garante dei Diritti dei Detenuti del Comune di Trieste - Rosanna Palci - ha svolto un aggiornamento del proprio operato in questo primo periodo del 2014. Le recenti novità legislative scaturite dalla condanna europea all’Italia sulle condizioni dei nostri penitenziari hanno consentito una diversificazione della custodia cautelare ed un alleggerimento delle carcerazioni a favore degli arresti domiciliari - con l’utilizzo anche del braccialetto elettronico - presso la propria residenza e verso esecuzioni penali in detenzione domiciliare o in regime di misura alternativa alla pena. In alcuni casi, l’incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi ha portato alla scarcerazione di persone detenute in applicazione di quanto pronunciato dalla Corte Costituzionale in tema di detenzione di sostanze stupefacenti. Proprio in questi giorni dovrebbe essere nominato il nuovo Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), figura fondamentale perché da questa dipende la quotidianità degli Operatori, della Polizia Penitenziaria e di tutti i detenuti ristretti nei nostri istituti. L’Italia risulta essere ancora una "sorvegliata" dall’Europa per la delicata questione del sovraffollamento che nella nostra regione risulta essere ancora sensibilmente alto. Dallo scorso 21 agosto è in vigore la legge che prevede i risarcimenti ai detenuti che hanno subito trattamenti definiti inumani, legge che ora risulta essere in linea con le misure indicate, dopo che il Consiglio d’ Europa ha "apprezzato" gli sforzi effettuati dall’Italia nell’ultimo anno. In termini numerici: in data odierna i detenuti a Trieste sono 186 mentre nel mese di agosto di un anno fa la media era circa di 235/240 (a fronte di 155 posti disponibili). La verifica sullo stato delle nostre carceri verrà effettuata nuovamente il prossimo mese di giugno. Nel merito, la legge prevede un risarcimento economico - otto euro al giorno - per chi ha vissuto trattamenti inumani oppure uno sconto di un giorno ogni dieci di carcerazione se la pena è ancora in fase di espiazione e permangono attuali le condizioni definibili "inumane". Tra i criteri evidenziati: lo spazio fisico personale e le condizioni di vita dell’istituto penitenziario in cui la pena è stata espiata. Il Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Trieste, sentito recentemente anche in audizione in Commissione Consiliare (Presidente G. Barbo) ha ribadito l’impegno costante nel sentire le criticità direttamente dai detenuti per portarle in evidenza ai Servizi ed alla Magistratura: da gennaio ad oggi sono stati effettuati circa 140 colloqui con una presenza settimanale all’interno del Coroneo. Oltre a ciò viene mantenuto l’ufficio di apertura al pubblico presso il Palazzo comunale con uno sportello aperto ai familiari dei detenuti oppure alle richieste di chi si trova in espiazione in esecuzione penale sul territorio (ricevimento al pubblico il mercoledì pomeriggio dalle 16:30 alle 18:30 oppure inviando una mail a garantedetenuti@comune.trieste.it). Operano in Regione da due anni il Garante di Trieste - Rosanna Palci, quello di Udine - Maurizio Battistutta - e quello della provincia di Gorizia - Don Alberto De Nadai. I tre Garanti sono costantemente in contatto per confrontarsi sulle loro realtà o per verificare la vita quotidiana nelle singole strutture carcerarie. Tolmezzo e Pordenone non sono ancora rappresentate da un Garante ma si auspica che la recente nomina del Garante regionale - Pino Roveredo - faccia da ulteriore volano nel far sì che tutta la realtà possa essere regolarmente monitorata. Tra le recenti iniziative della Garante Rosanna Palci - vi è quella di sensibilizzare la Regione affinché all’interno della nuova struttura di S. Vito al Tagliamento (con previsione di 300 posti) possa essere istituita una sezione di Reclusione che ospiti le persone in esecuzione penale con pene superiori agli anni cinque. Attualmente infatti chi si trova in questa situazione viene trasferito presso una Casa di Reclusione, quella a noi più vicina è però a Padova, con il conseguente disagio da parte dei familiari per l’effettuazione dei colloqui settimanali. In questo modo verrebbe così concretamente attuato il concetto della regionalizzazione della pena recentemente auspicato anche dal Protocollo siglato tra la Presidente della Regione ed il Ministero della Giustizia lo scorso 27 maggio. Cremona: interrogazione di Lipara e Fiamma (Pd) sulla "rivolta" alla Casa Circondariale www.welfarenetwork.it, 30 agosto 2014 Si chiede inoltre se siano ad oggi attivi progetti di collaborazione tra Comune ed Amministrazione Penitenziaria della città. A seguito delle preoccupanti notizie diffuse dagli organi di informazione locali in merito alla "rivolta" messa in atto da alcuni detenuti presso la Casa Circondariale di Cremona lo scorso 26 agosto, i consiglieri comunali del Pd Luigi Lipara e Renato Fiamma hanno inviato un’interrogazione a risposta orale al Sindaco del Comune di Cremona per mettere in evidenza in occasione del prossimo Consiglio Comunale la questione carceraria. In ragione della gravità di quanto denunciato dalle OO.SS. di categoria degli agenti di Polizia Penitenziaria e dei precedenti episodi critici che inducono a ritenere vi siano profondi motivi di disagio sia tra detenuti che per i lavoratori preposti alla loro sorveglianza, i due consiglieri PD chiedono al Sindaco se l’Amministrazione Comunale intenda attivare percorsi di confronto con la Direzione della Casa Circondariale di Cà del Ferro e con l’Amministrazione Penitenziaria al fine di accertare le effettive condizioni della struttura, l’eventuale sovraffollamento, la disponibilità degli organici da adeguare alla sicurezza ed alle attività trattamentali e rieducative dei detenuti nonché le condizioni di igiene e sicurezza per il personale e i detenuti. Nel testo presentato si chiede inoltre se siano ad oggi attivi progetti di collaborazione tra Comune ed Amministrazione Penitenziaria o se, in subordine, vi siano intenti futuri in ordine alla promozione di progetti finalizzati alla rieducazione dei detenuti. Luigi Lipara e Renato Fiamma gruppo consiliare di Cremona del Pd Porto Azzurro (Li): il Sindaco Simoni "entro ottobre la nomina del Garante dei detenuti" Il Tirreno, 30 agosto 2014 "Ci fidiamo della parola del sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri. Il carcere di Porto Azzurro deve essere salvato". È quanto dichiara il sindaco di Porto Azzurro Luca Simoni, in seguito alle notizie - non certo confortanti - sulle condizioni del penitenziario elbano, raccontate sulle pagine del Tirreno. Due detenuti su tre hanno presentato domanda di risarcimento per trattamenti inumani o degradanti. Docce gelate, caldaia non funzionante, cessi senza porte né divisori, cibo indecente. Sono solo alcuni aspetti, terrificanti, che ci parlano di un carcere in condizioni estreme, con lo spettro di un lavoro - fino a pochi anni fa caratteristica qualificante per Porto Azzurro - ridotto al lumicino. L’allarme trapelato dalle celle del carcere è arrivato fino al paese di Porto Azzurro. E il sindaco Luca Simoni non nasconde la sua preoccupazione. La prima azione concreta che il Comune intende fare, come stabilito in seguito all’incontro di pochi giorni fa con il sottosegretario alla giustizia Cosimo Maria Ferri, è la nomina del garante dei detenuti, figura di garanzia che è presente a Livorno ma che, invece, latita per Porto Azzurro. "Ci siamo messi in moto per nominare un responsabile - spiega il sindaco Luca Simoni - la procedura è stata attivata. Il consiglio comunale dovrà prima approvare il regolamento che istituisce la figura del garante, quindi, in base ai curricula pervenuti, effettuare la nomina. Non so se riusciremo materialmente a chiudere l’iter nel prossimo consiglio comunale, ma l’impegno è di nominare il garante almeno all’inizio di ottobre". L’idea, dunque, è di istituire una figura ben presente all’interno della struttura, che possa rappresentare i bisogni dei detenuti. Il passo è ancor più importante in una struttura priva ormai da troppo tempo di un direttore in pianta stabile (Francesco D’Anselmo è presente solo una settimana al mese, dal momento che dirige altre tre carceri in Sardegna). Il primo cittadino di Porto Azzurro confida in una presa di posizione forte da parte dell’amministrazione penitenziaria, che possa riportare il carcere di Porto Azzurro in condizioni accettabili. "Le difficoltà ci sono, ne abbiamo notizia costantemente - racconta il sindaco Luca Simoni - l’incontro con Ferri è stato certamente positivo e il sottosegretario si è assunto impegni concreti, affinché Porto Azzurro torni ad essere il carcere che era in passato. Non ho motivo di dubitare delle sue parole. Ritengo che il primo passo da compiere, da parte del ministero, sia l’istituzione di un direttore stabile per il penitenziario. L’assenza ha cancellato qualsiasi tipo di programmazione e contribuito al peggioramento della situazione nel carcere e delle condizioni dei detenuti" Massa Carrara: detenuto al lavoro presso l’azienda dei rifiuti salva la vita a un bagnante Ansa, 30 agosto 2014 Un detenuto al lavoro presso l’azienda dei rifiuti di Massa (Massa Carrara), ha salvato un bagnante. L’episodio è avvenuto prima di Ferragosto: il giovane è detenuto nel carcere di Massa e stava svolgendo il suo servizio di pulizia sul litorale di Marina di Massa quando è stato richiamato dalle grida di un bagnante. A terra un uomo in arresto cardiaco. Il detenuto ha iniziato la manovra di rianimazione, che gli era stata insegnata in carcere, salvandogli la vita. Campobasso: Di Giacomo (Idv); direttore presto sarà invitato a scegliere una nuova sede Ansa, 30 agosto 2014 "Sono assolutamente certo che nei prossimi giorni il direttore della Casa Circondariale di Campobasso verrà invitata a scegliere una nuova sede". Lo ha detto il responsabile nazionale Sicurezza dell’Italia dei Valori, Aldo Di Giacomo, in una conferenza stampa che si è svolta davanti alla sede del Consiglio regionale. L’iniziativa segue l’ispezione ministeriale disposta dopo critiche sulle carenze della struttura e la sua gestione fatte, tra l’altro, dall’Osservatorio sulla repressione. Secondo Di Giacomo, da circa un anno esiste un’accentuata conflittualità "tra il vertice della struttura, il personale, i capi area e i detenuti". "In sostanza - spiega - direttore contro tutti". Il responsabile nazionale sicurezza dell’Idv non ha detto altro: "Potrei essere accusato - ha spiegato - di rivelazione di segreti d’ufficio". "Questa mattina - ha concluso - ho incontrato anche il presidente del Consiglio regionale, Vincenzo Niro, che ha assicurato il suo impegno". Nel frattempo, nulla è trapelato sull’esito dell’ispezione disposta dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e compiuta da un dirigente dell’Amministrazione penitenziaria centrale e dal provveditore della Puglia, dopo che organizzazioni sindacali della Polizia penitenziaria e detenuti, contestano l’operato della direttrice Armanda Rossi. Isernia: Di Giacomo (Idv); prevista chiusura carcere, incontrerò sottosegretario a giustizia Ansa, 30 agosto 2014 Nella rete della spending review finisce anche il carcere di Isernia che rischia la chiusura. Lo ha riferito il responsabile nazionale "Sicurezza" dell’Italia dei Valori, Aldo Di Giacomo, nel corso di una conferenza stampa. "La struttura - spiega l’esponente dipietrista - è inserita nella lista di quelle da tagliare e per questo ho informato anche il presidente del Consiglio regionale, Vincenzo Niro, chiedendogli di intervenire. Nei prossimi giorni - ha proseguito Di Giacomo - mi attiverò presso tutti gli altri organi istituzionali affinché possano scongiurare questa ipotesi. Ho chiesto anche un incontro al sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri". Trapani: alla Casa Circondariale Trapani finali del 2° Torneo A.L.I. di calcio a cinque www.trapaniok.it, 30 agosto 2014 Ieri 29 agosto si sono svolte le finali del 2° Torneo A.L.I. di calcio a cinque, riservato ai detenuti di media Sicurezza, svoltosi all’interno della Casa Circondariale di Trapani. Il Torneo improntato ai valori dell’Amicizia, della legalità e dell’integrazione, ha visto la partecipazione di 80 detenuti suddivisi in otto squadre. Quest’anno le squadre hanno preso i nomi di dirigenti del movimento contadino, socialisti e segretari della Camera del Lavoro, sindaci, siciliani che a causa del loro impegno civile furono uccisi dalla Mafia: Placido Rizzotto, Nicolò Azoti, Nicolò Alongi, Accursio Miraglia, Vito Pipitone, Giuseppe Rumore, Epifanio Li Puma, Sebastiano Bonfiglio. La squadra Nicolò Azoti ha battuto nella finale la squadra Giuseppe Rumore con il risultato di 7 - 3 mentre la finalina per il terzo posto è andata alla squadra Nicolò Alongi che ha vinto per 7 - 2 contro la squadra Epifanio Li Puma. La classifica marcatori è stata vinta dal detenuto Francesco Di Gregorio che ha realizzato con 11 reti. La commissione formata dagli educatori, dal cappellano dell’Istituto e dal Comandante ha premiato come atleta anziano (59 anni), per l’impegno e la serietà mostrata, il detenuto Salvatore Mazzaglia. "Al di la del momento di svago, i detenuti della Sezione Mediterraneo, hanno dimostrato ancora una volta, grande maturità accettando di giocare sotto le "insegne" di questi eroi siciliani uccisi dalla criminalità mafiosa, solo perché lottavano per dare condizioni di vita migliori ai contadini. Un salto di qualità, frutto di dialogo di un dibattito, talvolta serrato, ma proficuo per i detenuti del carcere di Trapani che accettano di rendere omaggio alla memoria di questi straordinari personaggi che hanno dato la vita per portare avanti un ideale". È il commento del Comandante di reparto Commissario Giuseppe Romano. Libri: "Malerba" del boss Giuseppe Grassonelli in finale al Premio Sciascia, è polemica Il Velino, 30 agosto 2014 Magorno (Pd), inaccettabile candidatura mafioso pluri-omicidia a Premio Sciascia "Chiederò alla mia presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, di valutare un intervento per sensibilizzare gli organizzatori del Premio Leonardo Sciascia e il mondo della cultura sulla candidatura del libro di Giuseppe Grassonelli. Lo dichiara il deputato del Partito democratico Ernesto Magorno, membro della commissione Antimafia. La lotta alla mafia deve molto al grande scrittore siciliano che con i suoi libri ha svelato agli italiani non solo la realtà di Cosa Nostra, ma anche le sue complicità istituzionali e politiche, obbligando il Paese a prendere coscienza del fenomeno della mafia. Accostare al suo nome quello di un mafioso pluri-momicida condannato e per di più mai pentito, è una provocazione inaccettabile per gli italiani e per tutti coloro che ogni giorno rischiano la vita per sconfiggere la mafia. Leonardo Sciascia diceva che l’Italia è un paese senza memoria, noi oggi dobbiamo dimostrare che non è più così. La lotta alla mafia - conclude Magorno - è anche un impegno culturale e la candidatura di questo libro offende la memoria delle vittime di mafia e i loro familiari. Manconi (Pd): unico criterio di valutazione è di natura letteraria "L’unico criterio per una valutazione seria è quello di natura letteraria". Lo riferisce all’Adnkronos il senatore del Pd Luigi Manconi, commentando le polemiche sull’opera "Malerba" del boss ergastolano Giuseppe Grassonelli, arrivato in finale al premio letterario Sciascia. E sulle critiche al volume di Gaspare Agnello, componente della giuria dimessosi per protesta: "Non è l’unico testo disponibile" sul tema della mafia, ma è parte di "una produzione letteraria, saggistica e cinematografica molto ampia". "Stiamo parlando di un libro - spiega - cioè di un solo libro, che sta dentro una riflessione collettiva in cui intervengono anche i contributi di vittime della mafia, di magistrati e di appartenenti alle forze dell’ordine". E aggiunge: "Se poi una produzione letteraria sia educativa o diseducativa è dibattito che va avanti da decenni. Io penso che la moralità di qualsiasi opera artistica risieda nella qualità dello stile e nella sua forza espressiva". Inoltre, puntualizza il senatore democratico, "ricordo agli immemori che i libri dello stesso Leonardo Sciascia sono stati accusati, anche di recente, di essere profondamente ambigui e non sufficientemente ‘anti-mafiosi’. Manconi sottolinea "l’importante ruolo di emancipazione" che, in carcere, può avere la scrittura: ‘Sia perché induce all’auto -riflessione e, dunque, a una maggiore conoscenza di sé. Sia perché allarga gli orizzonti, sollecita l’intelligenza e contribuisce alla possibile e sempre assai ardua uscita dalla dimensione criminale". Gonnella (Antigone): mafioso che scrive un libro è una vittoria per lo Stato "Bisogna considerare un’opera letteraria per quello che è. E valorizzare tutte quelle forme creative che arrivano dal carcere: un mafioso che scrive è una vittoria per lo Stato". Lo sottolinea all’Adnkronos il presidente dell’associazione Antigone Patrizio Gonnella, commentando le polemiche sull’opera "Malerba" del boss ergastolano Giuseppe Grassonelli, arrivato in finale al premio letterario Sciascia. "Sono polemiche - spiega Gonnella - che non tengono conto del fine costituzionale della pena, vale a dire la sua funzione di rieducazione. In questo senso niente è più utile della cultura, della letteratura e della libera espressione". E sulle critiche mosse da Gaspare Agnello, componente della giuria dimessosi per protesta, il presidente di Antigone invita a valutare l’opera nei contenuti, non lasciandosi influenzare dalla biografia dell’autore. "La cultura ha un valore di emancipazione enorme - fa notare Gonnella - precisando che i tassi di recidiva si abbassano tanto fra le persone che, una volta in carcere, hanno deciso di studiare". E conclude: "Se un mafioso decide di non sparare più e scrivere romanzi, vuol dire che lo Stato ha vinto". Libero Futuro: grave e fuori luogo killer mafia tra finalisti sciascia Adnkronos, 30 agosto 2014 "Mi sembra una cosa grave, sbagliata e fuori luogo. Con tutto il rispetto per una persona che sta scontando una pena ed affrontando un percorso riabilitativo e senza voler fare facile moralismo, penso che persone che si sono macchiate di gravi reati, come quelli di mafia, non possano essere portate ad esempio né partecipare ad un premio intitolato a Sciascia". A dirlo all’Adnkronos è Enrico Colajanni, a proposito della polemica nata dopo la decisione di Gaspare Agnello, giurato storico del premio Racalmare intitolato proprio a Leonardo Sciascia, di dimettersi in segno di protesta per la presenza nella terna dei finalisti del volume "Malerba", scritto a quattro mani da un killer di mafia condannato all’ergastolo, Giuseppe Grassonelli, e dal giornalista Carmelo Sardo. "Ognuno può ovviamente esprimere la propria opinione - ha aggiunto -, ma partecipare ad un premio intitolato ad uno scrittore antimafia lo trovo persino offensivo nei confronti di Sciascia, a cui la riflessione di un mafioso ergastolano poteva anche interessare poco". D’Elia (Nessuno Tocchi Caino): valutare l’opera senza retropensieri "La giuria di un’opera letteraria deve valutarne il suo contenuto letterario. E non farsi sviare da retro-pensieri o da altre motivazioni che esulano" da un giudizio prettamente artistico del libro. Lo sottolinea all’Adnkronos il segretario dell’associazione "Nessuno tocchi Caino" Sergio D’Elia, commentando le polemiche sull’opera "Malerba" del boss ergastolano Giuseppe Grassonelli, arrivato in finale al premio letterario Sciascia. "Se quest’opera merita la finale - continua - è bene che vi giunga. A meno che non viga una legge non scritta che impedisce ai condannati e ai carcerati di mostrare il proprio valore". E conclude: "Io credo che debba prevalere il principio costituzionale di una pena non improntata a vendetta ma a un senso di umanità, riconciliazione e re-inserimento sociale". Cinema: "Cesare deve morire" dei fratelli Taviani a European Film Festival di Amsterdam Aise, 30 agosto 2014 L’Ufficio informazione del Parlamento Europeo e la Commissione Europea rappresentati in Olanda organizzano in collaborazione con diversi Istituti Europei (Eunic) il Festival di Cinema Europeo che si terrà dal 18 al 22 settembre in varie città dei Paesi Bassi. In questo contesto, il 19 settembre, alle ore 20.00, l’Istituto Italiano di Cultura di Amsterdam presenterà "Cesare deve morire" dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani (Italia 2012, 76 minuti), registi dei classici come "Kaos", "Fiorile" e "Padre Padrone". L’esecuzione della tragedia shakespeariana "Julius Caeser" sta per concludersi e gli artisti vengono accolti con un lungo applauso. Si spengono le luci, gli attori lasciano la scena e si ritirano nelle loro celle. Gli attori sono dei detenuti con pesanti condanne, ergastolani che consumano la loro vita all’interno delle mura della sezione Alta Sicurezza del carcere romano di Rebibbia. I fratelli Taviani li seguono a partire dai provini fino alla messa in scena dello spettacolo. Durante i provini è da subito chiaro che non si tratta di ladruncoli ma di pesanti criminali. "Cesare deve morire" dimostra come il carattere universale della lingua di Shakespeare aiuti gli attori a comprendere il proprio ruolo e anche ad entrare nel suo mondo e come possa esistere interazione tra amicizia e tradimento, potere, disonestà e violenza. "Cesare deve morire" ha vinto l’Orso d’oro al Festival di Berlino 2012 ed è stato candidato per l’Oscar al miglior film straniero. Cuba: italiano in fin di vita in carcere, condannato per tre spinelli. Un appello dei genitori Ristretti Orizzonti, 30 agosto 2014 Pubblichiamo la lettera dei genitori di Giulio Brusadelli, un ragazzo romano di 34 anni ricoverato all’interno dell’ospedale psichiatrico "Juan Bruno Zayas" di Cuba, detenuto fino a pochi giorni fa nel carcere Aguadores di Santiago perché lo scorso 3 marzo la polizia lo ha trovato con 3,5 grammi di marijuana in tasca, l’equivalente di 3-4 spinelli. La lettera è indirizzata al senatore Luigi Manconi, presidente dell’Associazione "A buon diritto". Gentile senatore Manconi, siamo i genitori di Giulio Brusadelli e le scriviamo da Cuba. Ieri, 28 agosto, abbiamo incontrato nostro figlio nel reparto psichiatrico dell’ospedale "Juan Bruno Zayas" vicino a Santiago, dove si trova recluso e piantonato. Giulio era in stato catatonico, visibilmente prostrato e depresso, dimagrito in maniera impressionante rispetto al suo peso abituale, incapace di pronunciare parola e di riconoscere i propri genitori. E noi stessi faticavamo a riconoscere lui. Nostro figlio soffre da vent’anni di una sindrome bipolare, maniaco-depressiva, ma mai c’era accaduto di vederlo in una simile condizione. Fino a qualche giorno fa, si trovava detenuto nel carcere della città di Santiago, dopo essere stato arrestato perché trovato in possesso di 3,5 grammi di marijuana; e dopo essere stato condannato a quattro anni per un "traffico" del quale non risulta alcuna prova. Giulio ha commesso un errore ma non può certo, per questo motivo, rischiare di morire. E oggi, dopo averlo visto con i nostri occhi in quello stato, temiamo che ciò possa accadere. Il nostro è un grido di aiuto che rivolgiamo a lei e alle autorità italiane affinché si chieda con urgenza al governo cubano un atto di clemenza per ragioni umanitarie: così che nostro figlio possa tornare immediatamente in Italia, essere adeguatamente curato e scontare la sua pena nel nostro paese. Prima che sia troppo tardi. Paolo e Patrizia Brusadelli Stati Uniti: Lockett morto per l’iniezione letale e non per un infarto, questo esito autopsia Ansa, 30 agosto 2014 Clayton Lockett, il detenuto dell’Oklahoma morto in aprile sul lettino dell’iniezione letale dopo un’agonia di 43 minuti, non è rimasto vittima di un infarto, come si è detto allora, ma del cocktail di veleni che con estrema difficoltà il boia era finalmente riuscito a mettergli in vena. Lo si è appreso dall’autopsia ufficiale condotta due giorni dopo l’esecuzione, da cui risulta anche che gli addetti alla camera della morte tentarono ripetutamente di trovare un punto di accesso per le flebo dell’iniezione killer sul corpo del condannato. Causa della morte, nel dossier del coroner, "esecuzione giudiziaria per iniezione letale". Il rapporto, firmato dal Southwestern Institute of Forensic Sciences, il laboratorio di medicina legale della contea di Dallas in Texas, sottolinea anche l’ostinazione con cui il boia dell’Oklahoma aveva cercato di portare a termine il su compito: sul cadavere di Lockett sono state riscontrati i segni di 16 tentativi di iniezione, sulle braccia, l’inguine, il torace, il collo, i piedi. Un quadro più completo di cosa è andato storto quel 29 aprile si saprà a breve, quando sarà pubblicato il risultato dell’inchiesta ordinata dal governatore Mary Fallin: dovrebbe arrivare nei prossimi giorni per consentire di formulare raccomandazioni in vista della prossima esecuzione in programma il 13 novembre. Brasile: terminata la sanguinosa rivolta nel carcere di Cascavel, cinque detenuti uccisi Il Velino, 30 agosto 2014 È terminata dopo due giorni la sanguinosa rivolta in un carcere nella città meridionale di Cascavel, in Brasile. Le due guardie carcerarie ancora tenute in ostaggio sono state liberate. Almeno cinque detenuti, riporta "O Globo", sono stati uccisi nelle ultime 48 ore. Due sono stati decapitati mentre altri due sono morti dopo essere stati spinti giù dal tetto della prigione. La maggior parte dei detenuti, che chiedeva migliori condizioni, è ora stata trasferita in altre prigioni dello stato di Parana. I detenuti e funzionari della prigione hanno raggiunto un accordo per porre fine alla situazione di stallo dopo ore di colloqui. In base all’accordo, i detenuti hanno promesso di liberare le due guardie carcerarie dietro la promessa di un trasferimento in altre prigioni. Iran: Kerry chiede a Teheran il rilascio di 4 americani Ansa, 30 agosto 2014 Il segretario di Stato Usa, John Kerry, ha chiesto all’Iran di rilasciare tre cittadini americani detenuti dalla Repubblica islamica e di lavorare per trovarne un quarto accusato di spionaggio e scomparso da sette anni. Kerry ha chiesto a Teheran il rilascio di un ex-soldato americano, Amir Hekmati, un pastore, Saeed Abedini, e un giornalista, Jason Rezaian e di cooperare per il ritorno negli Stati Uniti di Robert Levinson, un ex agente dell’FBI. "Amir Hekmat è stato arrestato tre anni fa in base a false accuse di spionaggio mentre visitava la famiglia in Iran", ha detto Kerry. "Levinson è scomparso nel marzo del 2007 sull’isola di Kish. Siamo profondamente preoccupati per la sua incolumità". "Il 26 settembre saranno due anni che Abedini è detenuto in Iran per le sue credenze religiose. E infine Rezaian, reporter del Washington Post, è detenuto in uno luogo sconosciuto. Nei suoi articoli sono evidenti il suo amore per l’Iran e la generosità del suo popolo", ha puntualizzato il segretario di Stato. Egitto: tribunale condanna tre esponenti dei Fratelli musulmani a 91 anni di carcere Nova, 30 agosto 2014 Un tribunale egiziano ha comminato 91 anni di carcere e una multa di 70 dollari a tre esponenti dei Fratelli musulmani accusati di terrorismo. I condannati sono stati riconosciuti colpevoli dell’assalto a una stazione di polizia a Menya nell’Alto Egitto e della strage degli agenti, compreso il colonnello Mostafa Ragab. Ai tre uomini è stato chiesto inoltre un risarcimento di 420 dollari per i locali distrutti durante le le manifestazioni successive alla dispersione dei sit in di Rabaa lo scorso agosto.