Giustizia: decreto-carceri, ripristino testo Camera con voto fiducia in Aula Senato Il Sole 24 Ore, 2 agosto 2014 Maggioranza e Governo sono orientati ad approvare definitivamente in Senato il decreto legge sulle carceri, ripristinando in Aula il testo nella versione licenziata da Montecitorio. Dovrebbe dunque essere reinserito nel Dl l’articolo 5 bis del provvedimento cancellato l’altro ieri dalla commissione Giustizia di Palazzo Madama sulla deroga per alcuni neo-magistrati di essere assegnati nei tribunali di sorveglianza. La correzione dovrebbe arrivare in un maxi-emendamento su cui il Governo porrà la questione di fiducia. No magistrati di prima nomina a Tribunali Sorveglianza La fiducia che il governo si appresterebbe a porre sul decreto carceri al Senato si dovrebbe concretizzare in un maxiemendamento che riporta il testo a come era stato approvato dalla Camera. È quanto si apprende da fonti parlamentari. In particolare, dal testo che passerà definitivamente al Senato salterà la norma, approvata nella commissione Giustizia di palazzo Madama, che impediva ai magistrati di prima nomina di svolgere le funzioni di magistrati di sorveglianza. Tuttavia, questa previsione dovrebbe essere recuperata dal governo in un altro provvedimento: probabilmente già con il dl sulla Pubblica amministrazione, che è stato approvato proprio la scorsa settimana dalla Camera dopo un voto di fiducia e che ora approda al Senato. Ok Aula Senato a costituzionalità decreto L’Aula del Senato conferma, con un voto per alzata di mano, il parere favorevole della commissione Affari Costituzionali ai criteri di costituzionalità ed urgenza del decreto che introduce rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Il decreto, che contiene anche modifiche al codice di procedura penale, è già stato approvato dalla Camera e scade il 26 agosto. Dopo la votazione sui presupposti di costituzionalità, si avvia il dibattito generale sul provvedimento che dovrebbe esser convertito in legge in via definitiva domani. È probabile che il governo, al termine della discussione generale, ponga domani mattina la fiducia sul testo uscito dalla Camera. Divina (Ln): mancetta ai detenuti vergognosa "Il governo le sta studiando tutte per graziare i carcerati. Al quinto svuota carceri è arrivata pure la mancetta da 240 euro al mese per presunti maltrattamenti subiti dai detenuti. Ma quanti maltrattamenti subiscono i nostri concittadini, costretti a rovistare tra i rifiuti, o i disabili, il cui assegno di invalidità spesso non arriva ai 240 euro?". Così il senatore leghista Sergio Divina, vicecapogruppo del Carroccio a palazzo Madama, nel corso della discussione sulle pregiudiziali di costituzionalità del disegno di legge detenuti, che prevede i risarcimenti ai carcerati come misura compensativa contro i sovraffollamenti. "Governo e maggioranza si distinguono per attenzione record ai delinquenti. Risultato: migliaia di criminali sono già fuori. Ladri, rapinatori, mariti e compagni violenti, in barba agli accordi di Istanbul per l’inasprimento delle pene anti-violenza, che il governo ha sottoscritto tra mille annunci e promesse". "Mancano le risorse per la cassa integrazione e per fronteggiare la disoccupazione crescente ma i 240 euro al mese per i criminali ci sono sempre. Mai - conclude - saremo complici di una simile vergogna". Giustizia: viaggio nel mondo del carcere, "la più grande vergogna italiana" di Maria Panariello Redattore Sociale, 2 agosto 2014 Il libro di Davide La Cara e Antonino Castorina, del movimento Giovani Democratici, raccoglie contributi di chi da anni si batte per i diritti dei detenuti e racconta le storie drammatiche dei reclusi vittime del sovraffollamento e delle condizioni di vita degradanti. Le carceri italiane, nel loro complesso, "sono la maggior vergogna del nostro Paese" e rappresentano "l’esplicazione della vendetta sociale nella forma più atroce che si abbia mai avuta", come sosteneva Filippo Turati. È la realtà che emerge dal libro "Viaggio nelle carceri", di Davide La Cara e Antonino Castorina, del movimento Giovani Democratici. "Dentro il pacchetto della giustizia Orlando, riteniamo importante focalizzare l’agenda sul tema delle carceri. Abbiamo chiesto al direttore del quotidiano "Il Garantista", Piero Sansonetti, di promuovere questa discussione, anche sul suo giornale", commenta Castorina. E l’appello è stato accolto entusiasticamente dal direttore, che dichiara: " Se non si parla di riforma delle carceri, è inutile parlare di riforma della giustizia. Nel nostro paese, non è mai stato risolto nulla. Solo negli anni 70, se ne è parlato, perché cominciarono ad esserci delle rivolte. Che aspettiamo? Che i detenuti si ribellino ancora?". Il saggio è ricco di contributi da parte di chi, nel corso degli anni, si è battuto per la causa delle carceri e si è interrogato sul senso della loro esistenza, come Rita Bernardini, segretaria dei Radicali Italiani, Roberto Giacchetti, vicepresidente della Camera dei Deputati, l’onorevole Laura Coccia, l’onorevole Enza Bruno Bossio e molti altri. Tante le storie raccolte nel libro, edito da Editori Riuniti Internazionali (Eir), che tracciano il panorama delle carceri italiane - da Rebibbia a Regina Coeli a Roma, da Poggioreale a Napoli a San Pietro a Reggio Calabria, dall’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto a il Coroneo di Trieste - disumano e avvilente, dalla cui visita, è nato il progetto del testo, per denunciarne le carenze strutturali. "Negli istituti ho incontrato molta gente, migliaia di occhi, ma prima di tutto persone con le loro storie, i loro drammi, le loro speranze (…) - racconta l’onorevole Coccia nel libro. Visitando una sezione sovraffollata, mentre avevo una sensazione opprimente al limite della claustrofobia, ho sentito un urlo "benvenuti allo zoo!": mi si è gelato il sangue". Davide La Cara ha visitato il carcere di Rebibbia e, nel libro, si sofferma sulle condizioni di vita dei detenuti: "(…) Nella cella accanto dormono in undici, su una superficie che potrebbe contenerne massimo quattro, hanno risolto installando vecchi letti a castello in legno a tre piani. Vicino c’è una porta che conduce a una sorta di cucina: un mobiletto col cucinino a gas che sta scaldando l’acqua per la pasta, accanto a questa, il lavandino e il water". Sono queste le condizioni disumane che hanno portato a varie sanzioni da parte della Corte europea all’Italia, non ultima la sentenza Torreggiani, "che ha giudicato le condizioni dei detenuti una violazione degli standard minimi di vivibilità che determina una situazione di vita degradante". Una delle interviste di La Cara, quella a Nobila, madre di Federico Perna - morto a Poggioreale lo scorso anno a causa di un ictus, ma sulle cui cause certe di morte, c’è ancora da fare chiarezza - pone in luce l’aspetto di totale arbitrarietà, che pure vige nelle carceri. "Federico mi aveva raccontato di aver subito abusi sessuali, da parte delle stesse guardie carcerarie a cui avrebbe dovuto denunciare il fatto (…). Non ho mai capito perché abbia girato 9 carceri in 3 anni. Un ragazzo malato di epatite C e di cirrosi epatica, per quale motivo viene sbattuto da carcere a carcere, per andarsi a prendere altri virus? (…) Federico è morto per le percosse, è stato ammazzato; aveva escoriazioni in tutto il corpo, anche nelle orecchie, e bruciature di sigarette". E nel testo, in chiusura, compare anche una intervista a Raffaele Sollecito, condannato a 25 anni in primo grado per l’omicidio di Meredith Kercher, a cui è stata annullata, dalla Cassazione e dalla Corte d’assise d’appello di Firenze, l’assoluzione. Dopo ben 7 anni, il suo processo non è ancora terminato, diventando così un caso mediatico: "Chi è abituato a entrare e uscire di prigione, sente una appartenenza a quella struttura. Ci trovano delle regole, delle figure di riferimento, un’educazione che non hanno mai ricevuto. È un mondo a parte (…) Penso che in carcere pesi molto la questione istruzione. Più del 90% di quelli che ho conosciuto durante la mia pena sono quasi analfabeti. Non hanno alcun tipo di educazione". Il testo ha visto anche la collaborazione del mondo delle associazioni e del volontariato. La Cara ha infatti intervistato per la stesura del libro, Paolo Strano, dell’associazione Semi (di) Libertà, che si occupa del reinserimento nel mondo del lavoro dei detenuti degli istituti penitenziari romani, tramite l’attività dei birrai. "Il progetto nasce a Regina Coeli da una mia esperienza nel carcere. In quanto fisioterapista, sono stato mandato lì a svolgere il mio lavoro poiché i detenuti non posso essere trasferiti da noi(..) Dopo la mia esperienza lavorativa, ho deciso di fare qualcosa (…) fino a due anni fa non sapevo nulla di birra artigianale, ho iniziato ad approfondire e studiare l’argomento. Grazie al Miur, è iniziata la formazione dei detenuti all’Istituto Sereni, che ospita un birrificio. Il tirocinio pratico si svolge invece presso Eataly, dove produciamo birra assieme ad alcuni birrai di Roma". Castorina, co-autore del libro, ha svolto la sua ricerca a Reggio Calabria, dove forte, è stato il problema del sovraffollamento:" Il problema del sovraffollamento a Reggio Calabria è stato in parte arginato dalla recente inaugurazione della struttura di Arghillà, ma purtroppo non è stato ancora risolto- commenta la direttrice del carcere, che sostiene pratiche per riabilitare i detenuti- "Può sembrare banale, ma il lavoro nelle carceri è uno strumento obbligatorio per legge (art 20-21-48 dell’ordinamento penitenziario del 1975), è qualcosa che rende il condannato un po’ più libero". La collaborazione di Roberto Giacchetti al libro ha fatto emergere una verità importante e inquietante:" Nel carcere non si possono comprare i voti; è per questo che la politica non fa niente per cambiare la situazione". Ma è importante, secondo il vicepresidente della Camera, assicurare un "dopo il carcere" ai detenuti, reinserendoli in società, previa, preparazione di quest’ultima, alla loro accoglienza. Giustizia: basta con le mezze verità sulle morti in carcere di Valentina Calderone (Direttrice di "A buon diritto") Il Manifesto, 2 agosto 2014 Della vicenda di Giovanni Lorusso ci eravamo già occupati. Lorusso, 41 anni, muore nel carcere di Palmi il 17 novembre 2009. Le prime spiegazioni delle cause del decesso sembrano essere univoche: suicidio tramite inalazione del gas della bomboletta con cui i detenuti cucinano. La vicenda carceraria di Lorusso è tristemente esemplare. Assuntore di sostanze stupefacenti fin dall’età giovanile, Lorusso commette più reati a causa del suo stato di tossicodipendente. Alterna, così, periodi di libertà a periodi in carcere e in comunità terapeutica e il motivo della sua ultima carcerazione è il furto di uno zaino sulla spiaggia di Rimini. Per quel reato, essendo recidivo, viene condannato a 4 anni e 5 mesi. Inizia a scontare la pena nel carcere di Rimini e il suo difensore fa istanza affinché vengano concessi a Lorusso i domiciliari presso una comunità terapeutica. In attesa della risposta del tribunale, però, Lorusso viene trasferito nel carcere di Ariano Irpino, lontano dalla famiglia che vive in Lombardia. Chiede di essere riavvicinato a casa ma, per tutta risposta, ottiene solo un trasferimento ancora più a sud: il carcere di Palmi in Calabria. Da qui scrive una lettera alla sorella in cui confessa di aver provato a suicidarsi e in cui denuncia di essere stato picchiato dagli agenti di polizia penitenziaria di Ariano Irpino. Nel frattempo arriva la risposta dal tribunale, che acconsente ai domiciliari in comunità a partire dal 20 novembre. Il fax con la comunicazione arriva in carcere il 16 novembre e, dopo i controlli di rito, può essere comunicata al detenuto dalle ore 12 del 17 novembre. La comunicazione non avverrà mai, e Lorusso viene trovato privo di vita nella sua cella quel pomeriggio stesso. I punti controversi sono molti e, dopo varie richieste di archiviazione e un processo mai partito, in questo momento siamo a un punto fondamentale. Il 26 giugno scorso si è svolta un’ennesima udienza e un giudice, nei prossimi mesi, farà conoscere la sua decisione: dibattere la vicenda di Lorusso in un tribunale decidendo per il rinvio a giudizio del direttore, di due agenti e del medico psichiatra del carcere di Palmi, oppure concludere che le tante questioni ancora aperte non siano meritevoli di risposta. Ecco i punti su cui l’avvocato Martina Montanari ha chiesto l’integrazione delle indagini, motivando l’opposizione all’archiviazione. a. La comunicazione del provvedimento di affidamento in comunità, che per legge e prassi doveva essere immediatamente trasmessa a Lorusso. Probabilmente, se quella comunicazione fosse avvenuta nei tempi corretti, il suicidio si sarebbe evitato. b. L’attitudine del detenuto a compiere atti di autolesionismo, come emerge dagli interrogatori degli imputati: nel diario clinico della casa lavoro dove si trovava prima dell’ultima detenzione sono stati riportati numerosi episodi di autolesionismo; il dirigente sanitario di Palmi "verbalizza minacce di gesti autolesionistici" da parte di Lorusso nel caso in cui non venisse soddisfatta la richiesta di trasferimento; uno degli indagati riporta in cartella clinica il tentativo di Lorusso di tagliarsi le vene ma, nel corso dell’interrogatorio, riferisce di non averlo valutato come gesto autolesionistico. c. Nel carcere di Palmi viene applicata la "grande sorveglianza" proprio per garantire un maggiore controllo, ma evidentemente la misura non risulta efficace. In poche parole, la domanda è la seguente: nel carcere di Palmi si era a conoscenza del fatto che Lorusso potesse mettere in atto gesti autolesionistici? A leggere gli atti la sensazione che si ricava è quella di persone che, a vario titolo e con vari ruoli, non avrebbero esercitato la propria funzione né rispettato il proprio dovere. E che provano a scaricare le responsabilità le une sulle altre. Nelle vicenda di morti in carcere - frequentissime purtroppo, 82 nel solo 2014, di cui 24 per suicidio - è difficilissimo riuscire a risalire a responsabilità precise. A volte si mischiano colpa, incuria, omissione, superficialità. Un mix di azioni e mancate azioni spesso letale. Qualunque siano le circostanze, i diversi ruoli di chi in carcere lavora, le difficoltà innegabili di chi si trova a operare all’interno dei nostri istituti penitenziari, una cosa è certa: non è possibile continuare ad accontentarsi di mancate risposte e di mezze verità quando si parla della vita di uomini che sono stati affidati alla custodia dello Stato. Giustizia: difendere una storia, salvare una memoria di Valter Vecellio Notizie Radicali, 2 agosto 2014 Maurizio Buzzegoli, componente della Giunta di Radicali italiani, ci segnala che a Firenze i compagni dell’Associazione "Andrea Tamburi" hanno manifestato fuori dal palazzo della Regione Toscana per chiedere la garanzia del diritto alle cure in carcere, oggetto di un’iniziativa nonviolenta che vede impegnati centinaia di cittadini. Alla manifestazione ha preso parte la segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, che ha superato il trentesimo giorno di sciopero della fame. Mentre all’esterno si scandivano slogan per l’approvazione dell’amnistia, dentro palazzo Panciatichi dieci consiglieri regionali di forze politiche trasversali hanno sottoscritto l’appello - i dieci sono Marco Taradash-Ncd; Rudi Russo-Cd; Monica Sgherri-RC; Pieraldo Ciucchi, Gruppo Misto; Mauro Romanelli, Sel; Stefania Fuscagni, Tommaso Villa e Nicola Nascosti di FI; Severino Saccardi e Vanessa Boretti del Pd. Analoghe iniziative, manifestazioni, picchetti, "presidi" e richieste di impegno sono in corso in altre realtà, dall’Abruzzo a Napoli, in Veneto, Emilia Romagna… Insomma ci si mobilita e si sostiene il difficile Satyagraha in corso con i mezzi (scarsi), le risorse (fantasia tantissima, denaro assai poco), e cercando di insinuarsi negli spazi sempre più stretti di istituzioni e mezzi di comunicazione, "armati", come si diceva un tempo, di nonviolenza. E dobbiamo fare in modo che simili iniziative lievitino e germoglino sempre di più… una scommessa difficile, forse la più difficile dei radicali, che pure di "missioni impossibili" ne hanno fatte tante, e sono stati (ma continuano a esserlo) i calabroni della politica. È vero che finora più hanno cercato di buttarci giù, più siamo riusciti a tornare a galla. Ma non è una legge eterna, può accadere anche che qualche colpo assestato prima o poi si riveli fatale. Anni fa, il figlio di Aldo Moro, Giovanni ha fatto i conti con la tragedia che lo ha crudelmente colpito, lui e la sua famiglia, scrivendo un libretto all’apparenza esile, pubblicato da Einaudi, "Anni 70". Un libro denso di riflessioni e spunti molto interessanti. Uno in particolare. Giovanni Moro ricordava che gli anni ‘70, che una certa pubblicistica vorrebbe inchiodare e cristallizzare nella stagione del piombo terrorista, come se solo quello ci sia stato e meritasse di essere ricordato, sono invece stati anche, ma soprattutto, gli anni delle grandi conquiste civili e sociali: lo statuto dei lavoratori, ma la legge del divorzio, la non punibilità della donna che decide di abortire, l’obiezione di coscienza, il nuovo diritto di famiglia, il voto ai diciottenni. Tutte cose "normali", nel 2014, e per tanti che quella stagione non l’hanno vissuta perché nati dopo, qualcosa come respirare, mangiare, bere… "naturali". Non sanno, non possono sapere che quelle cose "normali", "naturali" ai loro padri e alle loro madri, ai loro fratelli maggiori sono costati fatica, impegno, sacrifici, lotta dura, anche, a volte, il carcere. È una storia, ma anche una memoria, che vanno difese, tutelate, salvaguardate, perché tanti hanno interesse a cancellarle, manipolarle, sfigurarle. Senza memoria, e senza conoscenza della storia, la nostra storia, si verrebbe definitivamente sconfitti, cancellati. È questo che dobbiamo scongiurare a tutti i costi, uno degli impegni che dobbiamo avere la forza di onorare. Giustizia: strage di Bologna del 1980, il pm chiede l’archiviazione per la pista palestinese Il Fatto Quotidiano, 2 agosto 2014 La Procura ha depositato al Gip la richiesta per le posizioni dei due indagati nella cosiddetta pista palestinese per la strage del 2 agosto 1980. La Procura di Bologna ha depositato al Gip la richiesta di archiviazione per le posizioni di Thomas Kram e Margot Christa Frohlich. I due ex terroristi tedeschi erano indagati per la strage della stazione del 2 agosto 1980, nella cosiddetta pista palestinese. La presenza a Bologna il 2 agosto 1980 di Thomas Kram, terrorista tedesco delle "Revolutionaere Zellen", "esperto di esplosivi" è "incomprensibile", "ingiustificata" e "alimenta un grumo di sospetto". Ma "quel solo e sorprendente fatto non è tuttavia sufficiente per ipotizzare in assenza di altri elementi" sul suo conto "una partecipazione alla strage della stazione". Lo scrivono i Pm di Bologna nella richiesta di archiviazione del fascicolo sulla strage del 1980 per Kram e Margot Christa Frohlic. Secondo la Procura, che ha coordinato le indagini della Digos a oltre 30 anni dall’attentato, la presenza di Kram a Bologna quella notte è certa, ma ne rimane sconosciuto il motivo. L’ex terrorista passò la notte tra l’1 e il 2 all’hotel Centrale e ha dichiarato di essersi trovato "al posto sbagliato al momento sbagliato". Per la Procura "quella imprevista e sorprendente presenza a Bologna il giorno della strage avrebbe richiesto una risposta più persuasiva, piuttosto che una stravagante coincidenza del destino. Il silenzio opposto da Kram alla domanda del 25 luglio 2013 (quando il tedesco rese dichiarazioni spontanee, ndr) risponde ad esigenze difensive", osservano i Pm Enrico Cieri e Roberto Alfonso, pur parlando di "un’occasione mancata per spiegare" cosa ci facesse a Bologna e dicendo che i sospetti sulla sua presenza in qualche modo vanificano la sentenza a suo carico pronunciata dal tribunale di Stoccarda che si augurava avesse chiuso i conti col passato. "La prova giudiziaria della responsabilità penale - proseguono - esige però una precisione indiziaria che è negata dalla possibilità di inferenze alternative". I Pm ricostruiscono anche l’esibizione da parte di Kram di due distinti documenti autentici quando venne controllato al valico di Chiasso, l’1 agosto (mostrò la carta d’identità alla polizia ferroviaria) e quando presentò la patente all’hotel di Bologna per registrarsi: "L’esibizione e il possesso di documenti autentici - ragionano - costituiscono un’anomalia evidente della condotta accorta di uno specialista nella contraffazione di documenti ed esperto nel confezionamento di esplosivi, qualora impegnato in operazione terroristica". Ciò nonostante non sono stati chiariti i termini del suo viaggio in Italia. Sulla posizione di Frohlic, "nulla - scrivono i Pm - consente di ritenere che fosse a Bologna e comunque coinvolta nella strage". La donna era stata vista da un portiere di albergo vicino alla stazione che l’aveva riconosciuta in foto e ne aveva parlato con gli inquirenti. Dagli accertamenti fatti nei primi anni ‘80 e da quelli nuovamente svolti decenni dopo non sarebbe emersa la presenza della donna. Per i pm è tutta la teoria della pista palestinese per la strage del 2 agosto a non reggere. In primo luogo va detto che secondo questa ipotesi, il legame tra il terrorismo palestinese e Kram avrebbe dovuto essere il terrorista venezuelano Carlos. Ma è un legame per i pm indimostrabile. In primo luogo infatti non c’è alcuna prova della appartenenza del tedesco al gruppo del sudamericano. In secondo luogo lo stesso terrorista venezuelano nel 1980 aveva già rotto i ponti da almeno quattro anni col terrorismo palestinese del Fplp, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, dentro il quale aveva inizialmente militato. Infine, ragionano i pm bolognesi, che interesse avrebbero avuto i terroristi palestinesi del Fplp a uccidere (o a far uccidere da altri esecutori) 85 civili italiani solo come rappresaglia per l’arresto di Abu Anzeh Saleh? Quest’ultimo, domiciliato a Bologna, era stato infatti arrestato l’anno prima, nel 1979 ed era ritenuto l’uomo del Fplp in Italia. Alcune note riservatissime dei servizi italiani nell’estate 1980, prima del 2 agosto, avevano messo in guardia le autorità da possibili ritorsioni per quell’arresto. Tuttavia, è il ragionamento dei pm, è davvero difficile pensare che per un esponente di secondo piano in carcere, i terroristi uccidessero per rappresaglia 85 civili inermi, compromettendo così i rapporti (tradizionalmente buoni) tra i palestinesi e l’Italia. Per il presidente dei familiari delle vittime della Strage della stazione di Bologna, Paolo Bolognesi, la notizia è "molto positiva". "Era anche ora che venisse archiviata. Se penso - ha aggiunto - a quanto tempo è stato perduto per seguire quella pista lì…". Bolognesi è da sempre sostenitore della verità giudiziaria sull’attentato, cioè della colpevolezza degli ex Nar Fioravanti, Mambro e Ciavardini, condannati in via definitiva. L’associazione ha presentato diverse memorie alla Procura chiedendo di indagare per identificare sui mandanti dell’attentato. Sul punto l’inchiesta è aperta e nel corso degli ultimi anni sono state sentite varie persone, da Licio Gelli al colonnello Sismi Armando Sportelli. Genova: 55enne appena uscito dal carcere ritrovato morto alla stazione ferroviaria Ansa, 2 agosto 2014 Un genovese di 55 anni è stato trovato morto stamani nella stazione di Quinto. Accertamenti sono in corso per chiarire le cause della morte. Secondo quanto appreso l’uomo era uscito dal carcere da qualche giorno e non sapeva dove andare a dormire, trovando riparo alla stazione. Sul posto sono ancora in corso gli accertamenti della polizia ferroviaria di Brignole e del medico legale che ha eseguito la ricognizione esterna del cadavere non escludendo un malore che ha portato all’arresto cardiaco. La salma verrà messa a disposizione dell’autorità giudiziaria. Nuoro: gelo dal Governo, nessuna speranza sul futuro del carcere di Macomer di Tito Giuseppe Tola La Nuova Sardegna, 2 agosto 2014 L’ultima speranza di salvare il carcere era legata all’incontro che il deputato di Sel, Michele Piras, aveva chiesto al vice ministro della Giustizia, Enrico Costa. Il parlamentare lo ha incontrato mercoledì, ma non si è dimostrato soddisfatto del risultato. Si può anche dire che non si guarda con ottimismo al futuro della struttura carceraria di Macomer. Dall’incontro è emerso un evidente scollamento tra la politica che si occupa di giustizia e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che va avanti a testa bassa con la chiusura accelerando i tempi della chiusura. Delusione per l’esito dell’incontro è stata espressa dai sindacati della polizia penitenziaria e dal sindaco di Macomer, Antonio Succu, che ha scritto al Ministro manifestando disappunto per la decisione di smantellare il carcere assunta senza aver sentito le amministrazioni locali e in modo del tutto autonomo, come se il carcere fosse una realtà separata dalla città, una specie di enclave che ha vissuto una per anni una vita propria avulsa dal contesto sociale ed economico di Macomer. È ormai evidente che l’incontro tra Michele Piras e il vice ministro della Giustizia Costa non ha prodotto risultati. Il parlamentare è rientrato praticamente a mani vuote. Già dalle prime battute è emerso chiaro che Costa non sapeva nulla del carcere di Macomer. Probabilmente ne ignorava anche l’esistenza, ma c’è anche da dire che la chiusura è stata disposta con un decreto del Ministro e che il Parlamento ha respinto un ordine del giorno dei deputati Piras e Capelli in seguito al parere negativo del Governo. Costa si è impegnato a verificare altre possibilità di utilizzo del carcere alternative a quelle attuali e verrà a settembre per verificare l’effettiva veridicità dei motivi con i quali l’amministrazione carceraria ne ha motivato la chiusura, cioè quando i buoi sono scappati, come ha fatto notare lo stesso Piras, il quale ha spiegato al ministro che già fra una settimana è troppo tardi in quanto si sta procedendo a svuotare il carcere a tappe forzate. Quando non ci sarà più neppure un detenuto, i parlamentari non potranno accedere. Allo stato delle cose, poi, è molto difficile che l’amministrazione penitenziaria riveda le sue scelte. Il disappunto e l’amarezza del sindaco sono nella lettera inviata al Ministro. Antonio Succu ricorda che nel carcere di Macomer negli ultimi anni sono stati fatti investimenti consistenti grazie ai quali è stato trasformato in una struttura sicura e moderna. "Attualmente - scrive - ospita 60 detenuti e l’elevata sicurezza si coniuga alle condizioni più umane d’Italia". Il sindaco ricorda ancora che nella struttura carceraria ha sede e opera un nucleo regionale antidroga che, grazie alla centralità geografica della sede di Macomer, serve tutte le strutture penitenziarie dell’isola e altre forze dell’ordine. Sottolinea infine che il decreto che ne dispone la chiusura si basa su comunicazioni inesatte dell’amministrazione penitenziaria che riguardano la capacità ricettiva, che non è di quarantacinque ma di oltre novanta unità, e la sicurezza della struttura, che accoglie da anni i detenuti islamici condannati per terrorismo. Milano: detenuto disabile, 9 mesi per trovare una soluzione alternativa al carcere di Dario Paladini Redattore Sociale, 2 agosto 2014 Secondo il Tribunale di Milano le sue condizioni sono incompatibili con la detenzione, ma per il giovane romano, che vive sulla sedia a rotelle, solo ieri l’uscita da Opera. Colpa della mancanza di strutture in grado di accoglierlo e burocrazia. Poteva essere scarcerato, ma dietro le sbarre c’è rimasto per altri nove mesi. Per la mancanza di strutture in grado di accoglierlo e per colpa della burocrazia. L.V. è un giovane romeno, che ha tentato due volte il suicidio in cella ed è semi-paralizzato. Vive sulla sedia a rotelle. Il Tribunale di sorveglianza di Milano ha stabilito, nel novembre dell’anno scorso, che le sue condizioni sono incompatibili con la detenzione. Ma dal carcere di Opera è uscito solo ieri, quando finalmente il Comune di Milano e il garante per i detenuti sono riusciti a trovargli un posto all’Istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone. Il suo caso era stato denunciato dalla stesso direttore del carcere, Giacinto Siciliano, durante un’audizione alla sottocommissione carcere di Palazzo Marino: "Abbiamo percorso tutte le strade possibili perché qualche struttura esterna se ne occupi - aveva detto - ma nessuno vuole prenderlo in carico". Il paradosso è che quando la struttura è stata trovata, non si riusciva a farlo uscire per problemi burocratici. "L’attuale normativa prevede infatti che debba essere garantita l’assistenza sanitaria a tutte le persone detenute o sottoposte a misure alternative alla detenzione - racconta Alessandra Naldi, garante per i detenuti del Comune di Milano. Ma L.V. non è in nessuna di queste due situazioni perché il Tribunale di sorveglianza gli ha concesso il differimento pena per motivi di salute. Il differimento pena non è formalmente una misura alternativa alla detenzione, e quindi non rientra tra le situazioni in cui è esplicitamente prevista la garanzia dell’assistenza sanitaria anche ai cittadini stranieri". Risultato: l’Asl non concedeva la tessera sanitaria perché formalmente L.V. non era più un detenuto. Allo stesso tempo però la Sacra Famiglia non poteva ricoverarlo perché non aveva la tessera sanitaria e quindi il carcere di Opera non poteva lasciarlo libero. Un gatto che si morde la coda, insomma. La situazione si è sbloccata quando il Comune di Milano è intervenuto e ha garantito per il giovane L.V.. "È una storia che fa anche rabbia - commenta Alessandra Naldi, perché la lentezza e le incongruenze della burocrazia a volte creano situazioni paradossali. Per questo a fine giugno abbiamo istituito un tavolo con Asl, Regione, Comune e amministrazione carceraria per creare un protocollo che colmi questi vuoti che impediscono ai detenuti di usufruire di benefici di cui hanno diritto". Ancona: "Ricette da dove non ti aspetti", i detenuti stranieri imparano l’italiano in cucina Agi, 2 agosto 2014 Emozioni forti e tanta partecipazione alla consegna degli attestati finali del corso di lingua e cultura italiana per detenuti stranieri, promosso presso il carcere di Montacuto ad Ancona, grazie ai fondi stanziati dal comune e dal dipartimento di studi internazionali dell’università di Urbino. Alla cerimonia era presente anche Bryan Cracchiolo, docente di Italianistica presso la State University of New York (New Paltz), che si è detto "colpito da questo virtuoso esempio di collaborazione tra ricerca e territorio". Il progetto ha trattato principalmente il tema della cultura culinaria, non solo italiana, ma di tutti i Paesi di provenienza dei corsisti, nell’ottica di un confronto cross-culturale. Il risultato si intitola "Ricette da dove non ti aspetti. Piatti multiculturali e ricette di vita dalla casa circondariale di Montacuto", la cui pubblicazione è prevista per il mese di ottobre. Torino: progetto di pet therapy in carcere, le detenute aiutano gatti affamati Ansa, 2 agosto 2014 È in arrivo un carico di 500 Kg di cibo per 30 gatti che vivono nel carcere Lorusso Cotugno di Torino. Sono state le detenute a farsi portavoce dell’emergenza cibo per la piccola colonia felina. A rispondere all’appello Almo Nature, azienda fra le più dinamiche del pet food a livello europeo. L’iniziativa s’inserisce in una pratica di pet therapy a cui la casa circondariale è sensibile. Gli alimenti saranno consegnati alle detenute responsabili di nutrire i gatti. Una richiesta di aiuto per la colonia di trenta gatti che vive, da molti anni, nelle carceri "Lorusso Cotugno" di Torino e che va sfamata. Le detenute della casa circondariale chiedono sostegno all’esterno per occuparsi dei tanti felini che condividono parte dei loro stessi spazi e, così scende in campo l’associazione Gaia Animali & Ambiente onlus che, dal 1995, promuove iniziative a difesa degli animali e dell’ambente e riesce ad ottenere un valido contributo da Almo Nature, azienda di pet food. Contributo che consiste in 500 chili di cibo per gatti da regalare alle detenute, in modo che queste possano offrire pasti ai loro gatti. Un gesto di solidarietà di Almo Nature per aiutare concretamente i gatti e le detenute che li custodiscono. L’azienda e Gaia, in questo modo, appoggiano anche una storia di pet therapy, dove alcune ospiti del carcere vengono incoraggiate a recuperare il rapporto con la loro parte emozionale prendendosi cura dei gatti. Il primo carico di cibo sarà consegnato alle detenute responsabili di nutrire i gatti, fra pochi giorni per gestire il "giro pappa". La donazione di pasti alla colonia felina del carcere di Torino, si inserisce nei progetti "Love Food", riserva alimentare creata da Pier Giovanni Capellino, fondatore e presidente di Almo Nature, per alleviare le difficoltà alimentari di cani e gatti attraverso il sostegno diretto dei loro padroni e dei canili in difficoltà. A sua volta questa attività di solidarietà fa parte di un progetto più ampio, l’Almore Fund Europe, per il quale l’azienda ha stanziato per il 2014 un budget di 1milione di euro, 100mila dei quali sono destinati a progetti di "Love Food" e altri momenti di solidarietà. Lecce: "Io Ci Provo", il teatro dei detenuti riceve un premio per le buone pratiche al Sud Gazzetta del Sud, 2 agosto 2014 La storia del laboratorio teatrale rivolto ai detenuti nella Casa circondariale Borgo san Nicola di Lecce. Titolo: "Io Ci Provo". È tra i tre video che raccontano storie di riscatto vincitrici del contest della Fondazione con il Sud. È realizzato da Factory Compagnia Transadriatica e raccontata da Mattia Epifani. Il premio è promosso dalla Fondazione per diffondere e far conoscere le buone pratiche avviate nel Mezzogiorno. Tre video vincitori sono ambientati a Palermo, Napoli e appunto Lecce. All’iniziativa hanno partecipato 113 filmati, realizzati da videomaker e filmaker, e 200 storie di partecipazione, impegno civile e riscatto sociale proposte da associazioni e organizzazioni non profit meridionali come "soggetti" per i video. Membri della Giuria di qualità erano il regista Carlo Verdone, la sceneggiatrice Isabella Aguilar, il direttore del Corriere del Mezzogiorno Antonio Polito, Luca Mattiucci del Corriere della Sera e Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud. Imperia: due agenti della Polizia Penitenziaria feriti per sedare una lite tra due detenuti www.sanremonews.it, 2 agosto 2014 I due malcapitati poliziotti, per impedire che un detenuto venisse brutalmente aggredito da un altro e ponendosi da scudo, hanno purtroppo avuto la peggio, riportando ferite guaribili in 7 giorni. Ennesima aggressione subita da un agente della Polizia Penitenziaria, all’interno del Carcere di Imperia. La notizia è stata divulgata da Fabio Pagani, segretario regionale della Uil-Pa penitenziari. I due malcapitati poliziotti, per impedire che un detenuto venisse brutalmente aggredito da un altro e ponendosi da scudo, hanno purtroppo avuto la peggio, riportando ferite guaribili in 7 giorni. Nonostante siano presenti 86 detenuti, numero molto inferiore rispetto ai 110 di circa due-tre mesi fa, quello di Imperia continua ad essere l’Istituto con più eventi critici. Quattro tentati suicidi e 22 atti di autolesionismo: "Colpa - afferma il sindacalista della Uil - dell’assenza di un Direttore titolare e un’organizzazione del lavoro che fa acqua da tutte le parti. Inviamo un preciso messaggio al Provveditore della Regione, precisando che le criticità di Imperia sono da tener fortemente in considerazione". Iran: Amnesty International; nuova ondata di attacchi contro i giornalisti Adnkronos, 2 agosto 2014 Amnesty International, in un documento diffuso oggi, lancia l’allarme sul forte aumento degli arresti, delle incriminazioni e delle condanne nei confronti dei giornalisti indipendenti in Iran, "segnale di quanto siano determinate le autorità di Teheran a stroncare le speranze di maggiore libertà generate dall’elezione del presidente Hassan Rouhani". "Il modo in cui i giornalisti vengono trattati pone a rischio tutto ciò che loro dovrebbero fare - commenta Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty - Negli ultimi mesi, chiunque sia stato sospettato di avere posizioni critiche nei confronti delle autorità ha rischiato sempre di più di essere arrestato e processato. In questo modo si è diffuso un intenso clima di paura, nel quale ogni espressione critica porta direttamente in prigione. La politica di tolleranza zero adottata dalle autorità nei confronti di tutto ciò che non rappresenti le idee e le voci dello stato significa che anche solo riferendo notizie si può finire in carcere". Negli ultimi mesi, l’ondata repressiva che si era intensificata all’indomani delle contestate elezioni presidenziali del 2009 ha conosciuti nuovi picchi. Le autorità paiono aver allargato il perimetro della repressione con l’intento di stroncare ogni aspirazione al cambiamento venutasi a creare con le promesse di maggiore libertà seguite all’elezione, nel 2013, del presidente Hassan Rouhani. I giornalisti iraniani e i corrispondenti della stampa estera vanno incontro a minacce, intimidazioni, arresti e condanne a causa della loro legittima attività giornalistica. Altri operatori dei media, come i film maker, hanno subito provvedimenti giudiziari che hanno impedito loro di proseguire a lavorare. Molte delle persone arrestate, spiega Amnesty, sono state accusate di reati previsti dal codice penale islamico e descritti in modo del tutto vago, come "diffusione di bugie", "diffusione di propaganda contro il sistema" o "procurare disagio nella mente dei cittadini". Il risultato è la criminalizzazione di tutta una serie di attività pacifiche. Le autorità stanno inoltre ricorrendo a estenuanti durate dei processi, al rientro in carcere per terminare parti di pena non scontate e al rifiuto di permessi per motivi di salute per minacciare i giornalisti che osano criticarle. "Queste disposizioni di legge eccessivamente ampie vengono usate come uno strumento per impedire ai giornalisti di fornire al mondo informazioni indipendenti sulla situazione sociale e politica in Iran - denuncia Sahraoui. Il sistema giudiziario gioca con la legge e usa la durata dei processi e la minaccia di tornare in carcere per scontare pene residue per spingere i giornalisti all’autocensura". "Il giornalismo indipendente non è un reato. Le autorità iraniane devono rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutte le persone arrestate e imprigionate negli ultimi mesi - conclude - solo per aver esercitato in modo pacifico il loro legittimo diritto alla libertà d’espressione, di associazione e di riunione". Gran Bretagna: cavigliera elettronica per controllare se gli ex-detenuti alcolisti bevono di Paola Battista www.west-info.eu, 2 agosto 2014 Una cavigliera elettronica per controllare se gli ex-detenuti colpevoli di crimini legati all’alcol continuano ad alzare il gomito. È questa la novità lanciata ieri in via sperimentale dal sindaco di Londra, Boris Johnson. Che imporrà ai recidivi di binge drinking in libertà condizionata un dispositivo hi-tech che monitorerà ogni 30 minuti per 120 giorni la traspirazione del reo, per valutare se ha consumato alcol una volta fuori dalle sbarre. In caso di violazione dell’ordine "di sobrietà", il condannato sarà riportato in tribunale, rischiando una multa o il ritorno in carcere. Un progetto pilota della durata di un anno, circoscritto all’area sud della City (Croydon, Lambeth, Southwark e Sutton). Che vedrà come protagonisti circa 150 detenuti. Un’iniziativa per ridurre il costo pubblico dell’etanolo, che Oltremanica si aggira tra gli 8 e 13 miliardi l’anno. Ravvivando al tempo stesso la sicurezza cittadina e l’economia della capitale. Messa in sicurezza per i turisti, commenta senza remore il sindaco.