Giustizia: una riforma che viola la Costituzione, ma qualcuno proverà a fermarla? di Piero Sansonetti Il Garantista, 29 agosto 2014 Fissare la scadenza della prescrizione alla conclusione del processo di primo grado viola due articoli della Costituzione: il 27 e il 111. Qualcuno raccoglierà firme per impedirlo? Le indiscrezioni dicono che oggi il ministro Orlando presenterà al Consiglio dei ministri una proposta di riforma della giustizia mutilata dai veti dell’Anm (Associazione nazionale magistrati) e che di conseguenza non riforma quasi nulla: perché l’Anm è assolutamente contraria a qualunque tipo di provvedimento che non accresca ulteriormente il potere della magistratura. È probabile che questa riforma - gentile, impalpabile - troverà robuste opposizioni in Parlamento, proprio per la sua inconsistenza, per il suo carattere di "finzione", e non sarà approvata. Noi (noi del Garantista) avremo la soddisfazione, magra, di avere predetto il fallimento della riforma. Il Paese pagherà lo scotto per la vigliaccheria di un ceto politico di governo impreparato e un po’ servile, che in fondo preferisce sopravvivere, seppure agli ordini della magistratura, piuttosto che dover navigare in mare aperto e affrontare i marosi dell’indipendenza. La mancata riforma della giustizia costringerà l’Italia in una condizione che ormai sta diventando di regime: dove il potere politico non è più autonomo, non è più legittimato dal voto popolare, ma è espropriato da una casta, e cioè i magistrati - per essere precisi e giusti: una parte dei magistrati - in grado di influenzare la formazione delle leggi, la gestione dell’economia, la selezione delle classi dirigenti, e naturalmente di poter esercitare la giurisdizione senza nessun controllo e limite. Quali erano i limiti dentro i quali doveva mantenersi l’ordine giudiziario e quali nuovi limiti la riforma avrebbe potuto introdurre? Il limite, per la verità, era praticamente uno solo: la prescrizione. Che risponde alle indicazioni della Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo) e anche della nostra Costituzione (articolo 111) e garantisce la cosiddetta "ragionevole durata del processo". Tutti gli altri limiti, che esistono in molti altri paesi, o non ci sono mai stati o sono saltati. Non c’è la responsabilità civile dei giudice, non c’è la limitazione agli arresti preventivi, non c’è nessun argine alle intercettazioni (che in un solo giorno in Italia, sono quante ne fanno in un anno intero negli Stati Uniti d’America), né tantomeno alla loro indiscriminata e intimidatoria pubblicazione, non c’è la parità tra accusa e difesa (anche questa prevista dall’articolo 111 della Costituzione, ma inutilmente), non c’è la terzietà del giudice (cioè la separazione delle camere), eccetera eccetera. Questa assenza di argini ha permesso e permette molti soprusi, che non sono quelli - pur reali - esercitati nei confronti di Berlusconi (che uno, al limite, potrebbe anche fregarsene...) ma sono migliaia e migliaia che si abbattono sulle spalle piccole di tanti poveri cristi. La riforma avrebbe dovuto ripristinare quei limiti o fissarne dì nuovi. Invece sorvola sulla possibilità di porre rimedio a questi guai. E per di più, a quanto dicono le indiscrezioni, attenua e quasi cancella l’unica limitazione esistente, e cioè la prescrizione. Quindi non sarà una riforma che alza l’asticella delle garanzie per l’imputato, ma invece l’abbassa. Non aumenta il grado delle libertà: si innalza il livello dell’autoritarismo, spingendo il nostro paese piuttosto che verso la modernità, verso qualcosa che un pochino assomiglia allo Stato di polizia. La possibilità che si fissi la scadenza della prescrizione alla conclusione del processo di primo grado, per altro, rende del tutto incostituzionale questa legge. Proviamo a spiegarci bene. Cos’è la prescrizione? È una misura, prevista dal codice penale, che estingue la pena (o addirittura il reato) dopo un certo numero di anni. Gli anni necessari ad ottenere la prescrizione sono proporzionali alla gravità del reato e cioè coincidono con la pena "edittale" prevista dal codice penale, e in ogni caso sono almeno sei peri i reati più piccoli. Non c’è prescrizione per l’ergastolo, visto che l’ergastolo non è quantificabile in anni. La prescrizione interviene se, prima del tempo stabilito, non si arriva alla condanna definitiva. Nella riforma-Orlando, su richiesta dell’Anm (che di solito pubblica su Repubblica i suoi "ordini" al ministro), la prescrizione viene - diciamo così -anticipata, nel senso che scatta solo se i limiti di tempo vengono superati prima della sentenza di primo grado. Dopo la sentenza di primo grado non esiste più prescrizione e il processo d’appello, ed eventualmente di Cassazione, non ha limiti di tempo. In questo modo si violano in modo palese, consapevole e sfacciato due articoli della Costituzione: il 27 e il 111. L’articolo 27 stabilisce che nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva. Dunque la condizione di un imputato non cambia in nessun modo con la sentenza di primo grado, mentre la riforma ne cambia radicalmente la condizione, facendogli perdere il beneficio della prescrizione. L’articolo 111 stabilisce la ragionevole durata del processo, mentre la riforma, ponendo il limite della prescrizione al processo di primo grado (è chiaro che la magistratura tenterà di affrettare i processi di primo grado e poi non avrà più fretta per l’appello) elimina ogni possibilità di ragionevole durata. È grave se la riforma della Giustizia in modo evidente e dichiarato sfida e calpesta i principi costituzionali? Non so se è grave, certo non è inusuale. Basta dire che da più di un decennio votiamo con una legge incostituzionale e che ora si sta valutando una legge elettorale ancor più incostituzionale della precedente. La Costituzione è considerata abbastanza un optional dal potere italiano. E non vi aspettate però che gli intellettuali - e gli attori, i cantanti, i giocatori di calcio - aderiscano in massa ad una raccolta di firme - tipo quella del "Fatto" a difesa del Senato - contro la violazione della Costituzione da parte del binomio governo-magistratura. Giustizia: la riforma del processo? "solo demagogia", dicono i professori di procedura civile di Andrea Fabozzi Il Manifesto, 29 agosto 2014 Intervista al professore di procedura civile Mauro Bove: dal governo soluzioni già fallite, non è così che si velocizzano le cause. Servono coraggio e risorse per l’organizzazione. Non è con le norme processuali che si velocizzano i tempi della giustizia civile". Alla vigilia della presentazione della "terapia d’urto" di Renzi e Orlando, un gruppo di giuristi e professori di procedura civile - Mauro Bove (Perugia), Augusto Chizzini (Cattolica di Milano), Marco De Cristofaro (Padova), Sergio Menchini (Pisa), Elena Merlin (Statale di Milano) e Giuseppe Miccolis (Salento) - scrive al ministro della giustizia e lancia un allarme: la cura che state per somministrata alla giustizia civile è, ancora una volta, quella sbagliata. Professor Bove, a suo giudizio cosa non va nel pacchetto con il quale Orlando vuole dimezzare i tempi del processo civile di primo grado? Quasi tutto. Basta partire dai fondamentali: fare un processo significa consentire a un giudice di accertare dei fatti e applicare il diritto nel contraddittorio tra le parti. Ecco che i tempi più o meno lunghi non dipendono dalle regole del processo, ma dall’organizzazione, dal ritmo che si riesce a dare alle udienze. La controprova: i nostri codici non sono tanto diversi da quelli di altri paesi europei. Ma in Germania il processo di primo grado dura otto mesi e in Italia cinque anni. Perché? La prima ragione è che i magistrati italiani hanno ruoli insostenibili. Come fa un giudice a stare dietro a centinaia e centinaia di cause di arretrato? Non può. I magistrati sono pochi e le cause sono troppe. Infatti il governo punta a ridurle incentivano i rimedi stragiudiziali, gli arbitrati e le negoziazioni. Si tratta di demagogia allo stato puro. Gli arbitrati esistono già, eppure nessuno o quasi nessuno sceglie di rinunciare alla causa. Problema culturale, e problema che ha a che fare con le centinaia di migliaia di avvocati che le facoltà di giurisprudenza sfornano ogni anno. Non servirà al governo inventare nuove formule. Le camere di commercio offrono già servizi ottimi, ma invano: gli arbitrati non decollano. E la Corte Costituzionale ha chiarito che si possono fare solo con il consenso delle parti. Quindi siamo di fronte a uno spot, fatto magari per dare l’impressione in Europa che facciamo le riforme, quando in realtà si tratta di puro conservatorismo. Vale a dire? Vale a dire che si ripercorrono strade già battute. Nell’ultimo quarto di secolo le norme processuali sono state stravolte in continuazione, da governi di destra e di sinistra. Si è cambiato tutto: il processo di primo grado, i filtri all’appello, il processo in Cassazione, l’esecuzione. Tutto inutile. Perché non è questa la strada. Ripeto: bisogna intervenire sull’organizzazione. Per farlo servirebbero risorse, mentre sulla procedura si interviene a costo zero. È certamente così, ma non è solo così. Ci sono riforme che non costano, anzi produrrebbero un risparmio. Ad esempio l’abolizione della distinzione tra giudice amministrativo e giudice civile, così come propone Magistratura democratica. Sarebbe uno scelta sacrosanta, che peraltro aveva già indicato Calamandrei in Costituente. Ma il governo dovrebbe avere il coraggio di rottamare Tar e Consigli di Stato. Ce l’ha? Non credo, e allora continueremo con una massa di controversie in cui si litiga per anni solo per capire chi è il giudice competente, amministrativo o ordinario. Altro esempio? Per quale motivo in Italia non si può fare un vero albo degli avvocati cassazionisti, dove si accede per concorso e non più per anzianità? È così in altri paesi europei, dove chi difende in Cassazione non può intervenire nel tribunale di merito. Solo in questo modo si darebbe un contributo enorme allo smaltimento del pesante arretrato della Cassazione. Bisognerebbe però che qualche politico coraggioso affrontasse gli avvocati. Giustizia un "Orlando" poco furioso sugli errori e sugli orrori giudiziari di Carlo Peis Notizie Radicali, 29 agosto 2014 La vexata quaestio sulla giustizia, del suo senso e della sua amministrazione, è stata, senza alcun dubbio, da tempo immemore sia oggetto di una vastissima disquisizione sia un paradigma tra i più sentiti per definire la qualità della nostra stessa civiltà umana. E quell’interrogativo che in quel breve saggio pseudo platonico Socrate rivolge ad un interlocutore anonimo domandandogli cosa sia per lui la giustizia attende, nonostante intere biblioteche siano colme e stracolme di scritti morali, filosofici e giuridici, non a caso ancora la parola decisiva o finale. Se mai ci sarà. E proprio per ciò passando dalla teoria alla pratica, dal senso morale, filosofico e giuridico della giustizia alla sua concreta amministrazione o somministrazione, un aspetto non meno importante della stessa giustizia lo riveste un suo particolare fardello ossia "l’errore giudiziario", che rispetto alla pretesa giustizia contiene in sé, "senza se e senza ma", la sua chiara ed inequivocabile ingiusta essenza. E per coloro che leggono queste preziose pagine di "Notizie Radicali" dove l’analisi circostanziata, le precise denunce di innumerevoli casi di malagiustizia sono di casa, avranno di sicuro già intuito la possibile domanda cui in primis è lecito non solo chiedere ma aspettarsi una risposta dal ministro Orlando. Anche perché sempre da queste "Notizie Radicali" si apprende che il filo rosso che sviscera la drammatica realtà della somministrazione della giustizia alla fine conduce a delineare che l’effetto della "malagiustizia" risiede in una semplice duplice e contestuale causa: da un lato in una sua cattiva amministrazione, ossia organizzazione e dall’altro ad una de-responsabilità dei magistrati, che non ha nulla a che vedere, va detto e sottolineato, con l’indipendenza e l’autonomia costituzionalmente riconosciuta, che si traduce nella maggior parte in "errori" tanto evitabili ed inescusabili da indurre, immagino obtorto collo, il direttore Vecellio ogni qual volta si parli di quest’ultimi ad associare, in un connubio inscindibile, la stessa parola "errori" ad "orrori giudiziari". Ed il punto dirimente a cui si richiede attenzione ed una possibile risposta del medesimo Ministro, proprio nel momento in cui si appresta a presentare il suo progetto di riforma, alla fine è proprio qui: quell’errare humanun est del magistrato che differisce da tutti gli altri per l’assenza dalla connessa responsabilità che si stabilisce per tutti gli altri. Perché come è pacifico e notorio per noi comuni cittadini senza toga vale una semplice regola che nessuno disconosce. E cioè che l’errare essendo una facoltà esclusiva degli uomini (perché "solo gli uomini errano") e segno di libertà di scelta, così come tutte le altre libertà civili e democratiche che la nostra civiltà umana e giuridica conosce, l’unica e necessaria condizione conseguente è collegarla ad una concreta e personale responsabilità. Diretta responsabilità, del resto, ben nota agli stessi magistrati, che nell’esercizio della loro funzione applicano e sanzionano quotidianamente nei nostri confronti. Ed il punto ineludibile, volente o nolente, è in ciò: statuire una congrua responsabilità diretta "all’errare humanum est" del magistrato. Responsabilità che inconfondibilmente non ha nulla a che spartire con la citata legittima autonomia e indipendenza, già doverosamente riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico. Perché delle due l’una, pensando ad Orlando ma anche all’Anm al Csm o ad una certa concezione della giustizia: o il magistrato non è un uomo e non erra oppure gli "errori/orrori giudiziari" che la realtà ci appalesa sono frutto di un’immaginaria fantasia. Giustizia: ma riuscirà il nostro eroe a riformarla davvero? di Riccardo Paradisi Il Garantista, 29 agosto 2014 Oggi l’ipotesi Orlando di riforma della Giustizia arriva al Consiglio dei ministri. La bozza del testo preparato in via Arenula non piace a Forza Italia - "preoccupa" il Cavaliere - non soddisfa pienamente i governativi del Nuovo centrodestra e sembra non entusiasmare nemmeno l’Anni (anche se, per i berlusconiani non è vero). Non sembra piacere a nessuno insomma. E tuttavia nessuno chiude la porta al confronto. Perché tutti in fondo sanno che la riforma della Giustizia o si fa adesso o non si fa più. Adesso che ancora regge la fragile "coesione nazionale" e che la guerra civile tra giustiziasti e garantisti sembra conoscere un momento di tregua. "Se non ora quando": è questa la filosofia che anima via Arenula dove è stato ultimato il testo da portare al consiglio dei ministri di oggi. È vero che con Forza Italia esiste un fossato divisorio su alcuni punti precisi della riforma - tempi della prescrizione, lunghezza dei processi e intercettazioni - e che allo stato attuale Berlusconi e il suo partito non hanno nessuna intenzione di sostenerla, ma è anche vero che il momento politico è unico rispetto ai vent’anni di guerra civile politico giudiziaria infuriata nel Paese. Con il patto del Nazareno e la riforma del Senato Berlusconi ha inaugurato con Renzi una stagione di coesione nazionale; l’ascia di guerra impugnata da giustizia-Usti e berlusconiani in questi decenni, dopo l’assoluzione del Cavaliere al processo Ruby e le fratture della procura di Milano, sembra sepolta. Per questo Orlando confida che una sintesi si possa trovare, come sta avvenendo in queste ore con il Nuovo centrodestra. Comunque è questo il momento di tentare una riforma bipartisan. Un’analisi che trova corrispondenza anche nel campo azzurro. Il solito Mattinale dei deputati forzisti ribadisce l’ostilità degli azzurri alla bozza Orlando tuttavia, dopo giorni di toni ad alzo zero, chiarisce che non c’è nessuna intenzione da parte di Forza Italia di "fare guerre" anche se non sono immaginabili "cedimenti sull’essenziale" che l’ipotesi di riforma Orlando invece richiederebbe. Insomma in Forza Italia è in corso una valutazione dei reali margini operativi per partecipare attivamente alla riforma. Lo stesso Berlusconi è concentrato sul fascicolo giustizia ragionando a villa san Martino insieme al suo stato maggiore: il capogruppo al Senato Paolo Romani, il consigliere politico Giovanni Toti, Deborah Bergamini, Mariastella Gelmini, Antonio Tajani e Maria Rosaria Rossi. La posizione di Forza Italia sulle riforme istituzionali resta quella del Nazareno, sull’economia la linea è la cosiddetta "opposizione responsabile senza sconti"; sulla giustizia c’è invece, per ora, una chiusura condizionale. Berlusconi è "preoccupato" dalla lettera e dallo spirito del testo concepito in via Arenula. Lo ritiene a tratti insoddisfacente a tratti provocatorio. Insomma se la bozza Orlando dovesse uscire così come è dal consiglio dei ministri riceverebbe una bocciatura da Forza Italia. Tuttavia il testo di riforma non è scritto sulla pietra. È modificabile. Ed è quello che potrebbe accadere con un patto del Nazareno 2.0 stavolta incentrato sulla giustizia. Renzi e Berlusconi non si vedono dallo scorso 6 agosto, quando si incontrarono a palazzo Chigi per definire l’iter in aula della riforma del Senato. Il loro prossimo incontro potrebbe essere tra pochi giorni, al rientro di Berlusconi a Roma dopo la pausa estiva, agli inizi di settembre. Un appuntamento a cui sta già lavorando Denis Verdini, e che potrebbe avere come fuoco principale proprio la riforma della giustizia. Intanto i toni restano alti: "Questa riforma - scrive ancora il Mattinale - è stata pensata per rabbonire il sindacato unico della magistratura (Anm) senza ascoltare la parte più ragionevole delle toghe". Nella bozza Orlando, è la critica nel merito, non c’è la riduzione dei tempi dei processi, la garanzia di una giustizia civile ed amministrativa che non blocchi le imprese, scoraggiandone gli investimenti, nessuna iniziativa seria in tema di limitazione del ricorso alla custodia cautelare, irrilevanti le novità in tema di responsabilità civile dei giudici e assenti anche regole più stringenti sull’uso delle intercettazioni. Anche se il governo rivendica d’aver posto termine nella bozza alle intercettazioni degli avvocati. Poco tuttavia per Forza Italia che chiede all’esecutivo anche un intervento radicale di modifica del Csm liberandolo dall’ipoteca delle correnti. Insufficienti, secondo gli azzurri, anche le modifiche immaginate alla legge Vassalli sulla responsabilità civile dei magistrati. Nel testo di riforma non c’è traccia nemmeno della cassazione dell’anacronistico reato di vilipendio al presidente della Repubblica. Un caso che viene sollevato dal leader della Destra Storace sotto processo proprio per questo reato (Storace rischia il carcere) per la cui cancellazione si è già espresso lo stesso Napolitano. Se a Forza Italia la riforma non garba non dispiace invece a Fratelli d’Italia e a Sei, ricevuti ieri da Orlando nel suo giro di consultazioni. Per Sei ci sono "passi avanti rispetto a falso in bilancio e prescrizione" e c’è "cautela sulle intercettazioni". Temi su cui Ncd invece batte criticamente. Non escludendo modifiche in sede parlamentare dei testi che usciranno dal Cdm, compreso quello sulla prescrizione. Giustizia: riforma del processo civile, scommessa sugli avvocati di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 29 agosto 2014 Pronto il decreto taglia arretrato: arbitrati e negoziazione assistita dai legali per evitare il tribunale. Un anno per la durata del primo grado. E dimezzamento dell’arretrato che oggi sfonda i 5 milioni di cause. Con questi obiettivi il ministero della Giustizia presenta oggi in Consiglio di ministri un decreto legge e un disegno di legge delega. Il primo (in tutto 22 articoli) mette sul tappeto due strade, in larga parte affidate agli avvocati, per affrontare le liti pendenti e le controversie "in entrata" nei tribunali. La prima via è riservata alle cause pendenti sia in primo grado sia in appello. Se non riguardano diritti indisponibili o la materia del lavoro, possono chiedere al giudice di promuovere un procedimento arbitrale. L’autorità giudiziaria, dopo avere accertato l’assenza di ostacoli, trasmette il fascicolo al presidente del Consiglio dell’ordine forense del circondario in cui ha sede il tribunale oppure alla Corte d’appello per la nomina del collegio arbitrale. Gli arbitri sono individuati, dopo accordo tra le parti o dal presidente del Consiglio forense, tra gli avvocati iscritti da almeno 3 anni all’Albo. Il procedimento avanza a quel punto davanti agli arbitri e il lodo conclusivo ha gli stessi effetti della sentenza. La convenzione di negoziazione assistita costituita da un accordo attraverso il quale le parti convengono di risolvere in maniera amichevole la controversia con l’assistenza degli avvocati. La convenzione, da redigere in forma scritta e con assistenza legale, deve contenere la durata della procedura che non può essere inferiore a un mese e l’oggetto della lite (non deve riguardare diritti indisponibili). L’avvocato dovrà sempre, è dovere deontologico, informare il cliente della possibilità di risolvere la lite con la negoziazione. Questa deve comunque essere tentata (sul modello della conciliazione obbligatoria) prima di avviare la causa davanti al giudice in tutte le controversie disciplinate dal Codice del consumo e per tutte quelle per risarcimento danni da circolazione stradale come pure per tutte le domande di pagamento per somme fino a 50mila euro. Quando la negoziazione rappresenta condizione di procedibilità, la condizione è avverata e quindi si potrà andare davanti al giudice se l’invito non è stato seguito da adesione oppure è arrivato un rifiuto entro 30 giorni dal ricevimento. Tuttavia, il rifiuto o il silenzio potranno essere valutati dal giudice nella decisione sull’attribuzione delle spese di giudizio e per responsabilità aggravata. La convenzione di negoziazione assistita da un avvocato può evitare di passare dal giudice per separazioni e divorzi. Può cioè essere conclusa tra coniugi con lo scopo di raggiungere una "soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all’articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge 10 dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio". Sempre in materia di diritto di famiglia, i coniugi, nelle medesime materie possono concludere davanti all’ufficiale dello stato civile un accordo di separazione personale. L’ufficiale dello stato civile riceve da ciascuna delle parti personalmente la dichiarazione che vogliono separarsi oppure far cessare gli effetti civili del matrimonio o ottenerne lo scioglimento secondo condizioni concordate. Allo stesso modo si procede per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. L’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale. Le 2 possibilità sono però escluse in presenza di figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti. Nel disegno di legge delega (18 i mesi a disposizione), messo a punto grazie al lavoro della commissione Berruti, trovano spazio il potenziamento del tribunale delle imprese e l’introduzione di quello della famiglia. Si traccia poi la fisionomia di un nuovo modello processuale che punta a rendere immediatamente esecutive le sentenze di primo grado e di appello. Quanto a quest’ultimo poi ne è rafforzato il carattere impugnatorio anche attraverso la codificazione degli orientamenti giurisprudenziali e la tipizzazione dei motivi di gravame; si introducono criteri di maggior rigore in relazione all’onere dell’appellante di indicare i capi della sentenza che vengono impugnati; si potenzia il divieto di nuove allegazioni. Giustizia: la carcerazione preventiva... e il suo abuso di Giorgio Alfieri L’Opinione, 29 agosto 2014 Un limite al ricorso alla custodia cautelare in carcere è entrato definitivamente in vigore la settimana scorsa, così come le disposizioni del decreto legge sulle carceri. Modificando il codice di procedura penale, il legislatore ha vietato al giudice di utilizzare l’arresto preventivo se dovesse ritenere che, all’esito del giudizio, non possa irrogare una pena che superi i tre anni di detenzione, salvo il caso di reati di particolare allarme sociale. La discrezionalità del giudice era già stata limitata nel 1995, quando le misure cautelari del carcere e degli arresti domiciliari erano stata proibite nel caso in cui il condannato avesse potuto usufruire della sospensione condizionale della pena. È una buona notizia. Ma solo in parte. L’abuso della carcerazione preventiva è notoriamente una delle pietre dello scandalo del sistema penale italiano: al 31 luglio 2014, su 54.414 detenuti, 8.665 sono in attesa di primo giudizio (fonte ministero della Giustizia). In percentuale, il 16 per cento della popolazione carceraria è lì non perché giudicato - nemmeno provvisoriamente - colpevole di un reato, ma semplicemente in quanto sospettato di reità, benché la Costituzione riconosca il generale principio di non colpevolezza sino a condanna definitiva. Proprio in virtù di tale principio, il codice penale prevede la possibilità di ricorrere alla custodia cautelare in carcere come estrema ratio, anche rispetto alle altre misure cautelari, e in ipotesi-limite e tassativamente indicate. Di quella tassatività, tuttavia, il giudici fanno carta straccia, interpretando in maniera lasca e disinvolta le ipotesi previste dal codice. Le modifiche al codice penale, se pure serviranno a limitare il ricorso alla carcerazione preventiva, raggiungono quell’effetto non per osservanza della ratio originale della legge. Questa, infatti, prevede che la custodia cautelare sia utilizzata in casi limite come pericolo di fuga o reiterazione del reato o inquinamento delle prove. Le nuove disposizioni, invece, hanno previsto un divieto di ricorso in ipotesi che non hanno nulla a che vedere con i motivi per cui il giudice possa utilizzarla, ma semplicemente ne legano le mani in caso di reati puniti con pene carcerarie di minore entità. Il fatto è che per ricondurre alle intenzioni iniziali la carcerazione preventiva c’è solo un modo: responsabilizzare, anche e soprattutto attraverso la riforma del Csm, la magistratura. Solo il magistrato, caso per caso, può conoscere in concreto la predisposizione del soggetto a ripetere il reato, il pericolo che esso fugga o la possibilità che inquini le prove. Se si è abusato della carcerazione preventiva non è perché essa potesse applicarsi anche per reati minori, quanto perché il giudice, in ogni caso, non è chiamato a rispondere dell’uso che di essa ne fa, al punto da potervi ricorrere per fini diversi da quelli originari e legati chissà a una sorta anticipazione della pena o a un modo di facilitare le indagini, anche facendo pressione sull’indagato. Solo la piena responsabilizzazione, in primo luogo disciplinare, dell’attività del giudice potrà costituire quell’unico, vero vincolo al corretto uso dei suoi poteri di cui l’intero sistema giudiziario ha un forte bisogno. Giustizia: Organismo Unitario Avvocatura; processi rapidi? se magistrati lavorano di più Agi, 29 agosto 2014 L’Organismo Unitario dell’Avvocatura (la rappresentanza politica forense che ha partecipato ai tavoli di lavoro sul civile, assieme alle altre componenti del settore) alla vigilia del Cdm in cui verranno approvati diversi provvedimenti sulla giustizia, replica così al tweet di ieri di Matteo Renzi sulla proposta di chiusura estiva dei tribunali: "Se la proposta del premier di ridurre le ferie è un modo indiretto di denunciare la scarsa produttività di diversi magistrati - si legge in una nota - allora la consideriamo una provocazione utile: è necessario e importante che i giudici lavorino di più per contribuire così alla riduzione dei tempi dei processi. Basta con il luogo comune sugli avvocati causa delle lungaggini: è un falso, anzi l’avvocatura vuole essere protagonista del cambiamento, per un sistema giudiziario efficace e moderno". Il presidente Oua Nicola Marino si rivolge poi al ministro Orlando e pur ribadendo "l’importanza di un metodo di confronto che ha contraddistinto questo periodo", non nega forti preoccupazioni rispetto "alle diverse indiscrezioni di questi giorni", nonché alla mancanza di nuove comunicazioni con i componenti del "Tavolo" sulle ultime novità o modifiche rispetto a quanto discusso nei mesi scorsi: "Stop alle promozioni agostane, verrebbe da dire, si presenti ufficialmente prima del Cdm il progetto sul civile. Sarebbe un importante segnale di discontinuità con il passato, quando si privilegiava la logica dell’annuncio, per poi dover attendere un’altra settimana per poter esaminare i testi approvati in consiglio". Nel merito delle anticipazioni, quindi, Marino, sottolinea, "anche la netta opposizione al nuovo tribunale per la famiglia, che nasce nel solco della già disastrosa esperienza dei Tribunali per i minori. Servono, al contrario, le sezioni specializzate in ogni Tribunale ordinario, come hanno anche ribadito in importanti, e recenti, prese di posizione diversi e illustri cattedratici di procedura civile". Quindi il presidente dell’Oua ribadisce gli altri punti controversi: "No a inutili filtri in appello e Cassazione (inadeguati agli obiettivi). No all’ipotizzato intervento sulla prima fase del giudizio di cognizione con un’anticipazione del verificarsi delle preclusioni processuali e istruttorie, perché non servirebbe a nulla: sono altri i momenti in cui si rallentano i procedimenti, per esempio, la sede di decisione della causa, dove è presente un autentico collo di bottiglia, con udienze fissate a distanza di anni dalla fine dell’istruttoria. Si proceda, invece, nel giudizio di appello, dove si continua a prevedere una fase iniziale che davvero non ha motivo di essere. Costituito il contraddittorio, non ha davvero alcun senso il successivo rinvio ad udienza di precisazione delle conclusioni". "Si’, infine, a negoziazione assistita e divorzio breve - conclude Marino - è importante che si valorizzi il ruolo centrale dell’avvocatura nel processo e nella fase stragiudiziale". Giustizia: Associazione Nazionale Forense; dubbi misure ipotizzate per smaltire arretrato Dire, 29 agosto 2014 "Le misure che sembra saranno messe in campo venerdì 29 agosto dal Consiglio dei Ministri per aggredire l’arretrato dei procedimenti nel processo civile suscitano molte perplessità e, in breve tempo, potrebbero rivelarsi un flop. Stando alle anticipazioni, sembrano del tutto inadeguate a smaltire l’arretrato". Lo dice il segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense, Ester Perifano, che aggiunge: "Potranno forse essere utili per il futuro, ma non serviranno al presente e consentiranno di definire pochissimi giudizi. Inoltre è appena il caso di ricordare che grandissima parte dell’arretrato è responsabilità degli Enti pubblici, che preferiscono prendere tempo con i giudizi piuttosto che rispettare i diritti di cittadini e imprese, a causa dei noti problemi di bilancio". Il segretario Anf continua: "Le anticipazioni che circolano su una possibile stretta sull’Appello e sul ricorso per Cassazione, specularmente a quanto è stato detto per il penale, vanno nel solco, già percorso in modo fallimentare, di cercare di intervenire sui numeri, a scapito delle tutele. Si va così sempre di più verso un processo autoritario, in cui le parti finiscono in un angolo, in linea con la tendenza degli ultimi 20 anni, con quasi tutti i provvedimenti sulla giustizia civile che hanno prodotto risultati scarsi e insoddisfacenti, sotto gli occhi di tutti. Tutti fingono di non vedere, ma serve ricordare dove si annidano le vere inefficienze: ad esempio, tra la fine della trattazione della causa al momento della decisione in moltissimi tribunali passano anche anni, a volte anche più di cinque , nel corso dei quali il fascicolo staziona negli armadi dell’ufficio e non viene svolta nessuna attività". Perifano osserva: "La verità è che per il settore giustizia servono investimenti: più magistrati, con retribuzioni ridimensionate, visto che percepiscono cifre ben più alte rispetto ai loro colleghi europei; occorre bandire i concorsi per avere più personale di cancelleria, che sia dunque anche più giovane e più preparato alla gestione del processo telematico, e più fondi proprio per far funzionare bene il Pct, che nonostante il grande sostegno profuso dall’avvocatura, va avanti a stento in molte zone del Paese". L’Associazione Nazionale Forense conclude: "Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo : meglio sarebbe finirla con provvedimenti spot, dando il tempo a quelle approvate negli anni scorsi di produrre i loro produrre effetti, e piuttosto sostenere e varare rapidamente quella riforma strutturale alla quale sta lavorando la commissione Berruti, le cui premesse sono buone". Giustizia: toto-nomine per la direzione del Dap, il favorito è Santi Consolo di Giovanni Augello Redattore Sociale, 29 agosto 2014 Non sarà il Consiglio dei Ministri del 29 agosto a svelare il nome del futuro Capo dell’amministrazione penitenziaria. La nomina slitterà di una settimana. Tra i papabili anche Giovanni Salvi, Giovanni Melillo e Mauro Palma. Tre mesi senza capo dipartimento, ma per l’Amministrazione penitenziaria (Dap) il totonomine sembra essere arrivato agli sgoccioli: Mauro Palma, Giovanni Salvi, Giovanni Melillo e Santi Consolo in pole position, con il quarto nome che risulta il favorito dell’ultima ora. Secondo quanto trapela dagli ambienti istituzionali, però, non sarà il prossimo Consiglio dei ministri quello in cui verrà svelato il nome del futuro capo voluto dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Troppa carne al fuoco, probabilmente, per un Cdm ad alta tensione soprattutto sui temi della giustizia e così, secondo alcune fonti, la scelta del nuovo capo del Dap potrebbe slittare di una settimana. Nonostante il sistema penitenziario italiano sia ormai sorvegliato a vista dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che a maggio scorso ha concesso un anno di tempo all’Italia per rimettersi in carreggiata sul tema sovraffollamento dopo la storica sentenza del maggio 2013 sul caso Torreggiani, dal 27 maggio il Dipartimento non ha più un capo. Ultimo a ricoprire l’incarico Giovanni Tamburino, esautorato per scadenza del termine dei 90 giorni entro cui doveva essere riconfermato dal governo Renzi. Da allora, del capo del Dap, più nessuna notizia ufficiale, come del resto anche per altri dipartimenti, come quello delle Politiche antidroga. Quattro i nomi fra cui potrebbe avvenire la scelta della nuova guida dell’amministrazione penitenziaria. In un primo momento si era pensato a Giovanni Salvi, attuale procuratore capo di Catania. Il suo nome era stato dato tra i favoriti già prima della mancata riconferma di Tamburino. Una scelta, quella di Salvi, che sarebbe rimasta nel solco della "tradizione", ponendo a capo del Dap un magistrato, stavolta inquirente come nel caso dell’ex capo del Dap Franco Ionta, rispetto alla parentesi del magistrato di sorveglianza avvenuta proprio con Tamburino. Tra gli altri nomi su cui si pensa possa cadere la scelta, anche uno vicino al ministro Orlando, cioè Giovanni Melillo, ex procuratore aggiunto di Napoli e attualmente capo di gabinetto del Guardasigilli. Negli ultimi giorni, però, tra i possibili candidati è stato più volte nominato un outsider: il professor Mauro Palma. A tirare in ballo il presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale, Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone in un articolo di qualche giorno fa pubblicato sul Manifesto. Nell’articolo, Gonnella non anticipa la possibile nomina, ma auspica un cambio di rotta rispetto al passato sperando in un "capo del Dap che abbia il coraggio di non essere solo un funzionario pubblico". Di qui il nome di Mauro Palma, senza il cui contributo, spiega Gonnella "L’Italia avrebbe subito ben altra sorte a Strasburgo". Che sia una previsione o soltanto una provocazione, l’auspicio di Gonnella nei giorni scorsi è stato preso in seria considerazione dal sindacato della Polizia penitenziaria, il Sappe. Per il segretario generale del sindacato, Donato Capece, intervistato dal Manifesto, Mauro Palma potrebbe essere la "persona giusta" alla guida del Dap. "Dopo tanta approssimazione - spiega Capece, c’è bisogno di un esperto, non necessariamente un magistrato o un dirigente interno, ma una persona illuminata. Con lui potremmo fare un percorso alternativo e forse è proprio lui l’uomo che potrebbe restituire dignità al nostro Corpo, attraverso la riforma della Polizia Penitenziaria". Nonostante sia difficile fare previsioni attendibili sulle nomine con l’attuale governo Renzi, nelle ultime ore è trapelato il nome del favorito. Non si tratta né di Salvi o Melillo, tanto meno di Mauro Palma. A ricoprire l’incarico di capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di qui ad una settimana potrebbe essere un volto noto allo stesso Dap, cioè quello di Santi Consolo, già vice capo del dipartimento durante la gestione Ionta fino al 2011. Nominato da pochi mesi come nuovo procuratore generale di Caltanissetta dopo aver ricoperto lo stesso incarico nella procura di Catanzaro, Consolo ha 63 anni ed è siciliano, originario di Gangi, nel palermitano. Nella breve parentesi all’interno del Dap ha riscosso anche l’ammirazione del Sappe, che in una nota pubblicata in occasione del suo ritorno in magistratura, ne apprezza la "professionalità, la preparazione e la grande serietà del magistrato siciliano che siamo sicuri avrebbe potuto dare molto alla nostra amministrazione". Porto Azzurro (Li): due detenuti su tre chiedono i danni per trattamenti inumani di Ilaria Bonuccelli Il Tirreno, 29 agosto 2014 La carta igienica viene distribuita una volta a settimana. Un rotolo solo. Se non hai soldi per comprartela quando l’hai finita, ti devi arrangiare. Quello che è peggio, se stai nella sezione 1 e 2, è che la doccia te la devi fare gelata. Estate e inverno. La caldaia non funziona. Camere di lusso, nel carcere per ergastolani dell’Elba non ce ne sono. C’è qualcuno, nella sezione 12 e 13 che ha una cella tutta per sé. Non è un privilegio: è un obbligo. I cessi non hanno porte né divisori. Ai detenuti si deve risparmiare almeno questa umiliazione. Se non per umanità, almeno per convenienza: su 318 prigionieri, 220 hanno presentato domanda di risarcimento per "trattamenti inumani o degradanti". Glielo consente una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo che nel 2013 ha condannato l’Italia per le condizioni delle proprie carceri. E 2 detenuti su 3 a Porto Azzurro ritengono di aver diritto a que risarcimento. Un direttore per 4 carceri. Sono cifre rilevanti, da segnalazione immediata al provveditore regionale delle carceri. Per sollecitare almeno la nomina di un direttore in pianta stabile a Porto Azzurro. Il carcere, infatti, dal 2010 va avanti con gestioni part-time. L’attuale direttore, Francesco D’Anselmo non è nemmeno a mezzo servizio. Gestisce tre carceri in Sardegna e all’Elba c’è una settimana al mese. "È convinzione di tutti, operatori, detenuti, dello stesso direttore con cui abbiamo parlato che con una figura a mezzo servizio il carcere non può essere governato". Lapidario il giudizio dei garanti dei detenuti, in visita a Porto Azzurro, dopo una lettera denuncia sulle condizioni a rischio della struttura penitenziaria. Franco Corleone, garante regionale e Marco Solimano, garante del carcere di Livorno, non nascondono la preoccupazione: "A settembre era prevista l’assegnazione di un direttore un pianta stabile a Porto Azzurro. Invece l’amministrazione penitenziaria ancora non ha comunicato all’attuale direttore se gli darà un incarico definitivo. Parleremo subito con il provveditore regionale". Condizioni disumane. Un carcere senza guida - aveva già detto Corleone - è in balia di tutti. E accade che i carcerati chiedano un risarcimento per "condizioni inaccettabili di detenzione". Quanti riusciranno a ottenerlo non si sa. La legge approvata in Italia dopo la condanna europea fissa alcuni parametri per determinare le condizioni inumane del carcere: il sovraffollamento, la possibilità di avere almeno 3 metri quadri di spazio in cella (escluse le suppellettili), sufficiente luce. Ma anche senza una sentenza di tribunale, è evidente - ammettono i garanti - che le condizioni di Porto Azzurro sono "problematiche". "Ci sono sezioni chiuse, come la 11 vuota a causa dell’umidità; la biblioteca al quarto piano dell’antica fortezza spagnola che ospita il penitenziario non solo è chiusa ma è pure inaccessibile: c’è una chiave troncata dentro il lucchetto e quindi la porta non si apre. Chiusa pure la falegnameria e presto si fermerà anche il panificio interno: i detenuti resteranno senza nulla da fare". La rivolta del vitto. A rimuginare sulle condizioni di detenzione. Che comprende un vitto - segnalano i detenuti - "scarso e di bassa qualità", riporta Corleone. Le accuse - conferma Solimano - sono precise: "Spesso la carne rancida, di cattivo odore, al limite delle norme di sicurezza". Addirittura - insiste Corleone - "non sono previsti pasti per i vegetariani. E quando, di rado, vengono proposti sono indecenti". Così per mangiare qualche cosa di commestibile, molti detenuti sono costretti ad acquistare il "sopravvitto" fornito - spiegano i garanti - dalla stessa ditta che gestisce la cucina del carcere. "Fin qui - dicono Corleone e Solimano - tutto regolare. Quello che, però, viene segnalato è che il sopravvitto ha prezzi alti, eccessivi anche rispetto ad altri carceri. Inarrivabile per i carcerati più poveri". Gli esempi non mancano: la bomboletta per il gas viene venduta a 1,75 euro, quando in carcere a Livorno costa 1 euro; l’anguria è più cara che al supermercato dell’isola. Indagine su cibo e sopravvitto. Necessario a questo punto - dicono i garanti - avviare un "approfondimento: sia sulla qualità dei cibo sia sui prezzi del sopravvitto. È previsto extra pasti siano venduti alimenti di alta, media e bassa qualità. Quello, però, che lamentano i detenuti è che il cibo di bassa qualità costa quasi quanto quello di alta qualità. E quindi diventa inaccessibile ai detenuti poveri". Quelli che fanno la vita peggiore a Porto Azzurro. Perché non hanno neppure i soldi per telefonare a casa: "Possono contattare i parenti solo grazie al prete che li aiuta. Ma deve essere rivisto il sistema: dobbiamo attivare il sistema a schede telefoniche e anche skype, che ridurrebbe i costi delle chiamate. In tante prigioni è già attivo". Gli spazi per i coniugi. Non qui dove non c’è un’area verde, dove la pensilina del cortile è priva di tettoia: se piove, quindi, niente ora d’aria. Perfino la sala dei colloqui è rumorosa, senza possibilità di intimità. "Il contrario di quello che serve ai detenuti. Soprattutto a quelli con condanne lunghe. Perciò proporremo all’amministrazione una sperimentazione: ricavare stanze dove le mogli possano fermarsi 2 o 3 giorni e dormire con i mariti". Per ricordare che ancora sono uomini. Meglio, esseri umani. Nei corridoi senza far nulla "Che senso ha tenerci liberi per dieci ore al giorno? Stiamo nei corridoi del carcere a pascolare come pecore. Senza fare nulla". La violenza, in galera, non sono solo le botte. I detenuti di Porto Azzurro si confidano con i garanti in visita al carcere. Ci sono uomini che non usciranno mai. Sono ergastolani con "fine pena mai". Altri che hanno condanne a 20 o 30 anni. Avere un’attività da svolgere è fondamentale. Invece non è possibile. Potrebbero almeno ristrutturare il carcere. Le sezioni chiuse, quelle fatiscenti. Ma il budget per la manutenzione è di 12mila euro l’anno, denuncia Franco Corleone, il garante regionale dei detenuti. E quello per le attività lavorative è di 25mila euro l’anno. Niente per 316 detenuti. D’altronde - è la risposta standard dell’amministrazione penitenziaria - sono i tagli della spending review. In falegnameria i detenuti non possono più lavorare, anche se ora il direttore ha chiesto a Ikea se la volesse gestire, in modo da dare una prospettiva a qualche detenuto. Ma fra poco chiuderà il panificio interno al carcere: chi lo gestisce non ritiene conveniente restare. Allora a chi è dentro non rimane che studiare - ci sono medie, liceo scientifico ed è possibile perfino frequentare l’università - ma gli educatori sono pochi. "Il problema - riprendono Corleone e Marco Solimano, garante dei detenuti di Livorno - è che questi uomini anche quando sono fuori dalle celle hanno come unica possibilità quella di ciondolare per i ballatoi perché non hanno nulla da fare. Ma non è questo il senso di una casa di reclusione. Che, negli anni, causa sovraffollamento, è stata trasformata in un carcere circondariale con detenuti che devono scontare pene brevi accanto a chi ha condanne lunghe. Questo non fa bene perché chi deve scontare solo 3-4 anni ha una prospettiva di vita diversa da chi sa che non uscirà mai o solo dopo 30 anni". Per questo i garanti solleciteranno l’amministrazione penitenziaria a riportare Porto Azzurro alla funzione originaria di casa di reclusione solo per chi deve scontare lunghe condanne. "Non ha neppure senso mandare su un’isola, difficilmente raggiungibile, persone che hanno necessità di mantenere stretti contatti con chi è fuori". Livorno: carcere delle Sughere, finalmente il nuovo padiglione è pronto di Lara Loreti Il Tirreno, 29 agosto 2014 Sembra quasi un miracolo, e - a quanto pare - è proprio vero. Il nuovo padiglione delle Sughere, che tanto è stato sospirato e che ha creato un caso, approdato anche in Parlamento, finalmente è pronto. È stato consegnato ufficialmente nei giorni scorsi e, se non ci saranno ulteriori sorprese, a metà ottobre dovrebbe essere operativo. La notizia s’è diffusa ieri e ha suscitato un grande sospiro di sollievo. La conferma è arrivata da una lettera del Provveditorato indirizzata a Marco Solimano, garante dei detenuti, che tanto si è battuto per l’apertura del padiglione, facendone una battaglia cittadina, durata almeno tre anni. Non è ancora ufficiale la destinazione della nuova struttura, ma in base alle prime indiscrezioni potrebbe essere utilizzata per la media sicurezza (e non per l’alta, che comprende reati come la mafia, come si temeva): così facendo potranno esservi ospitati anche detenuti per reati "normali", che sono la maggior parte della popolazione carceraria. Ciò vuol dire che, se così fosse, all’interno ci sarebbero più livornesi. Il padiglione, dotato di attrezzature moderne, docce automatiche e altre tecnologie, potrà ospitare 150 detenuti. Soddisfatto Solimano: "Questa è un’importante vittoria della città di Livorno che, attraverso l’ufficio del garante, si è battuta per questo successo. Ora, la prima cosa da fare, come ha chiesto anche il Provveditorato, è quella di cercare i detenuti livornesi in giro per la Toscana e per il Paese. Non sarà facile, ma mi sono già messo all’opera. Finalmente, i parenti potranno tornare a far visita ai loro familiari detenuti, restando in città. E finalmente potrà essere rispettata in toto anche la normativa europea che prevede 8 ore d’aria quotidiane". "La cosa più importante - continua Solimano - è che questa struttura sia riempita di contenuti: l’ozio non può assumere il ruolo da protagonista in un carcere. Per questo, mi appello a tutte le associazioni di volontariato e sportive, affinché, come del resto hanno fatto finora, possano darsi da fare per organizzare eventi dentro il carcere, e nella nuova struttura in particolare". Del caso del padiglione alle Sughere, ampiamente trattato dal Tirreno, si era occupato anche il senatore Marco Filippi che nelle scorse settimane aveva presentato un’interrogazione parlamentare, indirizzata al presidente del Consiglio e al ministro della Giustizia, sul perché dei ritardi nell’apertura della struttura. Intanto, per Solimano e il suo ufficio le sfide non sono finite: "Resta ancora un altro obiettivo, quello di far riaprire anche la sezione femminile - dice il garante - E su questo continuerò a lavorare". Lecce: detenuto morì per non aver avuto cure necessarie, denuncia della moglie di Francesco Oliva Corriere Salentino, 29 agosto 2014 Un approccio terapeutico che avrebbe causato la sofferenza e la morte di Claudio Lazzari al quale se gli fosse stato consentito di ottenere gli arresti domiciliari e di potersi alimentare come sempre aveva fatto dopo un intervento chirurgico di diversione bilio pancreatica non avrebbe sviluppato quel decadimento fisico e quella progressiva ed inevitabile involuzione che ne hanno poi determinato il decesso. Sono i dubbi e gli interrogativi contenuti in una denuncia presentata dall’avvocato Ladislao Massari per conto della moglie del 45enne residente a Frigole deceduto dopo una lunga detenzione il 21 luglio scorso. I fatti hanno inizio nel lontano 1997 quando l’uomo viene sottoposto ad un intervento chirurgico di "diversione bilio-pancreatica" presso il Policlinico Gemelli di Roma al fine di porre rimedio ad una grave forma di obesità in una persona ad alto rischio cardiovascolare. Come tutti i pazienti sottopostisi ad una simile operazione anche Lazzari successivamente seguì una dieta alimentare molto ricca di proteine e carboidrati, provvedendo ad assumere costantemente integratori alimentari ed a sottoporsi a controlli clinici e di laboratorio periodici. L’esperienza carceraria inizia il 4 ottobre del 2011 quando Claudio è destinatario di una ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito della nota operazione "Augusta". All’ingresso presso la casa circondariale di Lecce veniva annotato nella "visita medica di primo ingresso" che il detenuto risultava essere stato sottoposto ad intervento chirurgico di diversione bilio-pancreatica nel 1997. Nel febbraio dell’anno successivo Lazzari venne sottoposto ad una visita specialistica richiesta dalla difesa, affidata al dottore Francesco Faggiano, medico legale, che rilevava come si fosse ridotto il peso corporeo del detenuto "a causa della incongrua dieta alimentare" e segnalava la necessità di una "dieta ipercalorica ed iperproteica". Per un anno, per come potrà facilmente evincersi dalla lettura del diario clinico, i controlli medici specialistici e le analisi del sangue divenivano sarebbero divenuti saltuari ed episodici, laddove il rigoroso monitoraggio delle stesse era stato più volte sollecitato e prescritto dagli stessi sanitari che avevano visitato il Lazzari nella casa circondariale di Lecce. È nell’estate di un anno fa, a distanza dunque di quasi due anni dall’ingresso in carcere, che la situazione sarebbe precipitata in modo del tutto irrimediabile, ma nella piena prevedibilità legata alla totale ed assoluta inadeguatezza dell’approccio terapeutico alle patologie del detenuto ed alla sua necessità di alimentarsi seguendo una dieta ricca di proteine e carboidrati. Dopo una serie di ricoveri e di richieste di scarcerazione rigettate dal Tribunale e di perizie medico legali, il gip Giovanni Gallo nel novembre scorso dispose finalmente l’attenuazione della misura cautelare con il riconoscimento degli arresti domiciliari presso l’abitazione dei genitori accogliendo il ricorso dell’avvocato Massari che parlava di una persona sofferente, costretta su una sedia a rotelle, dimagrita in modo impressionante e che è sottoposto ad una detenzione degradante e tramutatasi in tortura". In casa dei genitori, però, rimase solo per pochi giorni perché venne immediatamente ricoverato presso l’Ospedale Vito Fazzi. Tale degenza durò più di un mese e mezzo e venne riconosciuto invalido con totale e permanente invalidità lavorativa 100% e con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani: ulteriore tappa verso un decadimento fisico drammatico e che avrebbe avuto inizio proprio nel corso della carcerazione presso la casa circondariale di Lecce. Lentamente, però, il corpo del 48enne si sarebbe deperito in un viaggio senza ritorno e dopo un ulteriore ed ennesimo ricovero e immani sofferenze Claudio Lazzari morì il 21 luglio scorso. Rimini: la direttrice del Casetti "il carcere è una discarica sociale" di Giovanni Bucchi www.romagnanoi.it, 29 agosto 2014 Il linguaggio felpato e freddo della burocrazia, tipico di molti dirigenti statali, lo lascia fuori dalla Fiera. Rosa Alba Casella, direttore del carcere di Modena e direttore reggente della casa circondariale di Rimini, dal palco del Meeting sceglie di parlare senza troppi fronzoli, accendendo i riflettori sulla drammatica situazione degli istituti penitenziari italiani, quello dei Casetti compreso, lei che ben li conosce essendo stata in passato anche alla guida della struttura di Forlì dove c’è pure la sezione femminile. Dietro alle sbarre "si è fatto sparire chi pone problemi alla società"; di più, "il carcere - incalza - è diventato una discarica sociale, uno strumento di disgregazione". Inutile dire che un luogo del genere va tenuto nascosto, lontano dagli occhi della città, proprio come accaduto ai carceri costruiti negli ultimi decenni. Quella di Rimini ne è un chiaro esempio, "un istituto penitenziario edificato negli anni 80 - spiega la direttrice - e che sorge in periferia, nascosto in una collina, proprio per quella tendenza a rimuovere ciò che ci turba e ci inquieta". La città, invece deve riavvicinarsi a quel luogo, smetterla di confinarlo in un’isola, creare un ponte. Così come fa l’associazione comunità Papa Giovanni XXIII, presente ieri al Meeting con una trentina di detenuti. E così come chiede la stessa dottoressa Casella: "Spero in un legame tra il Meeting e l’istituto penitenziario di Rimini". La direttrice lancia questo appello nell’ambito dell’incontro "Testimonianze dalle periferie: libertà dietro le sbarre", insieme al collega della seconda casa di reclusione di Milano-Bollate, Massimo Parisi, e a Patrizia Colomba, insegnante e madre di cinque figli che racconta di come la sua vita sia completamente cambiata da dieci anni a questa parte insegnando italiano ai detenuti delle strutture di Lecco e Como. "L’illegalità della situazione delle carceri italiane sembra ormai accettata - continua la dottoressa Casella, non ci si immagina cosa significa vivere in tre persone in nove metri quadrati", soprattutto quando "il detenuto è privato della sua dignità" e per questo motivo "inizia a nutrire sentimenti di rivalsa con i quali difficilmente vorrà mettersi in discussione". Per questo, incalza la direttrice delle Case circondariali di Rimini e Modena, "occorre migliorare le condizioni di detenzione e restituire la dignità ai detenuti, perché la dignità non la si conquista per meriti e non la si perde per demeriti". Tuttavia, "ridurre l’affollamento non basta", occorre una "trasformazione delle carceri perché la recidiva dei detenuti è troppo alta, ma soprattutto perché ci sono diritti fondamentali che vanno presi sul serio. Nulla può cambiare dentro al carcere, se non cambia all’esterno". Per questo, è vero che "il detenuto deve costruirsi una vita migliore, ma la collettività deve accordargli una possibilità, anche, a mio giudizio, correndo il rischio che lui ne abusi". Campobasso: nel carcere gli Ispettori del Dipartimento amministrazione penitenziaria di Cristina Niro Primo Piano Molise, 29 agosto 2014 Blitz degli ispettori ministeriali del Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nel carcere di Campobasso. I funzionari inviati dal ministro Andrea Orlando da un paio di giorni sono al lavoro all’interno della Casa di Reclusione di via Cavour. Finora hanno ripercorso le tappe puntualmente descritte anche nelle relazioni e nel dossier dell’Osapp (che in Molise fa riferimento all’ispettore Mauro Moffa). Hanno incontrato gli operatori, gli esperti di formazione, ma hanno anche ascoltato storie di vita vissuta, realtà ordinaria per chi è lì in attesa di uscire dalle mura del penitenziario e provare a ricostruire una vita andata a rotoli. Da due giorni gli ispettori sono al lavoro. Stanno ascoltando tutti coloro che vivono tra le mura dell’istituto di pena. A loro spetta il compito di verificare puntualmente quanto sta avvenendo e se realmente le ‘anomaliè denunciate (rivendicate dai detenuti con una sorta di protesta che di notte li vede urlare) sono esistenti. Un blitz annunciato ma che ha colto di sorpresa per la celerità dei tempi. Ci si aspettava che il Ministero in qualche modo provvedesse a quelle segnalazioni giunte anche dai consiglieri regionali del Movimento Cinque Stelle (Patrizia Manzo e Antonio Federico) e da Italo Di Sabato dell’Osservatorio nazionale contro la repressione, ma non in tempi così rapidi. Un sopralluogo, che sembra confermare lo sforzo di sindacati e vertici istituzionali per migliorare le condizioni di vita (e di lavoro) all’interno della casa circondariale. Cremona: la denuncia del Sinappe; rivolta di detenuti nel carcere di Cà del Ferro di Pier Giorgio Ruggeri Il Giorno, 29 agosto 2014 Al momento di rientrare dopo l’ora di aria, alcuni detenuti a volto coperto e con delle spranghe in pugno hanno distrutto tutto quel che trovavano sulla loro strada, comprese le telecamere di sorveglianza. "C’è stata una rivolta da parte dei detenuti nel carcere di Cà del Ferro, martedì mattina". Lo comunica il segretario del Sinappe, il sindacato delle guardie giudiziarie che spiega l’avvenuto. Martedì mattina al momento di rientrare dopo l’ora di aria, alcuni detenuti a volto coperto e con delle spranghe in pugno hanno distrutto tutto quel che trovavano sulla loro strada, comprese le telecamere di sorveglianza. Motivo della rivolta era un mancato permesso di colloquio con gli educatori o nel ritardo troppo prolungato nel concedere questo permesso. La rivolta ha avuto momenti di grande tensione ma alla fine l’opera di convinzione degli agenti ha prevalso sulla rabbia dei detenuti che sono rientrati pacificamente nelle celle. È questo l’episodio di intolleranza e insoddisfazione all’interno del carcere di Cremona e il fatto sarà sottolineato dalle stesse guardie che la prossima settimana organizzeranno un sit in di protesta per chiedere maggiori condizioni di sicurezza per chi opera all’interno della casa circondariale. Reggio Calabria: i Radicali Pannella e Bernardini fanno visita al carcere di Arghillà www.ntacalabria.it, 29 agosto 2014 Dopo il Ferragosto continuano le visite dei Radicali nelle carceri italiane e, il prossimo 4 settembre, Marco Pannella, assieme a Rita Bernardini e una delegazione di radicali andranno in visita, alle ore 11.30, al nuovo Carcere di Arghillà di Reggio Calabria; con loro anche l’On. Bruno Censore (Pd) e Antonino Castorina (Responsabile Nazionale "Legalità" Giovani del Pd). Alle ore 14, all’uscita dal carcere, è prevista una conferenza stampa su visita carcere. Nel pomeriggio, poi, alle ore 17.00, Marco Pannella e Rita Bernardini saranno a Serra San Bruno (Vv) per la presentazione del libro "Viaggio nelle carceri" di Davide La Cara e Antonino Castorina e, infine, concluderanno la giornata alle ore 20.00, a Cariati (Cs) per la Festa Provinciale dell’Unità. Lecce: "hai rubato le mie cose", si scaglia contro compagno di cella provocando una rissa www.lecceprima.it, 29 agosto 2014 Nuovo episodio di violenza nel carcere di Lecce. Nel pomeriggio di ieri, infatti, è scoppiata una rissa all’interno del Reparto C2 (gestito mediante il sistema detentivo "aperto") della IV sezione dell’istituto di pena. Circa una quindicina le persone coinvolte, con lesioni tali da rendere necessario l’intervento del 118 Nuovo episodio di violenza nel carcere di Lecce. Nel pomeriggio di ieri, infatti, è scoppiata una rissa all’interno del Reparto C2 (gestito mediante il sistema detentivo "aperto") della IV sezione dell’istituto di pena. Circa una quindicina le persone coinvolte, con lesioni tali da rendere necessario l’intervento del 118. Un detenuto straniero di origine marocchina si è scagliato contro un contro un compagno di cella, reo (a suo dire) di avergli sottratto alcuni oggetti, ferendolo. Un’aggressione che ha scatenato la reazione degli altri detenuti i quali, accorsi in massa in difesa dell’italiano, con violenza si sono lanciati contro il marocchino vittima di un feroce pestaggio. L’episodio è solo l’ultimo delle tre violente risse avvenute in soli due mesi nel carcere di Borgo san Nicola. Fortunatamente, nonostante le difficoltà in cui opera il personale di polizia penitenziaria, gli autori del massacro sono stati individuati e denunciati all’autorità giudiziaria. "Quello che avevamo annunciato nei mesi scorsi si sta purtroppo verificando, le ipotesi stanno diventando triste realtà e a pagarne le conseguenze è sempre e solo la polizia penitenziaria - commenta Pantaleo Candido, segretario regionale dell’Osapp. Tre risse violente in soli due mesi, è questo il triste bilancio degli istituti di lecce, un bilancio che andrà sempre più a incrementarsi in negativo". "Il clima rimane teso perché le condizioni di lavoro sono quelle denunciate in tutta la regione, situazioni lavorative sotto stress e personale di polizia con carenti sistemi di sicurezza - spiega Candido. Noi dell’Osapp chiediamo a gran voce di correre ai ripari, dando respiro al personale che ormai opera su otto ore giornaliere senza il richiesto straordinario, chiediamo un’opera di prevenzione senza aspettare che gli eventi ci consegnino scenari senza ritorno". Cosp: rissa tra detenuti nel penitenziario di Borgo San Nicola Una rissa tra detenuti sarebbe avvenuta nel pomeriggio di ieri nel reparto C2 del carcere di Lecce, gestito dall’amministrazione penitenziaria con il sistema detentivo "aperto". Circa una quindicina le persone coinvolte, alcune delle quali - riferisce in una nota il segretario del Cosp, Mimmo Mastrulli - hanno riportato "lesioni tali da rendere necessario l’intervento del 118". Secondo quanto riferisce il Cosp, un detenuto di nazionalità marocchina si è scagliato contro un compagno di cella, reo, a suo dire, di avergli sottratto alcuni oggetti, ferendolo. L’aggressione - si legge nella nota del Cosp - "ha scatenato una violenta reazione da parte degli altri detenuti i quali, accorsi in massa in difesa dell’italiano, si sono lanciati contro il marocchino rimasto vittima di un feroce pestaggio". "È questa - afferma Mastrulli - l’ultima delle tre violente risse avvenute in soli due mesi nel carcere di Borgo San Nicola". I presunti responsabili della rissa sono stati prima separati dagli agenti di polizia penitenziaria e poi sottoposti alle cure mediche; alcuni sono stati denunciati all’autorità giudiziaria. Rovigo: il presidente di AS2 Roberto Magaraggia alla ricerca di lavoro per gli ex detenuti Rovigo Oggi, 29 agosto 2014 AS2 sta studiando un sistema per verificare la disponibilità a sostenere le proposte di percorsi individuati, lavoro e corsi, e successivamente ad avviare, attraverso il Centro Francescano di Ascolto, un rapporto collaborativo con la direzione del carcere di Rovigo. La redazione del giornale Prospettiva Esse, periodico dei detenuti del carcere di Rovigo, ha incontrato il presidente di AS2 Roberto Magaraggia per un confronto sulle possibilità lavorative che un’azienda in crescita può offrire alle persone a fine pena. Magaraggia ha spiegato che AS2 è un soggetto promosso dal Comune di Rovigo e che oggi conta oltre 40 soci per i quali lavora in esclusiva, con criteri di efficienza ed economicità. Nel corso dell’incontro è emerso chiaramente che per il tipo di servizi svolti difficilmente chi esce dal carcere potrà trovare una collocazione all’interno della struttura, anche se sono poi emersi due percorsi che potrebbero diventare utili in funzione del ritrovamento di un’occupazione. Il primo è stato quello di prendere spunto dall’elevato numero di soci per verificare con questi la possibilità di offrire lavoro a cooperative sociali che assumono ex detenuti. Il secondo di coinvolgere sempre gli stessi soci per stage e corsi di formazione professionale, il presidente Magaraggia si è impegnato ad un contatto in tempi brevi con i soci per verificare la disponibilità a sostenere le proposte di percorsi individuati, lavoro e corsi, e successivamente ad avviare, attraverso il Centro Francescano di Ascolto, un rapporto con la direzione del carcere per rendere poi percorribile quanto eventualmente concordato con i soci stessi. Il giornale Prospettiva Esse è nato alla fine del 1986 ed è una delle circa 60 testate che il mondo del carcere produce, di proprietà dell’associazione di volontariato Centro Francescano di Ascolto, con Livio Ferrari come direttore responsabile, vede da diversi anni impegnati nell’attività di redazione i volontari Rossella Magosso e Bruno De Sero. Le azioni dei ristretti che partecipano alla redazione del periodico non si riducono solo alla predisposizione degli articoli da inserire nella rivista ma anche nella proposizione di incontri con soggetti della comunità esterna, come in questo caso, per un coinvolgimento degli stessi nei percorsi di reinserimento delle persone recluse. Fossano (Cn): successo dello spettacolo di Martorello, con i detenuti e i disabili di Sabrina Pelazza La Fedeltà, 29 agosto 2014 Il Sindaco: "Tra le questioni in agenda abbiamo inserito anche il carcere". Li vedi arrivare, in un pomeriggio di fine luglio, a gruppi o in ordine sparso; giovani e non; famiglie con bambini, politici locali/Sono diretti verso il Santa Caterina della città, e, a giudicare dai loro volti gioiosi, verrebbe da chiedergli, "ma è qui il carcere?". Sì, è proprio lì; però quel pomeriggio del 30 luglio c’è un’insolita aria di festa. Merito ancora una volta (la terza), della sensibilità artistica e umana di Antonio Martorello, che (in qualità di responsabile della compagnia Mascateatrale, in collaborazione con la band "Una nota in più" della scuola musicale "La scala del re" di Marco Biaritz, e con la comunità Papa Giovanni, che già presta servizio di volontariato nella casa di reclusione), ha scritto e messo in scena una piece teatrale, dal titolo "Tictac tictac". Scansione di un tempo che passa (o non passa mai), e che in carcere (ma non solo) viene esasperato da un’attesa di qualcosa che non avviene. L’indulto, per i detenuti, oppure un miracolo; per chi è nella sofferenza. Ma poi, in fondo in fondo, ogni uomo è in perenne attesa di qualcosa che sembra irrealizzabile. E intanto il presente non viene colto per le reali opportunità che potrebbe dare. Il copione dei dialoghi, ripetitivo nelle sue tematiche, proprio per rispecchiare la tipicità dei luoghi chiusi, ha permesso ai ragazzi di dar voce ai loro pensieri (e, all’occasione, regalare però al pubblico anche qualche risata, strappando diversi applausi). "Là fuori" esclama uno di loro, "è come un carcere; c’è la crisi, che si può fare? Dobbiamo ripartire da zero". "L’indulto non fa cassa elettorale. I politici non lo faranno mai perché la società non ci vuole", aggiunge un altro. "Però che arrivi o non arrivi, l’importante è usare bene il tempo", dice ancora un terzo. "Che", constata un altro ancora "noi ammortizziamo, contandolo secondo per secondo". Loro, gli attori, (i reclusi del Santa Caterina ed i ragazzi seguiti dai centri diurni della Papa Giovanni), hanno-dato sentimento alle proprie esecuzioni, recitando o cantando. "Non è stato facile, ha spiegato Martorello al termine, ringraziando le educatrici e tutto il personale penitenziario per là loro disponibilità. Quando si lavora in una casa di reclusione si deve affrontare, prima di tutto, un grande turnover (molti sono usciti da poco, ed hanno dovuto essere sostituiti da chi ha imparato a memoria la loro parte in soli quattro giorni"). Tuttavia, come già avvenuto l’anno scorso, tutti hanno dato prova di grande collaborazione e rispetto. "Sono contento di avere amici detenuti che mi vogliono bene, e che considero tali per sempre!" - esclama Michelangelo, un ragazzo disabile, al colmo della commozione. Si respira un clima di ulteriore distensione rispetto allo scorso anno; anche i ragazzi che non hanno recitato, hanno potuto assistere nel cortile insieme al pubblico (e non affacciati dalle loro celle). Merito anche dei decreti svuota carceri, che hanno ridotto notevolmente il numero di detenuti, rendendo più facile e sicura la loro gestione. E tuttavia non basta ancora - sia il vice commissario Sabina Colacicchi, e sia Bruno Mellano (Garante regionale dei detenuti), hanno espresso il desiderio che "Possano diventi come Bollate", cioè "una struttura che esiste per l’effettivo reinserimento sociale di chi è recluso, come prevede l’articolo 27 della, nostra Costituzione, al di là o meno se l’indulto ci sarà": comunque, secondo quanto è stato poi aggiunto dalla Colacicchi, la struttura penitenziaria di Fossano si sta già riconvertendo in "istituto di custodia attenuata". "Ciò consentirà a chi è dentro di usufruire di misure alternative alla detenzione stessa, per un sereno reinserimento nella società", attraverso, per esempio, l’utilizzo di borse lavoro sul territorio, o momenti di volontariato o altro ancora. "Come politiche del lavoro del Comune di Fossano - ha detto infine il sindaco Davide Sordella, - ci crediamo molto, e vogliamo portare avanti, tra le questioni in agenda per la città, anche il progetto carcere. L’unica difficoltà da abbattere sono i pregiudizi della nostra testa". L’ultima parola, infine, ad un detenuto, che ha ringraziato, non senza commozione, "tutti i volontari che aiutano a portare . avanti tante inefficienze istituzionali". E quindi il pomeriggio è finito come è iniziato, in un clima disteso. All’insegna di un grande rinfresco offerto dalla Caritas, (ma preparato dagli stessi ragazzi con autentica professionalità, e con la preparazione di alcuni piatti tipici come gli arancini), si sono mescolate le persone "di dentro" con quelle "di fuori", mentre i bambini scorrazzavano sereni, i giovani scherzavano, gli adulti ragionavano tra loro. Ringraziamenti Al termine dell’anno trascorso insieme, desideriamo ringraziare con affetto e sincerità Antonella e Marinella, educatrici della casa circondariale di Fossano, per l’impegno e il sostegno costante dimostratoci nelle attività di musica e animazione delle messe. Con riconoscenza Il gruppo giovani della Comunità Papa Giovanni XXIII e i ragazzi del Centro diurno Santa Chiara di Fossano. Ancona: "Il Muro, storie rock di gente di galera" in piazza Vittorio Emanuele II a Cingoli www.concronachemaceratesi.it , 29 agosto 2014 Arriva a Cingoli con il patrocino del Comune di Cingoli, lo spettacolo: "Il Muro, storie rock di gente di galera" in piazza Vittorio Emanuele II, venerdì 29 agosto alle 22. Spettacolo prodotto dal Macerata Opera Festival, scritto e diretto da Marco Bragaglia che vede come interpreti i detenuti del carcere Barcaglione di Ancona, ha ottenuto tanti consensi di pubblico in tutte le precedenti repliche, con questa di Cingoli siamo alla quinta messa in scena. "Il Muro" è uno spettacolo multimediale dove video, musica e azione scenica narrano le vicende carcerarie di alcuni famosi rocker, messe in scena, da chi il carcere lo vive quotidianamente: i detenuti del carcere Barcaglione. Lo spettacolo è stato presentato anche a Macerata e a Serrapetrona. I protagonisti, vestendo i panni di alcune rockstar, raccontano così, anche le loro vite e il disagio di vivere ai margini della società. Uno spettacolo dalla grande valenza educativa, L’interpretazione da parte dei carcerati permette "all’attore-detenuto" di riscattarsi dal proprio ruolo di "emarginato" raccontando la storia di personaggi che pur avendo "sbagliato" sono riusciti a riprendersi in mano la loro vita. Colonna sonora delle spettacolo è la musica di The Wall dei Pink Floyd, gruppo che ha saputo al meglio interpretare questo disagio, interpretata dai "Down South London" gruppo tutto marchigiano composto da Giuliano carrella alla chitarra solista, Luca Orselli alla batteria, Alberto lucerna alla chitarra, Riccardo Pietroni alle tastiere, Giuseppe Barabucci al basso, Giuliano bruscantini alla voce. Ospite speciale dello spettacolo l’attrice civitanovese Rosetta Martellini. Alla co-regia dello spettacolo Francesca Marchetti. Video, luci e pittura digitale dal video di Marco Bragag. Ferrara: solo il meglio dei Buskers per i detenuti www.estense.com, 29 agosto 2014 La musica di strada degli Ars Nova Napoli e degli Skarallaos arriva dietro alle sbarre Fa un certo effetto vedere contrabbassi, chitarre, sassofoni, fisarmoniche e tamburelli superare le sbarre della casa circondariale di Ferrara per essere accolti dagli applausi di più di una cinquantina di detenuti già intrepidi di ascoltare la musica del Ferrara Buskers Festival. A portare gli strumenti sono i giovani componenti degli Ars Nova Napoli e degli Skarallaos, definiti dal direttore organizzativo Luigi Russo "il meglio del festival". In effetti per le due band invitate alla 27esima edizione della più grande manifestazione italiana dei musicisti di strada si tratta di un gradito ritorno. "Questi gruppi - continua Russo - sono il bello dei buskers perché sono stati richiamati a furor di popolo: gli Skarallaos tornano a Ferrara dopo essere stati protagonisti nel 2012, mentre gli Ars Nova Napoli hanno vinto il contest 'Vota il tuo busker preferito' dello scorso anno". È la prima volta che l'energia e la spensieratezza della musica di strada arriva fino al carcere di via Arginone. "Sono emozionata per questa iniziativa - fa gli onori di casa la direttrice Carmela Di Lorenzo - perché quest'anno per la prima volta ci stanno onorando della presenza di due gruppi busker. Un risultato raggiunto grazie alla sinergia tra la direzione del festival e della casa circondariale, ma tutto questo non sarebbe possibile senza la partecipazione del sindaco e il lavoro della polizia penitenziaria". Ed ecco che allora prende la parola Tiziano Tagliani che, oltre a rimarcare che "questi risultati si raggiungono col contributo di tutti", mette in luce quanto sia "fondamentale continuare con questa politica di apertura". "Sono molto contento di vedere la crescita del percorso di comunicazione tra città e carcere - continua il primo cittadino - e di sentire questo clima di serenità nel rispetto della dignità di tutti quanti: dei detenuti, delle guardie, degli operatori e dei musicisti. Buskers non è solo divertimento ma vuol dire anche attenzione a quello che avviene fuori, segnali di disponibilità e responsabilità di un'apertura che deve continuare nel tempo. E, dato che è previsto un avvicendamento, non c'è occasione migliore per ringraziare la direttrice del suo operato". Dopo essersi definito "il sindaco di tutti quanti i cittadini", Tagliani scende dal palchetto e lascia che sia la musica a parlare. I primi a esibirsi sono i sei giovani degli Ars Nova Napoli e in men che non si dica il grigiore del carcere lascia spazio ai colori e ai ritmi della musica tradizionale napoletana. Il vortice dei suoni popolari del sud Italia travolge detenuti ed operatori ed è impossibile non tenere il tempo battendo le mani. Il tripudio arriva con "Tu vuò fa l'americano" di Renato Carosone e "Carmè" di Totò: tutti i carcerati battono le mani, cantano, improvvisano balletti. Un detenuto napoletano è stato anche chiamato sul palco e a suon di salti e piroette ha mostrato il proprio amore per la cultura napoletana. Ma gli speciali momenti di allegria non finiscono qui: sul palco sale anche il direttore artistico Stefano Bottoni che, affiancando il sempre più vivace cantante Joy Napolitano, coinvolge il pubblico fino al gran finale: gli artisti improvvisano un trenino in mezzo ai detenuti trascinandosi dietro i propri strumenti, compreso il contrabbasso. Cambio di strumenti e di artisti per continuare il clima di festa e divertimento instaurato. Dopo l'esuberante spettacolo del gruppo partenopeo, infatti, è seguita la performance festosa e coinvolgente degli Skarallaos, effervescente gruppo galiziano che ha proposto un mix di musica ska, reggae, punk, condito di ritmi latini ed influenze balcaniche. Uno show trascinante che si nutre dell'empatia del pubblico, un'empatia forte visto il continuo entusiasmo dei detenuti. "Mai vista una cosa così - commentano gli operatori a fine concerto. I concerti di Natale sono andati bene ma in questo caso la musica è stata più trascinante, non riuscivi a tenerli fermi". L'iniziativa ha colto nel segno: far trascorrere un'ora di spensieratezza a chi non può seguire il festival per le strade del centro. Libri: autobiografia di un killer di mafia è finalista al Premio Sciascia, giurato si dimette Ansa, 29 agosto 2014 Un killer di mafia scrive, insieme a un giornalista, un libro sulla sua carriera criminale che entra tra i finalisti di un premio letterario intitolato a Leonardo Sciascia e un componente della giuria si dimette per protesta. È accaduto al Premio Racalmare-Leonardo Sciascia, il cui vincitore sarà designato domenica sera nella piazza di Grotte, un paese dell’agrigentino confinante con Racalmuto, da una giuria popolare di lettori. L’opera "incriminata" si intitola "Malerba" (Mondadori), un’autobiografia scritta da Giuseppe Grassonelli, mafioso di Porto Empedocle (paese natale di un altro noto scrittore siciliano, Andrea Camilleri) condannato all’ergastolo per diversi omicidi, insieme al giornalista del Tg5 Carmelo Sardo. La decisione della giuria, presieduta dal giornalista e scrittore Gaetano Savatteri, di inserire l’opera tra i tre finalisti del Premio - per la cronaca gli altri due sono Caterina Chinnici con "È così lieve il tuo bacio sulla fronte" (Bairon) e Salvatore Falzone con il giallo "Piccola Atene" (Mondadori) - ha però suscitato l’immediata reazione di Gaspare Agnello, giurato storico del Racalmare e amico personale di Sciascia. In una lettera aperta pubblicata dal quotidiano "La Sicilia" Agnello, dopo avere sottolineato che Grassonelli "non è neanche un collaboratore di giustizia", si chiede: "È possibile che un ergastolano che si è macchiato di crimini efferati e le cui ferite sono vive nelle carni delle sue vittime partecipi a un premio letterario di cui sono stati protagonisti Sciascia, Consolo e Bufalino". Gli organizzatori del premio hanno fatto sapere che replicheranno ad Agnello nel corso della conferenza stampa che si svolgerà domani pomeriggio al Palazzo dei Normanni di Palermo, alla presenza dei tre autori finalisti. Immigrazione: se l’Italia e la Ue chiudono ai migranti la fortezza Europa di Gad Lerner La Repubblica, 29 agosto 2014 Annunciando con enfasi trionfalistica "il superamento di Mare Nostrum", Alfano ha ripetuto davanti alle telecamere per ben otto volte in tre minuti la parola frontiera. Altre parole-chiave: pattugliamento, presidio, sorveglianza, monitoraggio. Neanche una volta ha parlato di soccorso, salvataggio. Di fronte a un’opinione pubblica impaurita dalle guerre che insanguinano l’intera sponda meridionale del nostro mare, e quindi poco interessata a distinguere fra profughi e invasori, torna in auge la chimera di una Fortezza Europa. Il vecchio continente asserragliato sulla frontiera comune per respingere la minaccia esterna. Così Alfano ci ha presentato la nuova operazione Frontex Plus, varata a Bruxelles, come riposizionamento strategico dentro i confini di Schengen, cioè dentro le nostre acque territoriali. Queste, almeno, sono le sue orgogliose affermazioni: "L’Europa arretra la sua linea d’intervento. Si rimpossessa del controllo della sua frontiera ponendo le basi per il ritiro di Mare Nostrum". Ritiro da dove? Forse dalle acque internazionali da cui Mare Nostrum ha tratto in salvo decine di migliaia di persone? Peccato che la maggior parte dei naufragi - già costati duemila morti nel 2014 nonostante l’impegno generoso della nostra Marina militare - avvengano proprio in acque internazionali o a ridosso della costa libica. In futuro non saranno più affare nostro le tragedie che si consumano a sud delle acque territoriali italiane? Anche se non ufficialmente, i portavoce comunitari sposano la tesi denigratoria secondo cui Mare Nostrum avrebbe fornito un incentivo alle partenze. Gli scafisti impiegherebbero barche malridotte e con poco combustibile perché confidano nella premura degli italiani. L’emergenza provocata dall’inasprimento delle guerre mediorientali e africane viene derubricata a fattore secondario della crescita esponenziale del flusso migratorio. Come già negli anni bui dei respingimenti, ci illudiamo di scoraggiare criminali e fuggiaschi tramite l’attenuazione (se non addirittura l’omissione) del soccorso. Davvero pensiamo che un nostro eventuale disimpegno umanitario faccia breccia nella crudeltà degli uni e nella disperazione degli altri? Incorniciata nella retorica della frontiera, Alfano si è molto compiaciuto della ritrovata armonia con la commissaria europea agli Affari interni, Cecilia Malmström. Da novembre in poi l’Italia non sarà più sola; ci saranno navi, elicotteri e finanziamenti degli altri partner europei. Staremo a vedere, sarebbe un’ottima notizia. Ma intanto la Malmström ha tenuto a precisare che l’Ue fornirà all’Italia una "assistenza complementare", non di più. Richiesta di spiegare meglio cosa significhi "assistenza complementare", la commissaria di Bruxelles ha ribadito che Frontex Plus eserciterà opera di sorveglianza e monitoraggio solo entro e non oltre i limiti dell’area di Schengen. Dipenderà dal governo italiano stabilire se proseguire, e in che forma, l’operazione Mare Nostrum fuori dalle nostre acque territoriali. Magari le navi militari francesi, spagnole o di altri paesi, segnaleranno alla nostra Marina le emergenze, ma non parteciperanno comunque alle azioni di salvataggio extraterritoriali previste dal diritto internazionale. Il dilemma morale e la scelta politica che si pongono di fronte all’ecatombe in corso nel Canale di Sicilia vengono dunque interamente riconsegnati al nostro governo, in condizioni geopolitiche peggiorate rispetto al 2013. La fretta con cui Alfano proclama il superamento di Mare Nostrum si rivela una trovata demagogica, così come l’annunciata distruzione delle barche degli scafisti: forse che in passato qualcuno gliele riconsegnava? La retorica della frontiera meridionale blindata dall’Ue funge da esile copertura alle divisioni in cui si dibatte l’Europa di fronte alla vastità del dramma dei profughi e delle guerre in corso alle nostre porte. Nei colloqui di Bruxelles neanche si è affrontato il tema della revisione del trattato di Dublino che attualmente limita la validità dell’asilo politico al singolo paese in cui viene richiesto. Il guaio è che a tutt’oggi 25 paesi dell’Ue su 28 rifiutano di stipulare il "mutuo riconoscimento", cioè l’asilo politico europeo, che garantirebbe una più equa distribuzione dei richiedenti, senza gravare solo sulle nazioni di primo approdo. Tanto meno si parla di instaurare dei corridoi umanitari, passaggi indispensabili per sottrarre i fuggiaschi al monopolio delle mafie che li gestiscono. L’Ue resta sorda anche di fronte all’esigenza di costituire presidi nei paesi di transito per facilitare l’identificazione dei richiedenti asilo e vagliare in anticipo le loro domande. Attendiamo di conoscere nei prossimi giorni maggiori dettagli operativi su Frontex Plus. Ma se venisse confermato l’arretramento del raggio d’azione - e di conseguenza il rischio di un aumento del numero dei morti - di nuovo si riproporrebbe lo scaricabarile europeo sull’Italia: l’Ue al massimo ci aiuta a sorvegliare una frontiera marittima che resterà per sua natura comunque attraversabile; se poi l’Italia vorrà continuare l’opera di salvataggio intrapresa l’anno scorso dopo la strage di Lampedusa, ci diranno "bravi", ma resta una scelta nostra che non li riguarda. L’encomio di Bruxelles e la promessa di condividere gli oneri finora sopportati dall’Italia, rischiano di tradursi in una beffa se davvero il sistema Frontex Plus non ammetterà pattugliamenti a sud dell’area Schengen. Ci sarebbe poco di cui essere orgogliosi, caro ministro Alfano, a ritrovarsi sentinella di una frontiera solo apparente. Fare la voce grossa non consolerà le ansie degli italiani che dopo anni di allarmismo sparso a piene mani da una classe politica irresponsabile, oggi fanno i conti con una vera emergenza, provocata da guerre nel frattempo ignorate. Né ci esimerà dal fornire un’accoglienza comunitaria al flusso migratorio di chi avrà sempre e comunque più paura di restare in Africa che di attraversare il mare. Distruggere i barconi confiscati agli scafisti può fare un bell’effetto in televisione. Ai nostri governanti chiediamo di smantellare le organizzazioni criminali che li armano. Siria: 43 "caschi blu" detenuti nel Golan, altri 81 confinati nelle loro posizioni Ansa, 29 agosto 2014 Le Nazioni Unite confermano: 43 caschi blu sono stati detenuti da un gruppo armato in Siria e altri 81 sono confinati nelle loro posizioni nel Golan. L’ufficio del portavoce del Segretario Generale Ban Ki Moon ha detto che i caschi blu sono stati detenuti oggi all’alba durante "un periodo di aumentati combattimenti tra elementi armati e le forze armate di Damasco". Altri 81 peacekeepers "hanno i movimenti ristretti alle loro posizioni nei pressi di Ar Ruwayhinah e Burayqah". "Le Nazioni Unite stanno facendo ogni sforzo per assicurare il rilascio dei caschi blu e per riportare la piena libertà di movimento della forza in tutta la sua area di operazione", si legge in una nota del portavoce. Peacekeeper dell’Undof (United Nations Disengagement Observer Force) erano stati detenuti da elementi armati nel marzo e nel maggio 2013 e poi rilasciati senza conseguenze. L’Undof vigila dal 1974 l’accordo tra Siria e Israele dopo la guerra del 1973. In giugno il Consiglio di Sicurezza aveva prorogato il mandato del contingente, che conta circa 1200 caschi blu da sei paesi (Fiji, India, Irlanda, Nepal, Olanda e Filippine) fino al 31 dicembre 2014. Giustizia: due condannati a morte giustiziati, undici condanne eseguite dal dicembre 2012 Tm News, 29 agosto 2014 Due condannati a morte sono stati giustiziati in Giappone: sale così a tre il numero delle condanne eseguite quest’anno, 11 dal ritorno dei conservatori al governo, nel dicembre del 2012. Secondo la stampa giapponese nel corridoio della morte si trovano 125 detenuti: il ritmo delle esecuzioni tuttavia dipende dal titolare del dicastero della Giustizia, la cui firma è necessaria per procedere; nel 2011, anno in cui era al potere un governo di centrosinistra - e nonostante la maggioranza della popolazione sia favorevole alla pena di morte - non venne eseguita alcuna condanna.