Giustizia: prescrizione congelata e meno ricorsi in appello, ecco la riforma di Orlando e Renzi di Liana Milella La Repubblica, 27 agosto 2014 L’iceberg della riforma Orlando, quello che rischia di creare tensioni tra Pd e Ncd, e di bruciare la luna di miele con Forza Italia, è pronto. Nuova prescrizione, processo breve, stop alla possibilità di ricorrere, sempre e comunque com’è adesso, in Appello e in Cassazione, patteggiamento allargato per reati fino a 8 anni ma solo se c’è la piena confessione. La tanto deprecata legge ex Cirielli, che tagliò di un terzo i tempi della prescrizione e favorì Berlusconi, resta al suo posto, e questo sicuramente lascia l’amaro in bocca ai magistrati. Per giunta rientra in scena una fotocopia del processo breve, per non scontentare gli alfaniani. Ma proprio Berlusconi, se dovesse entrare in vigore la riforma Orlando, si vedrebbe preclusa la possibilità di ricorrere alla Suprema corte qualora dovesse incassare una condanna identica sia in primo che in secondo grado. Un esempio? Nel caso del processo Mediaset, dove Berlusconi è stato condannato nei primi due gradi di giudizio, non avrebbe avuto la possibilità del ricorso in Cassazione, proprio per via della famosa "doppia sentenza conforme", in questo caso di condanna. In forza di una legge come questa, molti imputati vedrebbero avvicinarsi la sentenza definitiva in tempi molto più rapidi, con tutte le conseguenze che questo comporta. Siamo dunque al più importante giro di boa della riforma della giustizia Renzi-Orlando che approderà a palazzo Chigi tra due giorni. La parte penale. E come sempre, quando si mette mano a questo capitolo, scattano i campanelli d’allarme. Una prima avvisaglia s’è avuta ieri quando, da via Arenula, sono usciti con le facce scure sia l’Anm che le Camere penali. Incontri che avrebbero dovuto essere "segreti", ma soprattutto gli avvocati non si sono tenuti niente perché di questa riforma a loro non piace nulla. A cominciare dalle intercettazioni, dove la stretta, seppur rinviata nel tempo, prevede che i testi siano dati solo per riassunto, soprattutto nel caso dei terzi coinvolti ma non indagati. Ma è su prescrizione e processo breve che oggi il Guardasigilli Andrea Orlando dovrà convincere prima la maggioranza e poi l’opposizione. Anticipiamo che cosa racconterà. A partire dalla prescrizione, l’osso duro con cui non è riuscita a misurarsi neppure l’ex ministro Paola Severino, una "prof" di diritto penale. Il meccanismo ideato è il seguente: non si cambia la legge ex Cirielli, e questo già scontenta l’Anm, perché continueranno a esserci reati gravi come la corruzione che hanno una prescrizione corta. In compenso, le lancette dei tempi consentiti per esercitare l’azione penale si fermano con il primo grado, se l’imputato viene condannato. Ma per evitare che il dibattimento duri all’infinito, ecco riapparire il famoso processo breve di berlusconiana memoria. Lui l’avrebbe voluto per far scadere i suoi processi che erano durati molto a lungo, Orlando lo propone come contraltare a una prescrizione che si ferma. Ci saranno due anni di tempo per fare l’appello, dopo ripartirà la prescrizione. In pratica, spiegano i tecnici, è come se i tempi attuali si allungassero di due anni. Un intervento che Orlando considera importante comporta una rivoluzione del processo. Entrano in scena i filtri sia per l’Appello che per la Cassazione. Non saranno più liberi, come prevede attualmente il codice: sia il condannato che il pm non potranno appellarsi sempre e comunque. Questo ovviamente farà diminuire il numero dei processi e il loro tempo. A Ncd l’ipotesi non piace, perché, come dice il vice ministro della Giustizia Enrico Costa, "il 36-37% delle sentenze viene riformato proprio in appello. Siamo scettici, ma c’è tempo per raggiungere un equilibrio". La richiesta, visto che le intercettazioni sono ferme, è di rinviare anche la parte penale. Una sezione dei famosi 12 punti decisamente ricca di sorprese. Basti pensare al filtro anche in Cassazione, con il blocco in caso di "doppia conforme", una modifica radicale di cui si parla da anni, ma che non si è mai riusciti a realizzare nonostante la Suprema corte scoppi. Faranno discutere anche le novità sul patteggiamento, che diventerà possibile per i reati fino a 3 anni, dai 2 attuali. Ritorna la possibilità di patteggiare in appello, ma soprattutto il cosiddetto "patteggiamento allargato" diventa possibile per reati puniti fino a 8 anni, ma soltanto se l’imputato accede a una confessione piena. Considerando che lo sconto è di un terzo della pena, è evidente che il vantaggio per l’imputato è notevole. Nel pacchetto del ministro Orlando anche il patteggiamento allargato ai reati fino a 8 anni. E resta la legge Cirielli. Giustizia: il Governo stringe su responsabilità magistrati, affondo di Grillo contro Orlando di Tommaso Labate Corriere della Sera, 27 agosto 2014 Abbattimento del filtro, nel senso che ciascun cittadino potrà far causa. E sanzione misurata sulla base dello stipendio del giudice. Sono questi i punti chiave del ddl sulla responsabilità civile dei magistrati che ieri sera - insieme al decreto legge sulla degiurisdizzazione (che sana i processi arretrati) e al ddl sulla riforma del processo civile - ha viaggiato dal ministero della Giustizia a Palazzo Chigi. Pronto per essere portato nel preconsiglio dei ministri che dovrebbe andare in scena domani. E poi ci sono gli enigmi. I punti della riforma della giustizia che saranno discussi oggi dalla maggioranza. Che riguardano le intercettazioni, che nell’ottica del ministero della Giustizia non dovrebbero finire nel testo che sarà varato venerdì. E anche la prescrizione, che invece ci finirà di sicuro, e che potrebbe essere riformata con una "sospensione" - per due anni in appello e uno in Cassazione - dopo il processo di primo grado. Eppure, dopo l’incontro di ieri tra Andrea Orlando e l’Unione delle camere penali, anche delle intercettazioni si continua a parlare con insistenza. Al punto che, tra i boatos, circola con insistenza l’ipotesi di una estensione dell’"area di segretezza" (non si potrebbero trascrivere più i colloqui occasionali tra avvocato e assistito), senza però nessun riferimento alle sanzioni per le pubblicazioni "vietate". Ipotesi adombrate anche dal presidente degli avvocati penalisti Valerio Spigarelli, secondo cui "questa non è una riforma" anche perché manca il tema della "terzietà del giudice". Ma è tutto lì, il nodo del dibattito che verrà sciolto oggi dalla maggioranza, quando al ministero di via Arenula arriveranno le delegazioni del Pd e del Ncd. Nel combinato disposto intercettazioni-prescrizione. Nel triangolo Palazzo Chigi-Orlando-Alfano, sembrava maturata la scelta di un principio chiave: "O si interviene sia su prescrizione che su intercettazioni, o si rinviano entrambi". Ma stabilito il principio, come ci si muove? Semplice. Il governo potrebbe intervenire su entrambi i punti. Non in maniera definitiva, bensì con lo strumento più "light" che esista. E cioè la "delega". Le prime carte saranno giocate sul tavolo oggi, durante gli incontri tra Orlando e i partiti di maggioranza e opposizione. FI ci sarà, così come parteciperà anche la Lega. "Chiediamo di reintrodurre il carcere per gli spacciatori e il reato di clandestinità, di creare una norma anti Kabobo ovvero no a sconti di pena e benefici per i criminali pericolosi, una legge sulla prostituzione per bloccare il racket e il degrado sociale e per recuperare dai 5 agli 8 miliardi di euro", annunciano Erika Stefani e Nicola Molteni, i capigruppo del partito guidato da Matteo Salvini. Non ci sarà, invece, il Movimento 5 Stelle. "Non parteciperemo ad alcuna discussione sulla cosiddetta riforma della Giustizia", ha scritto Beppe Grillo sul suo blog, bollando la riforma come "a misura di ladri" e Orlando come "ministro senza dignità". Tra l’altro, il comico genovese ha raccomandato ai parlamentari "di rilasciare il minor numero possibile di interviste ai giornali in quanto vengono sistematicamente stravolte". Intanto al ministero di via Arenula, a tarda sera, molte luci erano ancora accese. Tra decreto sulla giustizia civile, ddl su riciclaggio e possibili "deleghe" su intercettazioni e prescrizione, da lavorare ce n’era ancora parecchio. Giustizia: proposte di Magistratura Democratica su 12 punti riforma del processo civile Adnkronos, 27 agosto 2014 Un "contributo" ma "senza pretese di esaustività" su "molti dei punti oggetto delle proposte riformatrici del Governo" e la disponibilità "a discuterne con le istituzioni interessate nonché con i magistrati, l’Avvocatura e l’Accademia". Magistratura democratica interviene nel dibattito sulla riforma della giustizia e pubblica sul sito le sue prime proposte, che saranno poi integrate, su 6 dei 12 punti ai quali sta lavorando il ministero: giustizia civile, riduzione dei tempi e dimezzamento dell’arretrato; corsia preferenziale per imprese e famiglie, norme contro la criminalità economica, informatizzazione integrale e innovazione organizzativa del sistema giudiziario, riqualificazione del personale amministrativo. Md, spiega una nota, "sta seguendo con attenzione le proposte di riforma in materia di giustizia annunciate dal ministro Orlando e che dovranno essere discusse in Consiglio dei ministri il 29 agosto 2014 o nella diversa data che sarà definita. Spetta a tutti gli operatori del diritto cercare le strade per dare risposte sempre più adeguate e più veloci alle domande di giustizia che provengono da cittadini. Magistratura Democratica "non intende solo declamare i diritti ma anche contribuire a tracciare i percorsi, fuori e dentro la giurisdizione, che rendano i diritti più effettivi, seguendo una impostazione che da molti anni l’ha vista protagonista di proposte di intervento nelle materie ordinamentale, processuale, sostanziale, organizzativa". Giustizia: Ucpi; quella del Governo non è una vera riforma, manca la terzietà del giudice Adnkronos, 27 agosto 2014 "Quella che il governo si appresta a varare non è una vera riforma della giustizia. Perché si possa parlare di una reale riforma di struttura, mancano interventi che assicurino la terzietà del giudice, un efficace controllo sull’obbligatorietà dell’azione penale, oltre che un corretto ed equilibrato rapporto tra il giudiziario e gli altri poteri dello Stato". Lo ha detto il presidente dell’Unione Camere Penali, Valerio Spigarelli, che ieri mattina ha incontrato il guardasigilli Andrea Orlando. "Non si conoscono gli articolati, ma dalle anticipazioni ricevute dal ministro emergono alcune fortissime criticità. In particolare nonostante obiettivi aggiustamenti rispetto alle anticipazioni dei giorni scorsi - ha osservato Spigarelli - non sono assolutamente condivisibili le previsioni in tema di prescrizione, con la sospensione della stessa in caso di condanna, per due anni in appello e uno in Cassazione, senza però l’eliminazione di doppi binari, ivi incluse le ipotesi speciali per reati colposi, ovvero delle ipotesi di interruzione, o ancora senza l’introduzione di qualche forma di controllo giurisdizionale sui tempi di esercizio dell’azione, incredibilmente, visto che quasi il 70% dei casi di prescrizione si verifica negli armadi delle Procure. Manca poi una verifica delle modalità di iscrizione nel registro notizie di reato dei pm". Inoltre, denuncia il leader dei penalisti "viene ridotto drasticamente il diritto di difesa prevedendo la sola ipotesi della violazione di legge come titolo di ricorso per Cassazione nei casi di doppia conforme di condanna; allo stesso modo l’appello, non più a forma libera ma per ipotesi tipizzate, nasconde l’intento di falcidiare finanche il secondo grado di giudizio". Anche sulle intercettazioni le ipotesi allo studio non appaiono condivisibili ai penalisti. "Invece di imboccare la strada più semplice, cioè quella di sanzionare la pubblicazione in violazione di un divieto che già è previsto, quello dell’art. 114 del codice di procedura penale, si vuole estendere l’area della segretezza, con l’effetto non secondario di complicare, se non vanificare, il diritto di difesa". Insomma, l’impressione dei penalisti è "che si voglia accorciare i processi buttando via il bambino delle fasi dibattimentali e tenendosi l’acqua sporca dei lunghissimi tempi morti che si consumano nel chiuso, e nel buio più completo, degli uffici di Procura". Un giudizio netto, che non parte da una opposizione preconcetta, però. "Non possiamo non riconoscere - ha spiegato Spigarelli - come alcune delle proposte delle Camere Penali siano oggi sul tavolo del Governo; mi riferisco in primo luogo alla responsabilità civile dei magistrati, mantenuta dal Ministro a dispetto del cannoneggiamento iper-corporativo dell’Anm e dei suoi house organ, ma anche all’abbandono di ipotesi di allungamento generalizzato della prescrizione ordinaria, che si voleva portare sic et simpliciter ad 8 anni, in contrasto con l’auspicata brevità dei processi". Ma soprattutto "viene finalmente avanzata l’ipotesi di modifica dell’articolo 103 del codice di procedura, con il divieto trascrivere le intercettazioni ‘occasionali’ tra difensore ed indagato" che "rappresenta sicuramente la presa d’atto di un gravissimo problema, quello della sistematica violazione della segretezza delle conversazioni tra gli avvocati e i loro assistiti, che le camere penali stanno denunciando in questi anni anche a suon di astensioni". "Per tutte queste ragioni è forte l’allarme dei penalisti - ha concluso Spigarelli. Ci riserviamo ovviamente di analizzare nel dettaglio i testi definitivi che verranno varati dal governo, e che ancora non sono noti, confidando che nel Consiglio dei Ministri di venerdì ma anche da parte delle opposizioni, maggiormente sensibili a questi argomenti, le nostre osservazioni siano raccolte e sostenute . I penalisti, dal canto loro, sono mobilitati da tempo e pronti a battersi per assicurare ai cittadini una giustizia più giusta ed efficace". Giustizia: Lega; sei proposte di legge per Orlando, no a clandestini e norme anti Kabobo Agi, 27 agosto 2014 "Andiamo da Orlando e gli consegniamo sei proposte di legge concrete sulla giustizia". È quanto affermano in una nota Erika Stefani e Nicola Molteni, capigruppo Lega Nord in commissione Giustizia di Senato e Camera. "Proposte che hanno un unico obiettivo: tutelare le vittime dei reati, garantire la sicurezza dei cittadini e la certezza della pena per i criminali. Esattamente il contrario di quello che ha fatto sino a oggi la sinistra che ha invece tutelato solo criminali, spacciatori e clandestini", scrivono. "Chiediamo di reintrodurre il carcere per gli spacciatori e il reato di clandestinità, di creare una norma anti Kabobo ovvero no a sconti di pena e benefici per i criminali pericolosi, una legge sulla prostituzione per bloccare il racket e il degrado sociale e per recuperare dai 5 agli 8 miliardi di euro. Ancora - aggiungono i parlamentari leghisti - accordi bilaterali per far scontare ai detenuti stranieri la pena nel paese di origine visto che oggi i detenuti stranieri costano quasi 1 miliardo di euro e in ultimo chiediamo di introdurre il reato di omicidio stradale per punire severamente chi distrugge la vita altrui senza scontare un giorno in galera". "Sul resto della riforma non ci attendiamo nulla di nuovo, è in alto mare, siamo ancora ai titoli, tanto fumo ma niente arrosto", concludono gli esponenti del Carroccio. Il sì della Lega arriva dopo il rifiuto del M5s a incontrare il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Giustizia: vent’anni dopo una riforma è possibile di Walter Verini Europa, 27 agosto 2014 Certo, se dalle parti di Forza Italia e dintorni si pensasse ancora che l’ultimo ventennio, in materia di giustizia, sia stato caratterizzato solo da una sorta di caccia all’uomo da parte della magistratura nei confronti di Berlusconi, e se da qui si facessero discendere - per esempio - proposte tese a limitare l’indipendenza dei giudici, a non "ripenalizzare" adeguatamente reati legati alla criminalità economica come il falso in bilancio, a limitare l’uso delle intercettazioni nella fase delle indagini, a utilizzare la prescrizione non come possibilità processuale, ma come strumento di impunità, beh, allora non sarà facile che la riforma della giustizia che il governo si appresta a proporre al parlamento e al paese possa vedere una condivisione più ampia della stessa maggioranza. Certo, se si pensa e si vaneggia - come dalle parti di 5 Stelle - di inesistenti "patti scellerati", rifiutando offensivamente persino il confronto. Se si assumono posizioni che lasciano a casa ogni parvenza di garantismo in nome di forcaiolismi e populismi vari (copie riverniciate di armamentario della destra più becera o del leghismo del cappio) beh, sarà un’altra occasione perduta dal movimento di Grillo di passare da atteggiamenti di rabbia inconcludente a posizioni che aiutano a cambiare il paese. In ogni caso, l’occasione per cambiare - con la giustizia - un ganglio vitale per la civiltà e per il futuro dell’Italia c’è. Il governo Renzi, con il lavoro intelligente e paziente del ministro Orlando, ha definito una vera e propria riforma di sistema, che a partire dalla velocizzazione e semplificazione del Civile, delinea davvero - nel solco dei cardini della Costituzione e della separazione dei poteri - un sistema giudiziario sano e moderno. Questo, tra l’altro, è avvenuto con un metodo che più che mai, in questo caso, è sostanza. Dopo anni e anni di incomunicabilità, di scontri, tutte le componenti della giustizia italiana (le magistrature e le loro associazioni), le organizzazioni rappresentative del mondo forense hanno partecipato alla definizione dei contenuti delle linee guida, e le proposte che il consiglio dei ministri licenzierà venerdì sono il frutto di questo lavoro, di questo confronto intenso. Non era scontato. Certo ci sono, ci saranno, punti sui quali anche queste componenti manterranno obiezioni e riserve. Ma sui punti di fondo, la sintesi è stata trovata e sarà poi il confronto parlamentare ad arricchirla ancora. L’auspicio è che il consiglio dei ministri del 29 possa licenziare la riforma nel suo insieme (civile, ordinamentale e penale) e dare al paese e all’Europa uno straordinario segnale di innovazione di sistema. Ma questo segnale ci sarebbe ugualmente, beninteso, anche se il consiglio dei ministri - insieme alla scuola e al cosiddetto sblocca-Italia - decidesse di partire con le riforme che riguardano il civile (abbattimento dell’arretrato, specializzazione dei tribunali innanzitutto per famiglie e imprese - un anno di tempo per i procedimenti, forte impulso all’informatizzazione e al processo telematico già efficacemente avviato). Sarebbe un grande segnale innanzitutto per i cittadini italiani, angosciati da quegli oltre cinque milioni di procedimenti che intasano i tribunali e dai tempi biblici per una sentenza definitiva. E lo sarebbe per migliaia e migliaia di imprese che vedono da anni bloccate le proprie azioni per ottenere un credito, per definire un contenzioso e, quindi per poter agire sul mercato senza queste zavorre che ne limitano l’agibilità e la competitività. E sarebbe un grande davvero uguale per tutti (e tra i "tutti" inetto innanzitutto i cittadini più indifesi e più marginalizzati, le schiere di vecchi e nuovi poveri che non hanno possibilità di tutelarsi). Sarebbe importante per il paese che questa nuova pagina che il governo aprirà fin da venerdì, possa essere scritta con il più ampio contributo parlamentare di culture politiche e sensibilità giuridiche. Noi lavoreremo per questo. Giustizia: la prescrizione è il vero nodo della riforma di Stefano Passigli La Stampa, 27 agosto 2014 Le misure messe a punto da Orlando che andranno ora al vaglio del Consiglio dei ministri e dei partiti costituiscono, per la loro organicità, il più serio tentativo di riforma della giustizia da molti anni a questa parte. Che con un semplice mix di misure organizzative e di semplificazione si possa conseguire risultati sorprendenti Orlando lo ha già dimostrato. Il ministro della Giustizia ha ottenuto, senza indulti o amnistie, una riduzione di 10.000 unità della popolazione carceraria evitando così all’Italia i rigori dell’Unione Europea. Anche l’introduzione dell’obbligatorietà del processo civile telematico sta mostrando che pragmatismo ed innovazione molto possono per velocizzare i tempi della giustizia. Analogamente dicasi per la creazione di strutture specializzate nelle vertenze tra imprese o nel diritto di famiglia, e infine per il progettato accorpamento dei distretti giudiziari che riducendo il numero di corti d’appello e procure generali libererà risorse preziose per la giustizia penale. I veri nodi che da anni hanno impedito una condivisa riforma della giurisdizione e del nostro ordinamento vanno però al di là di quanto può fare il solo Guardasigilli: riforma del sistema elettorale e della sezione disciplinare del Csm; responsabilità civile dei magistrati; e soprattutto regime delle intercettazioni e prescrizione richiedono infatti - come più volte suggerito dal Capo dello Stato - un ampio accordo parlamentare. Anche su questi temi va dato atto che, al contrario di molti precedenti tentativi - si pensi al pur meritorio pacchetto Flick, il governo non si è limitato a misure di dettaglio ma ha affrontato i veri nodi irrisolti del problema giustizia. Condivisibili appaiono gli orientamenti del Guardasigilli in materia di sistema elettorale del Csm (la scelta di piccoli collegi elettorali per limitare il peso delle correnti appare corretta), e di separazione tra la sezione disciplinare e le altre commissioni dell’organo di autogoverno (mentre la creazione di una Alta Corte richiederebbe una legge costituzionale). Sicuramente da sostenere è inoltre la fermezza con cui Orlando, pur aprendo all’esigenza di nuove norme in materia di responsabilità civile, ha opposto un netto rifiuto alla possibilità di un’azione diretta del cittadino contro il suo giudice. Analogamente apprezzabile è l’equilibrata posizione assunta sulle intercettazioni, di cui viene riconosciuto l’indispensabile ruolo nel perseguimento di alcuni reati, ma anche la necessità di arginare la loro indebita divulgazione contemperando diritto alla privacy e diritto all’informazione. In questo panorama largamente positivo desta invece perplessità la annunciata volontà di limitarsi a prevedere l’interruzione della prescrizione tra le varie fasi del processo senza mutare la natura dell’istituto nato nel contesto di una giurisdizione radicalmente diversa dall’attuale, con il rischio di allungare comunque i tempi dei processi. L’obiettivo di diminuire l’elevato numero di processi che cadono in prescrizione (ben 180.000 all’anno) è sicuramente condivisibile, ma anche se la soluzione proposta potrebbe tradursi in un significativo incremento dei procedimenti che giungono a sentenza definitiva, ciò avverrebbe a spese di una maggiore rapidità del processo penale. In tutti i paesi del mondo, ad eccezione di Italia e Grecia, la prescrizione limita il lasso di tempo che può intercorrere tra un reato e la sua perseguibilità. In altre parole la prescrizione non agisce nel giudizio, essendo preminente l’interesse pubblico che si giunga a sentenza definitiva. Ciò ha importanti effetti sui tempi della giustizia e sulle strategie della difesa: se la prescrizione agisce anche nel giudizio non vi è penalista che non sia obbligato dalla deontologia professionale a sfruttare ogni possibilità procedurale per giungere al proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato. Il ricorso a riti alternativi quali il patteggiamento viene così a limitarsi ai reati minori o ad imputati abbienti, introducendo nel processo penale una ulteriore distorsione lesiva del fondamentale principio dell’eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge. La scelta di sospendere la decorrenza della prescrizione tra le varie fasi del processo, pur incrementando il numero di procedimenti portati a compimento, non si tradurrebbe dunque in una velocizzazione dei tempi della giustizia, ma in un ulteriore aumento dei processi pendenti. Appare dunque preferibile uniformarsi al modello vigente in tutti gli ordinamenti europei e nord-americani: prescrizione ricondotta al suo significato di limite temporale alla perseguibilità dei reati, e dunque più breve dell’attuale, ma che non agisce nel giudizio. L’obiezione che una simile ridefinizione dell’istituto non troverebbe il consenso di alcuni partiti (in particolare di Forza Italia e Ncd) può essere superata prevedendo che ai procedimenti già iniziati si continui ad applicare l’attuale regime in quanto più favorevole all’accusato, o almeno prevedendo che la prescrizione venga meno in caso di appello a condanne in primo grado, garantendo però tempi certi e brevi per il giudizio di secondo grado. Quella che si annuncia come la migliore delle riforme del governo Renzi, si avvantaggerebbe ulteriormente se portasse a compimento anche la modifica della prescrizione, uniformandola all’istituto vigente in tutte le grandi democrazie, ed eliminando così lo scandalo di imputati che potendosi permettere costosi collegi di difesa riescono ad evitare, anche dopo numerose condanne in primo e secondo grado, la sentenza definitiva. Da istituto di garanzia la prescrizione è oramai divenuta in Italia uno scudo a protezione dei colpevoli ed una fonte di impunità. Dobbiamo augurarci che almeno i partiti di un governo che auspica di cambiare verso al nostro paese acconsentano a cambiare verso anche alla prescrizione accomunandoci così al resto del mondo. Giustizia: il carcere risarcito non basta, ci vogliono nuove prigioni ma non le fanno di Giovanna Corrias Lucente www.blitzquotidiano.it, 27 agosto 2014 Il carcere per antonomasia, Regina Coeli a Roma: è del 1654, convertito da convento in prigione nel 1881. Le condizioni nelle carceri in Italia sono da tempo degradanti: il numero di detenuti, sia definitivi che in custodia cautelare, supera le capacità ricettive degli istituti, con conseguente sovraffollamento che rende disumane le condizioni di vita individuali. Che il mantenimento di tale sistema fosse intollerabile lo aveva decretato la Corte europea di Strasburgo, con la sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013. La situazione è stata riconosciuta tanto allarmante da convincere la Corte ad emanare una sentenza cosiddetta "pilota", ossia una decisione che - oltre a pronunziarsi sul caso concreto - impone allo Stato membro di adottare concrete misure entrò un termine individuato. Nel caso la Corte ha affermato: "Lo Stato convenuto dovrà, entrò un anno, a decorrere dalla data in cui la presente sentenza sarà divenuta definitiva… istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario". La grave decisione è germinata da due ricorsi proposti da alcuni detenuti dei carceri di Busto Arsizio e Piacenza. Segnatamente, è esemplare che nel carcere di Busto Arsizio le celle erano soltanto di 9 metri quadrati ed occupate da almeno tre persone, a Piacenza oltre simile situazione, difettava l’illuminazione. Il magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia accertava che l’istituto nel 2010, pur avendo capienza per 178, fino a un massimo di 376 detenuti, ne aveva ospitato fra i 411 e i 415. In adempimento del monito, l’Italia ha provveduto, prima con il d.l. n. 92 del 2024, convertito con la L. 11 agosto 2014 n. 117, entrata in vigore il 21 agosto. La fondamentale norma (art. 1 della legge che inserisce l’art. 35 ter nell’ordinamento penitenziario) prevede che venga ridotta di un decimo la pena da espiare (un giorno ogni dieci) quando sia stata eseguita in violazione dell’art. 3 della convenzione dei diritti dell’uomo. Nei casi di pena espiata, che non doveva essere eseguita o che sia inferiore ai quindici giorni è stabilito un risarcimento della misura di 8 euro quotidiani. Il risarcimento si richiede, in corso di detenzione, con ricorso al competente magistrato di sorveglianza; negli altri casi al Tribunale civile. Ne sortiranno quantità notevoli di ricorsi e, per ogni caso, sarà necessario stabilire l’effettiva violazione dell’art. 3 della Convenzione. A questo riguardo, non si dovrebbe ricorrere a presunzioni, ma a concreti accertamenti, secondo il modello della citata ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia. Per quanto riguarda l’efficacia, la liberazione anticipata sembra una misura di tentato riequilibrio di situazioni drammatiche, meno valido appare il modesto risarcimento pecuniario. Per la prima volta è superato il tabù linguistico e si scrive apertamente di risarcimento, mentre sinora si utilizzavano termini edulcorati, come equo indennizzo, persino per la custodia preventiva rivelatasi ingiustificata. Si tratta in ogni caso di una misura-tampone che non risolve strutturalmente il problema della detenzione inumana. A questo riguardo più interessante la reiterata norma sulla nuova edilizia carceraria che resta però da anni lettera morta. Giustizia: intervista a Francesco Gianfrotta. "Priorità riforma? Prescrizione e carcere" di Eleonora Martini Il Manifesto, 27 agosto 2014 Il Presidente della sezione Gip di Torino: "Il capo del Dap in base a un progetto di riforma". L’accordo possibile tra Pd e Ncd sulle intercettazioni "rischia di creare ulteriori problemi". "La questione fondamentale è la prescrizione. Mentre sulle intercettazioni si rischia che i rimedi siano peggiori del male, e non mi sembra una priorità rispetto ai problemi della giustizia italiana". Francesco Gianfrotta, presidente della sezione Gip di Torino, in queste ore si interroga - come probabilmente fa tutto il mondo della magistratura - sulle conseguenze di una riforma della giustizia penale che tocchi questi due nodi, centrali per un possibile accordo tra il Pd e il Ncd, in vista del Consiglio dei ministri di dopodomani dove è atteso il pacchetto di provvedimenti a cui sta lavorando da tempo il Guardasigilli Andrea Orlando, oltre al decreto legge sulla giustizia civile. Il ministro proprio questa mattina incontrerà sul tema i partiti di maggioranza e nel pomeriggio le opposizioni. Ma a via Arenula sono ore decisive anche per la scelta del nuovo capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, posto vacante, dopo Giovanni Tamburino, dalla fine di maggio. Gianfrotta, che dal 1999 al dicembre 2001 è stato direttore dell’Ufficio centrale detenuti e trattamento del Dap, conviene: "Non necessariamente deve essere un magistrato, certo. Ma se nella scelta si seguirà la logica degli equilibri tra correnti politiche, non si farà altro che indebolire il profilo di chiunque verrà scelto - dice. I nomi, in un Paese normale, dovrebbero venire fuori solo dopo aver deciso un programma di riforma". Intercettazioni sintetizzate e non trascritte completamente; prescrizione bloccata dopo il primo grado; responsabilità civile indiretta ma effettiva delle toghe. La trattativa tra il centrodestra e i democratici sembra sia ferma qui. Che ne pensa? Il punto fondamentale è la prescrizione: siamo l’unico Paese in cui continua a correre fino alla sentenza definitiva. Perciò ha il mio consenso tutto ciò che va nella direzione di una razionalizzazione, con la cessazione del decorso del termine di prescrizione prima della fine del processo. Su questo la magistratura da tempo ha una posizione unitaria, diversa verosimilmente da quella del ceto degli avvocati. Sulle intercettazioni invece posso dire che sono uno strumento di indagine utilissimo, sulla cui fruibilità ritengono non si debba regredire di un centimetro rispetto alle leggi attuali. Attenzione invece a non introdurre rimedi che siano peggiori del male. Imporre al giudice di sintetizzare il contenuto credo sia una soluzione difficilmente appagante e pericolosa, perché qualunque sintesi espone al rischio di un soggettivismo interpretativo che il testo integrale non presenta. Non ci illudiamo di risolvere così tutti i problemi: potremmo averne creati di nuovi. Altra questione è la divulgazione sulla stampa e sui media… Che si affronta facendo appello alla deontologia dei giornalisti, e non a quella dei magistrati? Certamente il problema della fuga di notizie c’è sempre, evidentemente. È un reato, e come tale da perseguire. Ma è anche la cosa più difficile da fare. Più facile è richiedere un po’ di autoregolamentazione da parte della categoria dei giornalisti. Anche l’Europa ci ha condannato per casi di negligenza da parte di alcuni magistrati. Non crede che qualcosa debba cambiare, nella responsabilità delle toghe? Non sono convinto: con le attuali leggi lo Stato avrebbe potuto agire in sede di rivalsa più di quanto abbia fatto, come era nelle sue facoltà. Per fortuna abbiamo evitato il rischio di imporre la responsabilità diretta dei giudici, che mi sembra la cosa più stupida che si poteva fare. Se il problema non è la rivalsa ma il risarcimento, l’importante è che qualcuno lo paghi. Ma al di là di questa osservazione generale, chiedo: la responsabilità dei magistrati è la priorità della giustizia oggi? Sul fronte carcere: l’emergenza sembra finita… Il sovraffollamento può riprodursi sempre se non si interviene in modo strutturale sul rubinetto, cioè sulle pene alternative. Ma c’è ancora molto da fare soprattutto sull’aspetto della vita detentiva. Qui c’è bisogno di un segno riformatore di ampio respiro, di una svolta culturale. La domanda fondamentale che devono porsi ministro e Dap è: la pena che oggi scontano la maggioranza dei detenuti è utile, come impone l’articolo 27 della Costituzione, o addirittura può essere dannosa? Sono convinto che la pena detentiva è utile solo se non è brevissima. Vale la pena per la società affrontare questo alto costo - non solo in termini economici - complessivo del carcere solo se il tempo di detenzione è sufficientemente lungo per indurre un cambiamento. Al di sotto di una certa soglia è pura costrizione, senza benefici. Se questa è un’idea condivisa, come legislatore punterei a non far scontare il carcere a nessuno. Costruirei un sistema di sanzioni alternative per pene inferiori a una certa soglia, investendo risorse e potenziando gli uffici di esecuzione penale esterna che sarebbero al centro di questa riforma. E allora chi vedrebbe bene come capo del Dap? I procuratori Slavi e Melillo - i candidati in pole - oppure qualcuno che non sia un magistrato, come Mauro Palma? Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Sono tre nomi degnissimi, tutti adatti al compito. E tempo addietro sono stati fatti anche altri nomi di persone altrettanto valide. Ma io credo che vada scelto dopo aver deciso un progetto di riforma. Se convergiamo su un modello più responsabilizzante del carcere, come io credo, il capo del Dap deve lavorare per un cambiamento radicale delle condizioni di detenzione. E trasformare il carcere in una pena utile. Giustizia: intervista a Pietro Buffa (Dap). "È stato un detenuto ad aprirmi gli orizzonti" di Pietro Vernizzi www.ilsussidiario.net, 27 agosto 2014 Si terrà oggi al Meeting di Rimini l’incontro dal titolo "Testimonianze dalle periferie: libertà dietro le sbarre", moderato da Nicola Boscoletto, presidente del Consorzio Sociale Giotto. Tra i relatori che parteciperanno ci sono Rosa Alba Casella, direttore del carcere di Modena, Guido Brambilla, magistrato di sorveglianza del tribunale di Milano, Patrizia Colombo, Responsabile di Progetto della cooperativa Homo Faber, e Massimo Parisi, direttore della casa di reclusione di Bollate. Ne abbiamo parlato con Pietro Buffa, dirigente generale Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) al ministero della Giustizia e provveditore regionale dell’Emilia Romagna. È giusto parlare di carcere come periferia? Sì, mi sembra corretto del carcere come di una periferia, perché è una realtà che raccoglie tutte quelle persone e situazioni che la società non riesce a gestire e sposta verso l’esterno della vita condivisa. Il titolo dell’incontro del Meeting è "libertà dietro le sbarre". Carcere e libertà sono due termini contrapposti? Sicuramente carcere e libertà sono due termini che si contrappongono. Poi bisogna vedere il significato e la pratica cui ci si riferisce quando si parla sia di carcere sia di libertà. Ci sono persone libere che si sentono in carcere perché non riescono a fare nulla della loro libertà, e persone che in carcere ritrovano se stesse e motivazioni di vita che prima non avevano trovato. Certamente però sono due termini molto controversi. Lei è dirigente generale del Dap. Come vive questo ruolo di responsabilità che le è affidato? Lavoro nell’amministrazione penitenziaria da diversi anni e ho svolto gran parte del mio servizio in carcere. Ho cercato di mettere a disposizione le mie energie e le mie capacità per cercare di migliorare, di comprendere e di rendermi utile al mondo del carcere. Proprio alla luce di questa sua esperienza, che cosa serve di più oggi al mondo del carcere? Occorre riflettere sugli strumenti che abbiamo a disposizione sia all’interno sia all’esterno del carcere, per capire se questo nostro modello sociale, economico e anche punitivo soddisfi ancora delle esigenze sociali generali oppure no. È una riflessione che non riguarda però solo il carcere, che deve essere sempre letto in funzione del suo legame con la collettività. Il carcere insomma non è un elemento diverso dalla società che lo contiene. Quali modelli alternativi al carcere ritiene che vadano privilegiati? Esistono un po’ ovunque modalità diverse di punire le persone rispetto al carcere. In alcune epoche storiche alcune hanno dato dei risultati, in altre invece questi modelli non sono stati soddisfacenti. È un continuo divenire, non c’è una soluzione uguale per tutti, ma occorre riflettere su che cosa è utile a chi commette reati, alle vittime e in genere alla società. Ci può raccontare l’episodio che lo ha segnato di più lungo la sua carriera? Ricordo una circostanza in cui un detenuto mi fece presente che l’avevo aiutato a cogliere il suo processo di maturazione nel corso del tempo. Quest’uomo era entrato nel carcere molto giovane, l’avevo aiutato a studiare fino a laurearsi e arrivato a 40 anni mi disse: "Non so che cosa farò una volta uscito, sicuramente però non sono più quello che ero, cioè un ragazzo illetterato come al momento del mio ingresso". Questo mi colpì molto perché mi fece prendere atto di come a volte una quotidianità professionale possa aiutare magari anche inconsapevolmente delle persone a trovare nuovi punti di vista. Giustizia: oggi a Roma protesta Sindacati Autonomi della Sicurezza e Soccorso pubblico Ansa, 27 agosto 2014 "Il nostro flash mob lancerà un segnale chiaro al Governo: poliziotti, penitenziari, forestali e vigili del fuoco resteranno immobili in piazza del Popolo, a Roma, per dimostrare che, se si fermano sicurezza e soccorso pubblico, si ferma il paese. Doneremo anche il sangue per i cittadini, un gesto simbolico che ci appartiene perché moltissimi uomini e donne in divisa sono abituali donatori di sangue. Un gesto per far capire che negli ultimi sei anni siamo stati spremuti fino all’ultima goccia di sangue dai vari Governi che si sono succeduti alla guida del Paese, con oltre 4 miliardi di tagli dal 2008 al 2013. Al premier Renzi chiediamo davvero di cambiare verso anche in materia di sicurezza". È quanto affermano i sindacati autonomi della Consulta Sicurezza (Sap, Sappe, Sapaf e Conapo) che oggi, 27 agosto, scendono in piazza del Popolo a Roma per un flash mob (ore 11.30), dove è anche prevista la presenza di un’autoemoteca - dalle ore 8 di mattina - per donare il sangue. "Chiediamo una vera riforma della sicurezza - dicono i segretari generali Gianni Tonelli, Donato Capece, Marco Moroni e Antonio Brizzi - e non tagli ai presidi e alle assunzioni. La riforma della pubblica amministrazione, da questo punto di vista, è stata un’occasione mancata. Chiediamo il rispetto delle promesse fatte questa estate dai ministri Pinotti e Alfano in materia di tetto stipendiale, perché forze di polizia e vigili del fuoco stanno pagando carissimo il blocco contrattuale e lo stop a tutti gli incrementi retributivi. Chiediamo soprattutto rispetto e dignità. Siamo servitori dello Stato, non servi. Come Consulta Sicurezza non abbiamo mai fatto sconti a nessun Governo, di qualsiasi colore politico, e non faremo sconti neppure all’Esecutivo Renzi". Lettere: posti letto in carcere, la matematica fai da te di Carmelo Musumeci (Detenuto a Padova) www.imgpress.it, 27 agosto 2014 L’Italia è veramente uno strano paese dove la matematica non è una scienze esatta. E nei carceri italiani si usa la matematica fai da te. A secondo del governo di destra, di centro o di sinistra, e il ministro della giustizia che lo rappresenta, i posti letti in carcere aumentano e diminuiscono come per magia. Fino a poco tempo fa i posti letto erano 38.000 (Fonte: Associazione Antigone, confermati dall’allora Ministra della Giustizia, Annamaria Cancellieri). Dopo qualche mese i posti letto erano diventati 43.000 (Fonte dall’inchiesta di "Reporter" per Rai 3). E con meraviglia l’altro giorno ho letto che i numeri dei posti letto erano di nuovo cambiati: "(…) I dati, aggiornati al 31 luglio, del Ministro della Giustizia indicano nei 204 penitenziari 54.414 detenuti a fronte di 49.402 posti" (Fonte: Il Gazzettino, domenica 3 agosto 2014). Penso che neppure Gesù riuscirebbe a moltiplicare i posti letto come fanno i funzionari del Dipartimento Amministrativo Penitenziario. Credo che gli italiani siano famosi nel mondo per la loro creatività ma penso che negli ultimi tempi la maggioranza dei posti letto in carcere si siano moltiplicati facendo diventare doppie le celle singole e quintuple quelle triple. Bugie e semplificazioni sul carcere se ne sentono tante e ancora l’altro giorno ho letto "Detenuto suicida con la bombola a gas Il sindacato degli agenti di Polizia ha chiesto che siano vietate". Come se uno non si potesse suicidare impiccandosi con le lenzuola, o con le maniche di una camicia. E come proporre di non costruire più automobili perché nelle strade italiane ci sono troppi decessi per incidenti di macchine. Se si levassero i fornellini a gas nelle prigioni come farebbero i detenuti a mangiare? Non lo sa il sindacato degli agenti della Polizia penitenziaria che il cibo che passa l’Amministrazione dell’istituto non basterebbe neppure per i topi che vivono in carcere? Quante cose inesatte si dicono e si leggono sul carcere, ma è normale perché parlano tutti fuorché i carcerati. Sempre l’altro giorno sull’ultimo suicidio che è accaduto nel carcere di Padova, ho letto che il segretario generale del sindacato autonomo di Polizia penitenziaria denuncia carenze negli organici: "Come può un solo agente controllare 80 o 100 detenuti?". A parte che sono i detenuti che controllano la Polizia penitenziaria - perché non potrebbe essere altrimenti - come farebbe un solo agente da solo a controllare ottanta o cento detenuti senza l’aiuto e il consenso degli stessi prigionieri? Se e carceri non scoppiano, e i detenuti preferiscono ammazzarsi piuttosto che spaccare tutto come facevano nel passato, è merito della crescita interiore dei detenuti, o forse della loro rassegnazione, o, quasi certamente, della quantità di psicofarmaci e tranquillanti che vengono erogati. E trovo di pessimo gusto approfittare dei morti ammazzati di carcere per chiedere miglioramenti sindacali di organico e finanziari. Noi non abbiamo bisogno di agenti penitenziari piuttosto abbiamo necessità di educatori, psicologi, magistrati di sorveglianza e di pene alternative. Ricordo a proposito che per i detenuti che scontano l’intera pena la recidiva sale al 70%, invece per chi sconta pene alternative al carcere la recidiva non supera il 12%. Solo così aumenterebbero realmente i posti letto e diminuirebbero i detenuti nelle carceri italiane, non certo con la matematica fai da te. Cagliari: Sdr; slitta apertura nuovo carcere di Uta anche per problemi in Centro clinico Ristretti Orizzonti, 27 agosto 2014 "La presenza di una Tac, voluta dal Ministero per evitare le uscite ospedaliere ai detenuti in regime di massima sorveglianza (41bis), impedisce l’ingresso e l’installazione di un’indispensabile apparecchiatura di radiologia. Un imprevisto che, insieme ai ritardi accumulati nei lavori dei vari padiglioni, farà ulteriormente slittare l’inaugurazione del Villaggio Penitenziario di Cagliari-Uta". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", esprimendo "forti perplessità sulla progettazione della nuova Casa Circondariale ubicata in una landa desolata dell’area industriale cagliaritana". "Il Riunito Radiologico, uno strumento diagnostico fondamentale per lo screening della Tbc, per verificare la presenza di eventuali fratture e/o per la panoramica dentale, non entra più - sottolinea Caligaris - nel locale che gli era stato destinato. Una situazione che potrebbe comportare l’assunzione di alternative non compatibili con un Centro Clinico pienamente efficiente dal 15 settembre, come annunciato, a meno che non si preveda di effettuare ogni accertamento diagnostico dei detenuti nei Presidi ospedalieri del capoluogo. I tecnici della ASL insomma dovranno valutare se acquistare un nuovo strumento diagnostico di dimensioni tali da poter essere collocato nei locali oppure se far abbattere un muro che tuttavia dovrà essere costruito con la piombatura necessaria trattandosi di raggi. Difficile quindi ritenere che ciò possa avvenire in tempi rapidissimi". "Il Villaggio Penitenziario di Cagliari-Uta non finisce mai di riservare sorprese che - ricorda la presidente di SDR - derivano tutte, purtroppo, da un affidamento dei lavori a progettisti con scarse informazioni in merito alle reali esigenze dei detenuti e degli Agenti di Polizia Penitenziaria. A ciò si sono aggiunte le modifiche in corso d’opera che hanno ulteriormente complicato la telenovela di un Istituto che, iniziata nel 2006, avrebbe dovuto concludersi nel 2010". "Aldilà delle problematiche strutturali, è diventata improcrastinabile una conferenza dei servizi per quelle sanitarie che abbia come protagonisti la Regione, i vertici dell’ASL 8 e del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria. Il modello sperimentato in questi ultimi anni a Buoncammino, non può essere applicato a Uta. È necessaria una riorganizzazione che veda da un lato il rafforzamento del servizio del 118, con la presenza in sede di un’ambulanza - così come avviene in altre realtà della Penisola - e un potenziamento della medicina di base in modo da garantire continuità terapeutica. La realtà che andrà a definirsi a Uta è molto più complessa di quella di Cagliari. Oltre a uomini e donne privati della libertà, in numero decisamente superiore a Buoncammino, ci sono più numerosi Agenti di Polizia Penitenziaria, a cui si aggiungono gli amministrativi. Le distanze tra Uta e gli Ospedali non sono sempre facilmente colmabili in considerazione dei collegamenti e non sembra ideale la soluzione di utilizzare per le urgenze le ambulanze del 118 di stanza a Sarroch. L’auspicio è che i problemi vengano presi in seria considerazione - conclude Caligaris - e risolti anche alla luce delle negative esperienze fatte in altre mega strutture". Blitz di Pili nel nuovo carcere: lavori a rilento È questa la situazione che si è trovato davanti il deputato di Unidos che stamani ha effettuato un sopralluogo nel penitenziario, dove gli unici detenuti presenti sono quelli che hanno ottenuto il permesso di lavorare nel cantiere. I lavori procedono al rallentatore, da tre mesi gli operai non ricevono lo stipendio e potrebbero nuovamente scendere in piazza per protesta, mentre la struttura carceraria, che sarebbe dovuta essere terminata nel giugno 2013, è ancora un cantiere nella disponibilità del Ministero delle infrastrutture. È questa la situazione che si è trovato davanti il deputato di Unidos, Mauro Pili, che stamani ha effettuato un sopralluogo nel nuovo carcere di Uta, dove gli unici detenuti presenti sono quelli che hanno ottenuto il permesso di lavorare nel cantiere. "E qui si vorrebbero portare presto i detenuti in regime di 41 bis? - si domanda Pili - in questo carcere non terminato, dove manca un centro clinico esclusivo per i circa 100 capimafia che si vorrebbero far arrivare in un’ala, quella del 41 bis appunto, che a tutt’oggi è un cantiere fermo?". Il blitz di Pili ha anche quasi causato un incidente diplomatico che ha visto schierati in forze i carabinieri chiamati dallo stesso deputato a cui all’inizio è stato impedito l’accesso al carcere. "È già capitato a Sassari e anche stavolta è stato necessario l’intervento del ministro per permettere ad un parlamentare di verificare le condizioni dei detenuti che operano nella struttura". Pili ha anche nuovamente tuonato contro le "possibili infiltrazioni mafiose nella società sarda, nel caso in cui vengano portati in Sardegna il 50% dei ristretti in regime di 41 bis, cioè circa 300 su 650 complessivi. A Nuchis e Massama vi sono già esempi di persone che vivono in regime attenuato dopo aver scontato la pena con il 41 bis e che sono stati raggiunti dalle famiglie. Tutto questo - ha concluso il parlamentare sardo deve essere impedito". Lecce: nel 2003 uccise il fidanzato, evasa dopo una licenza per buona condotta www.fanpage.it, 27 agosto 2014 Da venerdì mattina Rosa Della Corte non fa ritorno nel carcere di Lecce, dove era detenuta per aver ucciso il fidanzato nel 2003. Scomparso anche l’attuale compagno. Si ipotizza che la donna potesse aver pianificato la fuga da tempo. L’avvocato: "Preoccupato per le sue condizioni, era depressa". Manca dal carcere da venerdì scorso Rosa della Corte, detenuta nel penitenziario di Lecce per l’omicidio del suo fidanzato, avvenuto a Casandrino (Napoli) nell’aprile 2003. La donna, che sconta una condanna a diciotto anni per omicidio, aveva lasciato il carcere per una licenza premio, ma dopo essersi allontanata, non ha più fatto ritorno nell’istituto penitenziario. Risulta scomparso anche l’attuale fidanzato della giovane, conosciuto a Lecce nel corso dei permessi per buona condotta. A dare la notizia agli organi di stampa è stato il legale della donna, Carmine Gervasi, che si è detto preoccupato per la sua condizione di salute: negli ultimi mesi la ragazza appariva depressa e aveva perso circa 25 chili. Rosa Della Corte era stata condannata per aver ucciso nel 2003 Salvatore Pollasto, all’epoca suo fidanzato. Il corpo del ragazzo ventenne era stato trovato a Casandrino, nel napoletano, in una Lancia Y10 parcheggiata in una zona isolata del comune della provincia napoletana e frequentata da prostitute e rapinatori. Il cadavere del ragazzo si trovava su uno dei sedili dell’auto, semisvestito. Si ritiene che l’accoltellamento fosse avvenuto dopo o durante un rapporto sessuale. Sebbene non fosse chiaro se si trattasse di un gioco erotico degenerato o di un delitto di gelosia, fu accertata la responsabilità della De Corte, che venne condannata a 25 anni. Nel corso dei successivi processi la pena fu poi mitigata a 18 anni. Le ricerche della donna, che risulta evasa dall’istituto, sono state estese su tutto il territorio pugliese e in particolare e anche alle zone di origine della detenuta. Sembra plausibile l’ipotesi che la detenuta abbia pianificato di evadere d’accordo con il suo attuale compagno, probabilmente nel corso delle ultime licenze premio concessele dal tribunale per buona condotta. Sulmona (Aq): quel telefono ritrovato in cella era per un boss dei Casalesi detenuto di Claudio Lattanzio Il Centro, 27 agosto 2014 Due lame affilate sono state ritrovate dagli agenti di Polizia penitenziaria in altrettante celle del supercarcere di Sulmona. Il ritrovamento è avvenuto nel corso dei controlli da parte del personale in servizio e segue quello più inquietante di un telefonino completo di caricatore e scheda sim, che la polizia penitenziaria ha scoperto sotto il cuscino di un detenuto siciliano, qualche giorno fa. Indiscrezioni trapelate dall’interno della struttura carceraria, indicherebbero che il dispositivo era destinato a uno degli elementi di spicco del clan dei Casalesi, Massimo Mazzitelli, detenuto nel penitenziario peligno. Il telefonino sarebbe stato utilizzato per comunicare con l’esterno. Episodi che gli addetti ai lavori avrebbero ricollegato con l’ondata di certificati per malattia che ha colpito in questo ultimo periodo il penitenziario: oltre il 20%degli agenti penitenziari in servizio è assente. "Non vogliamo renderci complici di una situazione che non ci piace", avrebbe confidato ai familiari più di un agente di polizia penitenziaria, "una situazione che ci sembra anche molto rischiosa se si tiene conto dei carichi di lavoro e delle condizioni di carenza di organico in cui dobbiamo operare". Dalla direzione del carcere si getta acqua sul fuoco e pur non confermando i recenti ritrovamenti del telefonino e dei due coltelli si sottolinea l’estrema tranquillità che regnerebbe tra i detenuti del supercarcere di via Lamaccio. "È eccessivo fare allarmismi, così come sta avvenendo in questi giorni sui mezzi d’informazione che riportano notizie non veritiere", spiega la direttrice del carcere Silvia Pesante, "certo, su oltre cinquecento detenuti c’è sempre qualcuno più turbolento, ma la maggior parte dei reclusi del nostro istituto ha già alle loro spalle una esperienza detentiva molto significativa e sta affrontando con grande volontà e serenità il percorso di reinserimento. Nel nostro carcere non si registrano situazioni di conflittualità tra detenuti e i controlli, anche se tra mille difficoltà dovute alla carenza di organico che attualmente si riscontra nella maggior parte degli istituti di pena italiani, vengono effettuati con grande perizia e professionalità da parte del personale in servizio". Brescia: i detenuti di Verziano si preparano a "Correre liberamente" a Campo Marte www.bsnews.it, 27 agosto 2014 Gli atleti della Casa di Reclusione di Verziano si stanno allenando in vista della gara di corsa prevista per il prossimo 4 ottobre a Campo Marte a Brescia. Grazie al progetto "Correre liberalamente", promosso dall’Assessore alla Cultura e Turismo Silvia Razzi della Provincia di Brescia si cerca di rieducare i detenuti nel segno dei valori positivi della corsa e dello sport, creando momenti di aggregazione tra detenuti, mettendo in contatto realtà carceraria e ambiente esterno e promuovendo l’attività fisica per favorire il miglioramento dell’autostima e il miglioramento dello stato di salute. Il progetto, primo esperimento in Italia di questo tipo, è stato presentato in conferenza stampa lo scorso 9 luglio: "Correre liberalamente" è nato per volontà dell’Assessore Razzi e realizzato con la collaborazione del Dr. Gabriele Rosa, medico specializzato in cardiologia e in medicina dello sport e Presidente di Rosa&Associati, del Marathon Sport Medical Center, dell’Associazione Gruppo Idee, e del Comitato Regionale Lazio della Fidal, portatore di una pregressa esperienza di training all’interno delle carceri laziali. Oltre al Carcere di Verziano, è stato coinvolto nell’iniziativa anche l’istituto di pena bresciano di Canton Mombello. Lo Staff del Marathon Sport Center, coordinato dal Dr. Gabriele Rosa, il 17 luglio scorso ha testato i 25 partecipanti, 19 uomini e 6 donne, i quali hanno svolto la batteria di test che è servita agli allenatori per tarare l’intensità degli allenamenti e capire le capacità fisiche individuali del gruppo. In particolare, i test prevedevano la valutazione del peso corporeo, della statura e della percentuale di grasso per individuare un eventuale eccesso di peso, oltre alla determinazione delle soglie aerobica e anaerobica, attraverso l’analisi della frequenza cardiaca e del livello di acido lattico a diverse intensità di cammino e corsa per valutare correttamente il livello fisico e i ritmi di allenamento. Bologna: andare in meta per sentirsi liberi, il carcere Dozza arruola giocatori di rugby di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 27 agosto 2014 Sono già stati selezionati 27 atleti-detenuti per formare la squadra del penitenziario. L’obiettivo: iscriversi al campionato di C2. Gli allenamenti, durissimi, sono ripresi dopo la pausa di mezz’agosto. Si soffre e si suda in campo, con corse, esercizi per rinforzare muscoli e fiato, abbozzi di partite. In aula si studiano i ruoli, le posizioni, gli schemi, le tattiche. E attraverso un "interpello" diffuso in tutta la regione, una sorta di annuncio affisso nelle altre case di reclusione dell’Emilia-Romagna, si cercano i rinforzi per completare la rosa e allungare la panchina. Al carcere della Dozza - sceso a quota 657 presenze, grazie a decreti, modifiche legislative e sentenze di Consulta e Cassazione - in questa strana estate sta prendendo forma e sostanza uno dei tanti progetti messi in cantiere dalla direttrice Claudia Clementi e dal provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, guidato da Pietro Buffa. Una squadra di rugby. In 27 sono già stati selezionati. La traduzione in pratica del protocollo d’intesa firmato con la Federazione italiana rugby e il Rugby Bologna. Anche in città la palla ovale supera cancellate e sbarre e diventa strumento educativo, mezzo di socializzazione, occasione di integrazione, argine per canalizzare e contenere forza, energie, rabbia. Ventisette detenuti sono già stati selezionati e, compatibilmente coi tempi e i ritmi dell’istituto, si allenano sui campetti da calcio annessi ai reparti e seguono le lezioni teoriche al chiuso. Altri giocatori, per consolidare uno zoccolo duro di almeno trenta, arriveranno dal resto della regione dopo colloqui e test attitudinali. Quasi tutti sono di origine straniera. Un allenatore da serie A. Il modello è quello delle Vallette di Torino, dove una squadra di rugby c’è da anni e da dove provengono sia Clementi sia Buffa, i registi dell’operazione. L’obiettivo è ambizioso, dichiarato. La formazione della Dozza, salvo imprevisti o cambi in corsa, verrà iscritta al campionato regionale di serie C2. E giocherà sempre in casa, a partire da gennaio, almeno nella fase iniziale. Poi si studierà il modo per far disputare fuori le trasferte, in condizioni di sicurezza. L’entusiasmo non manca. L’allenatore ufficiale scelto all’esterno, Massimiliano Zancuoghi, ha contagiato aspiranti piloni e mediani di mischia, potenziali ali e tallonatori e pure il personale educativo, pronto a scommettere su questa nuova sfida. Anche lui, ex giocatore di serie A e coach di formazioni giovanili, si è dovuto preparare. Il mister è andato a Torino per vedere come funziona alle Vallette ed è tornato a Bologna con le idee più chiare e con la voglia di mettercela tutta. "Ma ci servono più sponsor". I partner del progetto sono ottimisti e motivati. "Ci crediamo molto - dice Stefano Cavallini, presidente dell’associazione che li riunisce, il "Giallo Dozza Rugby Bologna" - e siamo certi che, in tempi brevi, riusciremo a condurre in porto questa iniziativa e a presentarla alla città. Le sinergie daranno frutto". Venerdì è in programma una riunione al Provveditorato, per definire dettagli e ritocchi. Subito dopo si dovrebbe conoscere il nome dato alla selezione carceraria, per ora top secret, per scaramanzia. A breve si aggregheranno gli ultimi giocatori. Oltre ai rinforzi per le partite - quindici persone in campo e sette in panchina ad ogni match - in via del Gomito si cercano ulteriori sostenitori e finanziatori. "Abbiamo trovato uno sponsor tecnico per le divise - accenna Cavallini - ma ce ne servirebbero altri, perché le esigenze sono particolari. Avremmo bisogno di forniture alimentari, ad esempio. I detenuti atleti dovrebbero seguire una dieta particolare, con un apporto calorico rinforzato. Le diete previste dall’amministrazione penitenziaria sono rigide, definite. I cibi in più, se non si trova chi li fornisce, sarebbero a carico degli stessi sportivi". Oristano: musica e speranza dietro le sbarre, i detenuti cantano nel coro gospel La Nuova Sardegna, 27 agosto 2014 Indossano una tunica viola, hanno una voce potentissima e anche un cuore pieno di solidarietà. I componenti del Popular voices gospel and band di Telti sono ormai delle piccole star. Da qualche anno garantiscono emozioni e spettacolo in ogni piazza della Gallura. Ma da qualche tempo sono anche impegnati in un bel progetto all’interno del carcere di Nuchis, dove hanno coinvolto una trentina di detenuti e messo su un coro nuovo di zecca. L’obiettivo è semplice: favorire l’aggregazione sociale e abbattere muri e pregiudizi. "Due volte alla settimana raggiungiamo il carcere per le prove, con il maestro Franco Pattitoni e dieci coriste - racconta Lollo Angius, presidente del coro teltese. Il nostro obiettivo è quello di superare le barriere mentali con la musica e gettare le basi per formare un coro che riesca a creare occasioni di incontro e promozione umana, in cui la prima energia è la speranza". E dopo mesi di prove, il progetto, che porta il nome di "Eleos", studiato insieme alla direttrice del carcere Carla Ciavarella, ha dato i suoi primi frutti. Lo scorso 5 agosto, per esempio, il coro composto in parte da detenuti ha fatto il suo esordio a Nuchis davanti agli altri ospiti della casa circondariale e a numerose autorità. Mentre il secondo concerto è in programma martedì 2 settembre. Insomma, si tratta di un progetto importante soprattutto dal punto di vista umano. E bisogna anche dire che i detenuti hanno preso parte al nuovo coro con un certo entusiasmo e con tanta voglia di mettersi in gioco. "Avevano poca dimestichezza con la musica e il canto, anche se qualcuno ha dimostrato di avere un talento naturale - continua Lollo Angius -. Le prove in carcere sono un’occasione di conoscenza e di aggregazione sociale, in un contesto sicuramente difficile ed emotivamente impegnativo". Libri: "Le voci del silenzio. Storie di italiani detenuti all’estero" di F. Polese e F. Cenci di Elena Barlozzari www.barbadillo.it, 27 agosto 2014 "Quanti connazionali conoscono la condizione cui sono costretti a vivere i circa tremila italiani attualmente detenuti all’estero, talvolta in spregio al diritto internazionale e nell’inadempienza dei consolati patri? In quanti immaginerebbero mai che il "sogno americano" possa trasformarsi in un incubo vissuto per anni dietro le sbarre, con il rischio di un epilogo mortifero? O che dietro il miraggio delle spiagge di Santo Domingo possa nascondersi un fatale imprevisto? Oppure che il fascino di Paesi come India e Tailandia possa celare aspetti oscuri?". "Le voci del silenzio. Storie di italiani detenuti all’estero" di Fabio Polese e Federico Cenci (Eclettica Edizioni), con prefazione di Roberta Bruzzone, dossier verità sulle condizioni che affliggono circa 3mila italiani nel mondo. Per lo più sconosciuti. Abbiamo parlato di questo libro-testimonianza con gli autori. "Le voci del silenzio. Storie di italiani detenuti all’estero". Cosa vi ha spinto ad aprire questo scrigno? Cosa contiene? Ci siamo accorti che ad alcune disavventure giudiziarie, in cui erano incappati nostri connazionali all’estero, non veniva dedicato nessun spazio rilevante, né da parte dei media, né da parte delle nostre istituzioni. E così abbiamo umilmente provato a colmare noi questo vuoto, iniziandoci ad occupare del tema, cercando storie e testimonianze. Anche perché, è bene ricordarlo, storie come quelle che raccontiamo nel libro potrebbero succedere ad ognuno di noi quando ci troviamo fuori dai confini nazionali. Nel libro trattiamo i casi di Carlo Parlanti, Enrico Forti, Derek Rocco Barnabei, Mariano Pasqualin, Fernando Nardini, Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni con interviste dirette agli involontari protagonisti o ai loro familiari… Carlo Parlanti è ora rientrato in Italia dopo aver scontato quasi tutta la sua pena negli Stati Uniti e anche Fernando Nardini è rientrato recentemente nel nostro Paese dopo essere stato finalmente dichiarato innocente nel terzo grado di giudizio thailandese. Veniamo al metodo. Da dove sono partite le ricerche e dove sono approdate? Diciamo subito che è un argomento abbastanza scomodo e qualche difficoltà nel reperire informazioni l’abbiamo trovata. Alcuni familiari che prima erano pronti a raccontarci la loro storia sono spariti nel nulla. Diversi li stiamo ancora aspettando. Con altri, invece, siamo in stretto contatto per seguire le novità dei loro casi. Nei media di massa questo genere di argomento non ha molto risalto, dunque abbiamo trovato poco e nulla. In compenso, abbiamo reperito molto materiale grazie a gruppi virtuali sui social network e siti web che sono stati creati a sostegno dei detenuti. Nel libro si parla di 3mila italiani detenuti all’estero, al netto della pari dignità di ognuno di loro, prescindendo dalle eventuali colpe. Quale il caso giudiziario e la vicenda umana che più vi hanno colpito? Il nostro lavoro non ha la presunzione di fungere da giudice e dichiarare l’innocenza a spada tratta degli italiani detenuti all’estero, ma semplicemente vuole dar voce a chi non ce l’ha. Crediamo sia un atto doveroso nei confronti di chi è rinchiuso in pochi metri quadri di cemento armato in qualche angolo sperduto del mondo. Ogni storia tra quelle che abbiamo trattato possiede aspetti toccanti. Tuttavia la storia di Mariano Pasqualin, un giovane ragazzo di Vicenza arrestato per traffico di stupefacenti a Santo Domingo, è quella che ci è rimasta più impressa. In una galera del posto, dopo pochi giorni dal suo arresto, ha trovato la morte in circostanze molto dubbie. Nonostante la richiesta della famiglia di far rientrare la salma in Italia per effettuare un’autopsia che ne svelasse le cause del decesso, le autorità della Repubblica Dominicana hanno - senza autorizzazione - deciso di cremare il corpo e spedire in Italia le ceneri. Sua sorella Ornella ci ha trasmesso una grande forza d’animo, ma anche il dolore lacerante che ha colpito tutta la loro famiglia. Ci potreste indicare, se esistono, le realtà volontaristiche che offrono sostegno (psicologico/legale) ai parenti delle "vittime"? Esiste la Onlus "Prigionieri del Silenzio" che si occupa concretamente della tutela dei diritti umani degli italiani detenuti all’estero. Sino ad oggi si è occupata di un centinaio di casi, facendo proposte agli enti governativi e dando suggerimenti per un corretto supporto alle famiglie. Nel libro abbiamo intervistato anche loro. Pensate che la detenzione di Girone e La Torre possa servire a riportare la questione degli italiani di "serie B" all’attenzione nazionale? In parte. Dei marò, visto che sono pubblici ufficiali, se n’è dovuto parlare per forza. Il punto è che in Italia manca un concetto di solidarietà nazionale, cosa che esiste in altri Paesi come gli Stati Uniti. Insomma la mobilitazione mediatica per la Knox ne è un esempio concreto. Rispetto a questa piaga, quali sono i Paesi carcerieri dei nostri connazionali? Chi detiene il "primato"? Secondo l’Annuario statistico 2013 pubblicato dalla Farnesina sono 3.103 gli italiani detenuti oltre confine. In particolare 2.323 italiani sono imprigionati nei Paesi dell’Unione europea, 129 nei Paesi extra-Ue, 494 nelle Americhe, 64 nella regione mediterranea e in Medio Oriente, 17 nell’Africa sub-sahariana e 76 in Asia e Oceania. In Europa il record degli italiani detenuti se lo aggiudicano le carceri tedesche che ospitano 1.115 nostri connazionali, segue la Spagna con 524. Nel resto del mondo, il maggior numero di detenuti italiani si trova in Venezuela con 81 persone recluse nelle carceri amministrate dal governo di Caracas. Purtroppo la nostra diplomazia - in tutte le parti del mondo, anche secondo le testimonianze che abbiamo raccolto per la stesura del libro, è spesso assente e in alcuni casi impreparata ad affrontare certe situazioni. Chiudiamo con un’immagine, se si potesse fotografare una voce silente, quale aspetto avrebbe? Il buio. Televisione: "Limbo", un documentario di Matteo Calore e Gustav Hofer sui C.I.E. Ansa, 27 agosto 2014 Si chiamano C.I.E., Centri di Detenzione ed Espulsione e sono l’inizio di una prigionia per molti immigrati che vi entrano non per aver commesso un reato, ma solo per non avere i documenti in regola. Una realtà raccontata da "Limbo", il documentario di Matteo Calore e Gustav Hofer che "Doc 3" propone domani alle 23.40 su Rai 3. È una detenzione più dura del carcere in cui si vive sospesi in attesa di un provvedimento che molto probabilmente porterà all’espulsione. Come spiegare ai figli che papà non c’è più e non si sa quando potrà fare ritorno? Come sopravvivere economicamente? A chi chiedere aiuto? Perchè, d’improvviso, il tuo affetto più caro rischia di essere espulso nel "Paese d’origine", dove spesso non ha più una casa, una famiglia o dove magari non torna da oltre dieci o vent’anni. È un periodo di angoscia e di attesa, un lungo tempo di lotta tra burocrazia, affetti e diritti. Matteo Calore è operatore e direttore della fotografia per programmi televisivi e film documentari. Gustav Hofer si è laureato in scienze della comunicazione a Vienna e in cinema a Londra. Droghe: se "Il Fatto Quotidiano" si schiera contro i giudici di Sergio Segio Il Manifesto, 27 agosto 2014 Il Fatto si indigna per il decreto "svuota carceri". Ma lo scandalo vero è che alcune migliaia di persone condannate in base alla Fini-Giovanardi, ora cassata, continuano arbitrariamente a restare in carcere, almeno tremila quelle condannate per la "lieve entità". Tanto che una rete di associazioni e comunità ha promosso la campagna "Cancellare le pene illegittime". Al quotidiano "Il Fatto", si sa, piace andare (o sembrare) controcorrente. Anche quando - e in effetti è caso più che raro - si tratti di contrastare giudici e sentenze. Nel caso in questione, per giunta, i giudici son quelli più alti e la sentenza della Corte Costituzionale con cui, il 12 febbraio 2014, la "Fini-Giovanardi" è stata abolita. Gli effetti "carcerogeni" di quella legge, introdotta surrettiziamente nel 2006 dal governo Berlusconi, sono stati annualmente documentati in un Libro Bianco realizzato da Forum Droghe, altre associazioni e comunità terapeutiche. In breve: il numero degli ingressi in carcere per droga è arrivato a superare il 30% del totale, quello dei presenti in carcere sfiora il 40%. Una parte rilevante (almeno il 30-40%) è ristretta in forza del comma 5 dell’articolo 75 della legge sulle droghe, quello che sanziona le condotte di "lieve entità", ovvero il piccolo spaccio o la detenzione a fine personale. Va poi considerato che un detenuto su quattro è tossicodipendente; e così pure il fatto (con la minuscola) che il 45% delle denunce per droga riguarda i cannabinoidi. Lo scandalo vero è che alcune migliaia di persone condannate in base alla Fini-Giovanardi, ora cassata, continuano arbitrariamente a restare in carcere, almeno tremila quelle condannate per la "lieve entità". Tanto che una rete di associazioni e comunità ha promosso la campagna "Cancellare le pene illegittime". Per "il Fatto" (quello con la maiuscola e con la contraddizione in termini), all’opposto, la preoccupazione è tale da far strillare nel titolo di apertura e nelle prime due pagine del 20 agosto scorso: "La riforma della giustizia: spacciatori in libertà", "Le svuota-carceri lasciano i mercanti di morte liberi di delinquere indisturbati, beffando toghe, polizia e vittime". E ancora: "È il paese dei pusher liberi. Il governo congela le pene"; "Dopo 48 ore tornano tutti liberi"; "Impotenti. Se va ai domiciliari i poliziotti lo devono pure accompagnare a casa in macchina e organizzare i turni di controllo". E via forcaiolando. Cotanto sdegno trae motivo nel dato, riportato con enfasi, che nel giugno 2014 su 1243 persone segnalate per droga ne sono state arrestate solo 903, mentre nel giugno dell’anno precedente le cifre erano doppie. Ulteriore apprensione deriva ai cronisti dalla crescita (dopo molti anni di trend inverso) degli accessi alle misure alternative al carcere e, in generale, dalla diminuzione del numero dei reclusi, calati a 54.414 (per 49.402 posti). Dovrebbe essere una buona notizia, di rientro del sistema nella legalità, una prima risposta positiva alle ripetute censure rivolte all’Italia dalla Corte europea dei diritti umani. Invece, dopo le cronache scandalizzate a tutta pagina, il quotidiano delega l’approfondimento a un esperto, già magistrato. Il quale critica la nuova misura che esclude la reclusione nel caso in cui il giudice preveda una pena futura inferiore ai 3 anni. Secondo il commentatore del "Fatto", che paradossalmente si professa a favore della vendita degli stupefacenti in farmacia e che conclude auspicando la costruzione di nuove carceri, la necessità della carcerazione preventiva si motiva non in ragione della gravità del reato ma in base alla pericolosità del suo autore. Naturalmente, chi consuma droghe è pericoloso per antonomasia. Anzi, come ha insegnato Nils Christie, è un nemico perfetto. Si dimentica (forse) che la nozione di pericolosità sociale è stata introdotta, non per caso, dal codice fascista Rocco. Era il 1930. Quei bei tempi andati, quando le carceri erano ancor più zeppe e di diritti umani nessuno poteva parlare. India: la vicenda di Tomaso ed Elisabetta, condannati all’ergastolo, diventa un docu-film Ansa, 27 agosto 2014 L’odissea giudiziaria dell’albenganese Tomaso Bruno e della torinese Elisabetta Boncompagni, detenuti nel carcere a Varanasi in India, dal febbraio del 2010, perché accusati dell’omicidio di un loro compagno di viaggio, Francesco Montis, finisce in un film documentario. "Più libero di prima", attualmente in fase di produzione, racconta la storia di prigionia in India dei due. Bruno e Boncompagni sono stati condannati all’ergastolo dal tribunale di Varanasi nel luglio del 2011, sentenza confermato dall’Alta corte di Allahabad (la Corte d’Appello italiana) nell’ottobre del 2012. I due hanno sempre sostenuto la loro innocenza. L’iniziativa è stata presentata a Palazzo Oddo di Albenga alla presenza di Marina Maurizio, madre di Tomaso Bruno, Adriano Sforzi regista, Stefano Perlo e Ivan Olgiati produttori, e di Carlo Geddo presidente dell’Associazione Alziamo la Voce. La troupe cinematografica partirà per l’India il prossimo 5 settembre quattro giorni prima della sentenza della Corte Suprema di Nuova Delhi. Nel frattempo mamma Marina Maurizio è pronta a partire per l’India per assistere il figlio Tom in attesa dell’inizio del processo di terzo grado che è sempre slittato Brasile: terminata la sanguinosa rivolta nel carcere di Cascavel, 5 detenuti uccisi Il Velino, 27 agosto 2014 È terminata dopo due giorni la sanguinosa rivolta in un carcere nella città meridionale di Cascavel, in Brasile. Le due guardie carcerarie ancora tenute in ostaggio sono state liberate. Almeno cinque detenuti, riporta "O Globo", sono stati uccisi nelle ultime 48 ore. Due sono stati decapitati mentre altri due sono morti dopo essere stati spinti giù dal tetto della prigione. La maggior parte dei detenuti, che chiedeva migliori condizioni, è ora stata trasferita in altre prigioni dello stato di Parana. I detenuti e funzionari della prigione hanno raggiunto un accordo per porre fine alla situazione di stallo dopo ore di colloqui. In base all’accordo, i detenuti hanno promesso di liberare le due guardie carcerarie dietro la promessa di un trasferimento in altre prigioni. Svizzera: sovraffollamento delle carceri, il Canton Givevra realizzerà 100 nuovi posti www.rsi.ch, 27 agosto 2014 Il Canton Ginevra disporrà di 100 nuovi posti per i carcerati nel penitenziario della Brenaz, che oggi ne conta 68, a partire dall’estate 2015. La prima pietra per l’ampliamento della struttura è stata posata oggi, martedì, dopo che sono stati respinti tutti i ricorsi interposti contro l’opera. Nel carcere di Brenaz a Puplinge, dal 2018 quando aprirà il nuovo stabilimento di Dardelles con 450 posti, le celle saranno utilizzate solo per le carcerazioni amministrative. Fino ad allora la struttura ospiterà anche detenuti in esecuzione di pena al fine da liberare spazi nella vicina prigione di Champ-Dollon. Quest’ultima struttura, originariamente, era prevista per la sola detenzione preventiva ma oggi ospita anche carcerati in esecuzione di pena ciò che ha causato, dal 2000, una sovrappopolazione di detenuti (900 invece dei 387 previsti). Il progetto di ampliamento di Brenaz è preventivato in circa 70 milioni di franchi.