Giustizia: il "disegno" del ministro Orlando… così veloce da scordare la riforma di Rodolfo Casadei Tempi, 26 agosto 2014 Su "obbligatorietà" dell’azione penale, separazione delle carriere e intercettazioni non c’è nulla di forte, molti provvedimenti ma nessun progetto complessivo. L’esecutivo vuole snellire la giustizia civile ma evita accuratamente di toccare i nodi che da vent’anni permettono ai giudici di tenere in ostaggio lo Stato. Alla vigilia di Ferragosto, in un’intervista al Wall Street Journal, il numero due di Palazzo Chigi Graziano Delrio indicava nella giustizia e nei suoi tempi lunghi "una delle principali cause della mancanza di competitività". A ruota, in una lettera al Corriere, il ministro della Giustizia Andrea Orlando, rassicurava sulla svolta "efficientista" che secondo Orlando era già comprovata dai "dati sui risultati del primo mese di applicazione dell’obbligatorietà del processo civile telematico". Buone notizie? Certo. Eppure, se nell’esecutivo Renzi è chiaramente riconoscibile l’impegno e lo sforzo di razionalizzare e velocizzare la giustizia civile, non altrettanto chiaro è i] disegno complessivo di riforma. D’accordo, accorpare le Corti d’Appello portandole da 26 a 20-21 con lo stesso schema usato dal governo Monti per tagliare 30 tribunali minori, è una bella e faticosa (per le resistenze delle burocrazie locali) impresa. La creazione in ogni capoluogo di tribunali ad hoc per impresa e famìglia sono altre buone idee per rendere più snello ed efficace il sistema. Ma sulla sostanza che ha reso il potere giudiziario un fattore (determinante) di "supplenza politica" - come confessò il procuratore di Mani pulite Borrelli - cosa c’è di nuovo nella "riforma Orlando"? Esclusa la responsabilità diretta delle toghe (che pure era passata al voto parlamentare sotto la forma di un emendamento del leghista Pini), la responsabilità civile del magistrato che sì macchia di errori per "pregiudizio o dolo grave" si riduce alla rimozione di una serie di limitazioni per la parte lesa e all’innalzamento della soglia dell’azione di rivalsa da parte dello Stato (attualmente fissata a un terzo dello stipendio annuo del magistrato). Di un certo peso, ammesso e non concesso che l’Anni non alzi le barricate, c’è solo la riforma del Csm. La quale ridimensionerebbe il ruolo delle correnti dell’Anni in seno al Csm, modificando le modalità di elezione dello stesso Csm e affidando a una Corte esterna l’esame dei casi disciplinari. Per il resto sono frattaglie più che un disegno forte di riforma: ammorbidimento dell’obbligo di azione penale per i reati bagatellari, riti alternativi, limitazione dei tempi di prescrizione, dispositivi che rafforzano il divieto di pubblicazione delle intercettazioni riguardanti persone terze rispetto agli indagati. Vent’anni di squilibri Complessivamente è una riforma che fa molta attenzione a non mettere in discussione gli equilibri (o gli squilibri) che si sono creati in vent’anni di sovrapposizione e di esposizione del potere giudiziario rispetto agli altri poteri dello Stato, legislativo ed esecutivo. Con ciò indebolendo lo stato di diritto e, di conseguenza, frenando gli investimenti stranieri in Italia. Il sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri dice a Tempi che "è iniziata una stagione nuova delle riforme, richiesta a gran voce dalla società e che garantirà la certezza del diritto e la qualità delle risposte". In realtà, dopo che in sede di Csm le due principali correnti politiche dell’Anni si sono spartite le nomine ai vertici delle più importanti procure e hanno deciso di non decidere sullo scontro ancora in corso a Milano (con Bruti Liberati che si appresterebbe a ottenere la riconferma a capo della Procura nonostante le pesanti accuse mossegli dal sostituto Alfredo Robledo e nonostante che per il decreto sulla Pa potrebbe o dovrebbe essere pensionato già dall’ottobre prossimo, quando compirà 70 anni), una autentica e complessiva riforma della giustizia sembra essere ancora un miraggio. Tant’è, la discrezionalità di fatto dell’azione penale resta mascherata di "obbligatorietà". La separazione delle carriere vigente nel mondo civile viene rinviata "sine die". Non c’è alcuna stretta sulle intercettazioni filtrate ai giornali con il duplice e abbietto scopo di valorizzare (in cambio di notizie) esclusivamente la parte dell’accusa ed eseguire così condanne sommarie ma utili a orientare politicamente l’opinione pubblica e a rovesciare governi, partiti, amministrazioni (quante volte è accaduto negli ultimi vent’anni?). E non è neppure è in discussione l’ipotesi di cambiare la "riforma Vassalli", laddove, sottraendo l’autonomia di indagini alla polizia giudiziaria (Guardia di Finanza, Polizia, Carabinieri), alla vigilia della prima "Mani Pulite" introdusse quel piccolo grande mostro giuridico per cui i pubblici ministeri - cioè organi costituzionalmente autonomi e indipendenti, non elettivi ma impiegati della funzione giudiziaria - sono anche "politici" perché posti al comando degli organi di polizia giudiziaria dipendenti dal governo, che costituzionalmente è potere esecutivo, elettivo e dunque politico per eccellenza. Un "comando" che, da vent’anni a questa parte, consente a certi uffici giudiziari di costituire blocchi di potere tali da risultare autoreferenziali, privi di trasparenza e impermeabili a ogni controllo di legittimità, oltre che di legalità (visto che il Giudice per le indagini preliminari spesso assume un ruolo pressoché notarile delle richieste della "testuggine" pm-polizia giudiziaria). Giustizia: trattativa tra Ncd e Pd sulla riforma di intercettazioni e prescrizione di Tommaso Labate Corriere della Sera, 26 agosto 2014 Il partito di Alfano chiede che nel testo ci siano entrambi gli interventi o nessuno E il Guardasigilli assicura: niente rinvii. "Nessun rinvio su nessun fronte. Nel pacchetto che presentiamo venerdì ci saranno sia il decreto sulla giustizia civile che i provvedimenti che riguardano la giustizia penale". La rotta seguita da Andrea Orlando, su cui c’è anche il "visto" di Palazzo Chigi, è tracciata. Ma per capire quale potrebbe essere il punto di caduta dell’intera partita sulla riforma della giustizia è sufficiente citare il messaggio cifrato che dal partito di Angelino Alfano è arrivato nelle ultime ore all’indirizzo di via Arenula dove ha sede il ministero della Giustizia, che per anni è stato l’ufficio del leader del Nuovo Centrodestra. Un messaggio semplicissimo, su cui potrebbe nelle prossime ore maturare l’accordo definitivo "di metodo" tra il Partito democratico e il partner principale della maggioranza, e cioè Ncd. Breve quasi quanto un tweet: "Nel pacchetto definitivo o ci saranno sia le intercettazioni che gli interventi sulla prescrizione, oppure non ci sarà nessuna delle due". Perché l’ultimo tassello che separa la maggioranza da un accordo sta proprio lì, nel combinato disposto prescrizione- intercettazioni. Il Pd, ovviamente, non aprirebbe mai all’ipotesi di intervenire sulla prescrizione subordinandola al "processo breve", che sta in cima ai desiderata di alfaniani e berlusconiani. Ma una strada c’è, va solo definita. Quella di "congelare", come potrebbero mettere nero su bianco nella bozza i tecnici del ministero della Giustizia, la prescrizione dopo il processo di primo grado trovando delle soluzioni tecniche che accelerino il processo d’appello. Ed è qui che entrano in gioco le intercettazioni. Un intervento su questo fronte sta a cuore sia agli alfaniani che a Forza Italia. "Tra l’altro", come va spiegando da giorni l’alfaniano viceministro della Giustizia Enrico Costa ad amici e colleghi, "se affrontassimo questo punto scopriremmo che la distanza tra le diverse posizioni in campo è stata col tempo annullata". L’idea originaria di Renzi, annunciata dal premier all’inizio dell’estate, era quella di avviare un dialogo anche coi direttori delle testate giornalistiche e poi muoversi. Ma adesso tutto potrebbe subire un’accelerazione. E il blocco intercettazioni- prescrizione potrebbe trovarsi tutto dentro o tutto fuori dalla riforma. Per risolvere l’enigma basta aspettare ventiquattr’ore. Domani mattina sono in programma gli incontri tra Orlando e i partiti della maggioranza. Nel pomeriggio toccherà invece alle opposizioni, da Forza Italia a Sel passando per la Lega e il Movimento 5 Stelle (le ultime tre forze avevano disertato l’ultimo incontro). Sarà anche quella l’occasione per cercare la quadra sulla responsabilità civile dei magistrati. La maggioranza è pronta ad abolire il "filtro" (qualunque cittadino potrà fare causa) e a misurare l’eventuale danno sullo stipendio del magistrato. Forza Italia vorrebbe estendere "l’area dell’illecito" e aumentare il quantum. L’accordo, su questo, è più vicino di quanto non sembri. Gli azzurri sanno che per pesare in Parlamento - di fronte a un pacchetto blindato grazie ai numeri della maggioranza - devono aggiungere i loro voti a quelli di Pd-Ncd sulla giustizia civile. Sarà forse quello, per Berlusconi, l’unico modo per entrare nella partita sulla parte della riforma che gli interessa di più. Quella che riguarda il penale. Giustizia: Mauro Palma a capo del Dap "l’uomo giusto" anche per la Polizia penitenziaria di Eleonora Martini Il Manifesto, 26 agosto 2014 Intervista a Donato Capece, segretario del Sindacato Sappe. "E se davvero arrivasse Brubaker a capo del Dap?". La foto di Mauro Palma, presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale e consigliere del ministero di Giustizia, campeggia accanto al titolo sul sito del Sappe. Ed è una notizia perché, a pochi giorni dal Consiglio dei ministri del 29 agosto nel quale dovrebbe essere nominato il nuovo capo dell’amministrazione penitenziaria - posto vacante dal 27 maggio - a raccogliere la proposta lanciata sul manifesto dall’associazione Antigone è addirittura il sindacato di polizia penitenziaria che più volte si è trovato su posizioni opposte. "Ci vuole un uomo che sappia dove portare questa amministrazione", spiega il segretario generale del Sappe, Donato Capece. "Dopo tanta approssimazione, c’è bisogno di un esperto, non necessariamente un magistrato o un dirigente interno, ma una persona illuminata". Un riformista ma anche un visionario, come il personaggio interpretato da Robert Redford incaricato, nel film citato, di riformare il sistema carcerario dell’Arkansas? Il carcere come è oggi è un’istituzione superata. Il Dap ha bisogno di un capo deciso, che, una volta ricevute dal governo precise indicazioni, abbia però le idee chiare di come cambiare il sistema. E abbia la forza politica per farlo. Autorevolezza interna all’amministrazione o appeal esterno? Interna: una persona che conosca bene il carcere e la sua amministrazione. Ma soprattutto che possa condividere a pieno con il ministro un progetto che stravolga l’attuale assetto penitenziario. Per capirci: braccialetti elettronici e altro sono solo palliativi… Il precedente capo, il dott. Giovanni Tamburino, non era la persona giusta? Sarà un ottimo magistrato ma ci ha completamente affossati, dimostrando gravi lacune. Insieme ai suoi vice, Pagano e Cascini, sia pure con posizioni diverse, aveva idee secondo noi molto confuse sulla cosiddetta "vigilanza dinamica". Sostenevano che le celle dovevano rimanere aperte durante il giorno senza preoccuparsi di cosa far fare ai detenuti. Noi siamo d’accordo, purché per i reclusi si trovi un’occupazione, lavorativa o trattamentale. E la polizia, allora, deve rimanere fuori da questo circuito, intervenendo solo in situazioni critiche. Il consigliere Cascini aveva supportato la nostra idea che il detenuto dovrebbe meritarsi lo sconto di pena partecipando alla vita penitenziaria, e non come è ora solo con la cosiddetta buona condotta. Tamburino e Pagano, per la legge del contrappasso, invece avevano chiuso il poliziotto nelle postazioni di guardia. Hanno creato molta confusione, mostrandosi dilettanti. La loro idea di vigilanza si è rivelata fallimentare, come dimostra l’alto numero di suicidi e di situazioni critiche che continuano a verificarsi… I nomi che circolano come papabili dirigenti del Dap sono Giovanni Melillo, procuratore aggiunto di Napoli, e Giovanni Salvi, procuratore di Catania. Non vi convincono? Perché appoggiate Mauro Palma che sulla vigilanza non ha proprio le vostre idee e vorrebbe un carcere meno "infantilizzante" nei confronti del detenuto? Melillo, come capo gabinetto ha governato indirettamente il Dap in questi mesi e dunque oggi conosce bene i problemi del carcere. Di Salvi non sappiamo molto. Bisogna però fare in fretta perché così il Dipartimento è allo sbando. Il governo sostiene che l’emergenza carceri è parzialmente risolta, noi siamo convinti di no. Con Antigone abbiamo due mission e due visioni diverse del carcere: loro lo vogliono senza sbarre e noi più sicuro, perché i cittadini chiedono questo, a noi operatori della sicurezza. Il professor Palma è uno studioso, ha lavorato con la ministra Cancellieri e conosce il mondo penitenziario, anche se proviene da Antigone. Pensiamo che la filosofia del "povero" detenuto vada abbandonata ma Palma è fortemente convinto delle misure alternative e ha più volte dimostrato che tiene alla dignità della polizia penitenziaria, che si è fatta carico di tutte le criticità. Con lui potremmo fare un percorso alternativo e forse è proprio lui l’uomo che potrebbe restituire dignità al nostro Corpo, attraverso la riforma della polizia penitenziaria. Cosa deve contenere questa riforma? Un carcere più automatizzato, più tecnologia e soprattutto uomini e donne più motivati e realizzati. Non chiediamo un aumento salariale né di rivedere il contratto, ma una migliore formazione. Soprattutto per i dirigenti, che oggi non hanno alcuna cognizione di cosa sia il governo del personale e sono diventati anche loro "nemici" della polizia penitenziaria, capaci solo di fare gli inquisitori e non di essere dei punti di riferimento. Noi abbiamo bisogno di questo. Giustizia: Rita Bernardini; sovraffollamento carcerario del 119% con picchi del 230% a cura di Fabrizio Ferrante Notizie Radicali, 26 agosto 2014 La segretaria di Radicali Italiani ha annunciato le prossime iniziative e illustrato gli appuntamenti politici che, in autunno, vedranno i radicali particolarmente impegnati su più fronti: carcere, giustizia, antiproibizionismo e l’imminente presentazione di un documentatissimo ricorso alla Corte Edu contro "l’ostracismo mediatico" operato nei confronti del movimento radicale. Venerdì 22 agosto la segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, è intervenuta come di consueto a "Radio Radicale" facendo il punto sulle iniziative radicali in un’intervista con Ada Pagliarulo. Sul Governo e sulla giustizia, dal 21 agosto sono in vigore i risarcimenti per i detenuti torturati dietro le sbarre. Così la Bernardini: "Constato che il Governo passa con molta disinvoltura dai problemi che affliggono il processo civile a quelli del processo penale senza spiegare bene su quali riforme effettivamente puntare e se queste siano strutturali o meno. L’unica cosa certa è che non ha alcuna intenzione di prendere in considerazione l’unica proposta, quella dell’amnistia che, abbattendo milioni di procedimenti penali destinati peraltro alla prescrizione, libererebbe "risorse" che oggi non ci sono anche per il civile e su questo nessuno avanza dubbi. Marco Pannella nei giorni scorsi è tornato a rivolgersi al Papa, dopo le parole di quest’ultimo quando Pannella era ricoverato al Gemelli. Marco sta dimostrando che essere coraggioso - come gli ha chiesto di essere Papa Francesco - significa essere impegnato in modo costante per centrare determinati obiettivi. Da Draghi in giù, tutti hanno rilevato, dati alla mano, che siamo agli ultimi posti per inefficienza della giustizia. Ho trovato illuminante l’intervista che Lorena D’Urso ha fatto a Renzo Menoni (Presidente Unione Camere Civili) perché seppure le Camere Civili abbiano concordato alcune riforme con Andrea Orlando, venendo al punto centrale affermano che sì, interventi come la negoziazione assistita o il trasferimento di cause che durano da troppi anni in sede arbitrale possono essere positivi, ma che hanno bisogno di risorse che oggi non ci sono. Dopo gli almeno 17 interventi sul civile fatti negli ultimi 20 anni (nessuno rivelatosi risolutivo) nessuno ragiona in termini strutturali. C’è un dato eclatante, ovvero che laddove ci sono a capo dei tribunali delle persone che abbiano competenze professionali anche sotto il profilo dell’organizzazione degli uffici, come Mario Barbuto a Torino, ecco che le cose funzionano meglio che altrove. Il fatto che il Csm sia organizzato per correnti fa in modo che non ci siano i migliori a gestire gli uffici, ma i raccomandati che appartengono a questa o quella corrente della magistratura associata". Focus quindi sul penale: "Sul penale ora si parla solo di intercettazioni e prescrizione, poi, anche se con l’ostilità dell’Anm, della responsabilità civile dei magistrati. Da questo punto di vista ricordo che questo punto, assieme ad altri, avrebbe potuto essere già risolto da giugno se fossimo riusciti l’estate scorsa a raccogliere le firme per i 12 referendum. Dobbiamo invece assistere a questo tira e molla mentre l’Europa ha aperto da tempo procedure d’infrazione nei confronti dell’Italia e la responsabilità civile da noi non è in alcun modo paragonabile agli standard europei. Abbiamo ripetuto i dati all’infinito sulla legge Vassalli che tradì il referendum del 1987 e lo stesso Giuliano Vassalli - che era un galantuomo - ammise che quella legge era stata fatta per accontentare i magistrati dopo il plebiscito degli elettori sul referendum Tortora. In pratica il magistrato che sbaglia, tranne in quattro casi, non ha mai pagato. Altri referendum che abbiamo promosso nel disimpegno totale del Pdl nonostante le 12 firme di Silvio Berlusconi, non hanno raggiunto l’obiettivo delle firme necessarie per promuoverli. Matteo Renzi invece disse che queste riforme le avrebbe fatto il Parlamento, una frase che noi Radicali conosciamo molto bene". Sui recenti provvedimenti deflattivi delle presenze in carcere: "Non so quanti cosiddetti "svuota-carceri" abbiano approvato a seguito della sentenza Torreggiani; quel che è certo è che non sono stati risolutivi dell’infame illegalità in corso e, con i presunti "rimedi compensatori" e risarcimenti, entrati in vigore ieri con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, abbiamo raggiunto l’apice di scelleratezza e mi auguro che l’Europa sappia valutare questa scelta degli 8 euro per ogni giorno di tortura. Un rimedio che, secondo quanto affermato dall’on. Verini a Montecitorio, ha fatto risparmiare un sacco di soldi: 20 milioni di euro anziché centinaia e centinaia di milioni se avessimo seguito i parametri della Corte Edu. Inoltre, la procedura è talmente complicata che neppure è detto che i magistrati di sorveglianza - già in carenza di organico per l’ordinaria amministrazione - riusciranno a stare dietro a tutte le istanze risarcitorie. Basti pensare che per ciascun detenuto dovranno valutare il tipo di reclusione subita nei vari spostamenti di istituto e di cella, se i metri quadrati a sua disposizione era più o meno di tre! Se andiamo su internet troviamo che alcune associazioni (Ristretti Orizzonti, Antigone e L’Altro Diritto) hanno preparato i moduli per i ricorsi da consegnare ai detenuti che non possono permettersi avvocati: ebbene, le istanze da presentare, sono concepite in modo diverso. Non dimentichiamo che c’è di mezzo anche il giudice civile per chi è già fuori dal carcere e figuriamoci come un giudice civile possa ricostruire le modalità di detenzione che hanno subito singoli detenuti! Temo che la cosa si impantanerà e che neppure i miserrimi 20 milioni del prezzo della tortura saranno pagati. In questo decreto, inoltre, non è compresa la detenzione presso i Cie, gabbie a cielo aperto che nulla hanno a che vedere con uno Stato civile e di diritto". "Siamo riusciti ad ottenere i dati veri sui posti effettivamente disponibili nei 199 carceri censiti dal DAP - ha detto Rita Bernardini nel corso della conversazione con Ada Pagliarulo - e abbiamo finalmente reso accessibile un dato che molto probabilmente nemmeno il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa possiede e cioè che i posti regolamentari (cioè di legge) non sono 50 mila nelle nostre carceri. Grazie all’iniziativa nonviolenta e a un’interrogazione di Giachetti, Dap e Ministero della Giustizia hanno "collaborato" e abbiamo ottenuto di sapere che ci sono almeno 4.200 posti inutilizzabili che non si possono conteggiare. Il sovraffollamento in Italia è del 119%. Ma se approfondiamo scopriamo che ci sono istituti che hanno più posti che detenuti (è la statistica, bellezza, direbbe Trilussa) e almeno 58 carceri che sono oltre il 140% di sovraffollamento con un picco del 210% a Busto Arsizio. Voglio qui ringraziare le associazioni radicali che si sono documentate regione per regione rendendo noti questi dati e dando vita a iniziative politiche e visite ispettive in giro per l’Italia. L’esempio della Basilicata è emblematico, a fronte di un’apparente parità "regionale", c’è il sovraffollamento spaventoso del carcere di Melfi. Saltano così fuori delle realtà totalmente illegali e qui entriamo nel capitolo del diritto alla conoscenza, che è il pane della democrazia". La segretaria ha poi dedicato un passaggio ai prossimi appuntamenti politici in casa radicale: "Prossimamente avremo una sorta di ingorgo di appuntamenti di area radicale: il 19-20-21 settembre a Roma ci sarà l’XI Congresso dell’associazione Luca Coscioni; dal 30 ottobre fino al 2 novembre è previsto il congresso nazionale di Radicali Italiani, in mezzo ci sarà un comitato e una direzione e dobbiamo anche organizzare il secondo appuntamento "Bruxelles 2" sul diritto alla conoscenza che chiediamo sia riconosciuto dall’Onu come diritto universale della persona che deve avere informazioni veritiere su tutto ciò che fa il proprio governo. Presto saranno pubblicati gli atti della prima conferenza di Bruxelles, un’iniziativa voluta da Marco Pannella e da Matteo Angioli che partiva dalla richiesta radicale di un "Iraq Libero attraverso l’esilio di Saddam come unica alternativa alla guerra" che invece fu ingaggiata da Bush e Blair sulla base di menzogne come la commissione Chilcott ha puntualmente documentato scontrandosi con la "ragion di Stato" britannica che ostinatamente opponeva e oppone il segreto sulla pubblicità di alcuni atti. Insomma, abbiamo lo Stato che nega l’esercizio del diritto umano alla conoscenza, fondamentale per ogni democrazia compiuta. Pensiamo al debito pubblico italiano e a come si è formato: quando ne parlavano all’inizio degli anni ‘90, Pannella e il deputato radicale Marcello Crivellini sembravano tipi stravaganti ossessionati da una mania di controllo. Crivellini sosteneva che i cittadini avrebbero dovuto conoscere una per una le voci reali della spesa pubblica per capire come si formava il bilancio dello Stato concepire così gli interventi di riduzione del debito che assumeva ogni giorno di più dimensioni smisurate. Oggi, in tempi di spending review, manca proprio l’aspetto di una conoscenza diffusa fra i cittadini che devono sopportare il peso di 80 miliardi annui di soli interessi". Rita Bernardini ha quindi ricordato come sia fondamentale iscriversi ai soggetti radicali per continuare a dare forza a queste battaglie, evocando Luciano D’Alfonso (governatore d’Abruzzo) e la sua iscrizione al Partito a margine del comizio di Pannella a Taranta Peligna. "Abbiamo avuto la bozza stilata dallo studio del professor Andrea Saccucci, del ricorso che Pannella da tempo reputa necessario presentare alla Corte Edu sull’emarginazione mediatica del movimento radicale dal servizio pubblico radiotelevisivo. Se ci troviamo fuori da ogni istituzione nazionale ed europea, ciò è capitato non perché siamo i peggiori ma per un ostracismo documentato nel ricorso, come la mancata ottemperanza alle delibere AgCom, oltre trenta, mai rispettate". Sulle droghe e sull’inadempienza del governo che non ha ancora presentato la relazione annuale e sul Garantista che ha paragonato il Fatto al Secolo di Almirante: "Il commento l’ho fatto grazie all’attenzione che Giulio Manfredi manifesta da tanti anni su questi temi sottolineando le inadempienze dei Governi che si sono succeduti. Il responsabile delle politiche antidroga ancora non è stato nominato, la scelta è importante per valutare l’efficacia o meno delle politiche che si portano avanti. Abbiamo ascoltato le denunce di Carla Rossi sul monitoraggio inattendibile fatto fino a oggi. Sul quotidiani "Il Fatto" che sembra "Il Secolo" di Almirante, ricordo che quest’ultimo diceva che gli spacciatori vanno impiccati agli alberi nelle piazze delle città: all’epoca Radio Radicale ne fece uno spot che andò a ripetizione sull’emittente contribuendo in modo decisivo a scongiurare gli effetti talebani della proposta. Ciò che ai miei occhi appare incredibile è il fatto che qui da noi non si possa fare un dibattito che metta in discussione il proibizionismo che consente utili miliardari alle mafie poi reinvestiti in attività lecite: oggi se ne parla solo di striscio perché queste attività illegali possono consentirci di ritoccare al rialzo la valutazione del nostro Pil. Da noi non si parla neppure delle politiche di riduzione del danno ormai praticate in molti paesi europei che, pur proseguendo sull’opzione proibizionista, cercano almeno di contenerne i risvolti più deleteri. Tutti ormai sanno che il carcere è inutile per un tossicodipendente ma continuiamo a riempire le celle di tossicodipendenti e di piccoli spacciatori che appena escono tornano a delinquere anche a causa delle condizioni disumane e degradanti in cui scontano le loro pene. Già la separazione effettiva del mercato delle droghe pesanti da quello di hashish e marijuana sarebbe un grande passo avanti. In Spagna, per esempio, è possibile coltivare fino a 4/5 piante di marijuana. In Italia, invece, abbia leggi talmente assurde per cui se vai a comprare la sostanza dallo spacciatore hai solo sanzioni amministrative e non penali, ma se te la coltivi per non rivolgerti al mercato delle mafie, va in galera. La ragionevolezza non c’è, non si portano avanti neanche le politiche di riduzione del danno ed è chiaro che quando non si ha chiarezza su una politica da perseguire è difficile poi fare la relazione annuale che pure è un obbligo di legge entro il 30 giugno. Obbligo che non solo Renzi non ha rispettato, ma anche molti dei suoi predecessori. Così come la conferenza nazionale da fare ogni tre anni… l’ultima si è tenuta 5 anni fa… ma sarebbe fondamentale tenerla perché è il luogo dove si dovrebbero confrontare Sert, associazioni, comunità, carcere e chi si occupa di sanità per vedere quali politiche mettere in campo alla luce della provvidenziale sentenza della Corte Costituzionale che ha abrogato la famigerata Fini-Giovanardi. Perfino negli Usa, propugnatori da metà degli anni sessanta del proibizionismo internazionale, si stanno rivedendo e superando le politiche repressive e si sta andando verso la legalizzazione della marijuana in molti stati, per uso medico ma anche ludico". Lettere: cari politici, la vera spending review è togliere i soldi ai criminali di Luca Tescaroli (Sostituto Procuratore Dda Roma) Il Fatto Quotidiano, 26 agosto 2014 Pur essendo l’Italia la terza economia d’Europa e la seconda industria dopo la Germania, nessuno appare disponibile a investire e ad assumere nelle Regioni del Sud e in particolare in Sicilia. La perdurante crisi economica è un terreno fertile per il proliferare delle strutture mafiose, e di Cosa Nostra in particolare. La disponibilità di risorse economiche a "costo zero" derivanti dai traffici e dalle attività illecite, e la conseguente capacità di "scalare" aziende in difficoltà, la capacità intimidatoria di assoggettamento anche nei confronti degli imprenditori, l’attitudine a offrire protezione e opportunità di crescita agli esponenti più spregiudicati del mondo imprenditoriale, la possibilità di offrire una "giustizia sostitutiva" rispetto a quella statuale, la forza di condizionamento della cosa pubblica attraverso la corruzione associata all’intimidazione, l’omertà diffusa costituiscono per i mafiosi, in questo contesto storico, i fattori idonei a coltivare il fertile terreno per implementare l’infiltrazione nell’economia legale, nell’assegnazione e nella gestione degli appalti. Il contesto impone una riflessione per verificare quali antidoti impiegare, a livello giudiziario e legislativo, per impedire o comunque ostacolare sul piano repressivo l’avanzata silente dell’azione mafiosa, solo in parte individuata dal contrasto giudiziario. L’esigenza è, sul piano della giustizia, quella di poter disporre di riti penale, penitenziario e civile celeri ed efficienti, capaci di garantire che i colpevoli paghino fino in fondo per le proprie responsabilità e per i propri errori, perché l’assenza di una pronuncia sulla responsabilità, della certezza dell’espiazione della pena, della possibilità di conoscere chi ha torto o ragione nelle controversie spalancano alla criminalità organizzata ampi spazi di intervento. È poi necessario rimodulare la strategia di aggressione da parte della magistratura e delle forze dell’ordine per impoverire sempre più il mafioso, potenziando le misure di prevenzione patrimoniali per confiscare i beni, parallelamente al procedimento penale. Un massiccio, efficace e sistematico impiego di questo strumento potrebbe far fronte alle risorse finanziarie necessarie al funzionamento della giustizia, drenando potentemente gli "evasori totali", quali sono i mafiosi. Occorre poi, con opportuni interventi normativi, accelerare la tempistica del procedimento di prevenzione, limitando i casi in cui è possibile l’appello (ad esempio, solo dinanzi a nuove acquisizioni decisive e successive al primo grado) e introducendo strumenti celeri di destinazione dei beni agli uffici giudiziari. Il conseguente affievolimento delle garanzie può essere bilanciato dalla specializzazione dei magistrati destinati a occuparsi della materia, tenuto conto che non si incide direttamente sulla libertà personale. Una seconda direttrice di interventi dovrebbe riguardare le figure degli imprenditori, creando incentivi concreti che rendano conveniente la collaborazione con la giustizia, sia per chi è colluso, sia per chi è vittima del sistema mafioso, disegnando uno status per il "collaboratore imprenditore". Penso a diritti di prelazione nell’aggiudicazione degli appalti pubblici e a forme di finanziamento agevolato, correlati all’entità del contributo offerto. Una terza linea d’azione dovrebbe offrire strumenti adeguati per reprimere la corruzione, limitando la prescrizione alla fase dell’indagine, in modo che, una volta esercitata l’azione penale, si debba giungere alla pronuncia sulla responsabilità, consentendo la punibilità di questo reato ogniqualvolta il funzionario o il politico ricevano denaro, a prescindere dalla correlazione con un atto d’ufficio: così identificando il delitto con il sentire comune che correla la corruttela alla dazione di denaro al pubblico ufficiale. Inoltre è auspicabile reintrodurre il falso in bilancio e assicurare la punibilità dell’auto-riciclaggio. Spero che le iniziative appena citate siano oggetto di riflessione e fungano da stimolo per la nuova classe politica dominante. Lo stato di cose che oggi viviamo ha compromesso l’autorevolezza delle precedenti classi politiche italiane, incapaci di risolvere, dall’Unità d’Italia a oggi, i problemi fondamentali creati dalla presenza del crimine mafioso che ha, senza possibilità di smentita, impedito lo sviluppo nelle Regioni del Sud. Lettere: scuole carcerarie, la conferma non vale come precedenza Italia Oggi, 26 agosto 2014 Sono una docente di scuola primaria titolare da quattro anni su un posto per l’istruzione e la formazione in età adulta(tipo di posto: "ZJ"). Avendo presentato domanda di mobilità a marzo 2014 e non avendo ottenuto il trasferimento in una delle sedi richieste, ho pensato, ai sensi dell’art. 2 comma 1), lettera i) del Ccni sulle utilizzazioni del 2014, di presentare nel mese di luglio domanda di utilizzazione presso uno di quei posti di scuola primaria funzionanti all’interno di un istituto di pena per soli adulti (tipo di posto "QN"). Premesso che ho già insegnato per due anni in quell’istituto di pena richiesto tra le sedi di utilizzo da me espresse, che ho seguito un paio di corsi formazione-aggiornamento erogati da alcuni Enti di formazione (per il personale scolastico) accreditati dal Miur inerenti la didattica rivolta ad adulti presenti nelle carceri e che quel posto è vacante (non c’è un titolare di cattedra, ma solo un supplente annuale con contratto fi no al 31/08/14), vorrei sapere se posso chiedere l’utilizzo per l’a.s. 2014/2015 presso il posto di scuola primaria funzionante presso l’istituzione carceraria. Vorrei sapere, inoltre, se ho diritto alla precedenza considerato che ho già insegnato per 2 anni nell’istituto di pena per adulti ed altri 4 in un corso di alfabetizzazione (di scuola primaria) per adulti in un normale plesso di un centro territoriale permanente. Teresa Pierro, da Cosenza Ai sensi dell’art. 2 comma 1 lettera I "i docenti titolari su insegnamento curriculare possono chiedere di essere utilizzati su posti istituiti presso le strutture ospedaliere o presso le istituzioni carcerarie". La sequenza delle operazioni prevede espressamente la conferma dei docenti interessati, ma tale conferma è collocata al 32esimo posto nell’ordine delle operazioni. Non si tratta, dunque, di una vera e propria precedenza, quanto, invece, di una mera operazione procedimentalizzata. Antimo Di Geronimo Sardegna: Socialismo Diritti Riforme; 4 direttori gestiscono 10 Istituti penitenziari su 12 Ristretti Orizzonti, 26 agosto 2014 "La grave carenza di Direttori - in quattro gestiscono 10 istituti su 12 - sta rendendo difficile la vita all’interno delle carceri in Sardegna. Il Ministero deve smetterla di fingere di non vedere e indire un concorso. È uno scandalo che continua e cresce". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme". "È impossibile - sottolinea - dimenticare che il Direttore di Buoncammino, titolare anche di Mamone, sta sostituendo la collega di Sassari-Bancali in ferie, mentre il responsabile di Oristano-Massama oltre a Is Arenas, regge l’Istituto di Macomer. Impresa molto complessa poi per la Direttrice di Badu e Carros che ha in carico anche la struttura di Tempio-Nuchis e per il responsabile della Scuola di Polizia di Monastir che cura Lanusei e Iglesias. Gli unici Istituti in Sardegna a godere di un responsabile sono Alghero con la direttrice Elisa Milanesi e Isili con Marco Porcu". "Le problematiche sono acuite dalle distanze tra un carcere e l’altro e dalla specificità delle singole realtà organizzative e logistiche. Espletare il ruolo di Direttore comporta - evidenzia la presidente di Sdr - numerose responsabilità a partire dalla conoscenza dell’intero personale oltre che dei cittadini privati della libertà. È impossibile poter curare in maniera individualizzata, così come le circolari ministeriali suggeriscono, i detenuti. Si tratta infatti di effettuare costanti colloqui anche con i familiari in modo da garantire una prevenzione. Benché abbiano un importante ruolo i Comandanti, anche tutto il sistema della sicurezza non può prescindere dal Direttore e ciò vale anche per gli amministrativi". "La situazione non può permanere anche perché le Colonie Penali richiedono un’attenzione particolare sul fronte della gestione amministrativa e hanno necessità di incarichi esclusivi. Esiste poi il problema dei nuovi Villaggi Penitenziari di Bancali, Massama e tra breve anche Uta con una moltiplicazione di detenuti. Il Ministero dovrà anche decidere di individuare un nuovo Provveditore regionale dal momento che il dott. Gianfranco De Gesu riveste un prestigioso incarico anche a Roma. L’auspicio è che il Provveditorato - conclude Caligaris - venga assegnato a un sardo e con esperienza. Almeno così potrà dedicarsi alla realtà che conosce meglio lavorando in pianta stabile nell’isola". Civitavecchia (Rm): detenuta di 42 anni muore suicida, avrebbe terminato la pena tra 4 mesi Ristretti Orizzonti, 26 agosto 2014 Una detenuta 42enne si è suicidata, sabato sera, nella sua cella del carcere di Civitavecchia. Ne da notizia il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. "Nella notte di sabato, nella Casa circondariale di Civitavecchia si è tolta la vita una detenuta di nazionalità italiana di anni 42: è purtroppo il quarto caso in pochi anni che si verifica nella sezione femminile del carcere. Un Reparto il cui Ispettore coordinatore (un uomo) è spesso impiegato in altri servizi d’istituto. Questo episodio deve far capire all’Amministrazione penitenziaria l’importanza di avere un coordinatore stabile del settore detentivo femminile, magari destinando in quell’incarico un Ispettore di Polizia Penitenziaria femminile", sottolinea il segretario generale del Sappe Donato Capece. "Quel che mi preme mettere in luce" aggiunge Capece "è la professionalità, la competenza e l’umanità che ogni giorno contraddistingue l’operato delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria con tutti i detenuti per garantire una carcerazione umana ed attenta pur in presenza ormai da anni di oggettive difficoltà operative come il sovraffollamento, le gravi carenze di organico di poliziotti, le strutture spesso inadeguate. Siamo attenti e sensibili, noi poliziotti penitenziari, alle difficoltà di tutti i detenuti, indipendentemente dalle condizioni sociali o dalla gravità del reato commesso - conclude il leader dei poliziotti penitenziari. "Negli ultimi vent’anni anni, dal 1992 al 2012, abbiamo salvato la vita ad oltre 17.000 detenuti che hanno tentato il suicidio ed ai quasi 119mila che hanno posto in essere atti di autolesionismo, molti deturpandosi anche violentemente il proprio corpo. Numeri su numeri che raccontano un’emergenza purtroppo ancora sottovalutata, anche dall’Amministrazione penitenziaria che pensa alla vigilanza dinamica come unica soluzione all’invivibilità della vita nelle celle senza però far lavorare i detenuti o impiegarli in attività socialmente utili". Il Garante: detenuta suicida sarebbe uscita tra 4 mesi Il tragico episodio sarebbe avvenuto nella notte di sabato scorso. A renderlo noto il segretario del sindacato di polizia penitenziaria Sappe, Donato Capece, che ha inoltre sottolineato che sarebbe la quarta detenuta suicida del penitenziario in pochi anni, in un reparto dove manca inoltre la figura fissa dell’ispettore coordinatore. Ma l’episodio è reso, se possibile, ancor più tragico se si pensa che la donna che si è tolta la vita sarebbe uscita dall’istituto di pena fra quattro mesi, ossia il prossimo dicembre. A dichiararlo, in una nota, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni che aggiunge: "Una persona che, a poche settimane dal fine pena, decide di negarsi in maniera tanto drammatica ogni speranza per il futuro dovrebbe farci riflettere sulla reale capacità della pena di tutelare i detenuti e di garantirne il pieno recupero". La detenuta, A. L., era in carcere dal 2011 per una serie di reati comuni ed aveva problemi di dipendenza dalle droghe, e negli ultimi tempi avrebbe manifestato un forte disagio tanto da essere, proprio per questo, sottoposta in carcere alle misure previste in questi casi. "Il gesto di questa donna - ha proseguito Marroni - riaccende per l’ennesima volta i riflettori sull’utilità della detenzione per i tossicodipendenti e, più in generale, per tutti coloro che sono affetti da malattie. Il carcere è un ambiente duro che piega la resistenza dei più forti, figurarsi di quanti vivono una situazione di disagio psicologico. Nel caso specifico anche il momento del fine pena, se non affrontato con adeguati sostegni, per i soggetti più deboli può essere drammatico". "Credo che il carcere non sia la risposta migliore ai problemi delle persone malate - ha concluso Marroni - e che non basti diminuire le presenze per avere condizioni più umane di detenzione. La differenza sta nella funzione trattamentale e nell’individuare la soluzione più efficace a garantire i diritti dei reclusi, garantendo la continuità di trattamento anche quando finisce la detenzione. Per questi casi, la soluzione migliore può essere il ricorso a misure alternative alla detenzione come il ricovero nelle comunità terapeutiche, che sicuramente hanno maggiori professionalità per accogliere queste persone". Sassari: detenuto morto in carcere per overdose, i legali della famiglia "indagate ancora" di Nadia Cossu La Nuova Sardegna, 26 agosto 2014 Ucciso da un’overdose, il pm chiede l’archiviazione e gli avvocati si oppongono: dov’è finita la siringa? Come era finita la droga in un carcere moderno, appena inaugurato? Come aveva fatto il detenuto romeno a eludere i controlli riuscendo a iniettarsi con una siringa l’eroina che lo uccise? Sono tanti gli interrogativi senza risposta nella vicenda che ruota intorno alla morte di Viorel Neicu, 30 anni, avvenuta ad agosto del 2013 nell’istituto penitenziario di Bancali. In un primo momento si era detto che il detenuto romeno fosse morto per un infarto fulminante. Ma i familiari della vittima non hanno mai creduto a una morte naturale, anche perché proprio sei mesi prima del decesso, Viorel si era sottoposto ad alcune visite mediche in carcere che avevano accertato il suo ottimo stato di salute. Per questo i parenti avevano chiesto con forza che venisse fatta chiarezza. E per arrivare alla verità si erano affidati agli avvocati di Olbia Cristina e Abele Cherchi. A gennaio la svolta: la perizia depositata dal medico legale Vindice Mingioni su richiesta del pubblico ministero Elisa Loris rivela che a causare la morte di Viorel Neicu fu un’overdose di eroina iniettata con siringa. Il risultato dell’esame eseguito da Mingioni aveva dunque aperto nuovi scenari e la speranza dei familiari era che la Procura di Sassari arrivasse a una conclusione diversa dalla richiesta di archiviazione. E invece è stata proprio questa la richiesta del pm Loris alla quale oggi si sono opposti i familiari del romeno attraverso i due avvocati Cherchi che chiedono al gip di rigettare la richiesta del pubblico ministero e disporre invece la prosecuzione delle indagini per accertare, tra le altre cose, "come sia stato possibile che all’interno di un carcere di massima sicurezza venisse spacciata e/o ceduta della droga, distribuita "tranquillamente con il carrello della spesa"; che nel momento in cui Neicu Viorel moriva, verosimilmente non fosse presente in sezione neppure un agente; che il defibrillatore avesse le piastre scariche dal 2010; che gli agenti non abbiano rinvenuto la siringa utilizzata da Neicu (così come ha accertato la perizia del medico legale ndc), che proveniva presumibilmente dall’infermeria, nonostante il detenuto fosse morto pochi minuti dopo la puntura letale e nonostante la cella fosse chiusa a chiave; che alcuni reclusi, con precedenti presso il consiglio di disciplina o denunciati, fossero destinati ad attività lavorativa interna di "spesino", "scopino" etc.; che colui/coloro che avrebbero ceduto e/o somministrato l’eroina al Neicu sapesse/sapessero che la stessa, una volta consumata, ne avrebbe causato la morte". Interrogativi che gli avvocati Cristina e Abele Cherchi si augurano possano trovare risposta. Bologna: il Consiglio di Stato conferma Elisabetta Laganà come Garante dei detenuti Dire, 26 agosto 2014 Dopo il Tar, anche il Consiglio di Stato conferma la legittimità della nomina di Elisabetta Laganà come garante dei detenuti del Comune di Bologna: è stata infatti respinta l’impugnazione della sentenza del Tribunale amministrativo regionale da parte dell’associazione Papillon e di Vito Totire contro la scelta dell’assemblea di Palazzo D’Accursio. E "la sentenza ha confutato tutti i motivi di ricorso ritenendoli infondati ed accogliendo definitivamente le argomentazioni del Comune", sottolinea una nota di Palazzo D"Accursio. La presidenza del Consiglio ha già informato i consiglieri del verdetto in cui "in particolare, è stato respinto il primo e principale motivo attinente all’ineleggibilità". La Corte dunque riconosce che la nomina da parte del Consiglio comunale è stata legittima, dopo la delibera di accettazione, da parte del Consiglio superiore della magistratura, delle dimissioni di Laganà dalle funzioni di esperto del Tribunale di sorveglianza, uno dei motivi che avevano spinto Papillon e Totire ad opporsi alla nomina. Non solo. "Palesemente infondate sono state poi ritenute tutte le eccezioni sollevate contro la procedura consiliare seguita" per la scelta del garante. Ovvero: mancata pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’avviso pubblico per la presentazione delle candidature; incongruità del termine per proporsi nel ruolo; definizioni dei criteri di valutazione dei curricula prima della scadenza del termine per la presentazione delle candidature; secretazione delle sedute della commissione consiliare che valuto" i profili. Soprattutto, si sottolinea nella nota del Comune, "è stato ritenuto inammissibile l"ultimo motivo di ricorso": la scelta di un garante che era stato esperto del Tribunale di sorveglianza. Sul punto, la Corte ritiene che: "al di la" del fattore di imparzialità riconosciuto dagli appellanti e dalle precedenti funzioni di esperto presso il Tribunale di sorveglianza, requisiti che manifestano la intrinseca ragionevolezza della scelta effettuata, si deve rilevare che la censura intinge tipicamente nel merito delle scelte amministrative senza velare profili di arbitrarietà o di illogicità, unici elementi che avrebbero potuto inficiare la scelta effettuata in sede amministrativa". La presidente del Consiglio comunale, Simona Lembi, esprime dunque soddisfazione per una sentenza "che conferma il buon operato del Comune. Risulta dunque definitivamente confermata la legittimità della nomina della dottoressa Elisabetta Lagana" come garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna", figura voluta "sin dal 2004, per dare ulteriore voce ai detenuti e meglio tutelare i loro diritti". Sulmona (Aq): trovato un telefonino nel supercarcere di via Lamaccio Il Centro, 26 agosto 2014 Non si sa ancora chi fosse il destinatario. Forse a uno dei tanti boss della camorra presenti nel supercarcere di via Lamaccio. Fatto sta che nei giorni scorsi gli agenti in servizio in uno dei reparti speciali del penitenziario peligno, quello dove sono reclusi i detenuti di alta sicurezza, sono riusciti a recuperare un telefonino perfettamente funzionante, completo di scheda sim. Una scoperta che ha fatto scattare misure di sicurezza e controlli a raffica in tutte le sezioni, in particolare nelle celle dove sono detenute le persone più pericolose, quelle che attraverso il telefonino avrebbero potuto comunicare e dare ordini con l’esterno per preparare azioni di qualsiasi portata criminale. In particolare la direzione ha disposto un’immediata inchiesta per scoprire come sia stato possibile introdurre il dispositivo in un carcere di massima sicurezza come quello peligno. Due le ipotesi più accreditate, anche in considerazione degli altri casi che si sono verificati in precedenza nei penitenziari italiani: o l’iniziativa di qualche parente durante i colloqui oppure attraverso la complicità di un agente in servizio nel supercarcere. La direttrice del carcere, pur non confermando la vicenda, ammette che episodi del genere possono anche verificarsi: "L’importante è riuscire a scoprirli. Segno che il sistema di sicurezza di un carcere è efficace e funziona". La vicenda ha riproposto il problema della carenza di personale accentuato in maniera ancora più drammatica dal fenomeno del ricorso alla malattia da parte di buona parte degli agenti in servizio nel supercarcere peligno. Nei giorni scorsi i sindacati hanno denunciato il problema annunciando lo stato di agitazione e l’avvio di eclatanti azioni di protesta. Su una forza lavoro di poco più di 250 poliziotti penitenziari, 50 hanno presentato il certificato medico. Cuneo: "La Favola Bella", il nuovo spettacolo teatrale dei detenuti di Saluzzo di Federica La Pietra www.targatocn.it, 26 agosto 2014 Le produzioni carcerarie sono ormai una realtà solida, ora anche riconosciuta dal Coordinamento Nazionale del Teatro in carcere. Manca davvero poco all’inizio della nuova stagione teatrale di Voci Erranti. Anche quest’anno è il carcere di Saluzzo ad aprire l’anno accogliendo un pubblico sempre più interessato e in continua crescita. Le produzioni carcerarie sono ormai una realtà solida, ora anche riconosciuta dal Coordinamento Nazionale del Teatro in carcere. Un pregio che si va ad unire all’approvazione della Fondazione Piemonte dal Vivo come attività teatrale di qualità e significativa per la cultura del nostro territorio. Lo spettacolo "La Favola Bella" va in scena da giovedì 25 fino a domenica 28 settembre con due repliche al giorno, alle ore 15 e alle ore 17 presso la Casa di Reclusione "R. Morandi" di Saluzzo, iniziativa resa possibile grazie alla volontà del Direttore Dott. Giorgio Leggieri, del Comandante, del responsabile dell’area educativa Davide Sannazzaro e degli Educatori oltre che del Magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Cuneo che da anni credono e sostengono il Progetto come realtà culturale e riabilitante per i detenuti e come occasione di apertura verso la cittadinanza e il territorio. Sono tredici i detenuti che prenderanno parte alla rappresentazione, diretti da Grazia Isoardi e in collaborazione con il coreografo Marco Mucaria. La regista definisce "La Favola Bella" come "una favola dentro la fiaba che scorre tra giochi di parole e movimento". Si tratta di una rivisitazione della storia di Cappuccetto Rosso, vista però attraverso gli occhi del lupo. Un punto d’osservazione che consente ai detenuti attori la possibilità di riconoscersi all’interno di quella che è probabilmente la fiaba più nota e rappresentata dai tempi della versione seicentesca di Perrault a quella dei fratelli Grimm. La morale rimane comunque intatta. L’obbiettivo di questo spettacolo è infatti la comprensione che, nonostante la nostra natura, è sempre possibile trovare la giusta strada per uscire dal bosco, l’unica via percorribile per divenire persone adulte. In attesa della prima, Voci Erranti rinnova il suo impegno sul territorio con la proiezione di due documentari sul tema del fare teatro in carcere come momenti di confronto e di approfondimento sull’argomento. Il primo di questi appuntamenti è con "Amunì, dal laboratorio teatrale al palcoscenico", opera del giovane regista torinese Manuel Coser. Il film comprende scene dello spettacolo Amunì con interventi di alcuni detenuti recitanti sulla realtà della vita carceraria. La proiezione avrà luogo presso La Castiglia di Saluzzo, giovedì 4 settembre, alle ore 21:00. L’ingresso è libero e gratuito. A tal proposito, ricordiamo che per assistere a "La Favola Bella" è obbligatoria la prenotazione entro il 14 settembre. Per farlo - e per ricevere qualunque informazione o comunicazione - potete contattare Voci Erranti dal lunedì al sabato, dalle ore 10:00 alle ore 17:00 telefonando al numero 340.6703534 - 0172.89893 o scrivendo a info@vocierranti.org. Il Progetto è reso possibile grazie al contributo della Compagnia di S. Paolo di Torino. Cagliari: detenuto in semilibertà causa incidente e rifiuta test alcol, grave automobilista Ansa, 26 agosto 2014 Un detenuto in stato di semilibertà provoca un grave incidente stradale, nel quale sono rimaste ferite quattro persone, una di queste è ricoverato in coma all’ospedale. È accaduto ieri sera alla periferia di Cagliari. Salvatore Cabiddu, 46 anni, intorno alle 21 stava rientrando la Statale 387 verso Cagliari, per far rientro nel carcere di Buoncammino, a bordo della sua Volkswagen Golf quando, forse per a causa di una mancata precedenza all’incrocio con la Statale 554 a Monserrato, si è scontrato violentemente con una moto, sulla quale viaggiavano due turisti residenti nel Modenese, Giovanni Gasparini, 42 anni, e Ilaria Cappai, 35 anni, originaria di Quartu, e una Toyota Yaris, condotta da Sergio Tangianu, 38 anni, che era in compagnia della moglie Alessandra Murtas, 41 anni, e della figlioletta minorenne. Ad avere la peggio gli occupanti della Yaris e lo stesso Cabiddu. Sergio Tangianu è stato trasportato d’urgenza all’ospedale Brotzu, dove si trova ancora ricoverato in gravissime condizioni, i medici mantengono riservata la prognosi. Ricoverati in ospedale anche la figlia, con ferite meno gravi, la moglie e il conducente della Golf. A Salvatore Cabiddu gli agenti della polizia stradale hanno anche ritirato la patente. Il detenuto ha rifiutato di sottoporsi alle analisi per verificare la presenza di alcol o di altre sostanze nel sangue. Immigrazione: la doppia solitudine dei migranti di Tito Boeri La Repubblica, 26 agosto 2014 Il problema che ci tocca più da vicino e, al contempo, quello su cui l’Europa può fare di più nell’immediato, quello degli sbarchi dei disperati in Sicilia, sembra essere stato derubricato dall’agenda dell’Unione. Il semestre europeo dell’Italia non deve essere mai iniziato. Il turno del nostro Paese alla presidenza dell’Unione è probabilmente stato saltato. Si vede che i Greci hanno passato il testimone direttamente alla Lettonia, approfittando di una nostra qualche distrazione, senza darci il tempo di reagire. Fatto sta che il problema che ci tocca più da vicino e, al contempo, quello su cui l’Europa può fare di più nell’immediato, quello degli sbarchi dei disperati in Sicilia, sembra essere stato derubricato dall’agenda dell’Unione. Si procede solo con i reciproci scambi d’accuse quando non si arriva agli insulti a mezzo stampa. Eppure da inizio luglio la contabilità dei morti nell’attraversamento del Canale di Sicilia ha subito una ulteriore e brusca accelerazione. Siamo passati da due a quasi tre morti al giorno, secondo la macabra contabilità di Fortress Europe. C’è ormai un villaggio di 7.000 anime sepolto in fondo al mare, ricostruendo quanto accaduto nei naufragi degli ultimi 10 anni di cui si ha notizia. La richiesta dell’Italia all’Unione continua ad essere principalmente quella di condividere i costi dell’operazione Mare Nostrum, istituita nell’ottobre 2013 all’indomani della strage dell’isola dei Conigli a Lampedusa. Questa operazione avrebbe dovuto rendere il Mediterraneo un mare sicuro, impiegando quasi mille militari, una nave anfibia, due fregate, due pattugliatori, aerei ed elicotteri oltre che potenziando la rete radar costiera, per individuare e soccorrere imbarcazioni in difficoltà in mare aperto o addirittura in prossimità delle coste africane. L’obiettivo conclamato di Mare Nostrum era quello di minimizzare, se non azzerare, il numero di morti in mare. Se questo era anche il vero obiettivo dell’operazione, è chiaro che ha fallito. Come previsto su queste colonne, Mare Nostrum ha fatto "moltiplicare il numero di persone che si mettono in mare su imbarcazioni di fortuna con il rischio, alla fine, di aumentare il numero dei morti anziché ridurlo". Gli scafisti sanno infatti che, messa in acqua un’imbarcazione a rischio, il soccorso è molto più probabile di prima. Il mare sarà più sicuro, ma è anche più affollato e non sempre purtroppo si riesce a prestare i soccorsi col tempismo che sarebbe necessario perché il monitoraggio, per quanto accurato, non riesce a identificare piccole imbarcazioni alla deriva, specie quando il mare è agitato. Per queste ragioni un finanziamento più equo di Mare Nostrum non risolve il problema delle stragi del Mediterraneo, anzi rischia addirittura di aggravarlo. L’operazione serve, questo sì, ad aumentare il flusso di chi può esercitare il diritto d’asilo, una volta sopravvissuto all’attraversamento. È questo il vero obiettivo che ci si propone? Se sì, è opportuno ammetterlo e capire che la vera posta in gioco non è certo quella di una ripartizione più equa dei costi dei pattugliamenti tra gli Stati Membri. Ciò che, al di là della retorica, preoccupa di più gli altri Paesi è la condivisione di un flusso di rifugiati destinato ad aumentare fortemente in virtù di queste operazioni ai confini. Non è un caso il fatto che la Germania accusi l’Italia di violare le norme Ue, che impongono di procedere immediatamente all’identificazione dello straniero sbarcato, con conseguente responsabilità per l’Italia dell’esame della domanda di asilo. La ritardata identificazione (con rilevamento delle impronte) degli stranieri sbarcati può servire a spingere una parte dei rifugiati verso il nord Europa perché il mancato riconoscimento immediato dello statuto di rifugiato non impone al Paese di arrivo di accogliere queste persone. Se mai il semestre italiano dell’Unione inizierà davvero, non potrà che aprirsi con un’agenda di incontri volti a garantire lo stato di protezione temporanea per i teatri di guerra ai confini dell’Unione. Purtroppo non siamo i soli ad essere geograficamente vicini a un’area di conflitto, dove si consumano veri e propri genocidi. Possiamo perciò trovare importanti alleati in questa battaglia, magari rinunciando a pretese solo di facciata. In ogni caso, bisogna essere i primi ad accettare il principio del burden sharing a tutti i livelli, non solo riguardo ai costi dei pattugliamenti. Ad esempio, se vogliamo permettere la libera circolazione all’interno della Ue di quanti abbiano ottenuto il riconoscimento del diritto alla protezione in un qualsiasi Stato membro, bisogna esser pronti a condividere il costo di un’assistenza sociale di base, garantita su tutto il territorio dell’Unione, per tutta la fase in cui lo straniero non è autosufficiente. India: caso marò; il governo non fa nulla, folle affidarsi solo alla giustizia di New Delhi di Michele De Feudis Il Tempo, 26 agosto 2014 "Non se ne può più": l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata con una battuta sintetizza lo stato d’animo di amarezza che stanno vivendo i familiari dei marò detenuti in India e perché domani (oggi ndr)una manifestazione davanti all’ambasciata dell’India? "Per restituire visibilità a questa incredibile vicenda che coinvolge Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trattenuti come prigionieri in India". Eppure si attendevano soluzioni dalla politica... "Esprimiamo una grandissima insofferenza. Non ne possiamo più di sentirci raccontare di tecnicismi segreti, negoziati subacquei, assi nella manica del governo Letta, inviati speciali con chissà quale soluzione magica per riportarli a casa. E non possiamo escludere in campo un ritorno dell’agenzia investigativa indiana antiterrorismo. Questo quadro aggrava le preoccupazioni di tanti italiani che da 500 giorni sono in prima linea dopo le giornate della vergogna". A cosa si riferisce? "Al marzo 2013 quando abbiamo rimandato in India i nostri soldati in India". Cosa ha prodotto l’azione del governo italiano? "Non ho visto, in contesti internazionali, recenti dichiarazioni di autorità italiane sul torto che stiamo subendo. Grazie alla manifestazione davanti all’ambasciata a New Delhi arriverà qualche telegramma o rapporto da Roma nel quale si spiega che il governo non si muove, ma c’è un popolo che è in trepidazione per Latorre e Girone". L’operato di Mogherini e Renzi? "Ero molto fiducioso. Ho preso per buone le dichiarazioni sulla internazionalizzazione, ma siamo di fronte ad un nulla di fatto. Con alcune note verbali abbiamo chiesto il dialogo. Poi c’è la curiosa telefonata tra Renzi e Morsi: mi pare di capire che il premier indiano ci ha invitato a fidarci della giustizia indiana. Se è questa la conquista della diplomazia italiana, non c’è da stare tranquilli". Ci sono certezze sul piano giudiziario? "Stiamo lasciando andare avanti l’ipotesi di un processo. Abbiamo versato la cauzione. I due militari sono attesi domani in tribunale. Mi auguro non si presentino". Nell’Italia delle tante commissione d’inchiesta, manca un organismo di indagine sulle giornate che hanno portato al ritorno in India dei marò. "Fdi ha chiesto da mesi una inchiesta parlamentare. La auspico dal momento delle mie dimissioni da ministro degli Esteri. Bisogna fare luce sulle responsabilità, dopo disinformazione e politica del silenzio, sulle concertazioni ministeriali, sui ministri che avevano insistito per trattenerli e hanno cambiato idea, sulle promesse fatte ai due marò per farli tornare in india, promesse poi rivelatesi false". Laos: cinque cristiani riconosciuti non colpevoli di omicidio, ma ancora detenuti Agenzia Fides, 26 agosto 2014 Cinque cristiani accusati dell’omicidio di una donna convertitasi al cristianesimo nella provincia di Savannakhet, sono stati riconosciuti "non colpevoli", ma non sono ancora stati rilasciati. Come riferito all’Agenzia Fides dall’organizzazione "Human Rights Watch per Lao Religious Freedom" (Hrwlrf) i cinque accusati sono il Pastore Kaithong, altri tre leader di nome Puphet, Muk e Hasadee, e un altro cristiano conosciuto come Tiang. Sono detenuti dal 23 giugno senza aver commesso alcun reato e nessuna data è stata fissata per il loro rilascio. I cinque cristiani furono accusati di aver ucciso la signora Chan, una donna convertitasi al cristianesimo, deceduta dopo due anni di malattia. I cinque, conoscendo le sue gravi condizioni di salute, erano andati a visitarla nel villaggio di Atsaphangthong, per portarle conforto. Deceduta mentre i cinque erano là, ai cristiani locali è stato anche impedito di celebrare per lei un funerale cristiano. Le autorità di polizia hanno poi arrestato il Pastore Kaithong e gli altri quattro cristiani, accusandoli di aver avvelenato la donna. Quella di Savannakhet risulta essere una delle peggiori province per le violazioni della libertà religiosa in Laos: negli ultimi anni sono stati frequenti episodi di minacce, sfratto, arresto e detenzione, interruzione di incontri e servizi religiosi, a danno dei cristiani locali. L’Ong Christian Solidarity Worldwide, che monitora la libertà religiosa nel mondo, invita il governo provinciale di Savannakhet a rilasciare subito i cinque cristiani innocenti. Brasile: quattro detenuti morti in seguito a una rivolta nel carcere di Cascavel www.internazionale.it, 26 agosto 2014 Il 24 agosto circa 700 detenuti del carcere di Cascavel, nello stato di Paraná, in Brasile, hanno organizzato una rivolta per protestare contro le condizioni igieniche della prigione e la mancanza di cibo. Nelle proteste alcuni detenuti sono stati presi in ostaggio, due prigionieri sono stati decapitati, due sono stati spinti giù dal tetto e sono morti. In tutto sono morte quattro persone e i feriti sono numerosi. La protesta è scoppiata durante la distribuzione dei pasti, i detenuti hanno preso il controllo di alcune parti della prigione, incendiandone alcuni punti. I prigionieri si sono coperti il volto con degli indumenti e hanno preso in ostaggio almeno due guardie. La polizia penitenziaria afferma che i detenuti stanno infliggendo delle torture agli agenti presi in ostaggio. Per il quotidiano brasiliano O Globo sono in corso dei negoziati tra polizia e detenuti per mettere fine alla rivolta. Il Brasile è il quarto paese al mondo per popolazione carceraria, con 500mila detenuti a fronte di 300mila posti disponibili nelle prigioni. Molte delle prigioni più povere sono gestite da gruppi criminali. Nel 2014 l’alta commissaria dell’Onu per i diritti umani Navy Pillay ha chiesto l’apertura di un’inchiesta sulle violenze e sulle morti che avvengono ogni anno all’interno delle prigioni in Brasile. Accordo tra polizia e detenuti pone fine a protesta Ci sarebbe un accordo in Brasile per porre fine alla rivolta nella prigione di Cascavel, nel Sud del Paese. Almento 4 persone sono state uccise, due decapitate. Un portavoce del Ministero della Giustizia dello Stato di Parana ha dichiarato che metà dei prigionieri verranno trasferiti in un altro istituto. Allora saranno rilasciate le due guardie prese in ostaggio.