Giustizia: una "grande riforma" a metà, soffocata dai veti di Forza Italia e Ncd di Ilario Lombardo Secolo XIX, 24 agosto 2014 Csm e intercettazioni: no. Accelerazione processo civile: sì. modifica del penale: sì. Prescrizione: ni. Falso in bilancio e auto riciclaggio: forse no. La Grande Riforma della Giustizia che verrà presentata in Consiglio dei ministri il 29 agosto sarà più piccola di quanto sperava il governo. Colpa di quei "temi divisivi" su cui mercoledì aveva messo in guardia anche Giorgio Napolitano. Prima del week-end il team del ministro della Giustizia Andrea Orlando ha tirato le somme sugli ultimi giorni di trattativa. E il risultato non fa certo ben sperare in una larga condivisione del parlamento sul lavoro del Guardasigilli. Il M5S ha snobbato il vertice di Orlando. Lo stesso hanno fatto Lega e Sel. Forza Italia è stato l’unico partito di opposizione ad accettare l’invito, ma il senatore berlusconiano Giacomo Caliendo è uscito "deluso" dal faccia a faccia con il ministro e chiede di aggravare maggiormente la responsabilità delle toghe nel pacchetto di modifiche. L’ex Cavaliere ha fissato i suoi paletti e anche nella maggioranza c’è più di qualche malumore, ben rappresentato dalla posizione del vice di Orlando, Enrico Costa, uomo di punta sulla giustizia del Ncd. Considerati i veti, che potrebbero trasformare il passaggio parlamentare in un ennesimo pantano, e i numeri, che sono sempre pochi a Palazzo Madama, la rosa dei 12 punti di cui era composta la riforma per ora perderà certamente qualche petalo. Insomma, non ci saranno tutte le bozze previste. Il premier Matteo Renzi però, anche in questo caso, non vuole sentir parlare di rallentamenti. "La riforma si farà" ripete. Ma andrà incontro a un effetto "spezzatino": un po’ oggi, un po’ domani. Di certo, il 29 ci sarà il decreto sul processo civile, e il ddl sulla responsabilità civile dei giudici (sempre che non lo rinviino per qualche ritocco che piace a destra). Altri testi non se ne dovrebbero vedere, e l’esecutivo riproporrà una serie di annunci. Troppo delicati i dossier del Csm e delle intercettazioni, che hanno bisogno di qualche settimana (o mese) in più. Mentre sul falso in bilancio e i tempi per la prescrizione pesa molto il giudizio di Silvio Berlusconi e del Ned, che attorno ai temi della giustizia stanno combattendo un’esplicita battaglia per l’egemonia nel centrodestra. Il Mattinale, house organ del capogruppo dei deputati di Fi Renato Brunetta, ha chiesto un ripensamento su entrambi i nodi che riguardano la parte penale della riforma. L’allungamento dei tempi della prescrizione, cioè il ritorno al regime prima della legge ex Cirielli di matrice berlusconiana, "diventerebbe - scrive il foglio azzurro online -l’autorizzazione alla tortura inqualificabile". Mentre introdurre il falso in bilancio e l’auto-riciclaggio, due nuovi reati (il primo in verità viene ripristinato) della cosiddetta economia criminale, per Fi sarebbe solo l’espressione di un "conservatorismo manettaro". Anche il viceministro Costa, soprattutto sulla questione della prescrizione, rinnova l’invito a una maggiore cautela. E sulle intercettazioni, il governo ha visto alzarsi voci contrarie non solo dal centrodestra ma da molti esponenti del Pd. Un panorama non favorevole al sogno di fare in fretta e subito di Renzi. E così anche sulla giustizia sembra riproporsi lo schema della riforma costituzionale. Beppe Grillo lo ha intuito quando, tornato alla carica, si è scagliato contro Berlusconi: "Questa gente qui fa un decreto sulla giustizia con un condannato? Ma stiamo scherzando? Depenalizzare il falso in bilancio è un’opera dello statista nano. Non ci puoi fare una legge sulla giustizia" Ma senza Fi, e con Ncd in guardia, il premier non ha i numeri. E con molta probabilità il patto del Nazareno andrà rinfrescato ancora, e, dopo Italicum e riforma costituzionale, integrato di un nuovo capitolo sulla magistratura su cui Berlusconi ha più di qualche suggerimento da dare. Giustizia: Sottosegretario Ferri; la riforma del "civile" necessaria per ripresa economica Adnkronos, 24 agosto 2014 La riforma della giustizia civile "rappresenta uno dei pilastri su cui si deve sostenere la ripresa economica. I cittadini, le imprese, il Paese, hanno bisogno di risposte rapide e tangibili, che siano in grado di costruire, in breve tempo, un sistema di regole certe e stabile su cui, tanto il mercato interno quanto gli investitori esteri, possano fare affidamento, ed all’interno del quale si stabilizzi la ripresa economica". Lo sottolinea all’Adnkronos il sottosegretario alla giustizia, Cosimo Ferri. "La lentezza dei processi - rimarca Ferri - frena la crescita per cittadini, imprese ed investimenti con costi enormi per il Paese, che si misurano tanto nel calo del Pil, tanto in odiose inefficienze, tanto in mancata tutela dei diritti. Per capire la dimensione del problema di cui discutiamo e quindi dell’urgenza di agire sulla giustizia civile, è sufficiente avere presente alcuni dati fin troppo chiari". Avere, come in Italia, "un arretrato giudiziario di oltre 5 milioni di processi pendenti", avverte, è "un costo insostenibile che in termini economici, si traduce in oltre 90 miliardi di euro di mancata ricchezza". Riguardo l’arretrato civile, il sottosegretario precisa che "si potrebbe intervenire anche con un decreto legge, mentre certamente la riforma più ampia della giustizia civile deve essere contenuta in una legge delega". "Secondo l’ultima stima di Confindustria, ricorda Ferri, il "solo abbattimento del 10% dei tempi della giustizia civile potrebbe determinare un incremento di quasi un punto di Pil". "Occorre quindi agire -fa notare- su un doppio binario: risolvere innanzitutto, il problema dell’arretrato civile (che costituisce una zavorra per la ripresa economica e che impedisce di ripartire con efficacia) e contestualmente prevedere una riforma più complessiva della giustizia civile per garantire ai cittadini la qualità e la rapidità delle risposte alla domanda di giustizia. Per fare ciò occorre eliminare passaggi farraginosi e ripetitivi del processo civile garantendo invece speditezza nella decisione". Ferri fa un esempio per spiegare i danni di una giustizia tardiva: "Se un proprietario di un immobile ha un contenzioso con il proprio inquilino e il giudice non decide in tempi brevi chi ha ragione, accadrà che il proprietario non potrà ridarlo in locazione ad un altro soggetto, che l’aspirante nuovo locatore non potrà aprire la propria attività e lavorare, né assumere. Non solo: il locatore che ha il contenzioso con il proprietario licenzierà, perchè sa che comunque nel caso di sfratto dovrà cessare l’attività. Intanto il proprietario non incasserà il canone di locazione e dovrà pagare sull’immobile tutte le tasse". "L’incertezza, la lunghezza del giudizio a chi gioverà? A nessuno e l’economia - avverte - sarà ferma, quando poi arriverà la decisione, qualunque essa sia, se tardiva, potrà lo stesso non soddisfare chi ha vinto". Caliendo: aggravare responsabilità toghe "Se un errore causa un danno di 200mila euro o si chiede al giudice l’intero risarcimento, sia pure rateizzato, o si deve graduare la rivalsa in rapporto al danno. Non si può accettare solo una quota dello stipendio, sia pure aumentata dall’attuale terzo alla metà". Così il senatore di Fi Giacomo Caliendo, intervistato dal Corriere della Sera, parla delle nuove norme sulla responsabilità civile dei giudici da inserire nella riforma della giustizia. "Poi - aggiunge - vanno condannati gli errori di diritto". "Se c’è un contrasto con la normativa europea, il giudice deve chiedere l’interpretazione autentica alla Corte di Lussemburgo. Non accadde così per la decadenza di Berlusconi da senatore". L’ex sottosegretario alla giustizia, che è anche l’uomo scelto da Berlusconi per l’incontro con il ministro Orlando sulla riforma, si sofferma poi anche sugli altri punti al centro del confronto. "No - dice - ad un intervento generalizzato per allungare i termini della prescrizione", "il processo è già lungo". No anche a un aumento di pene sulla corruzione, "è già stato fatto e non è servito a nulla". No, inoltre, a reintrodurre il falso in bilancio come reato penale: "Guai a punire penalmente le violazioni solo formali del bilancio. Sarebbe un grave danno per l’economia". Paletti, infine, sul reato di auto-riclaggio: "Deve esserci una norma che lasci fuori i reati di piccola portata". Giustizia: Coisp; più serve sicurezza… più le risorse vanno altrove Adnkronos, 24 agosto 2014 "Più serve sicurezza e più le risorse vengono destinate altrove. Più serve sicurezza e più larghe si fanno le maglie della giustizia per chi viola la legge. Più serve sicurezza e peggiori sono le frottole che vengono raccontate ai cittadini per confondere le carte in tavola". Lo sottolinea Franco Maccari, segretario generale del Coisp, sindacato indipendente di Polizia. "È scandaloso - denuncia il Coisp in una nota - che nel giro di qualche giorno si susseguano notizie che tratteggiano un quadro del Paese veramente desolante. Prima il ministro dell’Interno che si vanta di aver messo in campo nientemeno che una maxi-operazione sicurezza per arginare il grave fenomeno dei venditori ambulanti; poi la bella notiziola che forse ancora per altri due anni gli appartenenti al comparto sicurezza riceveranno stipendi inferiori a quelli che gli spettano per via della consueta e costante "rapina" di Stato; intanto a Rossano, in Calabria, si assiste alla liberazione obbligatoria di quattro terroristi somali, scarcerati nei giorni scorsi dalla locale casa circondariale". "E di fronte a tutto questo - insiste Maccari, invece che blindare in ogni modo il comparto e predisporre con la dovuta decisione strumenti e mezzi ordinari e straordinari qui che si fa? Si abbatte l’ennesimo colpo di mannaia sul personale in divisa sbriciolando le motivazioni cui sono rimasti attaccati con le unghie e con i denti; si ignora allegramente l’assoluta necessità di ripianare gli organici e ristabilire i numeri necessari a fronteggiare gli impegni di casa nostra e le minacce che vengono dall’esterno; si continua a gestire le problematiche connesse all’immigrazione come si trattasse di gestire scolaresche che vanno in gita; nessuno osa emettere un fiato rispetto a leggi che non ci consentono le dovute rigidità e severità verso gli irregolari che potrebbero rappresentare una minaccia per il Paese". Giustizia: intervista a Nicola Cosentino "resto in carcere perché sono stato un politico…" di Marilù Musto Il Mattino, 24 agosto 2014 Lui il carcere sa bene cosa sia, l’udienza del tribunale del Riesame non gli ha dato scampo. Nicola Cosentino, ex deputato di Forza Italia ed ex sottosegretario all’Economia, è rinchiuso nella casa circondariale dal 3 aprile scorso. Da quattro mesi è in isolamento, dietro le sbarre su richiesta della procura Distrettuale Antimafia. Stessa sorte per il fratello Giovanni (rinchiuso a Teramo), indagato anche lui nell’inchiesta che ipotizza i reati di estorsione aggravata con il terzo fratello, Antonio, ai domiciliari. L’indagine sui Cosentino si riferisce alla presunta influenza esercitata dal politico di famiglia, Nicola, che da potentissimo ex coordinatore regionale del Pdl, con rapporti con il clan dei Casalesi, avrebbe compiuto pressioni per danneggiare un "avversario" della società di famiglia, l’Aversana Petroli, relativamente all’installazione di un distributore di benzina sulla statale Nola-Villa Literno, a poche centinaia di metri da un impianto della stessa società dei fratelli Cosentino. L’avversario era Luigi Gallo, che dieci anni dopo aver subito presunte pressioni è stato chiamato in procura a raccontare la sua versione dei fatti, divenendo il grande accusatore dell’ex sottosegretario. È questo il tema della terza ordinanza di custodia cautelare per Nicola Cosentino, già detenuto per tre mesi - dal 15 marzo del 2013 al 26 luglio dello stesso anno - nell’ambito dell’inchiesta Eco4 sugli intrecci tra camorra e rifiuti. L’ex deputato forzista è sotto processo davanti ai giudici del tribunale di Santa Maria Capua Vetere per questa inchiesta e per l’altra conosciuta come "Il Principe e la ballerina" che vede Cosentino al centro del business dell’edificazione del centro commerciale nel suo paese d’origine, Casal di Principe. Centro mai costruito. Dopo la prima carcerazione preventiva, scattata appena persa l’immunità parlamentare, Cosentino ha regolarmente preso parte alle udienze dei processi nella sua qualità di imputato. Poi, la misura cautelare in seguito all’inchiesta sui distributori di benzina. Cosentino accetta di rispondere alle domande scritte che "Il Mattino" gli ha formulato e fatto pervenire e racconta, nel testo che segue, aspetti della sua detenzione, ma soprattutto parla delle sue complesse, lunghe e tormentate vicende processuali, non senza giungere ad una valutazione sull’attualissima inchiesta che vede coinvolto il deputato di Forza Italia Luigi Cesaro, e i suoi fratelli imprenditori, relativamente ad appalti, clan e politica nel casertano. Onorevole Cosentino, come trascorre le giornate in carcere? "Le passo ventidue ore su ventiquattro nella mia cella, in isolamento. Leggo moltissimo". Cosa legge? "Ho iniziato la lettura della Storia Universale, ma spero che la mia detenzione preventiva, che non riesco francamente a comprendere di fronte a tante pronunce contrastanti dei diversi giudici che si sono occupati della mia libertà, cessi prima d’averla terminata". Legge soltanto libri? "No, leggo a lungo gli atti dei miei processi. Vivo un assurdo esistenziale, anche perché leggo e rileggo le imputazioni che mi vengono mosse e che mi costringono in carcere. E vedo che risalgono al 2000, al 2002, al 2004. Leggo che potrei ancora agevolare il clan, che però secondo il Procuratore Nazionale Antimafia è ormai debellato. Leggo che potrei ancora prestarmi ad agevolare soggetti ormai in carcere da anni, insieme ai loro figli e nipoti, o divenuti collaboratori di giustizia. Leggo e rifletto". Lei si trova in carcere una seconda volta nella sua vita, per la vicenda carburanti, in quanto è stato considerato un politico influente anche per gli affari di famiglia. È davvero così? "Sono in carcere perché, per alcuni dei giudici che hanno valutato la mia posizione - andando contro le decisioni dei miei giudici naturali, quelli innanzi ai quali stiamo celebrando i processi, che invece mi avevano liberato - le relazioni politiche che in oltre venticinque anni di attività ho coltivato rappresenterebbero uno strumento per agevolare le iniziative illecite del clan dei casalesi. Essi ritengono, cioè, che tutti i personaggi politici, anche di livello nazionale, che sono divenuti importanti, a seguito dell’appoggio dato in qualità di coordinatore del mio partito, potrebbero lasciarsi condizionare da me e, per riconoscenza, svolgere attività funzionale agli interessi del clan". È così? "L’ipotesi che queste personalità politiche, fatte oggetto di una apposita informativa nella quale sono elencate le donne e gli uomini di Forza Italia e del Pdl eletti in Campania, additati come possibili strumenti interposti per operazioni illecite, lascia esterrefatti". C’è l’aspetto dei cosiddetti "affari di famiglia". "Negli atti sono presenti diverse informative che ricostruiscono gli organigrammi delle aziende di famiglia e da esse emerge, in modo inconfutabile, che non ho mai avuto cariche o incarichi in tali società. Non solo: basterebbe riflettere sulla circostanza che nessuna delle aziende dei miei fratelli ha fornito un solo litro di gasolio a nessuno dei 550 comuni della Campania, nemmeno nel periodo in cui sono stato Sottosegretario all’Economia, per comprendere come io non abbia mai speso il mio potere o il mio ruolo per incrementare il fatturato delle aziende". Lei cosa sostiene nella specifica vicenda che è alla base di quest’inchiesta che l’ha riportata in carcere? "Mi permetto soltanto far rilevare l’incongruenza logica dell’ipotesi dell’accusa: se, come si sostiene, io ero il referente politico dei temutissimi casalesi, mi sarebbe bastato fare un paio di telefonate per convincere o far convincere immediatamente il Gallo ad abbandonare l’iniziativa di installare un distributore di benzina, e non sarebbero occorsi anni di ricorsi e controricorsi al Tar per definire la vicenda. A maggior ragione se poi si consideri che, secondo quanto emerso dalle stesse dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, lo stesso Gallo sarebbe stato soggetto sensibile alle richieste di quegli ambienti, sino a consentire che presso il suo distributore si svolgessero incontri e summit di camorristi. Per converso, l’Ufficio Tecnico del Comune di Villa di Briano, che aveva rilasciato l’autorizzazione al Gallo, sarebbe stato di fatto controllato dal medesimo clan". Onorevole Cosentino, lei è stato uno dei politici più potenti del Paese. Ora è in carcere da mesi. Sia sincero, sente un accanimento nei suoi confronti da parte della Dda di Napoli? "Francamente no: sono convinto che i magistrati delle indagini sono stati sviati dalle dichiarazioni, fumose generiche e contraddittorie, di alcuni collaboratori di giustizia. Compresi quelli appena ritenuti inaffidabili in occasione dell’annullamento del provvedimento cautelare emesso nei confronti dei Cesaro". A tal proposito. Ha letto articoli o atti della vicenda legata a Luigi Cesaro e sul fatto che dal Riesame ha subito un duro colpo? Trova qualche analogia con il suo caso giudiziario? Riflettendo soprattutto sul fatto che la sua vicenda si è conclusa in maniera diversa. Lei, allo stato, è l’unico politico campano detenuto fino ad ora per reati contestati dalla Dda. "Ho seguito lo sviluppo della vicenda Cesaro attraverso la lettura dei quotidiani e vi trovo alcune analogie: ad esempio, in riferimento a talune dichiarazioni di pentiti che hanno - come nel mio caso - via via modificato nel tempo le proprie dichiarazioni, aggiustando in corso d’opera le accuse - originariamente incompatibili con i dati storici - per renderle invece verosimili. Ma, nel mio caso, quelle contraddizioni non sono state ritenute sufficienti per indurre cautela nell’affidarsi alla parola di soggetti che, comunque, avevano e hanno tutto l’interesse a ottenere che dalle loro dichiarazioni sortiscano condanne, perché questa è l’attuale logica della legislazione premiale". Lei ora è l’unico personaggio politico detenuto. "È vero. Il mio rammarico è che, pur non avendo mai tentato di sfuggire al processo, anzi sollecitando il giudizio immediato nel caso del processo Eco4 sui rifiuti e proponendo l’acquisizione probatoria di tutte le informative nell’altro processo per il centro commerciale "Il Principe", partecipando attivamente alle udienze, mantenendo e manifestando sincero rispetto verso i giudici di Santa Maria che sono chiamati a giudicarmi, ho ottenuto soltanto risposte di estremo rigore. E non ha recato alcun frutto la scelta responsabile, che continuo a rivendicare come unica scelta giusta, di fare i processi nel tribunale, e temo che il mio esempio possa indurre altri imputati, in analoga posizione, ad adottare scelte opposte di resistenza mediatica, politica, protestataria. Credo invece nell’accertamento, quando è sereno". Dopo la scarcerazione della prima ordinanza cautelare lei ha partecipato alla celebrazione della nascita di Forza Campania. E questo ha dato, in qualche modo, la possibilità alla Dda di spiegare che lei era ancora influente. Si sente così, onorevole Cosentino? Si è pentito di quella visita a Napoli? "Non credo francamente di poter essere davvero ancora influente. Le relazioni politiche formatesi negli anni certo non possono dismettersi con un atto di volizione: se sono un bravo ingegnere non posso decidere di cancellare le mie competenze. Esse moriranno con me. Bisogna però precisare che tutte le imputazioni che mi sono elevate non menzionano affatto la mia influenza in chiave di relazioni, bensì il ruolo specifico istituzionale e partitico che, in alcuni determinati momenti storici, ricoprivo. Non mi si contesta, in altri termini, di aver agevolato il clan attraverso le mie influenze, ma di aver operato sfruttando e strumentalizzando il ruolo di parlamentare e di coordinatore del mio partito. Soltanto quando poi ho dismesso ogni incarico e non sono stato ricandidato, è emerso per la prima volta il tema delle relazioni politiche. Sia le ordinanze cautelari originarie che alcuni provvedimenti successivi del Gip espressamente legavano - con maggiore logicità - la non concedibilità della revoca della misura esclusivamente alla specifica qualità e funzione di parlamentare e coordinatore del Pdl". E Forza Campania? "Quanto a Forza Campania, ribadisco di non esserne stato il promotore, anche se, come è ovvio, i politici campani hanno continuato, bontà loro, a vedere in me un riferimento". Onorevole Cosentino, cosa è il mondo del carcere? Come lo sta vivendo? "È un universo parallelo, che vive secondo regole, orari, sintassi completamente diverse dalla vita "fuori". Una realtà estremamente dura, punitiva, anche per tutti i detenuti in attesa di giudizio che ancora non si sa se meritino questa pena, che gli operatori della struttura, che lavorano in condizioni terribili, riescono faticosamente ad umanizzare, con tanto sforzo e tantissima professionalità". La sua famiglia? La moglie, i figli... "Ho con loro un collegamento ideale che li rende presenti ogni singolo minuto della mia giornata. Sono sempre con me". Giustizia: il criminologo Denti sul "caso Yara", Bossetti sarà scagionato, il Dna non basta Adnkronos, 24 agosto 2014 Massimo Giuseppe Bossetti "sarà scagionato. Il Dna è una prova, ma sfido qualsiasi genetista a dire che non è trasportabile; dunque dove sono gli elementi che dimostrano che lui ha ucciso Yara?". È un duello ambizioso e piuttosto impopolare quello che il criminologo investigativo Ezio Denti lancia attraverso l’Adnkronos, a poche ore dalle ultime indiscrezioni sull’omicidio della 13enne Gambirasio. Un omicidio per cui, dal 16 giugno scorso, si trova in carcere il 44enne muratore bergamasco. "Bossetti è nato per essere scagionato", contro di lui ci sono "elementi discutibili" e poco importa se l’opinione pubblica sembra aver bisogno di un colpevole, "si dovrà ricredere, perchè contro un sospettato servono prove" e con quello che la procura ha in mano "non credo si arriverà neanche a processo", sentenzia il professionista, inizialmente contattato dalla difesa dell’indagato. Nei panni del garantista, il criminologo Denti ci sta da sempre "per la ferma convinzione che ciascun cittadino meriti un’equa difesa. Questo è accanimento contro un soggetto, poco importa se si chiama Rossi o Bossetti, per porre fine a un caso in cui ci sono stati tanti errori. Io non metto in dubbio il Dna, i laboratori non sbagliano, ma come sia finito sul corpo della vittima deve spiegarlo la procura e farlo oltre ogni ragionevole dubbio". Di Bossetti, dopo l’archiviazione di Mohammed Fikri (finito in carcere per una traduzione sbagliata e poi rilasciato, ndr), "non emergerà altro che la presenza della sua firma genetica e questo non basterà a condannarlo. Ricordo - dice - un caso in cui il presunto colpevole finì in galera perchè il suo Dna fu trovato sul corpo della vittima, uccisa a colpi di cacciavite. Un cacciavite con cui fu ferito in una rissa due giorni prima dell’omicidio e il suo aggressore, reo confesso, risultò il vero colpevole". Ci sono "diversi casi di giurisprudenza dove il Dna da solo non è mai bastato a mandare in galera nessuno", aggiunge. Il furgone ripreso dalle telecamere di sorveglianza della banca, la sera della scomparsa di Yara Gambirasio, "non corrisponde - spiega il criminologo investigativo Denti - alla sagoma di quello del sospettato" e anche il video che mostra un’auto "ho spiegato che non combacia con la sua Volvo", né le celle telefoniche "dimostrano la sua presenza" sulla scena del delitto. "La cella di Mapello può essere ‘agganciatà anche da casa Bossetti e da alcune prove fatte personalmente questo è dimostrabile; quindi mentre Yara veniva colpita lui poteva essere nella sua abitazione", sottolinea l’esperto. "Magari il 44enne resterà indagato a vita, ma se è solo questo che ha in mano la procura non credo che chiederà il giudizio immediato e non credo si arriverà al processo. Se con questi elementi fosse condannato cambierei Paese". L’onore della prova "spetta al pm e per ora di prove non ce ne sono: non ci sono testimoni oculari, non ci sono tracce della vittima sul furgone o sull’auto e non c’è altro. Non ci interessa - conclude - sapere se andava al solarium o si ossigenava i capelli: questo non fa di Bossetti un assassino". Lettere: carceri, gli esseri umani non hanno diritto alla dignità? di Giulia Rossi Corriere della Sera, 24 agosto 2014 Gentile Severgnini, mi rivolgo a lei e alla sua sensibilità. Volevo portare all’attenzione dei lettori il problema delle carceri. Mi sono dovuta imbattere, da qualche mese, in questa realtà per via di mio padre che è nel carcere di Rebibbia con la condanna per bancarotta. Dicono che il carcere romano sia uno dei migliori d’Italia. Vorrei che i politici andassero in incognito, una mattina qualunque, e si mettessero in fila per il colloquio. La sala è in uno stato indegno, sono mesi che i bagni sono inagibili, niente funziona e nulla è pulito. Sei fortunato se non prendi una malattia. Per non parlare dentro: i parlatori fatiscenti, detenuti in celle sovraffollate. Gli addetti ai lavori lo sanno, ma fanno finta di nulla. È giusto far marcire così persone che hanno sbagliato? È giusto non avere acqua calda? È giusto cucinare accanto al gabinetto? Gli esseri umani non hanno diritto alla dignità? Risponde Beppe Severgnini Certo che hanno diritto alla dignità, Giulia: anche perché dal carcere dovrebbero uscire migliori. Non lo dico io, lo chiede la Costituzione (art.27), che ogni tanto è bene ricordare: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Ma impegno, interventi e spese per le carceri portano pochi voti, da sempre: in molti elettori cova, purtroppo, un istinto vendicativo. Recupero e rieducazione? Non gliene importa niente. I progressi arrivano grazie a qualche direttore penitenziario illuminato, che fornisce stimoli e possibilità di studio e di lavoro; ad alcune associazioni; e all’Unione Europea, che ci sta col fiato sul collo. Anche per questo il governo, giorni fa, ha deciso di intervenire (e ha fatto bene). Che dire d’altro, nello spazio consentito da questa pagina? Aspettiamo una replica da Rebibbia. E speriamo che la sua lettera, Giulia, faccia riflettere qualcuno. I miracoli accadono, anche in agosto. Lettere: solo gli angeli non hanno sesso di Roberto Sbrana (psicologo Casa Circondariale La Spezia e docente Università di Genova) Ristretti Orizzonti, 24 agosto 2014 Considerazioni sul tema della sessualità in regime detentivo. Uno dei luoghi comuni sulla psicoanalisi è che gli psicoanalisti sono "fissati" con il sesso. Può anche essere. Quello che mi pare inconfutabile è che né chi scrive, cioè io, né chi sta leggendo queste righe, cioè tu, avremmo potuto esistere se i nostri genitori non si fossero amati, incontrandosi sessualmente, tanti anni fa (purtroppo, tanti). Quindi parliamone. Siamo in uno Stato di Diritto, ma a chi è detenuto è negata la sessualità. A me questo pare a dir poco sconcertante. A nessuno verrebbe in mente di negare cibo a chi è in carcere, o acqua da bere, o aria da respirare. Il sesso, sì. Come se fosse un optional, come i sedili in pelle dell’automobile. C’è qualcosa di strano in tutto questo. Si potrebbe pensare che il problema sia di difficile soluzione. Siamo perfettamente d’accordo. Però non si può spiegare tutto con la considerazione precedente: lo scarso dibattito sull’argomento, la pressoché totale assenza di confronto, celano motivazioni più profonde, che vanno portate alla luce, rese evidenti agli occhi di tutti, per poterle superare, in modo che la detenzione recuperi l’unico significato che ha, cioè la privazione della libertà per chi è colpevole di reati. Chi è colpevole di reati deve essere privato della libertà di muoversi nello spazio. Non può più decidere di andare dove vuole, come faceva quando rispettava le leggi dello stato. E il dolore dell’immobilità può servire, da un lato a pensarci bene prima di compiere reati, dall’altro a crescere e a maturare comportamenti sani e non disadattivi. Come pena, mi sembra più che sufficiente! Ma perché infliggere con la negazione della sessualità una ulteriore pena a questa pena? E perché infliggere una pena a chi è legato sentimentalmente e affettivamente a chi è detenuto? Perché deve essere punito chi ama colui o colei che compie un reato? Mi paiono interrogativi legittimi. So perfettamente che c’è una parte di opinione pubblica che, piena zeppa di luoghi comuni, banalità, ignoranza e sadismo dice che le carceri italiane hanno tutte le comodità di un Club Mediterranée, e che sarebbe l’ora di smetterla e che, magari, fa il tifo per la pena di morte. Non sanno quello che dicono. Basterebbe loro una mezza giornata di detenzione per veder radicalmente cambiate le loro opinioni. Ma non è carino augurarglielo. Eppure io credo fermamente che se riuscissimo a restituire il diritto all’espressione sessuale a chi è detenuto, ne trarrebbe beneficio sia l’interessato (ovviamente), che la società tutta. Mi spiego: l’umanizzazione della pena, iniziata dalla legge "Gozzini" in poi, ha giovato ai detenuti e allo Stato; il sistema premiale ha indiscutibilmente alleviato le tensioni, interne ed esterne, i regimi alternativi hanno mostrato con evidenza la robustezza delle istituzioni (solo chi è debole fa il forte con i deboli). Le ridottissime percentuali di detenuti che hanno usato male, usano o useranno male le misure alternative non devono essere sufficienti a far fare retromarcia. Permettere di mantenere, anche attraverso l’incontro sessuale, i rapporti significativi con i partner sarebbe innanzitutto umanizzare la pena, ridurrebbe le tensioni interne dei singoli, creerebbe una miglior vivibilità all’interno del carcere, minimizzerebbe le difficoltà di reinserimento psicologico e sociale al termine del periodo detentivo. Andrebbe quindi organizzato. Con serietà. Senza moralismi. E senza falsi pudori: dove sta il pudore quando, per motivi purtroppo più che legittimi si fanno esplorazioni rettali a chi rientra dai permessi? Andrebbero individuati spazi adeguati, riservati, sicuri ma protetti, con un servizio di vigilanza composto da personale altamente professionalizzato che sia in grado di coniugare la sicurezza con la riservatezza e che abbia ben chiaro il ruolo difficile che è chiamato a svolgere. Si dirà che in questo modo si toglie la spontaneità di cui la sessualità ha bisogno. È vero. Ma non esistono, a mio parere, altre strade. E spesso il meglio che si può fare è solo il meno peggio. Parliamone. Possibilmente senza scherzarci su, perché è un problema su cui c’è poco da scherzare. Lombardia: esperti di presepi lecchesi a lezione con i detenuti del carcere di Opera www.resegoneonline.it, 24 agosto 2014 Nelle prime due settimane di agosto dieci maestri delle Sedi e Sezioni lombarde, su gentile e gradito invito della Direzione della Casa Circondariale di Opera. presepi carceri opera. L’Unità Organizzativa Regionale della Lombardia comprendente le Sedi e le Sezioni lombarde aderenti alla Associazione Italiana Amici del Presepio (Aiap), è stata promotrice di una significativa d importante opera di divulgazione dell’arte presepiale e conseguentemente alla diffusione ed ala mantenimento della tradizione cristiana del presepio. Nelle prime due settimane di agosto dieci maestri delle Sedi e Sezioni lombarde, su gentile e gradito invito della Direzione della Casa Circondariale di Opera, hanno tenuto un corso pratico di presepismo ad alcuni ospiti residenti. L’Aiap di Lecco nelle persone del Presidente Maurizio Villa e del Consigliere Radice Ambrogio, ha voluto essere in prima linea in questa testimonianza, oltre ad organizzare i corsi pratici di presepismo nella nostra città, (ne sono stati già tenuti due in febbraio e maggio e sono programmati altri due in settembre a Lecco e ad ottobre a Dervio), non ha lasciato cadere nel vuoto l’arduo l’invito per una esperienza di alto valore sociale e caritatevole. Molteplici gli obiettivi del corso e tutti concatenati tra loro. Al valore intrinseco di trasmettere e promulgare la tradizione cristiana che il presepio emana, si deve aggiungere la disponibilità cristiana di opera misericordiosa e caritativa ed infine lo scopo di costituire una scuola presepistica permanente, che in futuro consentirà agli ospiti di realizzare presepi per proporli successivamente nelle forme convenute, nei vari mercatini natalizi, divenendo così per i reclusi, un mezzo di reinserimento nella società e non da ultimo una piccola forma di sostentamento. Al di là di questa testimonianza concreta e tangibile dell’importanza dell’istruzione, noi insegnanti varcando quelle mura, abbiamo saputo acquisire giorno dopo giorno il valore intrinseco del nostro operare, che non è esclusivamente una trasmissione di conoscenze, ma la difficile, quotidiana ricerca di come poter sviluppare le potenzialità nascoste, soppresse, spesso mai coltivate, nelle persone con cui avevamo contatto. L’ambiente multietnico, difficile, sia per il livello culturale sia per la condizione psicologica indotta dalla restrizione, è stato il campo della sfida, in quanto garbatamente si è dovuto proporre, inventare, creare quell’interesse e partecipazione per rimuovere abitudini consolidate e per sviluppare fiducia in loro stessi e iniziare nuovi percorsi di vita. In questa prospettiva la scuola presepistica ha assunto una fonte di crescita anche per la figura di noi insegnanti, che siamo riusciti, valorizzando i partecipanti secondo le loro competenze, a rivalorizzare anche noi stessi. Collaborare, convertirsi, convertendo, questo tre parole riassumo il nostro agire e la nostra missione. Riprendendo la lettera pastorale del nostro Arcivescovo Cardinale Angelo Scola, come lui stesso ha indicato, il campo in cui noi cristiani siano chiamati operare è veramente il mondo, tutto il mondo, compreso questo angolo della città, induce a riflettere che "Dio è vicino ad ogni uomo. La sua è una compagnia che non arretra davanti a nulla, neanche agli aspetti più dolorosi e contraddittori del nostro io, a ciò che spesso neanche noi riusciamo a perdonarci». Nel periodo trascorso assieme ai detenuti, si impara come si deve cambiare interiormente, a convertirsi. E questo non vale solo per i detenuti, ma anche per noi stessi, costringendosi a rimettersi in gioco, ad interrogarsi sul proprio proporsi nell’andare a dire una parola a della gente che è provata in forza e di conseguenza agli atti che ha compiuto, ed in tutto questo però emerge al tempo stesso con il paragone del loro cammino, tutto l’aspetto di miseria che esiste dentro di noi. Una esperienza che lascia il "segno", un tempo prezioso dedicato agli emarginati ed esclusi che attendono solo un po’ di conforto, un po’ d’ascolto, un po’ di umanità. Salerno: allarme dei Radicali "in carcere condizioni disumane" www.salernotoday.it, 24 agosto 2014 Il segretario Salzano: "A volte i detenuti non riescono neppure a lavarsi. L’impianto idrico è insufficiente e ci sono problemi anche per avere i farmaci". La casa circondariale di Salerno è tra le più sovraffollate d’Italia con una percentuale del 135%, ben 26 punti percentuali in più rispetto alla media nazionale. A denunciarlo a gran voce è stato questa mattina, nel corso di una conferenza stampa, svoltasi presso il Bar Moka, il segretario provinciale dei Radicali Donato Salzano, che ha spiegato nei dettagli lo stato in cui vivono i detenuti rinchiusi nel carcere di Fuorni. Accanto a lui il consigliere regionale Dario Barbirotti e Florinda Mirabile, segretaria dell’associazione Nessuno tocchi caino. Durante l’ultima visita svolta dagli iscritti al partito dei Radicali erano presenti nella struttura di via Del Tonnazzo 440 detenuti a fronte di una capienza legale di 329. "Nel carcere di Salerno - ha attaccato Salzano - si vivono condizioni disumane, con persone che non riescono neppure a lavarsi perchè l’impianto idrico è insufficiente e a volte l’acqua corrente arriva solo per tre ore al giorno". A tutto questo va aggiunto il mancato pagamento del personale medico ed infermieristico e la scarsità di cibo e bevande. Di qui l’appello di Salzano alla Caritas e al parroco del carcere don Rosario Petrone: "Deve fare molto di più. Ho trovato in cella - ha raccontato l’esponente dei Radicali - persone che ricevono un solo pasto in tutta la giornata. Su richiesta di farmaci soltanto il 10% viene evaso dal Soresa, cioè se la richiesta dell’infermeria è di 100 solo il 10 torna indietro". Infine Salzano ha confermato che "proseguirà nei prossimi giorni il digiuno di dialogo mio, dell’avvocato Mirabile, di Sofia Campana e anche dei consiglieri regionali Mucciolo e Barbirotti nei confronti del presidente Caldoro, del direttore dell’Asl di Salerno Squillante ma a breve si aggiungerà anche quello verso il direttore dell’Asl di Avellino. La nostra battaglia a tutela dei diritti dei detenuti non si ferma. Fermiamo tutti insieme il massacro nelle carceri italiane". Brindisi: Nicola Ciracì (Fi); in carcere mancano climatizzatori, spazi verdi e una ludoteca di Mario Di Matteo Puglia 24 News, 24 agosto 2014 Nicola Ciracì, deputato di Forza Italia, e il consigliere comunale Pietro Guadalupi, sempre di Fi, hanno visitato la casa circondariale di Brindisi. Entrambi hanno riscontrato numerosi disagi. "La struttura brindisina - si legge in una nota dei forzisti - risulta essere posta nel centro della città e questo causa non poche problematiche data anche la presenza attigua di alcuni edifici nella zona circostante". "Si rivela inoltre - proseguono i due - la mancanza di spazi verdi all’interno dei cortili per la presa d’aria esposti pertanto alla calura estiva, situazione che spesso costringe buona parte della popolazione detenuta alla permanenza nelle celle nei periodi di alte temperature, e ciò è quanto accaduto in principale modo negli ultimi giorni". La lista: "L’assenza di impianti di condizionamento nei locali adibiti allo svolgimento delle attività sociali, luoghi di pochi metri quadri nei quali si ritrovano gruppi di 20/ 25 persone". "La mancata possibilità di poter aver nelle celle borse termiche per la conservazione al fresco degli alimenti". "La mancata messa a norma di elementi che riguardano la sicurezza all’interno del istituto". "L’ assenza di una ludoteca per accogliere l’ingresso dei bambini in visita ai genitori durante gli incontri settimanali". Sulmona (Aq): stress da supercarcere, cinquanta agenti si mettono in malattia di Claudio Lattanzio Il Centro, 24 agosto 2014 Stato di agitazione di tutto il personale in servizio al supercarcere di Sulmona e preparazione di eclatanti azioni di protesta: è quanto annuncia la Uil Penitenziari lanciando l’allarme sulla drammatica situazione in cui versa il carcere dal punto di vista della carenza di personale. Oltre il 20 per cento del personale è malato, affetto da stress e da condizioni psicofisiche derivanti, secondo il sindacato interno, da carichi di lavoro insopportabili e da una situazione carceraria al limite del collasso. "Sono mesi che il trend delle persone ricorrenti all’istituto della malattia per far fronte a uno stress arrivato alle stelle è in continua e drammatica crescita", spiega Mauro Nardella della Uil Penitenziari, "ogni giorno si registrano record di assenze dal servizio che altro non fanno che fungere da pesantissima zavorra nei confronti di chi, armato di indomabile volontà, si ritrova a prestare servizio presso l’istituto di pena in condizioni a dir poco infernali". Situazione drammatica, secondo il sindacato, della quale si era fatto carico il senatore Giovanni Legnini, ma che fino ad ora, sempre a detta di Nardella, non ha mantenuto le promesse. Dalle fisiologiche 10 assenze al giorno del 2010, con 310 i poliziotti presenti, si è passati a oltre 35 assenze medie giornaliere, con un organico attuale di 246 unità. E una punta, in questi giorni, di 50 agenti in malattia. Il sindacato punta il dito nei confronti della politica e di dirigenti che hanno portato il carcere di Sulmona a una situazione di collasso. "Il fallimento della classe politica capace di produrre solo ed esclusivamente tagli" prosegue Nardella "unito a una classe dirigenziale regionale e nazionale che troppe volte ha fatto orecchie da mercante ai problemi del carcere, ha fatto traboccare un vaso per fin troppo tempo, e solo per lo spirito di sacrificio del personale, è rimasto al culmine della sua capacità". "Per questo" conclude la Uil Penitenziari "chiediamo l’allontanamento delle persone incapaci che hanno trasformato il sistema carcerario di Sulmona, una volta estremamente efficiente, come più volte attestato fino a qualche anno fa anche dall’allora ministro Castelli, in un autentico colabrodo". Livorno: detenuto evade, chiesti i danni agli agenti della scorta. I giudici: reato prescritto di Federico Lazzotti Il Tirreno, 24 agosto 2014 La Procura ha citato alla Corte dei conti i responsabili del servizio di scorta per il trasferimento da Livorno a Caserta. I giudici: reato prescritto. Per la fuga di "Ufo", questo il soprannome del super detenuto evaso in modo rocambolesco durante il trasferimento dal carcere di Livorno a quello di Caserta nell’agosto 2007, la Procura generale ha chiesto il risarcimento dei danni a due agenti della polizia penitenziaria: il capo della scorta e il collega rimasto in compagnia del detenuto quando è riuscito a scappare. Secondo il pubblico ministero, infatti, i due che in sede penale hanno patteggiato otto e due mesi di reclusione per "colpa del custode", avrebbero "violato le modalità di scorta, nonostante il detenuto fosse qualificato "ad elevato indici di vigilanza": già evaso dalla casa circondariale di Perugia, e avesse una pericolosità altissima, imputato per omicidio e per il quale era imposta la massima attenzione". In particolare agli agenti è stato contestato il comportamento tenuto prima e dopo la fuga di Ilir Paja, 34 anni, albanese, quel giorno trasportato a bordo di un’ambulanza e scortato da due macchine della penitenziaria. In primis il capo del convoglio avrebbe autorizzato la fermata "senza reali e concrete necessità" nell’area di servizio di Reggello, lungo la A1. Inoltre, durante le indagini sarebbero emersi "un allentamento delle manette" che avrebbe permesso al 34enne di liberarsi, saltare una rete e fuggire nella boscaglia; l’autorizzazione all’allontanamento di tre membri della scorta e due volontari "lasciando da solo l’agente Zerella. E infine "l’aver consentito al detenuto di darsi alla fuga senza aver reagito prontamente". Per la cronaca la latitanza dell’Ufo è proseguita fino al marzo successivo alla fuga, quando il latitante è stato arrestato a Tirana dopo un inseguimento e uno scontro a fuoco con la polizia albanese. La cifra complessiva richiesta alla Corte dei conti agli agenti è stata calcolata sommando "tutte le spese sostenute da Ministero, dai carabinieri e della polizia per la ricerca - senza esito - dell’evaso". Conto totale? Oltre 47mila euro. A "salvare" Salvatore Frazzetto e Armando Zerella, entrambi difesi dagli avvocati Ettore Puppo e Armando Scotto, la decisione dei giudici che hanno respinto la richiesta di risarcimento "per via della prescrizione". Sì, perché come spiegato dai difensori la costituzione "è stata presentata oltre il termine quinquennale previsto dalla legge". Cinema: vita dei detenuti nel progetto "Italy in a day", coordinato da Gabriele Salvatores di Beatrice Fiorentino Il Piccolo, 24 agosto 2014 Il primo esperimento di cinema collettivo girato in Italia sarà alla Mostra del Cinema di Venezia, fuori concorso, in anteprima per il pubblico il 2 settembre (con replica il giorno successivo). Si intitola "Italy in a day" ed è un progetto che nasce sotto la direzione artistica di Gabriele Salvatores. Il regista ha supervisionato - assieme a una squadra di 40 collaboratori - la selezione e il montaggio dei materiali che hanno dato corpo a un documentario nato con l’intento di offrire uno spaccato del bel paese, attraverso immagini girate direttamente dagli italiani. "Italy in a day", prodotto da Rai Cinema, Indiana e Scott Free, è la versione italiana del progetto di Ridley Scott "Life in a Day", girato il 24 luglio 2010. Il D-Day nel nostro paese è stato lo scorso 26 ottobre. In quella data, chiunque lo desiderasse poteva partecipare all’idea inviando i propri video realizzati con qualsiasi mezzo a disposizione (telecamere, smartphones, fotocamere). Sogni, speranze, angosce, timori e riflessioni, o semplicemente ciò che accadeva quel giorno, in una moltiplicazione esponenziale dei punti di vista. Sono stati raccolti 44.197 video, per un totale di oltre 2200 ore di immagini. Tra i video selezionati ci sono anche alcuni filmati ripresi dal collettivo "Coroneo 26", un gruppo di detenuti che da qualche anno partecipa a un progetto culturale dell’Associazione Maremetraggio all’interno del carcere di Trieste. "Già da cinque anni - spiega Chiara Valenti Omero, direttrice dell’International Shorts Film Festival e presidente dell’associazione - collaboriamo con la Casa Circondariale coinvolgendo i detenuti nella sezione del nostro festival chiamata "Oltre il muro", che assegna il premio al miglior cortometraggio italiano. Nell’ultimo anno, con l’Enaip di Trieste, abbiamo dato vita a un vero e proprio corso di formazione professionale (400 ore) che offre competenze in ambito audiovisivo. Quando ho saputo del progetto "Italy in a day" mi sono data da fare per verificare la possibilità di consegnare una telecamera a uno dei partecipanti al corso per fargli fare delle riprese all’interno del carcere. Abbiamo trovato grande collaborazione, dal direttore della Casa Circondariale, Ottavio Casarano, agli operatori che lavorano all’interno". Il regista Davide Del Degan, che coordina il corso, ha affidato per 24 ore la sua telecamera a un detenuto tunisino di nome Jendoubi Nazi Iaroussi, nel frattempo rimpatriato, il quale ha ripreso diversi momenti della quotidianità "dentro le mura". Frammenti di vita carceraria spesso inedita, sconosciuta ai più. "È la prima volta in assoluto che un detenuto ha la possibilità di riprendere in prima persona la sua quotidianità - racconta Del Degan. Ci sono diversi momenti sorprendenti nel girato di Nazi. Uno di quelli che mi è rimasto più impresso è la preghiera del mattino. Dopo essersi svegliato alle cinque per i preparativi, Nazi svegliava i suoi compagni e poi, tutti insieme, recitavano la preghiera al canto del muezzin che proveniva dalla cella di fronte". "Il fatto che abbiano selezionato il materiale di Nazi è una grande soddisfazione - aggiunge Omero - soprattutto perché avvalora la bontà del nostro progetto culturale e di reinserimento dei detenuti". Immigrazione: Cie Ponte Galeria, destino profughi affidato a discrezionalità giudice pace Adnkronos, 24 agosto 2014 Dopo aver vissuto gli orrori delle guerre e di una traversata del Mediterraneo che appare sempre più una lotteria fra vita e morte, il destino dei migranti giunti nelle ultime settimane in Italia e ospitati nel Cie di Ponte Galeria sembrerebbe affidato alla discrezionalità dei Giudici di Pace chiamati a valutare la situazione di ognuno e a deciderne la permanenza o meno nella struttura. La nuova denuncia sulle criticità del sistema di gestione dei migranti in Italia arriva dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Nel corso della visita settimanale al Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria ai collaboratori del Garante è stata riferita la storia dei 30 immigrati sbarcati il 12 agosto sulle coste della Sardegna ed ospitati nella struttura poiché colpiti da un provvedimento di "respingimento differito", in base al quale chi entra in Italia privo dei documenti viene, su decisione del Questore, trasferito al Cie per essere identificato ed espulso. "Un provvedimento - ha detto il Garante - già di per sé discutibile perché non considera che chi sbarca sulle coste italiane arriva da situazioni di disagio che la differenza linguistica rende spesso impossibile comunicare e, in questo modo, si vede negata la possibilità di entrare nei circuiti dell’accoglienza previsti dalle nostre leggi". Nel caso specifico, la proposta di trattenimento dei migranti approdati sulle coste sarde è stata valutata da due Giudici di Pace. A parità di condizione giuridica, un Giudice avrebbe convalidato il trattenimento nel Cie in attesa dell’espulsione, mentre l’altro no, lasciando di fatto libere le persone di lasciare la struttura, come in effetti avvenuto. "Quanto accaduto - ha continuato Marroni - induce a chiedersi se sia opportuno che un provvedimento che limita la libertà personale dell’individuo sia attribuito alle competenze di un magistrato onorario e non togato. Credo sia giunto il momento di rivedere la politica di accoglienza dei migranti, coinvolgendo nella discussione l’Ue. Tocca alle Istituzioni comunitarie indicare la via per gestire l’emergenza umanitaria: non si può proporre la nostra marina militare e l’operazione Mare Nostrum al Premio Nobel per la Pace, come ha fatto un parlamentare tedesco, ed affermare al contempo che le Agenzie europee, Frontex in testa, sono inadeguate a gestire la situazione. Questa contraddizione va risolta al più presto". Storace: buttiamo miliardi, altro che spending review "Il governo minaccia sfracelli fiscali e tagli di ogni genere perchè deve obbedire all’Europa. Per restare in questo maledetto vincolo del 3% tra deficit e prodotto interno lordo, Renzi deve tosare contribuenti e affamare dipendenti dello Stato, degli enti locali, pensionati, massacrare scuola e sanità. Decine di miliardi di euro. Eppure c’è - è il caso di definirla così - una frontiera che nessuno si azzarda a valicare, ed è quella riguardante il business dell’immigrazione. "E come si fa a tagliare", cantano le anime belle e snob che dipingono l’Italia come Bengodi al terzo e quarto mondo. Preoccupazioni che non hanno quando la mannaia si deve abbattere su un pensionato, un poliziotto, un insegnante, un qualsiasi dipendente del sistema Italia. O anche un lavoratore autonomo assoggettato al sadismo degli studi di settore". Lo dice il leader de La Destra Francesco Storace su Il Giornale d’Italia e sul sito del partito. "Si faccia dare le cifre, Renzi, tra un soggiorno e l’altro nella costosa suite versiliana dove trascorre le sue vacanze d’oro. E scoprirà - aggiunge Storace- che buttiamo due miliardi per contrastare (evidentemente male) l’ingresso dei clandestini: l’Europa ci restituisce appena 300 milioni all’anno. Vuoi fare spending review per davvero, presidente del Consiglio? Chiedi al dormiente ministro della Giustizia, Andrea Orlando, quanto ci costano i detenuti stranieri". Iran: almeno 11 detenuti impiccati nella prigione di Qezel Hessar a Karaj www.ncr-iran.org, 24 agosto 2014 Maryam Rajavi: Il silenzio della comunità internazionale di fronte a questi crimini è vergognoso. La mattina del 18 agosto almeno 11 detenuti sono stati impiccati nella prigione Qezel Hessar nella città di Karaj (ad ovest di Teheran). Questi nomi di quattro delle vittime sono stati resi noti: Hamed Rabii, Milad Rabii, Ebrahim e Mansour. Domenica pomeriggio, in seguito al trasferimento dei loro compagni di cella nella sala delle esecuzioni, numerosi detenuti del secondo reparto della prigione di Qezel Hessar hanno inscenato una protesta. Forze speciali antisommossa li hanno attaccati e hanno aperto immediatamente il fuoco, uccidendo o ferendo decine di loro. Secondo resoconti iniziali, almeno cinque detenuti sono stati uccisi. Le forze speciali hanno circondato il secondo e il terzo reparto della prigione, dove si trovano i detenuti dei bracci della morte. Nello stesso tempo, forze di repressione hanno attaccato i familiari dei prigionieri che si erano radunati all’esterno per protestare contro le uccisioni dei loro figli, e hanno cercato di disperderli lanciando gas lacrimogeni e sparando in aria. La signora Maryam Rajavi, Presidente-eletta della Resistenza Iraniana, ha detto che le esecuzioni arbitrarie e di massa dei prigionieri e l’aprire il fuoco su persone inermi riflettono la crudeltà del fascismo religioso al potere in Iran da una parte, e le sue vulnerabilità e disperazione dall’altra. La signora Rajavi ha aggiunto che con torture, esecuzioni, intimidazione e terrore i criminali mullah stanno tentando di fermare l’aumento delle proteste popolari. Evidenziando che il silenzio della comunità internazionale di fronte a queste atrocità ha ferito la coscienza del pubblico mondiale, la signora Rajavi ha rivolto un appello al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, al loro Segretario Generale, all’Unione Europea, agli Stati Uniti e a tutte le organizzazioni per i diritti umani affinché condannino con decisione tali crimini. Ella ha affermato che continuare ed espandere i legami economici con il regime clericale deve avvenire a condizione di un blocco delle esecuzioni e del miglioramento della situazione dei diritti umani in Iran. La signora Rajavi ha aggiunto: "Chiudere gli occhi sugli abusi dei diritti umani in Iran con il pretesto di impegnarsi in colloqui sul nucleare non farebbe che incoraggiare i mullah al potere a perpetrare più atrocità e a continuare il suo disprezzo per le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU". Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran Gran Bretagna: il Guardian denuncia; detenuti impiegati come forza lavoro sottopagata Agi, 24 agosto 2014 Detenuti stranieri usati come forza lavoro dalle aziende della security e pagati "meno di una sterlina l’ora", quando lo stipendio minimo di stato imposto dal governo britannico è di circa 6,5 sterline l’ora. È polemica nel Regno Unito dopo che un’inchiesta del Guardian ha accusato aziende del calibro di Serco e G4S di impiegare uomini e donne "reclutati" nelle carceri per lavori di pulizia o ristorazione, pagandoli poi una cifra ritenuta "misera". Il Guardian riporta dati provenienti proprio dal ministero dell’Interno e relativi al mese di maggio del 2014, quando per 45mila ore lavorate i detenuti vennero pagati circa 45mila sterline in totale, mentre al minimo stipendio di stato sarebbero stati pagati per un totale di oltre 280mila sterline. Le aziende citate dal Guardian sono anche altre, come Mitie e Geo, e secondo il quotidiano progressista, ogni dodici mesi, queste imprese risparmierebbero oltre 2,8 milioni di sterline proprio impiegando i detenuti. Il ministero dell’Interno, interpellato, ha comunque risposto che i carcerati sono liberi di scegliere se partecipare oppure no a questi programmi di riabilitazione. E tutte le aziende coinvolte, sottolinea il Guardian, fanno profitti e hanno bilanci in attivo.