Giustizia: riforma, si parte subito dal civile e dalla responsabilità delle toghe di Dino Martirano Corriere della Sera, 20 agosto 2014 Giro di consultazioni del ministro. Oggi vertice di maggioranza. Si parte dalla giustizia civile "che civile non è", come dice Matteo Renzi su Twitter. Il premier prepara il terreno in vista del Consiglio dei ministri del 29 agosto che però, secondo il cronoprogramma, avrebbe dovuto sbloccare l’intera riforma annunciata per titoli il 30 giugno. Perché in quel pacchetto, articolato in 12 punti, c’era un po’ di tutto, oltre al processo civile: intercettazioni, elezione del Csm, azione disciplinare, riduzione delle sedi delle Corti d’Appello, tempi di prescrizione, reati contro la criminalità economica compresi il falso in bilancio e l’auto-riciclaggio. Ma questi ultimi sono temi caldi ancora in discussione al tavolo delle trattative aperto fin da luglio dal ministro Andrea Orlando. Renzi, dunque, aggiusta il tiro e dice esplicitamente che il primo passo della riforma sarà fatto sul terreno della giustizia civile. E così, stamattina, il vertice di maggioranza convocato al ministero avrà un ordine del giorno sui cosiddetti temi "non divisivi". Quelli per cui è scontato il via libera in Parlamento anche da parte di FI che pure non fa parte della maggioranza: accelerazione del processo civile, dimezzamento dell’arretrato civile, magistratura onoraria, Tribunale della famiglia e delle Imprese. E, forse, ci sono pure i margini per chiudere il testo sulla responsabilità civile dei magistrati. "Già se si potesse portare questo primo pacchetto di testi sul civile nel Cdm di fine agosto sarebbe un grande risultato, una vera rivoluzione anche perché sono i temi che maggiormente incidono sui dati economici e in particolare su quelli relativi agli investimenti", commenta Donatella Ferranti (Pd) che presiede la commissione Giustizia della Camera. Il primo pacchetto, quindi, diventerebbe ancora più sostanzioso se il ministro Orlando riuscirà a chiudere entro fine mese anche il testo sulla responsabilità civile dei magistrati. L’accordo è a portata di mano, tutti condividono la responsabilità indiretta ma Enrico Buemi (Socialisti) stamattina ripeterà al Guardasigilli che la garanzia offerta dalla metà dello stipendio del magistrato (ritenuto responsabile per avere amministrato male la giustizia) è ancora troppo bassa. Nella delegazione del Pd (oggi ci saranno in via Arenula Walter Verini e Giuseppe Lumia) questa tesi non convince, come ci sono mille perplessità e sospetti in casa dem sul pressing esercitato da Ncd: "L’abuso interpretativo da parte del magistrato deve essere considerato una violazione di legge", sostiene il senatore Nico D’Ascola che nel vertice di maggioranza troverà ascolto da parte del viceministro della Giustizia Enrico Costa (Ncd). Domani il ministro incontrerà invece le minoranze: M5S, Sel e FI. Per il partito di Berlusconi, "la riforma della giustizia è necessaria e urgente" tanto che "l’attesa è forte". In particolare FI punta sui nodi del penale (intercettazione e prescrizione) sperando che "sia cambiato qualcosa rispetto a quanto prospettato alle delegazioni" azzurre nel primo giro di tavolo. Giustizia: riforma; slittano i nodi del penale, in coda intercettazioni, prescrizione e Csm di Sergio Patti La Notizia, 20 agosto 2014 Pure il Papa tornando dal suo viaggio in Corea ha fatto riferimento all’abuso della tortura nella giustizia, dicendo chiaramente che questo è un peccato mortale. Il pontefice faceva un discorso ampio, ma nelle carceri italiane, dove una percentuale altissima sconta una pena preventiva, questa tortura si tocca con mano. Troppi i casi di arresto per ottenere la confessione di un reato. E non finisce qui. Perchè anche nel civile la situazione è ormai tragica, con processi lunghi decenni che di fatto negano il diritto dei cittadini a ottenere giustizia. Di qui l’accelerazione sulla riforma che il Governo Renzi si è impegnato a presentare il 29 agosto. Un provvedimento che sta già infuocando il clima tra politica e magistratura. Il rischio è che non se ne faccia nulla e per questo il Governo avrebbe deciso di partire dalla parte più condivisa, il civile, lasciando in coda la più complessa parte penale. Un segnale inviato dallo stesso premier che ieri ha twittato "Iniziamo dalla giustizia, a cominciare da quella civile che oggi civile non è. Ne parliamo? #agosto". Terreno insidioso Dopo anni di immobilismo o di piccoli aggiustamenti - che non hanno migliorato granchè la situazione, adesso ci si riprova con un governo di Centrosinistra dialogante però con la destra di Alfano e soprattutto Berlusconi. Ci saranno più possibilità di arrivare in porto? L’esecutivo di Romano Prodi che aveva tentato di agire sulla normativa cadde proprio su questa riforma, con il guardasigilli dell’epoca, Clemente Mastella, fermato dai Pm che gli arrestarono la moglie consigliere regionale in Campania. Ora ci riprova il ministro Andrea Orlando, ma nonostante i toni bassi della vigilia l’ala dura e pura delle toghe di Sinistra ha già fatto capire che su prescrizione, responsabilità civile dei magistrati, falso in bilancio e composizione del Csm sarà battaglia. E quando si va in battaglia con i giudici non si sa mai come si va a finire. Nel pacchetto, inoltre, c’è lo strumento principe di molte indagini - l’uso delle intercettazioni telefoniche - e nonostante su questo si sia già deciso uno scorporo e il rinvio, c’è chi teme un blitz per definire una volta per tutte la questione. Di qui la cautela su una riforma la cui traccia è stata mostrata nei famosi 12 punti presentati dal presidente del Consiglio il 30 giugno scorso. Sulla base di queste linee guida è però difficile come poi il Governo intenda dare corso alla promessa di ridurre i tempi e degli arretrati nella giustizia civile, oppure possa assicurare una corsia preferenziale per imprese e famiglie. Nel mirino, soprattutto i tempi della prescrizione dei reati, che hanno senz’altro favorito molti colletti bianchi. Per assicurarsi il massimo dell’agibilità possibile, lunedì scorso Orlando è salito al Quirinale per condividere il suo progetto con il presidente della Repubblica. Un Far West al telefono Tra i nodi restano dunque le intercettazioni, sulle quali il premier ha chiesto un contributo ai direttori dei giornali. Molte le proposte emerse, anche da La Notizia, per regolamentare un Far West. Come proposto in un editoriale del nostro direttore, Gaetano Pedullà, visualizzato da quasi 150 mila persone su Facebook, la pubblicazione sui mezzi d’informazione delle conversazioni registrate dagli inquirenti dovrebbe essere regolata dagli stessi magistrati, che si assumerebbero la responsabilità di stabilire cos’è attinente all’inchiesta e di interesse pubblico e cosa invece no. Ciò che viene pubblicato senza autorizzazione va invece sanzionato, senza però arrivare mai all’arresto del giornalista. Altre proposte ovviamente sono arrivate da altre parti, passando da chi non vuole regolamentare la questione, lasciando totale libertà di pubblicazione delle intercettazioni - come il direttore del Fatto Quotidiano, Antonio Padellaro - a chi invece chiede regole chiare, come ad esempio il direttore del Tg de La7, Enrico Mentana. Il 29 agosto è vicino. Vedremo se lo è pure la riforma. Giustizia: Carlo Federico Grosso "troppa carne al fuoco… puntare su processi veloci" intervista di Dino Martirano Corriere della Sera, 20 agosto 2014 Il penalista: le altre questioni sono divisive il rischio è che si finisca per portare a casa poco. "Sulla riforma della giustizia il governo sta mettendo troppa carne al fuoco. Impegnandosi su tutto o quasi tutto, rischia di portare a casa poco o niente. Per cui sarebbe il caso di concentrarsi sulle due priorità: velocizzazione del processo civile e razionalizzazione di quello penale". L’avvocato Carlo Federico Grosso, che insegna diritto penale all’Università di Torino, parla così perché nel corso della sua lunga attività forense ne ha viste molte di "riforme incompiute": "Quando Flick era al ministero della Giustizia, governo Prodi, vennero trasmessi al Parlamento 14 disegni di legge di ottimo livello che avrebbero dovuto essere discussi e votati. Fu un disastro, non se ne fece nulla. Certo ora mi auguro che il governo possa condurre in porto i suoi progetti. Però consiglierei maggior prudenza". In un Paese litigioso come il nostro, c’è anche un abito mentale degli italiani da cambiare, forse? "La litigiosità riguarda soprattutto il settore civile. Nel penale il fenomeno tocca i reati perseguibili a querela mentre quelli perseguibili d’ufficio generano una montagna di procedimenti". Da anni si parla di depenalizzazione… "Il tema assente è proprio quello della grande depenalizzazione. Ci sono stati vari interventi ma nessuno di essi si è rivelato risolutivo. Di commissioni ministeriali per la riforma del codice penale ce ne sono state parecchie e, pur avendo prodotto un buon materiale per l’approfondimento, poi non sono state prese in considerazione dai governi che le avevano insediate". Piercamillo Davigo, già pm del pool "Mani pulite", ha detto che i tempi lenti della giustizia danno da mangiare a 250 mila avvocati. Per questo, ha aggiunto, non si cambia mai passo... "Guardi, a me le sparate non piacciono. Bisognerebbe cercare di valutare qon più attenzione le situazioni. Ovviamente il problema del sovraffollamento forense esiste ed è una questione che andrebbe affrontata". Tanti avvocati puntano sugli interventi dilatori per stiracchiare il processo fino alla prescrizione… "Nel penale è così. In un contesto in cui la prescrizione scatta molto facilmente, gli avvocati sono inevitabilmente portati a cercare tutti gli espedienti per bloccare il processo. E a questo punto devo dire che fa quasi parte del loro bagaglio deontologico quello di perseguire un risultato "positivo" per il loro assistito. Ecco perché il tema della riforma della prescrizione è assolutamente fondamentale". La soluzione sulla prescrizione ancora non c’è ma il tema, almeno come titolo, fa parte del pacchetto del governo… "Se i reati diventassero difficilmente prescrittibili, gli avvocati avrebbero un interesse molto limitato ad allungare i tempi del processo. Sono stati ideati vari sistemi per riformare i tempi di prescrizione: io non ho preferenze, l’importante è sceglierne uno che garantisca una prescrittibilità molto circoscritta". I governi di centrodestra, con la ex legge Cirielli, hanno fatto il contrario… "La ex Cirielli ha tagliato a dismisura i tempi di prescrizione: per la corruzione propria, per esempio, ha dimezzato i tempi, da 15 a 7 anni mezzo. Rendendo molto difficile la celebrazione di processi complessi". E il nodo delle intercettazioni? "È uno dei temi che sarebbe meglio affrontare in un secondo momento insieme al Csm e alla responsabilità civile dei giudici. Sono argomenti troppo caldi, intorno ai quali si contrappongono posizioni ideologiche. Io sarei molto cauto, perché con le tensioni che questi temi sollevano c’è il rischio di rompere un equilibrio". Dunque, il governo dovrebbe limitare i suoi obiettivi ai tempi dei processi… "Direi che è doveroso pensare anche a ripristinare il reato di falso in bilancio e a introdurre quello nuovo di auto-riciclaggio, tuttavia il governo si dovrebbe concentrare su due priorità: le velocizzazione del processo civile e la razionalizzazione di quello penale". Giustizia: Napolitano la riforma del penale la vuole, sì di Giuliano Ferrara Il Foglio, 20 agosto 2014 Il no ai privilegi, la guerra (vinta) sulle intercettazioni. Consigli al governo. Da quando si è incominciato a discutere in termini concreti di riforma della giustizia, ovviamente un tema sensibile, sul quale è naturale che venga richiesto il parere del presidente della Repubblica, che è anche presidente del Consiglio superiore della magistratura, si è avviata una sorta di campagna di stampa tendente a insinuare che Giorgio Napolitano abbia assunto la funzione del frenatore, soprattutto sulle tematiche che hanno attinenza con la giustizia penale: dalla questione delle intercettazioni a quella della responsabilità civile dei magistrati. Non c’è nessuna dichiarazione pubblica del Quirinale che autorizzi questa lettura, costruita solo attraverso "retroscena" giornalistici la cui attendibilità è naturalmente dubbia. Se Napolitano insiste sull’urgenza di affrontare le tematiche di riforma, si trasforma il suo appello "a non dividersi" su questi problemi nell’esortazione a dare la precedenza solo a riforme "non divisive", termine orribile e che difficilmente può essere attribuito al vocabolario assai sorvegliato del capo dello stato. Naturalmente sarebbe ridicolo contrapporre ai retroscena altri retroscena altrettanto immaginari, ma si può ragionare sulla coerenza tra gli atteggiamenti adottati dal presidente in occasioni precedenti e quelli che sembra ragionevole attendersi da lui in quella attuale. Le levate di scudi dei magistrati a difesa di loro privilegi, quando si sono espresse nella sede del Consiglio superiore della magistratura, hanno spesso suscitato una reazione critica da parte di Napolitano, che ha sempre voluto ricordare come la potestà legislativa sia solo del Parlamento. Sulla questione delle intercettazioni, totem di certa sinistra, fa scuola la battaglia combattuta da Napolitano in prima persona contro la procura palermitana con il suo vittorioso ricorso alla Corte costituzionale per imporre la distruzione delle intercettazioni che coinvolgevano illecitamente il Quirinale. Naturalmente si può pensare che l’anziano presidente, che ha una lunghissima esperienza parlamentare, abbia consigliato all’esecutivo di mettere un po’ di ordine nella presentazione di disegni di legge e di decreti, per evitare di determinare ingorghi che risultano poi l’occasione più favorevole per innescare manovre dilatorie o azioni di ostruzionismo. È anche possibile, persino probabile, che abbia insistito per rendere le proposte legislative più puntuali e meno generiche, proprio per evitare che il contenuto riformista venga poi vanificato, com’è accaduto tante volte, attraverso interpretazioni regolamentari o giudiziarie che ne annullano di fatto l’efficacia. L’ordinamento giudiziario plenipotenziario Napolitano è senz’altro consapevole della difficoltà a riformare la giustizia in Italia, dove l’ordine giudiziario si è voluto attribuire di fatto poteri esuberanti di controllo politico, che hanno in sostanza determinato una situazione di squilibrio tra le istituzioni a detrimento soprattutto di quelle rappresentative della sovranità popolare. Durante il suo ormai lunghissimo periodo presidenziale, ha promulgato tutte le norme di modificazione dell’ordinamento o delle procedure giudiziarie, anche quando si levavano grida assordanti contro le leggi "ad personam" alcune delle quali poi furono cassate dalla Consulta. Dipingerlo come un nemico della riforma della giustizia non corrisponde alla realtà del suo comportamento effettivo, illuminato dalla sua aperta battaglia per l’umanizzazione del sistema carcerario, che rinvia a misure di clemenza che sono osteggiate in modo ossessivo dal fronte giustizialista. Giustizia: piano carceri, sogni e promesse infrante di Chiara Daina Il Fatto Quotidiano, 20 agosto 2014 Oltre vent’anni di promesse (quasi) mai mantenute. Il piano carceri, almeno nella Seconda Repubblica, è il cavallo di battaglia dei vari inquilini di via Arenula. Ma l’Italia, ancora oggi, continua ad avere lo stesso problema: il sovraffollamento nelle celle, per cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il nostro Paese nel gennaio 2013. Dietro le sbarre, al 31 luglio di quest’anno, si contano 54.414, persone, cioè 5.012 in più a fronte dei posti disponibili. Secondo un rapporto del Consiglio d’Europa di due anni fa, è messa peggio di noi soltanto la Serbia. Per via della solita cattiva abitudine: annunciare la costruzione di nuovi padiglioni e poi rimangiarsi le parole. Eppure, lo rileva l’Istat, il tasso di detenzione per 100mila abitanti è pari a 112,6 da noi, contro una media europea del 127,7, e 156 nel mondo. La sequela dei buoni propositi per aumentare la capienza delle patrie galere parte con Piero Fassino, ministro della Giustizia dal 2000 al 2001 sotto il governo Amato II. Sul tavolo presentò un pacchetto che prevedeva anche l’uso di procedure di leasing immobiliare e l’ingresso dei privati nella costruzione di nuove prigioni. Chi segna lo spartiacque tra la stagione delle grandi sparate (gli ultimi sei anni) e l’era dei vergini pensierini (fino al 2001) il leghista Roberto Castelli, ministro della Giustizia dal 2001 al 2006 sotto i governi Berlusconi II e III, che annunciò l’apertura di sei nuove carceri in Sardegna (a Tempio Pausania, Cagliari, Oristano e Sassari), poi avverata. Le figuracce iniziano sul serio con Angelino Alfano in versione Guardasigilli, dal 2008 al 2011, sotto Berlusconi IV. Alfano, cinque anni fa, mise nero su bianco "le carceri galleggianti", come soluzione alle galere terrestri troppo piene, consegnata in un dossier all’allora capo del Dap Franco Ionta. Varata anche l’ipotesi di prendere in affitto navi all’estero. Le chiatte-prigioni avrebbero sostato al largo di Genova, Livorno, Civitavecchia, Napoli, Gioia Tauro, Palermo, Bari, Ravenna. Per la gioia degli agenti penitenziari, l’idea è naufragata. Nel piano carceri, era prevista anche la costruzione di 46 nuovi padiglioni, da realizzare nelle aree verdi della carceri già esistenti, e di 22 istituti nuovi di zecca, per raggiungere una capienza complessiva di 80 mila posti. Un’impresa da 1,5 miliardi, stimò Berlusconi. Ma durante gli anni il progetto ha subito una brusca sterzata. Il sito web pianocarceri.it ci offre un’istantanea dei lavori in corso. E un chiarimento sul cambio di marcia: "Il Piano carceri rimodulato - si legge, così come approvato dal Comitato di indirizzo e di controllo il 31 gennaio 2012, in conseguenza dei tagli del Cipe di 228 milioni di euro, che hanno comportato un ridimensionamento delle esigenzialità da parte del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, prevede la realizzazione di 11.573 posti detentivi, rispetto ai 9.300 posti già previsti, con un incremento pari a n. 2.273 posti detentivi, nonostante una riduzione di risorse, per tagli, di 228 milioni di euro rispetto al Piano iniziale". Tradotto, allo stato attuale, significa: dieci nuovi istituti in programma (per circa 4400 posti nuovi), di cui solo uno portato a termine, quello di Catania, e cinque in fase di completamento. Tredici padiglioni in ampliamento a carceri già esistenti, per conquistare altri tremila posti. A cui vanno aggiunti i 1212 che in futuro saranno ottenuti dalle opere di recupero di aree dismesse di altre nove istituti. In buona sostanza, l’Italia a distanza di quasi cinque anni è ancora in attesa di quei benedetti 11.573 posti in più per risolvere il dramma del sovraffollamento e riconoscere un briciolo di dignità ai prigionieri. Nel frattempo a rinverdire le speranze del Paese ci aveva pensato Paola Severino, arruolata come Guardasigilli da Mario Monti nel novembre 2013. "Entro giugno 2013 saranno 5.500 i posti in più realizzati negli istituti di pena italiani grazie al Piano carceri varato nel 2010, di cui 2300 aggiuntivi in virtù di nuovi fondi". La Severino ha passato il testimone a Anna Maria Cancellieri, nominata da Letta junior: "A fine anno (siamo sempre nel 2013, ndr) ci saranno 4mila posti in più nelle carceri per effetto del piano di edilizia penitenziaria". E subito dopo ribadiva l’intenzione di convertire edifici inutilizzati già adibiti a caserme in istituti penitenziari "leggeri" per detenuti di "modesta pericolosità sociale". Il tutto, ovviamente, con una "spesa limitata". Neanche dieci giorni più tardi, era già pronta fare promesse declinate al modo condizionale, che "entro il 2016, nelle carceri italiane, dovrebbero esserci 10mila posti letto in più, 5 mila dei quali saranno realizzati entro il maggio del 2014". Le ultime parole famose. Intanto, il commissario straordinario al Piano carceri Angelo Sinesio risulta indagato su un presunto giro di appalti e mazzette legato ai lavori di recupero delle carceri. La realtà, insomma, è lontana dai sogni dei politici. Giustizia: l’Italia è il paese dei pusher liberi, il governo congela le pene di Gianni Barbacetto Il Fatto Quotidiano, 20 agosto 2014 Risolvi un problema dentro e ne crei cento fuori. Il riferimento è alle carceri: bisogna svuotarle perché le celle sono sovraffollate e l’Europa ci bacchetta; ma il risultato è che, fuori, i reati restano impuniti. L’allarme lo lanciano i poliziotti e i magistrati impegnati, per esempio, nel contrasto allo spaccio di droga. Non possono più arrestare i pusher perché il "piccolo spaccio" ormai non prevede il carcere. Così nel giugno 2014 in 932 operazioni antidroga della Polizia di Stato sono state segnalate 1.243 persone, ma di queste solo 903 arrestate, a fronte di sequestri di ben 76 tonnellate di sostanze stupefacenti. Un anno fa, nel giugno 2013, in 1.556 operazioni antidroga, in cui furono sequestrate poco più di 3 tonnellate di stupefacenti, le persone segnalate furono ben 2.737, quasi tutte (2.055) arrestate. Dunque, in un anno, sono dimezzati gli arresti e quasi dimezzate le operazioni antidroga: tanto sono quasi inutili, visto che gli spacciatori devono essere lasciati liberi (di tornare al loro lavoro). Questo è ciò che si vede fuori, con preoccupazione, allarme e frustrazione degli operatori giudiziari. Dall’altra parte, da dentro, cambia il punto di vista: al Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, sono fieri dei risultati ottenuti. Hanno svuotato le carceri come chiesto dall’Europa. O meglio: sono riusciti ad alleggerire il sovraffollamento. Esibiscono dati che sono un successo: nel 2010 c’erano 68 mila detenuti in 45 mila posti; oggi sono 54 mila in 50 mila posti. In quattro anni, 14 mila detenuti in meno e 5 mila posti in più, ottenuti costruendo o ristrutturando gli istituti di pena. Per capire bene questi numeri, fanno notare al Dap, bisogna sapere che gli standard italiani sono più rigorosi (e civili) degli standard europei: questi impongono 7 metri quadrati per un detenuto, che devono aumentare di 4 metri quadrati ogni detenuto in più nella stessa cella. In Italia, invece, gli standard sono di 9 metri quadrati per detenuto, aumentati di 5 ogni detenuto in più. Più spazi (anche se 5 mila non sono molti), ma soprattutto meno detenuti. Come è stato ottenuto l’alleggerimento? Con le nuove norme sulla droga, visto che il 20 per cento delle persone in carcere sono in cella per spaccio. "Ma è stata la Corte costituzionale", spiegano al Dap, "a dichiarare illegittimo il decreto Fini-Giovanardi sulle droghe, imponendo il ritorno alle norme precedenti, che distinguono droghe leggere e droghe pesanti e prevedono pene miti per il piccolo spaccio". Attenzione, però: le vecchie norme, per lo spaccio di droghe pesanti, prevedevano una pena massima di 6 anni, permettendo l’arresto degli spacciatori. "Poi però è intervenuto il governo", spiegano alla procura di Milano, "che ha abbassato la pena massima a 4 anni. Così oggi l’arresto in flagranza lo puoi fare comunque, ma è inutile: niente carcere sotto i 5 anni, dunque la mattina dopo l’arresto devi lasciar andare il pusher, che ormai gira con poche bustine per volta ed è quindi sostanzialmente impunito e impunibile. Bene che vada, va agli arresti domiciliari: i poliziotti lo devono pure accompagnare a casa in macchina e in più organizzare i turni di controllo. Insomma: è chiaro che si finisce per non intervenire nemmeno". Gli arresti sono diminuiti anche perché, in generale, le leggi "svuota carceri" impongono la cella soltanto per coloro per i quali il giudice preveda (con uno sforzo di immaginazione) una pena futura di almeno 3 anni di reclusione. Gli altri restano fuori, anche se etichettabili come socialmente pericolosi, anche se appena rilasciati tornano a commettere reati. L’alleggerimento poi è stato ottenuto anche aumentando le misure alternative. Le detenzioni domiciliari concesse sono state 15 mila dal 2010 a oggi e oggi sono circa 5 mila le persone che sono detenute a casa. Aumentato anche l’affidamento in prova ai servizi sociali: sono 20 mila le persone oggi in carico agli Uepe (gli uffici per l’esecuzione penale esterna). Finora a concedere l’affidamento in prova erano i Tribunali di sorveglianza, dopo la condanna definitiva; oggi, con la "messa in prova", per reati con pena massima fino a 4 anni possono concederla anche i giudici, prima di arrivare a sentenza. Accresciuti anche gli "sconti" della liberazione anticipata: erano 45 giorni abbuonati ogni semestre passato in cella; oggi sono 75, ovvero 2 mesi di sconto ogni anno di carcere. La legge Severino ha poi imposto la norma contro le "porte girevoli": dopo l’arresto non vai in carcere, ma devi rimanere nelle strutture di polizia, finché non c’è una misura cautelare emessa da un giudice o una sentenza per direttissima. Nelle carceri italiane ci sono troppi detenuti in attesa di giudizio, si continua a ripetere: più di 15 mila su 54 mila (il 28 per cento, quasi un terzo della popolazione carceraria!). "Ma sono dati truccati, non comparabili con quelli degli altri Paesi europei", spiegano al Dap, "perché noi abbiamo tre gradi di giudizio. In realtà, i detenuti in attesa della sentenza di primo grado oggi sono esattamente 8.259, più o meno il 15 per cento: una percentuale europea". Giustizia: il sostituto procuratore Andrea Padalino "dopo 48 ore tornano tutti liberi" intervista di Andrea Giambartolomei Il Fatto Quotidiano, 20 agosto 2014 L’ultimo caso particolare è successo solo qualche giorno fa. A Torino uno spacciatore di cocaina è stato arrestato il 6 agosto. Il pm di turno ne chiede l’arresto, il gip in base alla legge "svuota carceri" non accoglie la domanda, il pusher torna fuori e l’11 agosto viene preso ancora e scarcerato di nuovo. Il caso è finito nelle mani del sostituto procuratore Andrea Padalino: "Ormai abbiamo un reato senza pena. È una licenza per spacciare", dichiara. Dopo la lettera aperta dei funzionari di polizia al ministro dell’Interno Angelino Alfano sul dimezzamento degli arresti per spaccio, il pm torinese torna a spiegare gli errori della norma voluta dal governo Renzi per rimediare al sovraffollamento dei penitenziari, convertita in legge dal Senato all’inizio di agosto. Dottore, quali sono gli ultimi dati? Sono stato di "turno arrestati" la scorsa settimana e posso dire che le detenzioni per spaccio a Torino sono dimezzate. Se di solito in un territorio così c’erano dai venti ai trenta arresti al giorno, ora siamo arrivati a una decina. Perché? Perché lo "svuota carceri" riduce la pena prevista per lo spaccio di quantità modiche dai sei mesi ai quattro anni e mezzo, non importa quale sia il tipo di droga. Il codice di procedura penale prevede che se la pena prevista è fino ai cinque anni si può disporre la custodia cautelare in carcere, al di sotto si possono dare gli arresti domiciliari. Tuttavia la maggior parte di queste persone non hanno una dimora e non possono essere messi ai domiciliari e quindi tornano liberi dopo 48 ore in camera di sicurezza. Ma ciò vale anche nei casi in cui uno spacciatore venga arrestato più volte? Non esistono aggravanti, anche se lo spacciatore è recidivo. Se il pusher venisse condannato più volte nel corso di un anno, ciò comporterebbe degli aumenti minimi della condanna, che non supererebbe i quattro anni e mezzo, e lui rimarrebbe libero di spacciare. Donatella Ferranti del Pd difende la norma dicendo che tutela quei ragazzini che spacciano tra amici… Quelli sono casi rari, uno ogni cento. Chi ne usufruisce di più sono certi delinquenti che a questo punto hanno una licenza per spacciare. Il problema era già stato sollevato a giugno. È cambiato qualcosa nella conversione in legge del decreto? No, il problema è rimasto. La norma però va cambiata. Quali modifiche si potrebbero fare? Basterebbe cambiare i limiti della pena per lo spaccio di modiche quantità, portare il massimo da quattro anni e mezzo a cinque anni per ripristinare la custodia in carcere. Oppure si potrebbe prevedere un range unico per lo spaccio, con un limite minimo di un anno fino a un massimo di venti anni di carcere (previsto per la vendita di grosse quantità di stupefacenti, ndr) lasciando al giudice la possibilità di scegliere. In questo modo non verrebbe impedita la custodia cautelare in carcere. Il problema vale solo per lo spaccio o ci sono anche altre "categorie" di reati? Prima c’era il problema provocato dal decreto legge 92 del 26 giugno. Secondo questo testo se un giudice prevede che un arrestato, al termine del processo, debba scontare una pena sotto ì tre anni, allora dovrà lasciarlo ai domiciliari. In questo modo però la norma restringe la custodia cautelare per molti reati. La legge di conversione sembra contenere i danni, ma deve ancora essere approvata. Al momento è stato inserita una norma che prevede il carcere per chi non ha una dimora. Giustizia: Di Lello (Psi), meno detenuti per droga? manettari se ne facciano una ragione Adnkronos, 20 agosto 2014 "È strano come in Italia nulla vada mai bene: prima c’erano troppi carcerati, ora, per qualcuno, troppo pochi". Lo dichiara Marco Di Lello, presidente dei deputati socialisti e membro della commissione Giustizia, nel replicare agli esponenti della Lega Nord che hanno rimarcato gli effetti della legge svuota-carceri e delle norme sulla depenalizzazione del possesso di stupefacenti. "Lo svuota-carceri approvato cinque mesi fa, prevede di evitare l’arresto nei casi di piccolo spaccio per andare incontro alla necessità affrontare la questione del sovraffollamento, nella convinzione che oltre 20mila detenuti erano e sarebbero un numero indegno di un paese civile. Dopo questo primo provvedimento di depenalizzazione di reati minori. Ora è urgente intervenire in materia di custodia cautelare. Il Parlamento continuerà in questa direzione nei prossimi mesi. I manettari - conclude Di Lello - se ne facciano una ragione". Giustizia: in attesa del nuovo Capo Dap… le speranze dei dirigenti penitenziari di Rosario Tortorella (Segretario Nazionale Si.Di.Pe.) Comunicato stampa, 20 agosto 2014 Il 27 maggio scorso è cessato dall’incarico di Capo del Dap Giovanni Tamburino per effetto dello spoils sistem, cioè della scadenza del termine dei 90 giorni entro il quale doveva essere riconfermato dal Governo Matteo Renzi, con Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Da allora il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è senza Capo Dipartimento, sebbene nel frattempo la sua reggenza è assicurata dal Vice Capo Vicario, Luigi Pagano, il cui incarico, nonostante capacità ed impegno, non consente una gestione che vada oltre l’ordinario. Lo scorso 6 agosto un’agenzia di stampa ha riportato che il Ministro Orlando, al termine di un incontro al ministero, ha dichiarato "Nei prossimi giorni proporrò al Consiglio dei ministri la nomina del nuovo capo del Dap", ricordando che si era impegnato a questo passaggio dopo il via libera al decreto carceri. Il Si.Di.Pe. - il sindacato più rappresentativo del personale della carriera dirigenziale penitenziaria dei ruoli di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna - confida che la nomina del nuovo Capo Dap avvenga al più presto perché la gravità della situazione penitenziaria lo rende indispensabile per realizzare gli impegni assunti con l’Europa. L’Italia è, infatti, sotto osservazione dell’Europa dopo la condanna della sentenza Torreggiani per lo stato di sovraffollamento delle carceri e la prossima scadenza, a giugno del 2015, della verifica che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa effettuerà per accertare l’adeguatezza dei provvedimenti del nostro Governo. In tal senso, se bisogna dare atto che grazie ad alcuni interventi normativi promossi anche dal Ministro Orlando il numero dei detenuti si è ridotto, occorre però evidenziare la necessità di interventi più ampi, strutturali e sistemici, per evitare che i risultati raggiunti regrediscano e per assicurare un carcere nel quale si possa non solo vivere meno stretti ma anche realizzare la funzione rieducativa della pena prevista dalla Costituzione. Confidiamo che il nuovo Capo del Dipartimento che sarà nominato non solo abbia le competenze necessarie che consentano all’Amministrazione penitenziaria di affrontare il difficile momento ma anche che questi voglia e sappia finalmente investire nel personale della Carriera dirigenziale penitenziaria, che conosce il sistema penitenziario e le sue criticità per aver fatto amministrazione sul campo, negli istituti e servizi penitenziari. D’altra parte se l’Italia lo scorso 5 giugno ha potuto ricevere la fiducia dei vertici del Consiglio d’Europa e quindi ottenere una deroga sulla scadenza che era stata prevista dalla Corte di Strasburgo con la sentenza Torreggiani nel 28 maggio, è stato in buona parte grazie all’impegno concreto, costante e diretto dei Dirigenti penitenziari, dai Provveditori regionali dell’Amministrazione Penitenziaria ai Direttori degli Istituti Penitenziari e degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna, che in questi mesi dalla sentenza hanno fatto tutto il possibile per far rientrare le carceri nei parametri definiti dalla Cedu. Il Si.Di.Pe. auspica, anche, un Capo Dap che sia in grado di rappresentare autorevolmente e con decisione al Governo che per migliorare il sistema penitenziario occorre non ridurre ma reperire risorse, umane e finanziarie, eliminando gli sprechi là dove ci sono e che, invece, un’eventuale spending review della dirigenza penitenziaria sarebbe in contraddizione con le necessità di un sistema in crisi e con le stesse azioni di governo rivolte a far fronte all’emergenza carceraria. In questo delicatissimo momento la dirigenza penitenziaria è più che mai essenziale e dovrebbe essere valorizzata, professionalmente ed economicamente, perché ad essa è demandato per legge il compito di assicurare il governo del delicato sistema dell’esecuzione penale, nelle sue diverse articolazioni, centrali e periferiche (Dap, Prap, Istituti penitenziari, Uepe, ecc.), articolazioni che appartengono, tutte, alla complessiva struttura di sicurezza dello Stato, poiché sono espressione operativa dell’esecuzione della pena e delle misure cautelari detentive e contribuiscono, ad assicurare l’ordine e la sicurezza pubblica. Alla dirigenza penitenziaria, quindi, (come anche all’intera Amministrazione Penitenziaria) non può ritenersi applicabile la riduzione degli organici prevista dalla spending review (art.2 D.L. 95/2012 convertito in L.135/2012) in virtù dell’esclusione (ex comma 7 del precitato art.2) per "le strutture e il personale del comparto sicurezza". Giustizia: Palma (Pd); caso Cesaro, noi siamo garantisti con tutti, non a giorni alterni di Giuliana Tambaro www.campania24news.it, 20 agosto 2014 "Ma il garantismo non era di sinistra?", a quanto pare no. Sono giorni che infiamma la polemica sulle dichiarazioni della deputata democratica Giovanna Palma, che all’indomani dell’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare a carico del parlamentare forzista Luigi Cesaro, afferma: "Il garantismo è un metodo e va applicato agli amici di partito e agli avversari. La vicenda politica andava affrontata con doveroso rispetto umano da parte della politica e la terzietà da parte dei magistrati. Non conosco i fatti per i quali Cesaro è accusato e quindi mi astengo da ogni commento, ma si tratta di una notizia positiva perché riconferma la terzietà della magistratura dimostrando che non può esistere nessuna persecuzione giudiziaria in mancanza di indizi". Scoppia la "caccia alla strega". Gli "amici/nemici" del partito la sconfessano con dichiarazioni al vetriolo; l’ultima in termini temporali, quella di Francesco Nicodemo, membro della segreteria nazionale: "I veri garantisti sono quelli che non commentano le decisioni della magistratura. Non si esaltano per le sentenze né esprimono solidarietà". Ci sarebbe da domandarsi quali testi scrivono il modus comportandi dei "garantisti"? La deputata Pd Palma intervistata da Campania24news, sottolinea come le sue parole siano state strumentalizzate, ma va oltre, perché lei "non è una politica navigata, è la sua prima legislatura, è un avvocato e prima di esprimere giudizi attende il terzo grado". "Il tema del garantismo è stato affrontato da Renzi, dalla Boschi, dal ministro Orlando", come la stessa parlamentare dichiara, ma il suo favellare ha turbato i democratici campani. "Garantisti con tutti non a giorni alterni", questo il messaggio inequivocabile della Palma. La sua è una "battaglia per il rispetto dei diritti, è poco interessata alle beghe di partito", come dichiara a Campania24news. Sul caso Cesaro si domanda: "Perché un mese fa un tribunale ordina l’arresto e l’altro ne chiede l’annullamento. C’è qualcosa che non va. Ma non è nella maniera più totale un attacco alla Procura". Da avvocato spiega la necessità e l’urgenza di una riforma della giustizia, non certo per parlamentari o per politici, ma "per quei detenuti in attesa di giudizio che non possono neppure permettersi un avvocato". Rincara la dose affermando che "anche un semplice giorno di detenzione in attesa di giudizio, può provocare dei danni psicologici". Accade che "dopo anni di indagini la persona risulta innocente, ma la sua vita viene distrutta, e poi che si fa? Ci scusiamo?", continua la parlamentare. La sua professione le ha fatto toccare con mano la sofferenza dell’uomo in carcere, "mi pare che l’Europa abbia bacchettato l’Italia, dobbiamo risarcire 8 euro al giorno ai detenuti per le condizioni in cui si trovano", conclude la democratica quarantenne. La parlamentare va per la sua strada, forte della sua esperienza professionale e consapevole come tutti (sia quelli che lo dichiarano apertamente e sia quelli che lo fanno in luoghi reconditi) che c’è un bisogno urgente della riforma della giustizia, alla quale "sta lavorando senza tregua il Guardasigilli Orlando", con uno sguardo attento alla "custodia cautelare", che interessa il 40 per cento dei detenuti. Giustizia: l’estate in cella di Galan da malato e incensurato… così preparo la battaglia di Stefano Filippi Il Giornale, 20 agosto 2014 Il deputato di Forza Italia è in carcere anche se molte accuse sono cadute. I suoi presunti corruttori invece sono in libertà. "Sono incazzato nero e mi sento tradito", disse quando vennero a prenderlo, la sera del 22 luglio scorso. L’incazzatura non gli è passata, anzi gli aumenta con il trascorrere dei giorni in carcere. Giancarlo Galan è rinchiuso a Opera da quasi un mese e vi passerà anche i prossimi due. Starà tutta l’estate dietro le sbarre l’ex governatore del Veneto, arrestato nell’inchiesta sulle tangenti per il Mose. La gran parte delle accuse è caduta in prescrizione, non è più il doge della regione da quattro anni, non può ripetere i reati e non pensa di fuggire; i giudici del Riesame, tuttavia, la settimana scorsa non gli hanno concesso nemmeno i domiciliari. Ritengono necessaria una "effettiva, netta, reale, definitiva cesura dall’ambiente in cui sono maturati i fatti". Insomma, Galan viene tenuto dentro perché è un politico, un ex governatore ed ex ministro per di più di centrodestra, un simbolo del berlusconismo, tessera numero 19 di Forza Italia, tra i più votati politici azzurri. È questo il vero peccato originale che deve scontare. Non conta che negli anni a Palazzo Balbi non abbia preso nemmeno una multa per divieto di sosta. Deve tagliare i ponti con l’ambiente della politica. Se facesse un altro mestiere, sarebbe già fuori da un pezzo. Galan non ha mai lasciato il centro clinico del carcere di Opera. Le sue condizioni non glielo consentono. I medici del penitenziario hanno confermato le diagnosi emesse negli ospedali di Padova ed Este dove il deputato di Forza Italia era ricoverato dai primi di luglio dopo essersi fratturato il perone destro. Il gesso e il diabete gli hanno gonfiato la gamba provocando problemi circolatori con il rischio di embolie. A Este gli avevano raccomandato immobilità assoluta. La sera del 22 luglio gli uomini della Guardia di finanza che gli hanno notificato l’ordinanza di custodia cautelare l’avevano trovato a letto. I medici di Opera non hanno modificato quelle prescrizioni, segno che erano infondate le polemiche seguite ai ricoveri, alimentate anche dai pubblici ministeri che avevano acquisito le cartelle cliniche a colpi di grancassa mediatica adombrando il sospetto di una falsa malattia. Galan in realtà non sta affatto bene, dovrebbe essere seguito in un ospedale vero e in strutture adeguate per la riabilitazione. Invece le sue giornate di detenzione si susseguono tra letto e sedia a rotelle, a studiare con gli avvocati le carte dell’inchiesta e leggere qualche libro che aveva chiesto. La moglie Sandra Persegato è andata a trovarlo una volta: la procura aveva dato parere negativo, anche con lei era necessaria una "cesura". Più frequenti i colloqui con gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini. Il deputato azzurro, al quale la Camera ha immediatamente tagliato le indennità, ha ricevuto anche la visita di alcuni parlamentari e consiglieri regionali: i primi sono stati Daniela Santanché e Giulio Gallera. L’hanno trovato fisicamente prostrato ma combattivo, sempre più arrabbiato per l’uso indegno della custodia cautelare, e deciso a non mollare. L’ordinanza di arresto è stata annullata per la parte antecedente il luglio 2008 (prescrizione), gli altri episodi coincidono con gli ultimi mesi da governatore. Galan è incensurato, una perizia ha accertato una "capacità economica congrua" per l’acquisto della villa di Cinto Euganeo. Eppure non ha diritto nemmeno ai domiciliari. I suoi accusatori, i presunti corruttori, sono tutti fuori a godersi la libertà. Il costruttore Piergiorgio Baita ha ricominciato a lavorare e a frequentare i ristoranti per vip con una Porsche fiammante mentre l’ex segretaria Claudia Minutillo scarica la tensione in un dammuso di Pantelleria affittato per tutto agosto. Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia nuova, ha trovato rifugio nella villa di La Jolla, il suo "buen retiro " sulla costa californiana non lontano da San Diego e dal confine messicano. Chi collabora con i pm può fare le vacanze, viaggiare, mettere due continenti e un oceano tra sé e le indagini. Galan invece dalla branda del carcere studia il ricorso in Cassazione, la quale comunque non si riunirà prima di metà settembre. Altri due mesi a Opera non glieli toglie nessuno. Lettere: ottenere la "liberazione anticipata speciale?"… dipende dal giudice Il Manifesto, 20 agosto 2014 Caro manifesto, siamo i detenuti del carcere di Rebibbia nuovo complesso e studenti in Giurisprudenza del "Gruppo Universitario Libertà di Studiare" iscritti all’Università La Sapienza. Scriviamo questa lettera sicuri di rappresentare sentimenti e aspettative di migliaia di detenuti di tutte le carceri italiane. Vogliamo innanzitutto ringraziare per l’attenzione che la vostra testata riserva alla popolazione detenuta volta a migliorare le condizioni di vita di noi reclusi, e però mentre voi vi impegnate, a noi detenuti non viene concesso neanche quello che la legge prevede e che allevierebbe la nostra pena. La legge 10/2014 che ha convertito il decreto 146/2013 sta causando enormi disparità di trattamento e diseguaglianze disastrose. Ogni magistrato di sorveglianza sta dando una sua personale interpretazione all’interno dello stesso Tribunale. Del tema, come da allegata interrogazione al ministero di Giustizia da parte del vice presidente della Camera on. Roberto Giachetti, sono state interessate tutte le autorità competenti ma ad oggi, nessuna risposta concreta è stata attivata. La questione consiste nel fatto se debbano essere concessi i giorni di liberazione speciale anche a quei detenuti inclusi nell’art. 4 bis dell’Ordinamento penitenziario - il 75% della popolazione reclusa - che la legge 10/2014 ha escluso ma che il decreto 146/2013 comprendeva, detenuti che però avevano fatto richiesta per avere concessi i giorni al magistrato di sorveglianza durante la vigenza del decreto. Moltissimi autorevoli costituzionalisti sostengono che gli effetti di chi ha fatto la richiesta mentre il decreto era in vigore sono fatti salvi, e che la legge si applica dal momento in cui è approvata. Alcuni magistrati danno questa interpretazione in ossequio alla legge n. 400/1988 (art, 15) per cui hanno concesso i giorni di liberazione speciale integrativa (30 in più per ogni semestre) a tutti quelli che ne avevano fatto domanda prima della pubblicazione della legge di conversione n. 10 del 21 febbraio 2014. Altri magistrati invece sostengono che la legge travolge gli effetti del Dl anche se richiesti prima e così non danno i giorni. Anche questi però in vigenza di decreto li avevano dati, senza tra l’altro rispettare l’ordine di presentazione di domanda ma valutando l’urgenza, cioè il fatto che i giorni assegnati portavano a fine pena i detenuti, ammettendo così che in vigenza di decreto lo stesso andava applicato, ma non per tutti e non in ordine cronologico. Se alcuni magistrati di Sorveglianza non fossero stati "lenti" entro 60 giorni avrebbero avuto la possibilità di espletare per intero il loro lavoro, cosa che alcuni magistrati, più solerti, hanno fatto. Nella stessa cella detenuti con reati gravi, omicidio, reati di mafia, hanno avuto gli arretrati dei giorni di liberazione anticipata speciale, perché hanno avuto la "fortuna" di avere come magistrati di sorveglianza quelli che interpretano che gli effetti sono fatti salvi, e invece detenuti per rapina aggravata per l’utilizzo di "spray al peperoncino" si sono visti negare i giorni perché la sorte gli ha dato magistrati di sorveglianza che interpretano che gli effetti sono travolti dalla legge. I detenuti del 4 bis, come detto prima, sono il 75% della popolazione carceraria italiana quindi il provvedimento di legge che ha suscitato così tanto clamore è quasi del tutto inutile oltre che anticostituzionale. È veramente incredibile come in questo caso si possa affidare la protezione di un diritto fondamentale qual è la libertà, garantita con riserva di legge costituzionale, al libero arbitrio o alla libera valutazione o alla personale sensibilità del singolo magistrato di sorveglianza, senza che possa esserci una univoca giusta valutazione come principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge vorrebbe. Voi potete aiutarci, intervenire, accendendo i riflettori sul tema, perché a tutti i detenuti possa essere concesso il beneficio della liberazione anticipata speciale come è opinione dei costituzionalisti, che lo hanno ribadito in occasione di un recente convegno dell’Associazione Italiana dei costituzionalisti tenutosi presso il Teatro interno al Carcere di Rebibbia, noi detenuti siamo impotenti! Oltre 20.000 detenuti potrebbero avere concesso il beneficio che sarebbe per i reclusi di lungo corso al massimo di 180 giorni, che sono tantissimi perché rubati all’amore della famiglia e alla vita, senza contare che sarebbero tanti giorni in meno da risarcire ai detenuti, così come ha sentenziato la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo di cui al provvedimento risarcitorio interno in questi giorni in ratifica alle Camere. Siamo sicuri che la vostra sensibilità verso i più deboli anche questa volta troverà la giusta attenzione e nel ringraziarvi inviamo distinti saluti. Con stima e fiducia. Lombardia: progetti avviati per nuove carceri e in sette mesi mille detenuti in meno www.milanotoday.it, 20 agosto 2014 I progetti sono stati avviati dalla regione a seguito della condanna di degrado delle carceri italiane fatta dalla Corte di Strasburgo. Dopo la condanna della Corte europea di Strasburgo per lo stato di degrado delle celle italiane, in sette mesi le carceri lombarde hanno subito alcune modifiche rilevanti, ma che ancora non sono riuscite a combattere il sovraffollamento. Circa mille detenuti in meno e 200 posti letto in più. A fine luglio c’erano 7.743 carcerati, ad inizio 2014 erano 8.756, ma il tasso di occupazione delle celle continua ad essere molto alto dal 150% al 130%. A migliorare il rapporto detenuto-spazio abitativo è stata l’apertura di nuovi plessi a Pavia, Cremona, Voghera e la "distribuzione" dei "galeotti" secondo il grado di pericolosità e anche la concessione dei domiciliari a chi devi scontare ancora un massimo di 18 mesi di reclusione (al 31 luglio erano in 2.225 agli arresti domiciliari). Da un’analisi sui detenuti lombardi è emerso che 3.353, sui 7.743, sono stranieri, che le donne in tutto sono 474 e che due terzi della popolazione carceraria (5.376 tra uomini e donne) sconta una pena ormai definitiva. Delle restanti 2.400 persone, almeno il 30 per cento, finirà per essere assolta o scarcerata, avendo con ciò scontato una custodia cautelare che non meritava. Rossano (Cs): nel carcere accaduti fatti gravi, ma non infanghino il nome della città di Gianluca Teobaldo www.infooggi.it, 20 agosto 2014 Gli ultimi avvenimenti che hanno interessato la casa circondariale di Rossano, lanciano un grido d’allarme sulle condizioni in cui, oggi, vive il mondo delle carceri in Italia. Vivibilità ridotta per i detenuti ma anche condizioni di lavoro disumane a cui sono costretti gli agenti della penitenziaria. Quanto accaduto e rilevato, a seguito della visita del deputato Enza Bruno Bossio e dalla successiva ispezione chiesta dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando, non può lasciarci indifferenti. Anzi. È un fatto grave che infanga l’onorabilità della nostra Città e dell’intero territorio che, da sempre, sono ambasciatori dei valori dell’ospitalità e dell’accoglienza. È, questo, quanto ribadito dal Presidente del Consiglio comunale Vincenzo Scarcello, intervenendo in merito all’incresciosa vicenda che ha fatto emergere le condizioni critiche, a limite della civiltà, in cui versano le carceri rossanesi. Il problema del sovraffollamento delle case di reclusione che, inevitabilmente - dichiara Scarcello - porta a conseguenze così drammatiche, purtroppo fa emergere lo stato critico in cui versa il mondo delle carceri in Italia. Infatti, se da un lato è allarmante la denuncia pubblica del deputato Enza Bruno Bossio che, nel corso di una sua visita privata, ha rilevato le condizioni disumane in cui sono stati trovati alcuni detenuti della struttura rossanese, dall’altro è altrettanto grave quanto continuano a far emergere, e non da oggi, i sindacati di polizia penitenziaria riguardo alla carenza di personale e alla mancanza delle forniture necessarie alla sussistenza stessa della casa circondariale di Rossano. E dispiace come - precisa il Presidente del Consiglio comunale - negli ultimi tempi la nostra Città, che da sempre si fregia con vanto della sua grande capacità di accoglienza e ospitalità, sia stata messa al centro di un tourbillon di polemiche che esulano totalmente dalle caratteristiche genetiche dei suoi cittadini. Pertanto - aggiunge Scarcello - mi corre l’obbligo di invitare quanti, in questi giorni, stanno continuando la loro sacrosanta battaglia di civiltà nel rivendicare i diritti, sia dei detenuti che del personale penitenziario, a rimarcare, più di quanto è stato già fatto, che gli avvenimenti registrati all’interno del penitenziario cittadino, esulano dall’humus sociale della Città di Rossano. Nel contempo, conoscendo e apprezzando l’opera di integrazione e recupero messa in atto all’interno della struttura carceraria locale, sono certo che tali fatti rimarranno isolati e ricordati solo come uno spiacevole episodio. Faccio appello, invece - conclude il Presidente dell’Assise civica - al Ministro Orlando affinché guardi con rinnovata e maggiore attenzioni alle dinamiche di questo territorio impegnato nella rivendicazione del fondamentale diritto alla giustizia, considerato in ogni sua declinazione. Quanto accaduto nel carcere di Rossano è la cartina tornasole del dato, oggettivo e inconfutabile, che l’Area urbana Corigliano-Rossano e, più in generale, la Sibaritide hanno bisogno di ridare funzionalità a tutti quei presidi che garantiscono il sistema giudiziario, a partire dalla immediata riapertura del Tribunale di Rossano per finire ad una maggiore considerazione delle esigenze del carcere di contrada Ciminata, tra i più grandi e importanti dell’intero Meridione. Napoli: Radicali; detenuto a Secondigliano rischia la morte, deve essere subito operato www.strettoweb.com, 20 agosto 2014 "Sebastiano Pelle è gravemente ammalato ed ha bisogno, con la massima urgenza, di essere trasferito dal Carcere presso una struttura sanitaria specializzata per essere sottoposto ad un intervento chirurgico poiché, in difetto, vi è il concreto rischio che possa morire da un momento all’altro". Lo afferma Emilio Quintieri, esponente dei Radicali Italiani, all’esito della visita ispettiva effettuata domenica mattina nella Casa Circondariale di Napoli Secondigliano, dal Senatore della Repubblica Luigi Compagna (Ncd) accompagnato dal Dirigente Nazionale dei Radicali Luigi Mazzotta. Nell’ambito dell’ispezione, la delegazione visitante, su sollecitazione di Quintieri, ha incontrato il detenuto calabrese Sebastiano Pelle, all’interno della sua cella, nel Reparto Infermeria del sovraffollato Penitenziario napoletano (capienza regolamentare 898 posti dei quali 12 non disponibili, detenuti presenti 1.278, detenuti in esubero 380). Il Pelle, sentito dal Senatore Compagna e dal Radicale Mazzotta, ha riferito che ha necessità di essere operato con urgenza poiché rischia di morire da un momento all’altro lamentando, altresì, il suo mancato trasferimento presso una struttura sanitaria esterna che attende da diversi mesi. Il detenuto ha tenuto a precisare che la necessità dell’intervento chirurgico (ha bisogno della sostituzione della valvola aortica) è stata riconosciuta sia dal Servizio Sanitario Penitenziario di Rebibbia e di Secondigliano che da quello dell’Azienda Ospedaliera "Vincenzo Monaldi" di Napoli. Il Senatore Compagna ha promesso al detenuto Pelle, difeso dall’Avvocato Angela Giampaolo, di impegnarsi per far sì che venga al più presto trasferito presso l’Ospedale Monaldi di Napoli, specializzato nella cura delle patologie pneumo-cardiovascolari o in altra struttura sanitaria esterna pubblica della Campania ove le sue gravi problematiche di salute potranno essere adeguatamente trattate. "Ci risulta - prosegue il radicale Quintieri - che siano state effettuate delle perizie medico legali che abbiano riconosciuto l’incompatibilità del Pelle con lo stato di detenzione inframuraria. Se ciò corrisponde al vero per quale motivo ancora si trova ristretto in carcere ? E comunque, per quale ragione, nonostante la gravità della situazione, attende da diversi mesi di essere trasferito in un luogo esterno di cura non essendo praticabile all’interno dell’Istituto Penitenziario l’intervento chirurgico di cui abbisogna?". "Chiediamo all’Autorità Giudiziaria competente", conclude l’esponente dei Radicali Italiani Emilio Quintieri, "di disporre immediatamente il ricovero del detenuto in un luogo esterno di cura anche solo per il tempo strettamente necessario per praticare l’intervento chirurgico prima che alla lunga lista di "morti di carcere" (91 decessi nel 2014, 25 dei quali per suicidio) si aggiunga anche quello di Sebastiano Pelle". Volterra (Pi): laboratorio di sartoria in carcere… proviamo a ricucire la nostra esistenza di Rino Bucci Il Tirreno, 20 agosto 2014 Se il tessuto è molto spesso la forza dell’ago deve essere costante, anche a bassa velocità, altrimenti rischi di buttare via la stoffa. Poi, c’è la questione della precisione ma quella pian piano s’impara, ci si fa l’occhio. Anche se c’è chi è più portato degli altri; del resto, ognuno ha la sua vocazione. Ernesto viaggia per il salone con un metro al collo come farebbe un medico in visita tra i pazienti con il fonendoscopio. Fino a pochi minuti fa aveva tagliato al millimetro delle strisce di stoffa che comporranno le borse per la prossima "Software product line conference" di Firenze. La commessa è arrivata direttamente dal Cnr e vale diversi soldi. Ernesto lavora da sette anni in sartoria e ormai si sente quasi il braccio destro di Gabriella, la capo d’arte. Dispensa qualche consiglio agli altri, senza litigare, e all’occorrenza ripara le macchine da cucire. Perché dopo un po’ "si diventa pure pignoli". All’interno. Taglio, stiratura, cucitura, asole e bottoni: sembrerebbe la catena di montaggio di una qualsiasi attività produttiva. L’unica differenza qui è la strada per arrivare. Un percorso fatto di controlli, documenti, scanner, scale, chiavi che girano e porte che si aprono, cancelli, porte che si richiudono, schiamazzi. Sbarre. Siamo all’interno della sartoria del carcere di Volterra. Una piccola industria in un mondo chiuso dentro ad una fortezza medioevale. Su due piani lavorano altrettanti turni di detenuti. La stragrande maggioranza, "quasi tutti - dice il capo degli educatori Alessandro Cini - sono definitivi". Significa che le celle ospitano carcerati che hanno superato tutti i gradi di giudizio. Diversi sono ergastolani. "Chi si trova davanti alla macchina da cucire - spiega l’educatore - ha presentato domanda ed è entrato in una graduatoria stilata secondo parametri rigidi". Il servizio. Il carcere di Volterra non è solo il teatro e la bella esperienza di Armando Punzo. La sartoria rappresenta l’attività produttiva (e remunerativa) più grande della Casa di reclusione. Dà lavoro a circa settanta persone divise in due squadre. Alle macchine da cucire i carcerati realizzano camici, pigiami, lenzuola ad uso interno. Negli anni l’attività si è aperta all’esterno con la realizzazione di patchwork che ora sono in mostra a Pomarance. Uno dei più belli è nella stanza della direttrice Maria Grazia Giampiccolo. "La sartoria è senza dubbio l’attività trattamentale più grande - dice - da lì, da quelle macchine possiamo iniziare a comprendere se il detenuto sia pronto o meno a muoversi in autonomia". La capo d’arte. "Ero a Roma. Mi occupavo di alta sartoria, confezioni. Poi, dodici anni fa sono arrivata a Volterra ed ho iniziato una nuova esperienza". Gabriella Principe, la capo d’arte, gira tra i detenuti come una prof tra i banchi. Piccola e risoluta si è guadagnata il rispetto di tutti: tatuati, italiani, stranieri, ergastolani, gente alla mano e scansafatiche. Il clima tra bottoni ed asole non è poi così diverso da quello in una classe. "Qualcuno fa come gli studenti - dice - e passa quattro ore in bagno. Ma a chi vuole imparare io do tutto, il massimo. E ce ne sono diversi davvero bravi; con loro dalle semplici commesse ministeriali siamo passati ai lavori più impegnativi. Hanno gli strumenti, dalle 7 alle 11 si applicano, e io coordino. Non diventeranno mai dei sarti ma almeno impareranno un lavoro. Stare con il fiato sul collo a questi ragazzi non avrebbe senso". Storie di vita. C’era da giurarci: alla macchina da cucire i cinesi sono delle schegge. Qui a Volterra c’è un quartetto, "una piccola comunità", che non è niente male, fanno viaggiare il filo a ritmi spediti. Chissà, forse si sono già applicati nella loro vecchia vita fuori dalla Fortezza con questi macchinari. Un taccuino e la macchina fotografica spaventano ma sciolto il ghiaccio anche in un carcere si può raccontare l’orgoglio delle proprie professionalità. Il riscatto parte dai piccoli gesti. Giuseppe è originario di Avellino, il suo numero sembra essere il quattro: è in sartoria da quattro mesi, in cella da quattro anni. "Mi piace lavorare con l’ago e il filo - dice - ci pagano poco ma almeno siamo occupati e la testa non vola. Poi, ci sono le soddisfazioni perché siamo una squadra, ognuno di noi ha un compito. E con il tempo ci si impratichisce, si diventa bravi, professionali. Peccato non ci sia concesso di realizzare qualcosa per noi. Non è permesso". Un tempo Mohammad studiava medicina. In Pakistan, la sua terra, avrebbe potuto curare qualcuno, salvare delle vite. "Ma non avevo i soldi per proseguire gli studi - racconta - e allora sono venuto in Italia. Avevo 22 anni". Da medico a saldatore il passo è stato breve e ancora più corto quello verso un reato che lo porterà a rimanere nella Fortezza per altri sette anni. "Abitavo a Reggio Emilia - dice - e là ho commesso un errore. Oggi vorrei ripartire dalla sartoria. La capo d’arte è brava e magari imparerò una professione, a cucire". "Io vorrei un futuro migliore - racconta Nicola che viene da Napoli - ci spero. In sartoria sono tra i più vecchi; lavoro qui da sette anni e dovrò rimanerci ancora per otto. Serve impegno e costanza ma poi si sta bene, forse meglio che in altri carceri. Le creazioni più belle sono quelle realizzate a mano". Il più giovane è Gentian, un albanese di 32 anni. La sua pena scade nel 2025 e fino a qualche mese fa era a San Gimignano. "Sono in galera da otto anni. Per la prima volta nella mia vita - racconta - qualcuno mi ha dato una possibilità, un lavoro. E io ne vado fiero. Non mi posso lamentare, addirittura mi pagano. Lavorerò per ottenere qualche permesso. Frequento il secondo anno delle superiori e diventerò un grande geometra". Lanciano (Ch): carenze organico e turni di 12 ore, agenti protestano con astensione mensa Ansa, 20 agosto 2014 Da oggi fino a venerdì prossimo, 22 agosto, indetta l’astensione dalla mensa di servizio al supercarcere di Lanciano. La protesta è stata decisa dai sindacati di Polizia Penitenziaria Uil, Sappe, Cgil, Osapp, Cnpp e Sinappe contro la cronica carenza di personale. In una nota i sindacati spiegano che "tale protesta, senza i pasti caldi, è stata volutamente limitata nel tempo per non impegnare il poco personale presente, a causa del piano ferie in atto, e per affrontare i doppi turni. Nel frattempo - si aggiunge - nessun segnale di ascolto alle nostre richieste giunge dal Provveditorato Regionale e dagli uffici ministeriali". Lo scorso 5 agosto i sindacati avevano tenuto un sit-in davanti al supercarcere per denunciare l’insostenibilità del carico di lavoro che opprime la Polizia Penitenziaria: attualmente i turni di lavoro arrivano anche a 12 ore giornaliere. Droghe: la politica tace, parla la Corte di Stefano Anastasia Il Manifesto, 20 agosto 2014 La coltivazione di cannabis destinata all’uso personale non costituisce reato. Lo ha chiaramente motivato la Corte di cassazione con una sentenza depositata il 29 luglio scorso. Un passo importante, che fissa la corretta interpretazione della normativa sulle droghe. Incapaci di produrre una innovazione politica all’altezza del mutato contesto internazionale, in Italia il testo unico sulle droghe viene rivisto e riscritto dalla giurisprudenza, ieri dalla Corte di cassazione, l’altro ieri dalla sentenza con cui la Corte costituzionale ha giudicato illegittima l’intera legge Fini-Giovanardi. Potrebbero tranquillamente riferirvisi le argomentazioni usate da Stefano Rodotà su la Repubblica di domenica scorsa a proposito della procreazione medicalmente assistita: "negli ultimi venti anni la tutela dei diritti è stata garantita quasi esclusivamente dai giudici costituzionali e ordinari, mentre il Parlamento cercava di ridurne illegittimamente l’ampiezza o rimaneva colpevolmente silenzioso". Un bel paradosso e il principale dei problemi per chi, come il Ministro Orlando, voglia riformare la giustizia nel solco della distinzione di ruoli tra politica e magistratura: se la politica continua a non decidere, o a decidere in senso contrario ai vincoli posti dalla Costituzione, come pretendere che non vi sia un conflitto con una giurisdizione cui sono delegate tutte le possibilità di riconoscimento dei diritti dei cittadini? Non altro è il problema che abbiamo posto negli ultimi vent’anni in materia di droghe, sin dal referendum del 1993, che abrogò le parti più ideologiche e repressive della legge Iervolino-Vassalli, e poi qualche mese fa, all’indomani della abrogazione della legge Fini-Giovanardi. Spetta al Parlamento riscrivere da cima a fondo la legge sulla droga, tenendo conto del fallimento della war on drugs, dal mutato contesto internazionale e dei cambiamenti nell’uso delle sostanze stupefacenti. E spetta al Parlamento risolvere i problemi di carattere generale sollevati da un corretto esercizio del potere giurisdizionale. Tra questi, quello delle migliaia di persone tutt’ora in carcere in forza di previsioni penali giudicate illegittime dalla sentenza della Corte costituzionale del febbraio scorso. La perdurante ignavia del Parlamento - interrotta solo dal tentativo revanchista della Ministra Lorenzin, di reintrodurre per decreto l’intera legge Fini-Giovanardi (norme penali comprese) - ci ha costretto a riprendere la via giudiziaria. È possibile tollerare ulteriormente il prolungarsi dell’esecuzione di pene giudicate, nella loro misura, illegittime dalla Corte costituzionale? La Corte di cassazione ha chiaramente detto di no, ma questo non basta quando il problema sia polverizzato in migliaia di situazioni personali che richiedono ricorsi individuali al giudice dell’esecuzione, ed essendo la gran parte degli interessati privi della minima cognizione giuridica e di un’adeguata assistenza legale. Tocca allora andare città per città e carcere per carcere, a informare i detenuti e spiegare loro che possono chiedere la rideterminazione della pena e, molto probabilmente, essere scarcerati. È quello che stiamo facendo, con i garanti dei detenuti, le camere penali e le altre associazioni che hanno aderito alla campagna "Cancellare le pene illegittime". In Friuli, dove la campagna è stata presentata alla stampa il 2 agosto scorso, potrebbero essere 262 su 644 i detenuti interessati al ricalcolo delle pene, a Ferrara 50 su 300. Interessa al Ministro Orlando e ai riformatori della giustizia e delle istituzioni questa riaffermazione in concreto di principi basilari dello stato di diritto? Perù: quegli italiani detenuti per colpa della crisi e della cocaina di Mario Magarò L’Espresso, 20 agosto 2014 Il paese andino è il primo produttore mondiale di foglie di coca davanti a Colombia e Bolivia. E la crisi economica ha stravolto il profilo dei corrieri internazionali: esponenti della classe media rimasti disoccupati sono disposti a tutto. "Avevo perso il lavoro: mi hanno preso con tre kg nel manico della valigia". Le testimonianze degli italiani rinchiusi nel carcere di Lima. Claudio attende il suo turno davanti agli sportelli dell’Ambasciata italiana a Lima. Deve sostenere degli esami neurologici ed ha fatto richiesta di rimborso spese alle autorità consolari. Si trova in Perù dal 2007, anno in cui è stato arrestato per traffico di stupefacenti: "Sono venuto per investire nella lana di vigogna, ma i soldi messi da parte non bastavano. Mi sono innamorato di una ragazza ed ho iniziato a sperperare i miei risparmi per rimanere qui", racconta all’Espresso. "Un amico mi ha messo in contatto con dei peruviani per trasportare della droga in Europa. Il compenso era di 25 mila euro. Sono stato arrestato in procinto di imbarcarmi per Amsterdam con 8,5 kg di cocaina nascosti nella valigia. Era pura al 95 per cento". Prima di rimanere incastrato dell’avventura peruviana era un operaio specializzato nella costruzione di parcheggi sotterranei. Secondo il rapporto annuale dell’ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, il Perù è il primo produttore mondiale di foglie di coca davanti a Colombia e Bolivia, con 49.800 ettari di superficie coltivati a coca. Nel 2013 il paese andino ha fatto registrare una produzione di 121 mila tonnellate di foglie, destinando il 95 per cento, circa 113 mila tonnellate, al narcotraffico. La capacità produttiva di cloridrato di cocaina è stimata intorno alle 300 tonnellate annue, rispetto alle 345 della Colombia, nonostante un conflitto di cifre con l’Agenzia anti narcotici statunitense (secondo gli Usa il primato spetta al Perù con 325 tonnellate di cocaina prodotte annualmente contro le 195 della Colombia). Ricardo Soberón, direttore del Centro Investigativo sulle droghe ed i diritti umani, fa luce sull’articolato sistema delle rotte del narcotraffico in Perù: "Lungo la via marittima che collega i porti del Callao, Chimbote e Paita col Messico viaggiano grandi quantità di cocaina destinate al mercato nordamericano. Attualmente il 60 per cento della cocaina peruviana è diretto in Europa, passando attraverso la frontiera tra Perù e Bolivia. Una volta trasformata in cloridrato di cocaina nei laboratori clandestini di El Alto, la città satellite di La Paz, la droga raggiunge il Brasile per poi essere imbarcata verso i paesi dell’Africa Occidentale (Guinea, Guinea-Bissau, Ghana) ultima tappa prima di invadere i mercati europei", spiega l’esperto, che di professione fa l’avvocato. "In Perù assistiamo ad una terziarizzazione del business della cocaina: il mercato locale è gestito da piccoli clan familiari che si incaricano della produzione e del trasporto della droga per conto delle organizzazioni internazionali del narcotraffico. Esponenti dei cartelli colombiani e messicani, in primis il Cartello di Sinaloa, sono presenti sul territorio per dirigere gli affari, al pari della ‘ndrangheta italiana". L’aeroporto "Jorge Chavez" di Lima, principale scalo internazionale del paese, è il teatro dove i corrieri della droga, o "burriers" come vengono chiamati in Perù, inscenano idealmente una roulette russa per evadere i controlli. Nascosta all’interno di un laptop o in pacchetti attaccati al corpo col nastro adesivo, le modalità per trasportare la cocaina sono innumerevoli. Il sistema più rischioso consiste nell’ingerire degli ovuli per occultarli nello stomaco; la rottura di un involucro può portare in tempi brevi alla morte per overdose. Tradizionalmente i corrieri della droga provengono da aree disagiate come la sterminata periferia di Lima; una manovalanza facile da reclutare a cui si aggiungono, nel caso degli europei, trafficanti di professione e tossicodipendenti. vedi anche: Droghe, da dove arrivano quelle dirette in Italia I dati dell’antidroga parlano chiaro: in un anno la quantità di sostanze sequestrate è aumentata di oltre il 40 per cento, soprattutto a causa di quelle sintetiche. E i cartelli criminali, sempre più potenti, aprono nuove rotte. Ecco quali. La crisi economica ha però stravolto il profilo dei burriers internazionali, facendo emergere una moltitudine disposta a tutto per sbarcare il lunario: studenti universitari, padri di famiglia col mutuo da pagare, esponenti della classe media europea rimasti disoccupati. In media un corriere guadagna tra i 5 e 10 mila euro per ogni viaggio. Il caso più eclatante è quello degli spagnoli (la disoccupazione in Spagna è al 25,93 per cento) come conferma Giovanni Cavero dell’Ambasciata spagnola in Perù: "Ci sono casi di imprenditori dichiarati falliti, soprattutto nel settore immobiliare, che sono entrati nel giro perché hanno debiti da pagare. Le mafie colombiana e nigeriana reclutano i corrieri presso i servizi sociali, in coda per ottenere il sussidio di disoccupazione: chiedono loro se hanno bisogno di soldi e propongono un viaggio in Perù. Un ruolo decisivo nel reclutare i burriers lo giocano anche le comunità di peruviani radicate tra Spagna ed Italia". Negli ultimi anni, stando alle statistiche della polizia peruviana, il numero di spagnoli arrestati per traffico di stupefacenti risulta in costante aumento, convertendo la tratta Lima-Madrid nella più battuta dai burriers. Sono 1.715 gli stranieri detenuti in Perù, il 90 per cento condannati per traffico di droga. Il carcere di "Sarita Colonia" a Lima ne ospita 525, tutti uomini. Giorgio, un impiego nel settore edile, è in prigione dal settembre 2010: "Avevo perso il lavoro ed un amico mi ha proposto di andare in Perù; tutto spesato e 15 mila euro in tasca al mio ritorno in Italia. Sono stato arrestato con 3 kg di cocaina celati nel manico della valigia. Qui dentro tutto ha un prezzo: l’ingresso al padiglione costa 500 soles (circa 150 euro) ed altri 150 soles per accedere al corridoio a cui sei assegnato. Se vuoi dormire in cella devi comprare il tuo posto a 1.500 dollari. Puoi pagare a rate, ma devi farlo per forza". I soldi spettano al Comitato, formato dagli stessi carcerati, che gestisce l’ordine all’interno del padiglione di massima sicurezza, un melting pot (gli italiani sono 16) dove sono rinchiusi tutti i detenuti stranieri. Per sostenere le spese alcuni ricevono un sussidio dalle ambasciate, nel caso degli italiani la somma ammonta a 450 soles ogni 3 mesi. Di spazio a "Sarita Colonia" non ce n’è: in base ai dati dell’Istituto nazionale penitenziario il carcere è omologato per 572 persone, ma ne contiene 3.098, con un sovraffollamento del 442 per cento; la notte si dorme per terra, dividendo un materasso in due. Il senso di smarrimento è brutale e molti si rifugiano nella cocaina, che circola in abbondanza nel padiglione, pagando interessi fino al 50 per cento per comprare la droga. Carlo, un bergamasco di 47 anni, sta scontando una pena a 6 anni ed 8 mesi di reclusione, come la maggior parte dei detenuti per traffico di droga. I narcos lo hanno venduto alla polizia: "Mia moglie è tailandese. Volevo aprire una birreria nel suo villaggio al confine col Myanmar e mi servivano 30 mila euro. Al mio arrivo a Lima una persona mi ha fermato per scattarmi una foto; quando sono tornato in aeroporto un mese dopo, con 5 kg di cocaina addosso, lo stesso uomo mi aspettava per arrestarmi: era un poliziotto". Il sacrificio di un corriere, con una soffiata alla polizia, permette di allentare i controlli e far passare indenni il resto dei burriers; in media sono in 5 sullo stesso volo. La perdita del carico di droga viene compensata "tagliando" la cocaina una volta a destinazione, aumentandone così il volume iniziale. La polvere bianca, che in Perù costa 1.310 dollari al kg, si vende in Europa tra i 60 ed i 90 euro al grammo. "Un giorno ho visto un uomo frugare tra i rifiuti, cercava qualcosa da mangiare. Mi sono avvicinato ed ho riconosciuto un ex detenuto di origine italiana" afferma Tommaso Ziller, assistente sociale presso l’Ambasciata d’Italia in Perù: "Dopo aver scontato la pena in carcere, paradossalmente, la loro condizione peggiora. Sono proiettati in un limbo legale che li rende vulnerabili e ricattabili". Gli stranieri condannati per traffico di droga non possono lasciare il Perù finché non saldano le pene pecuniarie accessorie previste dal codice penale; l’ammontare si aggira intorno ai 15 mila soles (circa 4 mila euro), una cifra, per molti, troppo alta da pagare. Per far fronte alle spese, quando manca l’aiuto economico delle famiglie, sono obbligati a trovare un impiego in nero: senza documenti e con precedenti penali a carico, agli ex detenuti viene infatti negata la possibilità di ottenere un permesso di lavoro. Luigi, un ex cocainomane, lavora saltuariamente come muratore: "Dovevo 25 mila euro al mio pusher; sono diventato un corriere per saldare il debito. Sono stato spesso in Perù, una volta ho ingerito 60 ovuli. Mi hanno arrestato in occasione dell’ultimo viaggio che avevo in programma di fare. Uscito dal carcere ho dovuto arrangiarmi; guadagno 20 soles al giorno quando riesco a lavorare". Una volta estinta definitivamente la condanna, ad aggravare la condizione degli ex burriers interviene la burocrazia. L’ uscita dal paese viene infatti sancita da un decreto di espulsione, un iter lungo e farraginoso che coinvolge 4 istituzioni diverse, con 22 passaggi burocratici da adempiere. Senza un buon avvocato, molto spesso, la domanda di espulsione rimane impantanata nei meandri della pubblica amministrazione, allungando forzatamente la permanenza in Perù. A molti non rimane altra scelta che tentare la fuga attraverso il confine con l’Ecuador. NB: per motivi di sicurezza i nomi dei detenuti italiani intervistati sono di fantasia. Honduras: la Chiesa chiede alle autorità di cambiare la situazione nelle carceri Agenzia Fides, 20 agosto 2014 "I detenuti sono nelle "periferie" della società dove soffrono esclusione totale, disperazione e depressione", afferma la Commissione Nazionale per la Pastorale Penitenziaria della Conferenza Episcopale del Honduras in un comunicato che denuncia la terribile situazione dei detenuti nelle carceri del Paese. "Le condizioni dei centri carcerari impediscono la sana convivenza e la riabilitazione degli internati" afferma il documento, pervenuto a Fides, che ricorda che "nel 2012 il Tribunale Interamericano per i Diritti Umani aveva dichiarato responsabile allo Stato di Honduras per la morte di 107 prigionieri per negligenza strutturale". La Commissione per la Pastorale Penitenziaria denuncia che le carceri honduregne sono gironi infernali caratterizzati da "calore insopportabile, umidità, scarsità di servizi igienici e di docce, privazione di spazi per un minimo di privacy, per leggere, studiare e pregare". È un ambiente adatto per scontri di gruppo, risse e persino per rivolte. È relativamente facile vedere propagare epidemie virali, i prigionieri vengono contagiati da varie malattie" aggravate dalla "totale carenza di farmaci nelle piccole infermerie carcerarie". Il comunicato conclude con la richiesta d’intervento delle autorità per cambiare questa situazione malgrado la crisi economica che vive il Paese. Cina: due tibetani morti mentre erano sotto custodia polizia nella prefettura di Kardze Agi, 20 agosto 2014 Due tibetani sono morti in custodia di polizia a Lochung, prefettura autonoma tibetana di Kardze (Sichuan), il 17 agosto scorso. Gli uomini erano in prigione in seguito a disordini avvenuti il 12 agosto nel villaggio di Shukpa, nei quali le forze dell’ordine cinesi hanno aperto il fuoco su manifestanti. Una delle vittime si chiamava Lo Phelsang e si è suicidato, in protesta per la negazione di cure mediche agli altri detenuti. L’altra vittima, di 22 anni, è morta proprio per le ferite riportate. Lo scrive l’agenzia Asianews. Alcuni dei tibetani feriti nella sparatoria sono stati portati in ospedale, ma trasferiti subito in carcere senza ricevere ulteriori trattamenti. Altri sono rimasti ricoverati, ma nessuno ha estratto loro i proiettili. La sparatoria è avvenuta in seguito all’arresto di un leader tibetano locale, che l’11 agosto scorso aveva contestato le molestie subite dalle donne della comunità da parte di funzionari e ufficiali. In tutta risposta le autorità hanno dichiarato illegale ogni festival. Il giorno seguente circa 100 tibetani si sono radunati per manifestare. Gli agenti hanno reagito sparando sulla folla e ferendo almeno 10 persone. La polizia ha poi arrestato tutti gli abitanti maschi del villaggio sopra i 12 anni, ad eccezione dei più anziani. Al momento circa 200 si trovano in prigione. Turchia: arrestati altri 25 agenti sospettati di aver spiato ministri La Presse, 20 agosto 2014 Altri 25 poliziotti sono stati arrestati in Turchia perché sospettati di aver spiato o intercettato funzionari del governo, tra cui il primo ministro Recep Tayyip Erdogan. L’agenzia di stampa Anadolu ha riportato che gli agenti sono stati fermati nel corso di operazioni condotte in 13 province diverse. Da luglio decine di poliziotti sono stati arrestati e detenuti in attesa del processo per intercettazioni illegali. Secondo i media turchi, alcuni degli agenti erano coinvolti nell’indagine sulla corruzione lanciata a dicembre scorso nei confronti di alcuni ministri del governo, costretti di seguito alle dimissioni. Erdogan sostiene che l’inchiesta faccia parte di un tentativo di rovesciare il suo governo da parte del movimento fondato da Fethullah Gulen, un ex imam e predicatore islamico che vive in esilio negli Usa. Critici sostengono tuttavia che l’obiettivo del giro di vite sia quello di mettere a tacere le persone che avevano avanzato le accuse di corruzione contro funzionari del governo. Erdogan, che il 28 agosto diventerà il nuovo presidente della Turchia, si è impegnato a combattere il movimento di Gulen. Egitto: blogger in carcere Alaa Abdel-Fattah comincia sciopero fame La Presse, 20 agosto 2014 Il blogger egiziano Alaa Abdel-Fattah, molto attivo durante la rivolta del 2011 contro l’allora presidente dell’Egitto Hosni Mubarak, ha cominciato lunedì sera lo sciopero della fame per protestare contro la sua incarcerazione. Lo riferisce la famiglia oggi in una nota, in cui sottolinea che ritiene le autorità responsabili della sicurezza del giovane. La decisione di cominciare il digiuno è giunta dopo che ieri ha fatto visita al padre, un avvocato per la difesa dei diritti umani, che si trova in carcere dopo un intervento chirurgico. "La scena del padre in stato di incoscienza è stato un punto di svolta per Alaa e alla fine della visita ha deciso che non collaborerà più con questa situazione ingiusta anche se il prezzo sarà la sua vita", si legge nel comunicato. Anche la sorella di Alaa è in carcere per accuse analoghe alle sue. Abdel-Fattah è stato messo in carcere dopo che a giugno è stato condannato a 15 anni con l’accusa di avere partecipato l’anno scorso a una manifestazione. Successivamente ha però vinto in appello ottenendo la possibilità di avere un nuovo processo, in attesa del quale resta però in prigione. "Non interpreterò più la parte che hanno scritto per me", dice l’attivista nella dichiarazione diffusa oggi. La sentenza di giugno è stata la più dura mai emessa in Egitto contro un attivista impegnato nella rivolta di 18 giorni che portò alla cacciata di Mubarak. Si è trattato anche della prima condanna di un noto attivista da quando l’ex capo dell’esercito Abdel-Fattah el-Sissi ha assunto l’incarico di presidente. Nei tre anni dalla cacciata di Mubarak Abdel-Fattah è stato più volte in prigione. Ha portato avanti campagne contro i processi ai civili da parte dell’esercito nei 17 mesi in cui i generali hanno mantenuto il potere dopo le dimissioni di Mubarak. Inoltre si è opposto anche al presidente deposto Mohammed Morsi, rappresentante dei Fratelli musulmani, ma ha espresso forte disapprovazione per il ritorno dell’esercito in politica con il colpo di Stato militare del 3 luglio 2013 con il quale Morsi fu destituito.