Per qualche metro e un po’ di amore in più Ristretti Orizzonti, 1 agosto 2014 Carceri più umane significa carceri che non annientino le famiglie. L’Europa non si può "accontentare" dei tre metri di spazio a detenuto per decretare che le nostre carceri non sono più disumane. Lo sono eccome, e lo sono in particolare per come trattano i famigliari dei detenuti: sei ore al mese di colloqui e dieci miserabili minuti a settimana di telefonata, spazi per gli incontri spesso tristi e affollati, attese lunghe, estenuanti, umilianti. E allora chiediamo all’Europa di occuparsi anche delle famiglie dei detenuti, e di invitare l’Italia a introdurre misure nuove per tutelarle. Siamo convinti che unirci in questa battaglia possa essere una forza in più per ottenere il risultato sperato. E noi speriamo che questa battaglia qualche risultato lo dia: una legge per liberalizzare le telefonate, come avviene in moltissimi Paesi al mondo, e per consentire i colloqui riservati. E una legge così, aiutando a salvare l’affetto delle famiglie delle persone detenute, produrrebbe quella "sicurezza sociale", che è cosa molto più nobile e importante della semplice sicurezza. Firmiamo per chiedere finalmente questa legge, coinvolgiamo le famiglie di chi è detenuto, ma anche quelle dei cittadini "liberi", perché in ogni famiglia può capitare che qualcuno finisca in carcere, e nessuno più dovrebbe essere costretto alla vergogna e alla sofferenza dei colloqui, come avvengono ora nelle sale sovraffollate delle nostre galere. Facciamo del 24 dicembre, vigilia di Natale, festa delle famiglie, una scadenza importante per sostenere, con tutte le forme di lotta non violente che riusciamo a immaginare, questa nostra richiesta. 24 dicembre 2014: per quel giorno, raccogliamo migliaia di firme, da tutte le carceri, per un po’ di amore in più. La redazione di Ristretti Orizzonti Serve una legge che "salvi" i nostri affetti Ristretti Orizzonti, 1 agosto 2014 Appello a tutti i giornali e le realtà dell’informazione dal carcere e sul carcere. Una delle più importanti battaglie che la redazione di Ristretti Orizzonti conduce da sempre è quella che riguarda gli affetti in carcere. Ormai sono anni che cerchiamo di sensibilizzare l’opinione pubblica su questa questione e, soprattutto, di coinvolgere i politici, che poi le leggi dovrebbero farle. A tale proposito, in occasione di un incontro con un gruppo di parlamentari del Veneto di schieramenti diversi, abbiamo ripreso questo tema, consegnando loro una proposta di legge elaborata dalla redazione stessa in collaborazione con molti esperti ancora nel 2002, e sottoscritta allora da 64 parlamentari di tutti gli schieramenti, ma mai calendarizzata. Ora questo testo è stato ripreso da alcuni parlamentari, su iniziativa del deputato di Sel Alessandro Zan, e riformulato per essere poi nuovamente presentato come proposta di legge. Abbiamo anche scritto un appello che ha al centro la liberalizzazione delle telefonate e l’introduzione dei colloqui riservati. Su questo appello vi chiediamo di raccogliere le firme delle persone detenute in tutte le carceri, e anche fuori, tra amici e famigliari: hanno un valore simbolico ma ci permettono di dare gambe e cuore alla nostra battaglia. Chiediamo allora una collaborazione a tutte le Redazioni interne alle carceri e invitiamo a dedicare, se possibile, un numero del loro giornale a questi temi, per promuovere una campagna di sostegno alla nostra proposta di legge, e di mandarci articoli per preparare un Dossier online su "Carcere e affetti" come risultato di un lavoro comune delle redazioni. Questo tema non riguarda esclusivamente le persone detenute, ma tutte le loro famiglie, che vivono delle situazioni di pesante disagio. Un dato veramente sconcertante è quello che riguarda i figli dei detenuti, il 30% circa da grandi rischiano di entrare pure loro in carcere. Crediamo che sia inaccettabile questa triste prospettiva di bambini con un futuro già segnato. Noi detenuti con gli anni finiamo per perdere ogni sensibilità ed equilibrio, e per provare solo rabbia verso le istituzioni. Lo stesso vale per i nostri figli, che rischiano di crescere con l’odio verso chi tiene rinchiusi i loro cari e dimostra a volte poca umanità. Se chiediamo poi un po’ di intimità con la nostra compagna, questa richiesta viene considerata solo sotto l’aspetto del sesso e la solita informazione distorta ci specula, intitolando articoli sul tema dei colloqui in carcere con titoli tipo "Celle a luci rosse". Ma l’intimità non è altro che un ingrediente fondamentale per cercare di mantenere un rapporto negli anni, anche una semplice carezza data in intimità può essere molto più efficace di qualsiasi manifestazione di affetto e vicinanza in mezzo a decine di estranei. Siamo fermamente convinti che unirci in questa battaglia possa essere una forza in più per ottenere il risultato sperato. E noi speriamo che questa battaglia un risultato lo dia: una legge per consentire i colloqui intimi e liberalizzare le telefonate. E una legge così, aiutandoci a salvare l’affetto delle nostre famiglie, produrrebbe quella sicurezza sociale, che è cosa molto più nobile e importante della semplice "sicurezza". Fiduciosi in un vostro coinvolgimento, attendiamo da voi riflessioni, proposte, sollecitazioni. La redazione di Ristretti Orizzonti Si può amare dentro il carcere? di Roberto Loddo www.manifestosardo.org, 1 agosto 2014 "Per qualche metro e un po’ di amore in più" È questo lo slogan scelto dalle organizzazioni aderenti alla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia per l’avvio della campagna nazionale per il diritto all’affettività nelle carceri italiane. Una mobilitazione per chiedere all’Europa di occuparsi anche delle famiglie dei detenuti, e sollecitare il governo italiano a introdurre misure nuove per tutelarle. Una raccolta di firme per chiedere una legge per liberalizzare le telefonate e per consentire i colloqui riservati. "Una legge così" - scrive la Cnvg - "aiuterà a salvare l’affetto delle famiglie delle persone detenute e produrrà sicurezza sociale, che è cosa molto più nobile e importante della semplice sicurezza". Il 24 dicembre 2014, vigilia di Natale e festa delle famiglie la Cnvg organizzerà in ogni regione la raccolta delle firme per questa legge, coinvolgendo le famiglie di chi è detenuto, ma anche quelle dei cittadini liberi: "perché in ogni famiglia può capitare che qualcuno finisca in carcere, e nessuno più dovrebbe essere costretto alla vergogna e alla sofferenza dei colloqui, come avvengono ora nelle sale sovraffollate delle nostre galere". Per la Cnvg parlare di carceri più umane significa parlare di carceri che non annientino le famiglie. Infatti nelle carceri in Croazia sono consentiti colloqui non sorvegliati di quattro ore con il coniuge o il partner. In Germania alcuni Lander hanno predisposto piccoli appartamenti in cui i detenuti con lunghe pene possono incontrare i propri cari. In Olanda, Norvegia e Danimarca nelle carceri ci sono mini appartamenti nei quali si possono ricevere le visite. In Albania, una volta la settimana, sono previste visite non sorvegliate per i detenuti coniugati. In Québec, come nel resto del Canada, i detenuti incontrano le loro famiglie nella più completa intimità all’interno di prefabbricati. In Francia, come in Belgio, in Catalogna e Canton Ticino sono in corso sperimentazioni analoghe. La possibilità di coltivare i propri affetti è prevista anche in alcuni Paesi degli Stati Uniti. In Italia fare l’amore con chi si ama, non è consentito solo alle persone detenute. La Cnvg nasce con l’obbiettivo di combattere l’esclusione sociale nelle galere italiane e rappresentare le associazioni impegnate quotidianamente in esperienze di volontariato all’interno e all’esterno delle carceri. Per questi motivi sollecita le istituzioni europee a non "accontentarsi" dei tre metri di spazio a detenuto per decretare che le nostre carceri non sono più disumane. Per la Cnvg le carceri italiane sono e restano disumane: "Lo sono eccome, e lo sono in particolare per come trattano i familiari dei detenuti: sei ore al mese di colloqui e dieci miserabili minuti a settimana di telefonata, spazi per gli incontri spesso tristi e affollati, attese lunghe, estenuanti, umilianti". Si può sostenere la raccolta delle firme per il diritto all’affettività dei detenuti scaricando il modulo e inviandolo alla redazione di Ristretti Orizzonti, sede esterna: Via Citolo da Perugia, 35, 35138 Padova. Giustizia: vacilla il decreto sui risarcimenti ai detenuti, Governo battuto al Senato di Errico Novi Il Garantista, 1 agosto 2014 Altro inciampo dopo il parere negativo del Csm sul risarcimento di 8 euro. "La norma è una presa in giro, invierò un altro dossier al consiglio d’Europa", dice Rita Bernardini. Sarà che è nato sotto una cattiva stella, con quella maldicenza che l’ha subito (e ingiustamente) ribattezzato "decreto salva-Galan". Fatto sta che il di detenuti varato in gran fretta dal governo a fine giugno rischia di andare a sbattere contro un muro. Cosa che sarebbe praticamente sicura, se l’aula di Palazzo Madama non riuscisse a riportare il testo alla versione approvata pochi giorni fa dalla Camera. Quell’articolato infatti da ieri pomeriggio risulta modificato. L’alterazione è frutto del voto con cui la commissione Giustizia ha soppresso una norma relativa ai Tribunali di sorveglianza. O l’aula pone rimedio, dunque, all’insubordinazione, oppure il decreto dovrà tornare a Montecitorio in seconda lettura. Con il fortissimo rischio che i deputati non riescano a licenziarlo entro il 28 agosto, data di scadenza del provvedimento. Ad essere passata non è una modifica di quelle che stravolgono l’impianto. Si tratta infatti di una norma minore, che avrebbe consentito di colmare eventuali vuoti nell’organico dei Tribunali di sorveglianza anche con magistrati appena vincitori di concorso, ancora non "bollinati" cioè dalla prima valutazione di professionalità. Reclute inviate al fronte della complicatissima questione carceri, insomma. Una scorciatoia architetta- ta per fronteggiare un deficit di giudici difficilmente rimediabile in tempi stretti. Ma pur sempre una forzatura. Succede che a prendere l’iniziativa siano i senatori forzisti della commissione: Giacomo Caliendo ed Elisabetta Alberti Casellati, insieme con Francesco Nitto Palma, che della commissione è anche presidente. Il loro emendamento sopprime la norma. Trovano man forte, come è prevedibile, nella Lega. Ma anche nel Movimento Cinquestelle, a riprova che sui temi della giustizia, e in particolare al Senato, c’è spazio per l’imprevedibile alleanza tra berlusconiani e grillini. A loro si aggiungono due centristi: Tito Di Maggio di Per l’Italia, gruppo di cui fanno parte i senatori dell’Udc, e Gianluca Susta, piemontese di Scelta civica. È la tempesta perfetta: sono 12 voti, quelli della maggioranza restano in 7. Poi ci sono 4 astenuti, di cui 2 del Pd, che al Senato valgono come voto contrario. In tutto fa 11. Troppo poco. E come si può sostenere che al deragliamento non contribuiscano i dubbi dello stesso relatore, il democratico Felice Casson? Il quale, ascolta le ragioni con cui Nitto Palma e gli altri presentano l’emendamento e decide inizialmente di rimettersi alla commissione. Al che il viceministro alla Giustizia che segue i lavori per il governo, Enrico Costa di Ncd, dà parere negativo alla proposta dei forzisti. E certo. Perché buona o cattiva che sia, renderebbe inevitabile il ritorno del decreto alla Camera, con conseguente rischio di decadenza. Casson a quel punto asseconda la prudenza del viceministro, ma è troppo tardi. I due centristi si sono già fatti persuadere dalle perplessità di Nitto Palma. E votano a favore: 7 a 6 e palla al centro. Beppe Lumia, custode dell’ortodossia pd in commissione, dichiara in una nota tutto il suo disappunto per la sbandata di Susta. Casson precisa a sua volta che il senatore di Scelta civica è l’unico voto organico alla maggioranza venuto meno. E Enrico Cappelletti, capodelegazione M5S, rivendica la bordata assestata all’esecutivo: "Abbiamo ritenuto di dare il nostro contributo, per quel che era possibile, a un voto che può affossare il governo. E che segnala il solito vizio di affrontare le questioni in modo improvvisato, anziché con rimedi veri". Diagnosi impietosa, ma probabilmente veritiera. Lo dimostra il pare contrario dato proprio sul decreto detenuti dal plenum del Csm, secondo cui è "incongruo" il "risarcimento" di 8 euro per chi è recluso "in condizioni inumane e degradanti". Sia perché un giorno di semilibertà (e non di carcere in una cella sovraffollata) vale 30 volte tanto, secondo la legge italiana, sia perché in questi "risarcimenti" non c’è gradualità. Sono tesi che l’Unione camere penali e Radicali italiani sostengono dal varo del provvedimento. "Il rischio che non venga convertito a questo punto è elevato", dice Rita Bernardini, "e si configurerebbe una vera e propria presa in giro da parte del governo italiano nei confronti del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, quest’ultimo sarebbe l’organismo che deve verificare il rispetto della sentenza Torreggiai da parte del nostro Paese. È vero che ci è stato concesso tempo fino al 2015 per ottemperare a tutte le prescrizioni della sentenza", fa notare il segretario di Radicali italiani, "ma questa fiducia si basava anche sull’impegno del ministro Orlando a varare un provvedimento che avrebbe assicurato effettivi e idonei risarcimenti. Ora, già non sono idonei come ha rilevato pure il Csm, forse non saranno neppure effettivi se il decreto non sarà convertito. Vuol dire che a breve invierò un nuovo dossier al Comitato dei ministri, per spiegare ai membri dell’organismo che sono vittime di una vera e propria presa per i fondelli da parte del nostro esecutivo". Scivolone che arriva su un tema, come quello delle carceri, sul quale l’Italia, di pessime figure, ne ha già collezionate troppe. Giustizia: la Commissione del Senato approva modifica al decreto risarcimenti Il Sole 24 Ore, 1 agosto 2014 La commissione Giustizia del Senato ha approvato una modifica al decreto sulle carceri arrivato dalla Camera. La commissione Giustizia ha dato l’ok ad un emendamento a prima firma Francesco Nitto Palma che sopprime il comma 5 bis introdotto nel decreto legge alla Camera che consente ad alcuni magistrati di prima nomina di assumere incarichi nei tribunali di sorveglianza. A quanto riferisce il senatore Enrico Buemi hanno votato a favore 13 senatori, sette sono stati i voti contrari e quattro senatori si sono astenuti. Gli astenuti sono Felice Casson (Pd), Rosaria Capacchione (Pd), Salvatore Di Maggio (Pi) e lo stesso Buemi (Psi). Il viceministro della Giustizia, Enrico Costa, si è espresso contro la modifica. Ora il provvedimento, licenziato dalla Commissione, deve passare l’esame dell’Aula di Palazzo Madama. Lumia (Pd): il decreto va approvato come licenziato da Camera "Il decreto va comunque approvato come è stato licenziato dalla Camera. Il senatore Susta, capogruppo di Scelta civica, ha fatto un errore a votare con l’opposizione". Lo dichiara il senatore Giuseppe Lumia, capogruppo Pd in commissione Giustizia. "Le giuste critiche a un testo migliorabile - aggiunge - non poteva assolutamente trasformarsi in un voto contrario. Nel carcere devono stare i delinquenti pericolosi, i mafiosi, i corrotti e quelli responsabili di reati gravi come il furto, lo stalking e il furto aggravato, per il resto deve esserci una valutazione del giudice. I magistrati di sorveglianza - sottolinea - devono essere messi nelle condizioni di fare bene il loro lavoro e, quindi, faremo in modo che il governo garantisca la giusta formazione e preparazione a dei giudici che hanno un compito delicatissimo. In aula - conclude Lumia - riproporremo il testo e siamo convinti che la maggioranza ritornerà compatta e capace di licenziare per tempo il decreto". M5S: governo ignorerà commissione e metterà fiducia? "Il Governo è stato battuto in Commissione Giustizia a Palazzo Madama su un emendamento soppressivo al decreto carceri relativo ai magistrati da destinare ai Tribunali di Sorveglianza. I Magistrati di prima nomina non potranno essere assegnati al tribunale di Sorveglianza. Il M5S si chiede, pertanto, se adesso il Governo vorrà porre ancora una volta la fiducia in Aula, ignorando, come quasi sempre accade, quanto deciso in Commissione Giustizia": lo afferma Enrico Cappelletti, capogruppo M5S in Commissione Giustizia. Giustizia: carceri, le revisioni che scontentano di Alessandro De Rossi L'Opinione, 1 agosto 2014 Alla Camera dei Deputati il 24 luglio è stato approvato l'atto n. 2469 recante "Conversione in legge del decreto legge 26 giugno 2014 n. 92, recante disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'articolo 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché di modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all'ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all'ordinamento penitenziario, anche minorile". Finché esisterà il Bicameralismo “perfetto” il testo passerà, non si sa quando, comunque all’esame del Senato. Tra le varie misure commentate in un precedente articolo del 25 luglio su L’Opinione, il decreto, oltre agli indennizzi destinati ai detenuti sottoposti a trattamento inumano e degradante, prevede un irrisorio aumento di unità nell’organico della Polizia penitenziaria (circa 200 agenti) e, a fronte di una manifesta esigenza di personale graduato, il decreto riduce il numero di ispettori. Nella logica, si fa per dire, della spending review e alla faccia dell’aumentata domanda di sicurezza da parte della cittadinanza, il provvedimento preferisce tagliare drasticamente il personale penitenziario, dai dirigenti penitenziari, agli operatori destinati al trattamento (educatori, assistenti sociali e personale amministrativo di supporto). In nome della cosiddetta revisione di spesa, ma in barba ai tanto sbandierati principi di rieducazione e di reinserimento sociale, in una delicatissima situazione che vede il Paese sotto osservazione da parte dell’Europa, in vista della prossima verifica fissata per il giugno dell’anno prossimo per accertare l’adeguatezza dei provvedimenti adottati dal Governo, il decreto pretende di auto assolvere lo Stato e il mal funzionamento della giustizia con la promessa di risarcimenti da erogare, ovviamente con i soldi dei cittadini, a coloro che da detenuti abbiano subito trattamenti inumani e degradanti. Ben più grave, a fronte di tutto ciò il provvedimento in questione decide di sopprimere ben cinque Provveditorati Regionali dell'Amministrazione Penitenziaria che, in quanto organi di coordinamento, indirizzo e controllo degli istituti penitenziari e degli uffici di esecuzione penale esterna, svolgono la fondamentale funzione di raccordo tra il Dap (il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria) e il territorio. Tra le scelte più aggiornate e a riprova dell’attenta sensibilità politica circa le diverse realtà territoriali, indovinate su quale provveditorato in particolare cade la mannaia del risparmio? Ovviamente quello della Calabria, regione dove non sussistono problemi con la criminalità organizzata, territorio che da anni ha sconfitto con successo l‘ndrangheta, ove la presenza delle istituzioni è forte e rassicurante per i cittadini. La saggia soppressione è stata decisa per accorpare il provveditorato calabrese con quello della Basilicata e della Puglia. Regioni, queste, prive anche loro di rilevanti problemi delittuosi. Evidentemente in base ai più aggiornati dati del ministero, il Governo, ormai consapevole della massiccia esportazione delle cosche mafiose dell‘ndrangheta e della sacra corona unita al nord, ha reputato il meridione essere finalmente libero dai noti problemi delle organizzazioni criminali. Fuori dall’amaro sarcasmo, registriamo che anche il Si.Di.Pe. (il sindacato dei direttori dei penitenziari) ha duramente denunciato la decisione definendola senza mezzi termini di una “gravità inaudita perché verrebbe meno un importante presidio dello Stato in una regione già afflitta da profonde piaghe e, prima tra tutte, quella della criminalità organizzata. È notorio, infatti, che la ‘ndrangheta è la più potente organizzazione criminale di stampo mafioso e che, purtroppo, la Calabria è ancora la terra dove in alcuni paesi ancora le processioni religiose si fermano per fare omaggio con le sacre effigi davanti alla porta di casa degli 'ndranghetisti. La soppressione del Provveditorato danneggerebbe gravemente la Calabria ed i calabresi, contribuendo al declino della regione e aumentando il senso di solitudine e di abbandono da parte dello Stato che già affligge i cittadini onesti, che sono poi la maggior parte”. Insomma lo stato della salute della giustizia nel nostro Paese è in perfetta forma, tanto da poter compiere scelte di siffatto tipo. Le decisioni governative e le misure adottate che si susseguono danno fiducia sullo stato dell’amministrazione del servizio-giustizia. Quel servizio efficiente e puntuale, sarà bene ricordarlo, che viene pagato con i soldi dei cittadini. Giustizia: una legge inapplicata fa restare i bimbi in carcere di Chiara Arroi www.lindro.it, 1 agosto 2014 Mamme e bambini potrebbero stare in Case Famiglia Protette, ma non succede. Raccontano Gioia Passarelli e Gustavo Imbellone. "Che nessun bambino varchi più la soglia di un carcere", è il motto dell’Associazione "A Roma, Insieme - Leda Colombini". Presente a Roma, da oltre vent’anni, si impegna per tutelare i bambini che vivono in carcere con la propria madre detenuta. Ad oggi, ci sono 55 mamme e 58 bambini nelle carceri italiane - dati forniti da A Roma, Insieme. Solo nel Nido del carcere di Rebibbia, dove l’Associazione opera, il numero è di 18 mamme e 19 bambini. Non sono numeri altissimi, ma non sono neanche numeri. Sono esseri umani. In particolare bimbi da zero a tre anni di vita. "I primi mille giorni, durante i quali il bambino forma la propria personalità, il pensiero cognitivo e sociale, il proprio linguaggio", afferma Gioia Passarelli, Presidente di A Roma, Insieme. Gioia racconta che "i bambini stanno in carcere perché c’è una legge che consente alla mamme che non hanno una casa in cui scontare una pena alternativa, di tenere i bambini con sé in cella, fino al compimento dei tre anni di età. Pensi che privilegio fantastico: stare in carcere. Lo sforzo della nostra, e di altre associazioni, è quello di rendere meno traumatica possibile l’esperienza del carcere, per questi bimbi. Essere reclusi è drammatico per il loro presente e per il futuro di adulti. A Roma Insieme, d’accordo con la direzione del carcere di Rebibbia e con il personale, svolge tante attività che hanno lo scopo di far scoprire a questi piccoli il mondo. Innanzitutto i bimbi del nido Rebibbia, hanno un posto riservato negli asili comunali. Dalle 8,30 del mattino fino a pomeriggio, stanno insieme ad altri bimbi fuori dal carcere. Poi ci sono i "sabati in libertà": ogni sabato i nostri volontari, vanno a prendere con il pulmino i bimbi, che aspettano trepidanti aggrappati alle sbarre. Li portano ovunque. Al mare, in montagna, a far la spesa, in città. Questo per dare loro più stimoli possibili. Hanno un bisogno tremendo di essere stimolati. Perché nel carcere, quello che un bimbo vede, sono sempre le stesse immagini, gli stessi volti, gli stessi rumori. E il bambino, così, non sviluppa nessuna curiosità. Anche il linguaggio è molto povero. Non conosce la realtà e le parole legate ad essa. La prima volta che un bambino fa un’uscita subisce il distacco dalla madre, piange tutto il giorno, si incanta perché è tutto nuovo per lui. Ho sentito dire ad un piccolo, vedendo il mare, "dove sono i rubinetti che fanno uscire quest’acqua". I nostri bimbi, quando vedono le case dei nostri volontari , le chiamano celle. E fanno i complimenti: ‘che bella cella che hai’". Gustavo Imbellone, della stessa Associazione, spiega che al momento attuale esiste una legge, la numero 62 del 2011, che affronta il tema delle madri detenute, che hanno con sé bambini fino a sei anni di età. La legge consente loro, salvo casi di particolare pericolosità sociale, dovuta a gravi reati, di scontare la propria pena al di fuori del carcere, con misure di detenzione alternativa, insieme ai propri bimbi, in luoghi individuati nelle Case Famiglia Protette. Questa legge nasce per superare alcuni limiti e migliorare la legge del 2001 (Legge Finocchiaro), che aveva trovato scarsa applicazione e prevedeva si, misure cautelari alternative, ma non risolveva il problema delle detenute straniere che, non avendo un domicilio, non potevano accedere agli arresti domiciliari. In sostanza, quindi, la nuova legge del 2011, entrata in vigore il 1° gennaio 2014, cerca di risolvere questo problema, permettendo ai bambini, fino a sei anni di età, di restare con la madre, che deve scontare una pena, ma in strutture più idonee e umane: le Case Famiglia Protette. Gioia Passarelli sottolinea, "da anni portiamo avanti la battaglia, assieme ad altre associazioni, affinché vengano istituite per le madri, con bambini fino a tre anni, le Case Famiglia Protette. Dei veri e propri appartamenti, dove la mamma può stare con il bambino, accompagnarlo a scuola, in ospedale se al bimbo capita qualcosa. Naturalmente con tutti i controlli dovuti, perché non dimentichiamo che i cittadini devono essere tutelati e le detenute devono scontare una pena. Questa pena, però, la si deve addolcire un po’ agli occhi del bimbo, che non ha nessuna colpa da espiare. Questa è la nostra battaglia. Creare questi spazi alternativi. A cui, peraltro, fa già riferimento la legge del 2011 e, un decreto attuativo, che stabilisce criteri precisi di applicazione della legge, e parla proprio delle Case Famiglia Protette, come snodo fondamentale per evitare al bambino la reclusione. Fatto sta che, a tutt’oggi, a sette mesi dalla sua entrata in vigore, è rimasta totalmente inapplicata. La legge, peraltro, prevede che i bambini possano stare dentro, con la madre, fino a sei anni. Naturalmente a queste condizioni è assurdo, ma sarebbe accettabile e possibile se si istituissero queste Case. "Le Case Famiglia Protette", continua Imbellone, "sono sempre istituti di custodia, ma qualitativamente diverse dalle istituzioni carcerarie, tant’è che il decreto attuativo, della legge del 2011, emanato dall’allora Ministro di Giustizia, Paola Severino, stabilisce criteri molto avanzati e illuminati, per l’identificazione del modello case Famiglia e per la realizzazione. Modello che ne fa un luogo nettamente diverso dalle Icam. Le Icam sono gli Istituti a Custodia Attenuata per Madri. Sono previste dall’ordinamento penitenziario italiano, per madri detenute, che abbiano con sé figli da zero a tre anni. Qui le mamme possono scontare la propria pena attenuata, in un ambiente meno duro e più accogliente per il bambino. "Ma resta pur sempre un carcere", chiarisce Imbellone. "Bello quanto vuoi, accogliente quanto vuoi, ma è sempre un istituto carcerario. Chiuso, quindi il bambino è sempre e comunque recluso. Inoltre è sottoposto al regolamento penitenziario. Ora, queste Icam, per tanti anni non sono state realizzate. La prima è stata costruita a Milano, e fu anche un’esperienza interessante nel 2006-2007. Poi ne è stata costruita un’altra a Venezia, molto vicino al carcere della Giudecca e, pochi giorni fa, ne è stata inaugurata una a Cagliari. Ora, questi istituti sono stati superati dalla legge, che chiarisce come le Case Famiglia Protette siano la soluzione qualitativamente migliore. Queste case non sono sottoposte al regolamento penitenziario, non sono carceri e sarebbero gestite, non più dall’Amministrazione Penitenziaria, ma da privati ed enti locali. Ma, dopo anni di insufficiente realizzazione e dopo il superamento della legge, viene inaugurata una Icam in Sardegna, invece di pensare alla realizzazione di una Casa Famiglia. "È una questione di soldi", sostiene Gioia Passarelli, "la verità è che le Case Famiglia Protette, sono sottoposte alla responsabilità degli enti locali, o di privati e si esclude ogni onere a carico del Ministero di Giustizia. Invece le Icam, sono sotto responsabilità del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, e godono, quindi, dello stanziamento di fondi del Dipartimento. La realizzazione delle Case Famiglia Protette, invece, sarebbe a carico degli enti locali. Sappiamo tutti che gli enti locali non hanno soldi." "Noi, assieme ad altre Associazioni, ci siamo battuti affinché una parte dei fondi destinata alle Icam venisse devoluta agli enti locali, per dare loro la possibilità di mettere in atto il cambiamento a tutela dei piccoli. Ad oggi non si è trovata nessuno soluzione", continua Passarelli. Imbellone ammette che "fa male aver assistito alla sordità di Camera e Senato, nell’inverno scorso, al momento dell’approvazione della legge di stabilità. In quell’occasione furono presentati emendamenti, che prevedevano lo storno di un milione di euro, dal fondo per l’edilizia penitenziaria per le Icam, in favore di un fondo per la realizzazione di Case Famiglia Protette, da gestire in accordo tra enti locali e amministrazione penitenziaria. Questi emendamenti furono votati da una minoranza. Il risultato fu un nulla di fatto". Sulla vicenda è intervenuto anche Luigi Pagano, vicecapo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. "La questione è che le Icam noi dobbiamo crearle. Per tutta una serie detenute madri, con bambini fino a tre anni, che potrebbero trovare lì alloggio, come detenzione attenuata. Abbiamo un piano edilizio, con dei fondi stanziati per questo. La legge 62 del 2011 segue questo circuito: innanzitutto non ha eliminato i nidi. Quindi, le donne madri con bambini fino a tre anni, possono anche rimanere in carcere, se hanno commesso particolari reati gravi o sono recidive. Nelle Icam possono andarci le detenute che devono scontare un tot di pena, per ottenere la misura alternativa alla detenzione, che potrebbe essere la detenzione domiciliare. Le Case Famiglia Protette sono previste ma, innanzitutto, è il magistrato che decide se una donna può essere assegnata a una Casa Protetta o meno. La legge 62, deve, quindi, considerare le diverse situazioni e i diversi reati che le donne commettono. Di fronte ad una colpa grave, è chiaro che diventa tutto più difficile, anche per il bambino, perché la gravità del reato, in questi casi, prevale. E comunque, essendoci ancora i nidi, è prevista anche la possibilità per le mamme con bambini di restare in carcere. Poi, per quanto riguarda la realizzazione delle Case Famiglia Protette, l’amministrazione penitenziaria può, eventualmente, convenzionarsi con gli enti locali, per la creazione o per usufruire di queste Case, in cui inviare le detenute con i loro bimbi. Magari pagando le utenze, senza aumentare le nostre spese. Ma non sono gestite da noi. La costruzione, l’utilizzo, la gestione sono un problema degli Enti locali. I fondi destinati all’edilizia penitenziaria per le Icam non possono essere devoluti alle Case Famiglia, perché sono due cose diverse. Noi siamo l’amministrazione penitenziaria, e quei fondi sono riservati a noi, per costruire Icam. E, per legge, dobbiamo costruirli". Al momento, in Italia sono presenti tre Icam: a Milano, a Venezia e a Cagliari. Si sta lavorando per aprirne una anche a Firenze e a Napoli. Di Case Famiglia Protette, invece, non ne è stata realizzata, al momento, nessuna. Giustizia: Ilaria Cucchi; a Roma ho visto degli agenti pestare un uomo e prenderlo a calci www.corriere.it, 1 agosto 2014 "Erano agenti della penitenziaria". Sarebbero stati visti mentre ammanettavano una persona, mercoledì sera, vicino al Verano. "Erano in 3, abbiamo chiamato il 118" . Picchiato da tre poliziotti. Un nuovo caso di abuso di potere da parte di agenti delle forze dell’ordine si sarebbe verificato nella Capitale mercoledì 30 luglio, poco prima delle 19 nei pressi del cimitero del Verano e dell’Università La Sapienza. Lo denuncia Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, il giovane morto una settimana dopo l’arresto (avvenuto per possesso di droga il 15 ottobre 2009) a causa delle percosse subite mentre era in stato di detenzione. "Ho sporto denuncia presso il commissariato di Porta Maggiore - spiega il giorno dopo Ilaria Cucchi appena uscita dagli uffici della polizia. Ora saranno ascoltati gli altri testimoni e il fascicolo sarà girato alla Procura". Alcuni avventori dei vicini bar potrebbero aver infatti assistito alla scena. "Guido era disperato, è stato lui a notare la scena in piazzale delle Crociate e ha urlato "guarda che gli fanno". Abbiamo accostato l’auto e lui è schizzato fuori. Quando si è avvicinato agli agenti gli ha gridato: "sono Magherini, sono di Firenze, mio figlio è stato ammazzato così, smettetela", ha aggiunto nel suo racconto Ilaria. L’episodio ricorda il pestaggio di Stefano Gugliotta, il ragazzo fermato dalla polizia dopo la finale di Coppa Italia Roma-Inter e picchiato da agenti di Polizia. La nuova presunta vittima è un giovane picchiato in strada da agenti che lo avevano ammanettato. "Ho chiamato subito il 118 dopo avere visto il ragazzo accerchiato da tre agenti - racconta Ilaria Cucchi. Ho visto che lo colpivano con dei calci". La sorella del 31enne geometra morto nel reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini, è stata testimone diretta del pestaggio: ha visto tutto dall’auto in cui si trovava con Guido Magherini - padre di Riccardo, il 40enne morto dopo essere stato fermato dai carabinieri - e l’avvocato Fabio Anselmo. "Noi abbiamo visto che in tre picchiavano a ginocchiate e calci un ragazzo, lo tenevano per il collo, era immobilizzato - il racconto della Cucchi al commissariato - Non so se hanno proseguito dopo che è stato ammanettato, però lui era ferito, il viso sporco di sangue quando lo abbiamo raggiunto". "Magherini era sconvolto perché ha rivissuto la morte del figlio - spiega Ilaria Cucchi Era un ragazzo straniero, quando ci ha visto sembrava sollevato, chi ha chiesto di chiamare la sua famiglia, ci stava dettando il telefono ma è stato interrotto. Gli agenti ci hanno chiesto di allontanarci nonostante le nostre richieste di chiamare un’ambulanza: hanno detto che ci avrebbero pensato loro". La Cucchi e i suoi colleghi si sono poi allontanati ma prima di ripartire hanno chiamato il 118. Gli agenti: "L’uomo era già ferito" (Il Fatto Quotidiano) Intervenuti per fermare un uomo che picchiava due donne, talmente esagitato da dover essere ammanettato e poi legato per i piedi alla barella dell’ambulanza. Il giorno dopo la denuncia, su questo giornale, di Ilaria Cucchi ("Ho visto pestare un ragazzo"), dalla polizia penitenziaria non giungono voci ufficiali, ma le notizie trapelano ugualmente. Mercoledì, nei pressi del cimitero del Verano, a Roma, Ilaria Cucchi, Guido Magherini (papà di Riccardo) e il loro avvocato, Fabio Anselmo, vedono tre agenti e un uomo a terra, manette ai polsi. Ilaria racconta: "Lo tengono per il collo e gli danno calci. Il viso è una maschera di sangue, che fuoriesce da una ferita sulla fronte". Lei chiama il 118 e chiede un’ambulanza. L’orario della telefonata sarà determinante ai fini dell’indagine. Cucchi ha sporto denuncia; gli agenti hanno redatto una nota di servizio nella quale spiegano di aver chiamato loro il 118, dopo essere intervenuti su segnalazione dell’autista di un autobus. I carabinieri hanno identificato le due donne. Si tratta di due rumene, una delle quali moglie dell’uomo. Il sangue che ha visto Ilaria derivava da un trauma cranico con ferite lacero-contuse: una delle due avrebbe riferito di averlo colpito con una borsa. Sappe: prosegue la "caccia alle streghe" di Ilaria Cucchi (Comunicato stampa) Non sembra aver fine la "caccia alle streghe" inscenata dalla signora Ilaria Cucchi contro la Polizia Penitenziaria. Ancora una volta, ieri, la signora Cucchi ha riempito giornali e siti web di fango contro la Polizia Penitenziaria. Come al solito, certa stampa partigiana e connivente, ha dato ampio spazio alle illazioni della signora Cucchi - come sempre pretestuose e strumentali - senza tenere in nessun conto le smentite e le precisazioni pur arrivate (anche se in maniera ufficiosa e sommessa) da parte dell’Amministrazione Penitenziaria. Ovviamente, l’uomo che morde il cane fa molto più notizia del cane che morde l’uomo! Con buona pace della deontologia professionale, come ha dimostrato anche la vicenda del presunto sciopero dei detenuti ad Alta sicurezza del carcere di Larino contro la scomunica del Papa ai mafiosi. Episodio mai avvenuto, ma la smentita non ha avuto eguale visibilità mediatica della falsa notizia". Lo dichiara Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. "Purtroppo, però, come al solito a farne le spese è questo nostro Corpo che continua a non avere nessuno nelle Istituzioni che lo difende. Lo sa bene la signora Cucchi che non a caso "attacca" sempre la Polizia Penitenziaria evitando anche solo di pronunciare il nome di altri Corpi", prosegue il leader del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria. "Ma questa volta noi del Sappe non rimarremo inerti. Evidentemente alla signora Cucchi non è bastata la querela ricevuta da parte dei tre colleghi ingiustamente diffamati e calunniati nel processo per la morte del fratello. Ha pensato bene la signora Cucchi di reiterare calunnie e diffamazioni nei confronti di altri tre colleghi accusati di aver "pestato e malmenato" un uomo a Roma, in via Tiburtina nei pressi del cimitero Verano. Quei tre colleghi, invece, erano soltanto intervenuti in una operazione di ordine pubblico (chiamati da un autista dell’Atac) per sedare una rissa tra un uomo e due donne (tutti stranieri) e costretti per questo ad immobilizzare l’uomo. Tra l’altro, come potrà dimostrare la testimonianza dell’autista dell’atac, l’uomo già presentava vistose ferite al volto prima dell’intervento della Polizia Penitenziaria". "Nonostante ciò", conclude Capece, "la signora Cucchi ha trasformato mediaticamente l’operazione dei colleghi nell’ennesimo caso di "caccia alle streghe" alla ricerca dei poliziotti violenti ed aguzzini. Ebbene, il Sappe ha deciso di dire basta agli attacchi strumentali e pretestuosi della signora Cucchi. Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria ha dato mandato ai propri legali per adire le vie legali nei confronti della signora Cucchi a difesa dell’onore e del decoro della Polizia Penitenziaria". Lazio: detenuti in calo, da oltre 7mila a 5.500, quasi 900 sono ancora in attesa di giudizio www.omniroma.it, 1 agosto 2014 Sono 5.765 i detenuti reclusi nelle carceri del Lazio. Quasi 900 sono in attesa di giudizio, 1.004 sono condannati non definitivi mentre sono 3.846 i definitivi. Questi i dati riferiti alla popolazione carceraria, resi noti dal garante del detenuti del Lazio relativi a luglio 2014. Un dato che cala sensibilmente rispetto ai dati del 2013. A dicembre dello scorso anno, infatti, le unità ammontavano a circa 7.000 persone, ma che comunque è al limite secondo i canoni del Dap e del ministero della Giustizia, che infatti non parlano di sovraffollamento ma di capienza tollerabile. Nel dettaglio dei 14 istituti penitenziari laziali, a Cassino sono reclusi 255 detenuti, mentre nei due plessi di Civitavecchia le unità sono 577. Il carcere di Frosinone ne ospita 498, 342 sono condannati in via definitiva. A Latina, su 146 detenuti, 80 sono ancora in attesa di giudizio. A Rieti i condannati in via definitiva sono 227, per un totale di 279 carcerati. A Rebibbia, dove la casa circondariale si sviluppa in diversi plessi, tra il maschile e il femminile, si contano 2.226 detenuti. Le donne sono 336. Per 247 la condanna è arrivata in via definitiva, 56 sono in attesa di giudizio e 33 sono in attesa della condanna definitiva. Sempre a Roma, ma a Regina Coeli, sono 654 i reclusi: 314 in attesa di giudizio e 170 condannati in via definitiva. A Velletri sono reclusi 563 detenuti, a Viterbo 508, di cui 408 hanno ricevuto la pena definitiva. In totale, infine, nel Lazio i detenuti in attesa di giudizio sono 893, i condannati in via non definitiva 1004 mentre ammontano a 3846 le unità con condanna definitiva. Teramo: giardini di rose e murales in carcere, con il nuovo progetto dell’Istituto Agrario Il Centro, 1 agosto 2014 Quand’era libera amava le rose, le ricordano i fiori che le regalava il compagno che non c’è più. Ora Fiorella, 51 anni di cui 5 in carcere, è tornata a coltivarle le "sue" rose che profumano di ricordi e libertà. Emiliana, da 24 mesi a Castrogno, la passione per le piante l’ha invece ereditata dalla mamma anche se preferisce prendersi cura degli animali. Poco importa, perché per lei, come per Fiorella e le altre "detenute giardiniere", anche curare un giardino significa riannodare il filo spezzato con il mondo esterno. "Stiamo all’aria aperta ed entriamo in contatto con altre persone", raccontano le due donne, "e poi impariamo un’attività che può esserci utile quando usciremo". In tutto sono una ventina (su circa 40 recluse) le donne coinvolte nel progetto di floricoltura ideato dall’istituto agrario "Rozzi" e partito ieri con l’allestimento del giardino della sezione femminile del carcere. Cespugli, piante e fiori abbelliranno in particolare "il giardino degli affetti" in cui si svolgono i colloqui con i familiari. Sui muri, un altro detenuto "artista" sta realizzando quattro murales per dare ancora più colore a questo spazio che non sembra neanche appartenere ad un carcere. "È un modo per rendere più vivibile quest’area e risocializzare queste donne", spiega la preside Silvia Manetta, "per gli studenti, invece, entrare qui significa toccare con mano l’illegalità e imparare ad evitarla". Con la preside, ad illustrare il progetto la responsabile dell’area rieducativa del carcere Elisabetta Santolamazza. Oltre alla parte pratica c’è anche con un corso di floricultura di 8 giorni per insegnare alle detenute le regole della coltivazione delle piante. Le lezioni, iniziate 2 giorni fa, sono curate dai docenti Silverio Pachioli e Luigi Passalacquae prevedono il rilascio di un attestato di frequenza. Tra le altre iniziative di "agricoltura sociale" avviate dalla scuola a Castrogno si va dal fragoleto inaugurato un anno fa all’orto curato dai detenuti della 1° sezione in un’area prima cementificata. In cantiere, inoltre l’area rieducativa sta lavorando a un progetto sull’ippoterapia mentre a breve potrebbe aprire un’aula per le lezioni agli iscritti all’Agrario e all’Alberghiero, circa 70 i "detenuti studenti" . Rimini: "Sprigionare lavoro", il Corso di formazione ha coinvolto i volontari del territorio www.pensieridintegrazione.it, 1 agosto 2014 Carcere, detenuti, pene, inserimento lavorativo. Un corso di formazione itinerante ha coinvolto i volontari del territorio riminese, per una più approfondita conoscenza sugli interlocutori che operano a favore di chi vive o ha vissuto un’esperienza di detenzione. Volontarimini, le associazioni Madonna della Carità e Papillon, la Papa Giovanni XXIII, l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Rimini, la Casa Circondariale di Rimini e il Comune di Rimini, si sono riuniti nella sigla "Sprigionare lavoro". Si tratta di una delle azioni del progetto di più ampio respiro "Cittadini sempre", che coinvolge varie province dell’Emilia-Romagna sui temi legati alla vita dentro e fuori dal penitenziario. "Come Papa Giovanni - spiega Sergio Orsi, volontario - abbiamo una pluriennale esperienza sul carcere. Il corso però ci ha permesso di conoscere meglio gli altri soggetti che nel territorio sono attivi in questo campo. Siamo più consapevoli dei contesti in cui ognuno si muove, tra limiti normativi e burocratici. Ora, dovendo trattare una situazione critica, saprei chiaramente cosa chiedere a ognuno". Alcune lezioni del corso si sono tenute presso le strutture di appartenenza degli operatori, un’occasione per conoscere i volti ma anche per toccare con mano le tante iniziative proposte. Non da ultimo il caso esemplare della Casa Madre del Perdono a Taverna di Montecolombo, seguita dalla Papa Giovanni, che promuove percorsi alternativi al carcere. Qui i detenuti sono protagonisti del loro percorso di riabilitazione. "Il nostro obiettivo - continua Orsi - è la certezza del recupero a partire dalla responsabilizzazione della persona sul proprio operato. La ‘Casà non è un centro di contenimento. Tra le varie esperienze positive che abbiamo avviato c’è il caseificio. Qui i detenuti hanno imparato un mestiere e a fare i formaggi, con la vendita dei quali coprono parte delle spese per il proprio sostentamento, facendo risparmiare allo stato cifre considerevoli. Il costo di un detenuto in cella è di 200 euro al giorno". Il corso ha sollecitato un’interazione in parte già esistente che in futuro si potrebbe approfondire, anche per far fronte alle difficoltà che implicano interventi così delicati. Inoltre, l’ambizione è coinvolgere le imprese con incontri ad hoc per far conoscere i vantaggi competitivi offrendo occasioni di lavoro per chi vive un’esperienza di prigionia. Questa prospettiva presenta il detenuto non come un costo, ma come una risorsa. Valorizzando il tempo della detenzione, si promuove un circolo economico virtuoso, in cui la persona si sente parte integrante del contesto sociale. "In questo ambito - conclude Orsi - ci sono risorse limitate e spesso vincolate. Siamo ancora lontani dall’avere percorsi lineari e codificati. Come volontari, gran parte di ciò che si può fare, ricade sulla capacità di iniziativa delle nostre strutture di appartenenza". Per informazioni su "Sprigionare lavoro", Volontarimini, tel. 0541 709888 - progetti@volontarimini.it. Napoli: carabiniere uccide rapinatore in manette "un colpo partito accidentalmente" Il Centro, 1 agosto 2014 Lo stava ammanettando mentre stringeva la sua pistola d’ordinanza. Al malvivente che poco prima aveva rapinato l’automobile ad una coppia di giovani, insieme ad altri due complici, aveva intimato di sdraiarsi a terra, faccia in giù. Fasi, queste, durante le quali è partito accidentalmente dalla pistola del carabiniere, un colpo che ha ucciso il rapinatore Antonio Mannalà. Ora il militare è indagato per omicidio colposo. È accaduto tutto la scorsa notte, a Cardito, provincia di Napoli. Non era solo, Mannalà, quando ha rapinato l’auto. Con due complici - uno dei quali arrestati ed un altro ricercato - ha puntato l’arma contro il viso della ragazza per costringerla a scendere dall’auto. Poi l’ha anche palpeggiata, prima di fuggire. Una fuga, quella iniziata da Casalnuovo di Napoli, a bordo della Renault Clio rubata, terminata a Cardito. È lì che i rapinatori hanno deciso di proseguire a piedi in tre direzioni diverse. Scattati i controlli dopo la segnalazione alle pattuglie dei carabinieri in servizio nella zona, il militare che inseguiva Mannalà è riuscito ad avvicinarsi al fuggitivo e gli ha intimato di sdraiarsi con la faccia rivolta a terra per ammanettarlo. È stato in questi momenti che, secondo la ricostruzione dei militari, è partito il colpo che ha ucciso Mannalà, 27 anni il prossimo 7 agosto e papà di tre figli, una bimba di sei anni e due maschietti più piccoli. Ci sono immagini dei circuiti di videosorveglianza che raccontano le fasi finali dell’inseguimento. E ci sono anche alcuni testimoni. "Il militare era sotto choc dopo che è partito lo sparo - racconta una signora che vive nella strada di Cardito dove il rapinatore è morto - Io gli ho portato una coperta, abbiamo chiamato noi sia i carabinieri che l’ambulanza, arrivata dopo un po’. Ma non c’è stato nulla da fare. Ricordo che il rapinatore prima di morire non ha fatto altro che ripetere "non ho fatto niente, non ho fatto niente". Sia le immagini che le testimonianze che la relazione fatta dal carabiniere sono state esaminate: da qui la decisione del procuratore di Napoli Nord, Francesco Greco, di iscrivere nel registro degli indagati per omicidio colposo il militare che ha colpito accidentalmente Mannalà. Centrale, per il riconoscimento dei tre malviventi, anche il contributo delle vittime che hanno riconosciuto sia Mannalà - già noto alle forze dell’ordine per violazione alla legge sugli stupefacenti, contrabbando di sigarette ed evasione dai domiciliari - che Domenico Gallo, 25 anni, anche lui già schedato per furto e ricettazione. E mentre il terzo rapinatore è ricercato, i carabinieri hanno trovato su un lato della strada di Cardito dove il rapinatore è morto, una pistola: è simile ad una calibro 9 ma è un’arma "scenica", priva del tappo rosso. Potenza: droga ai detenuti con pacchi postali, traffico sventato dalla Polizia penitenziaria www.basilicata24.it, 1 agosto 2014 Un’operazione degli agenti di Polizia penitenziaria della Casa Circondariale di Potenza, compiuta pochi giorni fa e resa nota solo ieri, in collaborazione con i colleghi del distaccamento unità cinofile del Corpo di Trani, ha permesso di sventare un traffico di droga destinato ai detenuti del penitenziario del capoluogo lucano con il sequestro di 80 gr. di hascisc. La droga veniva recapitata ad alcuni detenuti mediante pacco postale ed abilmente celata in scarpe appositamente modificate. Gli agenti addetti al controllo dei pacchi destinati ai detenuti ha permesso di sventare il traffico illecito di stupefacenti. Un grande aiuto è stato garantito dalle unità cinofile del Corpo di Polizia Penitenziaria appositamente fatte intervenire per approfondire i controlli in tutta la struttura. A seguito dell’operazione, alcuni detenuti sono stati denunciati ed è tuttora in corso un’attività d’indagine. Vito Coviello segretario generale aggiunto del sindacato polizia penitenziaria Spp, esprime il proprio compiacimento per la operazione posta in essere dai colleghi i quali, nonostante siano costretti ad operare sotto organico (la Casa Circondariale di Potenza risulta essere carente di ben 40 unità di personale), siano sottoposti a grande stress per le precarie condizioni lavorative, benché privi di idonei mezzi tecnologici atti a rilevare proprio le sostanze stupefacenti o altri oggetti vietati (macchine raggi X), hanno dimostrato ancora una volta grande professionalità e competenza. "Quanto accaduto - continua Coviello - spero faccia riflettere le autorità competenti della nostra Amministrazione, affinché non si preoccupino solo di fronteggiare, il fenomeno del sovraffollamento, a discapito della sicurezza tanto degli operatori quanto della collettività e ascoltino e si confrontino in modo costruttivo con le organizzazioni sindacali di categoria che da tempo ormai riportano ai vertici le condizioni di disagio che il personale di Polizia operante nelle strutture penitenziarie è costretto a vivere quotidianamente". "Ben vengano tutti i nuovi sistemi di vigilanza - aggiunge - ma prima di tutto è doveroso procedere all’ammodernamento delle strutture penitenziarie e all’arruolamento di nuovo personale, nonché è necessario, proprio in virtù delle notevoli innovazioni prospettate dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, procedere con la programmazione di appositi percorsi di aggiornamento professionale per tutti gli operatori che dovranno essere impiegati nei nuovi sistemi di vigilanza c.d. vigilanza dinamica. Inoltre è doveroso ricordare, non senza sdegno, come sia possibile in tempi di crisi reperire fondi per risarcire i detenuti che hanno vissuto lo stato di detenzione in celle troppo "piccole" e non sia invece possibile reperire fondi per i rinnovi contrattuali degli appartenenti alla forze dell’ordine o destinare quei fondi al sostegno delle famiglie di coloro che hanno lavorato onestamente per tutta una vita e poi improvvisamente a causa delle controverse congiunture economiche il lavoro lo hanno perso Monza: detenuto non arriva al lavoro esterno, ipotesi evasione… ma ha solo sbagliato via di Federico Berni www.ilcittadinomb.it, 1 agosto 2014 All’inizio, hanno pensato tutti a una clamorosa evasione. Invece aveva soltanto sbagliato indirizzo. Protagonista, uno dei due detenuti inseriti in Procura a Monza per la scannerizzazione degli atti, in vista della trasformazione del processo, da cartaceo, a telematico. Martedì mattina, negli uffici di viale Romagna, gli ufficiali della polizia giudiziaria aspettavano il loro arrivo. Ma all’appello ce n’era uno solo. Allarme, comprensibile, e tensione tra gli addetti ai lavori. Possibile? Una fuga? No, solo l’indirizzo sbagliato. L’uomo, infatti, probabilmente all’oscuro della complessa suddivisione degli uffici giudiziari di Monza, dislocati in varie parti della città, si è presentato in piazza Garibaldi sede del tribunale, invece che nella sede periferica di viale Romagna, che da anni ospita una sezione distaccata della Procura della Repubblica. Allarme subito rientrato. Novara: Giornate del Patrimonio Ambientale; il Parco dei Bambini ripulito dai detenuti www.corrieredinovara.it, 1 agosto 2014 Nell’ambito delle Giornate di recupero del Patrimonio ambientale. Il Parco dei Bambini è stato al centro delle nona e decima Giornata di Recupero del Patrimonio ambientale svoltesi mercoledì 30 luglio e lo scorso mercoledì 23 luglio 2014, organizzate sulla base del protocollo di intesa tra Assa, Comune di Novara, Magistratura di Sorveglianza, Casa Circondariale, Ufficio esecuzioni penali esterne. Le operazioni di pulizia e manutenzione straordinaria sono state svolte dai detenuti con la coordinazione e il supporto di Assa. I detenuti hanno ripulito e mondato cordoli e vialetti, liberato da terra e foglie i pozzetti di raccolta acque, pulito e lavato le fontane ed eliminato i graffiti e le incrostazioni della fontana monumentale, pulito e riassestato i bagni pubblici e hanno pulito tutte le aree gioco con anche il lavaggio di alcune delle attrezzature ludiche. Latina: con l’Università "Niccolò Cusano" tirocini degli studenti universitari nel carcere www.latina24ore.it, 1 agosto 2014 Nuova opportunità per gli studenti di Scienze dell’Educazione e Formazione dell’Università Niccolò Cusano. Definiti i dettagli dell’accordo annunciato in primavera tra l’Ateneo romano e la Casa Circondariale di Latina sui tirocini formativi. Da diversi anni la Casa Circondariale di Latina ospita tirocinanti provenienti dalle Università sensibili alle proposte formative garantite dall’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia. Tra queste naturalmente si conta anche l’Università Niccolò Cusano, che alcune settimane fa aveva annunciato la firma di un accordo di collaborazione tra le due realtà destinato agli studenti di Scienze dell’Educazione e della Formazione. Tra gli obiettivi fissati nel progetto di tirocinio siglato dall’Ateneo e l’istituto penitenziario vi è quello di dare una panoramica sul ruolo, le mansioni e le responsabilità dell’educatore penitenziario affrontando i vari aspetti che caratterizzano la sua professione sul piano giuridico, educativo e relazionale, anche in considerazione dell’attuale denominazione della figura professionale: funzionario della professionalità giuridico-pedagogica. Pertanto, sotto la guida del tutor, i tirocinanti dell’Università conosceranno i riferimenti normativi relativi al sistema penitenziario italiano, gli operatori interni e le istituzioni afferenti al carcere, approfondiranno le specificità della figura professionale dell’educatore penitenziario rispetto agli altri ambiti professionali. Naturalmente gli stessi parteciperanno sia ai colloqui tra l’educatore (o gli altri operatori penitenziari) e i detenuti, sia alla stesura dei programmi di trattamento/reinserimento sociale, collaborando alla progettazione e organizzazione delle attività intramurali lavorative, formative, ricreative, sportive e culturali, con particolare attenzione ai laboratori teatrali e artistici peculiari della struttura. Il periodo di tirocinio per gli studenti Unicusano sarà inoltre finalizzato a metterne in risalto le attitudini in condizioni di impatto emotivo, in un ambiente caratterizzato dalla privazione della libertà personale, composto in gran parte da detenuti in attesa di giudizio o con problematiche legate alla tossicodipendenza, a deficit cognitivi o al degrado sociale. Sarà pertanto verificata, in ognuno dei tirocinanti, l’affidabilità, il rispetto delle consegne, l’autonomia, il senso pratico e di responsabilità, le capacità comunicative, la motivazione ad apprendere, la capacità di lavorare in gruppo, d’integrazione e le attitudini organizzative. Di conseguenza, nei tirocinanti coinvolti nell’attività di osservazione, saranno sollecitate le capacità di analisi, senso critico, sospensione del giudizio, d’iniziativa e problem solving, nonché l’acquisizione del metodo di lavoro degli educatori della Casa Circondariale di Latina. I tirocinanti, in linea con quanto normalmente richiesto dai propri docenti, dovranno poi annotare gli eventi significativi in una sorta di "diario di bordo" e stilare una relazione esaustiva sull’esperienza di tirocinio fornendo un quadro completo sul contesto, sulle figure professionali che operano in carcere, sulla tipologia di detenuti ristretti in Istituto e sulle attività trattamentali svolte. Nel resoconto il tirocinante dovrà evidenziare anche la componente emotiva legata all’esperienza nel carcere, scaturita oltre che dai contatti con i detenuti, dai colloqui con il tutor e con gli operatori penitenziari o dalla partecipazione alle attività previste dalla Casa Circondariale di Latina. Milano: i detenuti mettono in scena Shakespeare al Castello Sforzesco Redattore Sociale, 1 agosto 2014 Si intitola "San Vittore Globe Theatre open air" lo spettacolo allestito dall’associazione Cetec a Milano dal 14 al 17 agosto. Assaggio di un progetto più ampio che prevede, a partire da settembre, serate di teatro-cucina, incontri, proiezioni video. Le serate ferragostane al Castello Sforzesco saranno animate da un gruppo di detenuti. L’associazione Cetec (Centro europeo teatro e carcere) porterà in scena "San Vittore Globe Theatre open air", con testi ispirati a Shakespeare, Alda Merini e Giovanni Testori, che trattano temi legati all’ambiente e al cibo. Sul palco saliranno detenuti, ex detenuti e giovani artisti. "Da quindici anni portiamo attività artistiche nei luoghi del disagio -racconta Donatella Massimilla, regista e fondatrice dell’associazione, che ha presentato l’iniziativa a Palazzo Marino -. Le serate al Castello sono un modo per ringraziare Milano e i suoi cittadini per il sostegno che ci hanno dato in tutti questi anni". Gli spettacoli si terranno dal 14 al 17 agosto, dalle ore 19 alle 21. "La scarica di adrenalina che mi dava il commettere i reati l’ho ora trovata nel teatro -racconta Romeo, storico attore del gruppo-. Il teatro ha sostituito il reato e mi aiuta a giocare, a restare quel bambino che ora è diventato uomo". "San Vittore Globe Theatre open air" è solo un "assaggio" di un progetto molto più ampio, realizzato in collaborazione con il Consiglio di zona 1, che prevede, a partire da settembre, serate di teatro-cucina, incontri, proiezioni video. "Il nostro obiettivo è avvicinare un nuovo pubblico, realizzare un incontro reale tra i detenuti e la città", sottolinea Donatella Massimilla. L’iniziativa si concluderà poi nei giorni dal 19 al 20 novembre al Piccolo Teatro Studio Melato con lo spettacolo completo del "San Vittore Globe Theatre". Libri: "Viaggio nelle carceri"… ovvero ogni società ha la prigione che si merita di Davide La Cara e Antonio Castorina Il Garantista, 1 agosto 2014 Un libro denuncia di La Cara e Castorina, che racconta l’orrore italiano. Pubblichiamo brani dell’introduzione del libro "Viaggio nelle carceri" che esce in questi giorni, edito da Eir in collaborazione con i Giovani democratici (pp.109, euro 14). Gli autori sono Davide La Cara e Antonio Castorina. Il libro contiene, tra gli altri, scritti di Laura Coccia, Roberto Giochetti, Rita Bernardini e un’intervista a esclusiva a Raffaele Sollecito. Siamo partiti da una riflessione principale, il punto saldo è l’articolo 27 della Costituzione italiana: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". L’Italia, solo recentemente e su continui richiami da parte del presidente Napoletano, ha preso seriamente in considerazione il problema del sovraffollamento carcerario. Il presidente della Repubblica, garante della Costituzione che all’art. 27, appunto, prevede un trattamento carcerario umano e rispettoso dei diritti fondamentali, in un messaggio inviato il 7 giugno 2013 al capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per la ricorrenza del 196° anniversario della fondazione della Polizia penitenziaria, ha auspicato "che il Parlamento e il Governo assumano rapide decisioni che conducano a dei primi risultati concreti". Non può essere perseguita la sola via dell’edilizia penitenziaria costruendo altre strutture di detenzione, ma necessita del supporto normativo di tipo sostanziale, processuale e penitenziario. Il sovraffollamento delle carceri non è solo un problema di risorse, ma mette in gioco la credibilità democratica del nostro paese. La magistratura di Strasburgo fa espresso riferimento al sovraffollamento e ai disagi che ne derivano, definendoli problema strutturale e sistemico. A fronte di una capienza complessiva di 48.309 unità, le carceri italiane ospitano a oggi 60.197 detenuti. In quasi tutti i penitenziari italiani si assiste a scene degradanti, con fino a 8 persone stipate in celle ideate per quattro o addirittura due. Le condizioni disumane hanno portato a varie sanzioni economiche da parte della Corte europea, non ultima la sentenza Torreggiani "che ha giudicato le condizioni dei detenuti una violazione degli standard minimi di vivibilità che determina una situazione di vita degradante". La Comunità europea ha stabilito che un maiale destinato al macello deve avere almeno 6 mq per muoversi. In Italia accade anche che i detenuti ne abbiamo meno di 3. Ogni detenuto, in queste condizioni, costa ai contribuenti 3500 euro al mese. Una bella somma in tempi di spending review, in cui si tende a ottimizzare la spesa pubblica tagliando un’importante quota delle strutture organizzative, con costi altissimi per i cittadini. La Corte europea dei diritti dell’uomo con la pronuncia del 27 maggio scorso, ha rigettato il ricorso dell’Italia avverso la sentenza emessa l’8 gennaio dai giudici di Strasburgo, divenuta oggi definitiva, che condannava il sistema penitenziario nazionale per trattamento inumano e degradante inflitto agli ospiti delle strutture carcerarie. La Corte suprema dei diritti dell’uomo ha dichiarato incompatibile l’attuale situazione carceraria italiana con l’art. 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (proibizione della tortura e di trattamenti inumani o degradanti). L’inizio della pena Ogni pena intesa come limitazione dei diritti personali comincia con l’avvio di due operazioni parallele; le iscrizioni nel registro degli indagati e la relativa notizia data dai mass media. Due eventi che inaugurano l’avvio di due processi paralleli, uno che si svolge nelle aule giudiziarie; l’altro nella piazza mediatica. L’esecuzione della pena comincia da questo momento e si protrae per tempi lunghissimi. A prescindere dall’esito del verdetto emesso in sede giudiziaria, chi rimane impigliato nelle maglie dell’apparato giudiziario paga un prezzo troppo alto che non può trovare riparo né attraverso il risarcimento del danno per ingiusta detenzione o per le lungaggini procedurali. Facendo riferimento a Sorvegliare e Punire, testo di Michel Foucault che descrive l’umiliazione pubblica di un tale Damiens a cui si sommava la pena carceraria, nel libro ci si domanda: "La sofferenza fisica, il dolore del corpo non sono più elementi costituiti dalla pena. Se non è più al corpo che si rivolge la pena nelle sue forme più severe, su che cosa stabilisce allora la sua presa? Non è più il corpo è l’anima. Alla espiazione che strazia il corpo deve succedere un castigo che agisca in profondità del cuore, il pensiero, la volontà, la disponibilità una volta per tutte. Alla morte fisica è sostituita la morte civile". Il sociologo americano Gresham Sykes descrive il contenuto della pena carceraria ricercando gli aspetti dolorosi della stessa che indica in cinque generi di sofferenza: "Il primo genere di sofferenza riguarda la privazione stessa della libertà che si traduce, immediatamente, nel confinare l’agire di una persona all’interno del carcere. L’aspetto più doloroso è che sia perduta la libertà di intrecciare e serbare legami affettivi con familiari, parenti, amici, costituendo ciò "una dolorosa privazione o frustrazione, in termini di perdita di relazioni affettive, solitudine e noia". Distaccarsi, entrando in carcere, dagli anziani genitori con un abbraccio straziante, perché ognuno pensa che possa essere l’ultimo, non vuol dire soltanto lasciare il proprio cuore in quei luoghi che ti hanno visto nascere e crescere ma avere la consapevolezza che quel patrimonio fatto di memoria ed ancestrale amore, quel legame con le tue radici, lo hai perso per sempre anche perché, in ogni caso, nulla tornerà come prima. Il distacco dal proprio nucleo familiare, dai figli, dalla moglie, è uno strappo doloroso, acuto per tutti soprattutto per i familiari, vittime innocenti. Non hai perso la libertà di movimento e di azione, hai perso il calore di un rapporto affettivo, il tuo privato, la personalità, la tua immagine, la giusta considerazione degli altri. Ti pervade una pesante frustrazione, ti assale la solitudine, un muto dolore, l’ansia, la rabbia". Cinema: Aniello Arena; non mi vedevo detenuto… anche prima del successo di "Reality" www.fanpage.it, 1 agosto 2014 Abbiamo incontrato Aniello Arena nel carcere di Volterra, una Fortezza Medicea che domina la rocca della città, immersa nella campagna toscana tra le provincie di Pisa e Siena. Qui ogni anno si tiene il festival teatrale "Volterrateatro", giunto quest’anno alla ventottesima edizione, diretto dal regista Armando Punzo che alcuni mesi fa ha raccontato ai microfoni di Fanpage.it la sua lunga esperienza di teatro in carcere. Quest’anno la "Compagnia della Fortezza", così si chiama il gruppo costituito da Punzo e di cui fanno parte molti detenuti del carcere, ha portato in scena lo spettacolo "Santo Genet", dai testi del drammaturgo francese Jean Genet. Grazie all’autorità carceraria di Volterra abbiamo potuto intervistare Arena nel cortile del penitenziario, per farci raccontare i suoi dodici anni con la Compagnia e la sua esperienza cinematografica con Matteo Garrone. Arena, infatti, ha interpretato il pescivendolo Luciano nel film "Reality", ruolo che gli valso anche un Nastro d’Argento come miglior attore protagonista. Ma Arena ci ha anche raccontato la sua conversione "sono un uomo completamente diverso, mi sono lasciato tutto alle spalle, io sono un detenuto, sconto la mia pena, ma attraverso il teatro mi trasformo, vivo attraverso i personaggi. Ormai già da qualche anno vivo pensando che è il corpo che la sera torna in carcere, ma non la mente". Aniello Arena era un soldato di camorra. Uno di quelli che sparano a comando. Era affiliato al clan Nemolato-Minichini che all’inizio degli anni 90 governava la zona di Barra e San Giovanni. L’8 gennaio del 1991 prese parte al commando che uccise tre uomini del gruppo dei fratelli Liberti. Fu chiamata: "La strage delle Crocelle", dal nome dell’omonima piazza. Triplice omicidio, più un paio di proiettili vaganti che ferirono un bambino di soli otto anni. Ma a farne le spese anche una donna anziana che, affacciata al suo balcone, vide l’intera scena e morì di crepacuore. Aniello Arena allora aveva ventiquattro anni, non pochi per uno che fa una vita simile. Qualcosa però quel giorno andò storto, uno dei fratelli Liberti riuscì a sfuggire alla furia dei killer e poté così identificare i membri del gruppo di fuoco che furono tutti arrestati, tranne Arena, che rimase latitante fino alla fine dell’anno, quando, tradito come molti dalle festività natalizie, si fece beccare a casa di un parente nel bel mezzo del cosiddetto "cenone". Fu processato nel 1996 e condannato all’ergastolo, o come si dice nel gergo burocratico carcerario: "fine pena mai". Si è saputo solo dopo, ma pare che Matteo Garrone volesse Aniello Arena già in "Gomorra". A quell’epoca però il detenuto-attore non aveva ancora maturato i permessi sufficienti a girare un film (attualmente Arena è in regime di articolo 21, vale a dire, esce ogni mattina dal carcere per recarsi a lavoro e fa rientro la sera). Quando finalmente ci è riuscito, Garrone gli ha affidato il personaggio di Luciano, protagonista di "Reality", un pescivendolo della provincia di Napoli fatalmente attratto dal sogno di partecipare al "Grande Fratello". Il film presentato nel maggio 2012 al Festival di Cannes, e uscito in sala in settembre, ottenne il "Grand Prix Speciale della Giuria" e una lunga sfilza di premi tra cui: tre David di Donatello, tre Nastri d’argento, di cui uno ad Aniello Arena come miglior attore protagonista; tre ciak d’oro e un numero doppio se non triplo di nomination. "Da quel momento - ci ha raccontato Arena - sono stato catapultato in un’altra dimensione! Mi hanno iniziato a invitare dappertutto, pure al programma di Fabio Fazio, "Che tempo che fa". Avrei potuto facilmente perdere la testa, ma io sono uno con i piedi per terra. Certo - prosegue Arena - la soddisfazione personale è stata incredibile e anche il fatto che questo mio successo ha acceso un faro molto forte sulla Compagnia della Fortezza di Armando Punzo, di cui sono un veterano e che da oltre dodici anni mi permette di fare teatro e persino di andare in tournée". Arena però non poté sfilare come i suoi colleghi sulla croisette di Cannes, né presenziare alla cerimonia di premiazione: "Quando il film fu presentato a Cannes - riprende Arena - molti si chiesero come mai il protagonista non fosse presente. A quel punto Matteo (Garrone), ha resistito il più possibile per non dire che ero un ergastolano, ma quando non poté più farne a meno e lo disse, tutti rimasero a bocca aperta chiedendosi "come è possibile che un detenuto faccia un’interpretazione simile?". Nel 2013 Rizzoli ha pubblicato il libro-confessione di Aniello Arena, scritto a quattro mani con Maria Cristina Olati, dal titolo "L’aria è ottima (quando riesce a passare). Io, attore, fine-pena-mai". Nel volume Arena racconta la sua esperienza di detenuto-attore e l’incontro che gli ha cambiato la vita: quello con Armando Punzo e la sua "Compagnia della Fortezza". "Arrivo a Volterra che è novembre - scrive Arena nel libro - è sera e fa un freddo cane. Dal cellulare blindato, il Ducato, non vedo niente e mi è venuto il mal di stomaco per le curve. Volterra è proprio 'ncopp a na muntagna. Maronna mia, ma dove mi stanno portando, in un carcere sperduto d’o Pataterno. Non sapevo che proprio lì, 'ncopp a na muntagna, sarei rinato. India: marò italiani detenuti, il processo è stato rinviato al 14 ottobre Il Fatto Quotidiano, 1 agosto 2014 La data della nuova udienza è stata fissata per l’autunno, a causa di un calendario già completo per le settimane a venire. Meloni (Fdi): "Basta con la politica da eunuchi del governo! Renzi vada domani in India o si dimetta". Vito: "Latorre e Girone devono essere processati in Italia". Nuovo rinvio in India nel processo ai due marò. L’udienza prevista oggi presso il tribunale speciale di New Delhi che si occupa dell’incidente in cui sono coinvolti i fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non si è svolta per l’assenza del giudice. La seduta, annullata a causa di un’indisposizione del magistrato, è stata quindi fissata al 14 ottobre. L’istanza al tribunale speciale della session court presieduto attualmente dal giudice Bharat Parashar era stata presentata nel novembre scorso dalla polizia antiterrorismo Nia con l’opposizione però della difesa italiana. La data della nuova udienza è stata fissata per ottobre, a causa di un calendario già completo per le settimane a venire. Come avvenuto nelle precedenti circostanze, Latorre e Girone non erano presenti in aula. Va ricordato che la Corte suprema il 28 marzo aveva sospeso il processo presso il giudice speciale dopo aver ammesso un ricorso sull’incompetenza della Nia a condurre le indagini in assenza di leggi speciali. Attualmente il massimo organo giudiziario indiano è in attesa delle controdeduzioni da parte del governo di New Delhi sul ricorso italiano. "L’India rinvia ad ottobre l’udienza per i marò. Ora basta con la politica da eunuchi del governo! Renzi vada domani in India o si dimetta". È quanto scrive su Twitter il presidente di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale, Giorgia Meloni. "Non è accettabile il rinvio ma nemmeno è accettabile che rimangano in India. Se oggi ci fosse stata la sentenza non saremmo comunque stati contenti - dice Elio Vito, presidente della Commissione Difesa della Camera dei Deputati - i due marò non vanno giudicati in India. Non basta quindi protestare per il rinvio che certamente ci preoccupa, bisogna chiedere il rispetto delle norme dell’immunità funzionale e della competenza territoriale previsto dal diritto internazionale, principi in basi ai quali i due fucilieri hanno diritto ad essere processati in Italia". Rampelli (FdI): Renzi si occupa di tutto tranne che dei nostri fucilieri "Oggi ha svenduto un pezzo del nostro patrimonio energetico ai cinesi, domani va in Egitto, ieri è stato in Africa a firmare accordi. Di tutto si occupa Matteo Renzi tranne che dei nostri due fucilieri detenuti illegittimamente in India. La distanza siderale che ci separa da questo presidente del consiglio diventa ogni giorno più profonda. Questa perenne superficialità nei confronti dei nostri due italiani, La Torre e Girone, è insopportabile". È quanto dichiara il capogruppo di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale Fabio Rampelli. Guinea Equatoriale: imprenditore italiano detenuto, Manconi presenta esposto a Roma Asca, 1 agosto 2014 Detenuto in un carcere della Guinea a causa dei traffici del suo socio. Il presidente della commissione per la tutela dei diritti umani di Palazzo Madama, Luigi Manconi, ha presentato un esposto al Procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, sul caso di Roberto Berardi, l’imprenditore italiano in carcere nella Guinea Equatoriale per una condanna "subita per truffa e appropriazione indebita come socio del figlio del presidente guineano, Obiang". In particolare - spiega Manconi nell’esposto - "Berardi è in prigione come ritorsione per avere scoperto i traffici illeciti del socio Teodorin Obiang, sottoposto a procedimenti in California e Francia. Nel carcere di Bata - prosegue Manconi - Berardi si trova in isolamento da otto mesi senza provvedimento motivato ed ha subito torture e violenze, tutte documentate, che hanno contribuito a determinare gravi patologie che mettono ora in serio pericolo la sua vita: l’altro ieri un testimone del procedimento californiano, Alessandro Corbara, è morto in Guinea Equatoriale in circostanze sospette, il che fa ulteriormente temere che Berardi si trovi in gravissimo pericolo in quanto egli stesso è un testimone sgradito a Teodorin". Manconi chiede che la Procura della Repubblica di Roma "voglia individuare i responsabili e punirli adoperando tutti gli strumenti di indagine necessari, eventualmente anche a mezzo rogatoria". Stati Uniti: la riforma della giustizia del detenuto Holloway di Massimo Gaggi Corriere della Sera, 1 agosto 2014 Nel 1995 Francois Holloway è stato condannato a 57 anni di carcere per rapina a mano armata e per aver cogestito un affare di auto rubate smembrate e rivendute a pezzi. Non ha mai negato la serietà dei reati commessi, ma una pena detentiva che somiglia all’ergastolo in una vicenda nella quale non c’è stato spargimento di sangue è troppo anche per l’America delle "manette facili". Da tempo, infatti, molti negli Usa hanno cominciato a interrogarsi sulla sostenibilità di una politica di repressione dei reati che ha sicuramente ottenuto un forte calo dei crimini più gravi, dagli omicidi alle rapine, ma con un costo sociale elevatissimo: con 2,4 milioni di cittadini dietro le sbarre o agli arresti domiciliari su poco più di 300 milioni di abitanti, gli Usa detengono il primato mondiale delle incarcerazioni non solo in cifra assoluta, ma anche come incidenza sulla popolazione: 7.100 detenuti per ogni milione di abitanti rispetto ai mille di Italia e Francia o ai 700 di Danimarca e Norvegia. E a finire nei guai, in genere per reati di droga, sono soprattutto le minoranze: gli ispanici e, in misura ancora maggiore, i neri. Denuncia la rivista The Atlantic: "Ci sono più afroamericani incatenati dal sistema giudiziario - in carcere o in libertà provvisoria - di quanti fossero schiavi nel 1850". Da tempo l’Amministrazione Obama sta studiando correttivi che consentano di svuotare almeno parzialmente le carceri senza dare la sensazione di allentare la presa, almeno sui crimini più seri. Si cerca ad esempio di escludere il carcere per i reati minori di droga. Ma il Congresso è paralizzato dai contrasti tra repubblicani e democratici e allora, nel caso di Holloway, a scendere in campo per sostenere la causa della sua scarcerazione non è stato un politico o un’organizzazione umanitaria ma John Gleeson: il giudice che vent’anni fa pronunciò la durissima sentenza. Non poteva fare altrimenti perché allora veniva rigidamente applicata la legge che prevede termini consecutivi di carcere per il reato di rapina e per aver minacciato la vittima usando un’arma: la prima volta sono 5 anni, ma dalla seconda condanna in poi aver impugnato una pistola costa altri 20 anni di carcere. Che diventano 40 se il reato è stato ripetuto due volte, anche se in un unico episodio criminale. Il magistrato non ha mai smesso di pensare a quella condanna abnorme, mentre l’avvocato di Holloway chiedeva alle corti clemenza per "una sentenza ingiusta e assurda". Era la strada sbagliata perché in America non puoi usare la parola "clemenza" quando i reati li hai effettivamente commessi. Ma puoi chiedere una revisione della pena. Il giudice Gleeson, esaminati alcuni casi precedenti e i cambiamenti di una giurisprudenza che non punisce più con tanta ferocia un singolo reato con pene detentive a grappolo, ha riaperto il caso. Martedì scorso la Corte ha sentenziato che la pena originale era ingiusta: i quasi vent’anni già scontati sono più che sufficienti. Holloway dovrà scontare ancora alcuni mesi per reati minori, ma in primavera sarà libero. E ora altri giudici cominciano a pensare che quello della revisione dei processi sia il modo giusto per ridurre il sovraffollamento delle carceri, in assenza di iniziative legislative del Congresso. Russia: dissidente arrestato a Venezia. Il legale: non è criminale, ma perseguitato politico Ansa, 1 agosto 2014 Oleg Vorotnikov, in carcere a Venezia, "non è un criminale, è un attivista, un perseguitato politico (come tanti) e un artista che gode di un ampio riconoscimento internazionale. Non a caso è stato curatore associato dell’ultima Biennale di Berlino". Lo afferma il collettivo Sale Docks, spazio di produzione e sperimentazione artistica indipendente di Venezia. Il collettivo sostiene l’artista anti-Putin, arrestato nella città lagunare per rissa e a rischio estradizione in Russia perché colpito da un mandato di cattura internazionale per una condanna definitiva in patria per aggressione. "Oleg ha una compagna e due bambini che stanno bene - si sottolinea - ma ora temono le procedure di estradizione, che consegnerebbero il padre nelle mani delle autorità russe, pronte a punire il dissenso politico con anni di galera e lavori forzati". L’avvocato Giuseppe Romano, che lo difende, ha incontrato oggi Vorotnikov in carcere. "La sua situazione è grave sotto il profilo della lesione del suo diritto di attivista e artista riconosciuto - afferma. Si chiede la carcerazione per fatti di più di tre anni fa, in cui un video dimostra chiaramente che lui non ha usato violenza alla polizia ma viceversa". "Si tratta di un probabile caso di estradizione che la giurisprudenza definisce mascherata - spiega il legale - ovvero una richiesta di processarlo per un reato comune (resistenza a pubblico ufficiale), quando il vero senso dell’emissione di un mandato di cattura internazionale risiede nel tentativo di riportare in Russia e punire la sua militanza di opposizione politica". A livello internazionale, ricorda l’avvocato, "il trattamento riservato dal governo russo ha fatto molto scalpore in casi eclatanti, come le Pussy Riot, che hanno subito una condanna a due anni di carcere per un reato che in Paesi come il nostro prevede una multa, e comunque mai una vicenda cautelare quale quella patita dalle attiviste, molto vicine a Voina. Il nostro obbiettivo è quindi di evitare che Oleg corra un rischio simile". Il collettivo Sale Docks invita "tutte e tutti, movimenti e società civile, a non fare calare l’attenzione intorno alla vicenda di Voina". "Abbiamo scritto e diffuso una petizione che ha raccolto in poche ore centinaia di firme da artisti e intellettuali in tutto il mondo - rilevano. Chiediamo un atto di coraggio da parte di tutte le istituzioni culturali che possono aiutare Oleg in molti modi, non ultimo quello di dare visibilità al lavoro artistico del collettivo o offrire un alloggio per lui e la sua famiglia". La prima preoccupazione, viene ricordato, "è quella di evitare l’estradizione verso la Russia: Oleg è colpevole solo di avere denunciato un regime corrotto e autoritario. Nessuno più di lui meriterebbe la libertà, l’affetto dei suoi cari di chi lo aspetta presto fuori dal carcere". "Conosciamo i membri di Voina dal 2010 - racconta il collettivo - quando, con un bambino ancora in fasce, approdarono a Venezia per incontrarci su indicazione di alcuni attivisti di Lubiana, dove avevano appena partecipato ad una mostra. A colpirci fu immediatamente la radicalità delle loro performance. A cavallo tra attivismo e storia della arte, le loro azioni (spesso rischiose) denunciano le note contraddizioni di un paese come la Russia: l’autoritarismo, il fondamentalismo religioso, l’omofobia, gli abusi di potere". Gran Bretagna: record detenuti per reati sessuali, sono 11.000 e riempiono otto prigioni Ansa, 1 agosto 2014 È record per i detenuti nelle carceri britanniche che scontano pene per reati sessuali: sono più di 11mila e rappresentano l’intera popolazione carceraria di otto prigioni del Paese. A dirlo il ministro della Giustizia, Chris Grayling, secondo cui questi numeri pongono una serie di nuove sfide in fatto di trattamento dei condannati per questo tipo di crimini. L’aumento dei detenuti è dovuto sia a pene detentive più lunghe ma anche ai casi storici di abusi sessuali che sono stati rivelati in questi ultimi anni e hanno colpito, fra gli altri, volti noti della televisione e personaggi che sembravano insospettabili.