Giustizia: nessuna difesa per il carcere di Laura Coci Il Cittadino, 19 agosto 2014 Per chi è ultimo, per chi è profugo, per chi è detenuto, agosto è il più crudele dei mesi. Non è un caso che, da anni, alla feria d’agosto i parlamentari italiani più illuminati si rechino in visita nei penitenziari - case circondariali e di reclusione - del territorio nazionale. In carcere, in agosto, si diradano le visite, le attività si rarefanno; aumentano - di contro - gli atti di autolesionismo e i suicidi, le ossessioni e i fantasmi si dilatano in uno spazio incapace di contenerli. È bene, dunque, ancora una volta parlare di carcere, ora che cala la presenza di persone ristrette e internate, in formale osservanza con i parametri europei, così come cala il silenzio sulle condizioni inumane e degradanti degli istituti di pena (denominazione eloquente), ove donne e uomini detenuti patiscono comunque il sovraffollamento (meno di tre metri di spazio a disposizione), ma anche l’isolamento nella cosiddetta "cella zero", o "cella liscia", assolutamente vuota (illegale ma presente in diversi penitenziari): senza branda, senza latrina, senza finestra, affinché il recluso non possa farsi male, anche a costo di perdere il senno. Su quali fondamenti, e con quali prospettive, parlare di carcere? L’idea di partenza è offerta dalla condivisione di due documenti, dall’adesione a due campagne di impegno civile promosse in queste settimane estive: l’appello "Per qualche metro e un pò d’amore in più", della rivista di informazione carceraria "Ristretti Orizzonti", e il manifesto "No prison", presentato il 14 luglio a Firenze dai suoi estensori, Livio Ferrari (direttore del Centro di ascolto francescano di Rovigo) e Massimo Pavarini (docente di Diritto penitenziario dell’Università di Bologna). L’appello di "Ristretti Orizzonti" (www.ristretti.org) è un atto d’accusa contro la mortificazione degli affetti in carcere, che colpisce le persone detenute e umilia i loro familiari: dieci minuti la settimana per le telefonate e sei ore al mese per i colloqui, preceduti da attese estenuanti e spesso senza ragione, effettuati in spazi grigi e anch’essi affollati. Una proposta di legge per la liberalizzazione delle telefonate e per lo svolgimento dei colloqui in spazi riservati, già sottoscritta da diverse decine di parlamentari nel 2002 e ora ripresentata con forza, perché - si legge nell’appello - "carceri più umane significa carceri che non annientino le famiglie". Una proposta per tutelare gli affetti, salvaguardare la relazione e la genitorialità, rendere più lieve la quotidianità faticosa delle donne degli uomini detenuti. Una proposta di civiltà, perché la legge è espressione della civiltà dell’istituzione, non della vendetta privata e fine a sé stessa. Il manifesto "No Prison" (www.noprison.eu) è invece una riflessione coraggiosamente abolizionista in tempi di "cultura patibolare", nei quali la paura di essere vittima porta a innalzare le richieste di pena e detenzione. Secondo i suoi estensori, la pena privativa della libertà, il carcere, ha "clamorosamente fallito ogni finalità preventiva", perché la reclusione dei rei "non produce sicurezza dei cittadini nei confronti della criminalità, ma nel suo operare viola sistematicamente i diritti fondamentali, cioè attenta alla dignità umana dei detenuti e delle loro famiglie". Non solo. Il carcere alimenta la recidiva (pari al 67% se la detenzione è scontata dietro le sbarre, al 17% se in misura alternativa; fonte: "Il Sole 24 ore") ed "educa alla delinquenza e alla violenza": ottiene così l’effetto opposto alla propria finalità prima, di prevenzione e contrasto della criminalità. Ancora, "viola i diritti fondamentali e compromette gravemente la dignità umana dei condannati", rappresentati in prevalenza da "soggetti deboli e marginali […] capri espiatori di una società fondata sulla disuguaglianza". In questo orizzonte, la grande maggioranza delle persone che sono oggi in carcere potrebbe essere efficacemente controllata e responsabilizzata "attraverso opportunità pedagogiche ed assistenziali, attraverso modalità lavorative e formative, attraverso risposte economiche, attraverso opportunità risarcitorie". Il carcere, dunque, dovrebbe essere extrema ratio per la criminalità più pericolosa, assolutamente residuale rispetto al totale delle persone detenute. La violazione dei diritti umani fondamentali non dipende soltanto dall’insufficienza degli spazi, ma - come affermano i Radicali Italiani - "è legata a numerosi profili della detenzione, come ad esempio le condizioni igieniche, il riscaldamento degli ambienti, l’ingresso di aria e di luce naturale, l’accesso alle docce, la disponibilità di acqua calda e di acqua potabile, il numero di ore trascorse all’interno delle celle, la effettiva possibilità di intraprendere - attraverso attività di studio, di formazione o di lavoro - quei percorsi di reinserimento sociale indispensabili per dare attuazione alla finalità rieducativa della pena sancita dall’articolo 27 della nostra Costituzione". Il punto è questo: le attività di studio, di formazione o di lavoro. Sono queste, infatti, che determinano la qualità di un’istituzione carceraria. Il carcere è, per definizione, un’istituzione totale: si manifesta all’esterno per ciò che vuole apparire, non per ciò che è realmente. Che le porte blindate si aprano alla città, anche ogni sera, per condividere concerti di musica jazz, cene della legalità, esibizioni di cheerleaders, di per sé non giova ai detenuti (ad altri, forse, non a loro), se non per la possibilità di trascorrere qualche ora in più fuori della cella. Giovano invece le attività di studio - lo studio ancora rappresenta una possibilità di riscatto, dal momento che i nostri giovani più qualificati ora emigrano all’estero, che consentano per esempio di conseguire la licenza media, il diploma di istruzione superiore, la laurea. Cosa molto difficile nei penitenziari italiani, ove i libri sono centellinati non in base a una regolamentazione nazionale, bensì alla discrezionalità delle singole direzioni. La protesta di Marcello Dell’Utri, al quale era permesso di tenere in cella non più di due volumi per volta, è andata a buon fine soltanto grazie alla notorietà di Dell’Utri medesimo. Se Eduard Limonov, oppositore di Vladimir Putin, nell’isolamento della fortezza di Lefortovo ha preservato la propria salute mentale grazie alla lettura dell’opera integrale di Lenin (tra le poche consentite!), più semplicemente, per il Detenuto Ignoto - che spesso non ha la possibilità neppure di scegliere un libro di proprio gusto - la lettura rappresenta una via di fuga verso l’esterno, verso la vita. Giovano, tanto, le attività di formazione: formazione professionale soprattutto, che possano preparare il reinserimento sociale delle persone ristrette, dando loro nuove competenze, nuove opportunità, nuove sicurezze in quel "fuori" nel quale, una volta libere, stentano a orientarsi. Giovano infine, davvero tanto, le attività lavorative: favoriscono l’autonomia (anche economica), consentono al tempo di trascorrere con minor lentezza, rafforzano l’autostima. Il carcere onesto (il carcere perfetto non esiste) ha dunque il dovere di promuovere attività di studio, di formazione o di lavoro valide ed efficaci. Il resto è folclore, simpatico magari, ma folclore. In Italia, purtroppo, le carceri ove si praticano tali attività, le carceri oneste, sono pochissime. Che si discuta e si investa, allora, su come rendere le carceri italiane più oneste e rispettose del dettato costituzionale. Prima di procedere, come auspica il manifesto "No Prison", alla loro abolizione. Giustizia: la Polizia ad Alfano "con lo svuota-carceri dimezzati gli arresti di spacciatori" di Alberto Custodero La Repubblica, 19 agosto 2014 Dimezzati arresti e denunce, a cinque mesi dalla legge svuota carceri che ha di fatto vietato l’arresto per il "piccolo spaccio". E i funzionari di Polizia lanciano l’allarme: "Così si incoraggiano gli spacciatori". E inviano una lettera aperta al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, al quale chiedono di "intervenire per restituire efficacia al sistema repressivo". "Il dimezzamento degli arresti - scrive al ministro Lorena La Spina, segretario dei Funzionari di polizia - e il contestuale calo delle denunce pare indicare un disinvestimento rispetto alle attività di prevenzione e repressione del "piccolo spaccio". I numeri della Direzione Antidroga del Viminale, del resto, parlano chiaro: confrontando il trimestre aprile-maggio-giugno del 2013 con lo stesso periodo di quest’anno, il contrasto al "piccolo spaccio" sul territorio nazionale è calato progressivamente, fino a risultare dimezzato. A giugno, per esempio, le operazioni antidroga sono scese da 1.556 a 932, le persone arrestate dalla polizia giudiziaria sono passate da 2.055 a 903, in calo del 50% anche quelle denunciate: da 602 a 340. Ma il trend che ha portato al dimezzamento era iniziato già all’indomani dell’entrata in vigore della cosiddetta norma "svuota carceri". Ad aprile le operazioni antidroga erano passate da 1.484 a 1.208, gli arresti da 1.816 a 1.326. A maggio, le operazioni antidroga sono scese da 1.823 a 1.146, gli arresti da 2.055 a 1.292, le denunce da 583 a 302. "Se l’obiettivo perseguito dal legislatore di svuotare le carceri è più che legittimo - scrive ancora La Spina ad Alfano - si è però sottovalutato il fatto che il "piccolo spaccio" è un fenomeno in realtà assai pericoloso, che alimenta la criminalità organizzata, creando un grande allarme sociale. E che finisce col determinare la ghettizzazione di interi quartieri delle nostre città". Il fatto che praticamente non sia più possibile l’arresto per gli spacciatori di strada, secondo l’Anfp, fa dello svuota carceri un "provvedimento destinato ad incidere in termini fortemente negativi, oltre che sulla nostra concreta operatività, anche sull’efficacia deterrente della sanzione penale prevista". "Questa norma - aggiunge Lorena La Spina - finirà per incoraggiare questo grave fenomeno ". Se i funzionari di Polizia hanno chiesto l’intervento di Alfano, analoghe preoccupazioni erano state espresse nelle settimane scorse dai magistrati torinesi che, a giugno, erano stati costretti a lasciare in libertà uno spacciatore sorpreso a vendere droga due volte nel giro di 36 ore. "La riforma era doverosa e necessaria - avevano commentato in quell’occasione i pm torinesi - ma rende difficilissimo combattere il piccolo spaccio di strada. E il fenomeno, socialmente, può avere reazioni devastanti". Insomma, per i funzionari di Polizia la nuova disciplina sugli stupefacenti "finisce col trasformare in un problema di polizia il sovraffollamento carcerario ". L’impossibilità di arrestare gli spacciatori di strada, dicono ancora i sindacati, "compromette ulteriormente l’efficacia degli strumenti di cui dispongono le Forze dell’ordine. E contribuisce ad alimentare la già diffusa convinzione che esista una sostanziale impunità, a vantaggio dei professionisti del crimine, dei soggetti più spregiudicati, di coloro che ritengono di non aver molto da perdere e conseguono guadagni significativi attraverso lo spaccio di sostanze stupefacenti, ben sapendo che, nella peggiore delle ipotesi, non rischieranno di trascorrere neppure un giorno in carcere". Giustizia: svuota-carceri, è scontro politico sulla denuncia degli agenti su crollo arresti di Alberto Custodero La Repubblica, 19 agosto 2014 La norma contestata che vieta l’arresto in caso di "piccolo spaccio". Il Pd si divide tra chi difende il decreto e chi invece sostiene la preoccupazione dei funzionari di polizia. È scontro sulla norma svuota-carceri entrata in vigore cinque mesi fa che ha di fatto vietato l’arresto in caso di "piccolo spaccio". I funzionari di polizia hanno denunciato in una lettera aperta al ministro dell’Interno: "Dimezzati gli arresti, intervenga Alfano". Troppi pusher in libertà, dunque? Mentre il titolare del Viminale sta riflettendo per rispondere all’appello dei funzionari di Polizia, i politici del Pd si dividono tra chi difende la norma che qualcuno ha già battezzato "salva spacciatori". E chi esprime preoccupazione, come ad esempio, il deputato dem Simone Valiante. "Se la svuotacarceri deve consentire ai pusher di spacciare impunemente - commenta Valiante - allora vuol dire che c’è qualcosa che non funziona e che merita di essere corretta". "Non possiamo frustrare l’operato di forze dell’ordine e magistrati - aggiunge - né possiamo consentire che alcune zone dei quartieri delle nostre città si trasformino in ghetti. Se il ministro Alfano può intervenire attraverso una circolare o una direttiva, bene. Altrimenti se è necessario si ponga rapidamente mano alla norma. Anche perché gli spacciatori sono più pericolosi dei vu cumprà". A difendere lo spirito della norma la presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, Pd. "Manca una corretta informazione sullo spirito della legge - dichiara Ferranti - che si riferisce a fatti di lieve entità, per evitare che non vedano subito il carcere quei ragazzi che magari spacciano un po’ di droga agli amici per procurarsela a loro volta". Insomma, secondo la presidente Ferranti, la norma vale solo per la piccola cessione occasionale, non certo per lo spacciatore di strada seriale che lavora per un’organizzazione. Per loro, i cosiddetti "cavalli", sono rimaste in vigore le leggi che prevedono l’arresto (l’articolo 73 che arriva fino a 7 anni di pena). Ma i funzionari di Polizia sostengono, dati alla mano, che da quando è entrata in vigore la norma svuota-carceri sugli stupefacenti, è calato il contrasto delle forze dell’ordine allo spaccio di strada. Gli arresti si sono dimezzati, lo stesso trend vale anche per le operazioni antidroga. L’impossibilità di arrestare chi spaccia, sostengono in sostanza i sindacati di Polizia, rende inutili le indagini. Rende quasi impunibile questo tipo di reato. Demotiva gli investigatori che hanno ridotto drasticamente il numero delle operazioni antidroga, come dimostra il calo delle denunce. Ma questo atteggiamento, per la presidente della commissione Giustizia della Camera, è un grave errore. "Il pusher denunciato per cessione di lieve entità - spiega Ferranti - può essere ammesso ai lavori di pubblica utilità, a programmi di recupero anche con la messa alla prova, come previsto da una legge di nuova approvazione di questo Parlamento. Quindi rinunciare a denunciare è un grave errore da parte della polizia. Il carcere non può essere la sola soluzione per il recupero di chi ha commesso fatti di lieve entità". Il punto, quindi, è che per applicare questa legge ci vuole un approccio culturale diverso. "Lo spirito della norma - aggiunge Ferranti - va spiegato alle forze dell’ordine con corsi di aggiornamento professionali, svolti in concerto con le procure e le prefetture. La realtà va interpretata e valutata, ci vuole uno sforzo di tutti e una nuova formazione". Sulla polemica, in difesa della norma, interviene anche Emanuele Fiano, responsabile sicurezza del Pd. "La denuncia dei Funzionari è molto utile - commenta Fiano - penso ci sia stata una non sufficiente interpretazione di quel che ha stabilito il Parlamento. Per questo alla riapertura della Camera proporrò che la Prima Commissione, insieme a quella Giustizia, organizzi una audizione dei Funzionari di polizia per discutere con loro gli effetti della legge. Se loro denunciano un effetto negativo, per noi invece la nuova scelta del legislatore non indebolisce l’efficacia della lotta allo spaccio". "Ma siamo così sicuri - domanda Fiano - che con le leggi precedenti che prevedevano l’utilizzo della carcerazione si riusciva a debellare il fenomeno dello spaccio? A volte si entrava in prigione in un modo. E si usciva anche peggio". Giustizia: Ciisa Penitenziari; la paghetta ai detenuti è fallimentare, occorre l’amnistia www.informazione.it, 19 agosto 2014 Cristiana Chierchia, Segretario Generale della Ciisa Penitenziari: "Il trio vincente per uscire dalla crisi carceraria è: Amnistia, Indulto e libertà su cauzione. Segretario cosa ne pensa del Governo Renzi in merito al risarcimento danno per i detenuti che si ritrovano in condizioni "inumane o degradanti"? "È chiaro che il Governo Renzi, ha studiato bene, di prevedere un risarcimento giornaliero di € 8,00 per quei detenuti che si trovano in condizioni "inumane o degradanti" e nel caso in cui non si possa applicare lo sconto di pena o nel caso in cui il periodo di pregiudizio sia inferiore ai 15 giorni, ciò per farla franca con le notevoli sanzioni, ma a rimetterci le spese sono gli Italiani. Questa è la conseguenza di chi non è in grado di garantire un’ospitalità dei detenuti nella misura dignitosa e rispettose delle disposizioni comunitarie nonché a criteri umanitari". Secondo lei - Segretario Chierchia - quale strada perseguirebbe per uscire da questa situazione critica delle carceri? "Credo che il trio vincente da perseguire oggi è l’Amnistia, l’Indulto e l’introduzione della Liberta su Cauzione... Noi della Ciisa Penitenziaria ne siamo sicuri e sempre più convinti, bisogna entrare in una nuova ottica e che il carcere deve essere l’ex-trema ratio alla quale il Giudice deve ricorrere quando non ha altre alternative. Bisogna, oltre alle misure alternative al carcere, dare la possibilità di previsione della libertà su cauzione, per reati non di impatto sociale devastanti, pagando una cauzione per conquistare l’assoluzione. Questo significa un risparmio per lo Stato? Come la cd. paghetta? "Certo un doppio risparmio, in caso di introduzione della libertà su cauzione, uno perché non si mantengono detenuti in carcere (meno spese), due un entrata certa e liquida per le casse dello Stato. Mentre l’introduzione della "paghetta" per lo Stato è una ulteriore uscita "sperequativa e offensiva" per il popolo Italiano, che in questo periodo soffre per arrivare a fine mese. Cosa avrebbe fatto per uscire da questa situazione nell’immediato? "Avrei optato a strumenti di clemenza come l’Amnistia e l’Indulto. Successivamente lavorare sul progetto dell’introduzione della libertà su cauzione. Sono in troppo a parlano, a criticare e tutti vogliono aver ragione, con proposte sempre più vecchie, schematiche e clientelari, ma alla fine i fatti non si vedono... Infine Segretario, come lo definisce il Governo Renzi e cosa gli suggerisce? Le misure adottate dal Governo Renzi li riteniamo "provvedimenti tampone" ed utili solo ed esclusivamente per il "momentum", se non seguono riforme strutturali del sistema penitenziario e provvedimenti legislativi che mirino ad organizzare la Giustizia Italiana, non servono a nulla. Suggerirei al Presidente del Consiglio dei Ministri che invece di focalizzare il tutto sui debitori dello Stato perché non si pensa ad aumentare l’indennità di presenza giornaliera, per gli agenti di Polizia Penitenziaria che prestano la propria opera per lo Stato, con un ulteriore importo di € 15,00 a turno, al fine di evitare che "lo sfruttamento" o questo sacrificio richiesto, si possa tradurre, in ricorsi nelle sedi opportune per l’eventuale riconoscimento del danno patito. Infine perché non pensa di sbloccare gli Stipendi agli appartenenti del comparto Sicurezza? Giustizia: Rondini (Lega): sovraffollamento delle carceri per colpa degli immigrati Asca, 19 agosto 2014 "I dati sulla popolazione carceraria parlano chiaro e ci danno come sempre ragione: dei 7.743 detenuti nelle strutture carcerarie della Lombardia per lo più i carcerati sono stranieri: ben 3.360, il che indica la causa del sovraffollamento carcerario che ci costa milioni di euro e tante scellerate leggi". Lo ha dichiarato in una nota il deputato della Lega Nord Marco Rondini. Secondo l’esponente del Carroccio "l’inutilità dei provvedimenti svuota carceri sono dunque evidenti, l’unica soluzione al problema e che la Lega professa da sempre è che gli stranieri scontino la pena nei loro paesi d’origine". Giustizia: la prevalenza del legislatore cretino di Marco Travaglio Il Fatto Quotidiano, 19 agosto 2014 Ormai da tempo immemorabile, non appena si ventila l’ipotesi di riformare la giustizia, si varano subito norme per riformare i giudici: correnti, carriere, responsabilità civile o disciplinare, Csm, E, non appena i detenuti superano il 150% dei posti cella, s’approntano leggi svuota carceri per farne uscire un po’. Poi è arrivato Renzi. E chi si è bevuto la favola del Rottamatore s’è illuso che la musica cambiasse. Per qualche minuto, non di più: il tempo di vederlo salire al Quirinale col nome di Gratteri alla Giustizia e tornare indietro con quello di Orlando. A quel punto doveva essere chiaro a tutti che la riforma della giustizia - quella vera, che dovrebbe tagliare alla fonte il numero dei processi penali e civili, snellirne l’iter per abbreviarne la durata e punire severamente i delitti che ci hanno portati alla bancarotta - non avrebbe mai visto la luce. Invece i boccaloni han continuato a cascarci, grazie anche alle paginate di fuffa giornalistica intitolate "Così cambierà la Giustizia", quando è chiaro a tutti che non cambierà una mazza. L’epocale Riforma, annunciata da Renzi entro e non oltre fine luglio, poi ridotta a 12 "linee guida" - una serie di pensierini da terza elementare o da letterina a Babbo Natale da discutere in Rete - è stata spostata entro e non oltre il 20 agosto (a proposito, è domani: novità?)- E, se abortirà, non è detto che sia una disgrazia. Intanto perché sarebbe affidata alla classe politica più stupida e incompetente della terra. E poi perché soggiace al diritto di veto del noto pregiudicato, secondo il lodo Renzi che ricorda tanto il Gomma 22: le riforme costituzionale ed elettorale si fanno con chi ci sta (cioè B.), mentre invece sulla giustizia bisogna ascoltare l’opposizione (cioè B.). L’altro ieri Piercamillo Davigo ha spiegato che le 12 linee guida "si occupano di cose inutili" perché "contengono un errore di fondo: si vuole fissare ancora una volta la durata massima di un processo, anziché cercare di ridurre il numero dei processi. Occorre disincentivare il ricorso ai tribunali. Chi ha torto deve pagare, non costringere chi ha ragione a fargli causa. Deve sapere che se finirà davanti a un giudice e questi capirà che ha torto, si prenderà una condanna ancora più pesante. Non serve una rivoluzione, bisogna partire da pochi principi che avranno ricadute a lungo termine". Idem per le carceri: "L’Italia, rispetto agli altri Paesi europei e agli Usa, ha il numero di carcerati più basso rispetto alla popolazione, ma le carceri scoppiano. Per l’insipienza della classe politica, però, si andrà a svuotarle di nuovo. Le soluzioni sono altre: costruire nuove carceri o limitare i reati per cui la pena si sconta in carcere". Nelle stesse ore Enrico Costa del Ncd rilanciava la boiata del "processo breve" (cioè della legge che ammazza i processi se non finiscono entro e non oltre la data fissata dal legislatore cretino). E Donatella Ferranti del Pd salmodiava su Repubblica sulla necessità di assicurare la "durata ragionevole ai processi" per "allinearci con gli altri paesi europei". Senza naturalmente spiegare quale ragionevole durata potrà mai garantire un Paese dove ogni anno 8 mila magistrati si vedono piovere addosso 6-7 milioni di nuovi processi fra civili e penali, da celebrare in tre gradi di giudizio, con la collaborazione straordinaria di 250 mila avvocati che nel 2024 saranno 400 mila. Intanto i politici cretini, a furia di varare inutili "pacchetti sicurezza" e di inventare reati assurdi tipo la clandestinità, il porto abusivo di bombolette di vernice spray e - ultimo nato - l’istigazione all’anoressia, convincevano gl’italiani che i delinquentelli di strada sono più pericolosi di bancarottieri, corrotti, corruttori, concussori, evasori fiscali e falsificatori di bilanci. Finché i governi erano composti da nutrite delegazioni di queste categorie criminali, si poteva capirli: sapevano quel che facevano. Ora che non è più così, delle due l’ima: o non sanno quello che fanno, oppure fanno quello che ancora non sappiamo. Giustizia: Napolitano; sulla riforma fare scelte nel solco dell’Europa di Marzio Breda Corriere della Sera, 19 agosto 2014 È stato per vent’anni il tema che più ha diviso i partiti, tenendo sotto stress il rapporto tra i poteri dello Stato. E ora sembra che finalmente ci si muova davvero nel solco degli interventi sempre auspicati dal Quirinale per dare un’efficienza "europea" all’amministrazione giudiziaria e per riequilibrare il rapporto tra politica e giustizia. Intento apprezzato, da Giorgio Napolitano, e che sta per assumere concretezza grazie a una riforma (civile, penale, ordinamentale) in 12 punti, la gran parte dei quali seguirà il percorso di un disegno di legge, che il ministero di via Arenula completerà entro il 29 agosto, dopo aver perfezionato i propri intenti con una sorta di consultazione pubblica fra tutti gli attori interessati. Consultazione online, ma non solo. Ecco: già questo metodo (oltre a diverse questioni di merito) è stato valutato positivamente dal presidente della Re -pubblica, nell’incontro di ieri pomeriggio a Castelporziano con il guardasigilli Andrea Orlando. Gli è sembrato insomma che si sia partiti con il piede giusto, con un’elaborazione che copre parecchi argomenti messi da lui stesso all’ordine del giorno negli anni scorsi. E, per quanto il suo ruolo non gli permetta di avere alcun tipo di "sentimento" rispetto alle scelte politiche che governo e Parlamento si preparano a fare, è chiaro che il complessivo equilibrio costituzionale di una revisione così vasta e penetrante lo riguarda. Anche perché, tra le prerogative che la nostra Magna Charta gli assegna, c’è quella di guidare l’organo di autogoverno della magistratura, il Csm. Qualche esempio concreto, per spiegarci: il compito di garantire che non passino misure tali da mettere sotto controllo O rendere comunque "ricattabile" la funzione del giudice oppure provvedimenti tali da ledere alcune libertà fondamentali, come quella alla riservatezza e la libertà di stampa. Sono casi che rientrano nelle dibattu-tissime questioni della responsabilità civile delle toghe e delle intercettazioni. Sul primo versante l’esecutivo si muove, come suggerito anche dai tecnici del Colle, nella logica di adeguare l’attuale normativa alla giurisprudenza europea. E in questo senso pure il capo dello Stato riconosce che la legge Vassalli del 1988, subordinando il risarcimento danni alla prova del dolo e della colpa grave del magistrato, non ha mostrato di funzionare. Perché i filtri predisposti dal legislatore sono divenuti dei tappi, rispetto alle aspettative del cittadino che sia stato vittima di un’ingiustizia e che reclami una riparazione del danno subito. Va quindi corretto il sistema, ma non tanto nel senso agitato in Parlamento con l’emendamento Pini (la "azione diretta" non c’è in alcun Paese), semmai nel senso previsto dal diritto comunitario, che si fonda su presupposti diretti, oggettivi e non soggettivi. Sul secondo versante il dilemma è, come detto, sul parallelo e delicato bilanciamento di tre diritti: alla privacy, alle indagini e all’informazione. Sarà come camminare sulle uova e, ha raccomandato il presidente, non bisognerà prestare il fianco a strumentalizzazioni interessate. Giustizia: Giarrusso (M5S); il patto con Berlusconi c’è… ma Renzi non lo onorerà di Errico Novi Il Garantista, 19 agosto 2014 "Mi angosciano". Chi? "Renzi, Orlando. Meno fanno sulla giustizia è meglio è", E nessuno riesce a smuovere il senatore Mario Giarrusso da questa convinzione. Catanese, 49 anni, Giarrusso è il capogruppo dei Cinque Stelle nella Commissione Giustizia del Senato .È convinto che un accordo, inconfessabile, tra Renzi e Berlusconi sulla giustizia esista, eccome. Ma dice anche che il premier concederà al Cavaliere qualcosa "solo se gli conviene". Una volta ottenuta la contropartita che gli serve, Renzi "non si farà scrupolo di cancellare Berlusconi dalla scena pubblica del nostro Paese". Una specie di sanguisuga. Così la vede il più battagliero dei parlamentari "grillini" schierati contro il presunto accordo segreto Pd-Forza Italia. Eppure in molti dei suoi 12 punti la riforma delia giustizia pare deludere le aspettative dei berlusconiani. Come sulla responsabilità civile dei giudici. Senta, su quella legge noi di M5S siamo riusciti a fare un buon lavoro con il capogruppo del Pd in commissione, Beppe Lumia. Con lui c’è una buona intesa. E Forza Italia resta in fuori gioco, appunto. E sì, però poi arrivano Brunetta, Verdini, Berlusconi, parlano con Renzi e magari alla Camera stravolgono tutto. Tanto vale che la legge se la faccia il governo da solo. E così mi pare che andrà in questo caso. FI ha proposto che lo Stato si rivalga sul giudice per l’intero danno risarcito all’eventuale ricorrente, ma-pesta ipotesi non è passata. Quisquilie. È il conto della serva. Il punto vero della responsabilità civile era l’articolo 1 della legge, che inizialmente prevedeva la responsabilità diretta. Roba da repubblica delle banane. Con Lumia l’abbiamo fermata. È passata una versione attenuata, non quella proposta da FI. È vero. D’altronde a valutare la responsabilità civile di un giudice è sempre un altro magistrato. E questo certifica che i procedimenti continueranno a svanire nel nulla. Su questa materia comunque Berlusconi non vuole ima legge, vuole solo colpire i giudici che operano con correttezza e che gli danno fastidio. L’esito del percorso legislativo non giustifica il suo catastrofismo, senatore. Guardi, la mia valutazione è ampiamente giustificata da quanto avvenuto sul 416 ter, la norma sui politici che si mettono a disposizione dei mafiosi. Ci è stata restituita smembrata dalla commissione Giustizia della Camera, dopo l’incontro del trio lescano Berlusconi-Verdini-Renzi. La presidente della commissione, Donatella Ferranti, sostiene che non c’è alcun patto segreto sulla giustizia, tra Renzi e Berlusconi. A me non risulta che la presidente Ferranti fosse presente all’incontro del Nazareno. Lei di sicuro non lo sa. Può parlare de relato. Le è stato riferito che il patto non c’è. Noi siamo convinti che il patto c’è. Cosa glielo fa dire? Se il patto non fosse inconfessabile ne avrebbero rivelato i contenuti. Non ci vengano a raccontare che l’inconfessabile è la riforma costituzionale. Qual è l’oggetto allora? Di modifiche alla legge Severino che consentano a Berlusconi di tornare candidabile se n’è parlato. Di sicuro Berlusconi le ha chieste, ma Renzi, se ho capito come ragiona, non gliele ha concesse. Gli ha concesso altro che poi non gli darà: per chiarimenti sull’inclinazione di Renzi a mantenere le promesse, chiedere a Enrico Letta. Lei sta dicendo che il patto c’è ma che Renzi alla fine non lo rispetterà? Mi è sembrato che non rispetti nessun accordo se non quelli con la ristretta cerchia dei suoi amici fiorentini. Da tempo Fitto mette in guardia Berlusconi. D’altronde il Cavaliere non sa più a cosa aggrapparsi e dà credito a chiunque. E se semplicemente Renzi e Orlando approfittassero degli opposti estremismi FI-M5S per realizzare una riforma della giustizia di esclusiva matrice Pd? Ipotesi fondata. Ma con una precisazione, che ci arriva sempre dalla vicenda del 416 ter. La pena minima per i politici che in cambio di voti si mettono a disposizione dei mafiosi è stata abbassata di oltre il 40%: a 4 anni. Con i meccanismi demenziali dei benefici e degli sconti non supera i 2 anni. E questo impedisce l’arresto, e se non ci sono altri reati connessi impedisce anche le intercettazioni. Sa come ci si è arrivati? Come? Fino a una certa mattina il testo della legge all’esame della Camera era lo stesso sul quale avevamo lavorato noi nella commissione Giustizia del Senato, poi c’è stato rincontro Verdini-Renzi-Berlusconi, e il pomeriggio ne è arrivato uno nuovo. Su questo punto Renzi ha dato a Forza Italia quanto richiesto. Vede, dipende dalla convenienza del momento. Lei dice che Renzi non rispetta i patti. Sul 416 ter il voto era previsto poche ore dopo l’incontro. Era una cambiale impossibile da eludere. È proprio questo il meccanismo: se Berlusconi gli porta tutto quello che gli serve, Renzi lo cancella dalla scena pubblica del Paese. E anche dalla riforma della giustizia. Ma se la cambiale nelle mani di Berlusconi viene a scadenza prima, Renzi la deve pagare per forza. La onorerà il meno possibile, ma qualcosa concederà. Giustizia: Cicchitto (Ncd); attenzione alle controriforme, metodi di Cantone da dittatura Agi, 19 agosto 2014 "È del tutto inaccettabile che in sede di riforma della giustizia si affermi che si vuole ridurre solo ad alcuni casi la possibilità di fare appello. Se non si limita bene il ricorso alla custodia cautelare, se non si ridimensionano le intercettazioni e addirittura si tagliano i casi in cui è possibile l’appello, allora ci troveremmo di fronte ad una controriforma della giustizia e non ad una riforma". Lo afferma Fabrizio Cicchitto, del Nuovo Centrodestra. "In questo quadro due delle proposte avanzate dal dottor Cantone sono inaccettabili: una che riguarda anch’essa l’eliminazione di questo appello che evidentemente dà molto fastidio ad alcuni magistrati, l’altra èla proposta dei cosiddetti agenti provocatori che è tratta da un repertorio nazista-comunista che francamente non può appartenere ad una Repubblica democratica". Aggiunge. Falanga (Fi): affermazioni Cantone non condivisibili "Ho apprezzato ed ammirato la figura e la storia del magistrato Raffaele Cantone, che ho conosciuto leggendo il suo libro "Solo per (in)giustizia", e sono certo che il suo contributo nella lotta alla corruzione sarà efficace e proficuo. Ritengo, però, che la magistratura debba svolgere la propria funzione, qualunque essa sia, nel più assoluto riserbo e che debba evitare di prevalicare i propri limiti istituzionali". Così, in una nota, il senatore di Forza Italia, Ciro Falanga, componente Commissione Giustizia del Senato. "Le leggi sono di indiscutibile competenza della politica. Nello specifico, poi, le dichiarazioni rilasciate alla stampa dal dottor Cantone in tema di riforma della giustizia, ed in particolare la sua affermazione per la quale in alcuni casi tre gradi di giudizio siano inutili, non possono essere condivise da alcuno - conclude - Se si pensa di ridurre i tempi del processo comprimendo le garanzie, è quanto di più sbagliato si possa immaginare. Un esempio per tutti: non vi fossero stati tre gradi di giudizio, Tortora sarebbe morto in carcere". Lettere: che caldo… al fresco di Achille della Ragione www.napoli.com, 19 agosto 2014 Anche quest’anno a ferragosto si è ripetuto il mesto rito del pellegrinaggio dei parlamentari ai penitenziari per rendersi conto delle miserevoli condizioni di vita dei carcerati. All’iniziativa dei radicali, passata sotto silenzio sulla stampa, questa volta hanno aderito in tanti. I parlamentari si sono recati non solo nelle grandi galere: Poggioreale, Regina Coeli, Ucciardone, ma hanno ispezionato anche piccole strutture, scoprendo, ad esempio, che la recettività più assurda, meno dello spazio in una cuccia di un cane, la si trova a Lucca, dove per ogni recluso in cella è disponibile meno di due metri quadrati. E poi un interminabile elenco di carenze, tutte già ben note ed alcune che gridano vendetta e meriterebbero di essere portate davanti alle corti di giustizia europee: sovraffollamento record, condizioni igieniche disastrose, suicidi a catena per disperazione, personale di custodia insufficiente, mentre non si applicano pene alternative, mancano progetti per ammettere ad un utile lavoro esterno e la giustizia, sempre più lenta, tollera che la metà dei reclusi sia in attesa di giudizio e di conseguenza, se la Costituzione non è carta straccia, innocente. Bisogna urgentemente passare dalla teoria alla pratica. Alla ripresa dei lavori parlamentari vengano presentate serie proposte bipartisan per la depenalizzazione di molti reati, riservare la custodia cautelare ai casi più gravi, incrementando l’istituto degli arresti domiciliari sotto la tutela del braccialetto elettronico, fornire incentivi economici e fiscali alle imprese che assumano detenuti in semi libertà o che hanno da poco scontato la pena, potenziare il personale di custodia, senza dimenticare psicologi ed educatori. Ma soprattutto fate presto per evitare che il problema si risolva da solo attraverso un’allucinate catena di suicidi: dall’inizio dell’anno sono quasi cinquanta. Sardegna: Caligaris (Sdr); la sanità penitenziaria è inadeguata ai bisogni dei detenuti Ristretti Orizzonti, 19 agosto 2014 "La Sanità Penitenziaria non garantisce ai cittadini privati della libertà condizioni adeguate alle numerose esigenze. È divenuto improrogabile un intervento dell’assessorato regionale sul piano organizzativo, specialmente in realtà complesse come quella di Buoncammino dove ai problemi di salute si aggiungono l’età avanzata di molti detenuti, i disturbi psichici nonché le tossicodipendenze. L’aggressione ad un agente della Polizia Penitenziaria da parte di un detenuto della Casa Circondariale di Cagliari è solo la punta di un iceberg". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", ricordando che "da quando la competenza è passata alle Aziende Sanitarie Locali la situazione nelle strutture penitenziarie non riesce a trovare il giusto passo, anche per la scarsità di strutture per le misure alternative". "Le responsabilità della gestione dei ristretti con gravi problemi psichiatrici - sottolinea - non possono ricadere sugli Agenti che, il più delle volte, svolgono ruoli supplenti a causa di un’organizzazione carente. I problemi non possono essere risolti soltanto con ricoveri nel Servizio Psichiatrico o interventi tampone per situazioni emergenziali. È arrivato il momento di gestire le problematiche in modo più razionale. Innanzitutto è necessario istituire il "medico di base" dei detenuti, ricordando primieramente che si tratta di pazienti. Ciò garantirebbe a ciascun recluso un referente certo a cui rivolgersi per le proprie esigenze". "Attualmente - evidenzia la presidente di Sdr - la situazione risulta talvolta caotica con una pletora di personale medico e infermieristico senza linee guida ben definite e con un centro clinico trasformato in un reparto di geriatria. Il ricorso agli specialisti esterni e agli strumenti diagnostici è viziato da tempi biblici che non permettono interventi tempestivi. Spesso le visite nelle strutture ospedaliere, peraltro oberate dalle emergenze, slittano di mese in mese determinando situazioni di alta criticità, non sempre poi senza pesanti conseguenze". "Osservare più da vicino la situazione dentro le strutture penitenziarie significa per la Regione - afferma ancora Caligaris - trovare un modo per rendere più umana la permanenza di chi deve scontare una pena ma anche individuare strutture alternative per consentire a persone anziane e con gravi patologie legate all’età di conservare la dignità. Tenere dentro un carcere ultra ottantenni talvolta neppure autosufficienti non è degno di una Stato civile. Fondamentale pertanto è istituire tetti di spesa specifici per detenuti in modo che possano accedere a residenze sanitarie, comunità e/o case famiglia". "In attesa che riprenda il dibattito in Consiglio regionale sul Piano Sanitario sarebbe opportuno - conclude - che l’assessore effettuasse una visita nel carcere di Buoncammino per verificare di persona le oggettive condizioni organizzative anche perché la razionalizzazione non può prescindere da un impiego utile del personale e dei mezzi di cui si dispone. Ciò a maggior ragione in vista del trasferimento dei detenuti nel Villaggio Penitenziario di Uta, dove saranno indispensabili concreti atti a partire dall’indicazione di un Dirigente Sanitario del Centro Clinico a pieno titolo, e del ritorno in Sardegna dei detenuti degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari". Molise: detenuti al lavoro, firmato il protocollo d’intesa tra carcere e capoluogo www.quotidianomolise.com, 19 agosto 2014 Dopo i dati pubblicati dal Ministero della Giustizia sul sovraffollamento delle carceri, suona di grande attualità la delibera dell’Esecutivo di Palazzo San Giorgio con la quale il Comune si fa promotore di un protocollo di intesa tra l’Istituto comprensivo Francesco Iovine, la Casa Circondariale di Campobasso e l’Associazione "Il Nostro Quartiere San Giovanni", per l’occupazione dei detenuti nel capoluogo di regione. L’obiettivo è quello di implementare il flusso di opportunità lavorative mediante la promozione, la ricerca e l’organizzazione di attività occupazionali in favore della popolazione detenuta nel carcere di Campobasso. Le parti coinvolte nel protocollo d’intesa hanno ritenuto fondamentale promuovere il valore della "cultura e del sapere" attraverso la sottoscrizione del protocollo d’intesa finalizzato proprio alla promozione di un programma per lo svolgimento di attività lavorative extra murarie da parte di soggetti in stato di detenzione in favore delle comunità locali. Opportunità che risolverebbero, in parte, il problema legato al numero dei detenuti, seppur a Campobasso non siano in esubero. Lo scopo del protocollo d’intesa è lo stesso che ha dato origine alle borse lavoro volute dall’amministrazione comunale quando a capo c’era ancora Luigi Di Bartolomeo. Per adesso si tratta di impegno a donare delle possibilità ai detenuti, nel prossimo futuro si attendono le proposte concrete. Padova: l’inchiesta sul "Due Palazzi", detenuti pestati per tenere il segreto di Nicola Munaro Corriere Veneto, 19 agosto 2014 Detenuto picchiato perché voleva uscire dal giro: alla fine si era suicidato. La procura ha aperto un fascicolo su due guardie e sei reclusi, già indagati per traffico di droga e telefonini. I fatti sono di un anno fa, ben prima che il sostituto procuratore Sergio Dini con la sua inchiesta squarciasse il velo che avvolgeva il sottobosco di spaccio e corruzione tra le celle e i corridoi del carcere Due Palazzi di Padova, dove detenuti e guardie conniventi avevano messo in piedi un commercio di droga, sim, telefonini e favori vari in cambio di denaro. Un giro stretto in cui era facile entrare e da cui era difficile, se non impossibile, uscire. Sono stati due i detenuti che avevano provato a lasciare il giro negli ultimi ventiquattro mesi: hanno testimoniato entrambi e uno dei due si è suicidato dopo l’interrogatorio. Avevano raccontato di essere stati convinti con la forza a non lasciare il gruppo; picchiati da due agenti di polizia penitenziaria e da altri detenuti spinti dalle ritorsioni e dalle minacce della polizia a mettere in un angolo le persone con cui condividevano i segreti e pestarle a sangue. Ora sono in otto a essere indagati con l’accusa di concorso in concussione: due agenti di custodia e sei detenuti, tutti già iscritti nel tronco maestro dell’inchiesta. Nero su bianco quelle accuse le aveva messe l’interrogatorio di uno dei carcerati finito tra i trentacinque indagati dell’operazione Apache: Giovanni Pucci, 44 anni, dietro le sbarre fino al 2025 per l’omicidio di una dottoressa uccisa a colpi di cacciavite nel 1999 e usato come corriere di droga e tecnologia proibita dalla cricca, che sfruttava il suo ruolo di cameriere tra i vari piani del Due Palazzi. Giovanni Pucci però si è suicidato impiccandosi con una cintura alla finestra della sua cella il 25 luglio scorso, il giorno dopo aver vuotato il sacco di fronte al pm e aver fatto nomi e cognomi di quanti lo avevano picchiato quando si era lasciato scappare il desiderio di farla finita con quel giro. Gli inquirenti non credono che il suicidio del 44enne, parso molto teso durante il faccia a faccia con il magistrato, sia legato ai pestaggi dal momento che non aveva mai chiesto un trasferimento di carcere per poter stare vicino alla moglie, residente nel padovano. Pensano invece che a spingerlo a compiere un gesto così estremo siano state le troppe pressioni personali e l’incubo di vedersi allontanare di parecchio la possibilità di tornare un uomo libero. Ma la testimonianza di Giovanni Pucci (sul cui suicidio non è mai stata aperta un’inchiesta se non per atti relativi alla morte, ndr) non è stata la sola che ha trasformato in certezze voci di corridoio diventate il nerbo del nuovo fascicolo aperto al quarto piano del palazzo di Giustizia. Dopo gli arresti dell’8 luglio - quando la Mobile del vicequestore Marco Calì, su ordinanza del gip Mariella Fino, aveva decapitato l’intero sistema - un altro detenuto italiano travolto dal fascicolo e dalle accuse di spaccio, ha deciso di raccontare tutto. Anche di quella volta, circa due anni fa, quando aveva detto di voler uscire dal sodalizio e di tutta risposta su ordine delle guardie era stato vittima di un raid punitivo da parte di altri detenuti. Sia lui che Giovanni Pucci avevano fatto nomi e cognomi, gli stessi che nei giorni scorsi hanno ricevuto un nuovo avviso di garanzia per il nuovo filone di un’inchiesta tanto delicata quanto complessa. Durante questa settimana infatti sono in programmi altri interrogatori e il rischio che si allarghi l’indagine c’è. Sempre questa settimana era già fissato l’incontro tra il pm Dini e Paolo Giordano, 40 anni, una delle sei guardie del Due Palazzi arrestate l’8 luglio; un incontro che non si terrà: Paolo Giordano si è suicidato domenica 10 agosto nel proprio alloggio di servizio tagliandosi la gola con una lametta da barba. Il suo è stato il secondo suicidio a macchiare di sangue il fascicolo aperto dalla procura padovana su quel baratto che aveva permesso ai detenuti più ricchi di avere droga, telefoni, chiavette usb a piacimento, dietro il pagamento degli agenti da parte dei parenti. E adesso a fare da scomodo appoggio anche l’ombra lunga dei pestaggi tra i corridoi dell’istituto. Padova: il detenuto suicida fu picchiato da altri carcerati su ordine delle guardie www.padovaoggi.it, 19 agosto 2014 Il 44enne leccese si era impiccato nella sua cella di Padova lo scorso 25 luglio, dopo aver riferito agli inquirenti di essere stato aggredito da altri carcerati su mandato degli agenti coinvolti nel giro di droga. Avrebbe voluto uscire dal "giro" di droga che avveniva all’interno del carcere Due Palazzi di Padova in cui rivestiva il ruolo di consegnare lo stupefacente agli altri detenuti. Un’intenzione che gli sarebbe costata, come punizione, il pestaggio da parte di alcuni carcerati su ordine degli agenti di polizia penitenziaria coinvolti nell’illecito business. La presunta violenta aggressione era stata riferita dalla stessa vittima - un 44enne leccese condannato a più di 20 anni per omicidio e sequestro di persona - agli inquirenti nel suo ultimo interrogatorio, dopo il quale lo scorso 25 luglio si era suicidato impiccandosi all’interno della sua cella. Una rivelazione che aggiunge un nuovo tassello e nuove accuse nell’ambito dell’inchiesta che l’8 luglio scorso aveva portato all’arresto di un avvocato e 6 guardie penitenziarie in servizio nella struttura padovana. La Procura ha iscritto nel registro degli indagati sei detenuti e due guardie - queste ultime già indagate per il giro di droga - con l’accusa di concussione in concorso. Lo scorso 11 agosto si era suicidato, tagliandosi le vene, anche un altro degli indagati, una guardia 40enne, nella stanza del carcere dove si trovava agli arresti domiciliari. Palermo: Magistrato Sorveglianza: "al carcere Pagliarelli condizioni di vita degradanti" di Elisabetta Cannone La Sicilia, 19 agosto 2014 Condizioni di vita degradanti e inumane. È quanto di fatto ha riconosciuto un provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza di Palermo in seguito al ricorso dell’Associazione nazionale forense, presieduta dall’avvocato Vito Pirrone, assieme al senatore Salvo Fleres. Il provvedimento del magistrato che riguarda 11 detenuti dell’istituto penitenziario palermitano "Pagliarelli", censura non solo la direzione della casa circondariale, ma anche il provveditorato regionale e il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Tutti e tre i soggetti, adesso, dovranno adottare i provvedimenti più idonei per ripristinare le condizioni di vita che la stessa Corte di Straburgo in diverse sentenze ha riconosciuto come essenziali per una permanenza civile all’interno delle carceri. In particolare, le violazioni che il magistrato ha riscontrato riguardano il rispetto dello spazio vitale all’interno delle celle, il diritto di occuparne una con compagni non fumatori, il diritto a fruire di adeguati periodi di tempo fuori dalle celle e della cosiddetta socialità, il diritto all’uso adeguato di bagni e docce e tutto quello che riguarda la cura e la pulizia della persona. Azioni che dovranno essere attuate nonostante quanto già fatto dallo stesso penitenziario e che il magistrato ha riconosciuto, precisando che "non può negarsi che nonostante gli interventi organizzativi operati dall’amministrazione penitenziaria, le condizioni detentive denunciate dai reclamanti, contraddistinta da un endemico sovraffollamento e da un ambiente restrittivo deteriorato e fatiscente per carenza di interventi di manutenzione, integri una sostanziale compromissione dei diritti fondamentali del detenuto". Quello su cui si è pronunciato il magistrato di sorveglianza non è il primo ricorso presentato sia dal senatore Salvo Fleres, ex garante dei diritti dei detenuti per la Sicilia e dall’associazione nazionale forense che da tempo denunciano le condizioni di vita dei detenuti. Fleres sottolinea che "la presenza del garante è stata istituita per garantire la dignità alla pena, e per far sì che il detenuto finita la pena, non si trovi a ritornare in carcere, dopo il periodo di libertà, e che trovi la strada della legalità ed il lavoro, creando un circuito virtuoso". "Purtroppo - precisa l’avvocato Pirrone, il vuoto da oltre un anno dell’ufficio del garante non consente di verificare l’attuazione delle disposizioni adottate dai magistrati di sorveglianza, né potrà portare a compimento gli ulteriori provvedimenti e programmi già in corso". Avellino: delegazione dei Radicali in visita a Bellizzi Irpino "qui ci sono due carceri" Corriere dell’Irpinia, 19 agosto 2014 "Ci sono due carceri a Bellizzi, uno quello nuovo che conosciamo e quello vecchio, che ha le stesse problematiche di tante altre strutture detentive". Lo ha detto al termine della visita di una delegazione di Radicali e del consiglio regionale a Bellizzi Irpino, il segretario salernitano dei Radicali Donato Salzano. Una visita che è scattata alle undici del sedici agosto e si è conclusa solo alle diciassette del pomeriggio. Visita che ha interessato il Reparto dei detenuti cosiddetto "Comune " e quello femminile. Ed è lo stesso Salzano a raccontare quello che è emerso, soprattutto a livello di assistenza sanitaria. "Grande sforzo e cortesia del personale - spiega Salzano - il sovraffollamento è del 125 per cento. Cento posti per 125 detenuti. Siamo nella media italiana. L’assistenza sanitaria presenta delle criticità. Mi chiedo, come per tutte le Asl campane qual è l’assistenza sanitaria che danno nelle carceri. I cosiddetti Ilea. Viene garantita per tutti l’assistenza minima, come prevede il decreto Bindi del 1999. Ci sono tutte le patologie: diabete, Hiv, tutte quelle patologie. È fortissima la presenza di diabetici, almeno il 30-40 per cento su 624 in matricola". E poi c’è il nodo dei bambini detenuti con le madri. A Lauro i lavori vanno a rilento e l’Icam quindi non li ospita ancora: "Siamo andati alla Sezione Femminile, abbiamo visto il nido. L’assistenza è per le donne recluso, mi pare che siano 45 bambini internati in tutta Italia, 4 sono a Bellizzi. Nel resto d’Italia sono ormai in istituti a custodia attenuata, al Sud no". Gorizia: i Radicali; situazione migliorata, ma vigileremo sulla Casa circondariale Il Piccolo, 19 agosto 2014 Il ministero della Giustizia ha pubblicato sul proprio sito internet i dati ufficiali, aggiornati al 31 luglio, circa la situazione carceraria italiana ed emerge che la nostra regione, dopo Molise e Puglia, è la terza in Italia per sovraffollamento carcerario, che giunge al 139%. "Nonostante la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia momentaneamente ammesso un miglioramento del sistema carcerario italiano - spiega Michele Migliori, segretario dell’Associazione Radicale di Gorizia - i dati pubblicati qualche giorno fa dal ministero della Giustizia continuano ad essere molto preoccupanti. Nei mesi scorsi, assieme ai radicali di Trieste e Pordenone, abbiamo effettuato le visite in tutte le case circondariali della regione, registrando già allora il grande stato di malessere dei detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria. A Gorizia - continua Migliori - i dati ufficiali dimostrano come su 55 posti regolamentari solo 14 siano effettivamente usufruibili, portando il dato di sovraffollamento al 114,3%, avendo in questo momento 16 detenuti. Tenendo conto, come dimostrato nel marzo scorso, che se in un giorno vi vengono tradotti sette detenuti, questi sono costretti a passare giorni o settimane in luoghi pressoché abbandonati, nella sporcizia più totale". "Ad ottobre termineranno i lavori di ristrutturazione dell’edificio carcerario, e noi torneremo a visitarlo per rassicurarci circa le condizioni della struttura, dei detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria. Spero - conclude Migliori - che la neosenatrice Laura Fasiolo, la quale ha espresso per mezzo dei social network la propria preoccupazione per le condizioni del carcere isontino, potrà accompagnarci in questa visita e condivida con noi la battaglia per il ripristino dello stato di diritto". Vasto (Ch): l’allenatore Gianni Maddaloni ai detenuti "pensate al futuro dei vostri figli" di Giuseppe Ritucci www.zonalocale.it, 19 agosto 2014 Un pomeriggio intenso e ricco di emozioni quello vissuto ieri nell’auditorium della Casa Lavoro di Vasto. Il maestro Gianni Maddaloni, allenatore che con il figlio Pino ha conquistato la medaglia d’oro nel judo alle Olimpiadi di Sidney, oltre a tantissimi titoli anche con altri suoi allievi, ha incontrato i detenuti della struttura di Torre Sinello per un pomeriggio di confronto. Maddaloni da anni porta avanti la sua scuola di judo a Scampia, uno dei quartieri più difficili di Napoli, un punto di riferimento per un territorio come azione di contrasto alla criminalità attraverso lo sport e i suoi valori. Ad aprire l’incontro è stato il direttore Massimo Di Rienzo. "L’attività sociale svolta da Maddaloni è la testimonianza di come il nostro lavoro possa portare risultati positivi". Presente anche l’onorevole Maria Amato, che già in più occasioni ha visitato la struttura impegnata nel processo di trasformazione da Casa Circondariale a Casa Lavoro. "Sono qui perché mi interessa ogni situazione che favorisca l’incontro tra chi è dentro e l’esterno. Voi con le attività lavorative uscite temporaneamente fuori, ma è positivo anche che l’esterno venga qui dentro". L’incontro, coordinato dall’educatore Lucio Di Blasio, ha visto la presenza anche di Aniello Vastola, amico fraterno dell’allenatore campano. La parola è passata poi a Maddaloni, che ha raccontato il suo percorso di vita, parlando schiettamente ad un pubblico che per buona parte conosce la realtà da cui proviene. "Io potevo essere uno di voi - ha esordito il maestro di judo -, il mio destino era segnato perché su questa terra non siamo tutti uguali. Dio è grande ma non offre a tutti le stesse opportunità. Io devo dire grazie ai miei genitori, che me le davano di santa ragione, mia madre era molto presente. Ho incontrato lo sport, la boxe, perché la praticava mio padre. Ma poi lui a 52 anni è morto, io ne avevo 16 ed ecco che arrivò l’amico sbagliato al momento sbagliato. Per fortuna accadde un miracolo, ho conosciuto il maestro di judo, che mi ha insegnato lo sport. Io ero un bullo, affascinato dalla forza, da chi comanda. E scoprii che nella palestra comandava lui. A 18 anni venni baciato per la seconda volta dalla fortuna, potendo entrare nell’università. Io, un figlio del popolo, alla Federico II". La storia di Maddaloni viene raccontata anche con la proiezione del film "L’oro di Scampia", che racconta la sua storia negli anni che lo portarono insieme al figlio Pino sul tetto del mondo alle Olimpiadi di Sidney 2000. Il pubblico, tra cui ci sono anche molti dei volontari che quotidianamente svolgono il loro servizio nella Casa Lavoro, assiste in un silenzio quasi religioso alle scene, spesso di sofferenza, che vengono proiettate sullo schermo. Poi c’è tempo anche per le domande, con i detenuti che tirano fuori un po’ della loro rabbia. A loro Maddaloni lascia un messaggio. "Noi condividiamo la stessa sofferenza. Ma la cosa che so è che quando siete qui dentro chi soffre di più sono le persone che stanno fuori. Vi chiedo che dal nostro incontro nasca un’amicizia ed un messaggio per i nostri figli e nipoti. Quando uscite dovete pensare a loro, dovete stare vicini a loro. La battaglia si vince con i bambini, con la scuola. Ricordatevelo". Agrigento: imprenditore testimone di giustizia s’incatena in prefettura "lo Stato mi aiuti" La Presse, 19 agosto 2014 È rimasto per tutta la notte incatenato davanti alla Prefettura di Agrigento per chiedere l’attenzione delle istituzioni nei confronti della sua situazione economica. Ignazio Cutrò, imprenditore e testimone di giustizia di Bivona, che ha denunciato e fatto condannare i suoi estorsori, ha messo in atto la sua protesta contro lo Stato. "Sono mesi che attendo una risposta da parte del ministero dell’Interno - dice all’agenzia La Presse. Ho deciso di restare nel programma di protezione senza fuggire dalla Sicilia, ma cercando di rimettere in piedi la mia azienda edile, e non ricevo alcun tipo di sostegno dallo Stato. Ho provato a rimettere in piedi la mia azienda ma non ho ricevuto alcuna commessa e ora non riesco più neanche a fare la spesa. Al prefetto - prosegue Cutrò - ho anche segnalato diversi problemi che riguardano la mia sicurezza e quella della mia famiglia". L’intenzione dell’uomo era quella di uscire dal programma di protezione per i testimoni di giustizia, ma la protesta è rientrata dopo l’incontro con il prefetto di Agrigento, Nicola Diomede: "Ero deciso a uscire dal programma, credo che allo Stato io non interessi più. Il prefetto mi ha però assicurato che farà il possibile per segnalare la mia situazione e risolvere il problema", conclude l’imprenditore di Bivona. Droghe: la Fini-Giovanardi è andata in fumo… e ora? Public Policy, 19 agosto 2014 Il Parlamento ha approvato il 15 maggio scorso in via definitiva (con 155 sì e 105 no) il decreto sugli stupefacenti e i farmaci ‘off label’. Sul provvedimento (il quarto del Governo Renzi) l’esecutivo ha posto due volte la fiducia. Il provvedimento si è reso necessario dopo la bocciatura da parte della Corte costituzionale della legge Fini-Giovanardi. La Consulta, il 12 febbraio scorso, infatti, ha bocciato la Fini-Giovanardi per violazione dell’articolo 77 della Costituzione, che regola la procedura di conversione dei decreti legge. La legge sulle droghe venne introdotta con un emendamento al provvedimento che finanziava le Olimpiadi invernali di Torino 2006; modifica che non è stata considerata pertinente. Quindi quella della Consulta è stata una bocciatura formale e non nel merito. Con la decisione della Corte era tornata subito in vigore la legge Iervolino-Vassalli del 1990. La maggioranza divisa sulle droghe Come il decreto Lavoro, anche questo provvedimento in più occasioni ha diviso la maggioranza, in particolare l’emendamento - presentato alla Camera - sul reato di piccolo spaccio. Secondo fonti di Palazzo Chigi, la strada della prima fiducia alla Camera è stata scelta proprio per evitare divisioni nella maggioranza durante l’esame dell’aula. La norma sul piccolo spaccio, così come modificata alla Camera, prevede per lo spaccio lieve un’unica pena e sanzione, senza differenziazione tra le droghe detenute (leggere e pesanti), come invece prevedono altri tipi di reato. Sulla differenziazione delle pene, il deputato David Ermini (renziano del Pd) aveva presentato un emendamento per distinguerle in base alle droghe commercializzate e detenute. L’emendamento, però, è stato ritirato durante l’esame, dopo che Ncd, Scelta civica e Per l’Italia si sono opposti. Al Senato il provvedimento non ha subito nessuna modifica. Ridotte pene per reato piccolo spaccio Ridotte le pene per il reato di piccolo spaccio. Il reato era stato reso fattispecie autonoma con il decreto Carceri approvato a febbraio scorso. Quindi viene prevista una detenzione, per il cosiddetto piccolo spaccio di strada, da 6 mesi a 4 anni introducendo nuove sanzioni (da mille a 15 mila euro). La norma precedente prevedeva multe da 3mila a 26mila euro. In pratica, la riduzione della pena evita la custodia cautelare in carcere (prevista per i reati con pena massima da 5 anni in su); l’arresto facoltativo sarà possibile solo in caso di flagranza. Il reato non distingue tra droghe leggere e pesanti, spetterà al giudice graduare l’entità della pena in base alla qualità e quantità della sostanza. Il piccolo spacciatore potrà usufruire del nuovo istituto della messa alla prova. Ok lavori pubblica utilità per piccolo spaccio E ancora: sarà possibile per il giudice assegnare i lavori di pubblica utilità come sconto della pena per lo spaccio o la detenzione di stupefacenti ‘di lieve entità’. Questa sanzione alternativa dovrà essere chiesta dall’imputato e ha una durata equivalente alla condanna detentiva. È revocabile se si violano gli obblighi connessi al lavoro e non può sostituire la pena per più di due volte. Uso personale non avrà rilevanza penale L’acquisto o la detenzione di droghe per uso personale non ha rilevanza penale. Quindi non viene previsto il carcere per l’uso personale, ma restano le sanzioni amministrative (già previste dalla legge Fini-Giovanardi): sospensione della patente, del porto d’armi, del passaporto o del permesso di soggiorno, che avranno però durata variabile a seconda che si tratti di droghe pesanti (da 2 mesi a un anno) o leggere (da uno a 3 mesi). Nuove tabelle. Torna distinzione leggere-pesanti Sono cinque, la I e III raggruppano le droghe pesanti, la II e la IV quelle leggere. L’ultima riguarda i medicinali. Le tabelle, che ricomprendono anche le circa 500 sostanze classificate a decorrere dal 2006, sono rimodellate in modo da renderle coerenti con il regime sanzionatorio antecedente alla legge Fini-Giovanardi. Eventuali modifiche e aggiornamenti spettano al ministro della Salute, sentiti il Consiglio e l’Istituto superiore di sanità. Pene per tutti tipi cannabis Modificata la tabella predisposta ad hoc per la cannabis, presente nel decreto Stupefacenti e farmaci off label. La modifica è stata decisa con l’approvazione di alcuni emendamenti identici del Pd, M5s e Forza Italia. La Tabella II inizialmente distingueva tre tipologie di cannabinoidi: hashish, olio di canapa e marijuana, tutte e tre della famiglia della cannabis indica. Ora con gli emendamenti viene cancellato l’aggettivo "indica" e quindi il testo riportata semplicemente la dicitura "cannabis". Questo significa che saranno soggette a pene e sanzioni (anche se minori rispetto alle droghe pesanti) anche le altre tipologie di cannabis, come la sativa, la ruderalis e gli incroci. Le sanzioni previste per le cosiddette droghe leggere sono quelle previste dalla legge Iervolino-Vassalli (più contenute, da 2 a 6 anni), tornata in vigore dopo la sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale la legge Fini-Giovanardi. In tabella I anche droghe sintetiche con cannabis Nella nuova Tabella I sulle droghe (che contiene l’elenco di quelle "pesanti") dovranno essere indicate "sostanze ottenute per sintesi o semisintesi che siano riconducibili per struttura chimica o per effetto farmaco - tossicologico al tetraidrocannabinolo". L’emendamento precisa che devono essere inserite in tabella le droghe sintetiche che contengono il delta tetraidrocannabinolo (detto comunemente Thc), il principale principio attivo della cannabis, considerato il capostipite della famiglia dei fitocannabinoidi. No coltivazione o vendita per condannati spaccio Sono esclusi dall’autorizzazione per la coltivazione, produzione, fabbricazione, importazione, esportazione, commercializzazione o comunque detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope le persone che abbiano avuto condanne per spaccio o detenzione illecita di droghe. Modica quantità Nell’accertare l’uso personale, oltre ad altre circostanze sospette, occorre in particolare considerare l’eventuale superamento dei "livelli soglia" fissati dal ministero della Salute nonché le modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti con riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato. Tra off label farmaci alternativi se più convenienti Per quanto riguarda la parte sui farmaci off label, un emendamento dei relatori stabilisce che l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) potrà autorizzare l’inserimento nell’elenco degli ‘off label’ quei farmaci che risultano più economici rispetto a quelli utilizzati per le stesse cure, già in commercio e utilizzati come on label. L’emendamento semplifica le norme per l’introduzione di farmaci nell’elenco off label, sotto il controllo dell’Aifa. "Anche se sussista altra alternativa terapeutica nell’ambito dei farmaci autorizzati", si legge nell’emendamento, previa valutazione della commissione tecnico scientifica dell’Aifa, sono inseriti nell’elencò dei farmaci off label, "con conseguente erogazione a carico del Servizio sanitario nazionale, i farmaci che possono essere utilizzati per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata purché tale indicazione sia nota e conforme a ricerche condotte nell’ambito della comunità medico-scientifica nazionale e internazionale, secondo parametri di economicità e appropriatezza". Con l’emendamento, però, viene meno la norma sulla richiesta dei diritti di commercializzazione alle aziende produttrici. In base alle vecchie disposizioni, in caso di motivato interesse pubblico, l’Aifa poteva avviare le procedure necessarie per la registrazione dell’indicazione terapeutica off label, informando l’azienda produttrice del farmaco. Avviata la procedura, la registrazione poteva essere richiesta all’azienda produttrice a cui si chiedeva la cessione, a titolo gratuito, al ministero della Salute dei diritti di commercializzazione. E ancora: con una modifica all’articolo 48 del decreto 269 del 2003, si prevede che parte delle risorse del Fondo istituito presso l’Aifa grazie ad un contributo delle aziende farmaceutiche pari al 5% delle spese promozionali autocertificate, potranno essere destinate, anche su richiesta delle Regioni e Pa, sentito il Consiglio superiore di sanità, alla sperimentazione clinica su medicinali per indicazioni terapeutiche diverse da quelle indicate nell’autorizzazione all’immissione in commercio. Rivedere pena unica per reato piccolo spaccio La commissione Affari costituzionali alla Camera ha dato il proprio parere al decreto, esprimendosi favorevolmente. In particolare la I Commissione ha discusso la parte che riguarda l’utilizzo e la detenzione di droghe, inserendo nel parere anche un’osservazione che ha fatto molto discutere le commissioni Giustizia e Affari sociali alla Camera. Il tema, come detto, ha diviso Pd, Ncd, Sc e PI. Nel parere i deputati della commissione Affari costituzionali chiedono di verificare la pena (ora unica per tutti i tipi di droghe) prevista per il reato autonomo di piccolo spaccio. La norma quindi non prevede nessuna distinzione rispetto agli stupefacenti utilizzati, a fronte delle due distinte fattispecie base (droghe leggere e droghe pesanti) tornate in vita con la sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale la legge Fini-Giovanardi. Le due fattispecie valgono per gli altri tipi di reato che non riguardano lo spaccio lieve. La distinzione (prevista dalla legge Iervolino-Vassalli) è tornata in vigore dopo la sentenza della Corte costituzionale. Quindi per lo spaccio di droghe pesanti è prevista la reclusione da 8 a 20 anni e una multa da 25.822 a 258.228 euro; per le droghe leggere, invece, la legge del 1990 prevede una pena da 2 a 6 anni e una sanzione da 5.164 a 77.748. Arabia Saudita: decapitati 4 trafficanti di droga, 32 le condanne capitali da inizio anno Aki, 19 agosto 2014 Quattro sauditi sono stati decapitati dalle autorità di Najran, nel sud-ovest del regno di Abdullah, perché colpevoli di traffico di droga. Lo ha annunciato il ministero dell’Interno di Riad in una nota diffusa dall’agenzia ufficiale Spa. I quattro detenuti saliti sul patibolo sono i due fratelli Hadi e Awad al-Motleq e altri due fratelli loro complici, Mufarraj e Ali al-Yami. Sono stati giudicati colpevoli di aver contrabbandato in Arabia Saudita "un grande quantitativo di hashish", secondo la Spa. Salgono così a 32 le condanne a morte eseguite nella monarchia del Golfo da inizio anno, mentre nel 2013 le sentenze sono state 78 in totale. Stupro, omicidio, apostasia e traffico di droga sono tra i reati punibili con la pena di morte in Arabia Saudita. Stati Uniti: Arizona viola abitualmente regole nelle esecuzioni capitali, indagini in corso Asca, 19 agosto 2014 L’Arizona viola abitualmente la procedura prevista per le esecuzioni letali, a volte improvvisando mentre i condannati sono già sul lettino in attesa di morire. Secondo il New York Times, che cita dati dello Stato e alcune cause aperte in tribunale, l’ultima volta è accaduto il mese scorso con il detenuto Joseph R. Wood III, dichiarato senza vita dopo quasi due ore in cui gli sono state somministrate 13 dosi ulteriori di farmaci letali oltre alle due previste dal protocollo. Il quotidiano di New York, spiegando che la Corte d’appello del Nono distretto Usa ha bacchettato l’Arizona già due anni fa per le violazioni, cita diversi altri casi. Tra essi un’esecuzione del 2010 in cui il medico decise di iniettare il cocktail letale nella coscia invece che nel braccio e altre due del 2012 in cui le autorità scoprirono all’ultimo che i farmaci erano scaduti e li sostituirono con altri. Ora è in corso una inchiesta sull’uccisione di Wood da parte di una commissione indipendente, ordinata dallo Stato. Citando le 37 esecuzioni letali in Arizona dal 1992 a oggi, il New York Times riporta la testimonianza del direttore del dipartimento penitenziario, Charles L. Ryan, che seppur privo di competenze mediche ha dichiarato di essere potenzialmente in grado di violare a sua discrezione il protocollo dello Stato. Iran: Human Rights Watch; decine persone in carcere solo per aver esercitato loro diritti Adnkronos, 19 agosto 2014 Human Rights Watch ha invitato le autorità iraniane a rilasciare "immediatamente" e "senza condizione" decine di prigionieri rinchiusi nel carcere di Karaj, 50 km a ovest di Teheran, solo per "aver esercitato i loro diritti basilari". L’ong internazionale con sede a New York ha analizzato i casi di 189 detenuti della prigione della città dell’Iran settentrionale. Dal rapporto emerge che in 63 casi i prigionieri sono stati arrestati, processati e condannati "solamente perché hanno esercitato loro diritti fondamentali come la libertà di parola e di manifestare in modo pacifico". In altri 35 casi nei quali i prigionieri sono stati condannati a morte per reati legati al terrorismo, Hrw sostiene che sono state commesse violazioni "vergognose" nel corso dei processi. "L’elezione di un nuovo e apertamente moderato presidente un anno fa aveva aumentato le speranze che molti dei prigionieri politici in Iran sarebbero stati liberati, ma molti rimangono ancora dietro le sbarre", ha affermato Joe Stork, vice direttore di Hrw per il Medio Oriente e il Nord Africa. "La parte del leone per quanto concerne le responsabilità del rilascio di questi prigionieri spetta alla magistratura - ha sottolineato in una nota - ma il presidente Hassan Rohani e il suo governo dovrebbero fare di più e spingere per la loro scarcerazione". Svizzera: tre agenti picchiati da detenuti, in segno di protesta contro il sistema carcerario www.tio.ch, 19 agosto 2014 Secondo una fonte anonima i fatti si sono verificati all’interno del penitenziario del piano di Orbe nel canton Vaud, la settimana scorsa. Tre i secondini picchiati, tra cui una donna. Il portavoce della prigione Anthony Brovarone ha confermato i fatti: "Martedì, 12 agosto tre ufficiali sono stati aggrediti nel carcere nel momento in cui hanno aperto la cella, per servire il pranzo. Sono stati necessari dei rinforzi per calmare gli aggressori". Due dei tre agenti sono stati violentemente picchiati e sono stati trasferiti in ospedale per un controllo. Ma le loro ferite non sono eccessivamente preoccupanti. I due detenuti sono stati chiusi in una cella in attesa di un trasferimento. Per quanto riguarda il motivo che ha provocato l’aggressione, si tratterebbe di un gesto gratuito contro il sistema carcerario, in segno di protesta. Il portavoce ha rifiutato di fornire ulteriori dettagli, sia sul profilo penale degli aggressori in custodia o che sulle circostanze personali dei secondini. Svezia: portavoce di The Pirate Bay in carcere "la prigione è un po’ come il copyright" di Luca Annunziata www.punto-informatico.it, 19 agosto 2014 Un parlamentare europeo del Partito Pirata si reca a fare visita a Peter Sunde, detenuto in Svezia. L’attivista spera di poter presto convertire la sua pena agli arresti domiciliari. Nel frattempo ha avuto molto tempo per pensare. "Sapevo che il sistema era corrotto anche prima, ma ora so fino a che punto": Peter Sunde, alias Brokep, parla dalla sua attuale residenza svedese, un carcere dove è detenuto sin dallo scorso giugno per una pena di 8 mesi legata alle sue attività come portavoce di The Pirate Bay. Le sue parole arrivano grazie al racconto di Julia Reda, parlamentare europeo eletto in Germania nelle fila del Partito Pirata, che ha ottenuto di fare visita all’attivista: non è stato facile, spiega, visto che prima della sua tutte le altre richieste in tal senso erano state negate. Solo l’insistenza di Sunde ha consentito di far rispettare quello che è un suo diritto. La battaglia di Sunde, spiega Reda, si comprende meglio se si inquadra la sua situazione: detenuto per "incitamento alla violazione del diritto d’autore", un reato davvero particolare in un contesto socio-culturale in cui la stragrande maggioranza della popolazione che ha accesso ad Internet viola costantemente il copyright, il più delle volte senza rendersene neppure conto. Sunde paga per tutti: la sua dieta vegana è messa a dura prova dal regime alimentare carcerario, la noia appesantisce le giornate scandite dall’ora d’aria e dalle sporadiche visite concesse alla biblioteca del penitenziario. La sua piccola soddisfazione è la consapevolezza che le decine di lettere, pacchi e libri che riceve ogni giorno costituiscono un bel grattacapo burocratico per il personale della prigione, infastidito dall’attenzione che riceve il detenute Sunde. Per Brokep, la sua detenzione non ha fatto altro che confermare il suo punto di vista sull’attuale status quo: "La prigione è un po’ come il copyright", un tema su cui c’è poca trasparenza e in cui questa opacità viene sfruttata da una categoria di persone nel disinteresse generale. Esattamente come il copyright, un tema che riguarda tutti ma che passa sotto traccia a causa del fatto che sia intangibile, allo stesso modo il carcere è una zona grigia: "Se non insisti costantemente per far rispettare i tuoi diritti, ti saranno negati", spiega Sunde, che come esempio porta il fatto che abbia dovuto ripetere più volte la sua richiesta di avere un libro da leggere come prevede il concetto stesso di riabilitazione carceraria. Nel tempo che ha avuto per pensare, Sunde ha chiarito che l’attuale situazione nell’attivismo contro il diritto d’autore così come è concepito è arrivato a uno stallo: The Pirate Bay è ormai un’istituzione del panorama del P2P, e ciò ha condotto alla stagnazione e alla centralizzazione del fenomeno del file sharing. Ciò ha indebolito tale attività, centralizzando quello che sarebbe dovuto essere decentralizzato, e l’attuale gestione di Tpb è molto lontana dagli ideali sostenuti dai suoi fondatori: il tracker della Baia, la sua infrastruttura, sono il muro portante della maggior parte degli scambi in Rete, ma ciò è una debolezza più che una sicurezza. La neutralità della rete, la decentralizzazione, la portabilità dei propri dati personali sono tre delle battaglie più significative che si combattono in questi anni secondo Brokep: una Rete cresciuta secondo un modello privo di condizionamenti economici è oggi controllata da aziende e istituzioni che invece mirano a trarre profitto da Internet anche a danno della qualità del servizio offerto ai cittadini; allo stesso modo, l’accentramento di alcune attività anche all’interno di walled garden come Facebook creano un vulnus alla libertà di espressione degli individui in Rete. Se non vengono prese misure correttive oggi, dice Sunde, "Internet non cambierà radicalmente nei prossimi due anni, ma a lungo termine gli effetti delle decisioni che prendiamo oggi saranno considerevoli". Fuori dal carcere, una volta scontata la pena, si impegnerà di nuovo nell’attivismo anche per questo: questa volta proverà a svolgere un ruolo diverso, mettendo in piedi un sistema di finanziamento delle campagne che non preveda lo scendere a compromessi per ottenere i fondi necessari. Un’idea di cui non rivela i particolari, ma che sta elaborando proprio mentre dimora in prigione. Peter Sunde spera che molto presto la sua permanenza nelle carceri svedesi finisca: spera gli vengano concessi gli arresti domiciliari, così da poter andare a visitare il padre gravemente malato e poter mettere fine all’isolamento che sta patendo dietro le sbarre. Ciò potrà avvenire solo se il tribunale che valuterà la sua richiesta stabilirà che non è un soggetto pericoloso per la società: a oggi il suo crimine, conclude Reda, un crimine analogo a quello di decine di migliaia di giovani che ogni giorno scaricano una canzone o guardano un film in streaming, è ritenuto molto grave e pertanto nessun beneficio può essergli garantito nell’attuale regime carcerario.