Giustizia: Cnvg; importate apertura del Ministro Andrea Orlando al Volontariato Ristretti Orizzonti, 18 agosto 2014 L’incontro avvenuto il 12 luglio scorso tra il Ministero della Giustizia e il cartello delle associazioni che formano il gruppo di lavoro "La certezza del recupero", evidenzia, da parte del Ministro Orlando, una lodevole attenzione non sempre verificatasi in alcuni precedenti mandati ministeriali, e segna una tappa importante in termini di riconoscimento e di apertura del dialogo collaborativo al fine dell’implemento delle risposte per la popolazione detenuta. Pur dando atto al Ministero di un rapido cambio di passo verso l’attuazione di norme e pratiche per il miglioramento delle condizioni di vita dei penitenziari, è evidente quanto ancora resti da fare non solo in termini di metratura ma di condizioni di vivibilità negli istituti, di opportunità trattamentali e, in particolare, della carenza di risorse destinate al reinserimento ed alle misure alternative, per lo più delegate al volontariato che opera senza alcun sostegno economico e spesso con scarse possibilità di essere recepito a livello istituzionale come indispensabile componente per l’umanizzazione della pena. Questo incontro sancisce quindi un riconoscimento anche politico del valore del Volontariato e della sua capacità di disegnare scenari. Esso, che da tempo aveva indicato le direttrici anche legislative verso le quali indirizzarsi per modificare l’inumana condizione carceraria, accoglie come sempre la sfida di costruire insieme un nuovo modello sociale, impegnandosi a fare la propria parte sino in fondo, ma indicando alcuni punti essenziali che dovranno essere affrontati, che riguardano il rapporto con le istituzioni, le modalità di sostegno, ed anche soluzioni legislative innovative che facciano emergere quelle potenzialità che restano ancora inespresse, talvolta a causa di difensivi arroccamenti istituzionali. Le proposte espresse dal volontariato non divergono sostanzialmente da quanto già, normalmente, viene messo in pratica. Si tratterebbe di creare una sorta di task-force che preveda un reale censimento dei luoghi possibili di accoglienza, rivolti i particolare alle fasce di persone con minori possibilità presenti degli istituti, e dare loro un sostegno che permetta alle persone di uscire in una situazione tutelata e dignitosa. Per sostenere una tale operazione sul piano nazionale, ed in generale lavorare celermente per la messa in regola del nostro sistema penitenziario, è però necessario che venga nominato con urgenza il Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. L’anno di tempo concesso dalla Cedu richiede rapidi passaggi e cambiamenti che necessitano di cabine di regia e di deciso governo del sistema, e questo anno potrebbe davvero essere l’occasione per una rivoluzione culturale in termini di costruzione di alternative al carcere e di rovesciamento dell’ottica di un trascorso politico che si è caratterizzato come una lunga stagione orientata al privilegiare l’allargamento delle risposte penali a scapito del sociale, i cui effetti sono immediatamente visibili a chiunque solchi il suolo degli istituti penitenziari. Auspichiamo pertanto che la scelta di una così importante funzione si orienti nella direzione di chi, concretamente, si è battuto in questi anni per la soluzione di questo problema. L’urgenza della situazione delle carceri richiede che la questione non sia ulteriormente rimandata; perché rimandare significa aggiungere altri capitoli alla sofferenza del sistema, insistere nelle tragedie che quotidianamente si consumano nelle nostre carceri. L’auspicio è quindi che la nomina si configuri individuando chi, tra i possibili candidati, esprima una forte motivazione, espressa sia sul piano dei contributi teorici che agita nella pratica, allo soluzione dei problemi carcerari. Una persona, quindi che in questi anni abbia contribuito alla formazione del dibattito sulla dignità della pena e della sua espiazione, partecipando in prima persona alla costruzione di proposte di leggi e innovazioni fondamentali per le riforme penitenziarie e per le misura alternative, ma anche sui temi relativi all’immigrazione alle tossicodipendenze, agli Opg, ed in generale a possibili linee di ridisegno per un nuovo codice penale. Che, nel contempo, porga ascolto anche alle istanze del volontariato e della cittadinanza nel suo complesso. E che abbia profonda conoscenza del sistema carcere. Il percorso proposto dal cartello riteniamo sia l’unico che consente di superare la sicurezza apparente di un carcere inteso soltanto come contenimento, a favore di un carcere in cui la sicurezza si raggiunga attraverso la responsabilizzazione, il dare fiducia alle persone e l’effettivo recupero attraverso risorse interne a disposizione, ora estremamente carenti a cominciare dal lavoro. E la progressione verso l’esterno postula e necessita l’applicazione di un altro principio costituzionale fondamentale, quello di prossimità e di sussidiarietà, introdotto esplicitamente dall’art. 118 della Costituzione, nel testo vigente: sia la sussidiarietà verticale e istituzionale, unitamente alla differenziazione e adeguatezza, con il coinvolgimento degli enti locali e delle regioni; sia quella orizzontale e sociale, con il coinvolgimento del c.d. terzo settore e del volontariato. A tal fine il volontariato ribadisce il proprio compito, il proprio diritto ad attuare concretamente l’ultimo comma dell’articolo 118 Cost. ("l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà"), principio che spesso è stato rimarcato dal Presidente Emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick, al quale va la nostra gratitudine per la sua costante attenzione al nostro mondo. La sussidiarietà, nella sua duplice articolazione istituzionale e sociale, è indispensabile per realizzare un quadro effettivo ed efficace di misure alternative ed una loro accessibilità a tutti: anche ai clandestini ed agli emarginati senza famiglia e senza protezione, persone di cui, da sempre, il Volontariato si occupa. Elisabetta Laganà Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia Giustizia: se sui diritti civili il Parlamento va contromano di Stefano Rodotà La Repubblica, 18 agosto 2014 La questione dei diritti civili è tornata nel discorso pubblico sulla scia della più ideologica e incostituzionale legge della storia repubblicana, quella sulla procreazione assistita. Scarnificata da sentenze nazionali e internazionali, le sue parti residue vengono ora adoperate non per restituire pienezza alla libertà di autodeterminazione delle persone, che la Corte costituzionale ha di nuovo ribadito, ma per cercar di sollevare ancora qualche piccolo steccato ideologico. Segno di un tempo di evanescente legalità costituzionale e di una difficoltà politica interna alla maggioranza di governo, dove il Nuovo centrodestra tenta ossessivamente di proiettare all’esterno una identità fatta di attacchi ai diritti delle coppie infertili, degli immigrati, dei lavoratori. Questo clima rischia di accompagnarci nei mesi a venire, e dovrebbe indurre a qualche riflessione più generale, prendendo spunto anche dall’emendamento alla legge di riforma costituzionale che ha attribuito al futuro Senato il potere di concorrere alla legislazione nelle materie indicate dagli articoli 29 e 32 della Costituzione - famiglia, matrimonio, salute. Temi definiti come "eticamente sensibili", con una espressione ambigua che andrebbe cancellata dal- l’uso. O che dovrebbe essere completamente reinterpretata, poiché i temi oggi davvero eticamente sensibili sono quelli drammaticamente imposti dalla povertà dilagante e dalla disoccupazione, che negano i diritti sociali e la stessa "esistenza libera e dignitosa" di cui parla l’articolo 36 della Costituzione. Quell’emendamento ha avuto il merito di aver riportato davanti all’opinione pubblica la questione, dimenticata, dei diritti civili. Ma dobbiamo francamente dire che questa apertura rischia di determinare nuovi e pericolosi equivoci. Da una parte, infatti, fa emergere la necessità di rafforzare la garanzia dei diritti, sottraendola alla sola competenza di una Camera dei deputati che si annuncia dominata da una totalizzante logica maggioritaria, che non dovrebbe estendere le sue pretese oltre l’esigenza della "governabilità". Dall’altra, invece, sottrae a questa garanzia tutti gli altri diritti fondamentali e opera una pericolosa separazione tra diritti civili e diritti sociali. Con un ulteriore problema. Le materie considerate dagli articoli 29 e 32 della Costituzione saranno considerate come un settore al quale il legislatore dedicherà interventi penetranti o, al contrario, come temi di cui si occuperà direttamente solo eccezionalmente e con il massimo rispetto di libertà e diritti? La via costituzionale è indicata nitidamente dalle parole che chiudono proprio l’articolo 32: "la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". E la Corte costituzionale ha collocato l’autodeterminazione tra i diritti fondamentali della persona. Questo vuol dire che il legislatore già oggi, e quale che sia il modo in cui alla fine verrà configurato il sistema istituzionale, deve sempre partire dalla premessa che vi sono limiti al suo potere, posti dalla Costituzione per impedire indebite invasioni della sfera di libertà delle persone. Questo principio è stato ben poco rispettato negli ultimi anni, e questo atteggiamento sprezzante ha trovato conferme in questi giorni. La verità è che negli ultimi venti anni la tutela dei diritti è stata garantita quasi esclusivamente dai giudici costituzionali e ordinari, mentre il Parlamento cercava di ridurne illegittimamente l’ampiezza o rimaneva colpevolmente silenzioso. L’aggressione ai diritti delle coppie e alla stessa salute delle donne, cuore della famigerata legge sulla procreazione assistita, è stata sventata dalla Corte costituzionale. Ma il Parlamento è rimasto scandalosamente indifferente quando la stessa Corte e la Corte di Cassazione, seguendo pure le indicazioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, hanno riconosciuto l’esistenza di un diritto fondamentale al riconoscimento delle unioni civili, anche quelle tra persone dello stesso sesso. E, travolti dall’euforia della cancellazione del bicameralismo paritario, non si dovrebbe perdere la memoria del fatto che la Camera aveva approvato la famigerata "legge bavaglio" sulla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche e un orrido testo sul testamento biologico. Solo la previsione di un successivo esame del Senato ha impedito che quei testi divenissero leggi dello Stato. Garanzie e equilibri, questi, sui quali bisogna sempre riflettere e che non possono essere allegramente travolti dal turbo charged constitutionalism oggi imperante. Alla democrazia parlamentare aggressiva o indifferente degli anni passati si è progressivamente affiancata una ben diversa "democrazia di prossimità", incarnata dai comuni, dove ora si scopre il fiorire di una serie di iniziative volte proprio a offrire garanzie per i diritti delle persone trascurati da Parlamento e Governo. Vi sono registri dei testamenti biologici e per i patti di convivenza, e si cominciano a trascrivere nelle anagrafi comunali i matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso. Si prevedono "garanti" per i diritti dei bambini e per i detenuti, e forme di "cittadinanza civica" che, pur priva di immediati effetti giuridici, assume un fortissimo valore simbolico quando viene pubblicamente attribuita a immigrati. Si individuano modalità di destinazione a cittadini di beni per iniziative comuni e di collaborazione tra cittadini e comuni "per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani". Siamo alle soglie di una sorta di schizofrenia istituzionale, dove solo l’allontanarsi dai pericolosi connubi della politica nazionale consente il dispiegarsi della logica dei diritti? Comunque sia, sono evidenti dinamiche sociali che segnano le nuove frontiere, lungo le quali le persone possono incontrare le istituzioni. Ma questo è impossibile là dove la negazione dei diritti assume dimensioni di massa, dove sono in questione il lavoro e la stessa sopravvivenza materiale. Ecco perché, nel mutare delle regole istituzionali, è pericoloso formalizzare una distinzione netta tra diritti civili e diritti sociali, abbandonando questi ultimi alle sole dinamiche di mercato, mascherate troppo spesso da vincoli insuperabili. Abbiamo ascoltato in questi mesi con grande pazienza le giaculatorie di chi ci parlava di una mummificazione della Costituzione, con datazioni variabili (venti, trenta anni?). Troppi hanno seguito queste semplificazioni, che spesso assumevano imbarazzanti tratti favolistici. È tempo di svegliarsi e di ricordare agli ultimi venuti che nell’aprile del 2012 è stato costituzionalizzato il pareggio di bilancio, con una riscrittura dell’articolo 81 che ha inciso profondamente sulla struttura della Costituzione e sull’assetto complessivo dell’azione pubblica, con effetti immediati per tutto ciò che riguarda i diritti sociali e le risorse che ad essi devono essere destinate. Un governo che davvero volesse innovare, e mostrare una capacità non verbale di cominciare a sottrarsi a impropri vincoli europei, potrebbe trovare qui una buona occasione. Non lo farà. Saranno i cittadini, con una loro iniziativa popolare, a proporre di ricostruire i rapporti tra diritti fondamentali e risorse. Non abbiamo ancora, per fortuna, istituzioni a una sola dimensione, quella che ha tenuto la scena, in modo non sempre dignitoso, nelle ultime giornate. Giustizia: intervista a Donatella Ferranti (Pd); sulla riforma nessun patto con Berlusconi di Liana Milella La Repubblica, 18 agosto 2014 "Il fantasma di Berlusconi non aleggia sulla riforma della giustizia targata Orlando". Ne è convinta Donatella Ferranti, presidente Pd della commissione Giustizia della Camera, che del Guardasigilli Orlando dice: "Di lui mi fido". Consiglio dei ministri il 29 sulla giustizia. Sul tappeto temi che, quando li voleva affrontare Berlusconi, erano fonte di scontro, come la responsabilità. Il Pd non rischia di inseguire la destra? "Non ci sono temi tabù, l’importante è come li si affronta e che la riforma non sia lo strumento per delegittimare la magistratura, ma per risolvere i problemi dei cittadini. Quanto alla responsabilità la linea di demarcazione è evidente perché all’epoca si parlava di responsabilità diretta, mentre ora si cerca di rispondere agli errori giudiziari tenendo fermo il principio costituzionale della responsabilità indiretta". Al Senato Sono appena passate le riforme, dopo un grande scontro con M5S e Sel e l’intesa con Berlusconi. Il patto del Nazareno potrebbe essere replicato per la giustizia? "Forza Italia, come tutte le opposizioni, su alcuni provvedimenti in materia di giustizia ha scelto di votare con la maggioranza. Ma le linee strutturali saranno comunque dei partiti di governo. Non mi risulta che ci siano altri patti, ne scritti, né taciti". Che cosa ha provato sentendo che 1’alfaniano Costa è pronto a chieder e il famoso processo breve come contraltare alla prescrizione bloccata in primo grado? " Se parliamo di processo che deve avere una durata ragionevole allora ci intendiamo, perché si tratta di un principio costituzionale, di un’esigenza avvertita da tutti i cittadini, di una necessità che ci allinea con gli altri Paesi europei. Io stessa ho presentato una proposta di legge sulla prescrizione e per un processo rapido. Se invece vogliamo evocare quel famoso processo breve che mandava al macero tutti i dibattimenti che non si erano esauriti in un tempo prestabilito, allora sarebbe proprio il contrario di un processo giusto. Ma io non credo che Costa voglia tornare indietro anziché guardare in avanti". Lei dice così, ma non le pare che voler di nuovo evocare il bavaglio per la stampa sulle intercettazioni sappia proprio di berlusconiano? "Francamente non mi pare che ci sia l’intenzione di mettere bavagli ai diritti legittimi di cronaca giudiziaria. Si tratta semmai di cercare una soluzione equilibrata alla tutela della privacy, al diritto-dovere all’indagine, al diritto di cronaca, al diritto di difesa. Questo tema merita un approfondimento ulteriore, come si è cercato dì fare, alla Camera, con il reato dì diffamazione a mezzo stampa". Lei, che è del Pd, difende il governo. Mari tiene necessario mettere mano alla legge elettorale del Csm, ai suoi poteri e alla sezione disciplinare? "È un tema su cui si riflette da anni. Questa legge elettorale è stata varata dal governo Berlusconi, ed è giunto il momento di cambiarla perché da più parte si ritiene che abbia esasperato i tratti negativi del correntismo. Certo, bisogna avvicinarsi a questi temi, che toccano l’autonomia e indipendenza della magistratura, con particolare cautela e senza dietrologie". Giustizia: Davigo (Cassazione); la riforma? si occupa di cose sostanzialmente inutili… Il Giorno, 18 agosto 2014 Piercamillo Davigo, magistrato Consigliere della Corte di Cassazione che annovera tra le sue esperienze quella di essere stato uno dei membri del pool Tangentopoli, a proposito della riforma della Giustizia targata Ministro Orlando dice: "Si occupa di cose sostanzialmente inutili". Egli coglie perfettamente nel segno: il problema della lentezza della macchina della giustizia italiana è ben più profondo di quanto questa riforma si occupi di trattare. Succede spesso in questo paese di scegliere vie brevi a problematiche complesse che richiederebbero strumenti più fini e maggior tempo ma molto più efficaci e risolutivi nel lungo periodo. Secondo l’illustre magistrato il problema di fondo di quello che è il progetto di riforma della Giustizia, così come illustrata dalle linee guida del Ministero è che: "si vuole fissare ancora una volta la durata massima di un processo, anziché cercare di ridurre il numero dei processi per snellire l’attività della magistratura". Mai affermazione è stata più giusta. Il numero dei processi in Italia è stratosferico, tanto da aver portato a un vero e proprio ingolfamento della macchina giudiziaria. Offrire alle persone come unico strumento di tutela la via processuale è insensata oltre che vergognosamente costosa per lo Stato e doppiamente per il cittadino: che paga come contribuente i costi della Giustizia e anche come parte in causa nel processo, per non parlare delle spese del legale. A parere di Davigo: "occorre disincentivare in ogni modo il ricorso alle cause, civili e penali. Chi ha torto deve pagare, non costringere chi ha ragione a fargli causa. Deve sapere che se finirà davanti a un giudice e questi capirà che ha torto, si prenderà una condanna ancora più pesante. Non serve una rivoluzione, bisogna partire da pochi principi che avranno ricadute a lungo termine". Un discorso giustissimo che il progetto di riforma non prende minimamente in considerazione. Il creditore di un debito da lavoro, per fare un esempio spicciolo, che deve recuperare 5 mila euro: tra spese processuali, avvocato e durata del processo si vede rendere vana l’utilità dello strumento processuale; probabilmente ne spenderebbe il doppio per recuperarli. Se lo strumento del processuale costringesse il debitore a pagare il doppio o triplo del credito probabilmente il timore lo incentiverebbe a risolvere la questione in via extra-processuale accordandosi con il creditore. Riguardo ad un altro tema caldo e cioè, quello delle carceri il consigliere di Cassazione afferma: "L’Italia, rispetto agli altri Paesi europei e agli Stati Uniti, ha il numero di carcerati più basso rispetto alla popolazione ma le carceri scoppiano. Per l’insipienza della classe politica, però, si andrà a svuotarle di nuovo. Le soluzioni sono altre: costruire nuove carceri o ridurre il numero delle pene da scontare nei penitenziari". Ancora una volta piccoli principi dettati dal buon senso che non vengono minimamente presi in considerazione dalla riforma della giustizia di Orlando. Il problema della lentezza della giustizia italiana secondo il magistrato è dell’eccessivo numero di avvocati: "questa è una vera bomba sociale. Ogni anno i nuovi avvocati sono 15 mila, si arriverà presto a 400mila avvocati in totale, a caccia di cause sempre nuove". Giustizia: Cantone (Anticorruzione); contro i corrotti usare infiltrati e agenti provocatori di Dino Martirano Corriere della Sera, 18 agosto 2014 Intercettazioni più facili, agenti provocatori che simulano la corruzione, benefici di pena e non solo per l’imprenditore e il pubblico ufficiale che si autodenunciano e collaborano. L’ex magistrato Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) dal 28 aprile (ma operativo solo dai primi di luglio), indica quali potrebbero essere nuovi strumenti investigativi per combattere il malaffare dei colletti bianchi. Ma poi, nella sua nuova veste di capo di una squadra di controllori indicata dal governo, Cantone rassicura anche gli imprenditori (soprattutto quelli impegnati con l’Expo) che temono la scure dell’Anac: "Noi non emetteremo mai provvedimenti di commissariamento degli appalti se non c’è una base probatoria particolarmente forte". Presidente Cantone, la crisi favorisce o frena la corruzione? "In periodo di crisi si riducono le occasioni di lavoro e quindi c’è anche più concorrenza sul piano della corruzione. Tuttavia, il numero minore di affari rende numericamente meno significativa la corruzione. Però, mi faccia aggiungere una cosa: la presenza della corruzione è di per sé un "volano" della crisi. Dove c’è corruzione si innesta un meccanismo che tende ad allontanare gli investimenti". Per l’Expo di Milano, preoccupano i tempi di consegna delle opere. I controlli anticorruzione potrebbero rallentare i cantieri? "Certo, c’è una corsa contro il tempo. Io sono stato nei cantieri il 13 agosto e ho visto molte opere a buon punto...". Sì, però, dopo l’inchiesta che ha portato in carcere due glorie degli appalti come Greganti e Frigerio, i controlli dell’Anac rischiano di rallentare i lavori? "Non ho notizie in questo senso, il commissario di Expo ad oggi dice il contrario. Noi siamo presenti con controlli molto approfonditi ma, a seconda del tipo di appalto, diamo le nostre risposte in 7-15 giorni. In genere diamo delle prescrizioni che sono state quasi sempre accolte con il risultato che, forse, il meccanismo è più farraginoso. Ma tutto questo rappresenta pur sempre una garanzia per lo stesso management dell’Expo. Non dimentichiamo che il controllo arriva dopo note vicende". È sciolto il nodo del rapporto tra l’Anac con la magistratura. Lei vorrebbe essere avvertito per tempo dalle procure quando viene acceso un faro su un appalto. "Guardi, i miei rapporti con gli uffici giudiziari sono stati perfetti. In primo luogo quelli con la procura di Milano con la quale c’è massima collaborazione bilaterale. Tuttavia, l’istituto del commissariamento si applica non solo ai grandi appalti ma anche ai lavori di cui i giornali non parlano: per questo alcuni fatti corruttivi potrebbero non arrivare alle nostre orecchie. Ecco perché vedrei bene che l’autorità giudiziaria desse comunicazione all’Anac quando le indagini diventano pubbliche. Prima di questo momento noi non abbiamo alcun interesse a conoscere gli atti". Con i poteri che le sono conferiti, le imprese temono commissariamenti facili. C’è del vero? "Qualcuno ha detto che il commissariamento scatterebbe in presenza di elementi di mero sospetto. Ma questa impostazione è già stata smentita nella vicenda dell’appalto della Maltauro: in quel provvedimento ho detto che il presupposto per poter disporre il commissariamento è una base indiziaria molto grave. Quanto meno quella idonea a giustificare una custodia cautelare o un rinvio a giudizio". Gli appalti vengono assegnati con il meccanismo del massimo ribasso che poi, con le varianti in corso d’opera, diventa massimo rialzo. "Questo dell’aggiudicazione degli appalti è un dei temi centrali per la lotta alla corruzione. L’appalto ideale sarebbe quello in cui una progettazione abbastanza specifica poi impedisce le varianti. Quindi se tu sai che le varianti non possono essere fatte in corso d’opera, il ribasso alla fine non sarà così forte: quindi, ci vorrebbero stazioni appaltanti molto attrezzate per evitare che le varianti diventino regola e non eccezione. Per ora, comunque, abbiamo ottenuto che le varianti particolarmente onerose ci debbano esser segnalate dalle stazioni appaltanti. E questo ci consente di accendere un faro sui lavori anche perché, alla fine, il massimo ribasso favorisce le imprese mafiose. Quelle cariche di liquidità che possono pure pensare di vincere un appalto senza grandi guadagni". Nel campo delle intercettazioni servirebbe estendere gli strumenti investigativi usati contro la criminalità organizzata anche ai reati di corruzione? "Nel caso di indagini contro la criminalità organizzata, per fare le intercettazioni non sono necessari i gravi indizi, mentre le "ambientali" si possono estendere anche ai luoghi in cui non si ha la certezza che lì si stia consumando un reato. Ecco, prevedere tutto questo anche per i reati di corruzione mi sembra una delle strade migliori". Falso in bilancio: si aspetta che il governo proponga una pena superiore ai 5 anni in modo da consentire le intercettazioni se si procede per quel reato? "Una norma seria sul falso in bilancio, con pena adeguata che consenta le intercettazioni, rappresenterebbe un ostacolo per i fenomeni di corruzione. Il corruttore ha quasi sempre necessità di truccare i bilanci per far uscire il denaro". Lei ha proposto di utilizzare l’agente provocatore che si finge corruttore. Il modello è quello delle indagini antidroga? "Al governo direi di ampliare gli istituti dell’agente provocatore validi per la criminalità organizzata. Non solo il classico infiltrato. Penso anche a chi si finge corruttore, come in materia di droga dove esiste il simulato acquisto...". Si passerebbe alla simulata corruzione. "Sì, un agente provocatore offre a un pubblico ufficiale una grossa somma di denaro per avere un significativo atto a suo favore. Tutto questo, comunque, avverrebbe con le garanzie di legge e sotto il controllo dell’autorità giudiziaria". Questa tecnica investigativa estesa agli appalti provocherebbe una strage, Non trova? "Qual è la funzione dell’agente provocatore? Scoprire i reati, certo. Ma anche quella di rendere estremamente pericolosi, per chi ci vive a contatto, i meccanismi corruttivi". Servirebbero pure i collaboratori di giustizia con il colletto bianco? "Servono meccanismi di attenuazione significativi della pena per chi collabora. Sarebbe eccezionale, se oltre alle intercettazioni e agli agenti provocatori, il governo scegliesse anche la via dei benefici. Non mi scandalizzerei se all’imprenditore, o anche al pubblico ufficiale che collabora, venisse scontata anche l’interdizione dai pubblici uffici". Contro la corruzione sene più il carcere o l’interdizione? "Per i colletti bianchi esistono pene molto più forti rispetto al carcere. E penso all’interdizione ampia e alle confische dei beni". Giustizia: Sappe; detenuti devono lavorare sempre, operazioni ferragosto propagandistiche Comunicato stampa, 18 agosto 2014 "Bisognerebbe far lavorare tutti i giorni dell’anno i detenuti, specie in lavori di pubblica utilità a favore della tutela ambientale come pulire i greti dei fiumi, i giardini, occupandosi della cura e manutenzione degli spazi pubblici delle città. Farlo un solo giorno all’anno, a Ferragosto, puzza di operazione propagandistica fine a se stessa, che non è utile a nessuno. Eppure Chi sconta la pena in carcere ha un tasso di recidiva del 68,4%, contro il 19% di chi fruisce di misure alternative e addirittura dell’1% di chi è inserito nel circuito produttivo." Lo dichiara il segretario generale del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe), Donato Capece, commentando le iniziative che hanno visto coinvolto detenuti in lavori di pubblica utilità nel giorno di Ferragosto. "Il fatto che i detenuti non siano impiegati stabilmente in attività lavorative o comunque utili alla società" prosegue Capece "favorisce l’ozio in carcere e l’acuirsi delle tensioni. Ricordo a me stesso che, secondo le leggi e il regolamento penitenziario, il lavoro è elemento cardine del trattamento penitenziario e ‘strumento privilegiato’ diretto a rieducare il detenuto e a reinserirlo nella società. In realtà, su questo argomento c’è profonda ipocrisia". "Tutti, politici in testa", conclude il Sappe "sostengono che i detenuti devono lavorare: ma poi, di fatto, a lavorare nelle carceri oggi è una percentuale davvero irrisoria di detenuti, con ciò alimentandosi una tensione detentiva nelle sovraffollate celle italiane fatta di risse, aggressioni, suicidi e tentativi suicidi, rivolte ed evasioni che genera condizioni di lavoro dure, difficili e stressanti per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. Per questo le iniziative che hanno visto l’impiego di detenuti in lavori pubblici a Ferragosto non mi convincono: mi sembrano, anzi, operazioni di marketing mediatico più simili ad alibi per nascondere il diffuso disinteresse, per tutto il resto dell’anno, su questi temi". Lettere: manette facili… ma un arrestato su due poi viene assolto di Alessio Di Carlo (Segretario Associazione "Radicali Abruzzo") Il Centro, 18 agosto 2014 Egregio Direttore, finalmente la questione carceraria arriva a suscitare qualche interesse. Mi riferisco all’intervento del Dott. Gennaro Varone che arriva a criticare la situazione italiana sotto un duplice profilo: da un lato, per la sudditanza economica al sistema Euro che impedirebbe di costruire nuove carceri; dall’altro, per l’adozione di alcune misure tese a svuotare gli Istituti. Mi permetto, tramite il suo giornale, di offrire ai lettori - e, nei limiti del consentito, anche al Dottor Varone - una lettura ribaltata rispetto alla prospettiva offerta dal magistrato. Intanto, sulla questione della edilizia carceraria, faccio presente che in Italia ci sono almeno quaranta Istituti costruiti, inaugurati e però mai utilizzati oppure aperti e sfruttati solo in parte. Ancora una volta il problema non è quello di mancanza di risorse ma della incapacità di fare un uso oculato di ciò che c’è. C’è poi la questione della carcerazione preventiva, rispetto alla quale Varone critica la scelta del governo di escluderla per i reati meno gravi. È triste leggere con quanto pressapochismo venga trattato il tema proprio oggi che ricorre il decennale del suicidio in carcere dell’ex sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, arrestato e sbattuto in galera con accuse pesantissime a ferragosto 2004 e morto suicida dopo poche ore. Sette anni dopo, la sentenza ha escluso qualsiasi coinvolgimento dell’amministratore. Ma Valentini ormai non c’è più, nessuno potrà nemmeno porgergli le proprie scuse per quell’arresto. E non si tratta di un caso isolato, visto che la statistica afferma che il 50% delle persone detenute in carcerazione preventiva viene poi assolto. Ecco perché si dovrebbe essere cauti nell’affermare che "la carcerazione preventiva vale ad impedire a persone pericolose di fare del male agli altri": si dovrebbe spiegare che vale ad "impedire a persone che nella metà dei casi saranno confermate innocenti di fuggire o di inquinare le prove o di tornare a delinquere" e magari dire che, al contrario, in questo Paese la carcerazione preventiva è stata sovente adoperata, cosa che tuttora accade, come strumento per indurre confessioni, più o meno genuine. Lettere: "Il carcere offende la dignità umana". Questa me la segno di Zita Dazzi La Repubblica, 18 agosto 2014 Dialoghi all’Ipm Beccaria. Ma vale, che dici? Ti pare che stiamo in camere separate? Il Beccaria non è mica un albergo! Va bene, non è uno schifo come il Malaspina di Palermo o Nisida a Napoli. Però t’assicuro che è un carcere. Con le sbarre alle finestre e tutto il resto. Quindi in cella ti può capitare di tutto. La prigione ha le sue regole e se non le rispetti, sono tutti cacchi tuoi. Se dai fastidio agli sbirri, gli sbirri ti mettono le mani addosso. Se cerchi di evadere e ti beccano, ti fai il doppio della pena. Se ti facevi, devi riuscire a smettere. Se non vuoi morire di noia, devi accettare di fare qualcosa. Se non vuoi studiare, almeno devi andare ai laboratori. Ti vogliono a tutti i costi insegnare qualcosa. Io la prima volta che sono entrato in un carcere, mi rifiutavo di parlare. Non sono mica un infame, con i pulotti non ci volevo avere niente a che fare. E pure con i preti. Io in Dio non ci credevo e non ci credo nemmeno adesso. Però sai una cosa? Alla fine, dopo tutti questi giri che mi sono fatto, di carcere in carcere, ho capito che c’è sbirro e sbirro, e che con i preti ci si può persino parlare. Pensa che al sabato sera vado a Messa. Ma mica per sentire le preghiere. Ci vado perché ci vanno gli altri, gli amici. È un’occasione per stare fuori dalla cella. E poi magari nella predica viene fuori qualche argomento che mi interessa. Pensa che a Natale, una volta, è venuto pure un cardinale. Non mi chiedere come si chiamava, che non me lo ricordo. Però mi è piaciuto quello che diceva. Mi ricordo una frase sola: "Il carcere offende la dignità umana". Me la sono segnata. Lombardia: in sette mesi mille detenuti in meno, ma resta il sovraffollamento di Mario Consani Il Giorno, 18 agosto 2014 Mille detenuti in meno, quasi 200 posti letto in più. Così è cambiata, in soli sette mesi, la geografia delle carceri lombarde. Nessun miracolo, sovraffollamento ancora da abbattere, ma anche innegabili miglioramenti sulla scia di una tendenza nazionale resa necessaria dalla condanna della Corte europea di Strasburgo per la disumanità delle celle italiane. I dati sono quelli ufficiali del ministero di Giustizia. A fine luglio, in Lombardia c’erano 7.743 detenuti: all’inizio dell’anno erano 8.756, ben 1.013 in più. Nel contempo, alla voce "capienza regolamentare" complessiva dei 19 penitenziari regionali, il 31 dicembre si leggeva 5.892, ora 6.075. Dunque, il sovraffollamento resta. Ma se il tasso di occupazione sfiorava a gennaio il 150%, oggi, solo sette mesi dopo, si ferma sotto il 130%. Certo, i problemi restano. Anche perché, per la prima volta, il ministero pubblica online, carcere per carcere, il numero dei posti letto "attualmente non disponibili" per varie ragioni (il record è a San Vittore con 222). Però è anche vero che, per la prima volta, specifica che "i posti regolamentari sono calcolati sulla base del criterio di 9 metri quadrati per singolo detenuto più 5 metri quadri per gli altri, lo stesso per cui in Italia viene concessa l’abitabilità delle abitazioni". Criterio che si tiene più largo rispetto a quello adottato dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura. A migliorare il rapporto posti a disposizione-detenuti presenti - ma anche la qualità complessiva della detenzione - hanno contribuito senz’altro, in questi mesi, l’apertura di nuovi padiglioni a Pavia, Cremona e Voghera, la redistribuzione sul territorio di un buon numero di "ospiti" secondo criteri di pericolosità, gli effetti delle norme cosiddette "svuota carceri" approvate negli ultimi anni e che ora consentono i domiciliari a chi, in determinate condizioni, debba scontare ancora fino a 18 mesi di reclusione. I dati del ministero al 31 luglio parlano di 2.225 detenuti che, dal 2010 ad oggi, sono usciti dai penitenziari lombardi per andare agli arresti tra le mura di casa. Analizzando poi la situazione struttura per struttura, i progressi dell’affollatissimo San Vittore sono innegabili. Un anno e mezzo fa il presidente della Corte d’appello, Giovanni Canzio, denunciava con forza l’intollerabilità delle sue allora 1.616 presenze: oggi i detenuti sono "solo" 833. A Como sono 395, tanti a fronte di una capienza regolamentare di 230. Nel bresciano Canton Mombello sono 309 (e i posti solo 189), a Lodi 68 (50 posti), a Busto Arsizio 331 (posti 179), a Voghera 405 detenuti per 339 posti, a Pavia 589 invece dei 514 regolamentari, a Cremona 373 con sovraffollamento azzerato. Quanto alle caratteristiche personali dei 7.743 attuali detenuti lombardi, poco meno della metà (3.353) sono stranieri, 474 in tutto le donne. Circa due terzi della popolazione carceraria (5.376 tra uomini e donne) sconta una pena ormai definitiva. Di quel che resta - quasi 2.400 persone - è appena il caso di ricordare che statisticamente una buona parte (almeno il 30 per cento) finirà per essere assolta o scarcerata, avendo con ciò scontato una custodia cautelare che non meritava. In concreto, si può stimare che almeno 600 cittadini si trovino in cella, in questo momento, mentre potrebbero stare in vacanza. Puglia: 3.300 detenuti in 2.500 posti, presto nelle carceri ci sarà spazio per seicento in più La Gazzetta del Mezzogiorno, 18 agosto 2014 Pianeta carceri Puglia, i Senatori Luigi D’ambrosio Lettieri e Piero Liuzzi ieri hanno potuto verificare di persona la situazione nei penitenziari di Bari e Taranto. Bari migliora, Taranto un po’ meno. La situazione va, sia pure lentamente, regolarizzandosi. Il sovraffollamento nelle carceri pugliesi, il cui standard è comunque ancora lontano da quelli di regolarità imposto dall’Unione europea; entro un anno i penitenziari di Trani, Taranto e Lecce potranno disporre di altri 600 posti (200 a testa) grazie ai fondi ministeriali che consentiranno a brevissimo l’apertura di tre cantieri; restano critici carenza degli organici e profili sanitari: è questa in sintesi la situazione che i senatori di Fi Luigi d’Ambrosio Lettieri e Piero Liuzzi hanno trovato ieri durante la visita ferragostana ai penitenziari di Bari e Taranto. "La situazione si presenta a macchia di leopardo - afferma D’Ambrosio Lettieri, che è capogruppo di FI nella Commissione Sanità del Senato - a Bari, dopo la sentenza Torreggiani e il ripristino della seconda sezione che è tornata a essere fruibile dopo un periodo di ristrutturazione, il divario tra capienza regolamentare ed effettiva è nettamente migliorata. Gli spazi sono certamente più adeguati a quello che prescrivono le leggi. Su 300 posti disponibili, i detenuti oggi sono 320. Mentre resta piuttosto difficile la situazione a Taranto dove, su una capienza regolamentare di 306 posti, si ha una presenza pari a 549 detenuti. Non solo. Di questi 549 detenuti, 200 sono in terapia psichiatrica, 12 i casi conclamati psichiatrici e 275 i tossicodipendenti. Nove i detenuti affetti da Hiv (il virus da immunodeficienza acquisita)". "In questo quadro - continua D’Ambrosio Lettieri, - non aiuta certo il fatto che purtroppo si deve registrare, in senso generale, l’assenza di una governance integrata del sistema, considerato che il pieno trasferimento delle competenze al Servizio sanitario nazionale come da normativa ancora non c’è stato". I penitenziari pugliesi al momento contano complessivamente la presenza di 3.300 detenuti rispetto ad una capienza regolamentare di 2.500. In questo contesto, il senatore Liuzzi sottolinea come "la buona notizia sia certamente l’apertura a breve dei tre cantieri che daranno alle carceri di Trani, Taranto e Lecce altri 200 posti a testa per garantire ai detenuti una maggiore vivibilità degli spazi, ma anche agli operatori penitenziari condizioni di lavoro più adeguate all’obiettivo fondamentale della detenzione che comprende non solo l’espiazione della pena, ma la realizzazione di un disegno concreto di recupero personale e formativo al fine della reintegrazione sociale". "Naturalmente - concludono i due senatori, "occorre insistere anche sul fronte dell’adeguamento degli organici, in virtù del fatto che gli operatori penitenziari esercitano un’attività delicata, complessa e usurante sotto diversi profili. Il nostro impegno continuerà ad essere costante e concreto perché si cambi passo". Liguria: carceri sovraffollate al 112%, detenuti in calo dopo i provvedimenti del ministero Il Secolo XIX, 18 agosto 2014 Il Ministero della Giustizia ha pubblicato sul sito giustizia.it i dati, carcere per carcere, delle capienze effettive e dei detenuti presenti. È il Molise la regione che registra il più alto tasso di sovraffollamento (151%), seguita dalla Puglia (144%) e dal Friuli (139%). La Liguria si colloca in tredicesima posizione con un sovraffollamento del 111,9%. "Possiamo dire con una certa soddisfazione che il Ministro Andrea Orlando ha accettato la proposta che avanzavamo da mesi che è quella di mettere i dati online - dichiarano i Radicali - seppure con l’aiuto della Corte Costituzionale autrice della sentenza che ha abrogato la legge Fini-Giovanardi sulle droghe, Orlando è riuscito ad ottenere la diminuzione di alcune migliaia di unità della popolazione detenuta. Lo ha potuto fare grazie ai provvedimenti già messi in campo dai Ministri che lo hanno preceduto (in particolare, Annamaria Cancellieri) e ad altri licenziati durante il suo mandato". I Radicali comunque chiedono l’amnistia. "Consentirebbe, nel penale e con serie e positive ripercussioni nel civile, di abbattere in un sol colpo buona parte della mole di oltre 5 milioni di procedimenti penali pendenti". Napoli: Poggioreale, l’estate delle celle aperte di Antonio Mattone Il Mattino, 18 agosto 2014 "Adesso sembra quasi di stare in un albergo a 5 stelle", ha affermato Ciro, detenuto da due anni nella Casa circondariale "Giuseppe Salvia". Parole pronunciate con una certa enfasi che però fanno intravedere dei segnali di cambiamento all’interno delle mura del carcere di Poggioreale. In effetti, da alcuni mesi, l’amministrazione penitenziaria sta producendo un grande sforzo per migliorare le condizioni di vita del penitenziario napoletano. Il cambiamento è cominciato l’arrivo del nuovo management chiamato a rinnovare il penitenziario napoletano, che nei mesi scorsi è stato al centro di vicende poco chiare e di inchieste giornalistiche e giudiziarie, fino a fare intervenire la Commissione Libertà civili e giustizia di Strasburgo. La novità più rilevante consiste nella riduzione del numero dei detenuti scesi a 1786, mentre lo scorso anno si è quasi sfiorata la cifra record di 3000. Un overbooking della disperazione che ha reso drammatica la coabitazione, soprattutto negli afosi mesi estivi, quando in unico ambiente erano costrette a stare fino a 14 persone, con un solo bagno a disposizione collocato nello stesso spazio adibito a cucina e alla preparazione dei pasti. Un terzo dei detenuti in meno non vuol dire solo rendere più umana la convivenza ma anche migliorare la qualità del servizio degli operatori penitenziari. Agenti, educatori, medici e infermieri possono così operare con meno stress e più efficacia. Possono ascoltare i reclusi ed osservarli con attenzione, mettendo integralmente in atto la Riforma che alla fine degli anni 70 cambiò il sistema carcerario italiano, passando dalla concezione punitiva della galera a quella rieducativa. Anche i colloqui con le famiglie possono oggi avvenire in maniera più umana, senza banconi divisori e con uno spazio attrezzato ad area verde per incontrare all’aperto e in intimità i propri bambini. Ma tra le novità di questa stagione, quella più apprezzata dagli "ospiti" è quella di tenere aperte le porte blindate delle celle 24 ore al giorno, in modo da permettere una maggiore circolazione dell’aria, una vera rivoluzione per il carcere di Poggioreale. È un nuovo clima che si inizia a respirare e che coinvolge anche gli agenti, più attenti alle esigenze dei detenuti. Nel reparto degli stranieri l’altro giorno è stato segnalato ai volontari un ghanese appena arrivato che aveva al piede solo due ciabatte malandate. E per celebrare il nuovo corso di Poggioreale, il giorno di Ferragosto il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica presieduto dal Ministro degli Interni Alfano si è collegato in videoconferenza con il carcere napoletano, da dove sono stati comunicati i dati delle presenze nazionali dei detenuti che sono scesi a 54.099 unità, un numero che non si riscontrava da più di 7 anni. Certo è ancora presto per parlare di svolta, molte cose sono ancora da fare. Penso alla ristrutturazione delle cucine e di alcuni reparti che versano in condizioni igieniche precarie, come il terzo piano del padiglione Roma. C’è bisogno che ricoveri e prestazioni sanitarie siano adeguate alla domanda e le attrezzature alle norme, come l’impianto per l’ossigeno-terapia diventato ormai obsoleto. E anche il personale deve sposare pienamente i cambiamenti di questa nuova stagione. Riuscirà questo carcere a trasformarsi da famigerato "inferno Poggioreale" ad "Istituto di rieducazione Giuseppe Salvia"? Si ispirerà ai quei principi di recupero e riabilitazione della pena che furono propri della Riforma Gozzini e in cui credeva il vicedirettore a cui è intitolato il carcere, ucciso barbaramente dalla camorra? Appuntamento al prossimo Ferragosto. Napoli: il Senatore Compagna (Ncd) e i Radicali in ispezione al carcere di Secondigliano di Emilio Quintieri www.radicali.it, 18 agosto 2014 Continuano senza sosta su tutto il territorio nazionale le ispezioni dei Radicali negli Istituti Penitenziari italiani. Nonostante i Radicali non siano più in Parlamento grazie alla disponibilità di Deputati e Senatori di altre Forze Politiche riescono ad accedere all’interno delle Carceri per accertare le condizioni di detenzione e, più in generale, le problematiche di tutta la comunità penitenziaria. Questa mattina è toccato alla Casa Circondariale di Napoli Secondigliano, situata nel "caldo" quartiere di Scampia, una delle strutture detentive più grandi d’Italia costruita nel 1982 ed inaugurata nel 1991 dotata, tra l’altro, di un Centro Diagnostico Terapeutico che ospita tantissimi detenuti ammalati cronici provenienti non solo dalla Regione Campania ed altrettanti con problemi di tossicodipendenza. La visita ispettiva è stata effettuata, con preavviso, dal Senatore della Repubblica Luigi Compagna (Nuovo Centro Destra) unitamente al Dirigente dei Radicali Italiani Luigi Mazzotta ed ha riguardato, principalmente, il Reparto di Infermeria dove sono ristretti alcuni detenuti gravemente ammalati e bisognosi di continua assistenza sanitaria. Nel corso della visita il Senatore Compagna ed il radicale Mazzotta, su segnalazione dell’esponente radicale calabrese Emilio Quintieri, hanno incontrato anche il detenuto Sebastiano Pelle, classe 1961, originario della Provincia di Reggio Calabria, trasferito nel Penitenziario napoletano dalla Casa Circondariale di Roma Rebibbia. Come si ricorderà, nelle scorse settimane, il suo difensore di fiducia Angela Giampaolo, aveva presentato l’ennesima istanza al Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Roma per le sue gravi condizioni di salute. Nello specifico, l’avvocato sollecitava il trasferimento dello stesso in un Centro Clinico Specializzato per essere sottoposto ad un delicato intervento chirurgico finalizzato alla sostituzione della valvola aortica poiché, altrimenti, rischiava e rischia di morire in carcere. Già precedentemente, negli scorsi mesi, il Gip di Roma aveva invitato la Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ad attivarsi con la massima sollecitudine per reperire un’altra idonea sistemazione per il detenuto calabrese, viste le gravi patologie riscontrate sia dal Medico Legale incaricato dall’Autorità Giudiziaria sia dal Consulente di parte. Dalle perizie che vennero effettuate emerse che le condizioni di salute del Pelle, in custodia cautelare per traffico di sostanze stupefacenti, erano assolutamente incompatibili con l’ordinario regime di detenzione inframuraria. Il Pelle ha riferito alla delegazione che ha bisogno di essere operato con la massima urgenza poiché rischia di morire da un momento all’altro lamentando, altresì, il suo mancato trasferimento presso una struttura sanitaria esterna che attende da diversi mesi. Il detenuto ha tenuto a precisare che la necessità dell’intervento chirurgico è stata riconosciuta sia dal Servizio Sanitario Penitenziario di Rebibbia e di Secondigliano che da quello dell’Azienda Ospedaliera "Vincenzo Monaldi" di Napoli. Il Senatore Luigi Compagna ha promesso al detenuto calabrese il suo impegno impegnandosi a sollecitare il suo trasferimento presso l’Ospedale Monaldi di Napoli, specializzato nella cura delle patologie pneumo-cardiovascolari, o in altra struttura sanitaria pubblica della Campania presso la quale potrà, finalmente, essere operato e curato in maniera appropriata. Nel Penitenziario di Secondigliano, secondo quanto racconta il radicale Luigi Mazzotta, sono stati incontrati anche altri detenuti gravemente che, sicuramente, per le loro problematiche di salute non dovrebbero restare in carcere. Tra questi il napoletano Fabio Ferrara, 27 anni, condannato definivo per tentata rapina in concorso, il cui fine pena è previsto tra 2 anni e 7 mesi. Questo ragazzo - dice Mazzotta - venne ferito all’addome in uno scontro a fuoco con la Polizia di Stato e, dopo tale circostanza, finì sulla sedia a rotelle con tutta una serie di problematiche. Oggi si trova rinchiuso a Secondigliano, in una cella piccolissima dove a malapena entra la carrozzella, assistito da un altro detenuto piantone che lo aiuta a compiere anche i più elementari gesti della vita quotidiana. Porta anche il pannolone, non riuscendo ad andare in bagno. Precedentemente - continua l’esponente radicale - era detenuto nel Padiglione San Paolo della Casa Circondariale di Napoli Poggioreale dove, tutto sommato, stava meglio rispetto a Secondigliano. Da qualche giorno Fabio ha intrapreso lo sciopero della fame per protestare contro il trattamento disumano riservatogli dallo Stato. Il Carcere di Secondigliano, ad oggi, a fronte di una capienza regolamentare di 898 posti (dei quali 12 non disponibili), ospita 1.278 persone detenute, molte delle quali appartenenti al circuito differenziato dell’Alta Sicurezza. Le celle sono piccolissime essendo state progettate per una sola persona ed invece sono occupate sistematicamente da 2 detenuti, attraverso l’utilizzo dei letto a castello. I bagni sono piccoli, privi della doccia interna e dell’acqua calda. Non c’è dubbio che le condizioni di detenzione stabilite dalla costante giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo non vengano rispettate e, quindi, si sia in presenza di una flagrante violazione dell’Art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani che proibisce in termini assoluti la tortura ed i trattamenti inumani e degradanti. Pordenone: penitenziari sovraffollati; quello cittadino tra peggiori, 69 detenuti in 43 posti Messaggero Veneto, 18 agosto 2014 "Il Friuli Venezia Giulia conquista il podio tra le regioni italiane, ma non c’è da rallegrarsi del risultato raggiunto. Si tratta infatti del tasso di sovraffollamento nelle carceri italiane che, se a livello nazionale è del 119,4%, nella nostra regione arriva al 138,8%. Peggio del Friuli ci sono solo Molise e Puglia". Lo evidenzia Stefano Santarossa, presidente dei Radicali friulani. Su 495 posti regolamentari, quelli effettivamente disponibili (tolti dunque quelli inagibili per lavori in corso, ristrutturazioni o mancanza di personale) sono 436: "Pertanto, al 31 luglio - sottolinea Santarossa, nelle carceri regionali c’erano 605 detenuti in 436 posti, con una carenza di 169 posti". Rende meglio la drammaticità della situazione tradurre il tasso di sovraffollamento così: circa 140 detenuti devono spartirsi lo spazio di 100 posti. "Udine e Pordenone si conquistano il posto tra le peggiori carceri in Italia - continua l’esponente dei Radicali. Nella Casa circondariale di Udine sono presenti 157 detenuti a fronte dei 93 posti disponibili (tasso di sovraffollamento del 168,8%), Pordenone ospita 69 detenuti a fronte dei 43 disponibili (tasso del 168,3%)". I Radicali hanno scritto a Debora Serracchiani affinché "si occupi e preoccupi - è l’appello - della situazione di violazione continuativa dei diritti umani negli istituti della nostra Regione". Santarossa ricorda l’impegno nelle ultime ore di Marco Pannella, nonostante le difficili condizioni di salute: si chiede il dialogo tra Pd e Radicali. Questi ultimi chiedono "provvedimenti combinati di amnistia e indulto". Ma si può aggiungere che la soluzione passa anche attraverso nuove carceri: in provincia è prevista per i primi mesi del 2016 l’apertura del penitenziario di San Vito, da 300 posti, per detenuti per reati minori. Nelle scorse settimane è stata redatta la graduatoria dopo l’esame delle offerte, ora si attende l’aggiudicazione dell’appalto. Genova: la manutenzione di giardini e spiagge tocca ai carcerati… una rivoluzione di Erica Manna La Repubblica, 18 agosto 2014 Hanno iniziato tagliando l’erba ai Giardini Govi di Punta Vagno, e a pitturare il cancello. Passeranno l’estate a ripulire le spiagge libere di Corso Italia, dalla Foce a Boccadasse, i detenuti in messa in prova. Ma il progetto è molto più ambizioso: impiegare questa forza lavoro - a costo zero - per sistemare i parchi e i giardini della città che da troppo tempo sono invasi da sterpaglie e sporcizia, e che restano all’abbandono per mancanza di fondi. A partire da Villetta Dinegro. Mettere a disposizione la propria opera per restituire qualcosa alla collettività: ed evitare il carcere. È questa la "rivoluzione copernicana", come la definiscono gli addetti ai lavori, della nuova riforma diventata legge, la numero 67 del 28 aprile 2014: "Prima di aprile questo tipo di messa in prova - spiega l’avvocato Ferdinando Stucci - era possibile solo per i reati legati all’alcol, come la guida in stato di ebrezza, per esempio. Ora è stata estesa a tutti quei reati che prevedono una pena di quattro anni come guida in stato di ebrezza, ma anche furto, riciclaggio, falso. In questo modo si crea un sistema all’inglese in cui il fine più importante è la rieducazione. E gli assistenti sociali assumono un ruolo decisivo, facendo una valutazione della persona ". "Detenuti", in ogni caso, non è la parola giusta: perché è proprio per evitare il carcere che le persone sotto processo per reati che prevedono una pena di quattro anni, giudicati da un tribunale monocratico, dopo aver risarcito il danno possono scontare la loro pena lavorando. In questo modo, possono reinventarsi, imparare un mestiere. E restituire qualcosa agli altri. L’ultima parola, ovviamente, spetta al giudice: che dà il via libera, e decide il monte ore di lavoro. A Punta Vagno, l’esperimento è già diventato realtà: con la Scab Molassana, onlus di volontariato Antincendio boschivo e Protezione civile già convenzionata con il Tribunale di Genova, che sta impiegando i nuovi lavoratori in messa in prova. "Hanno iniziato con il giardinaggio, sistemando i giardini Govi. Poi sono passati alla manutenzione delle spiagge libere - spiega Remo Giacometti, volontario della Protezione Civile che sovraintende i lavori - il progetto è nato in seguito a una convenzione con il Tribunale e con il supporto di Aster e del Municipio Medio Levante". Il prossimo passo è ambizioso: utilizzare questa forza lavoro (gratuita) per colmare i buchi neri della città. Come il giardino di Villetta Dinegro, sempre attraverso la Scab Molassana. E altre aree verdi trascurate, segnalate di volta in volta dai Municipi. "Oltre ad alleggerire il carico giudiziario - riflette l’avvocato Stucci - in questo modo si supplisce anche ai tagli di bilancio". Tra i nuovi lavoratori, c’è M. È accusato di ricettazione, per il furto di una ruspa davanti alla stazione dei Carabinieri. Ora proverà a ripartire da capo: come giardiniere. Foggia: "Masseria Giardino", gli ortaggi dei detenuti donati dal Comune alla Caritas www.teleradioerre.it, 18 agosto 2014 Solidarietà e valorizzazione delle proprietà comunali. Sono i due obiettivi che l’Amministrazione di Palazzo di Città sta perseguendo attraverso la Convenzione stipulata tra il Comune e l’Istituto Penitenziario di Foggia e finalizzata al reinserimento lavorativo dei detenuti. Al centro dell’intesa la possibilità che i detenuti siano impegnati in attività agricole presso l’azienda "Masseria Giardino". "Un’iniziativa di grande valore, che offre ai detenuti la possibilità di mettere a disposizione della comunità il loro lavoro - commenta il sindaco di Foggia, Franco Landella. Aprire le porte di Masseria Giardino significa infatti declinare in modo concreto ed operativo il concetto di reinserimento sociale, che per parte nostra abbiamo voluto coniugare con il principio di solidarietà". Il Comune di Foggia ha infatti destinato all’attività dei detenuti un appezzamento di terreno di 3.000 metri quadrati. Dall’aprile scorso, ogni giorno un mezzo di trasporto dell’Ataf accompagna a "Masseria Giardino" 6 detenuti, che si occupano della preparazione del terreno, dell’impianto di irrigazione e della coltivazione di piantine di pomodori, angurie, peperoni, insalate, cicorie, sedano e prezzemolo. "Con l’approssimarsi della maturazione dei prodotti, ci siamo posti il problema della destinazione degli ortaggi - spiega l’assessore comunale alle Politiche Agricole, Francesco Morese -. In ragione della natura sociale della Convenzione stipulata con l’Istituto Penitenziario di Foggia e dell’attività stessa dei detenuti abbiamo deciso di consegnare i prodotti alla Caritas". Quotidianamente l’Associazione invia dunque un proprio mezzo presso la "Masseria Giardino" e i detenuti provvedono alla raccolta dei prodotti da inviare alla Caritas per fini umanitari. Alla luce della disponibilità dei prodotti coltivati, che risulta essere maggiore della capacità di consumo della Caritas, l’Amministrazione comunale ha verificato la possibilità di allargare il campo della solidarietà e delle donazioni. "Abbiamo immaginato quindi che l’eccedenza della prozione potesse essere donata al Santuario dell’Incoronata - afferma l’assessore Morese . Una proposta che abbiamo avanzato al Rettore del Santuario, Don Felice Bruno, con il quale abbiamo concordato modalità e tempi della consegna". "Masseria Giardino è un patrimonio dell’intera città di Foggia. Le sue produzioni, specie in un momento di crisi economica, possono dunque essere utili alle straordinarie attività di solidarietà che il mondo della Chiesa e la Caritas mettono in campo - conclude il sindaco Landella. Attraverso questo percorso il Comune fornisce il suo contributo". Brescia: l’obbligo di dimora per lo scippatore? su una panchina del parco Corriere della Sera, 18 agosto 2014 L’avevamo lasciato in ospedale, con i polsi fasciati. E senza una casa in cui andare. A processo era finito per aver scippato una signora a bordo della sua motocicletta in quel di Rovato. Per il 40enne ufficialmente residente nella casa di famiglia a Lumezzane il giudice non aveva potuto fare altro (visto il decreto svuota carceri) che disporre l’obbligo di dimora in quel Comune, dopo il "no" dei genitori ad accoglierlo in casa agli arresti domiciliari. Venerdì la sentenza. "Ragionevole", la definisce l’avvocato Mario Moneghini: un patteggiamento a un anno, un mese e dieci giorni. Ma fino a che il verdetto non sarà esecutivo, resta come misura l’obbligo di dimora. Dove? Su una panchina. Posizionata al centro del percorso "vita" nel parco della frazione di Mosniga, a Lumezzane. È lì che il 40enne (con precedenti specifici) ha formalmente eletto il suo domicilio, per ora. Firmando davanti ai carabinieri. Si può fare. A pochi centimetri dalla panchina c’è pure una casetta, di quelle colorate dove giocano i bambini: "Sì, ogni tanto ci entro" ha ammesso. Ed è pur vero che per un piatto di pasta e una doccia i genitori hanno aperto la porta di casa, lì vicino. Quando la condanna diventerà esecutiva, dice l’avvocato Moneghini, "cercheremo di trovare una struttura che lo accolga per scontare i domiciliari. Oppure, dovesse trovare un lavoro, chiederemo l’affidamento in prova". Ma è ancora presto. Nel frattempo lui se ne sta lì. Tra la panchina e la casetta colorata . Cagliari: agente aggredito nel carcere di Buoncammino, salvato da un collega L’Unione Sarda, 18 agosto 2014 Aggredito da un detenuto con problemi psichiatrici e salvato da un collega. E' successo ieri sera nel carcere di Buoncammino, a Cagliari, dove un agente della Polizia penitenziaria è stato soccorso da un collega. Stava cercando di calmare un detenuto, affetto appunto da problemi psichici, quando lo stesso si è scagliato contro di lui colpendolo con un pugno al volto e stringendogli le mani attorno al collo. Solo il tempestivo intervento di un altro agente della Penitenziaria ha evitato il peggio. "Questi episodi - afferma il coordinatore provinciale della Uil Penitenziari, Raffaele Murtas, che ha reso noto quanto accaduto - non fanno altro che avvalorare quanto sosteniamo da tempo: numerosi detenuti dell'istituto cagliaritano soffrono di problemi psichiatrici ed il carcere cagliaritano non è sicuramente mai stato il posto adatto per poterli curare. Dopo lunghissimi anni, sembra che il nuovo istituto di Uta a breve verrà avviato. Certamente le condizioni strutturali saranno migliori ma se la tipologia di detenuti, rimarrà quella dell'istituto cagliaritano, il progetto della sorveglianza dinamica, per assicurare la sicurezza e le attività rieducative, si potrebbe rivelare un fallimento". Ma non solo. "Preoccupa non poco l'immobilismo dell'Amministrazione regionale rispetto le dinamiche che avvengono negli Istituti Penitenziari - evidenzia il sindacalista - siamo veramente amareggiati, il personale è costretto a lavorare in condizioni, anche igieniche, proibitive nel silenzio assordante dei vertici dell'Amministrazione". Sassari: uno spazio riservato ai detenuti dall’emittente radiofonica "Radio Venere" La Nuova Sardegna, 18 agosto 2014 Una iniziativa decisamente bella e lodevole quella che da alcune settimane l’emittente radiofonica Radio Venere 89.9, ha deciso di dedicare ai meno fortunati. Infatti, tutte le domeniche dalle 10 alle 13, all’interno della trasmissione di canzoni folk sassaresi, "Raccontu di Sassari" oltre ad accontentare con messaggi e telefonate in diretta i radio ascoltatori che richiedono i brani vecchi e nuovi della canzone dialettale, i conduttori della trasmissione Giuseppe Piroddu, Pinuccio Cossu e Piero Garau, con la fattiva collaborazione al centralino di Marta e Nicola Nuvoli, hanno deciso di dedicare uno spazio particolare ai detenuti del carcere di Bancali, ed ai loro familiari, che possono richiedere le loro dediche, scrivendo all’indirizzo Radio Venere via Gramsci 38A 07100 Sassari. Ma l’invito è esteso anche a gli ospiti delle case per anziani, quelle di cure ed a tutte quelle persone sole che attraverso le canzoni folk, possono passare alcune ore in allegria.