Giustizia: un ministro meno sordo di televisione e giornali di Piero Sansonetti Il garantista, 16 agosto 2014 La decisione del ministro Orlando, di disporre una ispezione nel carcere di Rossano, è sacrosanta e bisogna dire che è stata anche rapida, visto che la notizia della visita dell’on Enza Bruno Bossio si è avuta solo lunedì e che - tranne il "Garantista" e Radio Radicale - nessun giornale né nazionale né locale si è interessato alla cosa. Il ministro Orlando ha dimostrato stavolta che la sensibilità della politica e delle istituzioni può essere più avanzata della sensibilità dell’informazione e dell’opinione pubblica. Naturalmente bisognerà chiederci se il merito, o la colpa, di questa contraddizione, sia del ministro o del sistema informativo italiano. Reso al ministro il merito dell’iniziativa, è difficile non ragionare un momento sulla impressionante arretratezza della stampa e dei media italiani. Per i quali la notizia che in Calabria, gestito dalla Stato, c’è un carcere che farebbe vergognare qualunque paese dittatoriale del terzo mondo, non è una notizia, non interessa a nessuno, non chiede né attenzione né impegno. Volete sapere il perché di questo disinteresse? Ci sono due ragioni, chiarissime. La prima è di tipo regionale. La Calabria è un luogo privo di importanza per il sistema mediatico italiano. Essendo un sistema mediatico interamente costruito al Nord, centrato al Nord, col cuore e il cervello settentrionali, si interessa al Sud per due soli motivi: o per il folklore o per dire che il Sud fa schifo, è illegale ed è la palla al piede dell’Italia. Io provo a fare questa domanda. Secondo voi è più grave un presunto inchino al boss durante una processione, o il fatto che in un carcere italiano domini la sopraffazione e si eserciti la tortura, il sadismo, o la punizione illegale e ingiustificata? Quanti inviati sono arrivati a Oppido per quella storia dell’inchino, e quanti Pm si sono mobilitati? Decine. Quanti inviati a Rossano e quanti Pm? Nessuno, signori miei: proprio nessuno. E questo ti da un senso di meraviglia, di rabbia e di impotenza. Capisci che puoi gridare quanto vuoi, non sentiranno, ti hanno sequestrato, il potere ti ha preso prigioniero, sottomesso e nascosto, e nessuna tua protesta può fare alcun effetto. La seconda ragione non è regionale ma è nazionale: il più assoluto disinteresse per la questione carceri. La stampa italiana, le Tv e le radio e - in fondo - tutta l’opinione pubblica, son convinti che il destino dei carcerati non sia qualcosa che può interessare la collettività. Hanno sbagliato, stanno in prigione, qualche ragione ci sarà? Soffrono? E chissenefrega: anzi, devono soffrire, sennò che pena è? Non è immaginabile che un paese europeo possa entrare nella modernità, se non risolve questo suo problema di insensibilità e di ignoranza profondissima e di massa. La modernità non è solo efficienza economica, non è computer, connessioni e social network. Non esiste la modernità senza una cultura moderna, perché è la cultura moderna che crea le condizioni per la modernizzazione, non viceversa. E una cultura moderna, per realizzarsi, non può che partire dal luogo più umile, più emarginato. Oggi sono le carceri, come ieri erano i campi e le officine. La stampa italiana, su questo terreno è ancora medievale. Per fortuna - vogliamo dirlo, perché se lo merita - c’è un ministro che sta almeno un passettino più avanti. Giustizia: sulla riforma Napolitano chiede azioni "non divisive" di Marzio Breda Corriere della Sera, 16 agosto 2014 "Ho fatto i conti con il presidente della Repubblica. Adesso so quali poteri può avere la persona che siede al Quirinale. E ho sofferto". Ecco come, nel 1995, Silvio Berlusconi riconobbe la sconfitta del suo primo governo, attribuendone una quota di responsabilità a Oscar Luigi Scalfaro, all’epoca sul Colle da quasi tre anni. È una frase rivelatrice dello stupore di chi, più o meno digiuno di politica e convinto di riuscire a far tutto da sé, approda a Palazzo Chigi e magari non ha le idee chiare sul peso che ha una "leale collaborazione" ai vertici delle istituzioni. Certo, Matteo Renzi è politicamente scaltrito a sufficienza da non incorrere in simili sottovalutazioni. Ma di sicuro in queste settimane difficili sta scoprendo fino in fondo l’importanza di un buon rapporto con il capo dello Stato. Una sponda con lui gli è infatti fondamentale. Non solo perché i provvedimenti studiati dal Consiglio dei ministri approdano poi al Colle per la ratifica, e devono dunque essere costituzionalmente coerenti e finanziariamente "coperti". Quanto perché i consigli e l’appoggio di un uomo come Giorgio Napolitano (con la competenza e l’autorevolezza che gli sono riconosciute nelle Cancellerie europee e non solo) possono essere risolutivi per consolidare il proprio credito. È forse anche sotto questa luce che va considerato l’incontro tra i due, ieri sera a Castelporziano. Un faccia a faccia cruciale perché si trattava di fissare - per il momento almeno nelle linee generali - la prossima agenda dell’esecutivo. Che sarà in larga parte concentrata sui dossier economici, visto che, oltre alla legge di Stabilità (da presentare in Parlamento entro fine ottobre) incombono diverse altre urgenze per mettere in sicurezza il Paese, dopo gli ultimi ripetuti segnali d’allarme. Si sa, il presidente è da qualche anno impegnato in una valutazione di lungo periodo sulla crisi, basterebbe ricordare il suo intervento al Meeting di Cl a Rimini nel 2011. Per questo ha sempre spinto affinché il governo (questo e, prima ancora, quelli di Letta, Monti e Berlusconi) varasse riforme incisive, comprese quelle strutturali, in grado di imprimere una vera svolta. Ora, visto che lo scenario di recessione uscito da vari indicatori nella prima metà d’agosto conferma l’emergenza, non c’è un giorno da perdere. Così si spiega la sua insistenza per conoscere le linee generali di una ponderata spending review e per valutare i criteri dello "sblocca Italia" che il premier gli ha illustrato come soluzione da presentare in Aula già il 29 agosto per velocizzare subito la capacità di spesa attraverso nuovi interventi pubblici. Il tutto mentre altri dossier sono da tempo all’attenzione di entrambi e di cui quindi potrebbe aver discusso con Renzi. Ad esempio una riforma "non divisiva" della giustizia (ciò che può avere ricadute significative pure sull’economia, specie pensando agli investitori stranieri) e l’ipotesi, evocata in chiave più o meno suggestiva da alcuni studiosi, di un intervento straordinario per abbattere lo stock del nostro debito pubblico, della cui insopportabile entità proprio ieri si è avuta l’ennesima prova. Tutto questo va naturalmente inquadrato nella complessa partita europea, con l’Italia presidente di turno. Anche questa, per Napolitano, un’occasione da cogliere. Un summit straordinario dell’Ue è calendarizzato per il 30 agosto e, a parte le scontate discussioni sull’economia, sul tavolo ci saranno le nomine per la nuova Commissione. Il premier insisterà sulla carta Mogherini? O, riflettendo sulle forti resistenze che quel nome incontra, si prepara a lanciare nel negoziato un altro nome di riserva? Probabile che pure di questo si sia discusso, ieri sera. Uno scambio di opinioni del quale si vedranno presto gli effetti. Di Renzi, infatti, pur così diverso da lui per età e cultura politica, il capo dello Stato apprezza, oltre all’energia e alla determinazione che gli hanno permesso di conquistare il 40,8% al voto di maggio (evitando al Paese sviluppi rischiosi), la duttile e rapida capacità di apprendimento. Giustizia: sulla riforma l’ombra del patto del Nazareno di Nicola Tranfaglia www.articolo21.org, 16 agosto 2014 Una soluzione di centro, che - a quanto pare - piace alla destra di Berlusconi. Questa è l’impressione che si può ricavare, leggendo le norme principali del disegno Orlando sulla giustizia, il progetto del governo attuale appena presentato ai " media" sulla giustizia. Il patto del Nazareno tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, presidente del Consiglio ma anche segretario in carica del Partito democratico ed uomo noto per i tempi rapidi e per il desiderio di concludere entro i prossimi giorni la fase progettuale delle riforme messe in cantiere nel suo governo di "larghe intese" (la riforma della giustizia sarà pronta a settembre per il Consiglio dei ministri) è - come si dice in gergo - blindato e il ministro della Giustizia Orlando, presentando ieri le linee guida della riforma della giustizia che è in cantiere, ha dichiarato che "per cambiare la riforma della giustizia ci confronteremo con le opposizioni" e, prima di tutto (l’incontro è previsto per le ore 12 di mercoledì 12 agosto) e - che non suoni come monito non richiesto - nella stanza famosa che fu di Palmiro Togliatti quando era stato ministro - come allora si diceva di Grazia e Giustizia - nel 1948, ai tempi dell’amnistia sui delitti del periodo fascista di cui fu autore. Ma ci si chiede in questi giorni cosa emerge dal progetto che ha suscitato immediatamente la reazione contraria del presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati e da Pippo Civati all’opposizione senza esitazioni dalla linea adottata dal segretario-presidente, preoccupati che la riforma si riveli un manifesto contro i giudici, e da quelli che nel Partito Democratico sono sempre disposti a seguirlo. Innanzitutto il progetto prevede l’ampliamento della responsabilità dei magistrati; quindi il superamento del filtro esercitato dalle corti di Appello quando si presenta azione di rivalsa verso i giudici, ricordando che, in un quarto di secolo, quel filtro ha pressoché impedito la rivalsa dello Stato su giudici e pubblici ministeri, e nello stesso tempo l’obbligatorietà della rivalsa dopo un verdetto che abbia accertato la "negligenza inescusabile" del magistrato. Certo, come era anche nella riforma Vassallo del 1988, l’azione di rivalsa dei cittadini non può rivolgersi direttamente contro i magistrati ma è lo Stato danneggiato che si rifà con i magistrati fino a metà del proprio stipendio (ora è ancora un quarto). L’impianto della riforma prevede anche la possibilità di ricorso del cittadino che potrà fare causa anche "per violazione e manifesto errore nella rivelazione dei fatti e delle prove" mentre oggi la valutazione delle prove non dà luogo a responsabilità del magistrato. Sono previsti nello stesso tempo mutamenti nelle prescrizioni, impossibilità delle intercettazioni per chi non è indagato e una riorganizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura che metta fuori combattimento le forti correnti che percorrono quella corporazione, forse attraverso l’obbligo di elezioni primarie che dovrebbero sfociare quindi in una lista unica comprensiva di tutti i vincitori. Ma, a quanto pare, una proposta organica e definitiva non è ancora pronta. Il ministro dovrebbe anche provvedere alla nomina del nuovo Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. La situazione delle nostre carceri, infatti, è sempre sull’orlo della crisi. Il sovraffollamento dei detenuti si è ridotto e il numero attuale è di 54.400 detenuti ma il Guardasigilli non ha ancora scelto il nuovo titolare del Dipartimento. Per aver un’idea della situazione nel continente europeo rispetto alla nostra, basti dire che in Francia non è contemplata l’azione diretta contro i magistrati ed è lo Stato in prima istanza a rispondere per i danni causati dall’azione giudiziaria e teoricamente (ma di fatto non avviene) potrebbe rivalersi verso i magistrati. In Spagna, invece, è prevista la responsabilità dei magistrati in campo civile come penale. In Germania è prevista la responsabilità della rivalsa "in caso di colpa o dolo grave" da parte della Federazione come di un Land. In Inghilterra, infine, i giudici sono immuni da responsabilità ma in certi casi possono essere rimossi. Come si vede, legislazioni diverse legate alla storia dei vari paesi. Quella italiana, e questo va ricordato, è più vicina a quella della Francia e soffrirebbe di uno strappo legato, come sembra questo, al patto del Nazareno con l’uomo di Arcore. Giustizia: un piano per ridurre le Corti d’Appello, passeranno da 26 a 20 di Dino Martirano Corriere della Sera, 16 agosto 2014 I governi Monti e Letta hanno faticato non poco per tagliare 30 tribunali minori con altrettanti uffici di procura e ora, proseguendo quella strada che ha osato sfidare tanti localismi, il Guardasigilli Andrea Orlando mette mano alla geografia della Corti d’Appello e delle Procure generali. Sono 26, ne rimarranno 20. In realtà, si tratterà di creare accorpamenti: a rischio "razionalizzazione" sono le corti delle regioni piccole (Basilicata, Molise, Abruzzo, Umbria, Marche), che dovrebbero cedere il distretto alle regioni limitrofe. Lo schema da seguire è quello del Nord Ovest che, da tempo immemorabile, fa dipendere l’intera Valle d’Aosta dalla Corte d’appello di Torino. Una riflessione a parte, poi, riguarderebbe la Sicilia, unica regione ad avere 4 Corti d’Appello (Palermo, Catania, Messina, Caltanissetta). Tagli certi, infine, per le sezioni distaccate di Taranto e Sassari mentre Bolzano, costituzionalmente tutelata, si salva. Spiega il ministro Orlando: "Bisogna proseguire la strada di razionalizzazione già intrapresa con il primo grado, superando le criticità di quella legge delega, anche perché l’appello è il vero imbuto del sistema". La lunga estate di riscaldamento che il governo Renzi ha voluto concedere alla riforma della giustizia, annunciata il 30 giugno, si arricchisce dunque di un altro tassello con la nuova scheda pubblicata sul sito del ministero (giustizia.it) che punta dritto al cuore dell’organizzazione giudiziaria presente sul territorio ancora nella sua versione ottocentesca. La razionalizzazione degli uffici, nelle intenzioni di Orlando che ancora ieri presidiava il ministero con lo staff del gabinetto e del legislativo al completo, dovrebbe portare notevoli "economie di scala" in termini di efficienza e di spesa. E poi la cancellazione di 5-6 Corti d’Appello di modeste dimensioni di fatto renderebbe inoffensivo quel trucco contabile varato dal Parlamento in nome dei mille localismi (la "regola del tre") che impone almeno tre tribunali (microscopici) per distretto di corte d’Appello. Con la pubblicazione della nuova scheda, il ministro si appresta a completare la "discovery" della riforma entro il 21 agosto. Molto si è scritto sulla responsabilità civile dei magistrati, sulla velocizzazione del processo civile, sulla creazione in ogni capoluogo di un tribunale specializzato per le imprese e di tribunali ad hoc per il contenzioso che riguarda la famiglia (il divorzio tra coniugi consenzienti senza figli minorenni verrà certificato da un ufficiale giudiziario o da un avvocato). All’appello mancano i testi sul Csm (sezione disciplinare esterna al consiglio, e nuovo sistema elettorale dei togati per arginare le correnti), sulla prescrizione e sulle intercettazioni. Ovvero mancano i temi caldi sui quali il Pd rischia lo scontro con l’alleato di governo, Ncd, e con Forza Italia interessata a non perdere il treno delle riforme. Qualcosa però già sta emergendo sulle scelte di Orlando: sulle intercettazioni, per esempio, si è già deciso di "estendere gli strumenti di indagine finalizzati al contrasto della criminalità organizzata anche ai reati di corruzione e affini". E non è poco se si pensa che il contrasto ai reati dei "colletti bianchi" è il vero banco di prova per la tenuta della maggioranza. Infine, una novità sul processo disciplinare per i magistrati, non più "domestico", potrebbe arrivare oggi: si parte con la sezione disciplinare esterna, o Alta corte che sia, che giudicherà le toghe amministrative e contabili. Un assaggio, per poi passare ai magistrati ordinari. Giustizia: ecco come cambierà il processo civile… meno appelli, più arbitrati e mediazioni di Liana Milella La Repubblica, 16 agosto 2014 Vuole passare alla storia della giustizia in Italia come il "modernizzatore del processo civile". È la scommessa del Guardasigilli Andrea Orlando che il 29 agosto approderà a palazzo Chigi e che il premier Matteo Renzi considera "strategica". Eccone linee guida e relativi possibili problemi. Come si è creato l’attuale arretrato civile di 5 milioni di processi pendenti? È il frutto di lentezze accumulate nel tempo e soprattutto di carichi impropri addossati alla giurisdizione. Solo in Italia vi sono Comuni che non pagano i debiti benché iscritti in bilancio. E solo in Italia lo Stato ha dovuto fare una legge per obbligare se stesso a pagare i debiti. Un vero e proprio paradosso. Si ricorre alla giustizia civile solo come mero espediente dilatorio. Costa meno che chiedere un prestito in banca. Come si fa a ridurre l’arretrato? Anzitutto non aumentandolo, e quindi facendo in modo che il processo civile riparta su basi di celerità ed efficienza. L’arretrato va affrontato e non smaltito, poiché si tratta comunque di diritti in attesa, con strumenti di analoga modernità. Nessuno può immaginare di eliminarlo con la bacchetta magica, ma un recupero di efficienza del sistema consentirà una riorganizzazione degli uffici e l’utilizzo di magistrati ausiliari, con i quali nel tempo togliere l’accumulo. Si può parlare di processo breve e di ragionevole durata del processo? Si deve parlare di un processo la cui durata dev’essere commisurata alla singola vicenda. Certamente vi sono cause che possono essere decise in tempi rapidissimi perché un giudice consapevole è in grado di respingere le domande istruttorie inutili. E certamente esistono cause che richiedono indagini più complesse. Il processo è un format, non un letto di Procuste. Accadrà in futuro, come adesso, che anche per una banale lite di condominio si assista a un processo che dura anni, dal primo grado alla Cassazione? Le liti di questo genere finiranno risolte con la mediazione obbligatoria e con i riti alternativi. Quindi possibilità processuali molto più limitate. Lo sforzo del ministro Orlando è proprio quello di provvedere alle domande più popolari attraverso la semplificazione del processo. Come possiamo prevedere la fotografia del processo di primo grado? Dovrà contenere in modo definitivo le possibili posizioni delle parti. Ciò che non viene detto al giudice di primo grado non potrà più entrare in nessun modo nel giudizio. Ciò determina la grande importanza della conduzione consapevole da parte del giudice. Sarà automatico, com’è adesso, il ricorso in appello? Verrà sempre di più ristretto su quello che i tecnici chiamano il "profilo impugnatorio". Al giudice di appello si deve dire come avrebbe dovuto decidere il primo giudice e come e perché ha deciso male. Che cosa cambia in Cassazione? Qui l’intervento di Orlando è più leggero. Sostanzialmente renderà centrale il procedimento in camera di consiglio, eliminando la cosiddetta relazione che oggi la Corte propone come possibile decisione, che in realtà dà luogo a un inutile raddoppio di lavoro e rende vana la funzione del rito camerale. Come sarà possibile rendere immediatamente esecutive le sentenze? Sarà molto semplice, basterà che la legge ne stabilisca la provvisoria esecutività, e renda molto costosa in termini di denaro l’opposizione all’esecuzione che si rivela infondata. Che peso avrà la mediazione obbligatoria tra le parti rispetto al processo ordinario? L’obiettivo della riforma è incentivare le tecniche di soluzione delle liti diverse da quelle del processo. Ma è chiaro che il successo dipenderà dalla professionalità dei cosiddetti mediatori. In Francia il ricorso alla mediazione non ha avuto un grande risultato. È un vantaggio o uno svantaggio per il cittadino? Serviranno più o meno avvocati-mediatori? Ogni strumento alterativo è un vantaggio. Una possibilità in più, se non diventa mera burocrazia. L’ideale sarebbe che a occuparsi della mediazione siano professionisti validi, come gli avvocati, e non figure estranee alla logica del processo. Soprattutto bisogna evitare che si scateni il business della formazione del mediatore. Sta per nascere un processo civile per ricchi, visto che al giudice, che per il cittadino oggi è gratis, si sostituirà un professionista a pagamento? Il problema dei costi di una giurisdizione efficiente esiste. L’Italia è il Paese in cui costa di meno rispetto al resto d’Europa. Sarà fondamentale vedere nella riforma Orlando come sarà disciplinato il sistema di pagamento del mediatore. Gli arbitrati, oggi residuali, aumenteranno? Certamente sì, perché il percorso arbitrale avrà la stessa dignità di quello giudiziario, al punto che si immagina la "traslatio iudicii", ovvero il passaggio dal rito arbitrale a quello giudiziario vero e proprio. Tribunale per le imprese. Come funzionerà? Contribuisce al rilancio dell’economia? Sicuramente sì, perché sarà il giudice di tutte le controversie di mercato, incluse quelle di concorrenza, e si avvantaggerà dell’ausilio di esperti del mercato, dunque diversi dai consulenti d’ufficio, che potranno illuminare il giudice sul contesto economico di una vicenda. Giustizia: Berruti (Cassazione) "non dobbiamo più rendere convenienti le cause perse" di Liana Milella La Repubblica, 16 agosto 2014 "Un processo che impone in ogni sua fase la piena conoscenza della singola causa da parte del giudice e degli avvocati". È questa la formula con cui Giuseppe Maria Berruti identifica l’obiettivo del suo lavoro. Attuale direttore del Massimario della Cassazione e presidente della terza sezione civile, Berruti ha ricevuto dal ministro Orlando l’incarico di presiedere la commissione che disegna il futuro processo civile. Il giudice dovrà dirigere, anziché subire il processo, che significa? "Lo stato del processo oggi vede il giudice e gli avvocati portare avanti le carte del processo senza affrontarne i nodi, se non sostanzialmente nella fase conclusiva. In particolare, il giudice conosce approfonditamente la causa solo nel momento in cui i difensori concludono. Questo non è governare il processo. È semplicemente arrendersi al suo meccanismo". A sentirla così sembra l’uovo di Colombo. Ma come si realizza? "Si farà mettendo al centro del lavoro l’oralità, imponendo al giudice nella prima udienza di formulare una proposta di soluzione formale e specifica. Questo vuol dire che le parti devono dire tutto e subito, e che il giudice individua allo stato degli atti una soluzione che si basa su una prognosi. Tutto questo è sicuramente molto nuovo e comporta anche rischi perché richiede grande professionalità. Ma io ho molta fiducia nei giudici e negli avvocati". Perché ci si pensa solo adesso? "Perché il mondo ci impone di pensare anche al processo civile. Quando un Paese vede le pubbliche amministrazioni rifiutarsi di pagare i loro debiti alle imprese, riversando sulla giustizia un carico enorme di cause inutili è evidente che qualunque processo crolla. Oggi tutte le cambiali sono giunte a scadenza, perciò si pensa all’efficienza della pubblica amministrazione, ma anche a una struttura di processo civile che non renda conveniente la causa persa". I tempi. Lei deve riscrivere il codice di procedura, lavoro oneroso, poi il Parlamento deve approvarlo. Che tempi prevede per l’entrata in vigore? "Va detto che il mio lavoro è molto avvantaggiato da quello assolutamente importante svolto dalla commissione Vaccarella. In un mese la mia ha prodotto il documento programmatico e le prime norme di delega. Se verranno approvate dal consiglio dei ministri, farò il possibile per chiudere tutto il resto in sei mesi. Poi dipenderà da governo e Parlamento". Sia sincero, che ne ricava da tutto questo il comune cittadino e l’imprenditore? "Il recupero della fiducia nell’applicazione della legge. Un bene che in questo Paese è sicuramente a rischio". Giustizia: il Sottosegretario Ferri "1.185 giorni per una sentenza sono una follia" di Pietro Vernizzi Il Sussidiario, 16 agosto 2014 "Ritengo che sia intollerabile che un’impresa, per far rispettare un contratto, debba aspettare 1185 giorni rimanendo paralizzata nella propria attività con ingenti perdite economiche: questa lentezza allontana gli investimenti esteri, fa perdere posti di lavoro ed altera le regole della concorrenza". Ad affermarlo è Cosimo Ferri, sottosegretario di Stato alla Giustizia e magistrato, in un’intervista in cui anticipa punto per punto la riforma cui sta lavorando insieme al ministro Andrea Orlando. Sottosegretario Ferri, nei 12 punti sulla riforma della giustizia si parla di responsabilità civile dei magistrati sul modello europeo. Che cosa significa in concreto? Ripensare la disciplina della responsabilità civile dei magistrati significa semplificare il meccanismo attuale per fornire una tutela adeguata alle vittime di errori giudiziari. Non si tratterà di una riforma né contro né a favore dei magistrati ma l’obbiettivo sarà quello di trovare un giusto equilibrio tra le istanze risarcitorie dovute alle vittime di errori giudiziari e la tutela dell’autonomia e dell’indipendenza della Magistratura. È importante mantenere il principio della responsabilità indiretta del magistrato. Perché? Perché con essa non si difende un privilegio della magistratura ma si tutela una garanzia per i cittadini: il principio di uguaglianza di fronte alla legge. I magistrati fanno un lavoro che, per sua natura, porta fisiologicamente a scontentare molte persone e laddove si prevedesse una responsabilità diretta del magistrato lo si esporrebbe alle richieste risarcitorie di una parte non soddisfatta per aver perso la causa. Del resto, va sottolineato come esistano anche altri tipi di responsabilità (quella penale, contabile e disciplinare oltre quella civile) nelle quali può incorrere il magistrato che commetta un errore o un reato. È evidente però che, nell’ottica di un intervento normativo, fatta salva la responsabilità indiretta del magistrato, si debba intervenire per facilitarne il meccanismo. Nell’opinione pubblica il filtro per l’accesso ai ricorsi è visto come un "tappo" che ostacola la pretesa risarcitoria... Pertanto, oggi la proposta politica è quella di eliminarne la previsione per accentuare l’obbligatorietà dell’azione di rivalsa da parte dello Stato. Va però detto che talvolta il filtro nel passato ha evitato ai cittadini giudizi dispendiosi ed inutili. Tale intervento dovrà, innanzitutto, riguardare l’ampliamento dell’area della responsabilità da parte dello Stato su cui possa far leva chi è stato pregiudicato dal cattivo uso del potere giudiziario. Attualmente, sia lo Stato che il magistrato, in sede di rivalsa, rispondono in caso di errore dovuto a "negligenza inescusabile", presupposto quest’ultimo che si differenzia dalla colpa grave, richiedendo un quid pluris per essere integrato e rappresentando una sorta di "colpa gravissima". La riforma, invece? Il progetto di riforma, invece, prevede che lo Stato risponda per violazione manifesta della legge a prescindere da tale presupposto, mentre il magistrato continuerà a rispondere solo per negligenza inescusabile. Si tratta, quindi, di una risposta alle richieste della Corte di Giustizia che ha più volte invitato il nostro Paese ad adeguare la responsabilità dello Stato che, come previsto nel progetto, risponderà per violazione manifesta della legge, quale ipotesi sintomatica tipica della colpa grave del suo apparato. Di pari passo si prevede che, nelle ipotesi in cui la violazione sia dovuta a negligenza inescusabile, l’azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato diverrà obbligatoria. In questa direzione viaggia anche l’estensione della responsabilità, nella ricorrenza dei medesimi presupposti, al magistrato onorario, mentre i giudici popolari risponderanno nei soli casi di dolo. Con la riforma si allungheranno i tempi di prescrizione. Non è un incentivo a forme di ostruzionismo come ricorsi, controricorsi e appelli strumentali? In questa materia si devono conciliare due opposte esigenze: da un lato garantire che il periodo di prescrizione del reato sia sufficientemente lungo per evitare di pregiudicare l’effettività del sistema penale; dall’altro il processo deve essere contenuto in tempi brevi, per evitare sia che esso costituisca per l’imputato una vera e propria pena supplementare e anticipata, sia per garantire tutela alle vittime del reato. Bisogna, perciò, assicurare che l’accertamento dei reati e dei loro responsabili avvenga in tempi congrui evitando lo spreco di energie processuali. Oggi i tempi lunghi disincentivano il ricorso ai riti alternativi e favoriscono la presentazione di impugnazioni a scopo puramente dilatorio per conseguire l’obiettivo della prescrizione. Sì. La risposta non può essere però quella di un allungamento puro e semplice degli attuali termini di prescrizione, ma occorre garantire che i processi penali si concludano con un accertamento nel merito e che la prescrizione mantenga la sua attuale funzione di stimolo a una definizione in tempi non troppo estesi dei processi penali. Una riflessione costruttiva può partire dalla relazione finale redatta dalla Commissione ministeriale Fiorella che ipotizza di introdurre due cause di sospensione della prescrizione in corrispondenza del deposito della sentenza di condanna di primo e di secondo grado al fine di assicurare un tempo ragionevole per verificare la correttezza della decisione in sede di impugnazione. È evidente che qualora si scegliesse questa soluzione, per evitare che i tempi del giudizio di impugnazione siano eccessivamente lunghi, sarebbe altresì ragionevole stabilire dei periodi massimi di sospensione della prescrizione decorsi i quali la prescrizione riprenderà il proprio corso. Come è possibile ridurre i tempi e dimezzare l’arretrato della giustizia civile, senza spendere di più in nuovi strumenti informatici e assumere personale? L’arretrato civile costituisce una "zavorra" per la ripresa economica e per il funzionamento della giustizia civile. Nessuna riforma potrà funzionare effettivamente se non troviamo una giusta soluzione al problema dell’arretrato. Va sottolineato che risultano pendenti cinque milioni di procedimenti civili e che, pur risultando i giudici italiani i più produttivi d’Europa, è impensabile che possano smaltire in tempi brevi tutti i procedimenti. Ritengo che sia intollerabile che un’impresa, per far rispettare un contratto, debba aspettare 1185 giorni rimanendo paralizzata nella propria attività con ingenti perdite economiche: questa lentezza allontana gli investimenti esteri, fa perdere posti di lavoro ed altera le regole della concorrenza. Del resto, l’incertezza sui tempi di risposta non consente alle imprese di programmare altri investimenti e, anche laddove l’esito del giudizio sia favorevole, sarà comunque troppo tardi per recuperare i costi subiti in termini di produttività e le occasioni perdute. Il problema è ben noto, sottosegretario... Per questo il ministro della Giustizia ritiene essenziale intervenire da subito con un provvedimento avente ad oggetto "misure di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile", sulle cui linee guida c’è stato un ampio confronto con tutti gli operatori ed in primis con l’avvocatura. L’obiettivo è quello di favorire la risoluzione dei conflitti e delle controversie in via stragiudiziale anche attraverso l’introduzione di un nuovo istituto che si aggiunge a quelli già esistenti nell’ordinamento con finalità analoghe: la procedura di negoziazione assistita da un avvocato. Può spiegare? Tale procedura cogestita dagli avvocati delle parti è volta al raggiungimento di un accordo conciliativo che, da un lato, eviti il giudizio e che, dall’altro, consenta la rapida formazione di un titolo esecutivo stragiudiziale e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Inoltre saranno implementati i poteri dell’ufficiale giudiziario nella ricerca dei beni, colmando così l’asimmetria informativa esistente tra il creditore e il debitore con riferimento al patrimonio di quest’ultimo. Tale "deficit" informativo verrà controbilanciato consentendo all’ufficiale giudiziario l’accesso diretto nelle banche dati pubbliche contenenti informazioni rilevanti ai fini dell’esecuzione, in primo luogo l’anagrafe tributaria, ivi compreso il cosiddetto archivio dei rapporti finanziari. Infine, la definitiva entrata in vigore del "processo telematico" produrrà effetti positivi non solo sotto il profilo del risparmio di tempi e costi del giudizio, sia nella prospettiva della migliore circolazione delle informazioni e della prevedibilità delle decisioni. Si tratta di misure volte al rafforzamento della tutela del credito e dello smaltimento dell’arretrato che rappresentano un’importante occasione per migliorare realmente il servizio Giustizia e dare nuovo impulso all’economia. In che modo è possibile porre un argine alla carriera "per correnti" e favorire quella "per merito" all’interno del Csm? La questione del correntismo in seno al Csm si inserisce in un dibattito, assai vivo nell’opinione pubblica ma anche all’interno della magistratura, sul ruolo attuale che le correnti, come tradizionalmente intese, sono chiamate a svolgere. Nello specifico, credo si possa pensare a modifiche dell’attuale sistema elettorale del Csm per ridurre il legame tra gli eletti e le correnti di riferimento, così come il pericolo di commistione tra attività del Consiglio ed attività della Sezione disciplinare. Il tema più generale è poi quello della progressiva trasformazione delle correnti all’interno delle istituzioni da ambiti di riflessione culturale a momenti di gestione del potere. Su questo penso si debba lavorare tenendo saldo l’irrinunciabile principio dell’autonomia e dell’indipendenza sia esterna che interna della magistratura e tendendo sempre più verso la premialità della professionalità e della competenza dei magistrati, sia nel conferimento degli incarichi direttivi che nell’avanzamento in carriera. In che modo saranno affermati principi essenziali quali "rapidità, rigore e rispetto del cittadino"? La risposta a questa domanda è semplice: attraverso una riforma seria e trasparente così come sta facendo il Governo, anche con la consultazione pubblica on line, e consentendo a tutti i cittadini di fornire un proprio contributo. Che cosa ne pensa di quanti affermano che la riforma della Giustizia sia stata definita da Renzi e Berlusconi in occasione del Patto del Nazareno? Credo che non sia vero. La riforma della Giustizia è uno dei punti caratterizzanti una stagione di riforme ed ha l’obiettivo chiaro ed ineludibile di migliorare realmente il sistema. Un confronto serio e costruttivo sulle proposte del Governo si farà in Parlamento, dove ci si augura che il maggior numero di forze politiche si dimostrino disponibili a cogliere l’occasione di dare anche in tema di Giustizia un assetto nuovo ed al passo con i tempi al nostro Paese. Ovviamente, questo processo dovrà coinvolgere anche i principali protagonisti che operano nel settore giustizia (avvocatura, magistratura, personale amministrativo etc.). L’interesse di tutti deve essere quello di far funzionare il processo civile e penale, di ridurne i tempi e di offrire ai cittadini un servizio di qualità e una risposta celere alla loro domanda di giustizia. Come valuta complessivamente l’impostazione di questa riforma? La valutazione è molto positiva e ritengo che sussistano tutte le premesse perché si possa realmente migliorare la macchina della Giustizia e dare ai cittadini quelle risposte in termini di efficienza, effettività e celerità che ormai da troppo tempo si aspettano. Siamo sulla buona strada, occorre l’impegno di tutti ed il coraggio di andare avanti qualità che a questo Governo certamente non mancano. Giustizia: 10mila denunce per stalking in 12 mesi, in tre casi su quattro autore è un uomo di Alberto Custodero La Repubblica, 16 agosto 2014 Alla conferenza stampa di Ferragosto, sono stati presentati i dati di un anno di attività in Italia del ministero dell’Interno, dal 1 agosto 2013 al 31 luglio 2014. Va subito detto che mancano, incredibilmente, le cifre sui cosiddetti reati predatori (furti, scippi, rapine), quelli che più incidono sulla percezione della sicurezza dei cittadini. Forse il Viminale non li ha presentati non volendo confermare l’incremento del fenomeno. Quel che è certo è che i numeri forniti confermano sia il grande impegno delle forze dell’ordine ne contrasto al crimine. Sia che il problema della sicurezza rappresenta ancora un’emergenza per il Paese. Resta critico il problema della violenza di genere. Le denunce per stalking sono 51.079 dall’entrata in vigore della legge nel 2009 e 10.703 nell’ultimo anno. Il 77,96 per cento delle quali sono state presentate dalle donne. Gli omicidi complessivi sono stati 446 - l’anno scorso furono 505- ma quelli nell’ambito familiare o sentimentale 153; 72 commessi dal partner, 9 dall’ex, 72 da altro familiare. Prosegue la lotta alla criminalità. I mafiosi arrestati sono stati 1.779, i latitanti arrestati 78 (15 di massima pericolosità). I beni confiscati alle mafie sono stati 3.513 (tra questi, 161 aziende) per un valore complessivo di 2,037 miliardi di euro (l’anno scorso il valore totale era di oltre 3 miliardi di euro). Sono stati sciolti dieci comuni per infiltrazioni mafiose e 20 dichiarati in dissesto finanziario. In un momento di grave crisi di risorse per la sicurezza, non è secondario il fatto che nel Fondo unico giustizia siano disponibili poco più di un miliardo di euro, di cui 38,7 milioni nella disponibilità del Viminale. Le manifestazioni di piazza sono state 9.774, di carattere occupazionale 3.821, con disordini 573. Le proteste No-Tav 56, 11 delle quali con disordini. Le manifestazioni sportive monitorate dalle forze di polizia 2.689. A proposito di sicurezza stradale, i morti per incidenti automobilistici sono stati 1.689 a fronte di 77.432 incidenti. I feriti sono stati 53.538. Quasi 5 volte di più rispetto a un anno fa i migranti sbarcati in Italia, che passati da 24.277 a 116.944, di cui 62.982 soccorsi nell’operazione Mare nostrum. Gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia sono tre milioni, 931.162. La nazionalità più numerosa è quella del Marocco, seguita dall’Albania, dalla Cina, dalle Filippine e dall’Ucraina (e poi India, Moldavia, Egitto, Bangladesh, Tunisia). Giustizia: dai Gambirasio alla mamma di Ele, vittime che non chiedono vendetta di Fabio Finazzi Corriere della Sera, 16 agosto 2014 "Vorrei vederlo negli occhi", dice Mariella dell’omicida di sua figlia Eleonora. Non dice, come pure sarebbe comprensibile: "Lo voglio vedere per sempre in carcere e che buttino via la chiave". Con quale autorità parla questa donna, di cui abbiamo imparato a centellinare le parole dall’8 settembre scorso, quando a Chiuduno Vicky Vicky è piombato in auto - volutamente, secondo l’accusa - addosso a suo fratello e alla ginecologa che si era fermata a soccorrerlo, nel mezzo di una rissa furibonda, uccidendo entrambi? Mariella si esprime dalla cattedra della sua sofferenza, forse la più autorevole di tutte. La stessa dei genitori di Yara che dicono poco, pochissimo, ma quando accade lasciano il segno. Rappresentano, meglio di qualsiasi trattato di diritto penale, un modello di giustizia solida, equilibrata, forte, senza bisogno di essere vendicativa. Per questo le loro riflessioni pacate ma ferme sono perle preziose nel frastuono di un dibattito che generalmente oscilla tra l’esibizione sguaiata dei cappi e il perdonismo prêt-à-porter , buoni entrambi solo per strappare un titolo a effetto sui giornali. Dunque, Mariella vuole vederlo negli occhi. Lei che da un anno non riesce più ad afferrare la maniglia di quella porta socchiusa ed entrare nello studio medico di Ele. Vuole capire "che persona è e se si è reso conto del male che ha fatto a Eleonora, a noi, ai bambini di suo fratello che ha lasciato orfani". Vengono in mente, di nuovo, le dichiarazioni dei Gambirasio, dopo l’arresto di Bossetti. Speranza che la verità, a lungo inseguita con incrollabile tenacia, venga a galla, ma anche comprensione per la sofferenza di tutte le famiglie coinvolte, inclusi i parenti del presunto colpevole. È un’idea di giustizia sorprendente, forse, che sa vedere le cose dall’alto, ma non per questo più debole. Qui nessuno auspica un epilogo a tarallucci e vino. Anzi. Mariella si è studiata con attenzione le carte, le ha fatte passare nel crogiuolo del suo strazio di mamma, ha affrontato la lettura della perizia come una "violenza dell’anima", e alla fine si è convinta al di là di ogni ragionevole dubbio che Vicky Vicky è piombato sui due "con l’intenzione di travolgerli, non ha neanche accennato a frenare: non si è salvato nulla del corpicino di mia figlia’". Così ora è pronta a guardarlo negli occhi, ad affrontare il processo e si aspetta che venga condannato. Quanto al tema rovente degli immigrati, ha qualcos’altro da dirci. E cioè che l’alzata d’ingegno di colpirli con le tasse per scoraggiarne la permanenza è una stupidaggine. "Se sono regolari e non delinquono perché dovrebbero pagare più degli altri’". Ma c’è una tensione sociale che sarebbe un ulteriore delitto ignorare. Lo ha dimostrato proprio l’inchiesta sulla morte di Eleonora che ha scoperchiato "un marciume, come il caporalato tra gli indiani, di cui mai si era parlato" e che rende comprensibile l’esasperazione della gente. La questione non si risolve con il "buonismo o il pietismo, ma con regole giuste che chi viene nel nostro Paese deve rispettare". Parole di elementare buon senso che, dalla cattedra della sofferenza di Mariella, diventano sagge. Chissà che, oltre a rendere una giustizia "forte" alla morte di Eleonora, ispirino anche politiche di buona integrazione. Giustizia: è in carcere da tre settimane, ma Galan non se lo ricorda più nessuno di Alessandro Da Rold e Marco Sarti www.linkiesta.it, 16 agosto 2014 C’era una volta Giancarlo Galan. C’era una volta il dirigente di Publitalia, il governatore del Veneto, il ministro dell’Agricoltura e della Cultura. Il protagonista della politica. Il Doge che si sposava e politici, boiardi e imprenditori di mezza Italia accorrevano al suo matrimonio. Era il 2009 - nella villa a Cinto Euganeo ora sotto sequestro - quel giorno il testimone di nozze Silvio Berlusconi arrivò con l’amico Marcello Dell’Utri portando in regalo alla signora Galan, Sandra Persegato, un braccialetto di brillanti e zaffiri. Sembra un secolo fa. Ora non c’è più nessuno. In pochi ne parlano in pubblico, ancora meno vanno a trovarlo in carcere. E pensare che a quel banchetto nuziale erano presenti imprenditori come Giuseppe Stefanel, Pietro Marzotto, Mario Polegato, Ennio Doris, Giulio Malgara, Enrico Marchi e Giovanni Perissinotto. Il Parlamento lo ha scaricato, autorizzando l’arresto ad ampia maggioranza. Qualcuno si aspettava più solidarietà da tanti colleghi di partito. Come se non bastasse, presto potrebbe palesarsi l’ultima gogna mediatica. A Montecitorio è stata depositata un’interrogazione dei Cinque Stelle per far luce sulla presunta affiliazione del Doge alla massoneria. Intanto dal 22 luglio scorso Galan è rinchiuso a Opera. Conseguenza dell’inchiesta sul Mose di Venezia. Per colpa di alcuni problemi di salute è detenuto in infermeria, dove in passato hanno soggiornato il boss mafioso Totò Riina e il faccendiere di regione Lombardia Piero Daccò. Nessuna possibilità di andare ai domiciliari. Lo hanno deciso i giudici del riesame del tribunale di Venezia. "I fatti sono gravissimi, reiterati e perduranti nel tempo - scrive il magistrato Angelo Risi in 70 pagine depositate - le esigenze cautelari di eccezionale gravità e quindi tali da imporre, nell’immediatezza, l’applicazione di una misura che costituisca ed integri una effettiva, netta, reale e definitiva cesura dall’ambiente in cui sono maturati i fatti". Per questo motivo c’è "l’esigenza che gli arresti domiciliari non sono in grado di garantire, preso atto della vasta ragnatela di interessi complicità e colpevoli connivenze che hanno accompagnato il Galan nell’intera vicenda". Le carte descrivono un personaggio inquietante. Con un’enfasi che non può lasciare indifferenti. "La personalità del ricorrente - si legge - si palesa come allarmante. È un soggetto dedito al sistematico e continuo mercimonio della pubblica funzione". Parole che pesano come macigni e non risparmiano la cerchia familiare di Galan. Perché l’ex deputato di Forza Italia aveva chiesto di poter andare ai domiciliari dal fratello Alessandro. Peccato che il fratello - così scrivono i giudici - avesse sollecitato il presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati al pagamento di un contributo di 20mila euro. "Ne deriva - sta scritto nella motivazione - che non solo Galan, ma il suo intero gruppo familiare sia in qualche modo coinvolto in situazioni di scarsa trasparenza con il Mazzacurati i cui interessi imprenditoriali erano certamente del tutto estranei al campo medico". E così Galan corre il rischio di rimanere in carcere ancora a lungo, almeno fino alla fine di ottobre. La difesa - uno dei due legali è Niccolò Ghedini - è pronta a dare battaglia su alcuni reati già prescritti che il Riesame ha evidenziato, scatenando una battaglia con la procura di Venezia. Tutto si gioca su tempi e codice di procedura penale. Pensare che molti altri indagati nella stessa inchiesta sono già ai domiciliari, come Lia Sartori, l’eurodeputato del Pdl legata a Galan (fa eccezione Marco Milanese, l’ex braccio destro di Giulio Tremonti, ancora in carcere a Caserta). La possibilità di evitare l’arresto, tuttavia, non è mai parsa in discussione. Quando il 22 luglio scorso la Camera ha autorizzato la custodia in carcere, i deputati che hanno approvato il parere della giunta per le autorizzazioni sono stati ben 395. Tutto, tranne che una votazione dall’esito incerto. Una decisione scontata nonostante i distinguo di Forza Italia, Nuovo Centrodestra e pochi altri. E a nulla è servito lo scrutinio segreto. Per qualcuno si è trattato di una vera e propria "barbarie". Del resto a Galan non è stato neppure consentito di essere presente in Aula al momento del voto. La richiesta di rinvio - giustificata secondo Forza Italia dalle precarie condizioni di salute dell’ex ministro - è stata respinta poche ore prima dell’autorizzazione all’arresto. Scaricato dal Parlamento. E forse anche da qualcun altro. I deputati che sono andati a trovare Galan in carcere si contano sulle dita di una mano. Alla Camera raccontano delle visite di Daniela Santanché e di Antonio Palmieri. Di Lorena Milanato e di Elio Massimo Palmizio. Sicuramente non Silvio Berlusconi, impossibilitato dalla recente perdita del seggio di senatore. L’ex Cavaliere avrebbe telefonato a Galan poco prima del suo ingresso ad Opera. Lo stesso giorno il leader di Forza Italia ha rilasciato una dichiarazione alla stampa in cui si diceva "profondamente addolorato" per l’arresto. Ma nel centrodestra non c’è stata alcuna battaglia mediatica. Nessuna difesa a oltranza. Nessuna ripercussione sull’asse con il Partito democratico in tema di riforme, come pure qualcuno si aspettava. Come se non bastasse, adesso arriva in Parlamento anche l’ultima tegola. La presunta appartenenza alla massoneria. Le prime notizie pubblicate dai quotidiani alcuni giorni fa sono state riprese in un’interrogazione depositata da alcuni esponenti del Movimento Cinque Stelle. A settembre, alla ripresa dei lavori, il Doge rischia di subire l’ennesima gogna mediatica. I deputati pentastellati riprendono le indiscrezioni sulla lettera inviata da Galan alla propria loggia padovana per chiedere il permesso di "entrare in sonno". Una richiesta di allontanarsi temporaneamente da compassi e grembiulini in concomitanza con le grane giudiziarie della vicenda Mose. Nel testo dell’interrogazione depositata a Montecitorio si cita un’intervista di Stefano Bisi, gran maestro del Grande Oriente d’Italia, rilasciata alla Tribuna di Treviso. "Mi dicono che Giancarlo Galan da almeno quindici anni non frequenti i riti della loggia. Probabilmente, anche a causa dei suoi incarichi, ha vissuto questa esperienza come distante dai propri interessi". E ancora. "Probabilmente - ha aggiunto il capo della principale massoneria italiana - ha ritenuto di non voler mettere in imbarazzo il proprio Maestro Venerabile e gli affiliati della loggia, anticipando l’apertura di un possibile procedimento di sospensione che avrebbe potuto aprire la loggia stessa". I parlamentari a Cinque Stelle attaccano l’ex ministro. Al di là del massonico outing, i grillini denunciano i rischi che corre la vicenda giudiziaria. "L’inchiesta penale veneziana sul Mose - così si legge - sta delineando in queste settimane un quadro fosco e preoccupante di intrecci tra funzionari pubblici corrotti e condussi, politici e imprese corruttrici, uomini di assoluto rilievo dei servizi segreti e delle forze di polizia, quasi una sorta di polizia parallela, infedele, che ostacolava le indagini dei pubblici ministeri veneziani (…). L’appartenenza di Galan alla massoneria non può non destare molta preoccupazione in relazione all’eventuale appartenenza alle logge di funzionari pubblici e in particolare appartenenti alle Forze Armate, Guardia di finanza e Arma dei carabinieri, con funzioni di polizia e di polizia giudiziaria, e inoltre alla magistratura" Lettere: con la riforma delle cause civili tempi più brevi ed efficienza di Andrea Orlando (Ministro della Giustizia= Corriere della Sera, 16 agosto 2014 Caro direttore, la lettera dell’Aiga pubblicata sul suo quotidiano coglie un dato importante riguardo alle misure sul processo civile, anche per contribuire a rilanciare la competitività del nostro Paese. Ringrazio l’Aiga, per aver compreso lo spirito della riforma che stiamo adottando. Non si tratta solo di norme che incidono sul processo civile, ma ci siamo sforzati di delineare un complesso organico di interventi che incidano anche sulla organizzazione della giustizia. Degiurisdizionalizzazione, informatizzazione, individuazione di nuovi moduli organizzativi del lavoro del giudice quali la costituzione dell’Ufficio del processo, sono quindi interventi che si accompagnano alle scelte di revisione del processo civile in termini di semplificazione e razionalizzazione dello stesso, anche introducendo momenti di accentuata specializzazione, come nelle materie dell’impresa e della famiglia. Le considerazioni che la lettera sviluppa costituiscono per questo un utile contributo per l’azione di riforma che vogliamo realizzare. Auspico che, in base a ciò, si realizzino sin da subito significativi risultati non solo in termini di complessiva efficienza, ma anche di riduzione dei tempi processuali. Già i dati sui risultati del primo mese di applicazione dell’obbligatorietà del processo civile telematico, attraverso il quale il sistema giustizia avrà un risparmio stimato di circa 40 milioni di euro annui, rassicurano in tale senso: nel procedimento per decreto ingiuntivo telematico, dalla data di iscrizione a ruolo al deposito telematico da parte dell’avvocato all’emissione del provvedimento telematico del giudice, si è passati da 15 a 6 giorni, con una riduzione media dei tempi di emissione presso gli uffici giudiziari italiani rispetto al mese precedente del 62%. Si tratta di segnali incoraggianti, sicuramente da soli non sufficienti, che tuttavia dimostrano come si può cambiare e innovare. Questo risultato indica chiaramente che accanto a termini perentori per l’emissione dei provvedimenti giurisdizionali, le misure di carattere organizzativo e di semplificazione del processo sono in grado di agire efficacemente sulla contrazione dei tempi delle cause. È inoltre intendimento del Governo assicurare tutte le risorse necessarie per realizzare il programma di riforma sulla giustizia che stiamo adottando, in particolare per quelle misure che più incidono sulla riduzione dei tempi del processo. Con questi interventi non stiamo quindi perseguendo uno sterile miraggio di efficientismo, bensì stiamo realizzando un fondamentale obiettivo: quello di operare nella direzione di una maggiore effettività della tutela dei diritti dei cittadini. Penso quindi che occorra proseguire negli sforzi congiunti per raggiungere questi obiettivi, coscienti che con l’Avvocatura, a partire dalle componenti più giovani, il confronto su tali temi possa proseguire con i risultati assolutamente proficui che sino ad oggi abbiamo ottenuto. Lettere: la ricerca della verità, unica scappatoia al tranello del suicidio di don Marco Pozza (Cappellano del carcere Due Palazzi) Il Mattino di Padova, 16 agosto 2014 La tentazione è quella di ragionare come Caifa che, di fronte alla possibile morte di Cristo, disse: "È meglio che un uomo solo muoia per il popolo, piuttosto che perisca tutta la nazione". Una soluzione che complicò assai la storia, lasciandola in balìa dell’ignoranza. La stessa ignoranza che oggi è sempre all’erta quando si è prossimi ad un dramma come quello capitato al "Due Palazzi", gemello di mille drammi dell’umanità squattrinata. Nelle carceri il suicidio non è un dramma relegabile al solo mondo dei detenuti: è un rischio che appartiene sovente anche al popolo che vi lavora dentro, agli agenti della Polizia Penitenziaria "in primis". Al "Due Palazzi" c’è una grossa indagine in corso: stavolta è trasversale, sta smascherando una forma di menzogna che aveva trovato terreno fertile in alleanze ambigue, forse anche in un incrocio di disperazioni e dissolutezze comuni che in questo ultimo mese sono costate alla nostra "parrocchia" la vita di due suoi figli: Giovanni e Paolo. Le indagini hanno il loro peso, la ricerca della verità le sue necessità, la menzogna è ostica da smascherare. Per non smarrire il senso della misura, però, è giusto ricordarci che esse sono la conseguenza di certe gesta compiute nella più assoluta superficialità, convinti d’essere forse al di sopra della legge, di una divisa e di una missione stessa: quella di diffondere la speranza, come sta scritto nel loro stemma. Tributare, dunque, il peso di un suicidio alla ricerca della verità è una conclusione degna di Pilato: preferisco pensare che sia nel cuore dell’uomo che dobbiamo ricercare la chiave d’ingresso per inabissarsi nell’animo di queste gesta che stordiscono. La solitudine e l’abbandono, lo stress e la lontananza degli affetti, la vergogna e il pressapochismo dei giudizi, il rimorso e la paura sono sfumature che, quando impazziscono, conducono l’uomo sul ciglio della follia. Fino a scegliere la morte a scapito della vita. Di fronte a tali gesta, percepisco come la periferia - anche quella del carcere - non sia solo il luogo della carità. La fragilità che le è innata riporta tutti alla verità dell’umano. È forse per questo che papa Francesco invita ad abitare le periferie: non solo per accendere la carità ma per conoscere meglio se stessi. Quell’umano che in periferia svela la sua vera identità: la bellezza e la bruttezza, la vittoria e la sconfitta, la consolazione e la desolazione. Viverle senza smarrire il collegamento con il "tutto" della vita rappresenta forse la via maestra per cercare la verità: quella della propria storia e quella della Storia più grande. San Massimiliano Kolbe scrisse: "Alcuni non cercano la Verità perché hanno paura di trovarla". Eppure dentro i luoghi della disperazione è solo cercando lei che l’uomo riesce a fare pace con Dio e con i suoi fratelli. Per poi fare pace con se stesso: l’unica scappatoia al tranello del suicidio, maledetto Demonio. Lettere: Jan Palach e Bobby Sands, fare come loro per aver riconosciuti i propri diritti? di Giulio Petrilli Il Centro, 16 agosto 2014 Per affermare il mio diritto ad avere un risarcimento per ingiusta detenzione, sei anni di carcere per poi essere assolto, ho espletato tutte le possibilità giudiziarie possibili, purtroppo con esito negativo. Ultimamente, per ben due volte ho scritto al Premier Renzi, come al Ministro della Giustizia Orlando, ma mai una risposta. Petizioni, sit-in, scioperi della fame, comunicati, ma non si muove nulla, allora pensi che l’ascolto può avvenire solo con gesti forti ed eclatanti. Penso tanto in questi giorni a Jan Palach e Bobby Sands, che rappresentarono gli ideali di una generazione che ha sognato, che ha lottato per degli ideali. Uno si bruciò vivo a Praga, per protestare contro l’invasione russa, aveva 21 anni, si spense dopo tre giorni di agonia, un altro morì dopo un lungo sciopero della fame in carcere, contro l’occupazione inglese in Irlanda, aveva 27 anni. Bisognerebbe tornare ai loro gesti per far valere i propri diritti. Ma chi ne ha il coraggio? Nessuno, io per primo. Certamente le loro erano anche cause che coinvolgevano interi popoli. C’era un sentire collettivo rispetto ai problemi che ponevano. Il mio è nulla confronto a loro, ma è pur sempre un problema. Aver subito un’ingiusta detenzione durata sei anni e non aver avuto nessun risarcimento, è calpestare il diritto. Come me, in Italia tantissime persone, ma non si ha la forza di cambiare una legge ingiusta, che stabilisce che pur se assolto ma hai avuto cattive frequentazioni, secondo il giudizio morale dei magistrati preposti alla causa, non hai diritto al risarcimento. Realmente incredibile, senza parole. Una norma totalmente Komeinista, della quale solo pochi hanno il coraggio di parlarne. Molti organi di stampa, molti politici, molte figure istituzionali e giuridiche, tantissimi tacciono su questo. Il così detto dolo e colpa grave nei comportamenti, che afferma non un giudizio giuridico ma Morale e con questo comma si rigettano almeno il 70% delle domande di risarcimento da parte di persone assolte. Pensi a volte che solo le grandi proteste, sono in grado di cambiare qualcosa. Penso che anche il mio diritto, che è quello di tante altre persone, sia un diritto sacrosanto e spero di spingere la protesta un po’ più in là. Oggi il coraggio non ce l’ho. Veneto: carceri, al quarto posto fra le Regioni con il più alto tasso di sovraffollamento di Elena Livieri La Nuova Venezia, 16 agosto 2014 Il Veneto segna un triste primato sul tema delle carceri, classificandosi al quarto posto fra le regioni con il più alto tasso di sovraffollamento, pari a 134,3 (134 detenuti ogni 100 posti, ndr). Il dato emerge dal report pubblicato dal Ministero della Giustizia sulle capienze effettive di case circondariali e di reclusione. Si trattava di una richiesta avanzata dai Radicali e la segretaria del partito Rita Bernardini, al 43esimo giorno di sciopero della fame, ha interrotto la sua protesta. Peggio del Veneto stanno Molise, Puglia e Friuli Venezia Giulia. Ed è la Casa di reclusione di Padova il carcere veneto più sovraffollato: a fronte di 436 posti regolamentari, sono ben 821 i detenuti. La città del Santo si guadagna così la sesta posizione a livello nazionale per il peggior tasso di sovraffollamento (188,3), preceduta dai carceri di Busto Arsizio (Lombardia), Larino (Campania), Arienzo (Sicilia) e Lucca (Toscana). Sono 203 i detenuti alla casa circondariale di Treviso, a fronte di 143 posti, 242 in quella di Vicenza dove la capienza regolamentare è per 156 persone. Nel carcere di Verona Montorio i detenuti sono 665, ma i posti regolamentari si fermano a 601. Nel carcere di Santa Maria Maggiore di Venezia il report ministeriale ha censito 163 posti regolamentari, ma ospita 234 detenuti. La casa circondariale di Belluno conta 96 detenuti a fronte di 92 posti. Non c’è sovraffollamento nel carcere di Rovigo dove i detenuti sono 68 e la capienza è per 71. Pure alla casa di reclusione femminile alla Giudecca di Venezia sono detenute 66 donne a fronte di 116 posti. La casa circondariale di Padova ha 179 posti e 148 detenuti. Complessivamente nelle carceri venete ci sono 2.543 detenuti a fronte di posti regolamentari per 1.957, con un surplus, quindi, di 586 detenuti. "Posso dire con una certa soddisfazione che il ministro Andrea Orlando ha accettato la proposta che avanzavo da mesi di mettere online sul sito (giustizia.it, ndr), carcere per carcere, le capienze regolamentari, i posti effettivamente disponibili, i detenuti presenti" il commento di Rita Bernardini. "Certo, non ha accettato di mettere online tanti altri parametri dei singoli istituti che sono essenziali per misurare la corrispondenza della detenzione ai dettati della Carta Costituzionale e alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo della cui violazione il nostro Stato è stato ritenuto "colpevole" con la sentenza pilota dell’8 gennaio 2013 (sentenza Torreggiani). "Do atto al ministro della Giustizia" aggiunge Bernardini, "che - seppure con l’aiuto della Corte Costituzionale autrice della sentenza che ha abrogato la legge Fini-Giovanardi sulle droghe - è riuscito a ottenere la diminuzione di alcune migliaia della popolazione detenuta". Il tasso medio nazionale di sovraffollamento è del 119,4%. Le cifre 134,3 La percentuale di sovraffollamento, il Veneto è la quarta regione italiana 1.957 I posti regolamentari. La Casa di reclusione di Padova ha un tasso di sovraffollamento pari a 188,3 ed è sesta nella classifica nazionale: ospita 821 detenuti a fronte di una capienza di 436. Sovraffollate anche la Casa circondariale di Treviso con 203 detenuti per 143 posti, il carcere di Venezia S. Maria Maggiore con 234 detenuti e una capienza di 163. Verona ha 601 posti e 665 detenuti, nella casa circondariale di Vicenza i detenuti sono242 e i posti 156. Nel carcere di Belluno ci sono 92 posti e 96 detenuti 2.543 Sono i detenuti nelle nove fra case circondariali e di reclusione venete Roma: Pannella, Ferragosto a Rebibbia "l’ultimo detenuto potrebbe dare lezioni a Renzi" La Repubblica, 16 agosto 2014 Il fondatore dei Radicali con Rita Bernardini in visita nel carcere romano: "Amnistia". Incontra anche Cuffaro, neo iscritto al partito. Sovraffollamento delle carceri, amnistia e indulto. Sono i temi al centro della tradizionale visita dei radicali nelle carceri romane nel giorno di Ferragosto. Con Marco Pannella c’erano la segretaria dei Radicali italiani Rita Bernardini e il presidente Laura Arconti. Uscendo dal reparto femminile, Rita Bernardini ha sottolineato che si tratta di "quello più sovraffollato" spiegando che c’è una presenza del 137%: le detenute sono 324 e mancano 88 posti, anche se, ha aggiunto, la situazione è migliorata rispetto ad un anno fa. La maggioranza sono donne rom e soltanto il 25% è stata messa nella condizione di lavorare. Marco Pannella ha visitato il reparto maschile del nuovo complesso, sostenendo che l’ultimo dei detenuti del carcere di Rebibbia "potrebbe dare lezioni al fenomeno Renzi". Pannella ha incontrato Totò Cuffaro, ex presidente della Regione Sicilia, comunicando che "da poco si è iscritto al Partito Radicale". Pannella ha ricordato che "sono così almeno tre i presidenti della Regione Sicilia indagati ad essere stati iscritti al Partito Radicale con la doppia tessera". I radicali, come ha spiegato Bernardini, tornano a chiedere amnistia ed indulto: "Sono 30 anni - ha aggiunto - che lo chiediamo ma adesso lo fanno anche rappresentanti autorevoli, come il presidente della Repubblica o la Corte Europea e persino una delegazione dell’Onu che ha fatto un’ispezione ai primi di luglio. Provvedimenti che non sono soltanto per i detenuti ma per tutta la società italiana perché una giustizia, penale e civile, che non funziona e ha tempi lunghi, danneggia tutti i cittadini". Molte delle detenute, ha sottolineato la Bernardini, stanno scontando pene per reati compiuti 10/15 anni fa "ed anche se si sono comportate bene - ha concluso - non hanno accesso ai benefici previsti dalla legge perché i magistrati di sorveglianza sono oberati e non rispondono alle loro istanze". Pannella e Bernardini visitano Rebibbia e chiedono amnistia e indulto (Ansa) Sovraffollamento delle carceri, amnistia e indulto. Questi i temi al centro della tradizionale visita dei radicali nelle carceri romane nel giorno di Ferragosto. Oggi la segretaria dei radicali italiani, Rita Bernardini, il presidente Laura Arconti e Marco Pannella hanno visitato il penitenziario di Rebibbia. Uscendo dal reparto femminile, Rita Bernardini ha sottolineato che si tratta di "quello più sovraffollato" spiegando che c’è una presenza del 137%: le detenute sono 324 e mancano 88 posti, anche se, ha aggiunto, la situazione è migliorata rispetto ad un anno fa. La maggioranza sono donne rom e soltanto il 25% è stata messa nella condizione di lavorare. I radicali, come ha spiegato la Bernardini, tornano a chiedere amnistia ed indulto "sono 30 anni - ha aggiunto - che lo chiediamo ma adesso lo fanno anche rappresentanti autorevoli, come il presidente della Repubblica o la Corte Europea e persino una delegazione dell’Onu che ha fatto un’ispezione ai primi di luglio. Provvedimenti che non sono soltanto per i detenuti ma per tutta la società italiana perché una giustizia, penale e civile, che non funziona e ha tempi lunghi, danneggia tutti i cittadini". Molte delle detenute, ha sottolineato la Bernardini, stanno scontando pene per reati compiuti 10-15 anni fa "ed anche se si sono comportate bene - ha concluso - non hanno accesso ai benefici previsti dalla legge perché i magistrati di sorveglianza sono oberati e non rispondono alle loro istanze". Marco Pannella invece ha visitato il reparto maschile del nuovo complesso, sostenendo che l’ultimo dei detenuti del carcere di Rebibbia "potrebbe dare lezioni al fenomeno Renzi". Pannella ha incontrato Totò Cuffaro, ex presidente della Regione Sicilia, comunicando che "da poco si è iscritto al Partito Radicale". Pannella ha ricordato che "sono così almeno tre i presidenti della Regione Sicilia indagati ad essere stati iscritti al Partito Radicale con la doppia tessera". Incontro tra Pannella e Totò Cuffaro, ex presidente della Regione Sicilia L’incontro è avvenuto nel corso della tradizionale visita dei radicali nelle carceri romane nel giorno di Ferragosto. Pannella ha comunicato che l’ex governatore "da poco si è iscritto al Partito Radicale" e ha ricordato che "sono così almeno tre i presidenti della Regione Sicilia indagati ad essere stati iscritti al Partito Radicale con la doppia tessera". Sovraffollamento delle carceri, amnistia e indulto. Questi i temi al centro della visita a cui hanno partecipato anche la segretaria dei radicali italiani, Rita Bernardini e il presidente Laura Arconti. Uscendo dal reparto femminile, Rita Bernardini ha sottolineato che si tratta di "quello più sovraffollato" spiegando che c’è una presenza del 137%: le detenute sono 324 e mancano 88 posti, anche se, ha aggiunto, la situazione è migliorata rispetto ad un anno fa. La maggioranza sono donne rom e soltanto il 25% è stata messa nella condizione di lavorare. I radicali, come ha spiegato la Bernardini, tornano a chiedere amnistia ed indulto "sono 30 anni - ha aggiunto - che lo chiediamo ma adesso lo fanno anche rappresentanti autorevoli, come il presidente della Repubblica o la Corte Europea e persino una delegazione dell’Onu che ha fatto un’ispezione ai primi di luglio. Provvedimenti che non sono soltanto per i detenuti ma per tutta la società italiana perchè una giustizia, penale e civile, che non funziona e ha tempi lunghi, danneggia tutti i cittadini". Molte delle detenute, ha sottolineato la Bernardini, stanno scontando pene per reati compiuti 10/15 anni fa "ed anche se si sono comportate bene - ha concluso - non hanno accesso ai benefici previsti dalla legge perchè i magistrati di sorveglianza sono oberati e non rispondono alle loro istanze". Marco Pannella invece ha visitato il reparto maschile del nuovo complesso, sostenendo che l’ultimo dei detenuti del carcere di Rebibbia "potrebbe dare lezioni al fenomeno Renzi". Pisa: l’avvocato del detenuto morto "era malato, non è stato nutrito in modo giusto" La Repubblica, 16 agosto 2014 È morto il 10 agosto nell’ospedale pisano di Cisanello un cittadino americano di 69 anni arrestato in marzo in un agriturismo di San Casciano perché colpito da mandato di cattura internazionale per una truffa telematica. Il suo avvocato, Valentina Sanfelice, si era rivolta invano alla Corte d’appello e alla Cassazione segnalando che le condizioni di salute dell’arrestato, grande obeso, affetto da diabete severo e da grave cardiopatia, non erano compatibili con il carcere. A Sollicciano - denuncia l’avvocato - non ha potuto alimentarsi correttamente né ricevere i necessari controlli glicemici e solo in giugno era stato trasferito nel reparto clinico del carcere Don Bosco di Pisa. Uno shock settico ha poi imposto il ricovero a Cisanello. E qui domenica scorsa è sopraggiunta la morte. Grosseto: detenuto tenta di impiccarsi nel bagno della sua cella, salvato dagli agenti di Francesca Gori Il Tirreno, 16 agosto 2014 Aveva cenato, come tutte le sere da quando è entrato nel carcere di via Saffi insieme ai suoi compagni di cella. Poi si è messo sulla branda a dormire, aspettando che chi condivideva quel piccolo spazio facesse altrettanto. Ha fatto tutto in silenzio, senza che nessuno potesse accorgersene e senza che nessuno potesse quindi dare l’allarme alle guardie. Per fortuna però, uno degli agenti penitenziari che stava facendo il solito giro di controllo si è accorto che il letto sul quale sarebbe dovuto essere sdraiato il trentacinquenne era vuoto. Ha aperto la porta della celle e si è affacciato in bagno. L’uomo era lì, agonizzante. Si era impiccato utilizzando l’unica cosa che aveva a disposizione: il suo lenzuolo. Lo aveva legato alla finestra del bagno, da dove si vede, attraverso le sbarre, la luce della luna. Erano le 23.30 di mercoledì sera quando è scattato l’allarme. Gli uomini della Polizia penitenziaria hanno tirato giù il detenuto e hanno cercato di farlo respirare, prima di correre al pronto soccorso dell’ospedale dove i medici gli hanno riscontrato un principio di soffocamento. È ancora ricoverato, sotto osservazione e seguito da uno psicologo. L’uomo era entrato in carcere da qualche tempo per una condanna passata in giudicato. Non aveva mai dato segni di insofferenza. Non era certo la prima volta che finiva in galera. E come si vive all’interno di una cella lo sapeva bene. Ma due sere fa quelle sbarre alle finestre, probabilmente, gli sono sembrate essere utili soltanto per impiccarsi nel più classico dei modi, utilizzando un lenzuolo. Questa volta è finita bene, grazie all’intervento degli uomini e delle donne della polizia penitenziaria. "Abbiamo continui problemi di carenza di organico - dice Pierangelo Campolattano, segretario provinciale della federazione nazionale sicurezza della Cisl - e anche a Grosseto la situazione è seria. I nostri agenti questa volta sono riusciti a salvare una vita. Ma è necessario che il ministero intervenga". I conti all’interno del carcere di via Saffi sono presto fatti: i detenuti sono 25 e gli agenti 24. All’appello, secondo le tabelle ministeriali, ne mancano 15. "È un problema ormai cronico - aggiunge il segretario provinciale - che in qualche modo deve essere risolto e affrontato senza continuare a nascondersi dietro la spending review". Trani: sovraffollamento e caldo in carcere, denuncia dei detenuti di Gianpaolo Balsamo Gazzetta del Mezzogiorno, 16 agosto 2014 "Qui è un inferno, non si può stare". Comincia così la lettera denuncia inviata alla Gazzetta da un gruppo di detenuti della casa circondariale di Trani e giunta in redazione proprio alla vigilia di Ferragosto. Che, siamo sicuri, si preannuncia più che mai torrido tra le quattro mura di una cella. "In 30 metri quadrati - scrivono i carcerati - non si può stare in sette persone con sole tre ore d’aria al giorno". La loro è una vera e propria implorazione d’aiuto, la tragica conferma della difficoltà, fisica e psicologica, di sopportare una condizione di vita così estrema, resa ancora più insopportabile dal caldo di questi giorni, che letteralmente toglie il respiro. Secondo i dati ufficiali del Ministero della giustizia (aggiornati allo scorso 31 luglio), nel carcere di Trani, a fronte dei 229 posti regolamentari, 270 sono i detenuti attualmente presenti, distribuiti nelle due sezioni (sezione "Media Sicurezza" che ospita in sei reparti i detenuti cosiddetti "giudicabili" e la sezione "Italia" con tre reparti che ospita i "definitivi"): un leggero sovraffollamento insomma che, ovviamente, diventa insopportabile quando le temperature esterne crescono. "Vorremmo farle notare - scrivono sempre i detenuti nella lettera inviata alla redazione del Nord Barese della Gazzetta che i "passeggi" (ovvero le zone destinate al passeggio durante la cosiddetta ora d’aria quando le celle vengono aperte, si esce e i detenuti tra di loro possono socializzare, ndr) - sono 40 metri quadrati a andiamo lì in 42 persone, dove non possiamo neanche passeggiare e muoverci. Neanche i cani sono in queste condizioni!". Dalle loro parole, scritte su due facciate di un unico foglio, traspare la consapevolezza di stare pagando, giustamente, per gli errori commessi. Non chiedono altro che di poter scontare la pena in condizioni più umane. Così scontate per chi è fuori dal carcere, ma così preziose per chi, nonostante il gran caldo, è costretto a trascorrere il Ferragosto tra quattro mura, chiuse da un cancello e da un portone blindato che, in questi giorni viene lasciato aperto eccezionalmente per fare entrare un po’ più d’aria. "Noi che siamo "giudicabili" siamo situati nella sezione che un tempo era di massima sicurezza, dove prima c’erano quelli delle Brigate Rosse e persone con l’associazione mafiosa". La denuncia dei detenuti poi si sposta anche sulla carenza del personale penitenziario. "Non esistono educatori - scrivono, il direttore non esiste e noi non sappiamo più a che Santo rivolgerci". Da anni, a cavallo del Ferragosto, i politici del territorio organizzano una visita negli istituti penitenziari di tutta Italia, cercando di richiamare l’attenzione su un problema che ha assunto i connotati di una vera e propria emergenza umanitaria. Anche della casa circondariale di via Andria 300 spesso la politica locale si è occupata ma, come scrivono i detenuti nella stessa missiva, "le ispezioni si fermano sempre alla sezione "Italia" che sarebbe una sezione prima di tutto nuova, con docce nella cella, "passeggi" enormi e per lo più sono sempre aperti". "Noi, invece - concludono i reclusi di via Andria - siamo costretti a scrivere a voi della Gazzetta per far sì che qualcosa qui dentro a questo infermo si muova". Macomer (Nu): la chiusura del carcere non è ancora scongiurata La Nuova Sardegna, 16 agosto 2014 Probabilmente sarà necessario attendere i primi di settembre per le verifiche annunciate dal ministero di Grazia e giustizia sulla veridicità dei motivi che hanno indotto l’amministrazione penitenziaria a decidere la chiusura e la dismissione del carcere di Macomer. Per il momento il provvedimento è congelato, ma questo non significa che il rischio di chiusura sia definitivamente scongiurato. Tra i motivi non veritieri alla base del provvedimento di chiusura indicati in una lettera inviata dal sindaco Antonio Succu al ministro della Giustizia figurano la mancanza di sicurezza e di una recinzione adeguata. Nel corso della manifestazione in difesa del carcere che si è svolta lunedì, Maria Garzia Calligaris, presidente dell’associazione "Socialismo diritti riforme" ha ricordato che il carcere non è una struttura riconvertibile, per cui finirà per diventare un costo per il Comune. La chiusura del carcere avrà una ricaduta economica negativa su diverse attività di Macomer. Milano: detenuti ripuliscono l’Idroscalo, a Ferragosto la Giornata della restituzione Ansa, 16 agosto 2014 Centocinquanta detenuti delle carceri lombarde partecipano, anche quest’anno, all’Idroscalo all’ormai tradizionale appuntamento di Ferragosto con la Giornata della Restituzione. Si tratta della giornata in cui i detenuti "risarciscono" la società del danno che le hanno causato. Provengono da Bollate, Opera, San Vittore, Lodi e Monza e hanno ripulito la zona intorno allo specchio d’acqua milanese. Trascorreranno il pomeriggio con le loro famiglie. La Giornata della restituzione - spiega la Provincia di Milano - si colloca in un più ampio spettro di iniziative da parte della Provincia di Milano, volte a promuovere il reinserimento dei reclusi nel tessuto della società e ad evidenziare l’efficacia degli interventi del personale penitenziario. Ne sono un esempio la creazione del nido aziendale di Opera e dell’Icam, l’Istituto a custodia attenuata, in cui le madri possono scontare la propria pena insieme ai bambini fino a tre anni. La collaborazione tra Provincia di Milano e il Provveditorato Regionale per l’Amministrazione Penitenziaria, nata nel 2012 e rafforzata in questi anni in vista della Città Metropolitana, ha dimostrato un forte valore sociale sul territorio, puntando a un recupero del detenuto attraverso il lavoro, con un notevole abbassamento dei tassi di recidiva in tutto il milanese. Forlì: per il Ministero nuovo carcere non è urgente, sarà pronto soltanto nel 2017 www.forli24ore.it, 16 agosto 2014 Alfano nell’ormai lontano 2009 aveva assicurato che nel 2012, e più precisamente entro il mese di dicembre di quell’anno, il nuovo carcere di Forlì sarebbe stato terminato per entrare nel giro di poco in funzione. Da allora sono passati altri 5 anni e dei lavori portati a termine c’è poco o nulla: "sono stati eseguiti lavori solo sul primo dei due lotti in cui è divisa l’opera, quello con la sede degli uffici. Non c’è invece il muro esterno e il corpo vero della struttura è ancora da realizzare", riporta l’onorevole Bruno Molea di Scelta Civica, che ha riportato il tema del penitenziario che deve sorgere in zona "Quattro" all’attenzione del Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Le vicende legate al carcere di Forlì si perdono oramai nella notte dei tempi e non è un segreto che cinque mesi fa il Comune abbia chiesto rassicurazioni in merito all’apertura della nuova struttura detentiva. Dal Ministero garanzie ne erano arrivate e si erano individuate nuove scadenze. Il carcere avrebbe dovuto essere consegnato alla città a fine 2015, inizio 2016. Il condizionale era d’obbligo ma anche profetico e infatti oggi si torna a parlare di nuovi termini e da Roma arriva la voce che il penitenziario sarà terminato solo nel 2017. La nuova struttura, insomma, non pare prioritaria nonostante nel 2009 l’attuale carcere della Rocca abbia subito un crollo che ha portato alla chiusura della sezione "custodia attenuata", l’area destinata ad un trattamento differenziato che da la possibilità ai detenuti di acquisire nuove competenze professionali ma anche di studio. La sezione a custodia attenuata, ovviamente, è ancora in fase di ristrutturazione. Il carcere della rocca di Ravaldino (fortificazione che risale a fine 800) "ospita" mediamente circa 150 persone ed occupa una novantina di agenti. Fino agli anni 70 la casa circondariale comprendeva anche un istituto minorile. Ad oggi i 4 edifici ospitano 5 sezioni detentivi. Nel febbraio del 2011 nella struttura erano stati trovati escrementi di volatili, ratti che circolavano liberamente nei sotterranei, condizioni igienico sanitarie precarie e consistenti problemi di manutenzione. Da allora le cose sono migliorate e anche di molto, ma la situazione non si può dire di certo risolta. Desi Bruno Garante regionale delle persone sottoposte a limitazioni della libertà personale, nel giugno scorso ha visitato il carcere della Rocca per verificarne le condizioni, quando, proprio in quei giorni si stava organizzando un presidio per portare all’attenzione pubblica la questione del personale femminile addetto alla sorveglianza delle detenute. L’elenco delle difficoltà, delle vicende e dei problemi che riguardano la struttura della Rocca è quasi infinito e Molea ne riporta un’altra: "Tre anni fa furono i detenuti, che lamentano lunghi tempi di attesa per le risposte dei magistrati di sorveglianza, anche in relazione alle richieste di misure alternative e ai permessi, a scrivere una lettera al Presidente Napolitano, minacciando lo sciopero della fame, a causa delle pesantissime condizioni di vita in cui versavano. E da allora quasi nulla sembra sia cambiato". Un’urgenza per il nuovo carcere non ci sarà per Roma ma sul territorio i dubbi, tutti più che leciti, rimangono. Ora non resta che attendere, nella speranza che tre anni siano sufficienti per concludere la nuova opera nel quartiere Quattro, così come non si può fare altro che attendere il conto salatissimo per la nuova casa circondariale, lievitato a causa dello slittamento continuo dei lavori. A tal proposito l’onorevole di Scelta Civica sottolinea: "Inizialmente si era parlato di un progetto di 59 milioni, ma l’allungamento dei tempi è destinato a far lievitare le cifre. Dunque anche per questo chiediamo al governo un chiarimento". Opera (Mi): "sono rinato grazie ai violini"… la bella storia del detenuto Maurizio Fossati di Giorgio Vitali Famiglia Cristiana, 16 agosto 2014 "Per lungo tempo truccavo i numeri di matricola dei telai delle auto. Poi le mie mani hanno scoperto il legno. Ed ho imparato a scolpire, a creare le figure che abbelliscono i violini, a fare gli intagli. Ora quando sento un "mio" violino suonare non riesco a trattenere le lacrime". Maurizio Fossati è un uomo maturo, 60 anni, di corporatura robusta, con uno sguardo pacato ed una storia da raccontare. Il suo è un percorso che dimostra quanto l’esistenza, una esistenza, possa cambiare. Maurizio infatti è stato condannato per i suoi reati ad una pena che da poche settimane ha finito di scontare. Ma all’interno del carcere ha trovato una nuova ragione di vita. È lui a spiegarcelo: "tempo fa venne proposto al carcere di Cremona di aprire un laboratorio di liuteria per i detenuti. La direzione declinò l’invito, preferendo un’esperienza analoga, quella della costruzione di mobili. La cosa venne allora sottoposta al direttore del carcere di Opera, a Milano. E lui accettò con entusiasmo. Era una scommessa, ma anche un rischio: perché in un laboratorio di liuteria i detenuti hanno a disposizione tanti strumenti pericolosi". E come è andato l’esperimento? "All’inizio abbiamo aderito alla iniziativa in un certo numero. Ma ovviamente partivamo tutti da zero. Io non sapevo niente di violini, non ne avevo nemmeno tenuto in mano uno. Però piano piano mi sono appassionato alla cosa. E così alcuni miei compagni. Altri hanno abbandonato, ma con i rimasti siamo arrivati alla costruzione dei primi strumenti. Ed è stata una soddisfazione immensa". Maurizio si è scoperto un intagliatore straordinario. Un vero artista. "Ora io continuo a frequentare il laboratorio, anche se ho finito di scontare la pena: lavoro, frequento i corsi di perfezionamento a Cremona, anche per istruire i nuovi aspiranti liutai. Ho scoperto una vocazione e vorrei che il mio futuro fosse questo". Il progetto venne subito abbracciato dai fondatori della Casa dello Spirito e delle Arti di Milano Arnoldo Mosca Mondadori e Marisa Baldoni, e dal presidente Emanuele Vai: e Mondadori Mosca - nel suo periodo di presidenza del Conservatorio milanese - ha attivato una collaborazione col carcere. L’Orchestra dei Popoli, che è una emanazione della Casa e raccoglie giovani strumentisti di tutte le etnie, pure utilizza i violini di Maurizio Fossati e dei suoi compagni di avventura. Ma c’è già chi ne ordina un esemplare per il figlio o la figlia. Quanto al futuro i piani di Maurizio sono chiari: "mi perfezionerò ancora a Cremona, alla loro scuola. E poi coltivo un sogno, che condivido con Fabrizio F., un detenuto che sta finendo di scontare la pena: quello di aprire un laboratorio di liuteria insieme. Me la fai pubblicare la foto di un mio violino?". Bergamo: "Rete Terzo Tempo", il sogno della Uisp è di fare un torneo fuori dal carcere di Vittorio Ravazzini Corriere della Sera, 16 agosto 2014 Una sfida contro il pregiudizio e l’indifferenza nei confronti dei carcerati. Un segnale forte di speranza per tutte le vite che in futuro possono ancora trovare un riscatto. Si chiama "Oltre il muro, porte aperte allo sport" il progetto avviato a marzo dalla Uisp di Bergamo, in collaborazione con "Rete Terzo Tempo", destinato ai detenuti nella Casa circondariale di via Gleno. Nell’ambito del progetto c’è anche un quadrangolare di calcio a 7, organizzato sul campo sportivo all’interno del carcere, che tutti i passanti possono notare passando sulla strada. L’evento sportivo sta coinvolgendo tre squadre di detenuti (la formazione degli studenti del circondariale, la Alfa della sezione penale, e la sezione penale Zeta) più una squadra esterna. Oggi alle 11 dentro la Casa circondariale è in programma l’ultima giornata con le due partite che decideranno la classifica finale. A prescindere dai risultati tutti i giocatori saranno premiati allo stesso modo con una maglietta prodotta da Made in Jail (cooperativa romana di detenuti ed ex detenuti) e una foto ricordo. "È un momento di incontro e di relazione molto prezioso per una trentina di persone in difficoltà - ha spiegato soddisfatto Milvo Ferrandi, presidente di Uisp Bergamo". L’obiettivo è quello di sensibilizzare tutti sul mondo del carcere e sulle misure alternative alla detenzione in modo tale che l’ex detenuto, una volta scontata la pena, possa continuare a vivere il suo territorio. Vogliamo portare avanti nel tempo questo progetto che sta aiutando tante persone smarrite. Stiamo anche lavorando per trovare il modo di far partecipare queste squadre nate in carcere in un vero e proprio campionato Uisp. Una soluzione potrebbe essere quella di far giocare ai detenuti tutte le partite del calendario sul campetto di via Gleno, senza trasferte. La pratica dello sport è un diritto dell’uomo". Dopo le partite e le premiazioni di oggi è previsto anche un terzo tempo tra giocatori, arbitro, tifosi e pubblico per dimostrare quanto il rispetto dei compagni e degli avversari sono elementi alla base di qualsiasi attività sportiva. Per tutti i giocatori, a loro tutela, è stata richiesta alla dirigenza sanitaria del carcere la certificazione di idoneità per la pratica sportiva non agonistica. Augusta (Sr): il Ferragosto di "assuntina", la bici che accompagna i detenuti al lavoro www.siracusanews.it, 16 agosto 2014 L’hanno chiamata "assuntina" ed è la bici che l’Associazione del Buon Samaritano ha messo a disposizione dei detenuti A.T., G.S. e S.C. che già dallo scorso luglio hanno cominciato a recarsi nella mensa per indigenti gestita dall’associazione. Lo fanno le domeniche e i giorni festivi, quando c’è più bisogno e lavorano gratuitamente come cuochi e inservienti. Ciò avviene in base a un’intesa fra la direzione del carcere e l’associazione che prevede, la tutela assicurativa e la necessaria formazione e si tratta quindi di una attività, sì di volontariato, ma in linea con le la normativa che tutela il lavoro sotto qualsiasi forma. Lo scorso mese, definiti tutti gli aspetti dell’iniziativa, scelti i detenuti e acquisito il loro consenso, restava il problema degli spostamenti, come quello di far giungere i detenuti dal carcere che si trova un po’ fuori città, alla sede della mensa. Per questo l’associazione ha messo a disposizione del servizio la bici. E quindi oggi Assuntina accompagnerà al lavoro S.C. , felice di prestare questo servizio e che darà un senso al suo Ferragosto. L’ iniziativa viene dopo gli spettacoli teatrali e musicali aperti a pubblico esterno svoltisi per dieci giorni nel mese di giugno scorso nel carcere di Augusta a cui hanno assistito complessivamente oltre 1.500 persone. "Adesso, altri passi verso il territorio, questa volta giustizia riparativa - sottolinea Antonio Gelardi direttore carcere Augusta - una recente normativa prevede che dietro autorizzazione del direttore i detenuti che abbiano certi requisiti possano svolgere gratuitamente lavoro all’esterno. Ci si è messi quindi al lavoro, con il comune di Augusta, da un lato, con l’associazione Il Buon Samaritano di Augusta dall’altro, per stipulare protocolli d’intesa per lo svolgimento sul territorio di lavoro da parte dei detenuti al servizio della collettività. L’intesa con il Comune , quasi in dirittura d’arrivo riguarderà attività di manutenzione del verde e di edifici pubblici ma un filo comune attraversa e congiunge gli spettacoli con questa nuova attività: l’associazione Buon Samaritano da anni collabora con la direzione del carcere raccogliendo fondi da destinare a detenuti bisognosi , inoltre i detenuti che svolgono questa attività sono fra quelli che si sono esibiti negli spettacoli. L’ingresso di tanti cittadini, soprattutto augustani, in occasione degli eventi e l’empatia creata con i detenuti contribuisce più di tanti proclami a rompere il muro di diffidenza e a preparare la circolazione di alcuni di loro sul territorio". Iran: numero vittime dell’incendio nel carcere di Shahr-e Kord più alto di quello ufficiale www.ncr-iran.org, 16 agosto 2014 Il numero dei detenuti rimasti uccisi durante l’incendio del 4 agosto in una prigione in Iran, per colpa delle autorità che hanno impedito ogni tentativo di salvarli, è in realtà molto più alto di quello pubblicato dai mezzi di comunicazione statali. Notizie dall’Iran indicano che con un altro detenuto morto venerdì per le gravi ustioni riportate, il numero delle vittime dell’incendio nella prigione di Shahr-e Kord è salito ad almeno 40. I media di stato avevano parlato di soli 11 detenuti morti. In contemporanea con la visita di Hassan Rouhani in città, per reprimere i detenuti, le autorità della prigione hanno tenuto le porte chiuse mentre divampava il fuoco, cosa che ha causato molti morti nell’incendio. Notizie del regime dicono che il giorno dell’incidente le autorità della prigione hanno impedito ai camion dei pompieri di entrare e che alla fine, dopo tre ore, gli è stato permesso ma poi sono stati ancora bloccati. La Presidente eletta della Resistenza Iraniana, Maryam Rajavi, il 6 Agosto ha esortato le organizzazioni internazionali e gli organismi in difesa dei diritti umani a condannare il deliberato omicidio dei prigionieri bruciati vivi e ha chiesto l’invio di una missione d’inchiesta per indagare sulle terribili condizioni di vita nelle prigioni in Iran. E ha detto: "Questa atrocità senza precedenti è solo un esempio delle tragedie a cui gli assassini al potere in Iran costringono i detenuti da molti anni. Questi barbari che governano l’Iran devono essere rigettati dalle nazioni civili e devono affrontare la giustizia per le innumerevoli atrocità che hanno commesso". Brasile: evadono da carcere scavando un tunnel sotterraneo e si filmano durante la fuga Ansa, 16 agosto 2014 Tredici detenuti rinchiusi in un carcere dello stato di Goias, in Brasile, sono riusciti a scappare scavando un tunnel sotterraneo e, una volta fuori, hanno pubblicato sui social network un video con immagini riprese mentre, scherzando, organizzavano la fuga. Tre di loro sono stati già riacciuffati. Fonti di polizia hanno indicato che la preparazione del tunnel deve essere durata 5 giorni e non deve essere stata molto difficile: il terreno sotto la prigione è sabbioso e friabile.