Giustizia: Renzi vuole inserire la riforma nel decreto "sblocca Italia" di Marco Conti Il Messaggero, 15 agosto 2014 Accorpamenti e tanti, tanti decreti legge per fare in fretta. Matteo Renzi lo sprinter con il mito un po’ futurista della velocità e delle macchine - al punto da auspicare che a Termini Imerese se ne tornino a produrre anche se cinesi - è sicuro di farcela. L’altra sera, illustrando al capo dello Stato i provvedimenti che intende varare entro l’anno, ha però sorvolato sul problema dei tempi parlamentari e sul rischio che tra riforme istituzionali, legge elettorale e pacchetto di riforme economiche, si possa creare un immenso ingorgo parlamentare. Un’omissione, più o meno voluta che non ha impedito a Giorgio Napolitano di sollecitare il giovane premier al rispetto delle ragioni del confronto parlamentare e all’accuratezza nella elaborazione dei testi. Una preoccupazione dettata forse anche dagli strascichi polemici lasciati dalla riforma del Senato, con l’accusa di autoritarismo che si è beccato Renzi per aver portato a casa una riforma con una tempistica da "dittatura", come egli stesso ha ironizzato. Il timore che a settembre la foga riformista costringa i tecnici del Colle ad un super lavoro, come è accaduto per il provvedimento sugli 80 euro, è accentuato dagli argomenti che il premier intende mettere a fuoco a cominciare dal Consiglio dei ministri del 29 agosto. Ansie destinate forse a crescere se il go- verno confermerà, come e emerso dagli incontri dei giorni scorsi a palazzo Chigi, l’intenzione di inserire la riforma della giustizia civile nello Sblocca Italia che ha il suo cuore nel riavvio dei cantieri. L’idea è invece di farne un unico provvedimento composto da una parte che prenderà subito il volo per decreto e da una legge delega che affiderà all’esecutivo la stesura finale, con tanto di norme auto-applicative in modo da evitare il supplizio dei decreti attuativi. D’altra parte è pur vero, e Renzi non cessa di ricordarlo, che la ormai famosa lettera della Bce è del 2011 e che l’esigenza di una robusta accelerazione è necessaria sia per evitare nuove reprimende, sia per avere i requisiti giusti per sollecitare l’Eurozona a cambiare verso alla politica economica attuale. Se così sarà, finiranno in archivio anche le supposizioni emerse in questi giorni di un possibile soccorso azzurro al governo, al quale in realtà né il premier né il Cavaliere hanno mai creduto. Sulla riforma della giustizia civile, malgrado le aperture dei giorni scorsi, sarà infatti difficile che FI si dica soddisfatta al punto da far convergere i propri voti con quelli della maggioranza. Ciò che però sta a più a cuore al presidente del Consiglio è la compattezza della sua maggioranza uscita talmente rafforzata dal 40,8% delle elezioni Europee, da non dover sollecitare aiutini esterni. Napolitano l’altra sera ha condiviso le ragioni di un leader che sostiene di guidare un "governo politico" sorretto da una maggioranza "monolitica". Il sostegno del Quirinale, sia sul fronte delle riforme costituzionali che su quello delle riforme economiche, è scontato e ha accompagnato finora l’azione del governo. Il faccia a faccia dell’altra sera a Castelporziano è servito a fissare l’agenda dell’esecutivo nel tentativo di coniugare le ragioni dell’emergenza a quelle di una democrazia parlamentare. Piatto forte della serata, oltre all’analisi delle più importanti crisi internazionali, è stata la legge di stabilità che Renzi ha illustrato per sommi capi rifacendosi più volte al lavoro dell’ormai ex commissario Cottarelli e promettendo un nuovo incontro con il ministro Padoan. Se la strada della ripresa passa per lo Sblocca Italia, con la riapertura dei cantieri e qualche norma per contenere la burocrazia, settembre sarà anche il mese nel quale si riprenderà la riforma del lavoro con relativa delega alla quale stanno lavorando Filippo Taddei e Maurizio Sacconi. Anche dopo il vis à vis con Mario Draghi, l’agenda che Renzi ha illustrato a Napolitano, non cambia anche se si fa più fitto il calendario. I presidenti di Camera e Senato, alla luce del mese e più di ferie dei rispettivi rami, sono avvisati. Giustizia: detenuti umiliati, l’Italia incassa un’altra condanna di Enrico Novi Il Garantista, 15 agosto 2014 Quasi come se volesse fare ammenda, il ministero della Giustizia pubblica sul proprio sito la sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per il trattamento degradante inflitto a un detenuto. Il pronunciamento del tribunale di Strasburgo è dello scorso 1° luglio, e riguarda la maxi perquisizione degenerata in sevizie di massa nel carcere di Sassari nel lontano 2000. Ieri via Arenula ha reso pubblica la traduzione italiana del documento. Non sfugge la coincidenza con una data particolare, quella di Ferragosto, in cui tradizionalmente si svolgono manifestazioni organizzate dai radicali proprio per segnalare le voragini del sistema penitenziario. Oggi una delegazione del partito guidata da Marco Pannella, Rita Bernardini e Laura Arconti visiterà il carcere romano di Rebibbia. Si tratterà di un nuovo passaggio della lotta per "fermare il massacro" negli istituti di pena. Un "Satyagraha" culminato in uno sciopero della fame durato un mese e mezzo e interrotto solo da pochi giorni, dopo cioè che il guardasigilli Andrea Orlando ha pubblicato i dati sul sovraffollamento. Un segnale di attenzione che si unisce ad altri offerti di recente dal ministro della Giustizia. In questa linea di maggiore vigilanza sul dramma delle carceri italiane sembra iscriversi anche la scelta di mettere on line questa sentenza con cui la Corte di Strasburgo punisce di nuovo Roma per i misfatti del suo sistema penitenziario. Stavolta si tratta di una vicenda molto datata, accompagnata a suo tempo da un notevole clamore: il cosiddetto maxi pestaggio del carcere di San Sebastiano a Sassari. Parliamo di fatti che, nel "calendario" della politica, risalgono addirittura a quattro legislature fa: precisamente al 3 aprile del 2000. Violenze "sottili" Adesso quella vergogna riemerge in virtù della sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo accoglie il ricorso di una singola vittima, l’allora detenuto Valentino Saba. Il quale non subì percosse, non fu tra le vittime del pestaggio vero e proprio. Ma fu umiliato con una messinscena: costretto a sfilare con gli occhi bassi tra due ali di guardie penitenzierie che lo insultavano, manganelli in pugno, mentre altri gli devastavano la cella e distruggevano i suoi effetti personali. Non tra gli episodi più gravi, né di quella storia e neppure tra le ignominie compiute negli ultimi anni contro i detenuti. Eppure la sentenza segna un nuovo punto di svolta: proprio perché condanna l’Italia per violenze psicologiche, quindi più "sottili", più difficili da dimostrare, ma altrettanto meritevoli di sanzione. Il risarcimento che lo Stato dovrà pagare a Saba è limitato: 15mila euro più altri 2mila per le spese legali. Ma "fa male", dal punto di vista del diritto e dell’immagine dell’Italia, anche perché si fonda in buona parte sulla lentezza del processo, che si concluse nel 2009, quasi un decennio dopo, con molte prescrizioni. A questo si aggiunge un altro aspetto assai significativo: il detenuto ricorrente è stato considerato dai giudici di Strasburgo ancora meritevole di tutela e risarcimento per l’ulteriore ragione delle sanzioni disciplinari e delle pene troppo lievi inflitte ad alcuni responsabili che scelsero il rito abbreviato, e che perciò non vennero salvati dalla prescrizione. Pene lievi, dunque. Un esempio? Un agente penitenziario riconosciuto colpevole di omessa denuncia si è visto infliggere una multa di 100 euro. E parliamo di sevizie di massa che tra pestaggi veri e propri e umiliazioni varie interessarono 110 detenuti. Le pene detentive per violenza privata e abuso d’ufficio comminate ad altri 8 condannati (inizialmente la Procura di Oristano chiese qualcosa come 82 arresti) restarono entro il margine massimo di un anno e 8 mesi e quello minimo di 4 mesi appena. E per giunta "i condannati hanno beneficiato della sospensione condizionale", scrivono i giudici di Strasburgo, che aggiungono: "In queste circostanze la Corte non è convinta che i giudici nazionali abbiano valutato la gravità dei fatti ascritti agli imputati nella loro qualità di funzionari dello Stato". Il reato di tortura Il tribunale europeo si limita a valutare il rapporto tra i fatti compiuti, le pene che, in base alla legge italiana, sarebbe stato possibile infliggere e quelle che secondini e funzionari del Dap hanno effettivamente riportato. In questo quadro è evidente come non fosse strettamente necessario addebitare all’Italia anche la mancata codificazione dei reati di "tortura" e "trattamento degradante" (quest’ultima è la fattispecie dell’articolo 3 della Convenzione europea violata nel caso specifico). Ma anche se la condanna prescinde dal deficit normativo, è evidente come questo abbia pesato eccome. Nel corso del processo davanti alla Corte europea lo hanno segnalato anche i Radicali italiani e l’associazione "Non c’è pace senza giustizia", costituitisi come "terze parti". "Malgrado sia stata ratificata la Convenzione dell’Orni contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti, non esiste una specifica incriminazione della tortura nel sistema giuridico italiano", ha sostenuto in giudizio, tra l’altro, il partito di Marco Pannella. E a sua volta il detenuto autore del ricorso ha fatto notare quanto questo abbia pesato anche sulla caduta di molte delle imputazioni: "La prescrizione rilevata dal Tribunale di Sassari è in buona parte dovuta al fatto che i reati in questione erano di minore entità ed erano puniti con pene lievi. Se il diritto italiano avesse previsto un crimine di tortura punito con sanzioni più pesanti, il termine di prescrizione sarebbe stato più lungo e il tribunale avrebbe avuto il tempo di esaminare la causa prima della scadenza dello stesso". Ecco, il combinato disposto di queste due ultime argomentazioni è evidentemente il passaggio chiave di tutta la vicenda. Fa capire perché sarebbe importante introdurre anche in Italia il reato di tortura. Un’urgenza che lo stesso governo, nel corso del giudizio di Strasburgo, ha riconosciuto. E dopo l’atto di correttezza compiuto con la diffusione di questa sentenza alla vigilia di Ferragosto, l’urgenza di codificare la tortura potrebbe finalmente essere tradotta in passi concreti. Giustizia: il Terzo Settore incontra Orlando "aperto dialogo sulle misure alternative" Redattore Sociale, 15 agosto 2014 Dopo il confronto, il presidente del Cnv Edoardo Patriarca commenta: "Un incontro significativo. Una dimostrazione di apertura e dialogo che getta le basi per costruire una relazione più solida col ministero della giustizia". Entro settembre nuovo incontro. "Un incontro importante e significativo. Una dimostrazione di apertura e dialogo che getta le basi per costruire una relazione più solida tra il Ministero della giustizia e il Terzo Settore che da anni, quasi in silenzio, con non poca fatica si impegna sui territori lavorando coi detenuti. Dentro e fuori dalle carceri". È così che Edoardo Patriarca, presidente del Centro nazionale per il volontariato, commenta l’incontro col Ministro Andrea Orlando, che nei giorni scorsi ha incontrato alcuni rappresentanti del gruppo di lavoro "La certezza del recupero" per discutere di misure alternative dopo il carcere. "Il potenziamento delle misure alternative alla detenzione si rende indispensabile non solo in relazione al sovraffollamento delle carceri, ma anche e soprattutto in ordine a una diversa concezione della pena", spiegano i componenti del gruppo "La certezza del recupero". "Pensiamo a provvedimenti più rispettosi della dignità umana e più efficaci ai fini dell’utilità sociale. Il ricorso alle misure alternative - aggiungono - abbassa infatti il tasso di recidiva dall’80% al 15% e la diminuzione di un solo punto percentuale della recidiva corrisponde a un risparmio di circa 51 milioni di euro l’anno. Insomma, favorire il processo di reinserimento rappresenta un evidente vantaggio, sia in termini di sicurezza sia sul piano economico". Oltre a Patriarca, all’incontro col Ministro Orlando erano presenti anche Luisa Prodi (presidente Seac), Alessandro Pedrotti (vicepresidente Cnvg), Maurizio Artale (presidente Centro accoglienza Padre Nostro) e don Sandro Spriano (cappellano del carcere di Rebibbia, in rappresentanza di Caritas). "Ben oltre l’emergenza, è arrivato il momento di progettare un nuovo modello di carcere. È quindi necessario stabilizzare e strutturare le misure alternative alla pena. Un percorso che anche il Ministro Orlando condivide", conclude Patriarca. "Occorre avere coraggio e intervenire per offrire nuove soluzioni a un sistema che, per come lo conosciamo, ha costi altissimi, un alto tasso di recidiva e che, nei fatti, non migliora le condizioni di sicurezza. Entro la fine di settembre il gruppo "La certezza del recupero" incontrerà di nuovo il Ministro Orlando. Perché il volontariato e tutto il terzo settore rappresentano davvero la chiave di volta di un cambiamento ormai necessario". Giustizia: dm su assunzioni agevolate di detenuti, sgravi anche per attività di formazione Italia Oggi, 15 agosto 2014 Al fine di agevolare l’assunzione dei detenuti nella realtà socio-economico italiana, sono in arrivo nuovi fondi che dovrebbero poter consentire una più facile introduzione degli ex carcerati all’interno delle imprese italiane. È questa l’intenzione di un nuovo Decreto Ministeriale firmato dal Guardasigilli Andrea Orlando, in sinergia con i ministri dell’Economia e del Lavoro, allo scopo di favorire l’attività lavorativa dei detenuti, finalizzata alla rieducazione e al reinserimento nella società, passando attraverso lo strumento - non certo nuovo - degli sgravi fiscali e contributivi. Tecnicamente, il plafond a disposizione per le imprese sarà pari a circa 30 milioni di euro, e sarà destinato a tutte quelle imprese che assumono lavoratori detenuti per un periodo di tempo non inferiore ai 30 giorni. In maniera più specifica, il credito di imposta mensile concesso alle imprese per ogni detenuto assunto sarà pari a 700 euro per il 2013 e 520 euro per il 2014: un bonus che sarà comunque temporaneo, in attesa dell’emanazione di un nuovo regolamento. Per quanto concerne l’assunzione di lavoratori "semiliberi", gli sgravi sono invece pari a 350 euro per il 2013 e 300 euro per il 2014. Identici sgravi sono inoltre previsti per quanto concerne le imprese che svolgono attività di formazione a detenuti o internati, finalizzati a successiva assunzione o impiego professionale all’interno di attività gestite dall’Amministrazione penitenziaria: in tutto, 12 milioni di euro per il 2013 e 6 milioni di euro dal 2014. Infine, quanto agli sgravi contributivi, le aliquote complessive dovute per la retribuzione corrisposta a lavoratori detenuti saranno ridotte nella misura del 95%, e sempre fino all’adozione di un nuovo decreto ministeriale (lo stanziamento è quindi pari a 8 milioni di euro per il 2013 e 4 milioni di euro dal 2014). Stando al ministro Orlando il provvedimento "è un tassello importante per l’attuazione del dettato costituzionale che assegna alla pena una funzione rieducativa. I detenuti che in carcere non svolgono alcuna attività hanno nel momento del loro ritorno nella società un altissimo tasso di recidiva: la media scende invece drasticamente per chi ha seguito percorsi iniziati all’interno del carcere e proseguiti all’esterno in misura alternativa". Giustizia: Zampa e Verini (Pd); più libri ai detenuti… servono come l’acqua Dire, 15 agosto 2014 "L’importanza della lettura, spesso negata, dietro le sbarre è enorme: per questo a settembre chiederemo di votare la nostra risoluzione che chiede al governo di impegnarsi per la diffusione della lettura e la libera circolazione dei libri nelle carceri italiane. Questo tema è stato sollevato nei giorni scorsi anche da Adriano Sofri, con un articolo condivisibile e stimolante nel quale ricorda che "I libri sono come l’acqua per tutti i carcerati, o come una zattera". È quanto affermano Sandra Zampa e Walter Verini, deputati democratici e promotori dell’iniziativa tesa a dare seguito anche al rispetto della legge 354 del 1975 che prevede l’esistenza di una biblioteca in ogni istituto penitenziario. Zampa e Verini spiegano che "la risoluzione prevede, oltre al censimento delle biblioteche degli istituti penitenziari italiani, azioni concrete per far circolare i libri, anche stranieri, e i giornali. Di grandissima importanza per tutti, la lettura è strumento di crescita e di riflessione e rappresenta, soprattutto per i minori detenuti, una possibilità per restare inseriti nel mondo che li attende, per costruire un’identità rinnovata e rintracciare così nuovi e migliori percorsi esistenziali. La lettura può favorire il riscatto personale e solo da questo nasce il riscatto sociale cui ogni individuo ha diritto, come vuole la nostra Costituzione secondo la quale "le pene devono tendere alla rieducazione", quindi al reinserimento nella società, quando è possibile, ma sempre e comunque alla salvaguardia della dignità umana. Un voto parlamentare sulla risoluzione, magari anche attraverso un pronunciamento della Commissione Giustizia, potrà dare ulteriore spinta ed impulso alle iniziative in atto da parte del Governo e del Parlamento per carceri non sovraffollate, non luoghi di abbrutimento ma più umane e rispettose della dignità di chi ha sbagliato e della speranza di rifarsi una vita dopo la pena". Lettere: noi Radicali italiani delusi dal Guardasigilli di Laura Arconti Il Garantista, 15 agosto 2014 Caro Direttore... prima di tutto voglio chiarire che questo incipit non è un’espressione formale: tu mi sei caro davvero, per le infinite volte che hai dato spazio, su giornali diretti da te, alle idee ed ai gesti concreti dei Radicali. Del Garantista sono abbonata e lettrice attenta, sicché ho letto il tuo editoriale dal titolo "Orlando, un ministro meno sordo di Tv e giornali" condividendolo quasi tutto, fatte salve soltanto le ultime quattro parole, giusto una riga di colonna. E’ vero, il Ministro Guardasigilli è stato rapido, incredibilmente veloce nel prendere provvedimenti, non appena il tuo Garantista gli ha piazzato sotto il naso, nella Rassegna stampa mattutina, una prima pagina al fulmicotone dal titolo: "Visita ad Abu Ghraib in provincia di Cosenza". Non si è neppure soffermato a verificare se la notizia fosse presente in altri quotidiani, nei famosi mass media a grande diffusione, e sicuramente non aveva visto quel modesto riquadro pubblicato lunedì 11 dalla Gazzetta del Sud: figurarsi, un quotidiano di nicchia, e quando mai appare nelle Rassegne Stampa? Non ha aspettato neppure i telegiornali meridiani, quelli che di solito contengono il pastone di tutto. È partito come un razzo, alla Matteo Renzi, e ha ordinato l’ispezione a Rossano. Bene, bravo: ed è giusto che il Garantista glie ne abbia riconosciuto il valore. Come altrettanto giustamente osservi tu, direttore, dopo aver reso al ministro il merito dell’iniziativa, c’è un lungo discorso da fare sull’ignavia di molti giornalisti e sulla mentalità antiquata e passiva della stampa e del sistema mediatico. Figurati se non ti capiscono i Radicali, da sempre vittime di questa informazione viziata, pigra, asservita, che bada alla superficie delle notizie senza mai volerne capire l’essenza. Noi siamo stati per decenni, e tuttora siamo, una perenne "non-notizia" qualcosa che non vai la pena di pubblicare. Alle nostre conferenze stampa arrivano al massimo un paio di cronisti d’Agenzia, anche molto volonterosi, che riempiono i taccuini già con la certezza di non vedere mai neppure una riga di quello che hanno trascritto. Spesso i Tg mandano un cineoperatore, ma il più delle volte il filmato non si rivede, e - se si rivede - fa da sfondo a qualcuno che racconta a modo suo tutt’altro di ciò che si vede. Non spenderò molte parole per ricordare che quando un Radicale non sta mangiando (o addirittura non sta bevendo) e arriva al punto del bollettino medico preoccupante, solitamente i Tg mettono in onda un’istantanea dei momento migliori, che mostra il Radicale ben pasciuto, sereno e sorridente: questa sarebbe già calunnia infamante, ma è tanto abituale che non vale neppure la pena di parlarne. Figurarsi se sì danno pena di riferire i motivi, gli obiettivi, le proposte, che stanno alla base di un digiuno o di un lungo Satyagraha: quelle son fisime da Radicali, perché i Radicali - si sa - "protestano" e "si lamentano" sempre. In compenso i bravi cronisti ed operatori vengono spediti a riprendere e descrivere qualunque assurdità inutile, perché "l’uomo che morde il cane, questa sì che è una notizia", nella più totale incapacità di capire quali siano veramente le notizie dell’uomo che morde il cane. Un esempio fra mille: l’anno scorso mi trovavo ad un tavolo radicale a raccogliere fumé sui dodici Referendum, a Porta Portese di Roma. Arrivò un cineoperatore del TG2 e chiese chi volesse rilasciargli una breve intervista; indicarono me, seduta nella mia carrozzina, anni 89 e capelli bianchi, intenta a registrare i dati della carta d’identità di una elettrice. Chiesi: "quanto tempo?". Rispose "due minuti". "Allora posso dirle soltanto questo: esattamente trent’anni fa io ero seduta ad un tavolo come questo, esattamente qui, dove sono ora, a raccogliere firme". Quel filmato e quelle parole non li ha mai visti nessuno: che diamine, una quasi novantenne non ancora fuori di sé che fa militanza al servizio dei cittadini, e lo faceva già trent’anni prima... non è davvero una notizia, è soltanto il solito cane che ha morso alle terga il solito portalettere. Ma torniamo a noi, direttore, al Ministro Orlando. Il Ministro Orlando, secondo me, non ha agito per amore di giustizia o per senso di responsabilità. Non è un uomo del giure, Andrea Orlando: alla Sapienza di Pisa, in Facoltà di giurisprudenza, non è neppure arrivato alla laurea, ha preferito la politica. È un uomo di partito, ha fatto sempre carriera di partito: e quel partito - si sa - nelle sue due principali componenti d’origine, è dogmatico e forcaiolo. Qualcuno ha sbagliato, a Rossano? Ebbene, sia prontamente punito. Il Ministro Guardasigilli ha mandato gli ispettori a Rossano non per ristabilire il Diritto e restituire un minimo di dignità a persone affidate alla custodia dello Stato, ma soltanto perché alla vergogna vuole prima di tutto assegnare dei colpevoli da punire con rigore. Che la situazione delle carceri è intollerabile e indegna di un Paese civile lo diciamo da decenni noi Radicali, lo ha ripetuto il Presidente della Repubblica con un messaggio solenne al Parlamento, lo ha ricordato la Corte Costituzionale, è stato motivo di ripetute condanne dell’Italia da parte della Corte Europea per ì diritti dell’Uomo. Il Ministro Orlando, non appena nominato, ha immediatamente fatto sapere di essere contrario a quell’amnistia ed a quell’indulto che venivano indicati come un mezzo per ridurre il sovraffollamento delle carceri in brevissimo spazio di tempo, mentre si aspetta che abbiano effetto i vari provvedimenti emessi anche prima di lui da altri Ministri Guardasigilli e poi da lui stesso per riformare il sistema giustizia, di cui le carceri sono l’estremo orrore. Quando gli abbiamo chiesto un incontro, si è prontamente eclissato e ha fatto ricevere la nostra delegazione da un sottosegretario. Insomma, Direttore, Orlando è stato sordo fin dall’inizio, e ci son voluti mesi di martellamento continuo per convincerlo a mettere in rete, nel sito del Ministero, i dati che chiediamo da sempre. La rapidità della decisione di ieri non ripaga il disinteresse che ha sempre dimostrato per le proposte radicali, fino a comportarsi villanamente non rispondendo a lettere ufficiali: ecco perché, caro Direttore, Andrea Orlando non è un ministro che sta almeno un passettino più avanti. No, egli è indietro di molti, molti anni. Noi domani andiamo a Rebibbia, per il solito Ferragosto in carcere dei Radicali. Io scenderò dalla carrozzina per salire scale con le stampelle, perché un ascensore è fermo e l’altro non è mai stato collaudato: lo so, perché ci sono già stata a Capodanno. Ma non diciamolo troppo forte, c’è il rischio che il Ministro Orlando mandi qualcuno a bastonare il direttore di Rebibbia. Puglia: emergenza carceri, Regione maglia nera e Lecce fa i conti con il sovraffollamento di Andrea Morrone www.lecceprima.it, 15 agosto 2014 La Puglia si conferma ai primi posti nazionali nel triste primato del sovraffollamento degli istituti di pena. È un quadro sicuramente preoccupante, infatti, quello che emerge dai dati pubblicati dal ministero della Giustizia a proposito dei detenuti presenti negli istituti di pena pugliesi. La Puglia si conferma ai primi posti nazionali nel triste primato del sovraffollamento degli istituti di pena. È un quadro sicuramente preoccupante, infatti, quello che emerge dai dati pubblicati dal ministero della Giustizia a proposito dei detenuti presenti negli istituti di pena pugliesi. I dati, aggiornati al 31 luglio scorso, descrivono in maniera esauriente il sovraffollamento che caratterizza le carceri della nostra regione. A fronte di una capienza regolamentare di 2.378 unità sono ben 3.331, infatti, i detenuti presenti negli undici istituti della regione (Bari; Brindisi, Trinitapoli; Foggia; Lecce, Lucera; Maglie; San Severo; Spinazzola, Taranto, Trani e Turi). Cifre che raccontano il profondo malessere che attraversa le carceri pugliesi e in particolare quello di Borgo san Nicola, alla periferia di Lecce, dove, a fronte di una capienza di 660 posti disponibili, si registra una presenza di oltre mille detenuti. Sovraffollamento, carenze igienico-sanitarie, mancanza di supporto psicologico e la cronica insufficienza di personale, sono solo alcuni tra i mali che affliggono il penitenziario salentino. Problemi acuiti dal caldo di questi ultimi giorni. Nel 2008 i suicidi avvenuti nelle carceri pugliesi furono appena due, nel 2009 si registrarono tre decessi, numeri ampiamenti superati negli anni tra il 2010 e i 2013. Più volte è stato il Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) a lanciare l’allarme, denunciando il clima di tensione e violenza che serpeggia nelle carceri e che sarebbe pronto ad esplodere in qualsiasi momento in questa calda estate. Le prima avvisaglie si sono avute con le manifestazioni di protesta che hanno visto i detenuti impegnati nel percuotere violentemente le suppellettili contro le inferriate in quasi tutti gli istituti di pena pugliesi. Solo nei primi mesi del 2014 ci sono stati oltre 500 episodi di protesta. Sono più di 220 invece, i casi accertati di autolesionismo, quasi 50 episodi gli scontri fisici tra detenuti con ferimenti, di cui alcuni anche gravi. "Riteniamo - ha commentato Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe - che per consentire condizioni di lavoro decenti nelle carceri pugliesi sia necessario l’incremento urgente di alcune centinaia poliziotti penitenziari". La Puglia è al quinto posto, dopo Lombardia (con ben 19 strutture attive), Sicilia (26), Campania (17) e Lazio (14), nella speciale classifica delle regioni italiani con il maggior numero di reclusi. Elevato anche il numero di detenuti stranieri, 592 (di cui nessuno in regime di semilibertà) e soprattutto di donne, ben 177. Non è un caso, infatti, che questo dato venga superato solo in altre tre regioni: Lombardia, Campania e Lazio. Al di là dei numeri e delle fredde statistiche si può tracciare una sorta di geografia criminale che evidenzia come alle nostre latitudini ci siano molti più reati collegati al sesso femminile. Il fatto sicuramente positivo è che delle 177 donne presenti negli istituti di pena pugliesi una buona parte abbia avuto accesso al regime di semilibertà, quasi sempre per motivi di lavoro o familiari. Notevoli spunti di riflessione e analisi vengono poi dalle tabelle relative alla posizione giuridica dei detenuti italiani. In particolare, dei 3.331 soggetti presenti nelle carceri pugliesi, solo 2.080 stanno scontando una condanna definitiva. Il resto può essere suddiviso tra imputati in attesa di primo giudizio, ben 690; appellanti, 238 e ricorrenti, 235. Vi sono infine altre 91 unità racchiuse in un cosiddetto gruppo misto, in cui confluiscono i detenuti imputati con a carico più fatti, ciascuno dei quali con il relativo stato giuridico, purché senza nessuna condanna definitiva. È questo uno spaccato indiscutibile di un altro dei grandi mali della giustizia italiana: la lentezza dei processi. Nei mesi scorsi è stato uno studio effettuato dall’Istituto di ricerca sui sistemi giudiziari del consiglio nazionale delle ricerche (Irsig-Cnr) a mettere a confronto i sistemi giudiziari europei con quello italiano per valutare e promuovere la qualità della giustizia nel nostro paese, risultato uno dei peggiori d’Europa. Puglia: per Ferragosto il Sen. d’Ambrosio Lettieri visita i penitenziari di Bari e Taranto www.barilive.it, 15 agosto 2014 Anche quest’anno il senatore Luigi d’Ambrosio Lettieri, capogruppo di Forza Italia nella Commissione Sanità del Senato, visiterà a Ferragosto i penitenziari di Bari e Taranto. Alle 10.30, D’Ambrosio Lettieri sarà nel carcere di Bari. Alle 12.30, visiterà il penitenziario di Taranto. "Nel febbraio scorso - spiega - ho presentato un ordine del giorno accolto dal governo nell’ambito del decreto "Svuota-carceri" perché, sul fronte sanitario, fosse varata al più presto la cartella sanitaria nazionale informatizzata, fosse assicurata in tutti gli istituti di pena la continuità delle cure per la persona condannata e perché fossero individuati strumenti normativi ed operativi volti a migliorare il sistema sanitario negli istituti di pena". Obiettivi delle misure proposte dal parlamentare barese la tempestività negli interventi sanitari urgenti e la prevenzione e cura di disturbi della salute mentale, con un’attenzione alla prevenzione del suicidio e dell’autolesionismo, dell’Aids e delle altre malattie trasmissibili. "Sul piano del sovraffollamento carcerario - aggiunge il senatore - sinora non è cambiato molto. Mi rendo conto che di fronte ai gravissimi problemi legati alla mancanza di lavoro e alla crisi economica, i problemi delle carceri italiane, dal punto di vista sia dei detenuti che degli operatori penitenziari, possa sembrare di secondo piano. Ma non è così. Il recupero ad una vita normale di chi ha sbagliato cedendo alla illegalità non è argomento secondario per una società civile, non solo sul piano etico, ma anche culturale, sociale ed economico. Restituire al carcere la sua funzione primaria di rieducazione e reinserimento attraverso strumenti idonei ed efficaci deve essere un impegno costante della politica". La visita nei due carceri sarà preceduta da quella alla farmacia Ballocchi a Palese, rapinata tre volte negli ultimi venti giorni. "Il reiterarsi, in poche settimane, di eventi di questo tipo ai danni della farmacia di Palese - commenta d’Ambrosio Lettieri - ci consegna inquietanti interrogativi e la certezza che è in atto un’aperta sfida allo Stato e a quella parte della società, per fortuna preponderante, che non vuole piegarsi alle logiche criminali". Roma: a Ferragosto una delegazione dei Radicali italiani visita il carcere di Rebibbia Prima Pagina News, 15 agosto 2014 Oggi, giorno di Ferragosto, a partire dalle ore 10, Marco Pannella visiterà il carcere di Rebibbia, insieme alla Segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini, alla Presidente Laura Arconti e ad un’ampia delegazione formata Antonella Casu (Tesoriera di Non c’è Pace senza Giustizia), Matteo Angioli (Comitato Nazionale di Radicali Italiani), Maria Grazia Lucchiari (Giunta di Radicali Italiani) e da Antonio Cerrone, Gianmarco Ciccarelli, Alexandre Rossi, Isio Maureddu, Laura Harth, Luca Viscardi e Gianfranco Zancan. In particolare, la visita sarà dedicata a Rebibbia Nuovo Complesso (dove è ristretto Totò Cuffaro che insieme ad altri 78 detenuti ha dato il suo sostegno al Satyagraha radicale) e Rebibbia femminile dove le detenute hanno espressamente chiesto di incontrare Marco Pannella e Rita Bernardini. Firenze: Radicali; bene nomina del Garante Crucciolini, ma situazione resta vergognosa www.gonews.it, 15 agosto 2014 I Radicali fiorentini dell’Associazione "Andrea Tamburi" esprimono i migliori auguri di buon lavoro al neo-nominato Garante dei detenuti di Firenze, Eros Cruccolini: "Quella del garante cittadino dei detenuti è una figura essenziale per la città di Firenze e per i suoi tre Istituti penitenziari - hanno dichiarato Massimo Lensi (componente della Direzione di Radicali Italiani) e Maurizio Buzzegoli (segretario dell’Associazione "Andrea Tamburi"). Speriamo in una collaborazione attiva con Cruccolini sia sul fronte dei problemi che riguardano le carceri fiorentine ma anche per affrontare politicamente i! problema della Giustizia e le proposte radicali di amnistia e indulto". Negli ultimi mesi i Radicali fiorentini avevano più volte fatto pressione al Sindaco per la nomina di un nuovo garante per il capoluogo toscano, ruolo lasciato vacante dall’ottobre 2013. I due esponenti radicali evidenziano, però, la persistente drammaticità delle carceri toscane: "Grazie allo sciopero della fame di 43 giorni della Segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, di Marco Pannella e di centinaia di cittadini, il Ministro Orlando ha accettato di pubblicare i parametri di ogni singolo istituto penitenziario italiano: al 31 luglio scorso, a Sollicciano sono presenti 702 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 494 posti. Una dato sconcertante e vergognoso che si riscontra in tutta la Regione: ci sono 530 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare e la percentuale di sovraffollamento viene stimata al 118,7%". Lensi e Buzzegoli concludono ribadendo la proposta radicale di amnistia e indulto: "L’Italia è obbligata a risolvere i problemi del pianeta penitenziario e della Giustizia: il punto di partenza per questo obiettivo rimangono i provvedimenti di amnistia e indulto". Cosenza: Sappe; ispezione ministeriale a carcere di Rossano Calabro, nulla da nascondere Comunicato Stampa, 15 agosto 2014 "Non abbiamo nulla da nascondere. Non abbiamo nulla da temere dall’ispezione ministeriale nel carcere di Rossano dopo le accuse della parlamentare Enza Bruno Bossio. Apprezzo la tempestività con cui si è attivato nel merito il Ministro della Giustizia Orlando, collega di partito della deputata: una solerzia sorprendente, viste che le molte interrogazioni penitenziari sulle critiche condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari in varie sedi d’Italia restano da tempo senza risposta. Mi chiedo però perché Bruno Bossio non si è rivolta a un magistrato se era convinta di trovarsi di fronte a reati. E, ancora, vorrei domandarle cosa ha fatto fino ad oggi per dare una soluzione ai problemi penitenziari della Calabria caratterizzati principalmente dall’assenza di un Provveditore regionale in pianta stabile, figura istituzionale autorevole che deve rappresentare l’anello di congiunzione tra il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e le realtà locali e territoriali calabresi, visto che a noi non risulta fatto alcunché ed è grave che da oltre 3 anni il Ministero non abbia ritenuto di colmare questa importante assenza". Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. "Se fosse vero che si è tentato di impedire l’ingresso della parlamentare in carcere sarebbe un episodio gravissimo, visto che anche l’ultimo degli Agenti neo assunti sa che i parlamentari possono visitare le carceri senza alcun autorizzazione preventiva. Un funzionario Comandante di Reparto non può non saperlo. Vorrei però che la deputata Bruno Bossio prendesse l’impegno di visitare con noi del primo Sindacato degli Agenti le carceri, anche per vedere come lavorano i nostri colleghi. La Polizia penitenziaria, a Rossano come in ogni altro carcere italiano, non ha nulla da nascondere. L’impegno del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, è sempre stato ed è quello di rendere il carcere una "casa di vetro", cioè un luogo trasparente dove la società civile può e deve vederci "chiaro", perché nulla abbiamo da nascondere ed anzi questo permetterà di far apprezzare il prezioso e fondamentale - ma ancora sconosciuto - lavoro svolto quotidianamente dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria. Del carcere e dei Baschi Azzurri viene spesso diffusa un’immagine distorta, che trasmette all’opinione pubblica un’informazione parziale, non oggettiva e condizionata da pregiudizi". Genova: carcere di Pontedecimo, detenute in rivolta contro il caro-prezzi in cella di Bruno Viani Il Secolo XIX, 15 agosto 2014 Per loro non ci sono offerte speciali, promozioni tre per due, libertà di scegliere una marca piuttosto che un altra, libertà di fare qualche metro in più per trovare il negozio più conveniente, libertà di tagliare i ponti con il negoziante che ha fornito merce non all’altezza delle richieste. Le detenute del carcere di Pontedecimo, di fronte a un inatteso rincaro estivo dei prezzi dello spaccio del carcere, sono in rivolta: hanno scritto alla direzione del carcere, al Provveditorato regionale e al Secolo XIX chiedendo che qualcuno intervenga. Perché, spiegano, quello che per altri è un aumento, per chi vive dietro alle sbarre può essere un dramma. "La motivazione per la quale ci stiamo rivolgendo a voi è l’aumento esagerato delle cose di prima necessità che possiamo acquistare in carcere - scrivono - e non è un problema da poco: noi che viviamo qua dentro abbiamo difficoltà ad affrontare queste spese perché le nostre famiglie vivono di stipendi e di pensioni molto basse. E chi ha la possibilità di mandarci qualcosa dall’esterno deve sottostare a limiti molto stretti: al massimo venti chili al mese e tutto deve entrare in contenitori di plastica, è poco per sopravvivere qui dentro". Il primo dato di fatto: le normative nazionali prevedono l’esistenza di una lista di generi di prima necessità che tutte le detenute e detenuti possono acquistare, si chiama "modello 72" (le voci spaziano dai tampax ai gamberoni) e a fornire la merce è una sola ditta selezionata attraverso un concorso su base regionale: per la Liguria è la Landucci Claudio & C sas, con sede a Lucca. Prodotti cari in un regime di monopolio o prodotti a prezzi calmierati per una popolazione fragile? Il confine è sottile. per evitare abusi, la stessa legge prevede che i prodotti venduti all’intero del carcere per integrare ciò che lo Stato passa a ogni detenuto (si chiama "sopravvitto") abbiano un prezzo non superiore a quello dei supermercati più vicini all’istituto di pena. A Pontedecimo in particolare, i prezzi sono stati aggiornati a luglio dopo essere rimasti a lungo fermi. "Abbiamo cercato di inserire nella lista anche alcuni prodotti da discount, non di marca, come farebbe una buona madre di famiglia - dice la direttrice del penitenziario Maria Isabella Di Gennaro - e abbiamo verificato che i prezzi proposti dalla ditta fornitrice non fossero superiori a quelli dei supermercato della zona: con i soldi delle persone che ci sono affidate non si può scherzare, soprattutto pensando alla popolazione carceraria". Genova: Sappe; detenuto malato tubercolosi sputa su agenti e poi tenta dar fuoco a cella www.ogginotizie.it, 15 agosto 2014 Prima ha tentato di sputare contro gli agenti di sorveglianza e poi ha tentato di dar fuoco alla sua cella. Un detenuto malato di tubercolosi ha creato non pochi problemi nel carcere genovese di Marassi. L’uomo, originario del Marocco, ha protestato per avere altri farmaci oltre a quelli che gli erano stati consegnati e poi ha perso la testa iniziando a sputare sugli agenti. Non pago ha poi cercato di dare fuoco alla cella dove si trova in stato di detenzione. Solo il tempestivo intervento degli agenti ha evitato la tragedia. "L’alta tensione vissuta a Marassi è sintomatica di come la situazione nelle carceri italiane sia sempre allarmante. Mi auguro che il Ministro della Giustizia Orlando scelga per la guida dell’Amministrazione Penitenziaria Dap una persona concreta e realista, che si renda conto come non possa essere la vigilanza dinamica la soluzione all’invivibilità della vita nelle celle (e quindi al miglioramento delle condizioni di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria) ma si debba lavorare per introdurre l’obbligatorietà del lavoro dei reclusi". Così il segretario generale del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe), Donato Capece, commenta quel che è avvenuto nella notte nel carcere di Genova Marassi. "Non è un mistero - prosegue il leader del Sappe - che la prevalenza della tubercolosi, sia essa conclamata o latente, è più alta nella popolazione carceraria rispetto alla popolazione generale, per cui e da tempo le organizzazioni sanitarie hanno messo l’accento sulla necessità di arrestare il contagio in questa popolazione a rischio. Recenti studi e ricerche hanno accertato come nella popolazione carceraria tra il 30 e il 40% delle persone abbiano l’epatite C, mentre l’epatite B attiva è intorno al 7%; oltre la metà dei detenuti (56%), inoltre, ha avuto contatti con l’epatite B; l’infezione della tubercolosi è oltre 50% nei detenuti stranieri. Questo fa comprendere in quali polveriere infettive lavorano ogni giorno le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che devono avere ogni tutela e garanzia, anche e soprattutto a livello fisico come conferma l’episodio di questa notte a Genova Marassi". Uil-Pa: incendio doloso in cella Momenti di forte tensione si sono vissuti ieri sera al carcere genovese di Marassi quando, intorno alle 23, un detenuto 34enne di origine tunisina "ha volontariamente appiccato un incendio nella propria cella". A darne notizia Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-pa Penitenziari, che aggiunge: "L’uomo aveva contattato l’agente in servizio per chiedere, in modo piuttosto agitato, una ulteriore dose di terapia. Di lì a pochi minuti ha appiccato fuoco alla cella e ha cominciato a sputare ai poliziotti intervenuti per trarlo in salvo. Le operazioni di salvataggio e spegnimento dell’incendio si sono concluse con esito positivo". Sarno sottolinea la tempestività e la professionalità dell’intervento dei baschi blu e il problema delle mancanza di dotazioni individuali di protezione, quali guanti-occhiali e mascherina: "Considerato l’elevatissimo numero di detenuti affetti da malattie altamente contagiose (dall’ HIV alla scabbia, dalla TBC all’epatite) è ben comprensibile il livello di rischio cui gli agenti sono sottoposti. Questo rende quegli interventi ancora più meritori e degni di segnalazione. Pertanto intendiamo far giungere ai colleghi di Marassi il nostro convinto plauso e i sentimenti della nostra ammirazione. Ma non vorremmo dover dare notizie di contagi prima di poter prendere atto che al personale che opera all’interno delle sezioni detentive quelle dotazioni di prevenzione siano state effettivamente consegnate". Catania: domani iniziativa di dialogo con i parenti dei detenuti al carcere di Piazza Lanza www.radicali.it, 15 agosto 2014 L’associazione Radicali Catania ha rivolto ai parlamentari regionali e nazionali eletti in Sicilia una lettera appello nella quale si invitano gli stessi a visitare le carceri nei giorni di ferragosto, quando - analogamente al periodo natalizio, si fa più intensa la sofferenza di chi si trova detenuto. L’associazione saluta altresì come un segnale positivo la sospensione interlocutoria dello sciopero della fame della segretaria nazionale di Radicali Italiani, Rita Bernardini, a seguito della pubblicazione da parte del ministero della Giustizia dei dati aggiornati al 31 luglio scorso relativi alla capienza ufficiale ed effettiva di tutti gl’istituti di pena e l’attuale numero di detenuti, finalmente scorporando dalla capienza ufficiale i posti indisponibili perché non agibili o oggetto di lavori. Questi dati lungi dal supportare le entusiastiche tesi del ministro Orlando che sostiene di aver evitato l’amnistia grazie ad una sostanziale riduzione del sovraffollamento delle carceri, provano semmai che una grave situazione di affollamento permane nelle carceri di tutta Italia anche se bisogna riconoscere miglioramenti dovuti soprattutto alla fine della crescita della popolazione carceraria avviata a partire dai provvedimenti assunti dal ministro Cancellieri. Da elaborazioni di Rita Bernardini sui dati ministeriali, a livello italiano la metà dei detenuti sconta la pena in carceri dove il tasso di sovraffollamento è mediamente del 150%. In Sicilia il tasso medio si attesta al 131% però in 16 carceri siciliane su 25 il sovraffollamento supera il la media nazionale del 120%, in 10 istituti si supera la soglia del 150% e permangono situazioni gravissime come quelle di Augusta (190.7%), Messina (187,6), Castelvetrano (174.5%), Catania Bicocca (161%), Ucciardone (158,7%), Gela (158,7%), Agrigento (157.8%). Inoltre, dai dati si può evidenziare che 2/3 dei detenuti che scontano la pena in Sicilia si trovano in strutture con grave sovraffollamento (120%), oltre il 40% è ubicato in strutture con gravissimo sovraffollamento (150%) e, dulcis in fundo, sono solo 6 o 7 su 25 in totale le strutture che hanno un sovraffollamento "tollerabile" rispetto alla capienza (110%) e alloggiano meno del 30% dei detenuti. Inoltre, non solamente dalla capienza dipendono le condizioni inumane e degradanti che subisce chi è oggi ospitato in un carcere italiano. L’assenza di adeguate misure volte al reinserimento del condannato, l’insalubrità dei locali, l’insufficienza di spazi aperti ed il numero limitato di ore d’aria. Menzione particolare merita la scarsa o nulla assistenza sanitaria, alla quale si aggiunge l’inerzia della magistratura di sorveglianza in caso di operazioni urgenti o non differibili. Tutto ciò fa sì che chi entra in carcere ha probabilità molto maggiori di aggravare le patologie presenti e di contrarre nuove malattie di chi è fuori. Radicali Catania continua a sostenere il Satyagraha di Marco Pannella ed altri 200 italiani a favore di amnistia e Indulto le sole misure in grado di dare una svolta a tutto il sistema giustizia in Italia. L’indulto è motivato dal semplice fatto che le condizioni non sono migliorate abbastanza (anzi di molto poco) e che il sovraffollamento persiste e le condizioni di tortura anche. L’amnistia, da accompagnarsi dopo con misure volte a trasformare la pena carceraria in reale estrema ratio, l’unica strada per liberare i tavoli dei giudici e rilanciare in un sol colpo giustizia civile e penale e per mettere fine all’amnistia occulta e di classe costituita dalla prescrizione.. Ulteriori elaborazioni sui dati ministeriali prodotte dall’associazione Radicali Catania saranno presentate domani, nel corso di un’iniziativa di dialogo con i parenti dei detenuti alla pensilina antistante al carcere di P. Lanza. Imperia: evade dai domiciliari a 76 anni "chi mi fa la spesa e butta la spazzatura?" www.riviera24.it, 15 agosto 2014 Il giudice per le udienza preliminari, Anna Bonsignorio, di Imperia, ha scarcerato (convalidando l’arresto e accordando i termini a difesa per il processo): Gennaro Agliano, 76 anni, originario di Napoli, invalido ed ex ambulante del mercato, accusato di tentato omicidio e lesioni, nel gennaio scorso, per avere tentato di dare fuoco al gestore Corrado Greco e a un impiegato dell’agenzia immobiliare "Tecnocasa", di via XXV aprile, a Imperia Oneglia, all’altezza della rotonda delle carceri. Quest’ultimo era accusato di evasione, per essere uscito di casa, malgrado il divieto imposto dagli arresti domiciliari. Reato per cui aveva già patteggiato 5 mesi, nel giugno scorso. Difeso dall’avvocato di ufficio, Massimo Lovese, Agliano ha detto di essersi allontanato da casa, essendo impossibilitato, con la moglie invalida al cento per cento, di uscire a buttare la spazzatura o fare la spesa. Pertanto il giudice gli ha accordato la possibilità di uscire per tre ore alla settimana: il martedì, il giovedì e il sabato, dalle 11 alle 12, per assolvere questi compiti di regolare conduzione domestica. Ha, poi, aggiornato il processo al prossimo 19 novembre. Frosinone: la Madonna Assunta dai detenuti della Casa Circondariale di Cassino www.ilpuntoamezzogiorno.it, 15 agosto 2014 Nell’anno del 70° della distruzione e ricostruzione di Cassino e Montecassino, i festeggiamenti della Madonna Assunta, Patrona della città martire, hanno avuto una connotazione speciale e un’attenzione particolare è stata riservata a coloro che soffrono e sono in cerca di speranza per "ricostruire" la loro vita. Così il 14 agosto, la processione della statua dell’Assunta ha fatto una tappa speciale presso la Casa Circondariale "S. Domenico". Arrivata all’ingresso grande, abbellito per l’occasione con tappeti e piante, mentre la folla dei fedeli rimaneva fuori in attesa, la testa della processione è entrata, aperta dalla Croce e guidata dal parroco della Chiesa Madre D. Salvatore Papiro e dai chierici; seguiva poi il simulacro della Vergine Assunta portato a spalla dai portatori e un piccolo corteo formato da alcuni detenuti, guardie penitenziarie con il Comandante Antonio Leonardi, la Vicedirettrice dott.ssa M. Antonietta Lauria, la Direttrice della Caritas diocesana M. Rosaria Lauro, due carabinieri, il personale medico del carcere e qualche dipendente, due suore. Una prima sosta la statua l’ha fatta rivolta alle finestre delle celle, con un momento di preghiera e di canti, quasi un saluto che la Mamma da fuori inviava ai suoi figli prima di proseguire il percorso. Giunti al campo sportivo del carcere, al cui interno dietro la rete si trovavano i reclusi che in buon numero avevano aderito all’invito, la statua è stata posata su un supporto appositamente preparato rivolta a loro, come una Mamma che guarda i suoi figli. Un detenuto, scelto tra quelli che erano all’ingresso a fare accoglienza, ha letto una sentita, intensa e struggente preghiera a nome di tutti, ed un altro ha con devozione offerto un mazzo di fiori alla Madonna, con un gesto semplice ma eloquente. Le parole di Don Salvatore hanno ben illuminato questo momento tanto commovente e significativo, che davvero ha toccato il cuore di tutti i presenti e portato speranza e fiducia. Dopo la benedizione finale, il corteo si è rimesso in moto per uscire dalla Casa Circondariale e riprendere il normale tracciato della processione, per giungere puntuale, alle 11,30, in via del Foro per il tradizionale rito dell’Inchinata e per l’Incoronazione. Cinema: anche il video di un detenuto scelto da Salvatores per "Italy in a Day" Ansa, 15 agosto 2014 Il video girato nel carcere di Pistoia sul primo giorno di permesso di un detenuto è stato scelto dal regista Gabriele Salvatores per l’esperimento di cinema collettivo "Italy in a Day" che, grazie ai contributi video dei cittadini, racconterà un giorno nella vita degli italiani e che sarà fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia (27 agosto-6 settembre). "Il film - spiega una nota del provveditorato regionale per la Toscana - vedrà come tessera rilevante il momento emotivamente significativo della prima giornata di libertà, in permesso, di un detenuto". Il video è stato girato nel carcere di Pistoia dal giornalista di Tvl Massimo Panocchi. "Una scelta - continua la nota - che premia sia il regista sia la decisiva collaborazione dello staff della direzione della casa circondariale di Pistoia, dal direttore Tazio Bianchi agli educatori agli agenti di polizia penitenziaria ai detenuti, che hanno accompagnato l’iniziativa, fornendo informazioni sulle caratteristiche del contesto detentivo e territoriale e sulle problematiche della popolazione detenuta". Comunicato Stampa del Provveditore, Carmelo Cantone Si comunica con compiacimento che il video, girato nel carcere di Pistoia dal giornalista di TVL Massimo Panocchi, su squarci del vissuto detentivo di una persona reclusa nel suo primo giorno di permesso premiale, è stato prescelto tra quelli che costituiscono il palinsesto di Italy in a Day, realizzato dal noto regista Gabriele Salvatores. Il Video è stato tra i pochi prescelti rispetto a ben 44.197 video, presentati da tutta Italia, in tale intrigante e meritevole esperimento di cinema collettivo sulla quotidianità, versione tutta italiana dell’americano Life in a Day. Il film, alla diffusione della cui formula di partecipazione popolare hanno contribuito artisti quali i fratelli Rosario e Beppe Fiorello, Luciana Litizzetto e Nicola Savino, vedrà come tessera rilevante il momento emotivamente significativo della prima giornata di libertà in permesso, nel passaggio esistenziale tra contesto carcerario, nelle sue dimensioni restrittive reali, e primo impatto con la vita esterna. Una scelta che premia sia il regista sia la decisiva collaborazione offerta dallo staff delia Direzione della Casa Circondariale di Pistoia, dal Direttore dott. Tazio Bianchi agli Educatori e agli Agenti di polizia penitenziaria ai detenuti intervistati, che hanno accompagnato l’iniziativa, fornendo le informazioni sulle caratteristiche del contesto detentivo e territoriale e sulle problematiche della popolazione detenuta. Il rilievo artistico e sociale del film è comprovato oltre che dal regista e dai pregevoli collaboratori, anche dal fatto che sarà presentato fuori concorso al Festival cinematografico di Venezia il 27 agosto prossimo. Si sottolinea come questa ed altre analoghe iniziative, portando i riflettori all’interno dei penitenziari italiani, non solo hanno aperto al grande pubblico una porta insolita rispetto ai luoghi comuni e agli stereotipi circolanti, ma sono da ritenere un fondamentale veicolo, come quello legato al Teatro o ad iniziative culturali, per un dialogo significativo tra comunità civile e mondo recluso, che può sicuramente dare vita a reciproche svolte nella considerazione delle buone pratiche sociali, legate alla penalità, in vista di un clima che favorisca a livello individuale e collettivo una reale risocializzazione. Usa: nell’era dei social network certe ingiustizie non possono più essere tenute nascoste di Gianni Riotta La Stampa, 15 agosto 2014 Trenta anni fa la morte di Michael Brown, il ragazzo ucciso a Ferguson, sobborgo afroamericano a nord di St. Louis, in Missouri, avrebbe solo fatto notizia in città, un trafiletto in cronaca, un servizio nel telegiornale cittadino, qualche protesta sui giornali militanti dei diritti civili. Ma viviamo nell’era dei social media, la vicenda rimbalza nel mondo e costringe il presidente Barack Obama a interrompere le sue tormentate vacanze al sole di Marthàs Vineyard, isola chic del New England, e parlare al Paese. Malgrado un Presidente nero, mezzo secolo dopo Martin Luther King, politica e razza incendiano ancora l’estate americana. La polizia di Ferguson sostiene di avere fermato Brown durante un controllo e di avere sparato solo alla sua reazione, avrebbe colpito un agente, cercando di sottrargli la pistola. Un amico di Michael ribatte invece che il giovane afroamericano si sarebbe fermato alzando le mani, per mostrare di non essere armato, e che un poliziotto gli avrebbe sparato a bruciapelo. Quando un gruppo di dimostranti è sceso in strada, protestando per la morte di Michael Brown e accusando di razzismo il Dipartimento di polizia - solo tre ufficiali sono neri su 52 -, le autorità hanno dispiegato reparti in assetto paramilitare. Pallottole di gomma, gas lacrimogeni, autoblindo, tiratori con fucili di precisione. Sono partiti scontri, incendi, cariche, nello sgombero di un ristorante McDonald’s due cronisti son stati fermati per avere rifiutato di mostrare ai poliziotti i tesserini. Online è sembrato un cocktail tra il Maggio francese a Parigi e la guerra a Gaza. I picchetti urlavano a St. Louis "Gaza Libera", mentre su Twitter giovani palestinesi davano consigli su come reagire ai gas, mai acqua, meglio un limone. Alla fine il presidente Obama, già perseguitato sulla spiaggia che, con l’incidente costato la vita a una sua segretaria, rovinò Ted Kennedy, dalle polemiche sulla Siria con la Clinton, ha dovuto parlare alla nazione. S’erano diffuse voci di una sua danza con la Michelle Obama e il web ringhiava "Ferguson brucia Obama balla il valzer". Troppo per una Casa Bianca che ha nelle minoranze l’ultimo baluardo. Obama chiede un’inchiesta federale e controllo civile della polizia, senza uso dei reparti paramilitari. Condannati anche i controlli ai cronisti, mentre un senatore del Missouri propone che la polizia dismetta le manovre da guerra e torni a procedure meno aggressive. Morale di Ferguson Ferragosto 2014: nelle periferie e nei sobborghi la tensione tra polizia e giovani delle minoranze resta brutale. Il teenager Trayvon Martin, ucciso da un vigilante, aveva spaccato il Paese, ora St. Louis conferma che siamo lontani dalla pace sociale. La militarizzazione della polizia, seguita all’11 settembre, aliena troppi cittadini, ricorda le scene in Ucraina e Medio Oriente e andrà regolata. Troppi si erano illusi che il primo Presidente afroamericano siglasse la pace razziale in America. Purtroppo la crisi economica, la disoccupazione tra i ragazzi neri, la durezza della polizia abituata a trattare tutti come le gang criminali seminano zizzania. Non è il web a dividere l’America, con i social a diffondere il nome dell’agente che avrebbe sparato mentre altri siti organizzano la rivolta. Il web fotografa l’America rabbiosa estate 2014. Iran: militanti Isis minacciano di uccidere pastore statunitense detenuto Reuters, 15 agosto 2014 La moglie di un pastore cristiano iraniano-americano imprigionato in Iran da quasi due anni, ha detto che suo marito ha ricevuto minacce di morte da militanti dello Stato islamico detenuti nello stesso centro di detenzione. Saeed Abedini, 34, naturalizzato cittadino statunitense, è stato condannato a otto anni di carcere da un tribunale iraniano lo scorso anno per "attentato alla sicurezza nazionale" attraverso la creazione di chiese cristiane. Sua moglie, Naghmeh Abedini, di Boise, Idaho, ha detto che le minacce alla sua vita provengono da prigionieri musulmani sunniti che si sono allineati con lo Stato islamico, noto come Isis. Abedini trasmesso le informazioni a sua madre, che lo ha visitato questa settimana a Rajai Shahr carcere, a ovest della capitale iraniana Teheran.