Giustizia: carceri, senza capo né coda di Franco Corleone (Garante dei detenuti della Toscana) Il Manifesto, 13 agosto 2014 Ancora non è stato nominato il capo del Dap. Per la prima volta nella storia delle galere italiane si assisterà a un Ferragosto privo del vertice responsabile. Tra ferie dei provveditori e dei direttori, del personale civile e della polizia penitenziaria assisteremo alla novità degli istituti governati dai detenuti. Purtroppo non si tratterà di una felice autogestione ma la certificazione dello stato di abbandono. Nemmeno l’ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva ha provveduto alla nomina del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Sono passati più di due mesi dalla non riconferma di Giovanni Tamburino e in questo periodo sono circolate le voci più disparate, dalle più inverosimili e pericolose ad alcune estremamente suggestive. Questo tempo non è stato però utilizzato per una discussione pubblica su che tipo di gestione delle carceri sarebbe necessaria dopo la conclusione non definitiva seguita alla condanna della Corte europea dei diritti umani. Il decreto con le misure compensative non sana totalmente la situazione e l’Italia continua a essere un paese sorvegliato speciale ancora per un anno. È un vero peccato che il ministro Orlando non abbia delineato un identikit del nuovo capo del Dap che segnasse una netta discontinuità e consentisse di avanzare candidature connotate da storie e programmi alternativi. I garanti hanno chiesto senza esito un incontro con il ministro proprio per un confronto sul vertice del Dap, sulla nomina del garante nazionale dei detenuti, sulla riforma del carcere. Pare invece che come in un gioco dell’oca si sia tornati alla casella iniziale, ma ciò che appare allucinante è che per la prima volta nella storia delle carceri italiane si assisterà a un ferragosto privo del vertice responsabile. Tra ferie dei provveditori e dei direttori, del personale civile e della polizia penitenziaria assisteremo alla novità degli istituti governati dai detenuti. Purtroppo non si tratterà di una felice autogestione ma la certificazione dello stato di abbandono delle galere. Per fortuna il numero dei detenuti è sceso a quota 54.100 e il rischio di rivolte (grazie anche al meccanismo premiale) è pari a zero; l’unico pericolo è che si verifichi qualche suicidio che comunque non farebbe notizia né susciterebbe scandalo. Il rischio è che passi la convinzione che l’emergenza sia superata e che si possa tornare al tran tran dell’ordinaria amministrazione. Non può essere così, perché migliaia di detenuti, tremila a detta del ministro Orlando, molte di più secondo la valutazione delle associazione che hanno redatto il "Quinto Libro Bianco" sugli effetti della Fini-Giovanardi, stanno scontando una pena illegittima a dispetto della sentenza delle sezioni unite della Cassazione. Non può essere così perché molti istituti sono ben oltre la capienza regolamentare (finalmente siamo riusciti a far eliminare dai documenti dell’amministrazione la finzione della capienza tollerabile) e soprattutto perché in troppe carceri non sono ancora adottate le prescrizioni individuate dalla Commissione Palma per rispettare i principi costituzionali e le norme del Regolamento penitenziario del 2000. Molte questioni essenziali per il rispetto dei diritti umani sono ancora aperte. Dalla chiusura non più procrastinabile degli Opg al riconoscimento del diritto alla affettività e alla previsione del reato di tortura. Per non dire dell’esecuzione penale esterna senza uomini e mezzi su cui si stanno scaricando non solo le alternative alla detenzione, ma anche la nuova messa alla prova per gli adulti. È davvero ora di mettere in cantiere una Conferenza nazionale sul carcere, sul suo fallimento come strumento riabilitativo e sul senso della pena. Idee, parole e pratiche si rivelano ormai consunte e davvero l’appuntamento con un nuovo Codice Penale che superi il Codice Rocco non può essere eluso. Il 21 novembre a Firenze l’Ufficio del garante della Regione Toscana organizzerà su questi temi un seminario internazionale. Può essere l’inizio di una riflessione. Ma sono urgenti e indifferibile le scelte che finora sono mancate e che tardano incomprensibilmente. Giustizia: carceri, ecco finalmente i dati chiesti al ministro di Rita Bernardini (Segretaria Nazionale di Radicali italiani) Il Garantista, 13 agosto 2014 Il Ministero della Giustizia, esaudisce una delle richieste dei radicali; forniti, infatti sul sito giusti-zia.it, i dati, carcere per carcere, delle capienze effettive e dei detenuti presenti. Al 43° giorno di sciopero della fame, posso dire con una certa soddisfazione che il Ministro Andrea Orlando ha accettato la proposta che avanzavo da mesi che è quella di mettere online sul sito, carcere per carcere, le capienze regolamentari, i posti effettivamente disponibili, i detenuti presenti. Certo, non ha accettato di mettere online tanti altri parametri dei singoli istituti che sono essenziali per misurare la corrispondenza della detenzione ai dettati della Carta Costituzionale e alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo della cui violazione il nostro Stato è stato ritenuto "colpevole" con la sentenza pilota dell’8 gennaio 2013 (sentenza Torreggiani). La disponibilità di questi dati, è comunque talmente importante per il diritto alla conoscenza dei cittadini, da portarmi alla decisione di sospendere temporaneamente il mio Satyagraha che prosegue con l’impegno di Marco Pannella e di centinaia di cittadini. Per prima cosa, do atto al Ministro della Giustizia che - seppure con l’aiuto della Corte Costituzionale autrice della sentenza che ha abrogato la legge Fini-Giovanardi sulle droghe - è riuscito ad ottenere la diminuzione di alcune migliaia della popolazione detenuta. Lo ha potuto fare grazie ai provvedimenti già messi in campo dai Ministri che lo hanno preceduto (in particolare, Annamaria Cancellieri) e ad altri - troppi e a-sistematici - licenziati durante il suo mandato. L’on. Orlando ha rivendicato di aver ottenuto questo risultato senza ricorrere, come avevano chiesto il Presidente della Repubblica e una delegazione dell’Onu che ha visitato recentemente l’Italia, a provvedimenti di clemenza che ad avviso dei radicali avrebbero invece consentito da tempo di rispettare l’obbligo di eseguire una pena "umana" e "non degradante". Dimenticando, inoltre, che un provvedimento di Amnistia (che noi radicali continuiamo a chiedere) consentirebbe, nel penale e con serie e positive ripercussioni nel civile, di abbattere in un sol colpo buona parte della mole di oltre 5 milioni procedimenti penali pendenti sulle scrivanie dei magistrati e destinati alla settaria e illegale amnistia delle prescrizioni. Ma veniamo alla "ciccia" dei dati forniti e vediamo perché ci starebbe un bell’invito a pranzo del Ministro Orlando a casa di Trilussa davanti ad un bel pollo arrosto. Dei 49.987 posti regolamentari dei 199 istituti (su 204) censiti dal Dap, i posti effettivamente disponibili sono 45.784; occorre sottrarre, infatti, tutti quei posti inagibili per lavori in corso, ristrutturazioni, o chiusure per mancanza di personale che ammontano in totale a 4.203. Pertanto, al 31 luglio 2014, nelle nostre carceri c’erano 54.668 detenuti in 45.784 posti con una carenza di 8.884 posti. Il tasso di sovraffollamento è del 119,4%. Il sovraffollamento di circa il 120%, già di per sé drammatico perché vuol dire che 120 detenuti devono spartirsi lo spazio di 100 posti, lo è ancora di più se facciamo entrare in scena Trilussa a recitare la sagace poesia "la statistica" secondo la quale un povero cristo vedeva assegnarsi dalla statistica un pollo annuo che lui non vedeva nemmeno dipinto, mentre un altro fortunato di polli se ne mangiava due. Ecco che se prendiamo in considerazione non tutti gli istituti, ma gli 89 che registrano un sovraffollamento superiore al 120%, scopriamo che per 27.828 detenuti il tasso di sovraffollamento è del 149,4%, visto che devono accalcarsi in 18.662 posti e che non possono certo consolarsi sapendo che in Italia ci sono decine di istituti dove i posti addirittura avanzano. Giustizia: 17 per cento di recidiva con le pene alternative, 67 per cento con il carcere di Valter Vecellio www.articolo21.org, 13 agosto 2014 Questo articolo contiene notizie su cui converrebbe riflettere, su cui dovrebbero riflettere i nostri parlamentari e politici, dovrebbe essere materia di approfondimento giornalistico. È probabile che nulla di quanto si sta auspicando accadrà. La demagogia e la deriva securitaria ancora pagano, in questo paese. Ma veniamo alla "notizia". Riferisce l’Ansa: "La recidiva di un reato si riduce al 17 per cento "se si schiudono le porte del carcere" adottando misure alternative mentre è del 67 per cento se la detenzione viene scontata dietro le sbarre fino a fine pena". Questi alcuni clamorosi e inediti dati contenuti in uno studio reso noto dall’ex direttore del carcere di Bollate, Lucia Castellano, oggi consigliere regionale della Lombardia e per oltre dieci anni alla guida di quello che viene considerato un "modello" delle carceri in Italia. L’occasione, il corso di formazione organizzato dall’Ordine dei giornalisti d’Abruzzo, su "Carcere e informazione", nell’auditorium della Casa circondariale di Pescara, San Donato. "Per 20 anni - ha detto Castellano - ho combattuto la cultura della vendetta e l’idea risarcitoria per cui chi ha offeso deve essere trattato male. Occorre risalire questa corrente e dire al mondo esterno al carcere che la detenzione è mancanza di libertà altrimenti non si riesce a rieducare. La mancanza di libertà fa male, è questa la pena". Castellano fa l’esempio della televisione: "Si dice, allora non è un carcere. Ma la tv, rispondo, è il primo narcolettico dopo gli psicofarmaci", sottolineando che "la semilibertà e l’affidamento in prova sono una pena, non la scambiamo per libertà". Nel corso del forum persone competenti hanno detto cose molto ragionevoli e di buon senso, dunque, per un paese come il nostro, "rivoluzionarie". Resteranno, temiamo, nell’ambito degli addetti ai lavori. Un pessimismo che deriva dall’esperienza di questi anni. Speriamo almeno che vengano pubblicati gli atti di questo convegno. Segnatamente una copia per il presidente del Consiglio, altre due per i ministri della Giustizia e dell’Interno. Giustizia: Sappe sollecita nomina Capo Dap, problemi anche con 10mila detenuti in meno Ansa, 13 agosto 2014 "La nomina del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria slitta probabilmente al Consiglio dei Ministri di fine agosto ma i problemi penitenziari permangono, come conferma il suicidio di un detenuto ieri a Trieste. Mi auguro che il Ministro della Giustizia Orlando scelga per la guida del Dap una persona concreta e realista, che si renda conto come non possa essere la vigilanza dinamica la soluzione all’invivibilità della vita nelle celle (e quindi al miglioramento delle condizioni di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria) ma si debba lavorare per introdurre l’obbligatorietà del lavoro dei reclusi". È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri. Capece sottolinea che "i quasi 10mila detenuti in meno in un anno (erano 64.873 il 31 luglio 2013, sono ora 54.414) sono indubbiamente il frutto delle molte leggi chiamate "svuota carceri" entrate in vigore negli ultimi anni. Ma il merito per essere riusciti a distribuire i detenuti d’Italia in modo da allocarli nelle camere detentive, con almeno tre metri quadrati di spazio vivibile per ciascuna persona detenuta, va attribuito solo alle donne a agli uomini della Polizia Penitenziaria che, negli ultimi mesi, sono stati chiamati dal Dap a sopperire alle gravi lacune di capacità gestionali dei nostri Dirigenti dell’amministrazione penitenziaria. In tutti questi anni il Dap non è stato in grado di mettere in piedi un sistema informativo che consentisse di avere l’esatto monitoraggio di ogni singola cella degli Istituti penitenziari della Repubblica. Né la Direzione Generale dei detenuti e trattamento, né la Sala Situazioni, né l’Ufficio per lo sviluppo e la gestione del Sistema informativo automatizzato, avevano fino ad ora chiara la situazione di quante e quali fossero le camere detentive a disposizione dell’Amministrazione penitenziaria. La responsabilità di questa grave lacuna di informazione e gestione, va ascritta principalmente a tutti i Capi del Dap che si sono succeduti, soprattutto agli ultimi a cui, come Sappe, abbiamo sempre richiesto e sollecitato di intervenire nei settori delle Comunicazioni e delle tecnologie dell’informatica. Ed è quel che chiederemo anche al nuovo Capo Dipartimento che il Ministro della Giustizia Orlando vorrà nominare". Capece torna a sollecitare riforme strutturali per il sistema penitenziario del Paese e sottolinea che "se si rimuovessero gli "sbarramenti" che impediscono l’accesso alle misure alternative al carcere e si incentivassero gli interventi per il reinserimento sociale; se si usasse sempre come "extrema ratio" la custodia cautelare (visto che quasi metà della popolazione penitenziaria è costituito da persone in attesa di giudizio); se si procedesse a "bonificare" l’ordinamento penitenziario dagli automatismi preclusivi e si desse maggiore margine di manovra alla magistratura di sorveglianza, le presenze stabili di detenuti all’interno delle carceri potrebbero scendere dalle 5mila alle 10mila unità nel giro di un anno. E si avrebbe un calo del flusso annuale di detenuti stimabile tra le 15mila e le 20mila unità, con un consistente aumento delle misure alternative alla detenzione in oltre 10mila casi in un anno. O prevedendo l’espulsione per gli stranieri detenuti in Italia che devono scontare meno di tre anni di carcere. Queste sono le vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena che servono: lavoro in carcere per i detenuti, espulsioni degli stranieri, detenzione in comunità per i tossicodipendenti ed alcoldipendenti che hanno commesso reato in relazione al loro stato di dipendenza". Giustizia: giovani avvocati Aiga al ministro Orlando "ridurre i tempi del processo civile" La Presse, 13 agosto 2014 Pubblicata sul sito dell’Associazione italiana giovani avvocati (www.aiga.it) una lettera aperta al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, contenente le proposte di Aiga per la riforma della giustizia civile. La lettera, a firma della presidente Nicoletta Giorgi, espone punto per punto le proposte dell’associazione. Tema centrale è la riduzione dei tempi del processo civile. Riduzione da attuarsi mediante una revisione della struttura del processo, la definizione di tempi certi per il pronunciamento dei magistrati, una loro specializzazione e tribunali che funzionino meglio anche attraverso l’inserimento di figure come quella di un manager. "In questo agosto 2014 - scrive Giorgi - è decisamente incoraggiante constatare che il suo ministero sta portando avanti senza sosta il progetto di riforma della giustizia civile finalmente organico". "Attualmente l’esercizio del diritto costituzionalmente garantito di agire in giudizio per la difesa dei propri interessi è fortemente limitato dal costante andamento negativo delle prestazioni del sistema giustizia e dall’aumentata sfiducia del cittadino", sottolinea. Giustizia: Raffaele Cantone; corruzione è peggio della camorra, punizione è confisca utili Adnkronos, 13 agosto 2014 "La corruzione è peggio della camorra". Così Raffaele Cantone, ex pm anticamorra a Napoli e da marzo presidente dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione), in un’intervista al settimanale Oggi. "Lo è - spiega Cantone - perché la società tende a sottovalutarla. Il corrotto viene visto come un furbo capace di aggirare gli ostacoli, non come un bandito. Serve uno scatto culturale. Il salto di qualità, nella lotta alle mafie, c’è stato quando è passata l’idea che "mafia uguale male". Per la corruzione, questo salto non è ancora avvenuto". "Anche la corruzione uccide - aggiunge Cantone- in modo meno visibile, ma forse più vasto. Uccide l’economia, la concorrenza, gli investimenti. Uccide il futuro dei ragazzi, che infatti fuggono all’estero. Si può sconfiggere con un mix complesso di prevenzione, trasparenza e repressione". Per l’ex pm, "i fatti corruttivi devono essere puniti in modo rigoroso. Io non sono un amante del carcere", ma "credo che la vera punizione per i corrotti non sia la prigione ma la confisca degli utili -rimarca il presidente dell’Anac - e soprattutto l’espulsione dal mondo sociale che conta: l’impossibilità di continuare a fare il pubblico amministratore o a fare l’imprenditore. Quanto meno per un certo tempo". "Non credo che la stima di 60 miliardi l’anno bruciati dalla corruzione sia un numero credibile -prosegue il presidente dell’Anac - ma essa ha un livello di pervasività amplissimo. Se riusciamo a ridurla, l’economia riparte. E senza le temutissime stangatine di cui si sente parlare in questi giorni". "Individuare tutti gli episodi delinquenziali è impossibile - sottolinea ancora Cantone - in materia di corruzione ancora di più, perché è un reato in cui nessuna delle due parti ha interesse a far emergere il fatto corruttivo. Il corrotto ha ottenuto soldi o altro, il corruttore un vantaggio. Ci vorrebbero strumenti rivoluzionari". "Io - anticipa - auspico di poter introdurre in questo ambito un istituto che si è utilizzato per lo spaccio di droga: l’agente provocatore. Lo usano in alcuni Stati di elevatissima democrazia -conclude l’ex pm anticamorra - perché noi non dovremmo?". Giustizia: inchiesta Mose; Giancarlo Galan resta detenuto per il "tesoretto" Il Manifesto, 13 agosto 2014 Giancarlo Galan, ex "doge" e ministro, resta detenuto ad Opera. Il Tribunale del riesame ha respinto l’istanza dei suoi avvocati, che preannunciano ricorso alla Cassazione. Almeno fino ad ottobre Galan sarà in carcere, sempre sotto controllo medico. L’inchiesta della Procura di Venezia sul "sistema Mose" (con l’intreccio fra Consorzio Venezia Nuova, politica, grandi imprese e coop, amministratori locali e "mandarini" di Stato) continua a portare a galla di tutto. Nel caso di Galan, perfino la confessione di "contributi elettorali" in nero incassati alle Regionali 2005. Reato, per altro, già prescritto. Come tutti quelli datati prima del 22 luglio 2008. Tuttavia, Galan deve sempre rispondere del restauro della villa sui Colli Euganei (400 mila euro); dell’aumento di capitale di Adria Infrastrutture pagato dall’impresa Mantovani; dello "stipendio" da un milione all’anno elargito da Giovanni Mazzacurati del Consorzio Venezia Nuova. Poi c’è il "tesoretto" che Guardia di finanza e magistratura hanno rintracciato in Croazia. L’intercettazione di Paolo Venuti, commercialista di fiducia di Galan, ha rivelato un conto corrente con 1,8 milioni di euro. Fra le case di Lussino e Rovigno, Galan trascorreva non solo le vacanze in compagnia del "giro" degli amici non solo di lunga data. E nell’isola di Brioni non mancava al tradizionale appuntamento estivo con imprenditori, professionisti, dirigenti e personalità di spicco della Chiesa. Nel 2010, persa la Regione a scapito del leghista Luca Zaia, Galan contava sul governo Berlusconi per non dover abdicare. Napoli: suicidio nel carcere di Secondigliano, detenuto 44enne si impicca con lacci scarpe Ristretti Orizzonti, 13 agosto 2014 Francesco Tavassi, nato nel 1971, originario di Mugnano, provincia di Napoli, si è tolto la vita sabato scorso, mettendosi attorno alla gola i lacci delle scarpe. Era in isolamento nel carcere di Napoli Secondigliano. L’uomo in un primo momento era stato ricoverato in una Comunità Terapeutica, ma dopo essersi allontanato dalla struttura è stato messo in detenzione domiciliare presso la sua abitazione. Domicilio da cui è evaso per andare a costituirsi nel carcere di Secondigliano. Trieste: misteriosa morte di un detenuto. La madre "qualcuno forse gli ha fatto del male" di Corrado Barbacini Il Piccolo, 13 agosto 2014 Roberto Poropat, 42 anni, trovato senza vita sulla sua branda. La madre: "Qualcuno forse gli ha fatto del male". È morto sulla branda all’interno della sua cella dell’infermeria del Coroneo. Si chiamava Roberto Poropat, 42 anni. Il pm Massimo De Bortoli ha disposto l’autopsia affidandola al medico legale Fulvio Costantinides. Lo scopo è quello di individuare le cause della morte. E capire se possano essere state riconducibili a eventi non naturali. L’altra sera Poropat non ha lamentato alcun disturbo. A dare l’allarme, ieri mattina, sono stati alcuni detenuti della stessa cella. Roberto Poropat era immobile. Lo hanno scosso pensando che stesse dormendo. Ma in breve si sono resi conto che era morto. Dopo poco sono arrivati alcuni agenti della polizia penitenziaria e i sanitari del 118. Hanno tentato di rianimare l’uomo. Ma non c’è stato nulla da fare. Sul posto anche alcuni investigatori della Squadra mobile incaricati dal pm di svolgere le indagini. "Dai primi accertamenti - afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria - sembrerebbe che il decesso sia avvenuto per cause naturali, tant’è che gli stessi compagni di cella credevano che dormisse. Il detenuto avrebbe finito di scontare la pena per reati a breve. Non risultava essere tossicodipendente e non assumeva terapie particolari". Capece sottolinea "la professionalità, la competenza e l’umanità che ogni giorno contraddistingue l’operato delle donne e degli uomini della polizia penitenziaria con tutti i detenuti per garantire una carcerazione umana e attenta pur in presenza ormai da anni di oggettive difficoltà operative come il sovraffollamento, le gravi carenze di organico di poliziotti, le strutture spesso inadeguate". "L’ho visto sabato scorso quando sono andata a fargli visita. Stava bene anche se era ingrassato", racconta disperata la madre. Dice: "Non riesco a darmi una risposta. In carcere c’è gente di tutti i tipi. Roberto, non lo dico perché sono la mamma, era uno buono, forse troppo buono. Qualcuno potrebbe avergli fatto del male...". Roberto Poropat era finito nei guai per aver picchiato la fidanzata e aver messo a soqquadro alcuni locali della comunità di San Martino al Campo all’interno della villa "Stella Mattutina" di Opicina. Aveva fatto irruzione a notte fonda nella stanza occupata dalla fidanzata dopo aver superato di slancio il muro di cinta e scardinato la porta d’ingresso. Poi aveva rovesciato il letto della giovane e aveva cercato di picchiare la ragazza, ma era stato sorpreso e stretto con le spalle al muro da un volontario della Comunità che aveva dato l’allarme. La giovane era stata vittima poche ore prima di un altro episodio di violenza, sempre provocato, secondo l’accusa, da Roberto Poropat. La giovane era precipitata da un muricciolo, fratturandosi il polso e lesionandosi alcune costole. Così almeno aveva riferito in un primo momento. Poi è emersa una seconda versione: che la caduta non era accidentale e sarebbe stata procurata in un momento di rabbia, secondo la Procura, dallo stesso stesso Roberto Poropat. C’è anche una terza versione: che Poropat abbia picchiato la giovane nella sua abitazione ma che lei per difendere l’uomo che diceva di volerle bene, abbia cercato di accreditare la tesi della caduta accidentale per non procurargli dei guai con la giustizia. Pisa: detenuto 69enne muore all’Ospedale di Cisanello, era in attesa di estradizione La Nazione, 13 agosto 2014 È morto all’ospedale di Cisanello il 10 agosto, dove era stato ricoverato il primo del mese dopo un calvario clinico impressionante, il 69enne americano James Edgar Burke, detenuto in attesa di estradizione. L’uomo, sul quale pendeva un ordine di cattura internazionale emesso dalle autorità statunitensi per una truffa milionaria, era stato arrestato a marzo in un agriturismo di San Casciano. Ma il 69enne non avrebbe mai dovuto stare dietro la sbarre, tanto che, quando finì a suo tempo in manette in Spagna, venne subito liberato perché in condizioni troppo delicate da consentire la carcerazione. Anche negli Stati Uniti non aveva mai subìto neppure un giorno di carcerazione preventiva e non era mai stato condannato. Napoli: i Radicali napoletani invitano Matteo Renzi a visitare una delle carceri della città Notizie Radicali, 13 agosto 2014 Si avvicina il Ferragosto, i Radicali non vanno in ferie e proseguono le visite ispettive nelle carceri italiane. Pur non essendo presenti nel Parlamento, militanti e dirigenti del movimento di Pannella si impegnano a ricercare e coinvolgere deputati, senatori, consiglieri regionali di altre forze politiche, invitandoli ad entrare in questi luoghi inutili e fatiscenti senza speranza di rieducazione e riabilitazione, denunciando la mancanza della dignità umana a cui sono sottoposti non solo i cittadini detenuti ma anche le loro famiglie. I radicali chiedono da decenni attraverso digiuni e manifestazioni di nonviolenza la discussione in Parlamento di provvedimenti di amnistia, indulto e riforme alternative alla detenzione per uscire fuori dalla flagranza di reato per la quale il nostro paese è stato condannato dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo per la violazione degli art. 3 e 6 relativa allo stato di detenzione inumana e degradante a cui sono sottoposti i cittadini detenuti. In Italia ci sono oltre 9.000.000 di procedimenti penali e civili pendenti con oltre 160.000 prescrizioni all’anno che rappresentano, di fatto una vera e propria amnistia occulta ed illegale. È evidente che la paralisi totale della nostra giustizia è una delle ragioni per la quale gli investitori istituzionali stranieri non investono in Italia Noi iscritti alla associazione radicale Per La Grande Napoli con gli oltre 160 sit-in di nonviolenza svoltisi davanti al carcere di Poggioreale, Secondigliano e la Casa circondariale femminile di Pozzuoli, invitiamo il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, in occasione della sua prossima visita a Napoli nella giornata del 14 agosto, a recarsi in una delle carceri della nostra città per conoscere le condizioni in cui versano i penitenziari napoletani. Il grado di civiltà di un paese lo si conosce visitando le sue carceri. Dal canto ns. preannunciamo la visita che il 17 agosto p.v. , accompagnati dal sen. Luigi Compagna, faremo ai detenuti ammalati rinchiusi nel Penitenziario di Secondigliano. I tempo è ormai scaduto. Ci auguriamo al più presto un ripristino di legalità in materia di giustizia e carceri. Associazione Radicale Per La Grande Napoli Luigi Mazzotta, membro di giunta di segreteria nazionale di Radicali Italiani Campobasso: Di Sabato (Osservatorio su Repressione); rimuovere direttrice del carcere Ansa, 13 agosto 2014 "Nel carcere di Campobasso c’è una situazione difficilissima, è una struttura vecchia e fatiscente e a questo di aggiungono le condizioni in cui vivono i detenuti, anche a causa del comportamento vessatorio della direttrice del penitenziario. È per questo urgente una ispezione ministeriale e, visto che già in passato ci sono state rimostranze e denunce pubbliche, credo che ci siano tutte le condizioni per la rimozione della direttrice". È quanto denuncia il coordinatore nazionale dell’Osservatorio sulla repressione. Italo Di Sabato, che stamattina ha visitato la struttura del capoluogo molisano insieme ai Consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle, Antonio Federico e Patrizia Manzo. Di Sabato quindi aggiunge: "La direttrice ha un comportamento ultra-autoritario con ripercussioni sia sui detenuti che sulla polizia penitenziaria. Tutto questo fa diventare la situazione assai delicata". Cita una serie di episodi raccontati dai detenuti stessi e una situazione in particolare: "C’è una sezione in ristrutturazione e per questo alcuni detenuti nel bagno non hanno il lavandino; hanno quindi chiesto di potersi lavare la faccia e i denti nel cortile, ma gli è stato negato: se vogliono lavarsi la faccia o i denti devono usare il bidet, perché è quella l’unica fonte di acqua che hanno in cella". L’ex assessore regionale conclude: "Per fortuna la polizia penitenziaria ha capito quale è la situazione è davvero sta facendo da ammortizzatore di quelle che sono le difficoltà presenti. In passato nel carcere di Campobasso ci sono stati atti di autolesionismo da parte dei detenuti, allora mi chiedo: aspettiamo una rivolta perché si prenda coscienza della situazione di difficoltà che c’è lì dentro?". Livorno: il Garante; al carcere di Porto Azzurro tagli e abbandono dall’amministrazione www.gonews.it, 13 agosto 2014 Il garante dei detenuti: "Denunciate inquietanti e precarie condizioni di vita". Pubblichiamo in modo integrale il comunicato del Garante dei diritti dei detenuti di Livorno, riguardo la situazione della Casa Penale di Porto Azzurro: "Sabato il Tirreno, in un ampio articolo sulla cronaca regionale, ha acceso i riflettori sulla realtà della Casa Penale di Porto Azzurro. Una lettera anonima di alcuni detenuti ha aperto uno spiraglio, ovviamente tutto da verificare, su una condizione dura e difficile, aggravata da una sorta di abbandono da parte della Amministrazione Penitenziaria. Mesi e mesi senza un direttore titolare, tagli profondissimi all’approvvigionamento di materiale utile alla igiene personale dei detenuti, soprattutto di quelli più poveri che non hanno la possibilità di acquistarli al sopravvitto, tagli devastanti alla possibilità di lavoro interno. In questa lettera anonima, inviata oltre che al Tirreno anche al Garante Regionale ed alla Procura della Repubblica, si denunciano inquietanti e precarie condizioni di vita, sovraffollamento e disfunzioni all’interno della Casa Penale. Abbiamo appreso dallo stesso articolo che si sarebbe recato sull’Isola un Sottosegretario alla Giustizia, mentre dopo ferragosto, appena Franco Corleone, Garante Regionale, sarà nuovamente in sede, lo accompagnerò in una visita all’interno del carcere di Porto Azzurro. E lunedì scorso la morte di un detenuto, cui è seguito, poche ore dopo, un tentativo di suicidio sventato in extremis dalla polizia penitenziaria. Lo abbiamo saputo dopo qualche giorno, non conosciamo ancora il nome di quest’uomo, si incontra molta difficoltà ad avere notizie. Si dice la morte sia sopraggiunta per cause naturali. Solo un piccolo trafiletto nella cronaca Elbana del Tirreno. La notizia della morte di un uomo in carcere non riesce a superare neppure quel breve tratto di mare per approdare sulla terraferma. Una tristezza profonda ed un senso di umana pietà sono i sentimenti che si alternano dentro di me: ma anche la consapevolezza che la battaglia per l’affermazione dei diritti, nelle istituzioni totali, è tutt’altro che conclusa, nonostante le recenti aperture e novità, dopo la condanna del nostro Paese da parte della Corte Europea per i diritti umani. È improrogabile la nomina di un Garante da parte del Comune di Porto Azzurro: ci sono persone ed associazioni che possono ben rappresentare questa figura nel territorio interessato. Questo il primo passo di un cammino che sarà ancora difficile ed accidentato". Padova: scoperto telefonino in una cella, è un nuovo tassello dell’inchiesta "Apache" Il Mattino di Padova, 13 agosto 2014 Nuovi accertamenti al Due Palazzi dopo il ritrovamento, la scorsa settimana, di un telefono cellulare con sim card al quarto piano della casa di reclusione. Il telefonino è stato intercettato grazie alla soffiata di un detenuto. Ed è un nuovo tassello dell’inchiesta "Apache" dopo la raffica di arresti dello scorso luglio. Tra agosto e settembre dello scorso anno la Squadra mobile di Padova stava intercettando un gruppo di marocchini sospettati di un traffico di droga. Un’indagine di routine come tante altre, se non fosse che all’improvviso tutto ha preso una piega particolare. Sì, perché gli uomini del vice questore aggiunto Marco Calì hanno scoperto che uno degli acquirenti era un agente della Polizia penitenziaria. Scattano accertamenti e intercettazioni e si apre il "vaso di Pandora". Emerge il caso delle "mazzette" in carcere: i secondini portavano dentro di tutto in cambio di soldi dai detenuti e dai loro parenti. Alcuni agenti in servizio alla Casa di Reclusione, secondo le contestazioni, erano dediti a un sistema illecito finalizzato all’introduzione in carcere di droga (eroina, cocaina, hashish, metadone), di materiale tecnologico (telefonini, schede sim, chiavette usb, palmari). All’alba dell’8 luglio scorso è scattata così l’operazione "Apache". Quindici persone sono state arrestate: sette in carcere e otto agli arresti domiciliari (di questi sei sono agenti della Penitenziaria, due in della e quattro ai domiciliari); trentadue le perquisizioni, nove delle quali ad agenti carcerari. Il capoposto Pietro Rega, 47 anni, residente a Mirano, assistente capo della Polizia penitenziaria era il responsabile del quinto piano della Casa di reclusione ed è ritenuto la mente dell’operazione. Era chiamato il "grande capo" e gli altri agenti lo avrebbero seguito nella sua attività illecita. Era Rega, secondo l’accusa, a gestire i rapporti tra i familiari dei detenuti. Sono stati scoperti versamenti Western Union a suo favore e a favore di sua moglie da parte dei parenti dei reclusi. In qualità di capoposto riusciva a muoversi nel carcere con maggiore autonomia. Dopo l’inchiesta della Mobile il primo a scegliere di farla finita è stato il detenuto Giovanni Pucci, 44 anni, leccese d’origine, finito indagato nella "melma" scoperta all’interno del penitenziario. Si è tolto la vita in cella il 25 luglio scorso poche ore dopo essere stato interrogato dal pubblico ministero nell’ambito dell’inchiesta portata avanti dalla polizia. Firenze: dopo quelle telefonate in prigione, Giacomino rivedrà la madre di Massimo Mugnaini La Repubblica, 13 agosto 2014 Il bambino di 6 anni e mezzo cresciuto a Sollicciano frequenta un centro estivo e presto tornerà a incontrare la donna. "Ma a settembre andrà a scuola, in prima elementare". Mai così distanti, mai così vicini. Due chiamate alla settimana. A un capo del telefono Giacomo, sei anni e mezzo interamente trascorsi in carcere senza mai aver commesso alcun reato. Senza esser stato giudicato né condannato. Tra porte blindate e celle maleodoranti, sguardi spenti e tintinnii di manette. All’altro la madre, una cittadina nigeriana di 42 anni detenuta a Sollicciano per sfruttamento della prostituzione minorile. Condannata a 10 anni, fine pena 2019. "Pronto, mamma...". "Come stai amore mio? Ti diverti a giocare con gli altri bambini al centro estivo? Lo so che ti manco... anche tu mi manchi da morire... ma non ti preoccupare, presto potremo vederci". È da un mese esatto che Giacomino, il piccolo figlio di Sollicciano cresciuto in prigione come legge impone (il bambino fino al terzo anno d’età non può essere tolto alla madre) non vede la mamma. Da quando i giudici del Tribunale dei minori, lo scorso 11 luglio, hanno stabilito che il bambino, innocente tra i colpevoli, non poteva più stare dietro le sbarre con la madre. Trasferito in un istituto dai servizi sociali, adesso sta trascorrendo le vacanze, le più lunghe della sua vita, in un centro estivo. Gioca, scherza, fa il bagno con gli altri bambini. E a settembre lo attende una nuova avventura, la scuola. Prima elementare: compagni di classe, maestre, studio e divertimento. La sua nuova vita, insomma, è già iniziata. Dopo lo strappo del mese scorso il bambino che non vuole saperne di staccarsi dalla mamma e quest’ultima che minaccia il suicidio temendo di perderlo per sempre adesso è giunto il tempo di riannodare quel filo spezzato. Una responsabile dell’associazione Telefono Azzurro Onlus che da anni si occupa dell’asilo del carcere, sta seguendo il piccolo da vicino. Lo accompagna quando deve chiamare la madre, ne registra umori, emozioni, paure. "Il riavvicinamento procede molto gradualmente e sta andando bene" dice la dottoressa. "Lui è felice, felicissimo di sentirla. Anche la madre, a Sollicciano, non fa che attendere le telefonate provenienti dal centro estivo. È lei a rassicurarlo, a fargli sentire tutta la sua vicinanza e il suo amore. Ha capito che l’iniziale mancanza di fiducia verso tutti, dalle istituzioni ai servizi sociali, era sbagliata, che nessun tribunale voleva portargli via il figlio per sempre ma solo permettere che iniziasse a vivere la sua vita, mantenendo comunque il rapporto con lei". Le telefonate tra detenuti ed esterni, di regola, hanno orari rigidi e durata limitata. Ma ai piani alti dell’istituto di pena fiorentino, in questi giorni, "si sta chiudendo un orecchio e lasciando che le telefonate di Giacomino durino un po’ di più. È una grande apertura di credito verso la madre e un bel segno di umanità da parte della direzione di Sollicciano". Nel frattempo il giorno dell’incontro tra madre e figlio si avvicina. La data è già stata fissata, il luogo in cui potranno riabbracciarsi ancora no. Ma non dovrebbe trattarsi del carcere, in cui il bambino non rientrerà una volta tornato dal centro estivo dove, assicurano i responsabili, "sta dimostrando ottime capacità socio-relazionali". Di certo, un mese d’assenza sarà apparso lunghissimo a un minore che ha avuto la madre e di fatto solo la madre sempre accanto. "Certo, hanno vissuto in simbiosi per oltre sei anni" sottolinea la dottoressa del Telefono Azzurro "ecco perché è necessario preservare e agevolare al massimo la continuità di questo legame affettivo. Spezzato il cordone ombelicale per il bene di entrambi, ora bisogna ricostruirlo su un piano più alto che tenga conto delle loro distinte esigenze". Ma cosa succederà dopo l’incontro? Quale sarà il destino di Giacomino? A Genova ci sono dei parenti della madre, in particolare uno zio, che vorrebbero accogliere Giacomo. Lo hanno già fatto sapere alle autorità. Servizi sociali e Tribunale dei minori, dal canto loro, ci vanno cauti. Stanno ancora monitorando la situazione in Liguria, per capire se quell’ambito familiare rappresenti l’ambiente giusto in cui crescere un bambino che si sta affacciando soltanto adesso al mondo esterno. E considerati i trascorsi tutt’altro che limpidi della madre, non è affatto detto che sia così. Comunque sia, il bambino ha già cominciato a incontrare lo zio. È il fratello del padre, ha una famiglia, una casa, un lavoro. L’alternativa più concreta, al momento, è che Giacomo torni all’istituto cui è stato affidato una volta uscito da Sollicciano, in attesa che qualche famiglia lo prenda in affidamento o lo adotti. Una ipotesi che però non piace affatto alla madre. C’è poi una terza via, ancora tutta da esplorare, suggerita dal garante dei detenuti toscano Franco Corleone. "È stato detto che la pena inflitta alla madre di Giacomo è troppo alta per consentire misure di carcerazione attenuata, ma la questione è da discutere. Stiamo facendo i conti per capire quando finisca il periodo di ostatività. Già in questo agosto potrebbe quindi usufruire di alcuni benefici, ad esempio permessi premio. Se così fosse la prospettiva cambierebbe e potremmo cominciare a lavorare all’ipotesi di un affidamento, per la madre, che comprenda anche il ricongiungimento con il figlio". Se così non fosse la donna potrebbe comunque beneficiare, in futuro, di uno sconto di tre mesi per ogni anno di carcere ancora da scontare. E riabbracciare Giacomino. Pavia: un detenuto in semilibertà lavorerà per il Comune di Pieve La Provincia Pavese, 13 agosto 2014 Lo fa sapere il sindaco Virginio Anselmi che, per decidere di dare l’ok, ha dovuto convocare anche i suoi assessori e mettere nero su bianco, poi, la decisione finale. La richiesta del detenuto era stata fatta qualche mese fa ma poi la situazione si è sbloccata in seguito a una formale richiesta dei genitori, residenti proprio a Pieve. In particolare, al sindaco è stata manifestata la disponibilità ad inserire in un progetto lavoro rieducativo come volontario non pagato, il giovane in questione che è soggetto a misure restrittive della libertà personale per reato non contro la pubblica amministrazione. Quasi subito dopo la richiesta, tra l’altro, il Gip di Pavia, su parere favorevole del Pm, ha dato il consenso all’inserimento lavorativo del ragazzo nelle giornate di mercoledì, giovedì e venerdì, dalle 9 alle 13. Il comune, dunque, non ha dovuto far altro che prendere atto delle valutazioni della magistratura. Anche, come si è voluto specificare: "in ossequio al principio che la pena deve avere una finalità rieducativa". Firenze: Cruccolini, ex presidente del Consiglio comunale, nominato Garante dei detenuti Redattore Sociale, 13 agosto 2014 Ipovedente ed ex presidente del Consiglio comunale, prende il posto di Franco Corleone. "Voglio sentire le voci dei carcerati, capire cosa mi chiedono e cosa possiamo fare insieme". Eros Cruccolini è il nuovo garante dei detenuti di Firenze. La scelta è arrivata dal sindaco Dario Nardella. Cruccolini, ipovedente da sempre legato alla sinistra cittadini, è stato presidente del Consiglio comunale e presidente del Quartiere 4. "Sono grato a Nardella per la scelta, dopo il gran lavoro di Margara e Corleone sono ancora più motivato a far bene", ha detto Cruccolini in un’intervista a Repubblica Firenze - Consulterò tutti: associazioni di volontariato, lavoratori, la nuova direttrice di Sollicciano. Ma prima di tutto voglio incontrare la commissione detenuti, sentire la voce dei carcerati, capire cosa mi chiedono e cosa possiamo fare insieme". Cruccolini prende il posto di Franco Corleone, attuale garante regionale e coordinatore nazionale dei garanti, che ormai da molti mesi aveva chiesto al sindaco di Firenze di nominare il garante fiorentino, la cui figura mancava da circa un anno. Sassari: il Candeliere di San Sebastiano è entrato nel nuovo carcere di Bancali www.sardegnaoggi.it, 13 agosto 2014 Si è rinnovato ieri, nel nuovo carcere di Bancali, un importante appuntamento del calendario di eventi che accompagnano la città fino alla Faradda del 14 agosto. Dopo una breve pausa, torna infatti il Candeliere di San Sebastiano. Nonostante ormai i detenuti si trovino nella nuova struttura, in onore della tradizione, si è scelto di mantenere il nome tradizionale. Davanti al sindaco, alla Giunta e alle altre autorità civili e religiose, i detenuti, ancora per il 2014, si sono già organizzati per far "ballare" il vecchio candeliere, realizzato a suo tempo nella vecchia casa circondariale di San Sebastiano. L’idea però è quella di avviare un progetto a lungo termine per la creazione di un nuovo cero, che sostituisca l’attuale che comincia a mostrare i segni del passare del tempo. Durante il laboratorio, saranno date anche informazioni storiche e documentali sulla tradizione dei Candelieri a Sassari. In attesa del grande evento, i detenuti da tempo sono impegnati nei preparativi e, seguiti da tre esperti (Gianfranco La Robina e Giovanni Andrea Pasca, con l’accompagnamento del tamburo di Bruno Brozzu), si stanno perfezionando nell’arte di "farlo ballare". A evento finito il cero torna a essere esposto nel cortile di palazzo Ducale. Immigrazione: "sistema Cie", dove si suda al prezzo di milioni di euro di Stefano Pasta La Repubblica, 13 agosto 2014 Padri di famiglia ed ex badanti mai regolarizzate soffrono nei Centri di identificazione ed espulsione italiani perché non hanno il permesso di soggiorno. A Ponte Galeria, è appena terminato l’ennesimo sciopero della fame con labbra cucite. L’efficacia dei trattenimenti? Il 54,3% non viene espulso ma rilasciato dopo mesi. Nel frattempo, il Viminale continua a spendere milioni di euro per aprire nuovi Cie e gestire i vecchi. "Passi la giornata ad aspettare e sudare". Così Rashid, marocchino in Italia da 14 anni, sposato con una donna italiana, sintetizza i suoi sei mesi al Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria a Roma. Qui, nel Cie più grande d’Italia, si suda per il sole che batte sulle grate e sui pannelli di plexiglas, posti sopra le sbarre per evitare che i reclusi si arrampichino e tentino la fuga, e perché alle 20 le ore d’aria nel cortile finiscono, tutti nelle stanze torride, bisogna chiudere i lucchetti. Ma si suda anche per l’ansia di vivere sospesi in un limbo: "La gente marcisce in attesa di un possibile rimpatrio, che non si sa mai se e quando ci sarà. Ogni due mesi, un giudice di pace proroga la permanenza: in un minuto, ti condanna ad altri 60 giorni di inferno. Ieri hanno rimpatriato un nigeriano arrivato nel 2001 a cui avevano revocato il permesso di soggiorno: ha un figlio di 4 anni nato in Italia". In quel momento, il Sistema Cie diventa violento: "A un peruviano che si dimenava per non partire - continua Rashid - hanno fatto una puntura e così sono riusciti a caricarlo sull’aereo". A Torino, il 7 agosto, hanno rimpatriato un ragazzo marocchino che aveva evitato il primo volo tagliandosi in varie parti del corpo. Ma chi sono gli "ospiti", come il Ministero si ostina a chiamare i trattenuti? Colpevoli di un illecito amministrativo, cioè di non avere il permesso di soggiorno, magari perché hanno perso il lavoro. Circa la metà arriva dal carcere, dove ha scontato una precedente condanna, magari per la detenzione di 3 grammi di marijuana. La Direttiva Amato-Mastella del 2007 prevede che si proceda già nelle prigioni all’identificazione dello straniero in modo che al termine della pena sia subito possibile l’eventuale rimpatrio. Peccato che la Direttiva sia sistematicamente disattesa. Le donne. A Ponte Galeria, c’è anche l’unica sezione femminile d’Italia: "Ci sono storie molto diverse - spiega Gabriella Guido della campagna LasciateCIEntrare - dalle vittime di tratta a ex badanti in nero mai regolarizzate. Negli ultimi mesi, ne stanno arrivando varie da Salerno: morto l’anziano, i figli le portano direttamente al commissariato per disfarsi di un problema". Con il passare dei mesi, il prolungarsi della detenzione rende tutto più difficile: "A Montecitorio - aggiunge la portavoce di LasciateCIEntrare - hanno approvato la riduzione del periodo massimo da 18 a 6 mesi; ora bisogna attendere il Senato e poi un nuovo passaggio alla Camera". Proteste e tentativi di fuga. A Caltanisetta, la notte del 2 agosto, 60 "ospiti" hanno tentato la fuga, tra corda di lenzuola e lanci di bottiglie e tavoli contro la polizia. A Ponte Galeria, l’algerino Mouhamed e il tunisino Semeh hanno fatto lo sciopero della fame per nove giorni e si sono cuciti la bocca con due fili di ferro. Il primo, 27 anni, ha ingoiato qualcosa, forse delle lamette, ed è stato portato in ospedale, da dove è riuscito a scappare. Il suo vicino di letto Semeh, invece, non si sa più dove sia. Racconta Gabriella Guido: "È stato fermato alla moschea del Pigneto, un quartiere di Roma, proprio il giorno in cui aveva rivisto la madre appena arrivata dalla Grecia. Portato al Cie, ha iniziato lo sciopero della fame senza dire niente a nessuno, gli operatori della cooperativa se ne sono accorti perché non ritirava i pasti". Debilitato e ancora con le labbra cucite, è stato portato in aeroporto: ha rifiutato di farsi scucire, ma poi, una volta saliti i passeggeri, è riuscito creare lo scompiglio necessario ad impedire che il rimpatrio fosse eseguito. "Dopo un’altra notte a Ponte Galeria - spiega Gabriella - il 2 agosto è stato nuovamente portato via. Nessuno dice dove sia neanche al suo avvocato". La deputata Ileana Piazzoni (Led), che con lei aveva visitato il ragazzo, ha depositato un’interrogazione al Ministero insieme al collega Khalid Chaouki (Pd). Costosi e inefficienti. Nel 2013, sono stati 6.016 (5.431 uomini e 585 donne) i migranti trattenuti nei Cie italiani, cioè lo 0,9% del totale degli irregolari stimati in Italia (294mila secondo l’Ismu). Il tasso di efficacia? Solo il 45,7% dei trattenuti è stato effettivamente rimpatriato. Secondo l’ultimo rapporto Caritas-Migrantes, per la gestione dei Cie lo Stato investe almeno 55 milioni di euro l’anno e per tutto l’apparato relativo al trattenimento e agli allontanamenti ha speso, tra il 2005 e il 2012, oltre un miliardo di euro. Basti pensare che 80mila euro è il costo medio per costruire un posto letto in più, a cui poi seguono quelli ordinari del mantenimento. Ma servono nuovi posti? "In questo momento - spiega Gabriella Guido - i trattenuti sono 360, ben al di sotto della capienza massima dei Cie rimasti operativi; a luglio, i rimpatri sono stati una decina". Eppure, il Viminale continua a investirci: a Gradisca d’Isonzo (Go), chiuso a novembre, ha finanziato il rifacimento e ora, nonostante l’opposizione degli enti locali, vorrebbe riaprilo, mentre a Milano, dopo 7 mesi di lavori di ristrutturazione, il Comune è riuscito a ottenere che "temporaneamente" il centro di via Corelli non venga usato come Cie ma per accogliere i profughi eritrei e siriani in transito nel capoluogo lombardo. In provincia di Potenza, invece, i Ministeri dell’Interno e delle Infrastrutture, hanno finanziato i lavori per riaprire il Cie di Palazzo San Gervasio con un costo iniziale di 2 milioni e settecentomila euro. Il pollaio. Istruttiva la storia di questa "gabbia" in terra lucana, soprannominata "la voliera degli immigrati" e "pollaio": creata da Maroni per far fronte all’Emergenza Nord Africa nell’aprile 2011 insieme a quella di Santa Maria Capua Vetere (Ce), si trattava di due Ciet (la "t" stava per temporanei). Con il Governo Moniti, persero la "t" diventando ordinari, con una spesa di 18 milioni. Successivamente, Palazzo San Gervasio venne chiuso a seguito di alcune denunce che ne dimostrarono l’inadeguatezza e il mancato rispetto dei diritti umani. E il suo "gemello" di Capua Vetere? Posto sotto sequestro dalla magistratura dopo varie rivolte. Ma ora, anche su questo, il Viminale ha un progetto per la riapertura. India: caso marò, il Governo indiano continua a prenderci in giro di Massimo Tosti Italia Oggi, 13 agosto 2014 L’altra sera Matteo Renzi ha avuto un lungo colloquio telefonico con il primo ministro indiano Narenda Modi. I due (ovviamente) hanno discusso il caso dei due marò detenuti in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori durante un’operazione anti-pirateria. Le fonti ufficiali precisano che Renzi ha chiesto al suo omologo di giungere a una soluzione "rapida e positiva" della vicenda, e che Modi ha replicato, invitando "la parte italiana a permettere un proseguimento del processo indiano", sottolineando che "la giustizia indiana è libera, giusta e indipendente". Ha omesso di dire che ha la rapidità di una lumaca addormentata, tale da farci apprezzare le toghe italiane che non hanno mai brillato per celerità. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone furono fermati in India (con una procedura discutibile, considerando che l’eventuale reato era stato commesso fuori delle acque territoriali) nel febbraio del 2012. Sono due anni e mezzo che attendono l’inizio del processo a loro carico. L’Italia ha tentato anche di coinvolgere l’Unione europea e le Nazioni Unite per sollecitare la giustizia indiana a darsi una mossa. Ma tutte le pressioni sono risultate infruttuose. La settimana prossima il ministro della Difesa Roberta Pinotti si recherà, per la seconda volta negli ultimi cinque mesi, a New Delhi per cercare una via diplomatica che consenta di superare l’impasse. Ma, fino ad oggi, tutte le missioni italiane (quelle del ministro degli Esteri del governo Monti, Giulio Terzi di Sant’Agata, come quelle di Emma Bonino, governo Letta, e quelle di Federica Mogherini, così come la lunga permanenza in India del plenipotenziario Staffan De Mistura) si sono risolte in un fiasco totale. Nelle scorse settimane, Renzi si era detto fiducioso nel nuovo governo indiano, auspicando una rapida soluzione sulla base del "diritto internazionale". Molte chiacchiere, risultati zero. È evidente che non si può dichiarare guerra all’India (con la certezza, oltretutto, di perderla), ma è palese che la credibilità e l’autorevolezza dei nostri governi sono inesistenti. Al punto che l’India può prenderci tranquillamente in giro, vantando l’efficienza (e l’equità) della propria giustizia. Una vergogna la loro, superata soltanto dalla nostra. Haiti: catturati una ventina degli oltre 300 prigionieri evasi da carcere massima sicurezza Ansa, 13 agosto 2014 Le autorità haitiane hanno annunciato ieri sera di aver catturato una ventina degli oltre 300 prigionieri evasi domenica da un carcere di massima sicurezza, costruito ad una decina di chilometri dalla capitale Port-au-Prince. "Abbiamo catturato Clifford Brandt, un influente uomo d’affari arrestato nel 2012 per sequestro di persona ai fini di riscatto, che era anch’egli fuggito dal carcere durante l’evasione", ha detto il primo ministro Laurent Lamothe, aggiungendo che la cattura è stata realizzata con l’aiuto della polizia dominicana: "Brandt e tre suoi collaboratori sono stati arrestati ieri nella zona di frontiera di Cornillon, con la collaborazione della polizia domenicana e il lavoro di una cinquantina di agenti haitiani. Da domenica abbiamo preso 19 persone ed un centinaio di sospetti vengono interrogati". Le autorità avevano messo una taglia di 1 milione di gourde (circa 40.000 dollari) per la cattura di Brandt. "La lotta contro la criminalità ad Haiti continua", ha assicurato Lamothe, annunciando misure per rafforzare la sicurezza nelle carceri, che saranno dotate di telecamere. "I prigionieri più importanti indosseranno anche braccialetti elettronici con il Gps", ha aggiunto. Prima dell’evasione di domenica, 897 persone erano incarcerate nella prigione costruita nel 2012 nella cittadina di Croix des Bouquets e finanziata per 5,7 milioni dollari dal Canada. Tra i prigionieri in fuga, ci sono condannati e detenuti accusati di traffico di droga e sequestro di persona.