Giustizia: Regime/Circuito AS1… la terra dei cattivi per sempre di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 12 agosto 2014 Le carceri italiane rappresentano l’esplicazione della vendetta sociale nella forma più atroce che si sia mai avuta: noi crediamo di avere abolito la tortura, e i nostri reclusori sono essi stessi un sistema di tortura la più raffinata; noi ci vantiamo di avere cancellato la pena di morte dal codice penale comune, e la pena di morte che ammanniscono goccia a goccia le nostre galere è meno pietosa di quella che era data per mano del carnefice; noi ci gonfiamo le gote a parlare di emenda dei colpevoli, e le nostre carceri sono fabbriche di delinquenti, o scuole di perfezionamento dei malfattori. (Filippo Turati, Discorso alla Camera dei deputati del 18 marzo 1904. Citazione tratta dal libro "Viaggio nelle carceri" di Davide La Cara e Antonino Castorina edito da Eir). Sono passati tre mesi da quando, dopo ventitré anni di carcere, mi hanno declassificato a un regime di carcere meno duro. Ancora non mi sono abituato a essere considerato un detenuto comune forse perché a forza di dirmi che ero pericoloso e irrecuperabile per oltre un ventennio, avevo incominciato a crederci anch’io. E pensavo che sarei rimasto prigioniero nei gironi di Alta Sorveglianza (nelle sezioni ghetto del regime/circuito AS1 ex E.I.V.) fino alla fine della mia pena che è nel 31/12/9999 (così gli ergastolani hanno scritto nel loro certificato di detenzione). I prigionieri che vivono in questi gironi infernali vengono tutti dal regime di tortura del 41 bis dove bene o male c’è una tutela giurisdizionale da parte della magistratura di sorveglianza e nel decreto che ti notificano c’è scritta la durata della permanenza. Nella destinazione nei circuiti regime/Circuito AS1 invece non ti danno nessun decreto e non c’è scritto da nessuna parte quanto durerà la tua permanenza in questi ghetti istituzionali. E se non hai un colpo di culo (dopo ventitré anni di carcere) come è capitato al sottoscritto (penso che molti altri lo avrebbero meritato più di me) vivrai e morirai nelle sezioni regimi/circuiti dei cattivi per sempre. Proprio l’altro giorno un compagno detenuto nelle sezioni ghetto del regime/circuito AS1 mi ha scritto: Ormai in questo lager molti uomini ombra non escono quasi mai dalla cella. Non vanno neanche al passeggio, mangiano e guardano la televisione. Altri vanno solo dal passeggio alla cella e viceversa perché hanno smesso di pensare e sognare. In questi giorni riflettevo "Quanto costa ad un popolo, a tutto il popolo del mondo ignorare la possibilità del cambiamento?". Se ogni anno disapplicano trenta detenuti sottoposti al regime di tortura del 41 bis e li inseriscono nei circuiti/regimi AS1 perché di conseguenza non declassificano altri trenta prigionieri che da decenni sono ristretti in questi lager? Vengono invece tutti accatastati nel nostro circuito destinati alla tristezza dell’immobilità a tempo indeterminato e infinito. Non credo che il passar del tempo possa cambiare le persone in meglio piuttosto invece penso che per migliorare e cambiare le persone in meglio abbia più importanza come l’Assassino dei Sogni (così noi chiamiamo il carcere) ti faccia passare il tempo. Giustizia: carceri invivibili… e il Dap è ancora senza guida di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 12 agosto 2014 Arginato il sovraffollamento - i detenuti sono scesi al minimo storico di 54.200 - l’emergenza carcere sembra essere stata cancellata dai media e dalla politica. Eppure, da oltre tre mesi l’Amministrazione penitenziaria è senza guida: il governo non ha ancora concertato la nomina del successore di Giovanni Tamburino ma da via Arenula fanno sapere che arriverà con il Consiglio dei ministri del 29 agosto. Ormai è un testa a testa tra Giovanni Salvi, procuratore della Repubblica a Catania, e Giovanni Melillo, attualmente capo di gabinetto del ministro (Betta Cesqui, sostituto Procuratore generale andrebbe all’Ispettorato). Certo è che la mancanza di una guida e di una regia (nonché delle relative responsabilità) pesa sul problema - non meno grave del sovraffollamento, inteso come contabilità delle presenze - dell’invivibilità del carcere e della sua inadeguatezza ad adempiere il dettato costituzionale: un servizio finalizzato al reinserimento sociale dei detenuti, nel rispetto dei diritti fondamentali. Emblematico quanto denunciato dalla parlamentare del Pd Enza Bruno Bossio dopo un’ispezione nel carcere di Rossano, il 9 agosto, in particolare nel Reparto di isolamento dove sono rinchiusi, nelle cosiddette "celle lisce", i detenuti a rischio di suicidio. "Ho trovato detenuti sostanzialmente nudi, soltanto con gli slip, in celle in cui non c’era neanche il letto, seduti per terra in mezzo ai loro escrementi, al vomito e ai piatti sporchi - ha dichiarato a www.crimeblog.it. Uno di loro, italiano, era stato messo lì per aver tentato il suicidio e quindi doveva essere assolutamente tenuto in isolamento. Gli altri due avevano tentato un’evasione e hanno detto di essere stati pestati dalla polizia penitenziaria. Infatti avevano ricevuto percosse". Ieri è scattata l’ispezione ministeriale. Quest’anno ancora non si parla di "ferragosto in carcere", la tradizionale trasferta dei parlamentari nelle carceri italiane per verificarne le condizioni di vivibilità, rese più difficili dalle temperature estive. Chiusa (politicamente) la pagina del "sovraffollamento, il problema sembra rimosso, fatta eccezione per i Radicali, sempre attivi su questo fronte, e per alcuni parlamentari, come appunto la Bossio che si è recata a Rossano, carcere con 258 detenuti, di cui molti in regime di Alta sicurezza, rispetto a una capienza regolamentare di 215 posti. La Bossio si è presentata senza preavviso (non ne era tenuta poiché le visite ispettive sono un diritto del parlamentare) e perciò ha incontrato una serie di ostacoli, denunciati al ministro Orlando e alla Procura di Castrovillari. Il suo è il racconto di "un’ordinaria illegalità". Le "celle lisce", in particolare, sono un problema antico e mai risolto. Ci finiscono in tanti: dai cosiddetti "psichiatrici" ai "depressi". Spesso anche le matricole, che non reggono l’urto del carcere e manifestano propositi suicidari. Sono celle piantonate da un agente h24, per controllare, da uno psichiatra, per somministrare la terapia. Le chiamano "lisce" perché, per evitare che il detenuto "si faccia male", c’è solo una branda di ferro, spesso senza materasso e lenzuola. Ma poiché il carcere "fa male", nasce un circolo vizioso: il detenuto deve restare in cella liscia finché non è guarito, ma se non lascia la cella liscia continua a star male. Quindi, starà sempre male. D’altra parte, nessuno si assume la responsabilità di cambiare procedura, rispondendo con un atto di cura - e non di punizione - a una chiara esigenza di cura. Non a caso gli psichiatri concordano che per curare la salute mentale dentro il carcere bisogna fare guerra al sistema carcerario. Perché il funzionamento del carcere si misura sulla sua vivibilità, intesa come qualità della vita. Giustizia: Radicali; nel carcere di Rossano Calabro detenuti vivono in condizioni inumane www.cn24tv.it, 12 agosto 2014 "Venerdì 8 agosto siamo stati al carcere di Palmi per fare un sit-in in sostegno del Satyagraha di Rita Bernardini (in sciopero della fame dal 30 giugno scorso) e Marco Pannella (in sciopero della fame e della sete, più volte interrotto e ricominciato per le esigenze di salute legate all’aver dovuto effettuare due interventi per rimuovere due tumori). Un Satyagraha rivolto a chiedere allo stato, per le carceri, di garantire quel diritto alla salute sancito dalla costituzione ma che i medici penitenziari denunciano non potersi più garantire, fermare la mattanza dei suicidi nelle carceri che spesso avviene proprio nel primo periodo di detenzione per la mancanza di adeguate cure psichiatriche, e di fermare la tortura democratica del 41 bis inflitto a pazienti come Bernardo Provenzano, incapace di intendere e di volere, indipendentemente dalle condizioni di salute". È quanto si legge nella nota di Giuseppe Candido, esponente del Partito Radicale e segretario dell’associazione di volontariato culturale Non Mollare. "Mentre noi facevamo il sit-in a Palmi, l’On. Enza Bruno Bossio, deputata del Pd originaria di Cosenza, - continua Candido - nello stesso giorno si è recata in visita ispettiva senza preavvisare al carcere di Rossano con il compagno Radicale Emilio Quintieri che l’avrebbe dovuta accompagnare. Quello che ha trovato lo ha raccontato subito allo stesso Emilio Quintieri che, a stretto giro, ha avvisato altrettanto immediatamente Rita Bernardini; poi - ovviamente - l’ha intervistata da Radio Radicale Lorenzo Rendi. Durante l’intervista rilasciata lo scorso 11 agosto - nel silenzio degli altri media - la Bruno Bossio ha denunciato il persistere di condizioni inumane e degradanti, oltre al fatto che hanno tentato di non farla neanche entrare. Noi - conclude Candido - come Radicali calabresi, oltre a ricordare ancora una volta che Rita Bernardini, segretaria nazionale di Radicali italiani, è in sciopero della fame dal 30 giugno assieme a Marco Pannella che, nonostante la sua malattia mette in gioco la vita e non molla la lotta di civiltà per la vita del diritto e il rispetto della legge nelle carceri, noi possiamo solo aggiungere che avevamo ragione a denunciare che le condizioni inumane e degradanti continuano a persistere nelle nostre patrie galere, anche in quelle calabre, e a chiedere con forza, per la Calabria, con prepotente urgenza, l’istituzione del garante regionale dei diritti delle persone private della libertà. Giustizia: carcere di Rossano Calabro… oltre il limite di ogni possibile pessimismo di Piero Sansonetti Il Garantista, 12 agosto 2014 L’irruzione dell’on. Enza Bruno Bossio nel carcere di Rossano ci ha svelato all’improvviso una realtà che forse nemmeno potevamo sospettare. Una cosa è indignarsi per le celle minuscole, per il sovraffollamento, per l’assenza di strutture, per la mancata rieducazione, per la repressione, eccetera eccetera. Tutte cose che sappiamo, da tanto tempo. Una cosa diversa è scoprire che dentro le celle ci sono persone trattate peggio delle bestie, che c’è violenza estrema, sadismo, sopraffazione, violazione di ogni legge. Le immagini che l’articolo qui accanto descrive sono quelle dei lager, come Guantánamo, come Abu Ghraib. Siamo scesi in piazza tante volte per chiedere che fossero chiuse Guantánamo e Abu Ghraib. Se è vero che nel carcere di Rossano c’era un detenuto lasciato a terra, sul pavimento, malato, circondato dal suo vomito, se è vero che diversi detenuti presentavano ematomi e dicevano di essere stati picchiati (...) Se è vero che qualcuno trascorreva l’ora d’aria in quattro o cinque metri quadrati, peggio di un maiale all’ingrasso, di una gallina in batteria, se tutto questo è vero bisogna chiudere il carcere di Rossano. Chiudere. E forse - per una volta lasciatelo dire a noi - sarebbe anche il caso che la magistratura aprisse un’indagine. Dopodiché, fatte queste due cose essenziali e urgentissime, bisognerà anche porsi delle domande. Se l’on Bruno Bossio, che ha fatto irruzione senza preavviso nel carcere, in agosto, quando nessuno se l’aspettava, ha trovato questa situazione, è legittimo sospettare che la medesima situazione possa esserci in molte altre carceri, dove magari non sono avvenute visite improvvise dei deputati? È chiaro che è possibile. L’iniziativa dell’on Bruno Bossio ci fa capire a quel grado di gravità e di inciviltà sia giunta la situazione delle carceri in Italia. E quanto ipocrita e insufficiente sia stato il varo di una leggina che dispone qualche giorno di sconto di pena o una mancia di 240 euro al mese per chi subisce le torture del sovraffollamento. Il problema delle carceri è gigantesco, e lo standard delle nostre prigioni spinge l’Italia, in una virtuale classifica della civiltà, tra i più arretrati paesi del terzo mondo. Non si può restare fermi di fronte a questa situazione. Il problema carceri è il più urgente nell’agenda. Se vogliamo che l’Italia resti nel novero dei paesi civili bisogna che le forze politiche, almeno per una volta, si tappino le orecchie, non ascoltino gli urlacci e gli insulti della vasta platea giustizialista, mettano in conto la perdita di un po’ di voti e pongano mano a una riforma seria delle carceri. In quattro passi. Primo passo: subito amnistia e indulto, per allentare la pressione nelle celle e nei tribunali. Va fatto a settembre, come hanno chiesto il papa e Napolitano, e come da anni, senza sosta, con le proteste e gli scioperi della fame, è sostenuto dai radicali e da Pannella. Secondo depenalizzazione di tutti i reati minori. Terzo, riforma radicale della carcerazione preventiva che riduca a poche decine di casi le custodie cautelari. Quarto, norme sulla responsabilità civile dei giudici, che abbattano il numero dei procedimenti penali pretestuosi. In questo modo si può arrivare in tempi rapidissimi alla riduzione del 60 o 70 per cento della popolazione carceraria. E a quel punto sarà necessario trovare il modo per avere la certezza di controlli su come si vive nelle prigioni, e probabilmente anche una forte riforma, in senso garantista, di tutti i regolamenti carcerari (a partire dall’abolizione dello sciaguratissimo articolo 41 bis). Non costa niente una riforma di questo genere. Anzi, produce risparmi. Costa dei voti, questo sì, costa le grida di Travaglio e dell’Anm. E se per una volta, solo per una volta, cari politici di sinistra e di destra, ve ne fregaste di Travaglio e dell’Anm? P.S. Certo che se ci fossero in giro più deputate e deputati come Enza Bruno Bossio, sarebbe una buona cosa. Giustizia: decreto carceri, indulto mascherato o norme di civiltà? Public Policy, 12 agosto 2014 Ampliamento dell’affidamento in prova, sconto di pena ulteriore - ogni sei mesi - per buona condotta (tranne per mafiosi e omicidi), obbligo del braccialetto elettronico per i domiciliari, nei permessi o nell’affidamento in prova. E ancora: espulsione per i detenuti stranieri come sconto degli ultimi due anni di pena, introduzione del reato di piccolo spaccio e istituzione del Garante dei detenuti. Sono queste le norme principali contenute nel decreto-carceri - varato dal governo per affrontare l’emergenza del sovraffollamento carcerario - che il 19 febbraio 2014 ha ottenuto il via libera definitivo dall’assemblea del Senato (con 147 voti favorevoli e 95 contrari). Durante l’iter alla Camera, dove M5s e Lega hanno portato avanti un duro ostruzionismo, il governo ha posto la questione di fiducia. Per il Pd le norme contenute nel dl danno "più diritti ai detenuti ma soprattutto misure per sfoltire le Carceri". Secondo i partiti della maggioranza il decreto "è una risposta all’Europa dopo la sentenza Torreggiani che ha condannato l’Italia" per il sovraffollamento carcerario. Secondo Lega e M5S, invece, il decreto è stato uno "svuota carceri", "un indulto mascherato". Tra le nuove misure c’è anche il braccialetto elettronico, che viene incentivato, prevedendone l’obbligo di applicazione per i domiciliari, nei permessi o nell’affidamento in prova. I magistrati saranno obbligati a presentare delle motivazioni nei casi in cui decideranno di non adottare l’uso del braccialetto. Tra le norme contenute c’è la liberazione anticipata speciale (misura temporanea che scadrà tra 2 anni), con la quale si amplia il beneficio dell’aumento dei giorni di detenzione (da 45 a 75) per ciascun semestre di pena espiata. L’applicazione retroattiva - si legge in una nota di Palazzo Chigi - "comporta una contenuta anticipazione di una uscita che si verificherebbe comunque in tempi brevi". Dunque, si legge ancora, "non si tratta di una misura automatica e non si determina una liberazione immediata (in massa) di un numero rilevante di detenuti, ma è spalmata nel tempo e comunque sottoposta alla rivalutazione del giudice che deve verificare il corretto comportamento dei detenuti". Esclusi dalla liberazione anticipata speciale lo sconto di pena di 75 giorni, invece degli attuali 45, per ogni semestre di detenzione - i detenuti per reati di mafia, omicidio, violenza sessuale, estorsione. Modifiche che portano la firma della presidente della commissione Giustizia alla Camera Donatella Ferranti (Pd) e del M5S e votate anche da M5S e Lega, che però hanno abbandonato la commissione per protesta contro il tempo ristretto a disposizione per le modifiche. Per i tossicodipendenti, è stato introdotto lo "spaccio di lieve entità", con detenzione da 1 a 5 anni e pene pecuniarie, con l’obiettivo di ridurre il numero dei detenuti per droga. "L’attenuante di lieve entità - si legge nella relazione tecnica al dl - nel delitto di detenzione e cessione illecita di stupefacenti diventa reato autonomo". Viene anche meno il divieto di disporre per più di due volte l’affidamento terapeutico al servizio sociale dei condannati tossico/alcool dipendenti. Ai minorenni tossicodipendenti accusati per piccolo spaccio sono applicabili le misure cautelari con invio in comunità. Si spinge fino a 4 anni il limite di pena (anche residua) che consente l’affidamento in prova ai servizi sociali, ma su presupposti più gravosi (periodo di osservazione) rispetto all’ipotesi ordinaria che resta tarata sui 3 anni. Si rafforzano inoltre i poteri d’urgenza del magistrato di sorveglianza. Acquista carattere permanente la disposizione che consente di scontare presso il domicilio la pena detentiva (anche se parte residua) non superiore a 18 mesi. Restano ferme le esclusioni già previste per i delitti gravi o per altre particolari circostanze (ad esempio, la possibilità di fuga o la tutela della persona offesa). Potranno essere espulsi dal territorio italiano, come conto degli ultimi due anni di pena, tutti quei detenuti immigrati che abbiano commesso reati contravvenzionali. In commissione il relatore David Ermini (Pd) aveva presentato un emendamento con il quale venivano ampliate le pene che possono essere scontate con l’espulsione. Per gli stranieri, sono infine previste misure più semplici per l’identificazione in carcere, allo scopo di facilitare l’espulsione. Viene istituito nel ministero della Giustizia il Garante nazionale dei diritti dei detenuti. Un collegio di tre membri, scelti tra esperti indipendenti, che resteranno in carica per 5 anni non prorogabili. "Compito del Garante nazionale - si legge nella relazione - è vigilare sul rispetto dei diritti umani nelle carceri e nei Cie. Può liberamente accedere in qualunque struttura, chiedere informazioni e documenti, formulare specifiche raccomandazioni all’amministrazione penitenziaria". Ogni anno il Garante trasmette al Parlamento una relazione sull’attività svolta. Dal decreto non viene previsto nessuna risorsa economica per il finanziamento delle attività del Garante. In ultimo, il decreto amplia la platea di destinatari dei reclami in via amministrativa e prevede maggiori garanzie giurisdizionali nel reclamo davanti al giudice contro sanzioni disciplinari o inosservanze. In particolare, è prevista una procedura specifica a garanzia dell’ottemperanza alle decisioni del magistrato di sorveglianza da parte dell’amministrazione penitenziaria. Giustizia: un politico attacca un giornale? è il finimondo; lo fa magistrato?… tutti zitti di Piero Sansonetti Il Garantista, 12 agosto 2014 Lo scorso inverno, nel mondo dell’informazione calabrese, successe il finimondo. In una telefonata all’editore di "Calabria Ora" lo stampatore del giornale fece pressioni per togliere un articolo che riguardava il figlio del senatore Gentile, e lasciò intendere che a fare quella richiesta era lo stesso senatore, che lui definì "un cinghiale", cioè un tipo pericoloso, vendicativo (chissà se i cinghiali davvero sono vendicativi?). Il senatore Gentile, successivamente, negò di essere stato lui a fare pressioni e credo anche che fece partire un po’ di querele. Chissà. Comunque, giustamente, si aprì un putiferio. La stampa ha diritto di essere libera, di non subire pressioni dal mondo politico, di non essere intimidita dai potenti. Si mosse il sindacato ma si mosse anche il mondo politico, si mossero gli altri giornali, fu grande e sacrosanto scandalo. È stato - figuratevi - il momento più difficile per il governo Renzi. Lo misero sotto tiro i direttori di tutti i grandi giornali. Alla fine Gentile si sacrificò e presentò le dimissioni. Vorrei capire una cosa: ma se a minacciare un giornale, invece di essere un uomo politico è una autorità dello Stato di grande prestigio, un alto magistrato, per esempio un procuratore aggiunto, la cosa è meno grave? Cioè, per capirci, i sacri principi dicono che la stampa deve essere indipendente dalla politica ma sottomessa alla magistratura? Spiegatecela bene questa idea, perché se è così è chiaro che un giornale che si chiama "Il Garantista" non ha nessuna ragione di essere, anzi, forse è persino illegale. Voi sapete - ne abbiamo dato ampiamente conto ieri - che "Il Garantista" è stato oggetto di un attacco durissimo da parte del procuratore aggiunto Nicola Gratteri. Sapete anche che abbiamo chiesto l’intervento del Ministero, della federazione della Stampa, dell’Ordine dei giornalisti, a difesa della nostra testata. Abbiamo il forte sospetto che il nostro appello cadrà nel vuoto. Poco male. In fondo lo sapevamo anche prima di lanciarlo, questo appello, che le persone o le istituzioni o i partiti o i sindacati che hanno il coraggio di mettersi di traverso alla Magistratura oggi sono davvero pochini. Quando abbiamo deciso di fondare questo giornale che si chiama "Cronache del garantista", ve lo assicuriamo, sapevamo benissimo che ci stavamo imbarcando in una battaglia nella quale saremo rimasti soli soletti. Senza aiuti, senza appoggi e con moltissimi nemici. Prevedevamo quello che è successo, e cioè che sarebbe iniziata una azione vasta e forte di isolamento nei nostri confronti, condotta da settori del giornalismo e da settori della magistratura, appoggiata da ampi settori politici. Abbiamo pensato di avere le spalle larghe e di poter affrontare questa sfida. Lo pensiamo ancora. Solo vorremmo fare una osservazione. Se quando a fare lo sgarro è un politico si trova tutti addosso, e quando è un magistrato non si trova addosso nessuno, sarà che oggi, anche nel senso comune, il rapporto tra politica e magistratura è mostruosamente sbilanciato a favore di quest’ultima? E sarà che questo squilibrio è una ferita seria per la democrazia? P.S. Qualche parola su Gratteri. Noi non chiediamo in nessun modo che sia punito per come ha superato tutti i limiti istituzionali impostigli dal suo ruolo e si è lanciato in un attacco inverosimile contro un giornale. Per tre ragioni. La prima è che abbiamo il senso della misura e sappiamo che tra la nostra forza e la potenza di Gratteri c’è un tale abisso che è ridicolo chiedere interventi contro di lui. La seconda ragione è che, appunto, siamo garantisti, e non chiediamo mai né punizioni né rivalse, specie quando non è stato commesso alcun reato. Il terzo motivo è che sappiamo che Gratteri è un cow boy molto bravo. Ha pochissima consapevolezza di quale sia il suo ruolo istituzionale, ma è il migliore di tutti gli investigatori che ci sono in Calabria, e sarebbe una follia mandarlo via, perché ne guadagnerebbe la ‘ndrangheta. Vorremmo solo che qualcuno ci desse garanzie sulla possibilità per noi, a prescindere dall’ira di Gratteri, di poter continuare pacificamente a fare il nostro lavoro di giornalisti. "Gratteri contro i giornalisti del Garantista", di Piero Sansonetti (9 agosto) Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria - che è stato anche candidato a fare il ministro della Giustizia - l’altro giorno, partecipando a una pubblica manifestazione, ha lanciato un attacco furibondo contro i giornali calabresi che criticano la magistratura. Gratteri non ha fatto nomi, però noi siamo sicuri che ce l’avesse con "Il Garantista", perché non esistono in Calabria molti giornali critici con la magistratura, e non ne esiste nessuno - tranne "Il Garantista"- critico con Gratteri. (La certezza che ce l’avesse con noi è venuta dopo una telefonata con lo stesso Gratteri che vi raccontiamo tra qualche riga). La frase pronunciata da Gratteri è agghiacciante, perché, nella sostanza, accusa i giornalisti critici verso la magistratura di essere assassini, o almeno istigatori all’assassinio. Per questo chiediamo l’intervento delle autorità, in particolare del ministero della Giustizia (oltre che della federazione della stampa e della stessa Procura di Reggio) a difesa dei giornalisti calabresi critici verso la magistratura e in particolare a difesa del nostro giornale. Ci domandiamo se si ritiene normale, in un regime di democrazia, che un procuratore aggiunto si scagli contro giornalisti e giornali e li accusi di istigazione all’omicidio, e se questo non possa essere considerato un atto illegale di attacco alla libertà di stampa e ai diritti costituzionali, oltreché una offesa e una diffamazione. Per essere più chiari, vi trascrivo qui il testo delle dichiarazioni rilasciate da Gratteri e poi vi riferisco della telefonata che ho avuto con lui ieri pomeriggio. Ha detto Gratteri, rivolto ai vertici della federazione della stampa: "Bisogna stanare certo giornalismo calabrese che sguazza negli interstizi che lasciate. Dovete essere severi, feroci. In Calabria vi sono giornali e giornalisti che, per partito preso, per motivi ideologici, sono sempre contro qualcuno, scrivono cose non vere, fanno disinformazione". Poi Gratteri si è riferito a coloro che attaccano la magistratura e ha detto: "Non li denuncio perché darei loro pubblicità. Ma il punto di partenza per tutelare i giornalisti come Albanese è stanare chi non ha a che fare col giornalismo. Vi sovrespongono, vi fanno ammazzare". Vi confesso che quando ho letto queste frasi ho pensato a un equivoco. E ho fatto la cosa più semplice, per verificare: ho preso il telefono e ho telefonato a Gratteri. Mi ha risposto. Quando ha sentito il mio nome è diventato gelido. Gli ho chiesto se ce l’aveva con noi. Mi ha risposto, sempre più gelido: "Stia tranquillo, io non ce l’ho con lei, io non ce l’ho con nessuno". Ho insistito, gli ho detto se allora per favore mi diceva con quali giornali ce l’aveva, visto che in Calabria non ci sono moltissimi giornali. Mi ha risposto: "Io con lei non parlo, dovrei denunciarla, querelarla, per le cose che lei ha scritto su di me. Non lo faccio per non farle pubblicità. Lei deve imparare che non si possono lanciare accuse senza avere le prove". Io gli ho fatto notare che non lo avevo mai accusato di niente, tranne che di essere poco esperto di diritto. Ma questa è una mia opinione e non bisogna avere le prove. Dopodiché, siccome era impossibile proseguire il dialogo, lo ho salutato e ho messo giù il telefono. Però la frase che mi ha detto è uguale a quella che ha pronunciato la sera prima in pubblico (dovrei denunciarla ma non le farò pubblicità…). Dunque, indirettamente - ma non tanto - Gratteri ha confermato che ce l’aveva con me e con noi del "Garantista". E dunque anche il seguito della frase pronunciata in pubblico (fino al: "Vi fanno ammazzare!") era riferita a noi. Posso garantire ai lettori del "Garantista" che nonostante una intimidazione così pesante e smaccata da parte di una delle più alte autorità giudiziarie, il nostro giornale non cambierà linea rispetto alla magistratura. Continuerà a criticarla e anche - come sapete - a darle la parola, perché ci piace discutere e non ci piace dare dell’assassino a chi non è d’accordo con noi. Vorremmo sapere dal ministro Orlando se possiamo contare su qualche protezione da parte dello Stato democratico, o se dobbiamo pensare che questa battaglia per la democrazia ci tocca combatterla in assoluta solitudine. Giustizia: Cassazione dice "no" a riduzione pena per ex governatore della Sicilia Cuffaro Ansa, 12 agosto 2014 L’ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro - che sta scontando la condanna a sette anni di reclusione per favoreggiamento personale e rivelazione di segreto d’ufficio aggravati dall’aver aiutato Cosa Nostra - non ha diritto di chiedere la "correzione" della pena inflittagli perché l’aumento di pena deciso in appello e confermato dalla Suprema Corte non ha ecceduto i limiti previsti dalle norme ed anzi è ben inferiore al massimo consentito. Lo sottolinea la Cassazione nella sentenza 35464 della Prima sezione penale depositata oggi e relativa all’udienza svoltasi il primo aprile. Dopo la decisione con la quale il Tribunale di sorveglianza di Roma lo scorso 20 dicembre ha negato l’affidamento di Cuffaro ai servizi sociali, è questa la seconda volta che l’ex governatore vede deluse le sue speranze di uscire in anticipo dalla cella del carcere romano di Rebibbia dove è detenuto. Con il ricorso alla Suprema Corte, affidato all’avvocato Antonino Mormino, Cuffaro ha sostenuto che era "eccedente" l’aumento di pena di due anni inflittogli in secondo grado, e confermato il 21 febbraio 2011 dalla stessa Cassazione, che aveva portato a sette anni di reclusione la pena di primo grado pari a cinque anni e relativa alle due contestazioni di favoreggiamento e alle due accuse di rivelazione. Su ricorso della Procura, la condanna per l’ex governatore si era appesantita a seguito del riconoscimento dell’aggravante mafiosa per aver aiutato l’imprenditore della sanità Michele Aiello e il boss Giuseppe Guttadauro a sottrarsi alle indagini della Procura di Palermo. L’avvocato Mormino ha contestato gli aumenti ma i supremi giudici hanno bocciato "tutte" le sue "prospettazioni". "Esula dal caso in esame - scrive la Cassazione - la pur evocata illegalità della pena parziale e finale, dato che la sanzione di anni cinque di reclusione, determinata per il delitto più grave (favoreggiamento), è stata aumentata di un anno per il reato di rivelazione di segreti di ufficio e complessivamente, per i tre reati in continuazione, di anni due donde la pena definitiva di anni sette, con un incremento, quindi, ben al di sotto del massimo del triplo consentito dall’art. 81, commi primo e secondo del codice penale". Lombardia: terza Giornata della Restituzione, Ferragosto di lavoro nel verde per detenuti Ansa, 12 agosto 2014 Ferragosto di lavoro all’aria aperta per 150 detenuti delle carceri di Bollate, Opera, San Vittore, Lodi e Monza, che parteciperanno alla terza Giornata della Restituzione all’Idroscalo di Milano. L’occasione, che prevede lavori di pulizia nel verde e il successivo incontro tra carcerati e famiglie, che culminerà nella classica grigliata ferragostana, si inserisce nelle iniziative della Provincia di Milano volte a promuovere il reinserimento dei reclusi. La collaborazione tra Provincia di Milano e il Provveditorato Regionale per l’Amministrazione Penitenziaria è nata nel 2012 e si è rafforzata in vista della Città Metropolitana, puntando a un recupero del detenuto attraverso il lavoro. Secondo un recente studio condotto su scala nazionale a cura dell’Università di Essex e dell’Einaudi Institute for Economics Finance, con la collaborazione del Ministero della Giustizia, per ogni anno trascorso in un cosiddetto "carcere aperto" anziché in uno tradizionale, la recidiva si riduce di circa 9 punti percentuali, arrivando fino a 14 presso il carcere di Bollate. Liguria: la Regione aderisce al Patto di sussidiarietà con le associazioni del terzo Settore Ansa, 12 agosto 2014 La Regione Liguria aderisce al Patto di sussidiarietà con le associazioni del terzo Settore per aiutare le persone sottoposte a provvedimenti penali dentro e fuori dal carcere (domiciliari, permessi ecc.), compresi i minori. La Regione Liguria, su proposta dell’assessore alle Politiche sociali e Terzo Settore Lorena Rambaudi, dopo aver destinato un contributo di 250 mila euro a favore del Consorzio Agorà, capofila dell’iniziativa, ha approvato il progetto della nuova associazione temporanea di scopo presentato da tutti gli enti del volontariato ligure coinvolti nel progetto. Le attività di sostegno per migliorare la vita dei detenuti dentro al carcere riguardano laboratori, corsi, genitorialità, sport. Le iniziative per le persone sottoposte a provvedimenti penali fuori dal carcere sono principalmente rivolte agli sportelli informativi nel territorio, dove gli interessati possono trovare informazioni sulle risorse e sulle opportunità del territorio, ma anche essere seguiti con percorsi di orientamento e inclusione sociale. Il progetto prevede anche una accoglienza abitativa per permessi premio nel centro storico genovese messa a disposizione dalle associazioni e un’attività di mediazione penale a scopi educativi tra il minore colpevole del reato e la vittima. Calabria: Radicali; dopo scandalo Rossano serve Garante regionale dei diritti dei detenuti Ansa, 12 agosto 2014 "Come Radicali calabresi, oltre a ricordare che Rita Bernardini, segretaria nazionale, è in sciopero della fame dal 30 giugno assieme a Marco Pannella che, nonostante la malattia mette in gioco la vita e non molla la lotta di civiltà per la vita del diritto e il rispetto della legge nelle carceri, possiamo solo aggiungere che avevamo ragione a denunciare che le condizioni inumane e degradanti continuano a persistere nelle nostre patrie galere, anche in quelle calabre, e a chiedere con forza, per la Calabria, con prepotente urgenza, l’istituzione del garante regionale dei diritti delle persone private della libertà". Lo afferma, in una nota, Giuseppe Candido, esponente del Partito Radicale e segretario dell’associazione di volontariato culturale "Non Mollare". I Radicali, venerdì scorso, hanno fatto un sit-in davanti al carcere di Palmi. "Mentre noi facevamo il sit-in a Palmi - prosegue - l’on. Enza Bruno Bossio, deputata del Pd originaria di Cosenza, nello stesso giorno si è recata in visita ispettiva "senza preavvisare" al carcere di Rossano con il compagno Radicale Emilio Quintieri che l’avrebbe dovuta accompagnare. Quello che ha trovato lo ha raccontato subito allo stesso Emilio Quintieri che ha avvisato Rita Bernardini. La Bruno Bossio ha denunciato il persistere di condizioni inumane e degradanti, oltre al fatto che hanno tentato di non farla neanche entrare". Padova: agente penitenziario suicida, era accusato di corruzione e spaccio dentro carcere Ansa, 12 agosto 2014 Un agente penitenziario si è tagliato i polsi e si è lasciato morire nella sua stanza di servizio nel carcere di Padova, dove era ai domiciliari, mentre il suo avvocato lo attendeva per un colloquio. Dall’8 luglio scorso, l’agente, di 40 anni, originario di Cassino, aveva visto la sua stanza nella caserma riservata al personale penitenziario al "Due Palazzi" trasformarsi in una cella. Quel giorno, era stato raggiunto da un ordine di custodia cautelare al termine di una indagine della squadra mobile della Questura di Padova - assieme alla stessa polizia penitenziaria - per un giro di droga e altre presunte irregolarità compiute all’interno dell’Istituto penitenziario. L’ipotesi più gravi, quelle di corruzione di pubblico ufficiale e di spaccio di stupefacenti. Gli arresti erano scattati anche per altri cinque colleghi. Quindici, alla fine, le persone coinvolte, tra le quali una avvocatessa rodigina. A trovare il corpo senza vita dell’agente penitenziario - con una lametta si è tagliato i polsi e provocato una ferita al collo - alcuni colleghi che sono andati a cercarlo perché a mezzogiorno non si era presentato nella sala colloqui dove era atteso dal suo legale. A quanto risulta, ha lasciato un biglietto di scuse rivolto ad alcuni amici e a una donna. Nessun accenno, invece, all’inchiesta che lo vedeva coinvolto. L’avvocato ha comunque detto che avrebbe voluto chiarire la sua posizione. Il 25 luglio, a suicidarsi, sempre all’interno del "Due Palazzi", Giovanni Pucci, 44 anni, un leccese detenuto per una condanna a più di 20 anni per omicidio e sequestro di persona. poche ore prima del ritrovamento del cadavere, era stato sentito dagli investigatori nell’ambito della stessa inchiesta su un traffico di eroina, cocaina, hashish e metadone all’interno del carcere. Secondo quanto hanno accertato le indagini della mobile padovana, a tirare le fila dei "giri" illeciti all’interno del "Due Palazzi", Pietro Rega, capoposto del quinto piano, già arrestato per fatti analoghi nel 2001 dalla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli quando lavorava nel carcere di Avellino. Sarebbe stato lui a coinvolgere i colleghi nelle consegne, anche di materiale pornografico, o nei piaceri e i benefit che venivano divisi dal gruppetto variavano dai 200 agli 800 euro. A trarne beneficio anche due detenuti rinchiusi con il 416 bis: per loro, secondo gli accertamenti compiuti, arrivavano telefonini, sim card e palmari. Un modo per poter tranquillamente comunicare con l’esterno anche in regime di massima sicurezza per vicende legate alla camorra e alla Sacra Corona Unita. "Il tragico epilogo della vicenda per uno degli agenti coinvolti, che oggi si è tolto la vita, ci inquieta ed angoscia, e ci colpisce dal punto di vista umano" ha detto il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia penitenziaria Sappe, Donato Capece. Padova: la "maledizione del Due Palazzi", da inizio anno suicidi due agenti e due detenuti di Riccardo Bastianello Corriere Veneto, 12 agosto 2014 Impressionante scia di morti nella struttura, 15 giorni fa si era tolto la vita uno dei detenuti coinvolti nell’inchiesta, in aprile suicidi un detenuto e un agente, in marzo un detenuto morto di peritonite. Il Sappe (il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria) non esita a parlare di "maledizione del Due Palazzi". Ieri si è contato infatti un nuovo suicidio nel carcere di Padova, il quarto dall’inizio dell’anno. Questa volta a farla finita è stato un agente penitenziario, Paolo Giordano, 40 anni. Si tratta del secondo suicidio tra gli indagati nell’inchiesta condotta dalla polizia e che ha svelato un traffico di sostanze stupefacenti e materiale pornografico all’interno della casa di reclusione. Due settimane fa, il 25 luglio, si era ucciso, forse spaventato da un aggravamento della pena, Giovanni Pucci, detenuto 44enne anch’esso coinvolto nelle indagini. Ieri è crollato e ha finito per prendere la stessa drammatica decisione Paolo Giordano, che viveva ed era agli arresti domiciliari nella foresteria del Due Palazzi. Una vita difficile la sua: prima la perdita della madre, poi del fratello l’avevano lasciato solo. Gli unici parenti erano infatti a Frosinone, sua terra di nascita. Per questo motivo aveva deciso di trasferire la residenza nella foresteria della casa di reclusione. E sempre lì era stato costretto a scontare gli arresti domiciliari, nonostante il paradosso di obbligare un indagato a non allontanarsi dal luogo dove, sempre stando alle indagini, avrebbe compiuto i reati di cui è accusato. Un’evidente contraddizione. Eppure Giordano non aveva altra casa, né familiari che si potessero prendere cura di lui. Ieri a mezzogiorno avrebbe dovuto raggiungere l’avvocato difensore Massimo Malipiero. Fino a poche settimane fa a difenderlo era stata Eleonora Danieletto, nominata d’ufficio. Poi l’agente aveva chiesto di cambiare legale. Ieri, di fronte al suo ritardo, alcuni colleghi hanno deciso di andare a vedere cosa fosse accaduto, scoprendo la tragedia. Le vene del polso recise con colpi di lametta e, forse per paura che ciò non fosse sufficiente, un profondo taglio alla gola. Quando gli uomini della polizia penitenziaria del Due Palazzi l’hanno trovato, il 4oenne Giordano era privo di vita, con la mano ancora ben stretta al collo, quasi per fermare quella profonda emorragia. Sul comodino un biglietto, per chiedere scusa a due amici e ad una donna con cui probabilmente l’agente intratteneva un relazione amorosa. Nessun accenno all’inchiesta della magistratura, che lo vedeva accusato di spaccio e corruzione. Dalle carte emerge che Giordano, detto "il poeta", faceva arrivare in carcere, in cambio di denaro, eroina, metadone (lo "sciroppo" che in un’intercettazione suggeriva ad un collega come antidepressivo), il Subutex (un oppiaceo) e alcuni filmini hard girati da lui stesso "in casa". "La scelta di fargli scontare i domiciliari in carcere - spiega l’avvocato Eleonora Danieletto - era parsa necessaria alla Procura e al giudice perché non aveva altri riferimenti abitativi. Si è trovata questa come unica soluzione. Dai pochi colloqui che abbiamo avuto mi sembrava una persona combattiva, determinata a chiarire la propria posizione, tenace nonostante le difficoltà avute nella vita". Prima di Giordano, solo 15 giorni fa, si era suicidato Giovanni Pucci, coinvolto nella stessa inchiesta. Il 30 aprile Marco Congiu, 48 anni, poliziotto penitenziario in servizio al Due Palazzi e padre di tre figli, si è sparato nel garage di casa. Il 25 aprile un detenuto si è impiccato in cella usando il cavo elettrico della televisione. L’8 marzo è morto invece un recluso 45enne di peritonite senza che nessuno se ne accorgesse (episodio che ha visto l’apertura di un’inchiesta e la presentazione di interrogazioni in Regione e al ministero dell’Interno). "L’amministrazione penitenziaria sta cercando di cambiare la vita dentro il carcere peri detenuti, tenendo le celle aperte e concedendo più ore d’aria - dice Gianpiero Pegoraro, responsabile di Cgil Penitenziari Veneto - ma non ha cambiato il lavoro dei poliziotti, catalizzatori di tutti i problemi, che non hanno nessun sostegno, ed è grave. L’amministrazione è sorda in tal senso e allora la Cgil con l’Usl 16 sta predisponendo un progetto per attivare centri di ascolto per gli agenti penitenziari. In Italia esiste la pena di morte per detenuti e poliziotti, è la continua escalation di suicidi dietro le sbarre degli uni e degli altri. Chiediamo che il Dipartimento di Giustizia e il ministro intervengano, per porre fine a questa strage annunciata". Trieste: detenuto di 42 anni muore in cella, decesso causato da un "probabile infarto" Il Piccolo, 12 agosto 2014 Un detenuto 42enne di Trieste, Roberto Poropat, ristretto per il reato di maltrattamento in famiglia, è morto questa mattina per un probabile infarto nel carcere giuliano. Ne da notizia il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. "Nella mattina di oggi 11.8.2014, verso le ore 9.00, un detenuto triestino di 42 anni è stato trovato morto nel proprio letto della sezione infermeria ove condivideva la cella con altri 6 ristretti (celle inizialmente nate per ospitare tre detenuti con problemi sanitari, ma trasformate in sezione comune per questioni di sovraffollamento. Attualmente la forza è di 195 detenuti a Trieste rispetto 155 posti regolamentari", spiega il segretario generale del Sappe Donato Capece. "Dai primi accertamenti sembrerebbe che il decesso sia avvenuto per cause naturali, tant’è che gli stessi compagni di cella credevano che il deceduto dormisse. Il detenuto avrebbe finito di scontare la pena per reati di maltrattamenti in famiglia a breve (27.9.2014). Non risultava essere tossicodipendente e non assumeva terapie particolari". "Quel che mi preme mettere in luce" aggiunge Capece "è la professionalità, la competenza e l’umanità che ogni giorno contraddistingue l’operato delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria con tutti i detenuti per garantire una carcerazione umana ed attenta pur in presenza ormai da anni di oggettive difficoltà operative come il sovraffollamento, le gravi carenze di organico di poliziotti, le strutture spesso inadeguate. Siamo attenti e sensibili, noi poliziotti penitenziari, alle difficoltà di tutti i detenuti, indipendentemente dalle condizioni sociali o dalla gravità del reato commesso - aggiunge ancora il leader dei poliziotti penitenziari. "Negli ultimi vent’anni anni, dal 1992 al 2012, abbiamo salvato la vita ad oltre 17.000 detenuti che hanno tentato il suicidio ed ai quasi 119mila che hanno posto in essere atti di autolesionismo, molti deturpandosi anche violentemente il proprio corpo.??Numeri su numeri che raccontano un’emergenza purtroppo ancora sottovalutata, anche dall’Amministrazione penitenziaria che pensa alla vigilanza dinamica come unica soluzione all’invivibilità della vita nelle celle senza però far lavorare i detenuti o impiegarli in attività socialmente utili". Vicenza: il Comune cerca il nuovo garante dei detenuti, candidature entro il 19 settembre www.laprimapagina.it, 12 agosto 2014 Il Comune di Vicenza cerca il nuovo garante per i diritti delle persone private della libertà personale. È stato infatti pubblicato oggi, a firma del presidente del consiglio comunale Federico Formisano, l’avviso pubblico per la presentazione delle candidature alla sua elezione che spetta ai consiglieri comunali. Possono presentare la propria candidatura persone di comprovata esperienza o formazione culturale nel campo della tutela dei diritti umani, delle scienze giuridiche, economiche e sociali, delle attività sociali presso istituti di detenzione, con conoscenza della realtà carceraria locale e con massima garanzia di probità, indipendenza, competenza e capacità di esercitare efficacemente le proprie funzioni. La domanda, completa della documentazione richiesta nell’avviso, va presentata entro le 12 di venerdì 19 settembre 2014 a mano o attraverso raccomandata a "Comune di Vicenza, Ufficio protocollo generale, corso Palladio 98, Vicenza" oppure va spedita all’indirizzo di posta elettronica certificata vicenza@cert.comune.vicenza.it Il garante viene eletto dal consiglio comunale e resta in carica fino alla scadenza di quest’ultimo, con una proroga massima di sei mesi fino a successive elezioni. L’incarico non è compatibile con l’esercizio di attività professionali nei settori della giustizia, della sicurezza pubblica e della professione forense, nonché con ogni carica elettiva o di amministratore in enti, aziende o società partecipate del Comune di Vicenza. Non possono essere nominati parenti di amministratori comunali, né persone che si trovino in situazioni di incandidabilità e ineleggibilità per la carica di consigliere comunale. Il garante ha il compito di proporre interventi ed azioni per promuovere la reale garanzia dei diritti fondamentali dei detenuti; promuove la partecipazione di questi ultimi alla vita civile, l’accesso ai servizi comunali e agli atti amministrativi, formula pareri a seguito di richiesta degli organi comunali, si appella alle autorità competenti per informazioni relative a violazioni dei diritti dei detenuti, promuove iniziative di sensibilizzazione e formazione, organizza visite ai luoghi di detenzione, visita i detenuti ed è a disposizione delle loro famiglie. La carica è gratuita. Roma: l’Assessore Rita Cutini "attenzione per sostegno e reinserimento dei detenuti" 9Colonne, 12 agosto 2014 Il carcere e le sue difficoltà sono tra le priorità di questa amministrazione e le condizioni dei detenuti ed i programmi di reinserimento sociale di chi ha scontato la sua pena rimangono temi centrali per l’assessore al sostegno sociale e sussidiarietà Rita Cutini, che oggi ha visitato il Carcere Femminile di Rebibbia - Reparto Mamme con Bambini - dove, accompagnata dal Direttore Ida Del Grosso, ha incontrato le detenute con bambini da 0 a 3 anni. A seguire, l’assessore ha visitato la Falegnameria e l’Officina del Reparto Maschile di Rebibbia, accompagnata dal Garante per i detenuti, dott. Filippo Pegorari. Alla visita al carcere maschile e femminile di Rebibbia hanno partecipato anche la dott.ssa Stefania Perri, rappresentante del Provveditore regionale del Dap, e la dott.ssa Maria Cristina Gori, in rappresentanza del Garante Detenuti Lazio. "Nel 2014 l’Assessorato ha provveduto ad elaborare un piano di interventi e progetti che hanno toccato tanti aspetti del mondo della detenzione, dal sostegno alle attività di segretariato sociale in tutti gli istituti di pena della città, al progetto case accoglienza per detenuti in permesso premio; dal supporto alle attività di animazione per i detenuti con la ludoteca Regina Coeli, all’organizzazione del trasporto dei bambini detenuti al nido - ha dichiarato l’assessore Cutini. Ristabilire condizioni umane e dignitose nelle carceri e lavorare per un rapido reinserimento degli ex detenuti sono alcuni dei temi a cui lo stesso Presidente della Repubblica ha richiamato più volte dall’inizio del 2013 il mondo politico italiano con numerosi appelli e messaggi. Roma Capitale, attraverso le attività dell’Assessorato Sostegno Sociale e Sussidiarietà, vuole continuare a svolgere un ruolo di supporto e collaborazione con l’Amministrazione Penitenziaria ed allo stesso tempo sostenere iniziative concrete per i tanti detenuti che escono dal carcere, collaborando in maniera concreta con quanto previsto dai decreti voluti del Ministro Orlando. In programma per il futuro - ha concluso Cutini - stiamo lavorando per dar vita a due nuove importanti iniziative: l’apertura di una casa famiglia per donne con bambini e una struttura per ospitare i detenuti disabili che possono godere di permessi premio o scarcerazione anticipata ed attualmente non sanno dove scontare la fine pena pur potendo uscire dal carcere". Nuoro: manifestazione dieci Municipi Marghine contro chiusura del carcere di Macomer Ansa, 12 agosto 2014 Tutto il Marghine scende in campo contro la chiusura del carcere di Macomer: stamattina i sindaci di dieci paesi, da Sindia a Bolotana, hanno convocato i loro consigli comunali in piazza a Bonu Trau, proprio di fronte al carcere, raggiunto nei mesi scorsi da un decreto ministeriale di chiusura. Presenti anche i sindacati del territorio e le rappresentanze del comune e della Provincia di Nuoro. Alla manifestazione c’era anche Maria Grazia Calligaris presidente dell’associazione "Socialismo diritti e riforme" che si batte per i diritti dei detenuti. "Il carcere di Macomer - ha detto - è un carcere moderno su cui lo Stato ha molto investito, è un penitenziario noto per l’umanità e per la professionalità delle maestranze, tanto che i detenuti chiedono di essere aiutati a restare qui". "Quella che viviamo in questo territorio è una situazione di abbandono da parte dello Stato - ha detto il sindaco di Macomer Antonio Succu - ci hanno tolto il giudice di pace e poi a settembre il tribunale, di cui non riusciamo a recuperare i locali per poterli destinare a strutture della città che non ce la fanno più a pagare gli affitti, ora ci vogliono togliere il carcere. Non dimentichiamoci - ha proseguito Succu - che lì dentro lavorano 90 maestranze più l’indotto. Il decreto ministeriale per fortuna è stato sospeso per via degli interventi del presidente Pigliaru e dei parlamentari sardi, ma noi oggi qui, con questa azione forte chiediamo la revoca del provvedimento". I sindaci del Marghine sono agguerriti contro la "desertificazione del territorio" da parte dello Stato e della Regione: "Già abbiamo subito pesanti contraccolpi con la chiusura dell’industria, ora ci chiudono le scuole e i prisidi istituzionali - ha detto il sindaco di Borore, Tore Ghisu -. Ma dove vogliamo andare? Basta con l’accentramento sui poli forti di Cagliari Sassari e Olbia tagliando fuori gli altri territori: i territori della Sardegna devono avere uguale dignità". Per il sindaco di Bolotana, Francesco Manconi, "il carcere non è solo un simbolo dello Stato che se ne va, ma lì dentro ci sono tanti posti di lavoro che non ci saranno più a Macomer. Bisogna prendere in mano la situazione per invertire la tendenza". E Michele Corda sindaco di Noragugume ha rimarcato: "È una problematica che qui tocca tutti, per questo stiamo mettendo in piedi una lotta unitaria per difenderci: è ora di finirla con le guerre di campanile". Nuoro: il territorio si ribella "stop al decreto", carcere di Macomer non dev’essere chiuso di Alessandra Mura www.sassarinotizie.com, 12 agosto 2014 Pausa di riflessione. Bloccato per il momento il decreto di chiusura del Carcere di Macomer. Tutto il Marghine si è mobilitato affinché il Ministero riveda la decisione di chiudere la Casa Circondariale di Macomer. Il territorio, rappresentato dai sindaci, dall’Unione dei Comuni, dalla Provincia di Nuoro, dai Sindacati, si è detto pronto a costruire barricate per scongiurare la decisione governativa che aggraverebbe maggiormente il centro Sardegna. Il sindaco di Macomer ha convocato un consiglio comunale aperto davanti alla sede del Carcere, al quale hanno partecipato non solo i sindaci dei comuni del Marghine, ma tutti i vertici degli enti del territorio insieme a Maria Grazia Caligaris, presidente dell’Associazione Socialismo Diritti Riforme, che insiste sull’applicazione della legge 67 del 2014 e sull’impiego delle misure alternative alla reclusione. Nei carceri piccoli come quello di Macomer che oggi ospita una quarantina di detenuti, (nonostante ne possa contenere fino a 110, potenziando la struttura con la nuova ala a disposizione), è possibile l’umanizzazione delle procedure di reclusione, avviando un recupero e reinserimento sociale concreto. È stato questo il messaggio che la Caligaris ha voluto lanciare al Ministero, sostenendo che i dati in loro possesso non rispecchiano le reali condizioni del territorio. Il sindaco di Borore Salvatore Ghisu, presidente dell’Unione dei Comuni, ha sostenuto la battaglia fin dall’inizio dialogando con il Ministero affinché riveda il provvedimento. Il Ministero della Giustizia ha firmato a fine maggio il decreto che dovrebbe sancire la chiusura della struttura di Bonu Trau, mettendo in pericolo la permanenza nel territorio di Macomer di 90 posti di lavoro tra agenti di sicurezza e personale civile della casa circondariale. Questo significa, a prescindere dalla ricaduta negativa sul territorio del Marghine che negli ultimi 10 anni ha perso le sue più fiorenti aziende, è crollata economicamente ed è sottoposta ad un processo di desertificazione irreversibile, che i carceri di Bancali a Sassari e di San Sebastiano a Cagliari, sarebbero costretti a sobbarcarsi i problemi che deriverebbero dal sovraffollamento e dalla difficoltà di garantire condizioni di sicurezza idonee. Anche il sindacato, Pinna per la Cgil, e Fele per la Cisl, hanno sostenuto la barricata umana messa in atto dal sindaco di Macomer Antonio Succu, che ha promesso una dura lotta in difesa del territorio. Non dimentichiamo che il lavoro svolto dai parlamentari sardi, ha garantito un dialogo serrato con il Ministero, che viene aggiornato costantemente sulla reale condizione delle strutture e del lavoro da programmare affinché funzionino correttamente. Si parla anche della possibilità di una riconversione della struttura qualora il Ministero non ascolti i reclami accorati del territorio, e anche su questo fronte i sindaci hanno già offerto una serie di proposte valide sulle quali poter concentrare energie e risorse. Cosenza: Sappe; la Polizia penitenziaria ha sventato un’evasione dal carcere di Rossano Asca, 12 agosto 2014 È stato sventato dalla Polizia un piano di evasione dal carcere di Rossano (Cs). Lo sostengono Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, e Damiano Bellucci, segretario nazionale. "Alcuni detenuti ristretti nel carcere di Rossano, in provincia di Cosenza, avevano preparato - scrive il Sappe - un piano per evadere. Solo grazie all’alta professionalità della polizia penitenziaria il piano è stato sventato. I detenuti stavano allargando le sbarre della finestra per poi calarsi giù con le lenzuola. Ai colleghi della polizia penitenziaria - scrive il sindacato autonomo - va il nostro plauso, per aver agito con prontezza ed alta professionalità, considerate anche le grandi difficoltà in cui sono costretti ad operare, spesso in assenza di una guida autorevole. Le carenze gestionali, da noi spesso denunciate, finora non hanno trovato riscontro in azioni concrete da parte dell’amministrazione". Cagliari: Comitato "Oltre il carcere…" raccoglie kit scuola per i figli dei detenuti Ansa, 12 agosto 2014 Si rinnova anche quest’anno l’appuntamento con la raccolta di materiale scolastico per i figli dei detenuti di Buoncammino organizzata dal Comitato "Oltre il carcere: libertà e giustizia". L’iniziativa, giunta alla settima edizione, si terrà mercoledì 13 agosto, dalle 9 alle 21, davanti all’ingresso principale del carcere cagliaritano. I volontari del Comitato, coordinato da Alessandra Bertocchi, Antonio Volpi e Giulia Zuddas, allestiranno un gazebo nel quale sarà possibile portare zaini, quaderni e cancelleria (astucci, penne, gomme e colori). L’obiettivo è quello di preparare circa sessanta kit completi che a fine serata verranno consegnati alla Direzione del carcere che ogni anno collabora all’iniziativa con sensibilità e impegno. Nonostante la manifestazione venga puntualmente organizzata a ridosso di Ferragosto, la risposta dei cagliaritani è sempre stata notevole: la solidarietà non va in vacanza. Avellino: detenuto pestato da altri carcerati, motivo una denuncia presentata dall’aggredito Corriere dell’Irpinia, 12 agosto 2014 Un vero e proprio regolamento di conti dietro le sbarre. Quelle del carcere di Bellizzi Irpino, dove domenica un trentottenne detenuto da alcune ore tratto in arresto, è stato violentemente picchiato da altri detenuti, subito bloccati però ed identificati dagli agenti della Polizia Penitenziaria. Alla base del raid, a quanto hanno appurato dopo i fatti gli uomini della Polpen di Avellino ci sarebbe una vicenda di denunce tra l’aggredito ed uno dei tre aggressori. Il primo, che forse non temendo reazioni da parte dell’altro, entrambi originari di Montoro, aveva omesso di comunicare all’atto dell’arrivo nel penitenziario, eventuali problematiche con detenuti presenti. Il secondo, che era in carcere per un altro reato, quello di natura estorsiva, non aveva dimenticato evidentemente quella denuncia per minacce e intimidazioni che l’uomo arrestato aveva reso davanti alle forze dell’ordine contro di lui. Per questo sarebbe scattata l’aggressione. Così violenta che l’aggredito, il trentottenne montorese che era finito in carcere solo qualche giorno prima, ha dovuto fare ricorso alle cure ospedaliere. Per lui, solo grazie comunque al rapido intervento della Polizia Penitenziaria, una prognosi leggera. Anche se le ferite ed il volto tumefatto con cui ieri si è presentato all’udienza di convalida del fermo da parte della polizia giudiziaria, sono state ampiamente rendicontate e ricostruite in un’informativa. Venezia: il dissidente russo Oleg Vorotnikov è stato scarcerato e ha chiesto asilo politico Ansa, 12 agosto 2014 È stato scarcerato nei giorni scorsi, ma con l’obbligo di firma due volte alla settimana al commissariato del Lido, Oleg Vorotnikov, il dissidente russo sul quale pende un mandato di cattura internazionale emesso dalle autorità russe dopo una condanna definitiva per un’aggressione. Vorotnikov, leader del movimento artistico di strada Voina, avversario del presidente Vladimir Putin, ha espresso la volontà di chiedere l’asilo politico al ministero degli Interni, tramite la Questura di Venezia. Già a fine luglio, dopo il suo arresto l’associazione Voina aveva lanciato un appello sul sito di petizioni change.org per chiedere la liberazione di Vorotnikov e che non fosse estradato in Russia. Era stata una rissa con le persone che lo stavano ospitando nell’ex ospizio occupato di Santa Marta, frequentato da elementi vicini agli anarchici, a far scattare i controlli della Digos su Vorotnikov. Così gli agenti avevano scoperto che l’uomo era nella lista dei ricercati dell’Interpol dal 2011. Per questo è stato condotto nel carcere di Venezia. Bergamo: passa anche dallo sport la dignità per chi è escluso, carcerati o non solo Bergamo News, 12 agosto 2014 Fabio Canavesi, detenuto in semi libertà e promotore, con la Uisp presieduta da Milvo Ferrandi e con la Rete Terzo Tempo, dell’iniziativa "Oltre il muro - Porte aperte allo sport", prova a capire se davvero lo sport possa restituire un ruolo sociale a chi è temporaneamente "escluso". Anni fa durante un Seminario tenutosi all’Università di Bergamo in cui ebbi modo di partecipare alcuni giovanissimi studenti universitari stimolarono veramente la discussione parlando della necessità di "agire sulle rappresentazioni". Ci trovammo immediatamente d’accordo! Quei giovani segnalavano che se si vogliono veramente avviare progetti di interazione, inclusione, reinserimento dei soggetti esclusi è necessario andare oltre le rappresentazioni scontate, senza perciò ridurre tutto all’interno di categorie precostitutite. La loro sollecitazione ci ricorda che il tema carcere, le drammatiche condizioni di vita delle donne e degli uomini reclusi sono a tutti gli effetti "una questione di prepotente urgenza, sempre più prepotentemente urgente" verso la quale vanno indirizzate le sensibilità e la concretezza. Costruire sul territorio, ovunque, nuove e solidali relazioni sociali è cosa assolutamente non rimandabile. Il carcere è, tra i non luoghi, il non luogo per eccellenza in cui il mascheramento è subcultura e pratica quotidiana, questo non certo e solamente per colpa di coloro che ci sono rinchiusi. Francesco Viola, professore di filosofia del diritto nell’università degli Studi di Palermo, ha recentemente scritto che "il termine rieducazione, e ancor più quello di reinserimento sociale, è infelice e datato sia perché presuppone che vi sia stata una previa educazione che spesso è mancata (come palese nel caso degli immigrati) o è stata insufficiente, sia perché spesso è intesa in termini puramente paternalistici, sia perché non sempre la società stessa è in grado di fornire modelli educativi adeguati". Personalmente affermo che in galera il voler redimere (concetto peraltro poco rispondente ad una società laica) è atto fallimentare, atto che consacra, di fatto, un istituto alla diseducazione. Il mio passaggio lavorativo in questi ultimi anni nel mondo delle cooperative (alle quali va chiesto di passare dalle borse lavoro a costo zero, per loro, alle assunzioni facilitate previste da diverse normative e leggi di tutela dei soggetti svantaggiati!) ed ora in quello di un ente di promozione sociale (lavoro presso l’Unione italiana sport per tutti - Uisp) mi ha ancor più convinto che i punti nodali da cui si deve partire - se vogliamo realizzare e definire un nuovo contratto sociale in cui senso della responsabilità e diritti sono indiscutibili basi del vivere nella comunità di ogni cittadino - sono la dignità (fondamento di tutti i diritti fondamentali) ed il diritto alla cittadinanza. Il progetto "Oltre il muro, porte aperte allo sport", avviato nel carcere di Bergamo dalla Uisp in collaborazione con Rete Terzo Tempo si prefiggeva alcune cose precise, tra queste: lavorare per una ridefinizione del tempo all’interno delle mura carcerarie, garantendo un’attività sportiva e formativa continuativa, non solo per riempire il vuoto di ore lasciate preda dell’ozio in spazi ristretti bensì per attivare capacità e curiosità che possono condurre ad un miglior rispetto e cura del proprio corpo; educare ad una cultura sportiva fondata sui valori della continuità di pratica, dell’autodisciplina, della convivenza e dell’aggregazione; creare contatti e confronto con la comunità "libera", attraverso momenti di incontro e riflessione sul tema del valore sociale dello sport nei quali sono previsti anche interventi qualificati dall’esterno. Il quadrangolare di calcio a 7, in esso inserito, svoltosi in tre diverse domeniche di luglio e che nell’ultima di queste ha visto dialogare serenamente detenuti, politici, giornalisti, rappresentanti della società civile e di associazioni per i diritti umani (penso a Rete Lenford, associazione che si batte contro l’omofobia e per i diritti degli omosessuali, dei transessuali) va perciò inserito a pieno titolo tra gli obiettivi che ci eravamo prefissi, obiettivi strettamente collegati tra loro a cui potremmo dare anche un secondo titolo: lo sport non deve avere confini, né deve essere confinato! È stata un primo esperimento assai interessante, i promotori e gli operatori sportivi che entrano in carcere stanno grazie ad essa accumulando conoscenze sociali ed altre ne stanno offrendo a chi incontrano. È stata esperienza che ha permesso di raggruppare intorno al tavolo di lavoro più realtà ed ha portato in evidenza (ne abbiamo comunque sempre bisogno!) il valore aggiunto dell’intelligenza e della passione delle giovani e dei giovani che danno alla parola solidarietà un senso compiuto, cosa che troppo spesso tanti adulti non fanno perché occupati in una pratica deleteria quale il presenzialismo. Le giornate che Milvo Ferrandi, il presidente Uisp Bergamo, ed io, detenuto in semilibertà, abbiamo trascorso a Cologno, presso la festa de Il Campino organizzata dalle associazioni C’Entra la solidarietà e Sguazzi (presentateci proprio da Nella Leuzzi, la giovane coordinatrice del progetto Uisp "Oltre il muro") ce lo hanno nuovamente dimostrato. Là hanno garantito la diffusione del progetto, gli hanno dato visibilità tra la gente, con una semplicità e serenità sconvolgenti. Il coraggio e la sensibilità dei giovani non deludono, si mostrano, non si ostentano, sono il futuro, animano, incitano, altresì devono essere stimolo per il nostro agire davanti alla colpevole assenza della politica, perché, come mi ha scritto uno di loro, "la solidarietà la viviamo così, convinti che la qualità delle relazioni umane stia alla base di qualsiasi forma di rivoluzione e di riscatto personale e collettivo. Trasformando progetti e desideri in occasioni concrete in cui sperimentare nuove forme di socialità e di benessere". Ascoltare il racconto emozionato dei bravissimi ragazzi entrati a giocare e fotografare, vedere altri giovani girare tra gli spazi ed i tavoli de Il Campino con addosso le magliette Made in Jail, le stesse indossate da tutti i partecipanti, detenuti e non, al torneo svoltosi in via Gleno, ci ha reso felici. Riconsegnando allo sport l’energia che valorizza il senso civico, produce opinioni, forma i cittadini abbiamo scelto di affrontare il carcere, il tema dei diritti e della pena. Negli allenamenti e nel gioco si è sollecitato ed ottenuto il rispetto delle decisioni della coordinatrice, degli allenatori, in primo luogo dell’avversario. Non ci sono stati allievi bocciati e gli allievi non ci hanno bocciato! Abbiamo proposto tutto questo al fuori, lo abbiamo voluto documentare con foto e video, certi che è possibile - senza cadere nella consueta narrazione che parla di "vite bruciate", di lacrime, pentimento, commiserazione - descrivere un pezzo del territorio, della città. Avvicinarsi, mostrare per interrogarci insieme sulle ragioni, sulle cause, sulle opportunità, sul daffarsi. Lo sport può restituire un ruolo sociale? Lo sport può definire caratteri, può restituire il concetto di appartenenza solidale anche nella detenzione? Lo sport può riaccendere nella comunità libera l’attenzione critica e coraggiosa che nasce dai principi costituzionali che tutelano la dignità? Eccome se può, lo sport è strumento di integrazione, deve essere presenza, deve sostenere il lavoro, deve saper costruire percorsi di ritorno. Basta non fermarsi. Enna: "Happy… dentro", i detenuti ballano sulle note di Pharrell Williams www.palermomania.it, 12 agosto 2014 "È il racconto di un sogno, quello di provare a essere spensierati anche dietro le sbarre. […] Lavorare sulla felicità, quella dell’Anima, impone un comportamento positivo che può incidere sulla devianza. Il carcere è privazione della libertà, ma se provi a sognare puoi essere felice… anche per qualche attimo". Sono queste le parole che si leggono nell’inedito video filmato da Paolo Andolina dentro il carcere ennese "Luigi Bodenza". Un filmato che racconta la vita della casa circondariale nella sua spensieratezza e non nel buio della privazione, un tentativo, forse, di dare speranza a chi dentro una cella vede solo punizione e disperazione nel difficile tentativo di risalire la cima. Quello di Enna è il primo carcere italiano a pubblicare su Youtube un video musicale realizzato dai detenuti, sulle note dell’ormai tormentone di Pharrell Williams "Happy". Tra i corridoi del carcere, tra le cucine o negli uffici, i detenuti ballano mostrando la loro "felicità", anche solo per qualche istante, in fondo basta poco, dicono per essere felici. Un modo lodevole di aiutare i detenuti verso il recupero della propria identità sociale e di dipingere le carceri dietro un nuovo volto. Forse i più critici lo troveranno una perdita di tempo di cattivo gusto, o persino, imbarazzante, ma senza dubbio ammiriamo la divertente iniziativa e speriamo di vederne delle altre. India: premier Modi sul caso marò "l’Italia accetti il cammino della giustizia indiana…" Corriere della Sera, 12 agosto 2014 Pressing diplomatico per la vicenda processuale di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Telefonata con Modi che incalza: "Italia accetti cammino giustizia indiana". Una soluzione "rapida e positiva" al lungo e complicato caso che vede al centro i due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trattenuti in India dopo la morte, nel febbraio 2012, di due pescatori durante un’operazione anti-pirateria. È questo l’auspicio espresso dal premier Matteo Renzi al primo ministro indiano Narendra Modi nel corso di una telefonata. Secondo quanto ha fatto sapere Palazzo Chigi, i due leader hanno condiviso "l’importanza di un rilancio dei rapporti bilaterali tra le due democrazie, sia per quanto riguarda gli scambi, sia per la cooperazione internazionale, e nel quadro Ue". Restando sul caso marò, il premier indiano ha incoraggiato "la parte italiana a permettere un proseguimento del cammino del processo indiano" e sottolineato che "la giustizia indiana è libera, giusta e indipendente" e "considererà tutti gli aspetti" del caso. A una settimana dalla visita a New Delhi del ministro della Difesa Roberta Pinott la seconda in soli cinque mesi, dunque il governo continua il suo affondo diplomatico premendo sull’esecutivo indiano perché affronti la vicenda dei due militari italiani. Già a inizio mese Renzi s’era detto "molto fiducioso nel nuovo governo indiano" e aveva espresso la speranza che l’esecutivo Modi "nelle prossime settimane" avesse "la possibilità di affrontare" la vicenda dei due marò" e di "recuperarla in una dimensione di collaborazione" sulla base "del diritto internazionale". Durante la sua campagna elettorale, il premier indiano aveva assunto posizioni dure sui marò. Ma, secondo molti analisti indiani, con il passare del tempo e con una vicenda che se mal gestita può arrecare danno all’immagine dell’India, potrebbe crearsi lo spazio per una soluzione diplomatica in cui nessuna delle due parti esca chiaramente sconfitta. Il tempo non è però dalla parte dei due militari italiani. Da un punto di vista giudiziario il caso in questi giorni vive una fase di stallo. Anzi, sui due ricorsi alla Corte Suprema indiana non si prevedono novità per molte settimane. Le due udienze di fine luglio nel tribunale speciale e nella Corte Suprema di New Delhi per il rinnovo delle garanzie bancarie a sostegno della libertà dietro cauzione dei marò si sono rivelate pura routine e non hanno modificato la situazione. Stati Uniti: gli 80 anni del carcere di Alcatraz, dal mito non si evade di Angela Bosetto L’Arena di Verona, 12 agosto 2014 Sono molte le carceri americane immortalate dalla cultura popolare (Attica, Huntsville, Joliet, San Quintino, Sing Sing, Yuma), ma nessuna di loro ha raggiunto nell’immaginario collettivo la fama del penitenziario che fu inaugurato ottant’anni fa, 111 agosto 1934, su un’isoletta al largo della baia di San Francisco, il cui nome sarebbe divenuto il sinonimo stesso di prigione: Alcatraz, da alcatraces, gli uccelli marini che prima ne erano gli unici abitanti. Soprannominato The Rock (la roccia) o The Bastion (la fortezza), il carcere di Alcatraz rimase in funzione sino al 21 marzo 1963, prima che le spese di mantenimento, ritenute eccessive dalle autorità, ne decretassero la chiusura. In seguito, la struttura fu occupata dai nativi americani (1969-1971) e oggi è un museo gestito dal National Park Sei-vice. Comunque 29 anni bastarono perché la prigione si guadagnasse la fama che la circonda: ancora oggi il penitenziario più duro degli Usa, Florence in Colorado, è chiamato Nuova Alcatraz. L’isola ospitò celebri gangster (Al Capone, Mickey Cohen, Machine Gun Kelly) e detenuti che divennero famosi proprio all’interno del carcere, come Henri Young, che ne denunciò la crudeltà in tribunale, e Robert Stroud, che divenne ornitologo studiando i canarini in cella. La prigione fu anche teatro di una violenta rivolta, scatenatasi nel maggio 1946 e finita nel sangue, ma si trattò di un caso isolato. Difatti, nonostante ad Alcatraz non ci fosse la camera a gas (i condannati a morte andavano a San Quintino), la durezza con cui venivano trattati i detenuti si diffuse come uno spauracchio fra i criminali, i quali avrebbero preferito farsi uccidere piuttosto che essere rinchiusi in un posto dove le celle erano strettissime, il lavoro un diritto esclusivo da guadagnare con l’obbedienza e ogni minima infrazione disciplinare veniva punita con l’isolamento in bunker gelidi e bui. Le altre prigioni ne approfittarono per spedire lì tutti gli elementi più violenti, pericolosi e incontrollabili, insieme a quelli che evadevano regolarmente, visto che da Alcatraz si usciva solo in due modi: a fine pena o in una bara. Paradossalmente, il primo tentativo di fuga dall’isola, per di più non pianificato, andò a segno. Il 16 dicembre 1937, Theodore Cole e Ralph Roe, due rapinatori dell’Oklahoma, stavano lavorando nell’officina esterna della prigione, quando si resero conto di essere rimasti soli. Piegarono due sbarre, sfondarono la vetrata e, approfittando della nebbia fittissima, scalarono la recinzione per tuffarsi nella baia. La temperatura gelida dell’acqua persuase le guardie a darli per morti, ma, quattro anni dopo, un reporter del San Francisco Chronicle rintracciò Roe in Sud America, scoprendo così che ce l’avevano fatta entrambi, anche se Cole era stato ucciso in seguito da altri criminali. La beffa contribuì a dare un ulteriore giro di vite alle già implacabili misure di sicurezza Tutti gli altri tentativi di evasione finirono in tragedia, tranne uno, il più noto, organizzato da Frank Morris, un detenuto di grande carisma e intelligenza, considerato un artista della fuga. Per due anni, lui, Alien West e i fratelli John e Clarence Anglin sottrassero materiali per costruire una zattera e scavarono tunnel dalle rispettive celle, sfruttando i condotti di aereazione. L’11 giugno 1962 scattò l’ora X ed, escluso West, i tre fuggitivi scomparvero nel nulla. Il loro misterioso destino è tuttora fonte di speculazioni. Infatti, al di là del carcere, c’è un altro aspetto dell’isola che scatena la fantasia: quello paranormale. Secondo i cacciatori di fantasmi, Alcatraz è uno dei luoghi più infestati d’America e l’ex prigione non ospita solo gli spettri dei detenuti morti al suo interno, ma altre oscure presenze. Le leggende hanno contribuito a influenzare la narrativa fantastica (inclusa la saga di Harry Potter, dove c’è il terribile carcere magico di Azkaban), però esistono reali testimonianze di prigionieri, visitatori e guardie che affermano di aver visto e sentito cose inquietanti. Il lato spettrale di Alcatraz è tornato alla ribalta lo scorso giugno, quando, durante una visita al penitenziario, una turista inglese ha fotografato una figura femminile che guarda dallo spioncino della saletta riservata ai visitatori. Peccato che la stanza, in quel momento, fosse completamente vuota". Svizzera: è emergenza nel carcere di Champ-Dollon, 894 detenuti per 380 posti www.tio.ch, 12 agosto 2014 Le condizioni dei carcerati preoccupano l’ordine degli avvocati "perché peggiorano sempre di più". Lo scorso fine settimana la più grande prigione svizzera ha raggiunto un nuovo record d’accoglienza: 894 detenuti. La capacità della struttura è di 380 posti. Champ-Dollon si sta avvicinando alla simbolica cifra di 900 carcerati. Inquietante? "Questo sovraffollamento è davvero preoccupante, perché le condizioni dei detenuti peggiorano", ha confessato Jean-Marc Carnicé, presidente dell’Ordine degli avvocati. "Le autorità devono trovare delle soluzioni. Noi avvocati siamo solo una forza di contestazione e di proposta". Il direttore della prigione, Constantin Franziskakis, non si ê nascosto: "Ci muoveremo con tutti i vincoli imposti da questo nuovo record. La gestione della struttura è come un sudoku permanente e non vi è alcun limite massimo per il numero di detenuti". Afghanistan: denuncia di Amnesty International; impunite migliaia uccisioni Usa e Nato di Maurizio Salvi Ansa, 12 agosto 2014 Militari americani e della Nato sarebbero stati responsabili in oltre un decennio di conflitto con i talebani ed Al Qaida in Afghanistan della morte di migliaia di civili innocenti senza che quasi siano stati processati e puniti. Il pulpito da cui si è levato l’indice accusatore nei confronti della coalizione internazionale, scesa in capo nel 2001 per difendere il progetto democratico afghano, è quello di Amnesty International (Ai), autorevole organizzazione umanitaria che da decenni si batte per il rispetto della dignità e dei diritti della persona umana. Nel suo rapporto intitolato "Left in the Dark" (Abbandonati nel buio) Amnesty precisa che "sono stati esaminati numerosi casi di attacchi aerei e raid notturni" ed aggiunge che sorprendentemente "episodi di apparenti crimini di guerra non sono stati investigati e i responsabili sono rimasti impuniti". Richard Bennett, direttore della Ong per l’Asia Pacifico, ha sottolineato che "nessuno dei dieci casi specifici su cui ci siamo concentrati nel periodo 2009-2013 - e che hanno comportato la morte di 140 civili, fra cui donne incinte e 50 bambini - è stato oggetto di azione giudiziaria da parte della Procura militare americana". In particolare in due dei casi studiati nelle province di Paktia e Wardak, si insiste nel rapporto, "sono emersi abbondanti e stringenti indizi di crimini di guerra, ma nessuno è stato incriminato penalmente per essi". Fra le tante testimonianze spesso inedite offerte da Amnesty di torture e maltrattamenti vi è quella di Qandi Agha, un ex detenuto catturato alla fine del 2012 dalle Forze speciali Usa nel distretto di Nirkh della provincia di Maidan Wardak. "Quattro persone mi hanno picchiato con dei cavi - ha raccontato - e mi hanno poi legato le gambe e picchiato con un bastone di legno le piante dei piedi. Mi hanno quindi colpito al volto e preso a calci, sbattendomi anche la testa al suolo. Se questo non bastasse - ha aggiunto - mi hanno collocato in un recipiente pieno d’acqua propinandomi scosse elettriche". Agha ha sostenuto che alle torture erano presenti militari Usa e afghani, e che quattro delle otto persone prigioniere con lui sono morte in custodia di personale americano, compreso uno, Sayed Muhammed, che "ho visto morire personalmente". Dopo la pubblicazione del documento un portavoce della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf) a Kabul ha confermato di esserne a conoscenza, aggiungendo che "una risposta verrà data dopo che sarà stato studiato. Il responsabile ha poi detto che "l’Isaf prende in considerazione seriamente tutte le denunce di vittime civili che vengono rigorosamente investigate e seguite da appropriate risposte". Ricevendo una delegazione di Amnesty guidata dal responsabile della Ricerca, Nicola Duckworth, il presidente Hamid Karzai ha lodato "la caparbietà nel perseguimento della verità e della giustizia" ed ha ricordato che "il ripetersi di vittime civili è stato uno dei più importanti elementi di tensione fra l’Afghanistan e le forze della Coalizione internazionale". Nell’ultimo rapporto della Missione dell’Onu in Afghanistan (Unama) sulle vittime civili si segnala che nel primo semestre 2014 vi è stato un incremento del 17% sullo stesso periodo dell’anno scorso. Oltre 3/4 di esse sono attribuite alla violenza degli insorti che spesso mancano il bersaglio designato versando il sangue di uomini, donne e bambini incolpevoli. Tuttavia nei casi molto minori in cui sono coinvolti militari occidentali, avverte il rapporto, i portavoce Nato annunciano inchieste sugli incidenti di cui però poi non danno i risultati, "lasciando al buio vittime e loro famigliari". Gran Bretagna: negato il diritto di voto ai detenuti, nuova condannata da Strasburgo Asca, 12 agosto 2014 Il Regno Unito ha subito una nuova condanna da parte della Corte europea dei diritti umani (Cedu) per la sua legislazione, che priva sistematicamente del diritto di voto tutti i detenuti britannici condannati. Malgrado i recenti progressi effettuati dal Regno Unito in vista di una modifica della sua controversa legislazione, questa è rimasta immutata, hanno sottolineato i giudici di Strasburgo. Ucraina: razzo colpisce il carcere di Donetsk, fuggono oltre 100 detenuti La Presse, 12 agosto 2014 Un razzo ha colpito nella notte un carcere di alta sicurezza a Donetsk, nell’est dell’Ucraina, provocando una rivolta nella quale oltre 100 detenuti sono riusciti a scappare. Lo riferisce il portavoce del Consiglio comunale di Donetsk, Maxim Rovensky, aggiungendo che il razzo ha provocato la morte di almeno un prigioniero. Fra i detenuti fuggiti ci sono persone che erano in carcere per omicidio, rapina e stupro. Nell’ultima settimana le forze di Kiev hanno intensificato la pressione su Donetsk e sono riuscite a circondarla. Lanci reciproci di razzi sono diventati all’ordine del giorno nei combattimenti. Rovensky ha riferito che almeno 10 case, negozi e garage sono stati colpiti dai lanci di razzi nella notte, e ha aggiunto che 20mila persone sono attualmente senza elettricità. Bolivia: Italia partner in riforma giustizia, aperto sezione femminile centro riabilitativo Il Velino, 12 agosto 2014 L’Italia interviene per garantire carceri migliori in Bolivia. Nei giorni scorsi il nostro ambasciatore a La Paz, Luigi De Chiara, ha presenziato all’inaugurazione della sezione femminile del centro riabilitativo Qalauma. La costruzione della struttura è stata finanziata dalla direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina. All’evento, organizzato dalla direzione generale delle carceri insieme al personale del Centro di Riabilitazione Qalauma, hanno partecipato - tra gli altri - il ministro di Giustizia della Bolivia, Elizabeth Sandra Gutierrez Salazar; la Diocesi di El Alto e le Ong con in testa Progetto Mondo (che ha eseguito i lavori). Il Centro, aperto nel 2011, nasce dalla necessità di prestare l’opportuna attenzione a giovani e adolescenti in conflitto con la legge e privati di libertà, separandoli dagli adulti affinché possano essere oggetto di un trattamento differenziato e dedicato. Nel suo intervento, l’ambasciatore De Chiara ha sottolineato gli ottimi risultati raggiunti negli anni da Qalauma, laddove la percentuale di reincidenza dei giovani è inferiore al cinque per cento; elementi richiamati anche dal ministro di Giustizia, che ha riconosciuto la necessità per il paese di modificare il concetto di giustizia, verso una visione riparativa e riabilitativa.