La campagna di Ristretti Orizzonti "Firmate per avere carceri più umane" Il Mattino di Padova, 11 agosto 2014 Per qualche metro e un po’ di amore in più. Carceri più umane significa carceri che non annientino le famiglie. L’Europa non si può "accontentare" dei tre metri di spazio a detenuto per decretare che le nostre carceri non sono più disumane. Lo sono eccome, e lo sono in particolare per come trattano i famigliari dei detenuti: sei ore al mese di colloqui e dieci miserabili minuti a settimana di telefonata, spazi per gli incontri spesso tristi e affollati, attese lunghe, estenuanti, umilianti. E allora chiediamo all’Europa di occuparsi anche delle famiglie dei detenuti, e di invitare l’Italia a introdurre misure nuove per tutelarle. Siamo convinti che unirci in questa battaglia possa essere una forza in più per ottenere il risultato sperato. E noi speriamo che questa battaglia qualche risultato lo dia: una legge per liberalizzare le telefonate, come avviene in moltissimi Paesi al mondo, e per consentire i colloqui riservati. E una legge così, aiutando a salvare l’affetto delle famiglie delle persone detenute, produrrebbe quella "sicurezza sociale", che è cosa molto più nobile e importante della semplice sicurezza. Firmiamo per chiedere finalmente questa legge, coinvolgiamo le famiglie di chi è detenuto, ma anche quelle dei cittadini "liberi", perché in ogni famiglia può capitare che qualcuno finisca in carcere, e nessuno più dovrebbe essere costretto alla vergogna e alla sofferenza dei colloqui, come avvengono ora nelle sale sovraffollate delle nostre galere. Facciamo del 24 dicembre, vigilia di Natale, festa delle famiglie, una scadenza importante per sostenere, con tutte le forme di lotta non violente che riusciamo a immaginare, questa nostra richiesta. 24 dicembre 2014: per quel giorno, raccogliamo migliaia di firme, da tutte le carceri, ma anche dal "mondo libero", per un po’ di amore in più. Si può firmare anche nel sito www.ristretti.org. La redazione di Ristretti Orizzonti Per qualche ora in più coi nostri figli Purtroppo una delle cose più brutte del carcere è che non ti danno abbastanza spazio per tentare di essere un buon padre. In questi giorni ho ripensato a uno dei tanti colloqui che ho fatto in questi anni di carcere. Fissavo il pavimento, il soffitto, le sbarre e le pareti della mia cella. Come un’anima in pena camminavo avanti e indietro per la stanza. C’erano delle volte che mi pentivo di essermi fatto arrestare vivo perché soffrivo che i miei figli dovessero venire a trovarmi in carcere. Per loro avevo sognato un padre migliore di quello che ero riuscito a essere. Avevo sempre paura di avere rovinato la vita anche a loro. Stavo aspettando il colloquio ed ero in pensiero per i chilometri che la mia famiglia doveva fare per raggiungere il carcere. Fuori c’erano la neve e il ghiaccio. Finalmente le guardie mi chiamarono. Si prepari per il colloquio. Risposi subito: Sono pronto! Evitai di dirgli che ero già pronto dalla sera prima. Dopo dieci minuti due guardie mi perquisirono e mi portarono nella sala colloquio. Nella stanza c’erano già alcuni detenuti che facevano colloquio con i parenti. La sala era pitturata dei colori del carcere. Le pareti di grigio e il soffitto di bianco. Il tavolaccio divisorio era consunto. Odorava di sofferenza. Chissà quante ne aveva viste. Dopo pochi minuti vidi aprirsi la porta. Entrarono spingendosi insieme sia mio figlio sia mia figlia. Quando li vidi feci fatica a respirare. E non riuscii a evitare che il mio cuore ruzzolasse dal petto per correre ad abbracciarli. Io invece rimasi fermo in piedi ad aspettarli. Stava arrivando prima mia figlia, ma mio figlio, all’ultimo momento, diede una spallata a sua sorella e mi abbracciò per primo. Ero felice di vederlo. Me lo mangiai con gli occhi. Erano mesi che non lo vedevo. Notai che stava diventando sempre più alto. Poi venne il turno di mia figlia. Ci baciammo, poi lei appoggiò la testa sulla mia spalla e io le accarezzai i capelli. La mia compagna dietro aspettava il suo turno e vedendo che io e mia figlia non ci staccavamo sussurrò: Ehi! Ci sono anch’io! Sorrisi. Io e la mia compagna restammo a guardarci per qualche istante, poi la abbracciai a lungo. E il mio cuore si aggrappò a quello di lei. Non ci dicemmo nulla, intimiditi dagli sguardi dei nostri figli. Ci sedemmo sulle panche. Mia figlia mi afferrò subito la mano. Imitata da mio figlio che mi prese l’altra. Rimanemmo in silenzio per qualche momento per lasciare parlare i nostri cuori. Guardai con soddisfazione i miei figli. Erano tutta la mia vita. L’unica cosa che avevo per essere felice. Poi parlò per prima mia figlia: Papà come stai qui? Le sorrisi: Bene! Sono stato fortunato che mi hanno portato proprio qui, non potevo capitare meglio. Le nascosi che appena arrivato mi avevano sbattuto alle celle di punizione perché mi ero rifiutato di fare nudo le flessioni sopra uno specchio. Mio figlio scrollò la testa: Papà, ma dici così in tutte le carceri dove ti trasferiscono. Mia figlia fece un sorriso storto a suo fratello: Uffa! Stavo parlando io a papà. Io e la mia compagna ci scambiammo un’occhiata. E capii subito cosa mi stavano dicendo i suoi occhi. Te l’avevo detto che sono ancora gelosi e quindi era meglio che te li portavo uno per volta! Alzai le spalle e le feci un largo sorriso. Era da qualche tempo che desideravo vederli tutti e due insieme. Mia figlia riprese a parlare. È vero però papà… in qualsiasi carcere dove ti mandano, ci dici che stai bene, lo dicevi anche in quel brutto carcere dell’Asinara, dove non hai mai voluto che ti venissimo a trovare. Cambiai discorso: Spero che non stiate avendo dei problemi con i vostri amici perché avete un papà in carcere. Rispose subito il figlio. No! Papà che dici! Io sono fiero di te. Piuttosto è mia sorella che si vergogna con i suoi amici figli di papà che vanno al liceo scientifico. Mia figlia gli diede un calcio da sotto il bancone. E stizzita negò. Non è vero papà… preferisco solo che i miei amici non sappiano che sei in carcere perché non voglio che pensino male di te perché sei qui. Le feci una carezza sul viso. E fai bene! Non c’è bisogno che lo sappiano tutti dove si trova vostro padre. Mio figlio intervenne contrariato: Io invece lo dico a tutti i miei amici. Corrugai la fronte. E fai male perché non c’è nulla da essere orgogliosi ad avere un papà in carcere. Mio figlio mi fece un sorriso mesto. E triste. Non arrenderti papà… non arrenderti mai, noi ti aspettiamo a casa. Poi parlò mia figlia. E mi guardò dritto negli occhi: Papà comportati bene…mi raccomando non fare casini… perché se fai il bravo sento che alla fine ti faranno uscire. Non avevo mai avuto paura di qualcuno o di qualcosa nella mia vita. Aveva paura solo di deludere mia figlia. Le feci gli occhi dolci. E le sorrisi. Da quando in qua sono i figli che dicono al padre di fare i bravi… non dovrebbe essere il contrario? Mia figlia rispose al mio sorriso. Nel frattempo la guardia aveva gridato il mio nome. Il colloquio è finito. Mi alzai controvoglia. E rivolgendomi ai miei figli dissi: Uscite per primi… lasciatemi qualche secondo con vostra madre. Poi mi chinai per abbracciare mio figlio che mi sussurrò: Ti voglio bene papà. Lo abbracciai ancora più forte. Anch’io te ne voglio. Poi venne il turno di mia figlia. Rimanemmo un attimo in silenzio. Parlò per prima lei. Io aveva la gola secca. Papà la spesa te l’ho fatta io… e ti ho fatto il sugo … poi mi scrivi se ti è piaciuto… ti ho comprato anche un maglione pesante. Feci finta di non vederle gli occhi lucidi. Lei non piangeva quasi mai davanti a me. Ero venuto a sapere che piangeva sempre dopo. Grazie amore… adesso vai. Lei mi abbracciò ancora una volta. Papà, io ti vorrò sempre bene. Ti aspetterò sempre, non mi sposerò mai fin quando non uscirai. La mia compagna mi abbracciò. Io la baciai. Stai attenta ai bambini. Lei mi sorrise controvoglia. Quali bambini? Non lo vedi che i tuoi due figli ormai sono grandi. La accarezzai Vai piano con la macchina… ti amo. ì La guardia mi aveva già chiamato tre volte per avvisarmi che il colloquio era finito. E la lasciai andare via. E pensai con amarezza che avevano fatto tutto quel viaggio per solo un’ora di colloquio dietro un bancone. Carmelo Musumeci Giustizia: invito ai parlamentari a visitare le carceri nei giorni di Ferragosto di Luigi Recupero (Segretario Radicali Catania) www.radicali.it, 11 agosto 2014 Carceri, lettera appello ai parlamentari regionali, nazionali ed europei di Catania e della Sicilia. Invito ad aderire al Satyagraha di Marco Pannella e Rita Bernardini, ad iscriversi al Partito radicale, a visitare le carceri nei giorni di Ferragosto Egregi onorevoli, sentiamo il dovere di sollecitare la vostra attenzione sulla perdurante inadempienza delle nostre Istituzioni nei confronti dei cittadini detenuti. Il recente decreto sulle carceri prevede un risarcimento di 8 euro per ogni giorno di trattamento inumano e degradante oppure, per chi è ancora in carcere, un giorno di sconto di pena per ogni 10 giorni trascorsi nella suddetta condizione. Il prezzo della tortura, insomma. Un rimedio risarcitorio che appare del tutto inadeguato a corrispondere alle prescrizioni della Corte europea dei Diritti dell’Uomo e che - come ha rilevato persino il Csm - pone seri rischi di incostituzionalità della norma, determinando oltretutto un ulteriore insopportabile sovraccarico per gli uffici di sorveglianza e per i tribunali civili. In molti casi, in troppi casi, le condizioni di detenzione nelle carceri italiane, pur a fronte di un’attenuazione del sovraffollamento, permangono in contrasto con quanto previsto dalla Costituzione, dalle leggi, dai regolamenti e dalle convenzioni internazionali. La violazione dei diritti umani fondamentali delle persone detenute non dipende esclusivamente dall’insufficienza degli spazi in cui sono ristrette, ma è legata a numerosi profili della detenzione, come ad esempio le condizioni igieniche, il riscaldamento degli ambienti, l’ingresso di aria e di luce naturale, l’accesso alle docce, la disponibilità di acqua calda e di acqua potabile, il numero di ore trascorse all’interno delle celle, la effettiva possibilità di intraprendere - attraverso attività di studio, di formazione o di lavoro - quei percorsi di reinserimento sociale indispensabili per dare attuazione alla finalità rieducativa della pena sancita dall’articolo 27 della nostra Costituzione. Una grave situazione di opacità permane, inoltre, con riferimento alla capienza regolamentare "effettiva" (cioè al netto delle sezioni inutilizzate, perché inagibili o in ristrutturazione) degli istituti di pena, mentre invece la condanna inflitta allo Stato italiano con la sentenza "Torreggiani" e la condizione di "sorvegliato speciale" del nostro paese dovrebbero imporre la massima trasparenza e accessibilità ai dati in possesso dell’amministrazione penitenziaria. Particolarmente intollerabile è poi il fatto che nelle carceri italiane non venga garantito il diritto alla salute. Oltre il 60% dei detenuti soffre, infatti, di patologie cui le strutture penitenziarie non sono in grado di garantire prevenzione né tantomeno cura. Patologie che, oltretutto, non di rado sono generate dalla stessa carcerazione, o con essa incompatibili. Da ultimo, il neo-quotidiano "Cronache del Garantista", ha denunciato il fatto che sono state necessarie quattro settimane per autorizzare un’urgente operazione al cuore di Primo Greganti. Si può comprendere come un certo livello di assistenza sanitaria non può essere denegata al detenuto qualunque sia il reato presunto o accertato. Paradigmatico in questo senso è il caso di Bernardo Provenzano, incapace di intendere e di volere, incapace di attività autonoma e sottoposto a nutrizione artificiale, ormai ridotto a un vegetale ma comunque costretto alla tortura del carcere duro come prescritto dal 41 bis (nonostante le procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze abbiano espresso parere favorevole alla revoca del regime del 41 bis). Queste situazione di permanente violazione dei più elementari diritti umani nei confronti dei detenuti hanno fatto decidere Rita Bernardini, segretaria nazionale di Radicali Italiani, a intraprendere un nuovo sciopero della fame che va avanti dal 30 giugno scorso, con il sostegno di alcune centinaia di cittadini e di militanti radicali, nel silenzio pressoché assoluto dei mezzi di informazione. Una lotta nonviolenta nel solco del Satyagraha per l’Amnistia e la Giustizia che Marco Pannella prosegue e intende proseguire, anche nella forma più dura dello sciopero della sete, "per la vita del diritto e il diritto alla vita, per l’immediata fuoriuscita dello Stato italiano dalla condizione di flagranza tecnicamente criminale". Una lotta nonviolenta, egregi onorevoli, alla quale vi chiediamo di aderire, nelle forme e con le modalità che riterrete più opportune: uno o più giorni di sciopero della fame, l’iscrizione al Partito Radicale Nonviolento transnazionale e transpartito, la disponibilità ad effettuare una visita ispettiva in un carcere, magari proprio nei giorni del Ferragosto, giorni simbolici della sofferenza in carcere, per il caldo e non solo, quanto quelli natalizi, per il freddo e non solo. Una attività - quella del sindacato ispettivo all’interno degli istituti di pena - che a noi Radicali adesso è precluso di svolgere autonomamente, proprio perché privi di rappresentanza parlamentare. Tale esercizio del potere di controllo in Sicilia è oggi probabilmente ancora più necessario che altrove, perché il presidente della Regione Crocetta non ha ancora provveduto a nominare il Garante dei diritti dei detenuti, figura vacante - per ragioni incomprensibili - ormai da quasi un anno. Giustizia: Rita Bernardini al 41° giorno di sciopero fame contro la condizione dei detenuti www.clandestinoweb.com, 11 agosto 2014 Dura da ormai 41 giorni lo sciopero della fame del segretario nazionale di Radicali Italiani Rita Bernardini, per protestare contro la condizione dei detenuti italiani. Lo ricorda in un post nel suo blog in cui riporta le parole della deputata del PD Enza Bruno Bossio, che ha fatto visita al carcere di Rossano Calabro. "Li tengono segregati, nudi, senza vestiti, solo con le mutande. Non hanno un letto, dormono per terra, senza nemmeno un materasso. Accanto a loro, sul pavimento, c’è il vomito e le loro feci.ì" dichiara Enza Bruno Bossio". "Grazie a Emilio Quintieri - aggiunge Bernardini - che mi ha messo in contatto con lei: le ho consigliato di sporgere immediata denuncia alla Procura della Repubblica". Lettere: l’impegno sensibile e appassionato della direttrice del carcere Stefania Mussio di Sandro Tiberi (Lions Club Lodi) Il Cittadino, 11 agosto 2014 Egregio Direttore, il Lions Club Lodi Torrione, che ho l’onore di guidare nell’anno 2014-15, ha avuto modo di conoscere e di collaborare in molteplici occasioni, con la dottoressa Stefania Mussio, direttrice della Casa Circondariale di Lodi fino a qualche settimana fa. Senza entrare nel merito delle vicende che hanno portato all’allontanamento della dottoressa Mussio da Lodi, mi consenta tuttavia di ricordare questa esperienza che ha consentito ai soci e agli amici del Club di avvicinarsi in modo partecipe e costruttivo alle problematiche del mondo carcerari, di conoscerne le finalità rieducative e le difficoltà di percorso. Nei sette anni che ha trascorso a Lodi, la dottoressa Mussio è riuscita nell’intento di abbattere molte di quelle barriere che da sempre separano il mondo "dietro le sbarre" da quello "fuori". Ricordo ancora l’approccio con i soci del mio Club, nell’ottobre 2008, invitata a parlare del problema delle carceri dall’allora presidente Nunzio Lauria: accolta con diffidenza, quasi con il timore che ci facesse scoprire realtà scomode che sarebbe stato meglio ignorare, affascinò tutti i presenti con il suo racconto appassionato di un mondo a parte, a cavallo tra speranza e disperazione. "Prima o poi tutti i detenuti escono dal carcere", aveva detto, "e qualora il divario tra la vita carceraria e quella civile sia troppo ampio, ogni sforzo di recuperare i detenuti rischia di essere vanificato". E alle sue parole seguirono i fatti, gli sforzi per dare al carcere e ai suoi ospiti un ruolo nel contesto cittadino, intraprendendo un percorso di avvicinamento attraverso l’organizzazione di iniziative di ogni genere, eventi musicali, spettacoli teatrali, e la partecipazione a iniziative sociali. Da quell’incontro con una persona speciale è nata "l’amicizia" tra il Lions Club Lodi Torrione e il carcere di Lodi. Un rapporto che è proseguito con l’adesione del Club ad altre iniziative promosse dalla Casa Circondariale, e viceversa. Nel 2009 il carcere ha partecipato al programma dei Lions "Puppy walker" che prevede l’affidamento a famiglie volontarie, per un anno, di cuccioli di razza Labrador o Golden Retriever destinati a diventare cani guida per ciechi. Nel novembre 2009 fu una decisione storica quella del Centro Cani Guida Lions di affidare alla Casa Circondariale di Lodi i cuccioli Custer e Cleo, un luogo di sofferenza come il carcere veniva paragonato ad una famiglia. Custer e Cleo sono rimasti un anno a Lodi, e tutti i lodigiani li hanno visti, ammirati e coccolati, a spasso per la città, accompagnati da due detenuti in possesso dei requisiti per farlo. Poi sono tornati al Centro per essere addestrati e ora svolgono il loro onorato servizio presso due non vedenti che li hanno ricevuti in dono nel marzo 2011. Il vuoto che hanno lasciato è stato colmato da Lola e Lara, due cucciole di Labrador che il Lions Club Lodi Torrione ha regalato al carcere nello stesso anno. Ormai cresciute, non è difficile incontrarle nella loro passeggiata mattutina, sempre accompagnate al guinzaglio da due detenuti. Altre due iniziative promosse dal carcere hanno visto la partecipazione del nostro Club. La prima è stata il contributo al finanziamento del "Corso di genitorialità", una serie di incontri dedicati ai detenuti con figli piccoli, per insegnare a rapportarsi con loro e a tener vivo il rapporto con mogli e compagne. Gli affetti sono il principale baluardo di difesa dei detenuti, quelli che tengono viva la speranza di un futuro migliore. Anche in questa occasione abbiamo potuto constatare l’impegno sensibile e appassionato della dottoressa Mussio in questa iniziativa: oltre alle lezioni, tenute da psicologi qualificati, la direttrice ha voluto che anche la stanza degli incontri dei detenuti con i bambini fosse "speciale", allegra, decorata con colori pastello, arredata con sedie e tavolini. Alle pareti, scansie piene di giocattoli. L’ultimo intervento dei Lions Club Lodi Torrione, che risale solo a qualche mese fa, è stato il dono al carcere di 5 nuovi computer e due stampanti che sono andati a sostituire il materiale obsoleto della redazione di "Uomini Liberi", il giornale scritto dai carcerati che viene ospitato sulle pagine del quotidiano che Lei dirige. Un intervento impegnativo e di alto profilo che premia lo sforzo della Casa Circondariale di tener vivo il rapporto con la città attraverso la realizzazione di un giornale carcerario. Ecco Direttore, questa è stata l’esperienza che il Lions Club Lodi Torrione ha vissuto in questi anni di collaborazione con la dottoressa Mussio che, con la sua passione e il suo entusiasmo, ha saputo coinvolgerci e trascinarci in molte attività. E ci ha aperto gli occhi su realtà che spesso non si vogliono vedere. Vorremmo salutarla attraverso il suo giornale, sicuri che porterà avanti il suo impegno ovunque sarà chiamata a svolgere un nuovo incarico. Facendo proprio il motto della Polizia Penitenziaria: "Garantire la speranza è il nostro compito". Cosenza: ispezione al carcere di Rossano, il drammatico racconto dell’onorevole Bossio di Andrea Spinelli www.crimeblog.it, 11 agosto 2014 Enza Bruno Bossio ha visitato il carcere di Rossano (Cs): la parlamentare Pd denuncia una situazione drammatica per i detenuti in isolamento. La frase clou si è sentita al termine dell’ispezione del carcere di Rossano (un diritto dovere di ogni parlamentare, del quale non molti si avvalgono): "Onorevole lei non si doveva permettere di venire al Carcere senza preavviso. Quando si va a casa degli altri si chiede il permesso". Questo è quanto è stato detto alla parlamentare del Partito Democratico Enza Bruno Bossio dal Comandante della Polizia Penitenziaria di Rossano, il Vice Commissario Elisabetta Ciambriello, al termine dell’ispezione della deputata presso il carcere cosentino. Bossio si era recata nel tardo pomeriggio di sabato 9 agosto ai cancelli del carcere calabrese dopo che, da tempo, intrattiene una conversazione epistolare con un detenuto in isolamento. Tra i diritti-doveri dei parlamentari infatti c’è quello delle visite ispettive nelle carceri italiane, cosa che gli onorevoli deputati e senatori possono fare in qualunque momento e in qualunque carcere dello Stivale: memorabili le visite ispettive dei deputati e dei senatori Radicali durante la loro permanenza in Parlamento, grazie alle quali è stato possibile far uscire dalle mura delle carceri le violenze, il disagio e soprattutto il regime di illegalità dilagante che imperversa un po’ in tutte le case circondariali italiane. Un diritto dovere codificato all’art. 67 dell’Ordinamento Penitenziario, che consente proprio ai membri del Parlamento ed ai loro accompagnatori di ispezionare in qualunque momento gli Istituti Penitenziari senza la necessità di essere autorizzati per accertare se le condizioni di detenzione siano conformi al dettato costituzionale e cioè che non siano contrarie al senso di umanità e che rispettino la dignità della persona. Al suo arrivo al carcere di Rossano la deputata Bossio è stata in ogni modo ostacolata nella sua visita: inizialmente gli agenti di Polizia Penitenziaria si rifiutavano addirittura di farla entrare, cosa avvenuta solo al termine di molte insistenze della parlamentare e l’accettazione di rinunciare ai propri accompagnatori (di fatto, un diritto negato alla stessa parlamentare). A convincere Enza Bruno Bossio a visitare il carcere di Rossano è stata, dicevamo, una conversazione epistolare e telegrafica con un detenuto che lamentava, nei suoi scritti, di essere ristretto in un regime di isolamento inumano nel quale gli erano negate anche lettere e telegrammi. Inizialmente gli agenti si erano offerti di portare il detenuto dalla Parlamentare in parlatorio, ma anche qui, dopo lunghe insistenze, la deputata democratica è riuscita a farsi condurre nel Reparto di Isolamento del carcere: "Gli Agenti stavano provvedendo a chiudere le porte blindate delle celle di tutti i detenuti allocati in Isolamento, lasciando aperta solo quella del detenuto che volevo visitare. Ad un certo momento gli altri ristretti si sono messi ad urlare chiedendo che vedessi in che condizioni erano costretti a vivere. Ho chiesto di aprire le celle ma gli Agenti mi hanno detto che non avevano le chiavi per cui non sono potuta entrare. In ogni caso ho visto le condizioni illegali che, sinceramente, non pensavo esistessero in un carcere d’Italia. Ho trovato detenuti sostanzialmente nudi, soltanto con gli slip, in delle celle in cui non c’era neanche il letto, quindi seduti per terra, in mezzo ai loro escrementi, al vomito ed ai piatti sporchi. Mi riferisco, in particolare, alle celle 1, 2 e 7. Uno di loro, italiano, era stato messo lì per aver tentato il suicidio e quindi, assolutamente, doveva essere tenuto in Isolamento. L’esperienza ha dimostrato gli effetti deleteri che l’isolamento produce sulla psiche e sul fisico delle persone costrette a subirlo. Gli altri due, a quanto pare, avevano tentato una evasione. Questi ultimi hanno sostenuto di essere stati pestati dalla Polizia Penitenziaria ed infatti si vedeva che avevano ricevuto delle percosse. Ad uno di loro avrebbero rotto anche un orecchio e non avrebbero ricevuto alcuna assistenza sanitaria" Il carcere di Rossano registra anch’esso un grave stato di sovraffollamento: a fronte di una capienza regolamentare di 215 posti ospita infatti ben 258 detenuti, tra cui molti ristretti in regime di Alta Sicurezza. L’atteggiamento ostracista della Polizia Penitenziaria è già stato segnalato dalla parlamentare del Pd a chi si occupa di carceri da una vita, il segretario di Radicali Italiani Rita Bernardini, ma anche al responsabile carceri del Pd ed alla segreteria del Ministro Andrea Orlando; nei prossimi giorni la parlamentare procederà anche ad una formale denuncia indirizzata alla Procura della Repubblica di Castrovillari ed ad una Interrogazione a risposta scritta rivolta al Governo. Va detto che quanto riferito dal vice Commissario Ciambriello all’onorevole Bossio è, in sostanza, fondamentalmente sbagliato: i parlamentari, ed in particolare quelli del Sindacato Ispettivo Parlamentare, hanno una sorta di diritto/dovere in tal senso: le condizioni del carcere di Rossano raccontate dall’onorevole Bossio dimostrano l’importanza di tali visite. Livorno: il penitenziario di Porto Azzurro nella bufera, arriva il Sottosegretario Ferri di Luca Centini Il Tirreno, 11 agosto 2014 "Questo carcere ha le potenzialità per tornare ad essere un’eccellenza e non un inferno". Cosimo Ferri, sottosegretario alla giustizia con delega alle carceri italiane, ha voluto vedere con i suoi occhi le condizioni in cui versa la casa di reclusione di Porto Azzurro. Una struttura che si è trasformata, nel giro di pochi anni, da modello per la ricchezza delle sue attività lavorative e di reinserimento a una realtà dura, difficile da vivere per i detenuti. È stata una lettera anonima, finita sulla scrivania del garante regionale dei detenuti Franco Corleone, a gettare nuove ombre sulla gestione della casa di reclusione dell’Isola d’Elba: "il carcere di Porto Azzurro è abbandonato a se stesso". E i casi di cronaca degli ultimi giorni, un detenuto morto (per cause naturali, pare) e uno salvato da un suicidio dagli agenti di polizia penitenziaria (trasferito in queste ore in un altro istituto) hanno fatto scattare l’allarme. Il sopralluogo. Ieri mattina il sottosegretario Vincenti si è presentato alle 8 in punto davanti al cancello della casa di reclusione di Porto Azzurro, accolto dal personale del carcere. La visita è durata circa un’ora. "Sono stato nel primo e secondo reparto del penitenziario, visionando le celle - racconta il sottosegretario Ferri - poi nell’area destinata ai detenuti in semi libertà e agli uffici del personale del penitenziario. Ho visitato la zona ricreativa e l’infermeria. Le criticità strutturali ci sono, così come ce ne sono negli altri istituti carcerari italiani. Ma il vero problema di Porto Azzurro è l’ozio forzato per i detenuti e il deperimento delle attività lavorative e ricreative dentro il carcere. Proprio quello che lo rendevano un modello da seguire". Risorse a picco. C’era una volta la casa di reclusione di Porto Azzurro con una legatoria, la redazione di un giornale, una copisteria. Poi c’era la falegnameria e un’officina ben attrezzata. Una macchina che, di fatto, impiegava un nutrito gruppo di detenuti. Lavoro e rieducazione, insomma. Ma le cose, con gli anni, sono cambiate. L’officina è chiusa, il giornale non c’è più. Il forno, lanciato solo pochi anni fa, versa in condizioni economiche critiche. "È su questo che l’amministrazione penitenziaria deve intervenire - fa sapere il sottosegretario Cosimo Ferri, parlando davanti al sindaco di Porto Azzurro Luca Simoni - ci sono le condizioni per riportare questa casa di reclusione alle condizioni di pochi anni fa riattivando la produzione agricola interna, creando gli spazi per impiegare i detenuti in lavori di pubblica utilità. Le risorse? Stiamo parlando di piccoli interventi che, tuttavia, sono di un’importanza decisiva per il benessere dei detenuti e per agevolare il lavoro della polizia penitenziaria". Direttore e garante. Il senso di abbandono del carcere di Porto Azzurro è alimentato anche dall’assenza, da quasi tre anni, di un direttore stabile. A ciò si aggiunge la mancanza della figura chiave del garante dei detenuti. Il sottosegretario Cosimo Ferri ha voluto incontrare il sindaco Luca Simoni, sollecitando la nomina di un garante per Porto Azzurro. Il primo cittadino ha assicurato una designazione in tempi rapidi. "Il direttore arriverà in autunno - fa sapere Ferri - il suo insediamento è fondamentale, dal momento che si avrà di nuovo un punto di riferimento per imbastire progetti a lungo termine". Solo pene lunghe. Una volta Porto Azzurro accoglieva solo detenuti con pene da cinque anni in su. Oggi, invece, le celle ospitano un mix variegato, fin troppo secondo gli agenti di polizia penitenziaria, di detenuti, sia per tipo di pena che per cultura ed etnia. Ciò ha inevitabilmente rotto l’equilibrio all’interno della struttura e alimentato un clima teso e, spesso, violento tra i detenuti. "Prima l’istituto elbano era una vera casa di reclusione, ora è una grande casa circondariale - racconta il sottosegretario - l’impegno è di sollecitare l’amministrazione penitenziaria a riportare all’Elba solo detenuti con pene più lunghe, con più consapevolezza della vita carceraria e del percorso di rieducazione da compiere. Solo così si potrà tornare ad investire su progetti a lungo termine". Il ruolo delle associazioni. Al termine del sopralluogo il sottosegretario alla giustizia ha incontrato Licia Baldi, presidente dell’associazione Dialogo. Il deperimento delle attività all’interno del carcere ha coinvolto, in questi anni, anche il volontariato, fiaccato dalle difficoltà strutturali e dalla scarsità di risorse. La biblioteca, ad esempio, è chiusa, le attività ricreative vanno avanti solo grazie alla passione di alcuni volontari. Anche la scuola, nonostante il finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno, incontra delle difficoltà, mentre la Regione sostiene le attività di teatro. "Ma tanti progetti sono bloccati da anni - fa il punto il sottosegretario Ferri - occorre dare nuova linfa a queste attività, rimotivando gli stessi operatori. Porto Azzurro era vissuto come una destinazione premio per i detenuti. E così deve tornare". Parma: più copie dello stesso libro? no, in carcere se ne può acquistare solo una ParmaToday, 11 agosto 2014 Giuseppe Ferraro, docente di Filosofia Morale all'Università Federico II di Napoli, ha pubblicato alcune lettere di Carmelo Masemuci. Tre detenuti in via Burla hanno chiesto diverse copie del libro per regalarle ai volontari ma sono stati autorizzati all'acquisto di una sola copia. Succede nel carcere di Parma. A riportare la storia il sito Osservatorio sulla Repressione che riporta una lettera di Carmelo Masemuci, detenuto presso il carcere di Padova e protagonista del libro "L'Assassino dei Sogni" realizzato grazie a Giuseppe Ferraro, (docente di Filosofia della Morale all’Università Federico II di Napoli, che ha pubblicato alcune lettere di Masemuci. Secondo la ricostruzione fatta infatti alcuni detenuti della struttura penitenziaria di via Burla avrebbero chiesto numerose copie di questo libro -per regalarle ai volontari del carcere e ad altre persone. L'autorizzazione sarebbe arrivata per l'acquisto di un solo libro. In carcere può accadere veramente di tutto. E spesso accade l’immaginabile. La Casa Editrice "Stampa Alternativa" ha dato voce e luce alle lettere che mi sono scritto con il professore di filosofia Giuseppe Ferraro (docente di Filosofia della Morale all’Università Federico II di Napoli) pubblicando con la collana Millelire un libricino con il titolo: "L’Assassino dei Sogni" (in questo modo i detenuti chiamano il carcere) "Lettere fra un filosofo e un ergastolano", pag.64, anno 2014, prezzo 1,00 Inbn 978862224178. Curato dalla brava giornalista Francesca De Carolis. Ed io ero particolarmente contento che l’editore lo avesse pubblicato in edizione economica (solo 1,00 euro) così lo avrebbero potuto acquistare con più facilità anche i ragazzi delle scuole. Per avere più possibilità di fare conoscere che in Italia, Paese del Diritto Romano e della Cristianità, esiste la "Pena di Morte Viva", alcuni uomini ombra (così si chiamano fra loro gli ergastolani) sparsi nei carceri d’Italia mi avevano avvertito che ne avrebbero comprate diverse copie per donarle e sensibilizzare gli operatori penitenziari, le associazioni di volontariato e la società civile. L’altro giorno dal "famoso" carcere di Parma (dove non si può tenere più di tre libri in cella) Mimmo mi ha scritto: Io, Giovanni,Corrado e altri avevamo inoltrato subito l’acquisto di diversi libri del "L’Assassino dei Sogni". Dopo due giorni l’Ufficio spesa chiamò me, Giovanni e Corrado chiedendoci il perché dell’acquisto di tanti libri a testa. Gli spiegammo che tante copie le volevamo dare in regalo alla società civile, volontari, scuole e altri per sensibilizzare il nostro problema di ergastolo ostativo. Il giorno dopo venne di nuovo il responsabile dell’Ufficio spesa e ci riferì che l’ispettore responsabile ci aveva autorizzato all’acquisto di una sola copia a testa. Chiedemmo spiegazioni e lui rispose che dovevamo presentare una richiesta scritta con delle motivazioni. Giovanni l’ha fatto e l’ha intestata alla Direzione, per conoscenza al Magistrato di Sorveglianza e al Garante dei detenuti ed altri organi istituzionali. Adesso siamo in attesa di risposte da parte della Direzione (…). Gli ho risposto: Caro Mimmo, l’altro giorno ho letto che nel 1985 ad una domanda di uno studente che chiedeva quali consigli egli potesse dare ai giovani, Ludovico Geymonat rispose: "Contestate e create". Ecco, io penso che anche gli uomini ombra per migliorare se stessi e il luogo in cui vivono, devono fare la stessa cosa.Invece per anni e anni molti di noi hanno vissuto senza accorgersene, senza cercare di capire. Probabilmente questo accade anche a molte persone in libertà, ma è un peccato che dentro all’ "Assassino dei Sogni", dove si ha più tempo per pensare, pochi lo facciano. Lo so, il carcere così com’è ti vuole solo sottomettere, prima lo faceva con la forza fisica, ora lo fa con quella psicologica, perché qui nulla è lasciato al caso. Ormai il carcere non vuole prenderti solo il corpo, quello l’ha già. L’"Assassino dei Sogni" vuole di più, molto di più. L’ "Assassino dei Sogni" vuole prenderti anche il cuore e l’anima. Resistiamo. Se non vi fanno acquistare altri libricini perché sono pericolosi, farò come Silvio Pellico. Farò le copie delle pagine del libro. E poche per volta te le manderò per lettera. Un sorriso fra le sbarre. Carmelo Musumeci Carcere di Padova. Padova: Casa di Reclusione, trovato un telefonino con sim in una cella al quarto piano di Enrico Ferro Il Mattino di Padova, 11 agosto 2014 È classificato come carcere di massima sicurezza ma, avanti di questo passo, rischia di farsi la nomea di un penitenziario dove tutto è concesso. Nonostante l’indagine della Squadra mobile di Padova che ha portato all’arresto di 15 persone tra cui sei secondini accusati di fornire ogni tipo di merce (droga, telefonini, film pornografici) ai detenuti, il problema sembra non essere stato ancora risolto: giovedì pomeriggio è stato trovato un altro telefono cellulare all’interno di una cella al quarto piano del Due Palazzi. La scoperta è stata fatta dagli agenti della polizia penitenziaria, su soffiata di un detenuto che ha visto con i suoi occhi alcune persone utilizzare un telefonino. Immediata la perquisizione al quarto piano. Tutto vero. In una cella è stato trovato l’apparecchio dotato di scheda sim. Il telefono, chiaramente, è stato sequestrato e sono in atto accertamenti per capire chi lo stava utilizzando e soprattutto a chi sono state indirizzate le telefonate. Sicuramente saranno chiesti anche i tabulati alla compagnia telefonica con cui era stato sottoscritto il contratto. Immediata la segnalazione in procura e, di conseguenza, agli uffici della Squadra mobile che sta portando avanti l’inchiesta. Il ritrovamento del telefonino è stato come un fulmine a ciel sereno all’interno del penitenziario. Certo, i problemi da risolvere sono molti ma si pensava che la recente indagine avesse quantomeno spaventato chi continuava ad alimentare questo sistema malato. Ma evidentemente non è bastato. L’attività della polizia è nata ad agosto dello scorso anno. Gli investigatori del vice questore aggiunto Marco Calì stavano intercettando un gruppo di marocchini sospettati di un traffico di droga. Un’indagine di routine come tante altre che ha preso una piega particolare quando gli agenti hanno scoperto che uno degli acquirenti era un agente della Polizia penitenziaria. Scattano accertamenti e intercettazioni, si apre il vaso di Pandora: i secondini portavano dentro di tutto in cambio di soldi dai detenuti e dai loro parenti. Alcuni agenti in servizio alla Casa di reclusione, secondo le contestazioni, erano insomma organici a un sistema illecito finalizzato all’introduzione in carcere di droga (eroina, cocaina, hashish, metadone), di materiale tecnologico (telefonini, schede sim, chiavette usb, palmari). Nell’ambito dell’operazione "Apache" sono state arrestate 15 persone: sette in carcere e otto agli arresti domiciliari (sei sono agenti della Penitenziaria). Torino: storie di viaggi, teatranti detenuti e "permacultura" di Irene Bertana www.comune-info.net, 11 agosto 2014 Prima di partire da Verrua Savoia, provincia di Torino, Irene e Marco hanno mandato l’adesione alla nostra campagna 2014: ciao, siamo due fratelli, 29 e 21 anni, lettori appassionati di Comune anche perché cresciuti in una famiglia che ci ha spronati a pensare criticamente il mondo che abbiamo attorno. Adesso molliamo tutto (Irene ha lavorato tre anni a Bruxelles) e andiamo a fare un giro in America Latina, il continente che ci sembra possa ispirare di più chi cerca alternative. Viaggeremo per un anno. È questo il questo il nostro Ribellarsi facendo. Racconteremo tutto sul nostro blog, Storie dell’Altro mondo, se volete però possiamo aggiungerle anche a quelle che pubblica Comune, ci farebbe piacere. Era febbraio. Quello dei fratelli Bertana, attraverso il Sudamerica, è già qualcosa di diverso da un semplice viaggio alla scoperta di un’América molto "altra", è una straordinaria ribellione della vita che inventa meraviglie e nuove relazioni sociali ogni giorno. Come a Santiago del Cile, dove Irene e Marco hanno incontrato la prigione, il teatro sociale e la permacultura, tenute insieme da una volontà tenace di fare mondi nuovi adesso In Cile, a Santiago, abbiamo avuto la nostra terza esperienza di Workaway e abbiamo conosciuto il Colectivo Sustento che si occupa di giustizia e inclusione sociale. Lo strumento principale è il teatro, lavorando nelle carceri e teatro costruendo spettacoli insieme ai detenuti. Penelope, nostra ospite e anima del collettivo, ci spiega che il teatro è un mezzo molto potente per scatenare riflessioni e fare sì che i detenuti ritornino a sentirsi persone, protagonisti, creatori in una dinamica collettiva di messaggi destinati a chi sta fuori. Il tema di ogni spettacolo viene deciso dal gruppo e l’ultimo, per esempio, cerca di smitizzare la figura del carcerato per chi, nelle zone più povere e marginali, vede chi delinque come eroe. L’obiettivo è far riflettere sulla perdita di libertà e su quello che si perde in termini di rapporti con chi sta fuori. Penelope è australiana e vive in Cile ormai da vent’anni e ci ha raccontato anche di come sia difficile scontrarsi con un sistema in cui si pensa ai detenuti solo in termini di minaccia alla sicurezza. Nei giorni che abbiamo passato con lei, ha partecipato a una riunione in cui una funzionaria molto zelante e poco aperta ha avuto da ridire perché i partecipanti al laboratorio sapevano la data dello spettacolo, che si sarebbe svolto al di fuori delle mura della prigione. Questo avrebbe potuto rappresentare un’occasione di fuga, quindi la data sarebbe dovuta rimanere segreta. Penelope allora ha spiegato di come il teatro sia un impegno volontario, in cui si instaura un vincolo di fiducia e che lo spettacolo è l’obiettivo del lavoro che viene fatto, per cui non si può non comunicare. Per fortuna un dirigente artistoide ha supportato l’argomentazione di Penelope, ma questioni come questa sono all’ordine del giorno. Oltre alle attività teatrali all’interno dei penitenziari, il collettivo fa anche permacultura, per ora nel cortile della casa di Penelope, che è la sede, ma sta cercando di trovare terre per aumentare la produzione e poter vendere. Per chi avesse nozioni vaghe come le mie fino a pochissimo tempo fa, la permacultura è "la progettazione, la conservazione consapevole ed etica di ecosistemi produttivi che hanno la diversità, la stabilità e la flessibilità degli ecosistemi naturali". In altre parole è un metodo per coltivare piante diverse in uno spazio, sfruttando al massimo un terreno, in modo ovviamente sostenibile ed ecologico. Una gran figata, secondo il nostro modesto parere. Gabriel, personaggio poliedrico che ha passato gran parte della sua vita in carcere, dove ha incontrato il teatro e iniziato a scrivere, si occupa di gestire l’orto. Ha imparato le tecniche in una fattoria che huellas verdese anche un progetto bellissimo. Si chiama huellas verdes, e distribuisce i prodotti a 71 soci, che ricevono un paniere di verdura ogni settimana e si impegnano a contribuire con 4 turni annuali alle attività della fattoria, come la coltivazione, la distribuzione o l’organizzazione di eventi sociali. È stato bello passare questi giorni con loro. E non solo perchè c’erano un gatto adorabile, Tigrito, e una Bialetti. Con Penelope abbiamo fatto delle gran belle chiacchierate sul funzionamento, sulla bellezza e sulle difficoltà di lavorare in forma collettiva. Oltre che sul Cile e su come non sia stato semplice per lei in quanto donna occidentale, acquisire credibilità in questo mondo ancora fortemente patriarcale. Abbiamo scoperto un po’ di più sul sistema carcerario cileno, e la storia della strage del carcere di San Miguel, dove Penelope ha lavorato per anni. Abbiamo anche piantato fragole, sgranato girasoli e stabilito che la permacultura è un tema che approfondiremo in questo viaggio. Cinema: concorso "Una storia con il Sud", vince un video con i ragazzi del circuito penale Adnkronos, 11 agosto 2014 Selezionati i video e le storie vincitori del contest "Una storia con il Sud". È stata una giuria di qualità a deciderlo, composta da Carlo Verdone, attore e regista; Isabella Aguilar, sceneggiatrice; Antonio Polito, direttore "Corriere del Mezzogiorno"; Luca Mattiucci, "Corriere della Sera" e Carlo Borgomeo, presidente Fondazione Con il Sud. Il concorso è stato promosso dalla Fondazione con l’obiettivo di promuovere, diffondere e far conoscere le buone pratiche avviate al Sud, con una modalità sperimentale: facendo incontrare chi "conosce bene" le storie (associazioni e organizzazioni non profit), con chi le può "raccontare bene" (video maker), attraverso video di 3 minuti. All’iniziativa hanno partecipato 113 filmati, realizzati da videomaker e film maker, e 200 storie di partecipazione, impegno civile e riscatto sociale proposte da associazioni e organizzazioni non profit meridionali come "soggetti" per i video. Primo classificato è stato "Lisca Bianca", video di Enrico Montalbano, Storia dell’Associazione Apriti Cuore Onlus, Palermo. Una storia di inclusione sociale. I protagonisti sono giovani del circuito penale, ragazzi a rischio esclusione e ospiti di una comunità terapeutica che, a Palermo, lavorano insieme per restaurare una barca a vela, Lisca Bianca. Un’occasione formativa e di riscatto, a livello professionale ma soprattutto sociale e umano. Al secondo posto, "Io ci provo" un video di Mattia Epifani, con una Storia dell’Associazione Factory Compagnia Transadriatica, Lecce. Il video racconta la storia del laboratorio teatrale rivolto ai detenuti della sezione maschile della Casa circondariale Borgo S. Nicola di Lecce. Un percorso per condividere emozioni, creare occasioni di socializzazione, promuovere il cambiamento. Infine il terzo "Vico esclamativo" di Efisio Scanu, Storia della Cooperativa Sociale La Paranza. Tratta della vita che si svolge nei vicoli del Rione Sanità, a Napoli. È la storia della sua gente, che ne vive quotidianamente le contraddizioni, ma anche il riscatto sociale reso possibile dalle "energie buone" del territorio. Agli autori dei tre video andranno i seguenti riconoscimenti: 4.000 euro al primo, 2.500 euro al secondo, 1.500 euro al terzo classificato. Ecco poi le storie selezionate: Brindisi, per l’Associazione Migrantes, una storia di sport e integrazione; Napoli: Cooperativa sociale Giancarlo Siani; la storia di Radio Siani, web radio della legalità, anticamorra e denuncia sociale. Cagliari: Associazione is Mascareddas, la storia di una "diversa fabbrica", con un fine importante, la cultura Palermo: Associazione volta la carta onlus, la storia di come sia possibile per ragazzi con disabilità psichica vivere a pieno la propria città, anche nel divertimento notturno. Foggia: Associazione avvocato di strada, storia di diritti nel Ghetto di Rignano, uno dei regni del caporalato. Le organizzazioni non profit che hanno proposto le cinque storie selezionate riceveranno un contributo di 1.500 euro ciascuna. Tantissime le preferenze espresse sul web, attraverso i "mi piace" di Facebook a storie e video partecipanti, raggiungendo complessivamente oltre 100mila preferenze in meno di 15 giorni. Le storie più apprezzate sono state quelle della Cooperativa Sociale Il Germoglio di Avellino (2.681 preferenze) e dell’Associazione Nova Vita di Lecce (2.237 preferenze). Anche i relativi video-racconti hanno raccolto il maggior numero di "mi piace" sul web: "Baseball & Social" (video di Stefano Fattizzo, storia dell’Associazione Nova Vita, 9.524 preferenze) e "Galeotto. il carcere vero" (video di Ermanno Bonazzi, storia della Cooperativa Sociale Il Germoglio, 5.540 preferenze). Considerati questi risultati, la Fondazione ha deciso di riconoscere un contributo di 500 euro ad entrambe le organizzazioni non profit. Ma, al di là dei compensi di natura economica, potranno esserci ulteriori e importanti riconoscimenti di tipo promozionale, grazie ai partner dell’iniziativa e non solo. L’iniziativa ha il patrocinio della Fondazione Alberto Sordi per i Giovani e la collaborazione di: Anem, Associazione Nazionale Esercenti Multiplex; Tg1 Fa la cosa giusta; Corriere.it; Premio L’anello debole, Capodarco Corto Film Festival; Lpm, Live Performers Meeting; Shoot4Change; Cresm, Centro ricerche economiche e sociali per il meridione. San Marino: in manette per favoreggiamento gendarme addetto a sorveglianza in carcere www.altarimini.it, 11 agosto 2014 Avrebbe favorito comunicazioni all’interno del carcere dei Casetti, a San Marino, tra Claudio Podeschi, ex segretario di Stato Dc, e la compagna Biljana Baruca, entrambi detenuti rispettivamente per riciclaggio e per pericolo di inquinamento prove nell’ambito dell’inchiesta Conto Mazzini. È finito così in manette il gendarme Mirco Mazzocchi, con l’accusa di favoreggiamento. Il tutto a due giorni dalla perquisizione del carcere ad opera delle forze dell’ordine, che per qualche ora hanno scandagliato minuziosamente la struttura controllando anche le telecamere esterne. Sembra che Mazzocchi, addetto alla sorveglianza ai Cappuccini, abbia agevolato non solo comunicazioni tra Podeschi e la compagna, ma anche tra loro e l’esterno. Haiti: evasione di alcune decine di prigionieri da un carcere di massima sicurezza Reuters, 11 agosto 2014 Diverse decine di detenuti sono evasi da una prigione di massima sicurezza di Haiti, a una decina di chilometri di Port-au-Prince, a seguito di una rivolta scoppiata all’interno del penitenziario. Lo ha annunciato un portavoce della polizia haitiana. Un parlamentare che si trovava sul posto ha precisato che si è trattato di un’evasione spettacolare e che i detenuti fuggiti sarebbero un centinaio. "Ne abbiamo catturati 13, ha detto il portavoce, e stiamo cercando gli altri, tra cui anche un influente uomo d’affari, Clifford Brandt, accusato di rapimento e sulla cui testa è stata messa una taglia di 40.000 dollari. Nel penitenziario, prima dell’evasione, c’erano 897 persone. L’edificio è stato realizzato nel 2012 grazie ad un finanziamento di 5,7 milioni di dollari assicurato dal Canada. All’origine dell’evasione vi sarebbe stato un complotto interno al carcere e dall’esterno non sarebbero giunti aiuti alla fuga.