Una madre “delinquente e drogata” con la voglia di ricostruire la sua vita Il Mattino di Padova, 9 settembre 2013 In carcere la scrittura a volte è lo strumento per ritrovarsi, per ricostruire legami spezzati, per ridare un senso alla propria vita proprio nel momento più difficile, quando la galera ti opprime e il passato con tutti gli errori, le fatiche, le scelte autodistruttive ti pesa addosso e sembra chiuderti qualsiasi possibilità di costruirti un futuro diverso. Tania è una donna detenuta, ha un passato in cui la droga ha condizionato pesantemente tutta la sua vita, ma ha anche un bambino, che non riesce ancora a vedere perché tra lei e quel bambino c’è di mezzo la galera. Alla lettera che ci ha scritto vogliamo dedicare tutto lo spazio di questa settimana perché lo merita, perché ci aiuta a capire che le persone non possono essere identificate con il loro reato, non sono unicamente quello, come invece spesso appare nelle cronache fredde e crudeli dei giornali. Tania ha paura che il figlio possa vedere in lei solo la “madre delinquente e drogata”, ma, proprio per non essere etichettata e inchiodata ai reati che ha commesso quando la droga era più forte di qualsiasi altra cosa, ha deciso di non nascondere nulla della sua storia difficile, neppure i momenti in cui il desiderio di farla finita era forte, oppure quelli in cui fare del male al proprio corpo era l’unico modo per non sentire la sofferenza dell’anima. E oggi, anche grazie alla scrittura, così importante per lei, sta cercando di ridare senso alla sua vita e ricostruire un rapporto con suo figlio. Perché è possibile essere una buona madre se si riesce, come sta facendo lei, a “leggersi dentro” e a fare i conti con i propri errori. Quando la solitudine mi assale mi faccio compagnia scrivendomi Scrivere per scrivere. Scrivere per cercare di vivere. Scrivere per buttare un po’ di inchiostro su una pagina bianca, scrivere per riempire il vuoto che ti porti dentro. Scrivere per cercare parole che diano un senso, una logica a qualcosa di troppo irrazionale per essere spiegato. Scrivere per cercare un dialogo con se stessi proprio quando ci si sente più sordi che mai. Scrivere per cercare di convincersi ad aprire gli occhi perché è tutto davanti a noi, ma il sole è troppo accecante e la notte troppo buia. Scrivere per ricordarti che anche se sei ferito a morte e ti preoccupi perché non sai quanto ancora riuscirai a tirare avanti, sei ancora vivo e hai il dovere morale di riuscire ad arrampicarti anche sugli specchi. Scrivere. Mi piace scrivere e quando la solitudine mi assale mi faccio compagnia scrivendomi qualcosa, e quando vado a rileggere è come andare a trovare una confessione sincera ed onesta regalata al proprio io, del quale a volte proprio noi stessi siamo i primi a dimenticarci. La penna è un’arma, la puoi usare per farti del male, la puoi usare per fare del male, io la uso come una alleata perché mi aiuta a mettere un po’ di ordine nel caos che purtroppo oramai soprattutto in questo periodo mi regna nel cervello. Solo con una penna in mano riesco ad ammazzare il tempo in questo maledetto girone di un inferno che l’uomo e la “giustizia” sono riusciti a creare sulla terra. Detenuti come dannati, qualcuno perfino condannato a vita… Un magistrato vince un concorso e qualche volta ha la presunzione di fare le veci di Dio, quando si siede sotto la scritta “La Legge è uguale per tutti”. Ma che triste menzogna! Io penso che sarebbe più onesto citare Dante e scrivere a caratteri cubitali: “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate” e “Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’eterno dolore …”. Il carcere, mal strutturato come è troppo spesso, è come un genitore cattivo che di fronte ad un figlio che commette un errore non cerca di capire cosa lo ha spinto a sbagliare e amorevolmente cerca di rimetterlo sulla strada corretta, ma si toglie la cintura, e non sono le botte che fanno male, quello che ti distrugge è l’umiliazione, la frustrazione di essere troppo piccoli per difendersi. Il carcere fa male, e troppe volte non dà nessun insegnamento, se non trovi la forza dentro te stesso, se perdi il coraggio di combattere vieni inesorabilmente schiacciato. Io non posso non pensare a tutti i compagni e le compagne che sono stati messi in ginocchio, che non hanno trovato una mano amica che li aiutasse a rialzarsi, persone deboli considerate perdenti, che come ultimo estremo atto di coraggio hanno scelto di riprendersi la libertà in tutto e per tutto, soffiando sulla fiamma della vita e lasciando intrappolato solo un corpo freddo, perché l’anima non appartiene alla terra e almeno in quella siamo liberi, possiamo lasciarla volare via come e quando vogliamo, che sia una lametta, un lenzuolo o la bombola di un fornelletto… Io non posso assolutamente permettermi di giudicare, anch’io ho provato a togliermi la vita, ero arrivata ad un punto che il dolore che provavo dentro era diventato insopportabile e non mi importava niente, neanche del male che so che avrei fatto alle persone che abbandonavo, la vita mi aveva sconfitto e io volevo solo sprofondare nell’oblio, ma anche il demonio non mi ha voluto… mi hanno tirato in qua più di una volta e io mi sono sentita condannata a dover vivere una vita che non mi apparteneva più, nella quale mi sentivo l’ultima dei reietti. Poi un giorno, quando meno me lo aspettavo, questa maledetta esistenza mi ha fatto un dono, io che mi sentivo un essere abbietto ho messo al mondo una creatura stupenda. Io che ero morta dentro ho dato la vita ad un piccolo bellissimo angioletto biondo… La voglia di morire è sparita il giorno che lui è venuto al mondo. Adesso sono quasi tre anni che non lo vedo, sto pagando tutti gli errori che ho commesso per drogarmi, dopo la sua nascita non ho fatto reati ma l’oste è arrivato e mi ha presentato il conto, un conto pesante: otto anni per un sacco di cazzate. Sì lo so, ho sbagliato e pago, quando mi sento troppo male magari mi spengo ancora una sigaretta sul braccio, il dolore fisico esorcizza il dolore che sento nello stomaco, ma non mollo. A mio figlio possono dire quello che vogliono, sono una madre delinquente e drogata, forse mi odierà per questo, per le scelte sbagliate che mi hanno tenuto lontana da lui. Ma non posso più permettermi di morire, a meno che non arrivi la mia ora, anche se mi sputerà in faccia un giorno devo dirgli, guardandola in quegli occhi scuri e grandi come i miei, quanto lo amo, quanto l’ho sempre portato nel cuore e quanta compagnia mi ha fatto di notte nei miei sogni venendomi a trovare, dandomi, da uomo il quale diventerà, sempre buoni consigli e tanta forza, in modo che a tutti i dispregiativi del mondo non aggiungeranno mai la parola vigliacca. Bambino mio, sei l’unica cosa bella e buona che ho fatto nella vita... prima o poi questo incubo finirà, io prego l’angelo custode che ti protegga perché adesso io non posso farlo. Un giorno ci incontreremo e magari avrò la fortuna di ricevere il tuo perdono per la mia assenza forzata. Ti verrò a cercare perché ti devo ringraziare di avermi ridato la voglia di vivere. Tania Giustizia: detenuti, rieducazione flop; l’attuale sistema rende difficile il reinserimento di Antonio G. Paladino Italia Oggi, 9 settembre 2013 Nella relazione della Corte dei conti sul lavoro carcerario emergono problemi irrisolti. L’assistenza e la rieducazione dei detenuti non funziona. Alle croniche carenze di disponibilità finanziarie previste a tal fine, si aggiungono anche altri fattori che devono indurre l’amministrazione penitenziaria a rivedere il sistema attuale. Tra questi, l’attuale svolgimento di percorsi formativi per lavori artigianali che rendono difficile il reinserimento del detenuto in un mercato del lavoro fortemente concorrenziale e ad alta tecnologia. Senza dimenticare che, a monte, la mancanza di adeguate direttive sulla ripartizione dei fondi strutturali si ripercuote in una deleteria frammentazione degli interventi, rendendo vano il risultato. È quanto emerge dalla lettura della recente relazione con cui la Corte dei conti, sezione centrale di controllo sulle amministrazioni dello stato, ha reso noti i risultati della specifica indagine sulla rieducazione dei detenuti. Lo scenario sui corsi attivati da Via Arenula è scoraggiante, in quanto la popolazione carceraria è demotivata a causa del difficile collocamento e della mancanza di prospettive lavorative. In pratica, pochi detenuti riescono a completare i percorsi formativi. Da un lato, però, le cause sono anche da ritrovare nella composizione stessa della popolazione carceraria. I dati forniti alla Corte dal ministero della giustizia, infatti, rilevano come una discreta parte dei detenuti sia provvisto di un diploma di scuola media inferiore, mentre un buon 40% è analfabeta. Aggiungendo anche gravi problemi di degrado sociale, la relazione della Corte ammette che è difficile programmare e attuare percorsi formativi in tale contesto. A conti fatti, i detenuti impegnati nelle attività lavorative, sia all’interno che fuori dal carcere, sono poco meno di un quinto del totale della popolazione carceraria. Con riguardo alla natura dei corsi formativi, la magistratura contabile ha rilevato che molti si occupano prevalentemente di artigianato, trascurando la formazione base in informatica. In tal modo, a detta della Corte, piuttosto che garantire occasioni di reinserimento si genera “maestranza” difficilmente collocabile in un mondo segnato dall’alta tecnologia. Se le somme messe a disposizione nel bilancio dello stato si assottigliano, quando a un progetto viene assegnata una percentuale irrisoria dei fondi richiesti e nel momento in cui il sovraffollamento delle carceri è sempre più attuale, per la Corte viene da chiedersi quali garanzie potrà dare lo stato rispetto agli impegni per favorire i percorsi di reinserimento dei detenuti. Non risulta, infatti, che siano mai state sviluppate strategie che possano contemperare le esigenze di sicurezza, di deflazione dal sovraffollamento, con quelle di assistenza e rieducazione. Sul piano procedurale, poi, la relazione della Corte ha evidenziato diverse “anomalie”. La carenza di monitoraggi, l’assenza di apposite banche dati sugli stanziamenti di bilancio e la mancanza di indicatori che permettano all’amministrazione penitenziaria di verificare se l’attività di rieducazione carceraria, che rappresenta un costo per lo stato, sia andata effettivamente a buon fine e in che misura. Senza dimenticare che vengono sollevate anche carenze a livello pianificatorio, sia in merito all’inadeguatezza dei percorsi scolastici e formativi, che a causa dell’insufficiente coordinamento sul territorio dei soggetti istituzionali preposti. Ma per la Corte, le cause di questa débâcle devono trovarsi anche nei tagli agli organici, nell’impossibilità di una sostituzione per la disciplina del turnover e nella poco soddisfatta esigenza di disporre di una pluralità di figure professionali. Giustizia: Sappe; energie alternative negli istituti penitenziari, per un risparmio reale Adnkronos, 9 settembre 2013 “La chiusura di alcuni tribunali decisa con il pugno duro da parte del ministro della Giustizia Cancellieri e dal suo predecessore Severino, che tante polemiche ha comportato e comporta presso la pubblica opinione e gli addetti ai lavori, sta a dimostrare come le decisioni di risparmiare denaro pubblico, non sempre ottengono la dovuta attenzione se non suscitano polemiche o scontro politico”. È quanto sottolinea in una nota il Sappe, Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria, riferendosi alla riforma della geografia giudiziaria. “Per risparmiare circa 60 milioni è successa quasi una sollevazione popolare - ricorda il Sappe - anche perchè lavoratori, magistrati, avvocati, cittadini alla fine spenderanno molto di più, mentre si potrebbero risparmiare altrettanti milioni sulle bollette elettriche delle carceri solo con l’utilizzo dell’energia fotovoltaica, ma nessuno interessato al problema a partire proprio dal ministro”. “È incredibile che al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si paghino il tanti dirigenti generali, a partire dai vertici, centinaia di migliaia di euro all’anno senza che nessuno si accorga che si sarebbero potuti risparmiare, in questi anni tantissimi milioni di euro”, denuncia il Sappe che ricorda la richiesta rivolta da anni al Dap “di provvedimenti che costringano le Direzioni degli istituti a pianificare l’installazione di pannelli fotovoltaici sugli spazi sotto la loro giurisdizione quali parcheggi esterni ,oppure tetti di caserme, uffici, sezioni detentive”. E annuncia che si rivolgerà alla Corte dei Conti “poiché la mancata produzione di energia fotovoltaica presso le carceri continua a procurare spese per decine di milioni di euro che possono tranquillamente essere abbattute”. “Sappiamo anche che dal 2002 è costituita presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria una commissione per lo studio delle energie rinnovabili che negli anni ha partorito solo la sostituzione di commissari vari - osserva il Sappe. Tra questa inerzia abbiamo notizia dello sforzo di taluni dirigenti di carceri, vedi quello di Lecce, che da anni trasmette progetti di realizzazione di impianti che a tutt’oggi non sono stati ancora autorizzati”. Eppure, “le somme risparmiate non sarebbero certo noccioline, considerato per esempio che proprio a Lecce si spendono annualmente circa 800.000 euro per l’energia elettrica, mentre con l’installazione di un impianto fotovoltaico che costerebbe praticamente nulla, si ridurrebbe tale bolletta di circa il 30-40%, qualcosa come 300.000 euro l’anno. Fatto un calcolo per gli oltre 200 penitenziari nazionali, il risparmio sarebbe sorprendente poiché si parla di decine di milioni di euro”. Il Sappe ritiene che “se non si abbatte il mostro della burocrazia che consente ai vari dirigenti dello Stato di percepire tanti soldi senza mai dover rispondere a nessuno del proprio operato, la spending rewiev sarà solo una parola di facciata per compiere operazioni politiche, e non certo per aiutare in concreto conti del nostro Stato. Ora il ministro Cancellieri non può più dire di non sapere di uno dei tanti sperperi che continuano a perpetrarsi nelle carceri italiane - conclude la nota - grazie anche a chi in questi anni, nonostante le grandi responsabilità, sontuosamente retribuite, non ha certo mosso un dito sulla questione non pensando così agli interessi della comunità e quindi dello Stato”. Giustizia: caso Cucchi; appello della Cancellieri “Alla famiglia risposte giuste” di Carlo Ficozza La Repubblica, 9 settembre 2013 Alla famiglia di Stefano Cucchi si diano “risposte giuste”, esorta la ministra Annamaria Cancellieri (Giustizia).”Queste parole”, per Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, “rafforzano la determinazione a non fermarci di fronte a una sentenza che sembra fatta per insabbiare i fatti”. Impegniamoci fino in fondo per fare tutto il possibile”, ha detto Cancellieri a SkyTg24. Ma, ha aggiunto, sono “fatti complessi dei quali non si arriva a comprendere bene lo svolgimento”. Tant’è, il trentunenne, arrestato sano il 16 ottobre 2009, si spense sei giorni dopo in solitudine, con la schiena rotta in un letto del padiglione carcerario del “Pertini” dopo un ricovero pilotato. Sulla vicenda di Cucchi, come su quelle di Aldrovandi e Uva, tutte con epilogo mortale, “la giustizia si è espressa”, ha aggiunto la ministra, “ma i familiari non hanno avuto risposta piena alle loro domande: dobbiamo vedere se sono state fatte tutte le indagini che andavano fatte, se tutto è stato fatto al meglio”. Dichiarazioni chiare. Preludono a richieste alla procura o ad altre azioni? Sta di fatto che arrivano 5 giorni dopo il deposito delle motivazioni alla sentenza della Corte d’assise che, prosciogliendo tre agenti carcerari, tre infermieri e condannando sei medici del Pertini, adombra l’ipotesi di un pestaggio da parte dei carabinieri. “La sentenza”, aveva criticato Ilaria Cucchi, “rappresenta il fallimento della Procura”. Ora commenta: “Le parole della ministra rafforzano la determinazione a non fermarci di fronte a un giudizio che sembra finalizzato a insabbiare i fatti che hanno portato Stefano alla morte”. Lettere: la voce dei detenuti forte contro la guerra don Marco Pozza Il Mattino di Padova, 9 settembre 2013 Con la freschezza e l’irruenza di un controsenso difficile da capire. Perché qualcuno di loro - gente che abita dentro il ferro e il cemento delle carceri - per anni la guerra l’ha ideata e organizzata con le sue mani, la violenza per decenni è stato il suo alfabeto, l’angoscia era strettamente legata alla semplice presenza o comparsa sulla scena di un crimine. Gente che nel nome della guerra è finita per spargere sangue, terrore e spavento; complicando poi tremendamente la vita a loro stessi e alle loro famiglie. Eppure questa gente ieri era lì, inginocchiata di fronte ad un Pane spezzato, simbolicamente unita al mantello di un uomo chiamato Francesco che al mondo intero ha chiesto di pregare per la pace. Loro Francesco lo amano per quel suo essere povero tra i poveri, lo stimano per quella prossimità umana disarmante, lo cercano scrivendogli lettere ciclopiche e ubriache di confidenza: in quello sguardo tagliente e paterno hanno letto subito l’irruzione di un Mistero che li sorpassa, di un Qualcosa che supera la loro arroganza, di una Voce che è Voce di un silenzio che urla. Tanti di loro oltre che d’armi sono uomini d’onore: l’onore in certi lembi di umanità è tutto. Eppure stavolta si son scrollati di dosso pure quello e si son inginocchiati per pregare per la pace che, magari senza saperlo, è stato un’ammissione di impotenza della loro stessa grammatica: la violenza non porta a nulla. Chissà che peso specifico possono avere nelle bilance del Cielo le preghiere di chi nella vita ha deragliato o, tutt’al più, s’è messo un giorno al posto di Dio conducendo la morte negli occhi di qualche creatura. Rimane solo una certezza da non dimenticare mai, pena l’incomprensione di certi gesti: un santo è un peccatore che non smette mai di migliorarsi. Invocare la pace nell’attimo più prossimo alla guerra è quasi un invito alla derisione: “tanto ormai cosa cambia?” potrebbe sempre dirci qualcuno. La natura, però, attesta che è nel momento massimo dell’oscurità notturna che l’aurora inizia a sorgere. Che è come assicurare che anche quando la morte sembra fare da padrone, la vita potrebbe sempre spiazzare con un colpo di coda e rilanciare l’avventura. Non stupisce dunque la preghiera dei “malfattori” per una giusta causa: le loro voci baritonali e stonate, il silenzio dilaniato dei loro sguardi, la tenerezza di lineamenti trasformati dagli anni di detenzione sono una delle immagini più oneste di cosa si possa fare quando il mondo unisce le forze per un sogno comune: fare in modo che in un piccolo segno stia nascondo un grande sogno, quello dell’amore. Con la preghiera il digiuno: anche quel poco che qualcuno possiede - a volte nient’altro che una pagnotta e qualche insaccato - per un giorno lo si è messo da parte in nome della pace. Non è questione di dieta, stavolta nemmeno di protesta: è un silenzioso rientrare in se stessi per trovare quel centro che permetta di avvertire cosa davvero conta in questo pugno di giorni di quaggiù. Col digiuno e la preghiera nessuno ieri ha risolto i problemi delle carceri. Nulla però ha potuto contro la preghiera anche di uno solo di loro: perchè certi attimi della storia possono davvero cambiare quando l’uomo s’inginocchia e prega, fin quasi a far crollare Cristo dalla Croce. Per scoprire, magari in calce ad una vita delittuosa, che certi “no” detti in ginocchio valgono il centuplo di troppi “sì” mentre si sta correndo. Chissà però verso dove. Lettera aperta di un uomo ombra a Silvio Berlusconi Ristretti Orizzonti, 9 settembre 2013 “Da dove viene la singolare pretesa di rinchiudere per correggere?” (M. Foucault). Caro Silvio, spero che ti diano la “Grazia” o l’affidamento al “Servizio Sociale” o qualsiasi altra cosa che t’impedisca di entrare in carcere, perché la galera, specialmente quella italiana, non si augura a nessuno. Nell’inferno delle nostre Patrie Galere scopriresti che ci sono alcuni detenuti che si tolgono la vita perché si sta così male che preferiscono morire che vivere, perché dalla sofferenza puoi tentare di scappare, ma non puoi cancellarla. Scopriresti che dentro queste mura persino i sorrisi sanno di tristezza, perché ci sono uomini che non accarezzano da decenni le donne che amano. Scopriresti che in carcere i piedi non si alzano, si trascinano perché non si può andare da nessuna parte, c’è sempre un muro davanti a noi. Scopriresti che molti detenuti da ragazzi non hanno mai ricevuto nessuna educazione e istruzione come invece hanno ricevuto molte persone “perbene” ladre e molti politici corrotti. Questa cosa dovrebbe essere un’attenuante per i primi e un’aggravante per i secondi, invece i delinquenti poveri e ignoranti sono sempre considerati più criminali e cattivi di quelli istruiti e ricchi. Scopriresti che un carcere che non funziona è criminogeno, ti fa sentire innocente per qualsiasi reato che hai commesso e ti dimostra che gli altri sono più cattivi di te. Scopriresti che il carcere in Italia non ha solo una funzione diseducativa, ma ti fa passare anche la voglia di vivere. Per questo sarebbe meglio una giustizia riparativa, che non aggiungere male ad altro male. Caro Silvio, nelle nostre prigioni scopriresti che ci sono uomini ombra, murati vivi, condannati a essere cattivi e colpevoli per sempre, condannati all’ergastolo senza benefici, che non usciranno mai, fino alla loro morte fisica. Ombre che si muovono attorno al nulla aspettando la morte, osservando un mondo che non vedono e non sentono più. Scopriresti che ci sono funzionari dell’Amministrazione Penitenziaria che maltrattano i prigionieri. E poi forse alla domenica s’inginocchiano in chiesa e pregano Dio, convinti che basti pregare per essere innocenti. Scopriresti che se anche molti detenuti sono colpevoli, a differenza di molte persone perbene, hanno ancora l’anima pulita. Scopriresti che quello che manca di più in carcere, a parte l’amore, è la fiducia dei buoni. E che in questi luoghi si vive di nulla e si pensa al nulla perché anche la speranza in questo inferno si consuma. Scopriresti che l’Assassino dei Sogni, il carcere come lo chiamano i detenuti, ti ruba l’anima, la mente, la memoria e la vita. E oltre a non funzionare, crea un essere vendicativo perché trasforma il colpevole in una vittima. Poi quando ricevi del male tutti i giorni ti dimentichi di avere fatto a tua volta. Caro Silvio, mi dimenticavo di dirti un’ultima cosa: incredibilmente, il carcere è ancora uno dei pochi luoghi dove si può ancora sentire l’odore di umanità. Ti auguro buona vita e di non finire in galera. T’invio anche un sorriso fra le sbarre. Carmelo Musumeci Carcere di Padova, settembre 2013 Puglia: Distaso e Lettieri (Pdl); boom raccolta firme per Referendum sulla giustizia Gazzetta del Mezzogiorno, 9 settembre 2013 “Dalla Puglia si registra una grande affluenza ai cento gazebo istituiti dal Pdl a sostegno della campagna referendaria sulla riforma della giustizia promossa dai Radicali. È il segnale che il tema è molto sentito dai cittadini, al contrario di quanto sostengono i detrattori, che forte è la partecipazione alla vita democratica e profonda la consapevolezza che il Paese non potrà ripartire se non affronta i nodi cruciali che ne bloccano la piena agibilità democratica”. È il commento del vice coordinatore regionale del Pdl Puglia, on. Antonio Distaso che, insieme al coordinatore del PdL Grande Città di Bari, sen. Luigi d’Ambrosio Lettieri, sottolineano “il grande risultato che si va profilando, grazie non solo al lavoro svolto dai dirigenti del partito, ma anche grazie alla mobilitazione dei gruppi locali, dei giovani, dei movimenti in tutta la regione e in particolare nel capoluogo. In poche ore, sono state raccolte 1.500 firme”. Palermo: con il lavoro “evadiamo” dal carcere, il racconto di tre detenuti di Onorio Abruzzo La Sicilia, 9 settembre 2013 Le storie di tre detenuti che sono inseriti nei progetti lavorativi all’interno delle prigioni siciliane. “Un uomo solo che guarda il muro è un uomo solo. Ma due uomini che guardano il muro è il principio di un’evasione”. Lo sanno bene gli oltre settemila detenuti nelle carceri siciliani che, ispirati da questa frase di Jack Folla, il noto dj nel braccio della morte, protagonista di una nota trasmissione radiofonica a cura di Diego Cugia, cercano “l’evasione” attraverso i numerosi progetti di reinserimento che si svolgono all’interno dei troppo affollati istituti penitenziari dell’Isola. Scontare una pena, ma nello stesso tempo “evadere”, occupando gran parte della giornata in varie attività lavorative, rappresenta l’unico modo utile e civile a salvaguardia dei diritti dei detenuti, che nella maggior parte dei casi, una volta in libertà, non commettono più i reati per i quali sono stati rinchiusi. Salvo 33 anni è in carcere da due per rapina e sta scontando la sua pena occupandosi di raccogliere e lavorare gli ortaggi coltivati nel terreno circostante la casa circondariale Pagliarelli nel capoluogo siciliano. Salvo ha una moglie e due figli e quando prepara i cesti di frutta o lavora il miele pensa soltanto a loro. “In questi due anni che mi restano da scontare - afferma il palermitano Salvo - le varie attività che svolgo mi fanno sentire utile verso la mia famiglia a cui racconto tutte le cose che sto imparando. Rispetto ad altri miei compagni di carcere mi sento fortunato di avere la possibilità di uscire e lavorare e quando sarò libero voglio trovare un’occupazione onesta”. Mentre racconta la sua vita di ogni giorno all’interno del Pagliarelli, Salvo si lascia scappare anche la richiesta allo Stato di un indulto e un’amnistia per coloro che, con reati minori, sono costretti a vivere in istituti penitenziari che rischiano di scoppiare a causa dell’esagerato sovraffollamento. A pensarla come lui anche Baiba Youssef, giovane marocchino che, in carcere da tre anni per spaccio, trascorre le sue giornate lavorando in cucina. “Mi alzo ogni mattina alle sette - afferma Baiba - preparo il caffé e distribuisco la colazione ai miei compagni. Tra le sbarre essere occupati in qualche attività è una cosa importante: una volta fuori voglio lavorare in un ristorante. Quando commettevo dei reati - continua Baiba - non conoscevo l’Italia, ero sbandato, non parlavo la lingua e tutti mi sbattevano la porta in faccia”. Giuseppe, invece, coi i suoi 17 anni è ospite nel carcere minorile di Palermo “Malaspina”. Dentro per rapina si occupa di giardinaggio, studia per prendersi la licenza di terza media e dice che la cura delle piante sarà la sua futura attività. Tanti i progetti lavorativi all’interno delle carceri. Un universo di attività che spesso però si scontra con la carenza di personale e di associazioni di volontariato disposte a portare avanti le iniziative. “L’80 per cento circa dei detenuti che vengono sottoposti ad un’esecuzione penale regolare di trattamento rieducativo - spiega il garante dei detenuti Salvo Fleres - una volta usciti non reiterano i reati e non tornano in carcere, mentre l’80 per cento dei carcerati che scontano la pena in strutture sovraffollate, prive di trattamento, di istruzione tornano in carcere più volte”. Cagliari: Osapp; nel carcere di Buoncammino scoppia rissa dopo la messa Ansa, 9 settembre 2013 “Ancora nell’occhio del ciclone la Casa Circondariale di Cagliari”. A dichiararlo è il Segretario Generale Aggiunto dell’Osapp - Domenico Nicotra - che denuncia un principio di rissa, domenica intorno alle ore 10 circa, davanti i locali della chiesa del carcere, al termine della funzione religiosa. Diversi detenuti hanno litigato tra di loro, e solo grazie alla professionalità del personale presente, che prontamente è intervenuto, sono state scongiurate ulteriori e più deleterie conseguenze. “Purtroppo - continua Nicotra - se non verrà necessariamente riorganizzato l’assetto organizzativo legato direttamente alla sicurezza penitenziaria questo status quo è destinato a restare inalterato”. “In conclusione, afferma il sindacalista dell’Osapp, la sicurezza penitenziaria dell’Istituto cagliaritano e quella più in generale quella pubblica della città sarda deve necessariamente passare attraverso una maggiore efficienza del mandato istituzionale affidato al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria e questo sarà possibile solo assicurando una necessaria continuità di comando, provvedendo pertanto ad assegnare stabilmente i Commissari e funzionari del Corpo di Polizia Penitenziaria”. Milano: detenuti-camerieri alle feste vip, pronti a servire calciatori, musicisti e manager Corriere della Sera, 9 settembre 2013 Dal carcere di Opera alle cerimonie. “Verranno retribuiti regolarmente con un contratto a chiamata”. Hanno imparato ad allestire un buffet, a disporre con precisione posate e tovaglioli, ad aiutare gli chef in cucina. Sono i nove detenuti di Opera e Bollate che da fine settembre cominceranno a collaborare con Food Couture, società di catering specializzata in eventi chic e matrimoni di personaggi noti. Calciatori, sportivi, musicisti: nell’albo d’oro ci sono le nozze di un membro degli Oasis e quelle di Stefano Domenicali, manager della Ferrari. Due anni fa la società aveva “nutrito” anche la band dei Take That arrivata a Milano per un concerto. Ecco, da adesso tra i camerieri e gli aiuto cuochi di Food Couture ci saranno anche i detenuti delle carceri milanesi: “Verranno pagati regolarmente con un contratto a chiamata - spiega la titolare Ilaria Redaelli. Per noi questa partnership è molto importante, un modo per reinserire queste persone nel mondo del lavoro”. I nove detenuti hanno già frequentato un corso di formazione e sono pronti al debutto: il 28 settembre parteciperanno al catering di un open day aziendale. L’idea della collaborazione è venuta alla cooperativa Trasgressione.net, da 15 anni attiva nelle carceri milanesi per promuovere l’inclusione sociale dei condannati. Napoli: domani mattina ci saranno due presidi all’esterno delle due prigioni cittadine Il Giornale di Napoli, 9 settembre 2013 Sempre alta l’attenzione sulle condizioni di vita dei detenuti nelle carceri napoletane. Domani mattina ci saranno due presidi all’esterno delle due prigioni cittadine. L’Associazione Radicale per la Grande Napoli, che da sempre si occupa delle condizioni di vita dei detenuti e a gran voce reclama l’indulto, sarà impegnata a raccogliere firme per i referendum Radicali all’esterno del carcere di Secondigliano, mentre l’associazione Ex Don, Ex detenuti organizzati napoletani, manifesterà all’esterno del carcere di Poggioreale per protestare contro il sovraffollamento e l’invivibilità del carcere. “Siamo impegnati da giorni - chiarisce Emilio Martucci, membro del comitato nazionale dei radicali Italiani - per la raccolta firme fuori al carcere di Poggioreale, domani ci sposteremo a Secondigliano. Sono molti i cittadini che stanno firmando, con la speranza che in questo paese possa finalmente cambiare qualcosa. Essere tra la gente ad ascoltare quelle che sono le vere istanze sociali, dovrebbe essere un dovere di chi dice di occuparsi della cosa pubblica”. A Poggioreale, invece, a partire dalla prima mattinata, i parenti dei detenuti si uniranno all’associazione Ex don, per battersi a favore dei diritti dei detenuti. “Saremo fuori al carcere più affollato d’Europa - spiega Pietro Ioia, presidente dell’associazione Ex don - per dare voce a quelli che non ce l’hanno”. Sarà un presidio pacifico, per gettare nuova luce sulla piaga del sovraffollamento, che toglie dignità al detenuto. “Faremo un appello anche contro il regime di 41 bis - prosegue Ioia - che, a nostro parere, è una tortura legale. Il carcere italiano è basato sul recupero e sul reinserimento sociale, queste persone, invece, restano sepolte vive in carcere e non hanno null’altro da fare che aspettare la morte per essere libere”. Ioia fa notare anche un altro aspetto del carcere duro, legato alla possibilità di pentimenti e confessioni da parte dei boss. “Molte volte il 41 bis è applicato per riuscire ad ottenere pentimenti e informazioni continua il presidente dell’associazione Ex don - Negli ultimi anni i boss si allenano a non cedere psicologicamente e quando si accorgono che per loro si mette male, cominciano la latitanza in dei veri e propri buchi, piccoli e stretti, per non cadere nella tentazione di pentirsi. Bisogna studiare altre misure per la rieducazione e il recupero dell’individuo, come previsto dalla Costituzione”. Palermo: al carcere Malaspina manifestazione “Nella Memoria di Giovanni Paolo II Italpress, 9 settembre 2013 “Ringrazio gli organizzatori per avere scelto Palermo quale sede dell’ottava edizione della manifestazione “Nella Memoria di Giovanni Paolo II”. Esprimo la mia gioia per questa attenzione verso le nuove generazioni che potranno guardare alla figura di questo grande Papa che noi non abbiamo contemplato nella morte, ma nella vita che era impressa nei suoi occhi con cui guardava le persone in profondità. Adesso egli ci accompagna dal cielo e fare memoria per noi e per i giovani assume una importanza fondamentale”. Lo ha detto, stamani, il cardinale Paolo Romeo in occasione della presentazione della manifestazione prodotta dalla “Life Communication produzioni televisive e grandi eventi” per ricordare la figura e l’opera di uno dei Pontefici più amati nella storia della Chiesa e per mantenere vivi i suoi insegnamenti. Alla presentazione erano presenti anche l’attrice Claudia Koll, il direttore del Centro Giustizia minorile Angelo Meli e l’assessore comunale alle Infrastrutture Tullio Gioffrè. La manifestazione, ideata da Domenico Gareri, autore e conduttore televisivo, si terrà a Palermo il prossimo 21 settembre e sarà realizzata in collaborazione con il Ministero della Giustizia - Dipartimento Giustizia Minorile e con il patrocinio della Conferenza Episcopale Italiana, dell’Arcidiocesi, del Comune di Palermo, della Regione Sicilia e della Camera di Commercio di Catanzaro. Quest’anno la produzione varcherà per la prima volta i confini calabresi assumendo nuovi contorni ancora più significativi: l’evento si terrà, infatti, all’interno dell’Istituto penale per minorenni “Malaspina” di Palermo. L’iniziativa, in prossimità della canonizzazione di Giovanni Paolo II, dedicherà una particolare attenzione alle persone più amate da Karol Wojtyla, i ragazzi che vivono in situazioni di disagio, diversamente abili e giovani detenuti, gli “ultimi” secondo il Vangelo. Rispetto ai temi già trattati dalla manifestazione nel corso delle precedenti edizioni, dal dialogo interculturale e religioso al rispetto dell’ambiente, quest’anno il dibattito abbraccerà - attraverso l’ausilio di performance artistiche, contributi video e testimonianze di noti personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo e di rappresentanti delle istituzioni - un argomento molto caro a Giovanni Paolo II, il rispetto e la difesa degli “ultimi”, al centro anche della missione di Papa Francesco. Di particolare rilievo sarà, quindi, la presenza attiva dei giovani provenienti dal circuito penale che parteciperanno all’evento proponendo alcuni contributi artistici, del coro dell’Unione Italiana dei Ciechi ed Ipovedenti di Catanzaro e dell’Orchestra Giovanile di Laureana di Borrello. Durante la manifestazione presentata da Lorena Bianchetti di Rai Uno, verranno consegnati i premi “Nella Memoria di Giovanni Paolo II”, realizzati dal maestro orafo Michele Affidato ed assegnati dalla giuria qualificata formata dal noto conduttore Rai Daniele Piombi, dall’autore televisivo Stefano Santucci, da don Francesco Cristofaro, teologo spirituale, da Mons. Carmelo Cuttitta, Vescovo ausiliare di Palermo, e dal costituzionalista Luigi Ventura nel ruolo presidente. Volterra: scuola alberghiera, studenti e detenuti insieme tra i banchi di scuola Ansa, 9 settembre 2013 Sarebbero già 20 iscritti provenienti da tutta la provincia. Il sindaco Buselli: "Un’iniziativa straordinaria sostenuta da tutta la città". Il sindaco Buselli: "Un’iniziativa straordinaria sostenuta da tutta la città. Ora tocca ai ragazzi frequentare con entusiasmo e voglia di apprendere per disegnare il loro futuro in un settore dalle tante opportunità". Un corso di studi a indirizzo alberghiero fuori dalle tradizionali aule. La novità, al rientro tra i banchi, arriva da Volterra dove lunedì 9 settembre è stato inaugurato l’indirizzo di scuola superiore “alberghiero-enogastronomico” che si rivolge ai ragazzi in età scolare e ai detenuti del carcere. "Ho voluto inaugurare l’anno scolastico in carcere - spiega il sindaco Marco Buselli - per sottolineare la straordinarietà di questa iniziativa sostenuta da tutta la città. Ampio è stato il consenso al nuovo corso di studi che ad oggi conta venti iscritti tra detenuti e ragazzi dall’esterno, provenienti da Volterra ma anche da fuori provincia. Una novità che è stata possibile realizzare grazie all’ideatrice del progetto, la direttrice del carcere. L’amministrazione comunale ha entusiasticamente raccolto l’idea, insieme all’Istituto Niccolini e alla Provincia e poi abbiamo travato il consenso di Cassa di Risparmio di Volterra, Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra, Confcommercio, Confesercenti, Cna, ma anche di Consorzio e Pro Volterra. Le istituzioni lo hanno attivato - conclude Buselli - ora tocca ai ragazzi frequentare con entusiasmo e voglia di apprendere quanto più possibile per disegnare il loro futuro in un settore dalle tante opportunità come è quello turistico-albergiero". Bari: spettacolo nell’ambito progetto “Caffè ristretto-percorsi e discorsi dentro le mura” Ansa, 9 settembre 2013 Il 12 settembre si svolgerà nella Casa circondariale di Bari, l’iniziativa “L’io narrante” secondo momenti o del progetto “Caffè ristretto - percorsi e discorsi dentro le mura” realizzato da attori e detenuti. Si tratta - precisa un comunicato - di un cantiere culturale promosso dall’istituto comprensivo Massari Galilei e finanziato con fondi dell’Assessorato alle Politiche giovanili del Comune di Bari e sostenuto dall’Ufficio regionale del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale”, coordinato dalla scrittrice Teresa Petruzzelli. Aperto a 30 detenuti, attraverso laboratori, letture, cineforum e sollecitazioni musicali, il progetto ha voluto costruire una serie di percorsi tematici per veicolare valori di legalità, integrazione e relazione. Nel corso dell’appuntamento gli attori Michele Napoletano e Anna Garofalo leggeranno testi scritti dagli stessi detenuti accostandoli ad altri t’atti da loro spettacoli e messe in scena. Saranno proiettate le fotografie tratte dalla personale del fotografo Alessandro Cirillo. La lettura dei testi scritti sarà accompagnata dalla danzatrice Luana Cassano, dell’Accademia Unika di Bari. Salerno: dal Comune di Roccadaspide un progetto per reinserire i detenuti nella società www.targatosa.it, 9 settembre 2013 Il Comune di Roccadaspide ha stipulato un accordo con l’Ufficio di esecuzione Penale esterna di Salerno - Ministero della Giustizia - per ospitare persone sottoposte a misure cautelari e consentire un percorso di reinserimento nella società. L’accordo sta già dando i suoi frutti, dal momento che da qualche settimana è già presente un ragazzo affidato in prova ai servizi sociali. Il giovane, pur dovendo scontare la sua pena, potrà svolgere attività stabilite dal comune e sarà al centro di un progetto di recupero e di reinserimento sociale che lo aiuterà a prendere coscienza del danno commesso e a tornare in libertà con nuovi valori. Il giovane ha già svolto alcune attività su indicazione del comune e dell’associazione, partecipando ai lavori di preparazione dell’evento “Le notti dell’aspide” e svolgendo attività ordinaria di volontariato. “Siamo ben lieti di offrire un’opportunità a qualcuno dei nostri concittadini che abbia commesso uno sbaglio - afferma il Sindaco Girolamo Auricchio - soprattutto perché può prendere coscienza dell’errore commesso e svolgere nel suo ambiente attività che gli consentano di reintegrarsi nella comunità”. Per poter ospitare il ragazzo, il comune ha sottoscritto la convenzione con l’Ufficio di esecuzione Penale esterna di Salerno che ha tra i suoi compiti istituzionali quello di realizzare percorsi di osservazione, trattamento e riabilitazione nei confronti di persone condannate, con attenzione alla dimensione della riparazione del danno conseguente alla commissione del reato. In virtù di questa convenzione, il comune di Roccadaspide potrà ospitare persone condannate che potranno beneficiare di una forma di riparazione che consiste in un’attività non retribuita, a patto che la persona sia residente in uno dei comuni del comprensorio: Roccadaspide, Aquara, Castelcivita, Controne, Postiglione, Castel San Lorenzo, Felitto, Magliano Vetere, Valle dell’Angelo, Piaggine, Laurino, Sacco, Bellosguardo, Sant’Angelo a Fasanella, Corleto Monforte, Ottati, Campora e Stio. Milano: addio carcere preventivo? a San Vittore solo colpevoli di Luca Fazzo Il Giornale, 9 settembre 2013 Uno dei quesiti proposti dai militanti Radicali e del Pdl prevede la cancellazione della custodia cautelare. Ecco i possibili effetti. E chi glielo spiegherebbe poi, ai milanesi? Il garantismo, il nobile intento di ridurre il carcere a extrema ratio, sono belle cose. Ma, se venisse approvato, il referendum numero 4 proposto dal partito di Pannella avrebbe conseguenza una pressoché automatica: resterebbero fuori da San Vittore - e, se già reclusi, ne uscirebbero istantaneamente - centinaia di detenuti accusati di reati di grave allarme sociale. Quegli stessi reati per cui l’opinione pubblica si indigna quando si viene a sapere che dopo due giorni dall’arresto il colpevole è fuori, sembrano destinati a venire ora beneficiati da una ventata “buonista”. Dai bancarottieri ai corrotti ai ladri, fino agli stalker. Se gli spacciatori di droga sarebbero - come abbiamo spiegato nella puntata di ieri - miracolati da una sorta di depenalizzazione, i responsabili di molti altri reati riuscirebbero se non altro a evitare il carcere preventivo. Il referendum numero 4 punta ad abrogare una parte dell’articolo 274 del codice di procedure penale: è l’articolo che stabilisce in quali casi può essere disposta la custodia cautelare in carcere durante le indagini preliminari. É la carcerazione preventiva, quella dei detenuti in attesa di giudizio, che non di rado vengono poi assolti. Dalle polemiche sui suoi abusi nasce la spinta del referendum. Nel concreto, però, le conseguenze si annunciano un po’ estensive. A venire cancellato sarebbe il passaggio su cui si basa la stragrande maggioranza delle circa milleduecento ordinanze di custodia emesse ogni anno a Milano: quello in cui si prevede il carcere ove vi sia il rischio che l’accusato commetta “altri reati della stessa specie di quello per cui si procede”. Sopravvivrebbe solo la possibilità di arresto per il pericolo di “gravi delitti con uso di armi o altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale o delitti di criminalità organizzata”. Letto così, l’elenco dei reati per cui l’arresto continuerebbe a essere possibile sembra vasto. Ma se si sale al settimo piano del tribunale, nell’ufficio dei giudici preliminari che per mestiere emettono le ordinanze di custodia, si scopre che la realtà è un po’ diversa. “Certo - spiega un giudice - resta comunque la possibilità di disporre il carcere per pericolo di fuga, che però deve essere dimostrato, o per il rischio di inquinamento delle prove, che però prevede un limite massimo di sessanta giorni. Mentre il rischio che vengano commessi nuovi reati della stessa specie è quello che è più spesso alla base delle nostre ordinanze. Se uno fa da sempre lo sfruttatore della prostituzione, è prevedibile che continui a farlo; se un manager fa sparire i soldi dei risparmiatori, è probabile che continui a farlo. Però, se passasse il referendum, resterebbero a piede libero. E lo stesso varrebbe per molti stalker, quelli che non usano, almeno all’inizio, violenze esplicite”. Certo, la eliminazione di fatto del carcere preventivo può essere presentata come una conquista di civiltà, e dal punto di vista filosofico probabilmente lo è. L’importante è che gli elettori siano consapevoli di quale sarebbe la traduzione nella realtà quotidiana, di una affermazione del principio. Venezia: tre giorni di protesta in carcere, i detenuti chiedono migliori condizioni Il Gazzettino, 9 settembre 2013 Tre giorni di protesta in carcere per chiedere migliori condizioni carcerarie e in solidarietà all’invito di Papa Francesco a una giornata di digiuno e preghiera per la pace nel mondo. Da sabato i detenuti della casa circondariale Santa Maria Maggiore protestano pacificamente per mezz’ora per due volte al giorno mattina e sera, rifiutando il cibo preparato dal carcere e battendo con forza contro le inferriate. La protesta si concluderà oggi, ma con tutta probabilità si ripeterà ancora perché i ristretti lamentano le gravi condizioni di sovraffollamento del carcere veneziano e chiedono un provvedimento di amnistia. Un’analoga protesta era stata fatto lo scorso luglio, in solidarietà con lo sciopero della fame effettuato da Marco Pannella in favore del decreto “svuota carceri”. Tra i detenuti la delusione è grande: la Corte europea dei diritti dell’uomo, più volte ha bacchettato l’Italia sul sovraffollamento delle carceri. L’Europa infatti impone che ciascun detenuto abbia a disposizione, in cella, un spazio non inferiore ai tre metri quadrati. Sotto questa soglia è considerata tortura. La protesta non lascia indifferenti neppure il personale della polizia penitenziaria, la “Uil Pa Penitenziari”, che a riguardo della protesta dello scorso luglio parlava di “nodi che tornano al pettine”, nonostante la situazione fosse migliorata, con circa 80/100 detenuti in meno ma comunque con 120 persone in più rispetto alla capienza del carcere. Napoli: botte tra detenuti durante la messa, feriti gli agenti del carcere di Poggioreale Il Mattino, 9 settembre 2013 Il sindacato Osapp: c’è stata “una vera e propria colluttazione”, “totale assenza di sicurezza dovuta alla gravissima carenza negli organici”. Botte tra detenuti durante la messa: nel carcere di Poggioreale restano feriti gli agenti di polizia penitenziaria intervenuti per fermare l’aggressione. Lo rende noto il segretario generale del sindacato Osapp, Pasquale Montesano, che racconta così l’episodio: “Durante la messa della domenica dove erano presenti i raparti Avellino, Torino e Firenze (circa 150 detenuti) con soli 4 agenti di polizia penitenziaria, per la sorveglianza, durante la celebrazione due detenuti del reparto Avellino, sono venuti alle mani, trasformandosi in una vera e propria colluttazione, gli agenti intervenuti per sedare l’atto violento e riportare il tutto nella normalità sono stati refertati per varie escoriazioni al corpo”. Montesano sottolinea: “Nella totale assenza di sicurezza, per la gravissima carenza negli organici, poteva degenerare una vera e propria rissa con conseguenza ancora più gravi. L’alto senso di responsabilità e doti non comuni d’intervento degli uomini della polizia penitenziaria hanno garantito ancora una volta il ripristino dell’immediata tranquillità ambientale”. Oggi a partire dalle 10, il segretario generale Osapp Leo Beneduci e il segretario generale aggiunto Pasquale Montesano saranno “in visita negli istituti di Napoli, Poggioreale e Secondigliano, per ascoltare dalle voci di dentro dei poliziotti penitenziari sulle questioni attinenti il gravoso lavoro che sono costretti a fare nelle peggiori condizioni”. Voghera (Pv): slitta l’apertura del nuovo padiglione del carcere, organici ancora carenti La Provincia Pavese, 9 settembre 2013 Slitta l’apertura del nuovo padiglione del carcere, prevista inizialmente a metà settembre. Lo ha comunicato l’amministrazione penitenziaria ai sindacati, ieri mattina in visita alla casa circondariale di via Prati Nuovi con una delegazione formata da Fabio Catalano, segretario provinciale Funzione pubblica Cgil, Calogero Lopresti, responsabile lombardo Cgil per la polizia penitenziaria e da Fabrizio Marongiu, numero uno regionale del Sippe. Preoccupa sempre, al di là del rinvio, la carenza degli organici degli agenti. “A Voghera - spiega Catalano - sono state assegnate sulla carta 23 poliziotti che in realtà si riducono a 15, rispetto a un fabbisogno per la custodia del nuovo padiglione (dotato di una capienza tollerabile di 203 detenuti, che porterebbe quella complessiva del carcere a quota 450 detenuti) che oscilla tra le 21 e le 27 unità”. In attesa di ulteriori, possibili assegnazioni tra la fine del mese e l’inizio di ottobre, il problema rimane dunque sul tappeto. I sindacalisti hanno visitato sia la nuova che la vecchia ala del carcere, riscontrando alcune situazioni-limite. “Ci sono monitor fuori uso, postazioni di controllo fatiscenti e dagli spazi angusti. Disastroso poi lo stato del parco macchine: il furgone traduzioni più efficiente ha già percorso 400mila km”. Quanto alla questione amianto, “abbiamo riscontrato la presenza di pensiline in eternit accanto alla sala conferenze - sottolinea Catalano - l’amministrazione ha garantito che lunedì verrà effettuato un sopralluogo da una ditta specializzata e subito dopo si deciderà come procedere. Noi, comunque, continueremo a monitorare la situazione”. Immigrazione: Desi Bruno; pensare soluzioni per chi non è riconosciuto da paese origine www.modena2000.it, 9 settembre 2013 Se una “rete di riferimento all’esterno” è una delle condizione necessarie per il giudizio di cessata pericolosità sociale da parte della magistratura di sorveglianza, è necessario che le autorità competenti considerino anche i casi, che “purtroppo spesso si incontrano nei Cie”, di chi non è riconosciuto dal Paese di provenienza e per cui è dunque impossibile ogni forma di regolarizzazione. A chiederlo, in una nota firmata dal suo ufficio, è la Garante regionale per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Desi Bruno, che giovedì 5 settembre ha visitato la casa di reclusione di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena, anche per effettuare un colloquio con l’internato che qualche giorno prima aveva tentato il suicidio inalando il gas della bomboletta utilizzata per alimentare il fornello presente in ogni cella. “Nel corso del colloquio sono emersi i dettagli della sua vicenda personale: l’internato in questione è uno straniero, figlio di padre musulmano e di madre cristiana, originario dei territori della ex Jugoslavia, che durante la guerra nei Balcani degli anni ‘90 ha disertato perché avrebbe dovuto combattere contro persone della sua stessa famiglia- racconta Bruno-, è in esecuzione della misura di sicurezza della casa lavoro e al momento non ha alcuna rete di supporto all’esterno, né permesso di soggiorno né documenti, né tantomeno risorse autonome”. Secondo quanto riferito alla Garante, l’uomo è dagli anni 90 in Italia, non ha mai regolarizzato la sua posizione e, già destinatario di un provvedimento di espulsione amministrativa, nel 2008 è transitato dal Centro di identificazione ed espulsione di Lamezia Terme senza che si riuscisse a dare esecuzione all’espulsione perché la Bosnia non lo ha riconosciuto come suo cittadino per la sua condizione di disertore. “Nell’assenza di percorsi di regolarizzazione, e stante il non riconoscimento da parte del Paese di provenienza, potrebbe concretamente per lui profilarsi un continuo entrare per poi uscire dai Centri di identificazione ed espulsione, in un girone infernale che rende queste persone prive di qualunque riferimento - ragiona Bruno, ed in un siffatto contesto, come in altri casi analoghi, anche a fronte di una regolare condotta serbata durante il periodo di internamento, senza un percorso di regolarizzazione intrapreso e senza una rete di riferimento all’esterno è altamente probabile che possano mancare alla Magistratura di sorveglianza elementi idonei a fondare un giudizio di cessata pericolosità sociale, con conseguente proroga della misura di sicurezza”. Grecia: 1.000 ergastolani nelle carceri del Paese, condannati anche per reati finanziari Ansa, 9 settembre 2013 La Grecia, con una popolazione di meno di 11 milioni di persone, vanta il poco invidiabile record di oltre un migliaio di ergastolani detenuti nelle proprie prigioni, peggio persino dell’Italia che ne ha sì 1.600, ma su una popolazione di poco meno di 60 milioni. A riferire l’impressionante cifra è la stampa di Atene che, citando dati di fonte Ue, sottolinea come in altri Paesi europei il numero dei condannati al carcere a vita sia di poche decine come, ad esempio, nei Paesi Bassi (17 milioni di abitanti) dove vi sono soltanto 90 ergastolani o la Germania dove (a fronte di una popolazione di 83 milioni) a scontare l’ergastolo sono solo in 140. Secondo i giornali, la situazione nelle prigioni greche dovrebbe migliorare con la prossima adozione da parte del Parlamento di un nuovo Codice Penale teso a limitare l’imposizione della condanna all’ergastolo che negli ultimi anni è stata comminata anche per reati finanziari. Siria: forze sicurezza reprimono ammutinamento in carcere Homs Tm News, 9 settembre 2013 Le forze siriane sono intervenute nelle prime ore di oggi per mettere fine a un ammutinamento di detenuti nel carcere di Homs, nel centro del Paese. Lo ha indicato l’Osservatorio siriano dei diritti umani (Osdh). “Diversi detenuti sono rimasti feriti e si è parlato di un morto nell’intervento delle forze del regime nella prigione centrale di Homs”, ha indicato il direttore dell’Osdh, Rami Abdel Rahmane. Un militante dell’opposizione, Yazan al Homsi, ha spiegato che l’ammutinamento è scoppiato mentre la direzione del carcere ha provato a trasferire un certo numero di detenuti.