Giustizia: ecco perché ho firmato tutti i 12 referendum di Luigi Manconi L’Unità, 7 settembre 2013 Ha ragione Emanuele Macaluso quando, su l’Unità di ieri, scrive che l’intento di Silvio Berlusconi nel firmare i referendum radicali è quello di “punire la magistratura”. Ma è motivo sufficiente, questo, per non sottoscrivere quei referendum? È da quand’ero piccino che un certo senso comune di sinistra (al quale Macaluso peraltro si è sempre sottratto) mi sibila nell’orecchio: se dici questo o quello fai il gioco del nemico. Davvero siamo così insicuri della nostra identità da non poter firmare il referendum sull’abrogazione della Bossi-Fini “per non confonderci con Berlusconi”? E siamo così poco convinti delle nostre idee da temere che, se firmiamo per abrogare l’ergastolo, favoriamo la destra? Dico questo perché non riesco a immaginare altre ragioni, più fondate, capaci di spiegare come mai una mobilitazione per depenalizzare il consumo personale di sostanze stupefacenti e per non criminalizzare la libertà di movimento di migranti e fuggiaschi, non sia la nostra mobilitazione. Così come quella per ridurre la custodia cautelare e abolire l’ergastolo. Personalmente, quei dodici referendum, li ho firmati tutti. Buona parte perché li condivido incondizionatamente, e altri perché ritengo che su tutti i temi referendari - compresi quelli riguardano quel bene preziosissimo che è la giustizia giusta - i cittadini debbano avere il diritto di esprimersi, a favore o contro. E li ho firmati, inoltre, perché ritengo insopportabile che l’egemonia culturale e ideologica di Berlusconi sopravviva alla sua irreversibile crisi politica condizionando ancora le nostre opzioni e impedendoci una piena e autonoma libertà di scelta. A prescindere, quindi, dal fatto che una parte della destra firmi per quei referendum, mentre si appresta a votare contro nel merito delle materie che più ci dovrebbero stare a cuore (normativa sull’immigrazione, sulle sostanze stupefacenti, sulla custodia cautelare, sull’ergastolo). Facciamo un passo indietro. È indubbio che, vent’anni fa, una parte significativa della sinistra abbia pensato di vincere facile di fronte alla liquefazione dei partiti che avevano governato l’Italia in precedenza. Ma nella tradizione del giacobinismo, così frequentemente evocato in questi giorni, l’uso politico della giustizia si accompagna, e senza contraddizione, alla diffidenza nei confronti del principio di legalità, e soprattutto di quella legalità che è nel patto costituzionale, sovraordinata alla contingente espressione della volontà popolare. Meriti e torti non sono da una parte sola. Se una “guerra” c’è stata in questi vent’anni, non è stata quella dei giudici contro Berlusconi, ma quella che ha visto fronteggiarsi una componente giustizialista della sinistra (sempre più minoritaria, forse) e una destra insofferente verso il principio di legalità costituzionale. Questa partitura occupa la scena anche dopo la sentenza della Cassazione sul caso Mediaset. Una partitura che - è questo il punto - gioca a tutto vantaggio di chi vuole prorogare all’infinito la stagione consunta dell’Italia berlusconiana. Infatti, abolita l’Imu, la destra non ha nulla da dire sul futuro di questo Paese, e ci costringe ancora una volta a discutere di una sacrosanta riforma della giustizia a partire dalla particolarissima vicenda che riguarda il suo leader politico. Proprio muovendo da quel processo, dove tutte le garanzie offerte dall’ordinamento sono state rispettate (anche in ragione dello status politico, economico e sociale del suo principale imputato), si parla di riforma della giustizia puntando sulla sofferenza (e sul consenso) di quei milioni di cittadini che - al contrario - per status sociale attraversano le aule di giustizia in condizioni di massima vulnerabilità. E un paradosso che va completamente rovesciato: la riforma della giustizia, la devono proporre innanzi tutto il Pd e la sinistra, perché è interesse in primo luogo della nostra parte la tutela dei diritti di tutti. Di conseguenza, quei referendum andrebbero presi e fatti propri dal Pd: esattamente per le perplessità che la firma di Berlusconi ha suscitato nella destra populista e giustizialista. Non si tratta, infatti, di referendum per la “agibilità politica” del leader del Pdl (che non ne trarrebbe alcun beneficio), ma per una giustizia più giusta per tutti. E, così, anche i quesiti “ordinamentali” ci appariranno per quello che sono: non mezzi di una impossibile revanche di Berlusconi contro i suoi giudici, bensì strumenti per processi più equi, a tutto vantaggio di chi non abbia le risorse economiche e relazionali di cui dispone Silvio Berlusconi. Giustizia: Grasso; l’amnistia da sola non risolve il problema carceri, serve una riforma Ansa 7 settembre 2013 “L’amnistia da sola non risolve problemi”. Lo ha detto il presidente del Senato Pietro Grasso parlando della situazione del sovraffollamento delle carceri durante il suo intervento alla Festa democratica di Genova. L’amnistia ha un senso “solo se inserita una riforma” più ampia “che dia dignità” ai carcerati. Secondo il presidente del Senato è necessario studiare, per esempio, dei programmi di inserimento lavorativo dei detenuti “dentro e fuori le carceri” perché il “detenuto che lavora ha meno possibilità di tornare a commettere reati”. È necessario inoltre “costruire nuove carceri - sottolinea Grasso - che siano più razionali”. Sulla questione degli sbarchi Grasso ha detto che ad affrontare il problema dell’immigrazione “ci deve aiutare l’Europa e ci deve aiutare la comunità internazionale perchè dobbiamo aiutare a superare i problemi in quei paesi da cui provengono tutte queste persone sfortunate”. Lettere: detenuto all’Opg medico pioniere degli studi sull’uso terapeutico della cannabis Mauro Romanelli (Consigliere Regionale Sel Toscana) Ristretti Orizzonti, 7 settembre 2013 Fabrizio Cinquini, 49 anni, medico specializzato in chirurgia vascolare, è un pioniere degli studi sull’uso terapeutico della cannabis. È in carcere dal 22 luglio e, oltre all’ingiusta carcerazione, è stato trasferito dal carcere di Lucca all’Ospedale Psichiatrico di Montelupo. È una vicenda scandalosa e inumana che non si può in alcun modo tollerare. Andrò a trovare Cinquini per esprimergli tutta la mia vicinanza e la mia solidarietà. Vorrei ricordare che gli effetti benefici prodotti dalle terapie basate sull’utilizzo della cannabis, a cui Cinquini ha dato un enorme contributo, sono riconosciute oggi dalla comunità scientifica internazionale; soltanto la politica italiana stenta ad accoglierle, a differenza di molti altri Paesi, da Israele al Canada, dalle Hawaii alla Finlandia. La Toscana su questa materia ha dato prova di grande civiltà, approvando per prima in Italia una legge sull’uso terapeutico della cannabis. Per questo ritengo intollerabile che proprio in Toscana venga riservato questo trattamento a colui che più ha contribuito a studiare gli innumerevoli effetti benefici della cannabis. Gli effetti benefici sono oramai ben riconosciuti: serve contro la nausea e il vomito della chemio, come antispastico e antidolorifico nella paraplegia e nella tetraplegia, in casi di sclerosi multipla, glaucoma e epilessia. E, al contrario di tutte le altre medicine, non ha una dose letale. Rivolgo un accorato appello al Presidente Rossi, affinché si occupi in prima persona di questa drammatica e ingiusta vicenda. Di fronte a una palese ingiustizia la Regione Toscana non può rimanere indifferente. Sicilia: “Giornata del reinserimento sociale”, i reclusi si offrono al mercato del lavoro di Salvo Fleres (Garante per i diritti dei detenuti) Ristretti Orizzonti, 7 settembre 2013 I reclusi siciliani si offrono al mercato del lavoro e propongono le loro qualifiche professionali nell’ambito della “Giornata del reinserimento sociale” organizzata dal Garante dei diritti dei detenuti. Imbianchini, elettricisti, idraulici, muratori a secco, orticoltori, floricoltori, pasticceri per prodotti dietetici e per celiaci, pizzaioli, cuochi, falegnami, lavoratori del cuoio e della pelle, operai tessili, ceramisti, tipografi, etc. Sono queste alcune delle numerose qualifiche che il mondo penitenziario offre al mercato del lavoro locale, nell’ambito di quel percorso di reinserimento sociale voluto dall’art. 27 della Costituzione e dall’Ordinamento Penitenziario italiano. I detenuti che potrebbero immediatamente essere utilizzati in attività lavorative nella nostra Regione sono oltre un migliaio, tutti sono dotati di idonea e riconosciuta competenza, anche grazie alla frequenza ai circa 120 corsi di formazione professionale che si tengono ordinariamente nelle carceri dell’Isola, per merito della collaborazione instauratasi tra l’Assessorato all’Istruzione e gli Enti abilitati, ed alla partecipazione a progetti di istruzione, primaria, secondaria e universitaria che hanno riguardato complessivamente circa 2.300 reclusi nel corso dello scorso anno. I dati sono emersi durante la conferenza svoltasi nell’ambito della “Giornata del reinserimento sociale” organizzata dal Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia, dott. Salvo Fleres, alla quale sono intervenuti i rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e del personale penitenziario, i rappresentanti delle organizzazioni datoriali, i rappresentanti degli enti professionali, numerosi direttori di istituti penitenziari per adulti e per minori, la Magistratura di sorveglianza dei minori, il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, numerosissime associazioni di volontariato, parlamentari dell’Assemblea Regionale Siciliana, rappresentanti del Governo e dell’Assessorato all’Istruzione ed una rappresentanza dei detenuti stessi, i quali hanno testimoniato il loro impegno in percorsi di riabilitazione e lavoro. Durante la manifestazione, alla quale hanno partecipato alcune centinaia di persone, grazie alla collaborazione dei direttori, degli educatori e dei Comandanti di reparto degli IPM di Acireale e Palermo “Malaspina”, delle carceri Ucciardone, Pagliarelli e Trapani e di altri, è stata allestita una mostra di numerosi prodotti artistici e di consumo che quotidianamente vengono realizzati all’interno dei vari Istituti siciliani, a testimonianza della notevole abilità lavorativa dei vari reclusi. “Abbiano voluto creare un ponte tra mondo penitenziario e mondo del lavoro - ha dichiarato in merito il Garante dei detenuti - in aderenza con il dettato costituzionale e con le previsioni di legge in materia di recupero e reinserimento di chi sta scontando una pena detentiva. Solo così, infatti, sarà possibile passare dalle previsioni ipotetiche alle reali offerte lavorative. E’ molto importante che, da parte di tutti i presenti, sia emersa la più piena e completa disponibilità a creare le condizioni perchè le opportunità che si presentano siano sempre più numerose e concrete”. Tra i dati più rilevanti emersi nel corso della conferenza, due meritano una particolare attenzione: l’alta percentuale di effettivo recupero di reclusi che partecipano ad attività rieducativa, oltre l’80%, e la piena efficacia delle misure di facilitazione per l’avvio di piccole attività d’impresa, previste dalla legge regionale 16/99, che ha registrato il totale recupero di tutti i circa 140 detenuti che ne hanno potuto fruire. Facendo seguito agli esiti della manifestazione, nei prossimi giorni, si terrà un incontro tra l’ufficio del Garante e l’Assessorato all’Istruzione, nel corso del quale verranno esaminate le criticità evidenziate ed affrontate ipotesi di soluzioni che favoriscano il percorso virtuoso tracciato nel corso dell’iniziativa svoltasi. Avellino: suicidio nel carcere di Sant’Angelo dei Lombardi, Panariello era stremato La Città di Salerno, 7 settembre 2013 Il pregiudicato scafatese Gennaro Panariello, 64 anni, si è suicidato nel carcere di Sant’Angelo dei Lombardi probabilmente per un crollo psicologico dopo il definitivo di pena che, su ordine dell’autorità giudiziaria, lo aveva portato in cella per il reato di truffa. È questa l’ipotesi principale alla quale lavorano i carabinieri irpini che, coordinati dalla locale Procura della Repubblica indagano sulla morte avvenuta due giorni fa. Panariello aveva da poco scontato una condanna definitiva a 26 anni di reclusione per omicidio e dunque avrebbe ceduto alla prospettiva della nuova reclusione. In cella non sono stati trovati biglietti, né riferimenti alla tragica decisione. L’uomo ha usato le stringhe delle sue scarpe come corda, fino al soffocamento, inutile il trasporto in ospedale. Le indagini dei carabinieri proseguono, ma l’assenza di dubbi sul suicidio rende il caso giudiziario praticamente chiuso, anche se si resta in attesa della relazione del medico legale dopo l’esame autoptico comunque disposto dalla magistratura locale. Avellino: Russo (Sappe); non esistono carceri di serie A e serie B... www.irpinianews.it, 7 settembre 2013 Dal Segretario Sappe Provinciale Avellino Attilio Russo riceviamo: "Non esistono carceri belli o carceri brutti è la risposta che vogliamo fornire a chi non più tardi di ieri, classificava ottimo e punta di diamante l’Istituto di Reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi, come fosse un eden rispetto ad altri Istituti: i penitenziari, secondo il nostro parere, sono tutti luoghi di estrema sofferenza umana ed oggetto di quotidiane ed inaspettate criticità imprevedibili. Bisogna osservare, in proposito, che la struttura in questione è la più recente per edificazione rispetto ad altre strutture che superano tutte abbondantemente i 50 anni nella regione.- La popolazione detenuta dell’Istituto irpino resta contenuta ed è selezionata prima dell’assegnazione per posizione giuridica e fine pena. Il Sappe primo sindacato di categoria della Polizia Penitenziaria, in più occasioni, ha ribadito la necessità che i detenuti devono vivere la detenzione secondo i dettami ordinamentali e costituzionali, anche perché quanto più stanno bene i detenuti tanto più stanno bene i Poliziotti nel loro servizio. L’azione del Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria resta soprattutto rivolta in primis, alle esigenze del Personale che opera sul territorio nazionale, quindi non possiamo condividere differenze di giudizi ed apprezzamenti verso il Personale che opera nelle diverse strutture, siano esse quelle di Sant’Angelo dei Lombardi, di Poggioreale od altre. Le componenti e gli elementi alla base del buon funzionamento delle strutture penitenziarie sono tanti e diversi che devono anche coincidere tra di loro. A dire della uil-penitenziari, con comunicati diramati ieri, solo tre sembrerebbero gli Istituti che funzionano in Italia tra cui uno è quello proprio di Sant’Angelo dei Lombardi, la questione, posta in tali termini a nostro parere è improponibile. Purtroppo a smentire le dichiarazioni del coordinatore generale della uil-pen, giunge oggi la triste e drammatica notizia di un ennesimo suicidio di un anziano detenuto, suicidio guarda caso messo in atto proprio nell’Istituto di Reclusione santangiolese. Non intendiamo creare demagogie e strumentalizzazioni su drammatici eventi, né sulla qualità della detenzione dei ristretti, ma ci teniamo a sottolineare che l’impegno del nostro sindacato di categoria è quello di garantire al Personale della Polizia Penitenziaria tutti i diritti oggettivi e soggettivi spettanti. A tal proposito dobbiamo evidenziare che la sede di Sant’Angelo dei Lombari, aperta da dieci anni, non ha ancora una pianta organica definita e stabile sia per quanto concerne il personale del comparto sicurezza sia per quello del comparto ministeri. Il Sappe ha inoltre denunciato più volte che conseguenza di ciò è costituito dal fatto che il Personale del Corpo di Polizia viene impiegato ordinariamente in compiti di ceto non Istituzionali con turnazioni fisse a discapito del Personale impiegato in turni più usuranti H.24. Per quanto concerne l’organico del Corpo presente bisogna ancora evidenziare che un contingente rilevante di Personale risulta ancora assegnato temporaneamente ormai da anni occupando posti che dovrebbero essere destinati al Personale più anziano che figura in posizione utile nella graduatoria nazionale che da anni cerca di raggiungere, invano, la sede richiesta di Sant’Angelo. È necessario rappresentare che il servizio della Polizia Penitenziaria svolto presso l’Istituto di Sant’Angelo è praticamente adempiuto in una sede disagiata sia per le condizioni geografiche – altitudine, climatiche e difficoltà di comunicazione con i mezzi di trasporto, mentre alle altre FF.OO. vengono riconosciute particolari indennità e benefici per tali disagi e al nostro Personale, oggi, sono ancora negati.- Ad ogni buon fine si precisa che la scrivente O.S. ha in diverse occasioni vantato la struttura in questione per l’efficienza, ma nello stesso tempo il Sappe non dimentica mai di evidenziare le criticità e i disagi che le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria affrontano tutti i giorni presso la Casa di Reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi, questioni queste oggetto di dettagliate corrispondenze delle quali, pazientemente, la scrivente O.S. è da tempo in attesa di ricevere le dovute risposte. Cagliari: “Legalità senza frontiere” progetto su inserimento sociale di immigrati e detenuti Ansa, 7 settembre 2013 Inserimento sociale, recupero e magari possibilità di trovare un lavoro grazie alle competenze acquisite, dalle lingue all’informatica. Si chiama “Legalità senza frontiere, inclusione e integrazione”: è il progetto dall’associazione culturale Alfabeto del mondo (Acam), in parte finanziato dalla Fondazione Banco di Sardegna, per aiutare soggetti socialmente svantaggiati e in particolare detenuti immigrati, ex detenuti e i loro familiari. Aiuto sì, ma come? Con le conoscenze culturali e pratiche che servono per coltivare anche la speranza di poter diventare ad esempio mediatore linguistico e interculturale dopo aver seguito lezioni sul diritto all’immigrazione e di comunicazione. O anche con la distribuzione gratuita di libri e giocattoli. Le altre iniziative: promozione della cittadinanza attiva con corsi di lingua italiana e di informatica per detenuti stranieri. Ancora: interventi per evitare il sovraffollamento delle carceri incentivando le misure alternative alla detenzione e per migliorare e facilitare la comunicazione fra gli operatori sociali e i detenuti stranieri e percorsi di protezione sociale per le vittime di tratta in Sardegna. Costo complessivo del progetto: 30.500 euro. “Quando parliamo di legalità senza frontiere - ha spiegato nella conferenza stampa di presentazione la presidente di Acam Eugenia Maxia - ci riferiamo non solo alle frontiere delle nazionalità, ma anche a quelle del disagio”. Un progetto rinnovato, quello di Acam, ma che va avanti dal 2011 coinvolgendo 400 immigrati, 42 detenuti (diversi i casi di persone che scontano o hanno scontato la pena alternativa lavorando per l’associazione) e anche minori in difficoltà. Pavia: soltanto due agenti in più per i nuovi 300 detenuti in arrivo La Provincia Pavese, 7 settembre 2013 Tra meno di dieci giorni arriverà il primo contingente di detenuti protetti (ovvero colpevoli di reati sessuali, ex componenti delle forze dell’ordine e simili) che saranno ospitati nella nuova ala del carcere di Torre del gallo dai penitenziari lombardi. Entro fine mese, a gruppi di 20-30, dovrebbero arrivare tutti e 300 e riempire la capienza della palazzina bianca terminata poche settimane fa. Oggi gli agenti di polizia penitenziaria si riuniranno in assemblea con Cgil, Cisl, Uil, Sappe, Osap, Sinappe e Sippe per decidere se e quali proteste mettere in atto perché, rispetto all’anno scorso, ci saranno solo 2 agenti in più. È il risultato di trasferimenti e assegnazioni di nuovo personale: in realtà a Pavia arriveranno tre agenti grazie ai trasferimenti da altre sedi, e 14 nuove assegnazioni a partire da settimana prossima prenderanno servizio a Torre del Gallo. Ma 15 agenti sono stati trasferiti, e il saldo è di due sole unità per aprire il nuovo padiglione. “Se l’amministrazione conferma l’arrivo dei detenuti il 15, senza risolvere il problema del personale, decideremo quali misure prendere”, spiega Fabio Catalano, Fp Cgil. In organico a Pavia sono previsti 283 agenti, ma oggi sono 243 quelli assegnati, di cui circa 35 sono distaccati, ovvero in servizio fuori dalla struttura penitenziaria. A Voghera è andata meglio: nel nuovo padiglione arriveranno 200 nuovi ospiti classificati come “Alta sicurezza”, domani Cgil e Sippe faranno un sopralluogo nella nuova struttura per rendersi conto del personale necessario per gestirla. Ma lì l’organico previsto è di 209 agenti, 194 sono gli agenti in servizio di cui 20 fuori dalla struttura. A Voghera arriveranno 23 agenti nuovi più un agente trasferito, e se ne vanno solo 8: il saldo è di 16 unità in più per i 200 detenuti in arrivo. Asti: azienda agricola del carcere donerà parte della propria produzione alla mensa sociale Agi, 7 settembre 2013 L’azienda agricola del carcere di Asti, in cui lavorano i detenuti della casa circondariale di Quarto, donerà parte della propria produzione alla mensa sociale del Comune di Asti. Il progetto “Coltivare la Libertà” ha fatto nascere nell’area del carcere un’azienda agricola di circa un ettaro. Parte della produzione viene regolarmente venduta. Quella in eccesso da oggi verrà donata al Comune di Asti per la mensa sociale. “È un progetto utile ai detenuti perché ha una valenza rieducativa; utile al Comune e ai cittadini bisognosi che fruiscono della nostra mensa; è un’iniziativa di immenso valore simbolico perché chi è in carcere per aver arrecato (almeno secondo le risultanze del sistema giudiziario) un danno alla collettività, ora ristora la comunità astigiana con il frutto del proprio lavoro” hanno dichiarato il Sindaco Brignolo e l’Assessore ai servizi sociali Vercelli. Sono molteplici le iniziative sviluppate dall’amministrazione comunale per rendere sempre meno insormontabile la barriera tra il dentro e il fuori le mura del carcere, con sempre nuovi progetti di collaborazione e reinserimento sociale. Locri (Rc): al via i Corsi di formazione per detenuti alla Casa Circondariale www.strill.it, 7 settembre 2013 Di seguito la nota diffusa dall'Ufficio stampa della Provincia di Reggio Calabria. "Su richiesta di questa Direzione il Settore formazione, lavoro e pari opportunità della Provincia di Reggio Calabria ha attivato a favore delle persone detenute della Casa Circondariale di Locri, a titolo gratuito, tre corsi di formazione, uno di inglese, uno di orientamento al lavoro ed un altro di informatica; per quest’ultimo ha anche fornito in prestito i computer necessari per la realizzazione. Tali corsi di formazione, sicuramente importanti strumenti rieducativi, sono stati frequentati con grande entusiasmo dai detenuti in quanto occasione per acquisire nuove conoscenze in delle discipline senza dubbio utili nel mondo del lavoro. Ciò a conferma che il carcere non ha solo una funzione afflittiva e meramente custodiale ma anche rieducativa e di recupero delle persone detenute. Il nostro mandato istituzionale è anche quello di agire sullo spirito delle persone detenute senza trascurare la sicurezza dei cittadini ed il rispetto della Stato e delle sue leggi. L’intervento della Provincia di Reggio Calabria è stato molto apprezzato in quanto conferma della volontà da parte dell’Amministrazione Provinciale di rafforzare il collegamento operativo con il carcere contribuendo in maniera concreta ad offrire opportunità tratta mentali alle persone detenute. Un particolare ringraziamento va indirizzato al Presidente della Provincia Raffa ed al dirigente dott. Stefano Maria Catalano per aver sostenuto l’iniziativa dimostrando ancora una volta grande attenzione verso il mondo penitenziario e sensibilità nei confronti delle persone detenute". Tempio Pausania: reading letterario dentro il carcere, organizzata da Carta Dannata di Giuseppe Pulina La Nuova Sardegna, 7 settembre 2013 È più di un esperimento e di un’edificante iniziativa. Lo spettacolo che si è tenuto mercoledì scorso all’interno del carcere di Nuchis, che ha avuto come protagonisti e destinatari i detenuti della struttura, ha mire più alte. Il carcere e una parte della città (il mondo dell’associazionismo e della cultura, in particolare) sembrano lavorare in sintonia verso questa direzione. Ecco perché il reading letterario che è stato ospitato dentro il carcere, appendice della rassegna organizzata da Carta Dannata e dalla libreria Max 88, può essere seriamente inteso come un’anticipazione dei risultati che potranno scaturire da un rapporto sempre più stretto tra la casa circondariale e la Gallura. Non solo Tempio, quindi, e nemmeno il suo circoscritto hinterland, di cui Nuchis è una propaggine, ma una grande area da cui il supercarcere, per volontà della direttrice Carla Ciavarella, vuole avere una sua legittimazione territoriale. E così il buon esito dello spettacolo inscenato all’interno del carcere (per la precisione dentro la cappella resa disponibile da don Francesco Tamponi) va oltre il valore delle pur notevoli performance dei detenuti protagonisti. “Talenti veri - ha dichiarato Carla Ciavarella - un dono che va coltivato, alimentato e, per quanto possibile, portato fuori”. Proprio questo chiede l’intraprendente direttrice della struttura detentiva. Far sì che Tempio senta come suo il carcere che è stato costruito nella frazione di Nuchis. Lontano dal centro e collocato in piena campagna, deve far avvertire la sua presenza non soltanto per le imponenti dimensioni che lo caratterizzano. Il messaggio sembra essere perciò chiaro: un carcere è sì un luogo di pena, ma può anche essere una risorsa. Un’operazione non facile di cui il più modesto reclusorio della Rotonda, pur ubicato nel cuore della città, non fu capace. Così vicina, eppure così lontana e “invisibile” ai più, la Rotonda non è mai stata, in effetti, veramente “presente”. Il carcere non può “evadere”, spostarsi, è ovvio. Che cosa si può fare allora? “È sufficiente che il mondo di fuori venga dentro - dichiara la Ciavarella - e faccia sentire la sua presenza”. Una dinamica che a Nuchis, di giorno in giorno, sta prendendo corpo. Sono tanti i privati e numerose le associazioni che, a vario titolo, hanno teso una mano ai detenuti del carcere. “Talenti autentici”, dice, senza esagerare, la loro direttrice, che realisticamente sa quanto il successo di questo progetto dipenda dalla generosità del mondo di fuori. Pitigliano (Gr): al Festival di “Letteratura resistente” quest’anno cucinano i detenuti Il Tirreno, 7 settembre 2013 Strumenti per le lasagne allo stipetto: una casseruola, una pentola, un pentolino, una bomboletta di gas, uno stipetto, un chiodo, quattro lattine di birra vuote, un coltello di plastica, due fornellini. Benvenuti nella cucina in cella di un ergastolano, dove il manico di una scopa diventa un mattarello e i lacci delle scarpe servono a legare la pancetta. “Cucinare in massima sicurezza”, a cura di Matteo Guidi, edizioni Stampa Alternativa (Collana Nuovi equilibri), è uno dei volumi protagonisti di “Piazza libera tutti”, 12° Festival internazionale di letteratura resistente che si tiene domani e domenica in piazza della Repubblica a Pitigliano. Un festival “garibaldino”, nella definizione di Marcello Baraghini, fondatore di Stampa Alternativa e animatore dell’associazione Strade Bianche che da mezzo secolo si batte per un’editoria non piegata alle leggi di mercato. “Quest’anno sarà il festival più provocante che abbiamo mai avuto in dodici anni - spiega - dove presenteremo l’unica letteratura contemporanea degna di questo nome: quella che scaturisce dalle viscere delle galere. Quella di chi, dentro una prigione senza speranza, come unico riscatto ha la parola scritta. Che è quella di un visionario”. È la letteratura degli ergastolani sottoposti al 41 bis in regime ostativo, cioè senza speranza di ottenere benefici, nemmeno dopo venti o trent’anni di pena. “Da questa esperienza estrema nasce una lingua nuova, senza spreco di contenuti, dal linguaggio dirompente. Nessun altro materiale che mi arriva ha questa levatura”, assicura Baraghini. “Cucinare in massima sicurezza” sarà presentato domenica alle 11. Insieme a Guidi ci saranno Letizia Nucciotti, autrice di “L’antichef” e “Avanzi Popolo”, Nadia Bizzotto e Francesca De Carolis, giornalista e curatrice di “Urla a bassa voce” (2012), scritti di trenta ergastolani. Il festival ospita anche una sezione di poesia, “Poeti contro, poeti per” (domani dalle 16 alle 20) a cura di Maria Jatosti. Sassari: “Pensieri, parole, libri e film all’Asinara”… cinema e storie nel supercarcere di Anna Sanna La Nuova Sardegna, 7 settembre 2013 Dopo le prime due giornate a Porto Torres il festival “Pensieri e parole Libri e film all’Asinara” torna nel suo luogo più caro, ricco di storia e di ricordi. Nell’ex super carcere di Fornelli per tutto il fine settimana si alterneranno film, ospiti, dibattiti e riflessioni sul cinema e la scrittura. Si parte nel pomeriggio con la presentazione di “Libera storie”, il progetto che punta a diffondere la lettura nelle carceri isolane promosso dall’Assessorato regionale alla pubblica istruzione in collaborazione con il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e l’Associazione Italiana Biblioteche. In serata è attesissimo l’arrivo di Alessandro Gassman con il suo primo film da regista “Razza Bastarda”, mentre domani gli ospiti saranno Kasia Smutniak, il regista Rolando Ravello, lo scrittore Bruno Arpaia e Domenico Procacci. La giornata di domenica sarà aperta alle 19 proprio da un dibattito tra Arpaia e il patron della Fandango sullo stato della cultura in Italia. “In un momento delicato come questo dovremmo avere un impegno vero anche da parte di chi ci governa a creare una politica culturale che al momento non c’è - afferma Procacci - se la cultura diventa una priorità in Italia come lo è in altri paesi può essere l’inizio di un periodo nuovo. Se invece sarà sempre considerata qualcosa di superfluo, un lusso, allora continuerà così. Ci sono dei paesi come la Francia dove le possibilità sono molte di più e ci sono un clima culturale e una attenzione decisamente maggiori. Da noi è un momento particolarmente difficile. È una cosa ciclica, mi è successo diverse volte da quando ho iniziato a fare questo lavoro. Ma adesso sono leggermente meno ottimista”. Sono tanti i talenti italiani scoperti o rilanciati dalla Fandango, da Gabriele Muccino a Emanuele Crialese. Tanti i successi di pubblico e di critica come “Le conseguenze dell’amore” di Paolo Sorrentino e “Gomorra” di Matteo Garrone. Una realtà particolarissima, quella della Fandango, nata come casa di produzione cinematografica estesasi negli anni all’editoria e alla musica, con una web tv e una web radio. Con scelte coraggiose come la produzione del film “Diaz. Non pulire questo sangue”, sui fatti del G8 di Genova con cui l’Italia non ha ancora mai fatto davvero i conti: “È stato un film molto difficile da produrre - spiega Procacci - penso però che abbia contribuito al dibattito con una conoscenza più ampia di ciò che accadde in quella scuola”. Tra le prossime uscite targate Fandango, è in lavorazione “Arance e martello” di Diego Bianchi e sono da poco iniziate le riprese di “Una donna per amica” di Giovanni Veronesi con Fabio de Luigi e Laetitia Casta. E non mancano i progetti per la televisione: “al momento quello più avanzato è la serie di Gomorra che produciamo per Sky ma stiamo lavorando anche a una serie televisiva sulla vita di Oriana Fallaci a cui si aggiungerà un film per il cinema”. Tra i registi con cui Domenico Procacci vorrebbe lavorare c’è anche Paolo Sorrentino, “con cui abbiamo fatto due film, e poi ha continuato con i suoi produttori storici. Un mio antico sogno invece era produrre Nanni Moretti: sembrava impossibile, poi c’è stato “Habemus Papam” e anche il prossimo film lo faremo insieme”. Libri: quando la letteratura la scrivono gli ergastolani… di Francesca Ferri Il Tirreno, 7 settembre 2013 “Più che celle sembravano tombe. L’aria sapeva di chiuso e di muffa. Mancava l’aria e la luce. Dalla finestra della cella si poteva vedere solo una fetta di cielo. La parte più alta. Nella finestra c’erano doppie file di sbarre e poi per completare l’opera una rete metallica fitta. L’acqua non era potabile e veniva giù marrone. Lì ho studiato per non impazzire”. Da qui Carmelo Musumeci, entrato in carcere nel 1991 con la seconda elementare e una condanna all’ergastolano in regime di 41 bis ostativo, si è laureato in filosofia ed è diventato scrittore. Ed è da posti come questo, da persone come Musumeci, che sgorga oggi, in Italia, la letteratura contemporanea. “L’unica degna oggi di questa definizione. Una parola nuova”. Ne è convinto Marcello Baraghini, l’editore “contro” di Stampa Alternativa, colui che da 45 anni rivendica un’editoria libera dai balzelli dell’intermediazione da editore a librario, dai mitici “Millelire” agli e-book gratuiti. Alla letteratura degli ergastolani sottoposti al carcere duro Baraghini dedica un’intera sezione del Festival internazionale di letteratura resistente che si tiene domani e domenica a Pitigliano in piazza della Repubblica. Il festival, giunto alla 12ª edizione, quest’anno si intitola “Piazza libera tutti”. Ed proprio nella parola che trovano l’unico spiraglio di libertà gli “uomini ombra”, gli ergastolani ostativi. “Gli ergastolani ostativi sono coloro che non possono beneficiare di premessi premio, di assegnazione del lavoro all’esterno o di misure alternative alla detenzione”, spiega Baraghini. Una pena di morte in vita, “una condizione estrema che ti lascia solo due alternative: o pensi al suicidio o pensi al riscatto”. E il riscatto avviene, appunto, attraverso la parola. “Parole non di accademici - spiega Baraghini - ma di visionari. Un contenuto estremo rispetto alla banalità della letteratura contemporanea che trasuda testimonianza e riscatto. Un linguaggio che dirompe. Non c’è spreco di contenuti, non c’è passività, non ci si subordina alla banalità. Una letteratura estrema, radicale, agli antipodi dalla letteratura dei Baricco, dei Simi, di quei testi gnè gnè”. Autobiografie ma anche romanzi, poesie, racconti: questo esce dal carcere duro. Nel 2012 Stampa Alternativa dà alle stampe la prima pubblicazione di letteratura di ergastolani, “Urla a bassa voce” a cura della giornalista Francesca De Carolis, con una prefazione di don Luigi Ciotti e l’illustrazione di copertina a cura di Vauro (Collana Eretica speciale) e testi di una trentina di ergastolani (tra cui il Musumeci citato all’inizio). “Non diari - spiega De Carolis - ma autobiografie di persone che sono in carcere da 20, 30 anni. Quello che colpisce è che in carcere c’è molta scrittura ed è una scrittura vera, non un chiacchiericcio. Sono parole scritte col sangue. Non che tutti siano scrittori; ci sono sensibilità diverse. Però c’è un serbatoio che, oggi, non si trova altrove, nemmeno nelle carceri “normali”“. Il tema più frequentato è quale sia il senso della pena a cui sono sottoposti. Ma non l’unico. Perché in carcere non si scrive e basta. Si mangia anche. E proprio la cucina diventa occasione per altre parole, per ricette e per un prontuario per costruirsi gli utensili per pelare, miscelare, scaldare, sciacquare. Arnesi che nei ricettari non compaiono perché è scontato averli nella credenza. Ma per i detenuti no. Da qui nasce “Cucinare in massima sicurezza” a cura di Matteo Guidi, scrittore che nel 2009 ha tenuto un laboratorio di scrittura di due settimane nel carcere di Spoleto. E ne è uscito con un manuale di cucina e di sopravvivenza scritto da detenuti di Spoleto e di altre carceri italiane, pubblicato quest’anno nella collana Nuovi Equilibri. Dalla grappa del galeotto fatta usando forbici della Chicco, alla gallina alle bollicine da preparare usando una lametta da barba. “Dalla procedura spiegata vengono fuori particolari esilaranti ma anche agghiaccianti”, spiega Guidi. “Come l’indicazione di far lievitare la pizza sulla tv: fa ridere, ma dice anche che la cella è fredda. E la stessa idea di doversi costruire gli arnesi con quello che viene concesso di tenere in cella dà da riflettere”. La cucina, come la scrittura, è per gli ergastolani un modo per rientrare in possesso di se stessi. Fare qualcosa per sé, applicare i consigli delle donne e adattarli alla condizione del carcere. Il risultato? “Fantastico. Una cucina regionale curata nei minimi sapori. Ho mangiato degli arancini a Spoleto che neanche a Catania”. Tanto che domenica si tenterà un esperimento culinario sulla base di queste indicazioni mentre per il prossimo anno Baraghini passerà dalla parola all’esperienza diretta rinchiudendosi in una cella sotto al palco da solo, senza contatto esterno, per tutta la durata della kermesse. “L’Italia è l’unico Paese al mondo che mantiene l’ergastolo - spiega Baraghini - e io, che da 45 anni lotto per abbattere nei libri quello che chiamo il codice a sbarre, rivendico per gli ergastolani sottoposti al carcere duro di abbattere le loro sbarre”. Libri: “Galera”, di Mario Palazzo. Il poeta, il prepotente, la spia, ecco i tipi dietro le sbarre di Nino Materi Il Giornale, 7 settembre 2013 Per 40 anni a tu per tu coi più pericolosi detenuti d’Italia. Mario Palazzo racconta tic e manie dei tanti “tipi” da galera. Il mare di Porto Azzurro, sull’isola d’Elba, sembra uno specchio in frantumi. All’ora dell’aperitivo i turisti lasciano i riflessi del sole e, sotto il porticato del molo, cominciano a riflettere sul menù del giorno. La frittura di paranza va via che è un piacere. Tra i tavoli con vista sugli yacht e una statua del dio Nettuno, c’è anche una piccola libreria; dalla vetrina occhieggia il ritaglio ingiallito di un giornale con la parola “Galera”. “Galera” è il titolo di un “diario” unico nel suo genere: quello dell’ex comandante di reparto della casa di reclusione di Porto Azzurro. Lui si chiama Mario Palazzo e dal 1987 al 2003 ha vissuto “rinchiuso” nella fortezza dell’ex Porto Longone, definita “la Cayenna del Mediterraneo” per i numerosi condannati all’ergastolo e per l’estremo rigore che vigeva tra quelle mura medievali. Leggere “Galera” sotto l’ombrellone stesi sulla sdraio non è facile: l’assoluto stato di libertà (fisica e mentale) con cui ti stai tuffando nel gorgo nero di quegli appunti carcerari, fa infatti a cazzotti con lo stato di segregazione di cui sono intrisi i drammi narrati dal comandate Palazzo. Un viaggio durato 40 anni nel mondo segreto della galera, a contatto con detenuti rei dei peggiori reati; celle, quelle del carcere dell’Elba, che condividevano la stessa sinistra fama dei penitenziari di Pianosa (“l’isola del diavolo”), Ventotene (“l’isola del dolore”) e Napoli-Poggio Reale (“il carcere della morte”). Da qui è transitata gran parte degli ergastolani d’Italia, compresi i condannati dalla malagiustizia, come nel caso di Enzo Tortora, Salvatore e Sebastiano Gallo, Antonino Spanò, Salvatore Bonello e Rosario Mulè: tutti sbattuti dentro e assolti dopo anni di ingiusta galera. Un libro che racconta la celebre rivolta di Porto Azzurro capeggiata dal terrorista nero Mario Tuti e l’arrivo nella sezione di massima sicurezza di Pianosa dei mandanti della strage giudici Falcone e Borsellino. Il comandante Palazzo, dalla sua torretta di guardia, ha sorvegliato personaggi come l’anarchico Bertoli e il bandito Mesina: di tutti ha annotato tic e mania. Una precisione da entomologo penitenziario che gli ha permesso di tracciare una mappa delle varie “specie” carcerarie: dal detenuto tossicodipendente a quello corruttore; dal violento allo scrittore; dal prepotente all’autolesionista; dall’insopportabile al depresso; dal confidente al poeta. Già, perché anche tra cancelli e lucchetti possono nascere versi commuoventi. Scrive il detenuto Claudio Cratus: “Sebbene per la società sia soltanto un numero, io esisto! Chiudo gli occhi per non vedere, per tornare ai miei sogni...ma nel mio cuore scende come pietra la mia vita dannata”. Gli fa eco il suo “collega” Antonino: “Qui, dove siamo come animali...Qui, in carcere, continuando a sperare”. Appena ventenne Mario Palazzo si arruola nel corpo degli Agenti di custodia (l’attuale Polizia Penitenziaria) e nel corso di quasi mezzo secolo di carriera si impone di coniugare il rispetto per la legalità con il senso di umanità. Le 243 pagine di “Galera” sono la testimonianza diretta di questo sforzo a contatto con galeotti di “razze” diverse, abituati a scannarsi tra loro prima che, nel 1986, l’introduzione della Legge Gozzini restituisse un minimo di dignità anche all’universo carcerario. “La Legge Gozzini - racconta Palazzo - ha salvato carceri, carcerieri e carcerati da una giungla spietata di abusi e soprusi, dove inevitabilmente si fabbricavano belve umane di ogni genere e carnefici di inaudita ferocia pronti a uccidere per un nonnulla”. Gli episodi narrati dall’ex comandante del carcere di Porto Azzurro - complice una prosa da “mattinale” di questura - risultano a volte tragicomici. Come quando il detenuto violento, Guadagnolo Roberto, al momento della sentenza “seminò il panico nell’aula del tribunale, rompendo panche e offendendo verbalmente il presidente”. Annota Palazzo: “La reazione del personale fu immediata, lo immobilizzarono impiegando la forza fisica, gli restituirono alcuni pugni che avevano ricevuti e lo ricoverarono in infermeria”. Per non parlare poi di quel prepotente di Nikolin Pishkashi, albanese: “Pishkashi, spalleggiato dal cognato Cipo, si recava nelle celle di altri carcerati e chiedeva, educatamente, in prestito vino, sigarette, caffè e altro. Se la richiesta veniva esaudita tutto andava bene, qualora venisse rifiutata minacciavano e con prepotenza si prendevano lo stesso i generi che avevano richiesto”. Era la legge del carcere. L’unica davvero uguale per tutti. Immigrazione: Consiglio Italiano per Rifugiati; ancora lontano un sistema di asilo europeo Vita, 7 settembre 2013 Presentato il rapporto “Non ci siamo ancora: la prospettiva delle Ong sulle sfide per un Sistema Comune di Asilo giusto ed efficace”, curato per l’Italia dal Cir (Consiglio italiano per i rifugiati). È ancora lungo il cammino verso il raggiungimento di un Sistema Comune Europeo di Asilo giusto ed efficace. E questo nonostante gli sforzi degli ultimi 12 anni per armonizzare le politiche di asilo nazionali e l’adozione del “pacchetto asilo” a giugno 2013. La ricerca pubblicata dall’European Council on Refugees and Exiles (Ecre) sui sistemi di asilo in 14 Stati membri dell’Unione Europea, e curata per l’Italia dal Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir), evidenzia grandi differenze rispetto alle norme procedurali, alla tutela dei diritti, ai servizi d’integrazione e all’uso della detenzione amministrativa dei richiedenti asilo. “Come possiamo aspettarci che i rifugiati siano in grado di spiegare le ragioni che li hanno costretti a fuggire dai loro paesi, ad affrontare una procedura legale molto complessa quando in diversi casi non sono né assistiti da un avvocato né da un interprete qualificato, o quando, molto spesso, devono dormire per strada o in accampamenti di fortuna, o quando l’aver trascorso mesi in centri di detenzione sovraffollati li ha lasciati psicologicamente segnati?” ha dichiarato Michael Diedring, Segretario Generale dell’Ecre, alla presentazione del rapporto “Non ci siamo ancora: la prospettiva delle ong sulle sfide per un Sistema Comune di Asilo giusto ed efficace”. Nel rapporto si sottolinea come in molti Paesi non sia garantita l’assistenza legale durante la procedura spesso complessa per il riconoscimento della protezione internazionale, e di come non siano predisposti servizi qualificati di interpretariato. C’è poi il fatto che in caso di diniego dello status, ci sono inoltre i tempi limitati per presentare ricorso in caso di una prima decisione negativa alla richiesta d’asilo che rendono di fatto impraticabile l’appello. È quanto accade, per esempio, nel Regno Unito, dove sono accordati solo 2 giorni per presentare ricorso. Un’altra questione cruciale analizzata dall’Ecre è quella riguardante la detenzione amministrativa di richiedenti asilo, misura largamente diffusa in Europa, che riguarda invece in modo limitato l’Italia e che in Grecia è stata estesa anche ai minori non accompagnati, detenuti nelle stesse condizioni degli adulti. “Sono tanti i casi di difformità di trattamento nei confronti dei richiedenti asilo in Europa che condizionano fortemente le vite di queste persone: pensiamo, ad esempio, alle condizioni di accoglienza o ai tassi di riconoscimento della protezione. In Italia, in particolare, l’accesso ai centri di accoglienza è estremamente difficoltoso, sono molti i richiedenti asilo, infatti, che si trovano settimane, a volte mesi, a vivere per strada nelle città che dovrebbero accoglierli. Date queste condizioni si teme sempre più l’impatto che la crisi siriana possa avere su un sistema di accoglienza già in forte sofferenza” dichiara Christopher Hein, direttore del Cir. “Se si confronta questa situazione con quanto succede in un paese come la Svezia, che mette in campo un sistema con più di 41.000 posti a fronte dei circa 11.000 disponibili in Italia, si comprende quanto sia diversa l’aspettativa di vita materiale di chi arriva nei diversi paesi dell’Unione. D’altra parte, in Italia, i tassi di riconoscimento di protezione sono tra i più alti d’Europa. È per questa ragione che si assiste, ad esempio, al ritorno in Italia di rifugiati di origine afgana, che hanno ricevuto un diniego alla loro richiesta d’asilo proprio nei paesi del Nord Europa, e che rientrano nel nostro paese per vedersi riconosciuta una forma di protezione. In questa Europa - conclude Hein - sembra contare più la fortuna che il diritto, più che un sistema di protezione e asilo comune sembra di essere in una lotteria per richiedenti asilo e rifugiati”. Afghanistan: Pakistan libera 7 talebani per favorire processo pace La Presse, 7 settembre 2013 Il ministero degli Esteri pachistano ha annunciato il rilascio di sette prigionieri talebani per facilitare il processo di pace volto a raggiungere una risoluzione politica alla guerra nel vicino Afghanistan. Il ministero lo ha reso noto con un comunicato, senza chiarire se il rilascio sia già avvenuto o se il processo sia in corso. Altri 26 detenuti talebani sono stati rilasciati l’anno scorso. Il Pakistan non ha fornito altri dettagli. Non è chiaro perchè Islamabad avesse arrestato gli uomini in precedenza. La decisione di liberare i prigionieri arriva meno di due settimane dopo che il presidente afghano Hamid Karzai ha visitato il Pakistan per discutere le negoziazioni di pace. Kabul vuole che il Pakistan aiuti nel processo.