Giustizia: nelle carceri la situazione è drammatica… parola di ministro di Valter Vecellio www.lindro.it, 5 settembre 2013 Aveva 24 anni, Mohamed Ahmed Mokhar, egiziano arrestato a metà agosto, individuato come scafista. Era detenuto nel carcere Malaspina di Caltanissetta, e vai a sapere di quali pensieri era preda quando ha sfilato i lacci dalle scarpe, ne ha ricavato una cordicella, e con questa si è impiccato. Gli agenti della Polizia penitenziaria quando lo hanno visto rantolare sono subito intervenuti, il personale del 118 è accorso con un defibrillatore, Mohamed è stato trasportato all’ospedale, ma non c’è stato nulla da fare: ormai era morto. L’ennesimo suicidio in carcere. Più o meno nelle stesse ore il Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri visitava il carcere genovese di Marassi. Carcere che il Ministro Cancellieri ben conosce, perché per molti anni è stato prefetto nel capoluogo ligure. “Quello delle carceri è un tema drammatico sottovalutato nel passato”, dice Cancellieri. “Le carceri scoppiano, ma se ne parla poco. Bisogna riuscire a riportarle a una condizione di vivibilità e di civiltà”. Come fare? “I punti sono tre. Primo: c’è molta gente che potrebbe non andarci, in carere, scontando pene alternative. Secondo: in Italia non si applica il regolamento carcerario: noi pretendiamo che il detenuto resti in cella non più di otto ore al giorno, mentre in molte realtà è costretto a restarvi per 22 ore. Parliamo della possibilità che il detenuto lavori, cosa che purtroppo accade raramente. Infine c’è la necessità di costruire nuovi istituti penitenziari…”. Il carcere non è solo sovraffollamento e vetusto, secondo Cancellieri: “Da una parte occorre garantire che chi ha sbagliato paghi il suo conto, dall’altro serve una risposta adeguata non una tortura, si deve cambiare atteggiamento. Non dimentichiamoci che a maggio dovremo andare in Europa a spiegare quello che stiamo facendo e altrimenti sarà dura, perché abbiamo un eccesso di detenuti rispetto ai posti carcere che al momento è tra le venti e le 25mila unità. Quindi prima di maggio dobbiamo affrontare in maniera molto concreta il problema, l’Europa ci bacchetta da molto tempo su questo”. Roberto Martinelli è il segretario del Sappe, uno dei sindacati della Polizia penitenziaria. “A pagare lo scotto del costante e pesante sovraffollamento”, dice, “sono anche i poliziotti penitenziari. Solo nel 2012 a Marassi ci sono stati 28 atti di autolesionismo, 9 tentati suicidi sventati dalla Polizia penitenziaria e 12 ferimenti. Questi dati sono importanti per far conoscere il duro, difficile e delicato lavoro della polizia penitenziaria”. Già, la Polizia penitenziaria. Per capire i termini della questione, spostiamoci in Calabria: è il cuore della ‘ndrangheta, una delle più pericolose e spietate organizzazioni criminali del mondo. In Calabria le carceri sono tredici, 2.650 i detenuti, almeno 900 gli affiliati alle varie cosche. A Catanzaro un nuovo padiglione del locale carcere non può essere aperto: manca il personale. Stesso discorso per il carcere di Paola. Il nuovo istituto di Arghillà, alle porte di Reggio Calabria, dopo ben 25 anni di lavori, è stato finalmente inaugurato. Ospita 200 detenuti, può arrivare a contenerne fino a 700. Il problema, dicono i sindacati della polizia penitenziaria, è che dei 40 agenti assegnati, dieci non sono neppure arrivati in sede. Per ‘coprirè i buchi, si è attinto dal personale di altre carceri, che è un modo di tamponare una falla creandone un’altra. Carenza di personale si registra anche a Locri, a Palmi, a Rossano, Vibo Valentia. Deprimente che vi sia una simile situazione proprio in una regione ad alto tasso mafioso… Purtroppo è una situazione diffusa, non circoscritta alla sola Calabria. L’organico della Polizia penitenziaria prevede che gli agenti siano circa 45mila. In servizio, però, ce ne sono 38.500. Con i distacchi e le assegnazioni in sedi che non sono carceri, se ne vanno altri 4mila agenti circa. Non solo: l’organico diminuisce, per ragioni fisiologiche, di almeno 800 unità, che solo in parte vengono rimpiazzate. Ecco dunque che per assicurare la necessaria sicurezza, molti padiglioni di carcere sono chiusi, mentre in altri si vive stipati come sardine; gli agenti devono sottoporsi forzosamente a turni massacranti, saltano ferie e riposi, la notte da soli devono sorvegliare interi padiglioni; e a fronte di tutto ciò non c’è neppure la prospettiva di chissà quale guadagno: lo stipendio base oscilla tra i 1.200 e i 1.800 euro. Insomma: anche loro vivono e patiscono quotidianamente il degrado delle strutture carcerarie. Un indicatore significativo ed emblematico è costituito dall’alto numero dei suicidi. Non solo tra i detenuti. Sono tanti anche gli agenti che si tolgono la vita, un numero impressionante: sei, sette, otto ogni anno. Il 2013 non è ancora terminato, e siamo già a sette, quest’anno. Dal 2000, all’interno del corpo si sono consumati almeno un centinaio di suicidi. Le motivazioni possono essere le più varie, nessuno ha indagato in maniera specifica. Sono comunque numeri alti, sorprendono e sconcertano. Giustizia: intervista a Danilo Leva (Pd) “vogliamo abolire l’ergastolo” di Lorenzo Lamperti www.affaritaliani.it, 5 settembre 2013 “Al di là degli espedienti del centrodestra, la Giunta per le autorizzazioni non è un quarto grado di giudizio”. Danilo Leva, responsabile Giustizia del Pd, chiude la porta ad Alfano e al Pdl in un’intervista ad Affaritaliani.it: “La sentenza su Berlusconi è definitiva, la politica può solo prendere atto. La legge Severino? Nessun dubbio sulla sua costituzionalità”. Il governo rischia così di cadere: “Noi voteremo la decadenza, non barattiamo la legalità con la stabilità politica. Ma il governo Letta ha ancora lavoro da fare. Se il Pdl lo fa cadere se ne assuma le responsabilità”. Il responsabile giustizia di largo del Nazareno parla anche di riforma della giustizia: “Non è un tabù, ma il clima deve cambiare”. Amnistia: “Non serve a nulla se non agli interessi di qualcuno”. E poi l’importante presa di posizione sull’ergastolo: “Siamo favorevoli all’abolizione”. Anche per reati legati a mafia ed eversione? “Non si può rinunciare a priori al reinserimento sociale di un detenuto”. Schifani ha chiesto a Grasso di valutare l’ipotesi di cambiare qualche membro della Giunta per le autorizzazioni del Senato, chiamata a decidere sulla decadenza di Silvio Berlusconi. Il Pd che cosa risponde? A me sembra che si stia davvero esagerando. Il Pdl ogni giorno cerca un espediente, ogni giorno se ne inventa una... La Giunta non va strattonata e deve lavorare con autonomia rispetto alla documentazione che hanno a disposizione. Ma la linea del Pd è molto chiara: voteremo la decadenza di Berlusconi. La politica non può fare altro che prendere atto della sentenza di terzo grado passata in giudicato per fatti di una gravità inaudita. È arrivato anche un appello di Alfano che ha chiesto al Pd di chiarire sulla legge Severino e di non trattare il Cavaliere come un avversario politico... La sentenza esiste, non è un’invenzione della sinistra. Così come esiste la legge Severino, votata anche dal Pdl, sulla cui costituzionalità il Pd non ha nessun dubbio. Al di là degli espedienti del Pdl la Giunta non è un quarto grado di giudizio. Non si può tenere sotto ricatto un Paese per i problemi giudiziari di Berlusconi. Il Pdl minaccia però di staccare la spina. Davvero il governo ha i giorni contati? Non so che cosa farà il Pdl, noi riteniamo che le ragioni per cui è nato il governo siano ancora di fronte a noi: dai problemi occupazionali a quelli della crescita e dello sviluppo economico. Chi farà cadere il governo per motivazioni estranee alle azioni dell’esecutivo se ne dovrà assumere tutte le responsabilità. Il governo Letta è nato per tirare l’Italia fuori dalla crisi e non per tirare Berlusconi fuori dai suoi guai giudiziari. Il Pd non baratterà la legalità con la stabilità politica. Un’eventuale riforma della giustizia su quali basi dovrebbe poggiare per il Pd? Intanto dovrebbe esserci un clima di non aggressione alle istituzioni e alla magistratura. Questo signifca toccare il titolo IV della Costituzione ma affrontare le priorità di riorganizzazione del sistema giudiziario italiano: velocizzare la giustizia civile, abbattere il sovraffollamento delle carceri rivedendo l’istituto di custodia cautelare e intervenire sulla depenalizzazione. La riforma della giustizia per noi non è un tabù ma ci sono delle condizioni dalle quali non possiamo prescindere. Negli scorsi giorni si è parlato anche di amnistia. Qual è la posizione del Pd? La nostra posizione è chiara ed è di netta contrarietà. Al di fuori di un contesto di riforma e di interventi strutturali, l’amnistia è solo un provvedimento una tantum che non serve a nulla. Non serve ad affrontare il problema del sovraffollamento carcerario ma è utile soltanto oggi agli interessi di qualcuno... Il Pd è favorevole all’abolizione dell’ergastolo? Siamo favorevoli all’abolizione dell’ergastolo e alla costituzione del “fine pena mai” coincidente con una reclusione a 30 anni. Anche nel caso di reati legati a mafia ed eversione? È una scelta di politica penale che merita un approfondimento e un dibattito non orientati dalla rabbia o dalla paura. Sicuramente è una battaglia di civiltà giuridica. Lo Stato non può rinunciare a priori al recupero di un condannato e al reinserimento sociale dello stesso. D’altra parte succede la stessa cosa in ogni paese europeo. Il carcere deve avere una finalità rieducativa e l’ergastolo è una contraddizione. E non mi si venga a dire che l’ergastolo finora ha funzionato da deterrente. Questo non significa lassismo verso la criminalità organizzata, anzi. Crediamo che ci sia bisogno di nuove risorse per contrastarla e dell’introduzione di nuovi strumenti legislativi come per esempio il reato di auto riciclaggio, la modifica dell’articolo 416 ter. Giustizia: Marco Boato; la sinistra non sia giacobina. Referendum Radicali vanno firmati di Maria Paola Milanesio Il Mattino, 5 settembre 2013 “È un segno di immaturità politica essere contenti di liberarsi del proprio avversario storico, che al momento è anche partner governativo, avvalendosi di una vicenda giudiziaria”. Marco Boato, leader storico dei Verdi e tra i fondatori di Lotta continua, guarda con disagio a quella parte di sinistra ansiosa di votare al più presto la decadenza di Silvio Berlusconi. “Mi chiedo come si possa concepire un governo di larghe intese senza una legittimazione reciproca”. A sinistra la accuseranno di fare il gioco di Berlusconi... “Sono sempre stato suo avversario - non suo nemico - ma condivido chi ha sempre sostenuto che va battuto sul piano politico e non su quello giudiziario. Purtroppo nella pancia del popolo di sinistra - o almeno di una sua parte - è forte la voglia di far fuori il leader del centrodestra per una vicenda giudiziaria. Una visione sbagliata e miope, figlia di una logica che prevale da vent’anni e che riduce il conflitto politico a uno scontro tra nemici. Volersi liberare di Berlusconi per via giudiziaria è un errore clamoroso, che denota un deficit di cultura istituzionale”. Accusa la sinistra di non voler concedere a Berlusconi il diritto di difesa davanti alla Giunta delle immunità? “La sinistra non cada nel giacobinismo, nel giustizialismo. Da settimane alcuni suoi esponenti danno per scontato l’esito della vicenda parlamentare di Berlusconi. Come se la Giunta dovesse solo prendere atto della sentenza di condanna della magistratura. E invece l’organismo parlamentare svolge una funzione “giurisdizionale”, il che significa che c’è una istruttoria, un contraddittorio. È esattamente quel che sostiene Violante”. Ma la Giunta non può diventare un quarto grado di giudizio... “Berlusconi ha il diritto di contestare la sentenza della Cassazione, di rivolgersi alla Consulta, di presentare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ma questo non deve fargli dimenticare che la sentenza è definitiva. E la Giunta, che non può essere un quarto grado di giudizio, deve permettergli di difendersi, anche riguardo all’applicabilità dellalegge Severino”. Il leader del Pdl dovrà lasciare il Parlamento? “Penso che si arriverà alla decadenza. Berlusconi faccia valere le sue ragioni davanti alla Giunta, ma si dimetta un minuto prima che l’aula del Senato deliberi sulla sua decadenza”. Perché è andato in crisi il garantismo della sinistra? “L’Italia ha avuto tre grandi emergenze: terrorismo, mafia, corruzione, a cui si è risposto - a mio parere, sbagliando - con una legislazione emergenziale. A partire dalla fine degli Anni 70 sono state varate leggi che hanno sacrificato le garanzie dello Stato di diritto all’obiettivo di sconfiggere questi tre fenomeni. Pochi hanno avuto da obiettare finché queste leggi riguardavano mafiosi e terroristi, ma da Tangentopoli tutto questo ha finito per trasformarsi in un boomerang nei confronti della classe politica. Si è verificato un appiattimento sempre più unilaterale sulla funzione giudiziaria. La politica ha delegato alla magistratura un compito che spettava invece al potere esecutivo e legislativo. E tutte le volte che in questi 15 anni si è parlato di riforma della giustizia, il centrosinistra - che ha giustamente difeso l’autonomia della magistratura - si è mostrato incapace di fare altrettanto nei confronti del Parlamento”. Anche la sinistra dovrebbe firmare i referendum Radicali sulla giustizia? “All’80-90% rappresentano questioni che sono patrimonio della sinistra. Berlusconi li ha firmati, non può essere un motivo sufficiente per non fare altrettanto”. Giustizia: la firma del Cavaliere svilisce i Referendum dei Radicali di Emanuele Macaluso L’Unità, 5 settembre 2013 I Radicali raccolgono le firme per sostenere 12 Referendum, dei quali non conosco tutti i contenuti. Infatti chiedere agli elettori, che non hanno dimestichezza con le questioni sottoposte al loro giudizio, di votare 12 referendum, è, a mio avviso, un errore. Alcuni temi, come l’abolizione delle leggi Bossi-Fini-Giovanardi sulle droghe che hanno avuto come effetto l’affollamento delle carceri, dove quasi mai arrivano i grandi trafficanti, sono noti, chiari e da sostenere. Ci sono poi le proposte di referendum sui temi della giustizia ed è su questo che vorrei dire qualcosa. Osservo subito che considero un errore di Pannella quello di avere chiesto (e ottenuto) l’adesione di Berlusconi, il quale ha firmato tutto, anche la richiesta di abolire leggi volute e fatte dai suoi governi. Ma l’errore di Pannella è di non avere capito che la firma del Cavaliere, nel momento e nelle condizioni in cui è stata apposta, abbassa la credibilità di tutta l’operazione messa in campo dai radicali Ieri, Marco Boato, sul Foglio, ha ricordato che fu proprio il Cavaliere a rovesciare il tavolo della Bicamerale dove era stata elaborata una riforma della giustizia (la bozza Boato) in cui si ritrovano i temi oggi riproposti dai referendum. E in questi venti anni, il Pdl al governo e all’opposizione ha proposto e votato solo leggi ad perso - nani. Non solo, ma ogni volta che un’iniziativa giudiziaria delle Procure o una sentenza dei giudici riguardava il Cavaliere, subito il suo partito e i suoi ministri “minacciavano riforme” per punire i magistrati disubbidienti. Cosa vale oggi la firma di Berlusconi dopo quel che ha detto e fa dire ai suoi giornali e tv sulla recente sentenza della Cassazione? A mio avviso vale meno di zero: fa assumere ai referendum un carattere strumentale e vendicativo. Ho fatto queste osservazioni perché ritengo che alcuni temi sulla giustizia riproposti dai radicali con i referendum, per quel che mi riguarda, siano da accogliere. Anche se sarebbe molto meglio affrontarli in Parlamento, con un confronto serio e sereno, ascoltando anche le idee e le opinioni delle associazioni dei magistrati. Le quali dovrebbero superare le barriere corporative che spesso alzano quando si affrontano temi di riforma. Tuttavia, proporre le riforme della giustizia per punire i magistrati disobbedienti o comunque contrapponendosi a essi come un nemico da abbattere è un errore. Questo non significa accettare veti dai magistrati: l’autonomia del Parlamento non può essere messa in discussione. Per non farla lunga su tutti i temi ne scelgo solo uno che a me sembra centrale: la separazione delle carriere, tenendo ben ferma l’indipendenza dei giudici e dei pm. Giovanni Falcone aveva notato che la riforma del processo, da inquisitorio ad accusatorio, imponeva la separazione delle carriere. Non si è fatto nulla con danno, a mio avviso, anche per l’immagine della giustizia e degli stessi magistrati. Infatti l’ibrido italiano è fonte di equivoci, di accuse, fondate e non, di collusione tra pm e giudici. Noto che su questi temi nel Pd non si discute. Eppure la questione giustizia è centrale per uno svolgimento “normale” della democrazia italiana. In questi anni su questi temi l’agenda l’ha imposta Berlusconi con i suoi processi, le sue campagne contro le “toghe rosse” e le sue iniziative legislative. La replica giustizialista del Fatto e gli altri centri di attività politica, sembra a molti come la più radicale ed efficace opposizione, mentre in effetti si configura come l’altra faccia di una contesa sulla giustizia come questione che riguarda una persona e non i cittadini tutti. Nel Pd, dopo qualche sortita dell’ex responsabile della giustizia Andrea Orlando, che appariva come iniziativa personale, sul tema si tace o si glissa. E il dibattito precongressuale - Renzi sì, Renzi no, prescinde da tutti i temi che oggi stringono la società italiana. La giustizia tra questi. Ho detto che la questione ha un rilievo e una complessità tale da preferire una soluzione che coinvolga il Parlamento. Ma, se questo non avviene e i referendum arrivano alle urne, molti, come me, pensano che questa diventi la sola risposta possibile a chi trova mille scuse per non fare niente. E voteremo. Giustizia: Spinelli (Onu); il decreto sul femminicidio è solo repressivo, va cambiato di Luisa Betti Il Manifesto, 5 settembre 2013 L’Italia è divisa sul femminicidio: da una parte continuano le notizie di donne uccise “in quanto donne”, dall’altra il governo si affretta a promuovere il decreto di ferragosto come la soluzione alle situazioni di violenza. Le “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”, su cui oggi inizia la discussione nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della camera, più che un’azione di prevenzione e protezione che dovrebbe partire da un serio monitoraggio della realtà, sono ritocchi sul fronte penale in un pacchetto sicurezza che non è solo sul femminicidio ma che contiene anche misure di ordine pubblico. Un compromesso tra Letta e Alfano, che ha messo le donne in secondo piano, a partire dall’assenza di una ministra delle pari opportunità con pieni poteri, e dal non riconoscimento del fattore strutturale di questa violenza, vista appunto come una “emergenza”. Trascurando i fattori culturali della discriminazione di genere e degli stereotipi - indicati chiaramente nella Convenzione di Istanbul e nelle Raccomandazioni all’Italia dell’Onu - il decreto non sembra rimuovere i veri ostacoli a un intervento efficace contro il femminicidio. E anche se alcune avvocate hanno accolto con favore diversi provvedimenti del dl - l’aggravante per violenza assistita dai minori, l’obbligo di arresto e allontanamento in flagranza di reato, audizione protetta in aula delle donne, comunicazione alla persona offesa di richiesta di archiviazione così come della conclusione delle indagini preliminari - rimane il fatto che l’azione punitiva, non avendo un approccio strutturato, si prospetta come una goccia nell’Oceano, soprattutto perché a costo zero e senza un reale potenziamento dell’esistente. Per Barbara Spinelli, avvocata esperta di femminicidio e consulente Onu, “la logica di questo decreto non è basata sulla tutela dei diritti umani, ma sulla repressione. Le raccomandazioni Onu ci dicono che il principale problema in Italia è, seppur in presenza di leggi idonee, il pregiudizio di genere e la mancanza di formazione degli operatori. Perché se è vero che 7,5 femminicidi su 10 sono stati preceduti da segnalazioni alle istituzioni, allora la responsabilità è dello stato che non ha saputo affrontare in maniera inadeguata questi casi, un problema che si può rimuovere solo con un’indagine dell’esistente, che porti a una soluzione strutturale e non emergenziale. Nello specifico, questo decreto è un salto nel passato dopo tutto il lavoro che abbiamo fatto come associazioni con le Nazioni Unite, dal rapporto ombra Cedaw del 2011 in poi”. “Prima di tutto - prosegue Spinelli - non si può parlare di tutela delle donne come soggetto debole, perché è contrario allo spirito della Convenzione di Istanbul. Nel decreto si introducono modifiche del codice penale, come l’aggravante del reato di violenza assistita dai minori. Ecco, su questo, per esempio, avrebbe avuto senso inserirla per tutti i reati contro la persona e la libertà sessuale, mentre qui viene introdotta solo per i maltrattamenti favorendo la prassi, già usata da alcuni pm, di indicare la persona offesa solo nella madre e la violenza assistita dal minore come aggravante, e cioè non si indica il bambino come persona offesa i cui diritti sono stati lesi, una norma che favorirà la discrezione del pm”. Ma a questo si possono aggiungere altri punti. L’irrevocabilità della querela, una scelta che può essere un boomerang in una società patriarcale e sessista, in quanto la decisione dipende da quanto la donna si sente protetta e non da altro. L’arresto obbligatorio e la nuova misura di prevenzione attivabile su segnalazione di sconosciuti, che espongono le donne a un rischio di rivittimizzazione. Gli obblighi di informazione alla donna sui provvedimenti e le misure adottate, su cui Spinelli spiega: “Il diritto a essere informate, spetta alle vittime di tutti i reati dolosi, non solo a quelle di maltrattamento. Lo sancisce l’Onu ed è previsto dalla direttiva europea già attiva dal 2012, che deve essere recepita tutta e non solo in parte. Poi ci sarebbe anche il nuovo permesso di soggiorno per le straniere vittime di violenza, che nel dl esclude quelle che non sono in pericolo di vita. Insomma il problema è molto più ampio di quello che questo decreto vuole far credere”. Giustizia: reato di diffamazione, ultima chiamata al parlamento per cancellare il carcere Panorama, 5 settembre 2013 Il conto alla rovescia che iniziammo 100 giorni fa per cambiare la legge del 1948 che punisce con il carcere i giornalisti per diffamazione e i direttori per omesso controllo è scaduto. Più di tre mesi non sono stati sufficienti al Parlamento per compiere questo passo di civiltà e allineare l’Italia ai paesi in cui non sono previste le manette per chi, in buona fede, esprime le proprie idee. La nostra campagna è nata sull’onda di una sentenza emessa a Milano nel maggio scorso, che ha visto condannati a un anno di reclusione un giornalista e un collaboratore di Panorama per il reato di diffamazione e a otto mesi il direttore per omesso controllo. Con l’aggravante che per il giornalista, Andrea Marcenaro, e il direttore, Giorgio Mule, il giudice non ha ritenuto di sospendere la pena condannandoli al carcere. Non solo, a questa sentenza se ne è aggiunta un’altra, in luglio, che ha visto il direttore Mule nuovamente condannato, sempre a Milano, per omesso controllo ad altri otto mesi di carcere. In entrambe le cause i querelanti sono magistrati che hanno avuto ragione da colleghi magistrati. Va dato atto alla commissione Giustizia della Camera dei deputati, senza distinzione di colore politico, di non avere sottovalutato il caso e di avere esaminato con solerzia le varie proposte di legge. La riforma del reato è infatti approdata alla Camera per la discussione il 6 agosto, prima della pausa estiva, e un punto su cui tutti sono d’accordo è la cancellazione della pena detentiva per i giornalisti. Ora bisogna fare presto e votare il provvedimento senza indugio, affinché possa approdare al Senato per essere successivamente trasformato in legge. 1 rappresentanti dei gruppi della maggioranza alla Camera hanno assicurato a Panorama l’assoluta volontà di fare presto. 11 presidente dei deputati pdl, Renato Brunetta, ha messo il provvedimento in cima alla lista delle leggi da votare. Vogliamo dare credito a questo impegno e concedere i “tempi supplementari” al Parlamento. Si tratta di un breve allungamento della nostra campagna per consentire alla Camera di approvare questa piccola ma fondamentale riforma di libertà. Già la prossima settimana saremo in grado di valutare se i buoni propositi e la buona volontà saranno stati tradotti in fatti concreti. I 100 giorni della nostra campagna coincidevano con il tempo per rendere definitiva la condanna al carcere del direttore nel caso non avesse presentato appello. 1 100 giorni sono trascorsi e il direttore non l’ha ancora presentato. Significa che un giornalista corre concretamente il rischio di essere privato della libertà personale. Considerata la lunga pausa feriale che si concede la giustizia, i termini per la presentazione dell’appello non sono ancora scaduti. Con il suo voto il Parlamento può evitare di arrivare a questo drammatico bivio. Giustizia: il padre di Stefano Cucchi “solo la Cancellieri può darci speranza” di Elisabetta Reguitti Il Fatto Quotidiano, 5 settembre 2013 “Viviamo sospesi nell’attesa di una verità che sia completa, non frammentaria come questa sentenza debole”. Fine pena mai. Giovanni e Rita ieri hanno trascorso un’altra giornata nella loro casa a sfogliare, rileggere e sottolineare altre centinaia di pagine giudiziarie sulla morte del figlio Stefano Cucchi. Da quattro anni a questa parte i genitori vivono in una bolla di carte, parole, sentenze, interviste e incontri. “Quando rientriamo cominciamo a riflettere fissandoci sulle dichiarazioni ripercorrendo le ore delle udienze. È sempre un dolore che si rinnova”, racconta Giovanni che non si accontenta di leggere che Stefano, arrestato il 25 ottobre 2009, sia morto dopo una settimana all’ospedale detentivo Sandro Pertini di Roma per inanizione, il decadimento del corpo causato dalla mancata o insufficiente nutrizione. Oltre alla vicenda giudiziaria c’è la vostra vita... Io e mia moglie siamo sposati da oltre 40 anni. L’unica cosa che ci salva è quella di essere riusciti a rimanere uniti fra noi e con i parenti stretti che comunque ci sostengono. Io ho 65 anni, Rita uno in meno e cerchiamo di tenere lontana quella depressione che sta dietro l’angolo di ogni frammento delle nostre esistenze. Io lavoro e lei, oggi in pensione, ha sempre insegnato. Non riusciamo a realizzare la morte di Stefano e viviamo sospesi nell’attesa di una verità che sia completa, non frammentaria come questa sentenza debole e carente. I giudici della terza Corte d’Assise di Roma hanno spiegato il decesso con la malnutrizione. Una verità parziale. La completezza starà nello scoprire il motivo per cui Stefano è stato ricoverato al Pertini che non è un ospedale come tutti gli altri. I giudici pur spiegando la posizione dei medici hanno ancora avanzato dubbi sul pestaggio. Inoltre nelle motivazioni della sentenza si parla di imperizia, imprudenza e negligenza da parte dei dottori, incapaci di mettere in atto i più elementari presidi sanitari. Allora mi domando perché siano stati assolti gli infermieri: Chi doveva occuparsi di svuotare il catetere di Stefano occluso dall’urina? L’immagine più frequente di voi è quella a fianco di vostra figlia Ilaria che interviene in pubblico o nelle conferenze stampa. Noi non avremmo trovato la forza necessaria per affrontare tutto, anche le offese. Quali? Che nessuno tenga conto come tutto sia conseguente alla botte inferte a Stefano. Peggio ancora che questo sia definito un caso/ processo mediatico. Quale cittadino si sarebbe mai potuto difendere dalle innumerevoli coperture che sono state messe in atto sulla morte di nostro figlio. Un caso che dopo i primi titoli sui giornali, sarebbe stato certamente archiviato. Una storia destinata all’oblio. Ad oggi nessuno si è ancora preoccupato di risalire alle ragioni del ricovero. Siamo stati accusati di aver spostato il processo dal tribunale al campo mediatico. Tutto questo è allucinante. Noi, come Lucia Uva, siamo terrorizzati dalla prescrizione. Solo il ministro Cancellieri potrebbe darci un po’ di speranza. Come? Sia per nostro figlio che per Giuseppe Uva, Cancellieri ha dichiarato che sono in corso delle indagini. Crediamo che lei non sia un esponente istituzionale da proclami. Manca un anno alla prescrizione, il tempismo adesso è importantissimo. Nella sentenza si ipotizza che il pestaggio possa essere stato compiuto dai carabinieri. Gli atti però non sono stati trasmessi ai pm per svolgere le indagini. Crea inoltre sospetto che sia stato impedito il contraddittorio con i nostri periti. Mi permetta di fare un appello al ministro perché non si fermi. Stefano è stato ricoverato per le percosse. Sicilia: Codacons; esposto in Europa sul sovraffollamento delle carceri Ristretti Orizzonti, 5 settembre 2013 Il segretario nazionale dell’associazione di tutela dei consumatori Francesco Tanasi (nella foto): inviata oggi denuncia al comitato europeo per la prevenzione della tortura di Strasburgo… Il Codacons ha inviato oggi un esposto al Comitato Europeo per la Prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti di Strasburgo, denunciando la gravissima situazione in cui versano le carceri della regione e i detenuti. Lo rende noto Francesco Tanasi Segretario Nazionale Codacons. “ Le condizioni delle strutture penitenziarie dell’Isola e di detenzione dei soggetti privati della libertà personale, le quali appaiono contrarie all’art. 3 della Convezione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e alla Convenzione Europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani - scrive il Codacons nell’esposto - I dati, purtroppo, illustrano chiaramente la condizione delle persone carcerate e indicano che per il loro recupero è necessaria una situazione di vita differente, un rispetto della dignità umana. In alcune strutture i carcerati sono quasi del tutto privi di assistenza sanitaria, anche se urgente. Difficile è ottenere visite specialistiche e farmaci specifici. I bagni sono alla turca e spesso senza porte; l’acqua per lavarsi è sempre gelida e non viene fornito nemmeno il sapone per l’igiene personale. L’organico degli agenti di polizia penitenziaria risulta inadeguato e sono carenti figure come psicologi, educatori e mediatori. Il sovraffollamento delle celle comporta inevitabili conseguenze sotto il profilo igienico-sanitario ove si consideri che i servizi igienici devono essere condivisi da un numero eccessivo di persone e che la permanenza in un locale chiuso (e di fatto poco aerato) di molteplici persone non è compatibile con le più elementari regole igienico-sanitarie”. Per il Codacons la situazione delle 28 carceri siciliani - dove i detenuti sono 7.155 a fronte di una capienza massima di 5.497 detenuti - configurano una violazione delle norme vigenti, nello specifico vengono violati: 1) il principio del trattamento dignitoso dei detenuti desumibile dall’articolo 27 della Costituzione e, in via indiretta, dalle norme contenute nella legge 354/1975 e D.P.R. 230/2000; 2) il divieto di trattamento degradante così come individuato dall’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani e precisato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo; 3) le norme contenute nella Raccomandazione adottata dal Consiglio dell’Unione Europea il 12 febbraio 1987 numero 3 sulle c.d. “regole penitenziarie europee”; 4) le norme contenute nel D.P.R. 230/2000 e nella Legge 354/1975. Alla luce di tale stato di cose, Tanasi ha chiesto al Consiglio Europeo di Strasburgo, attraverso il Comitato Europeo per la Prevenzione della tortura, un intervento urgente volto a tutelare la dignità, la salute e l’incolumità dei detenuti reclusi nella carceri siciliani, ed interventi urgenti volti a sanare lo stato comatoso delle strutture detentive della regione. Sicilia: domani la “Giornata del reinserimento”, su iniziativa del Garante, Salvo Fleres Ristretti Orizzonti, 5 settembre 2013 Offrire un’immagine completa del mondo delle carceri siciliane e delle sue criticità attraverso i racconti dei reclusi ma anche preparare il loro reinserimento sociale così come prevede l’ordinamento penitenziario. Sono questi gli obiettivi della “Giornata del reinserimento”, una manifestazione organizzata dal Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia, Salvo Fleres, che si terrà domani a Palermo per aprire un dibattito sulle problematiche presenti nel settore al fine di trovare soluzioni efficaci. “L’iniziativa - si legge in una nota del Garante - nasce per favorire l’avvio di relazioni armoniche e propositive tra il sistema giudiziario, l’esecuzione penale, gli enti locali, il mondo del volontariato, le imprese, le organizzazioni sindacali, lo sport, la cultura, la formazione, i reclusi ed i loro familiari, la Presidenza della Regione, gli assessorati Regionali, l’Ars”. L’articolo 27 della Costituzione italiana prevede che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”, tuttavia, l’attuale assetto dei rapporti e delle procedure vigenti tra il sistema giudiziario, il mondo dell’esecuzione penale, le Istituzioni e gli Organismi pubblici e privati presenti nel territorio, nonostante le recenti innovazioni normative, non sempre agevola il perseguimento di tale obiettivo. La manifestazione si svolgerà a Palermo domani (venerdì 6 settembre), a partire dalle 9,30, nella sede dell’Ufficio del Garante in Viale Regione siciliana 2246. Nell’ambito della manifestazione sarà allestita una mostra dei prodotti realizzati dai reclusi e si terrà un dibattito con la partecipazione di esponenti del mondo sindacale imprenditoriale, del volontariato, dell’Amministrazione regionale, dell’Amministrazione penitenziaria, dell’amministrazione della giustizia. Intorno alle 12 il Garante illustrerà alla stampa i dati relativi alla situazione nelle carceri siciliane ed all’attività svolta dall’Ufficio. Genova: il ministro Cancellieri, in visita a Marassi, ribadisce il suo “sì” all’amnistia di Marco Preve La Repubblica, 5 settembre 2013 Quando entra nel reparto di alta sicurezza, dalle celle di tutto il carcere si alza un unico coro: “Amnistia, amnistia”. Viene accolta così a Marassi, il ministro della Giustizia nella struttura che a causa del sovraffollamento la sera prima, nel corso di un dibattito alla Festa del Pd aveva definito un inferno. “Quello di Marassi - ha aggiunto ieri il ministro dopo la visita di oltre un’ora - è un carcere “illuminato”, bene organizzato e con un ottimo rapporto con il territorio, anche se ha un problema di sovraffollamento evidente. Bisognerebbe alleggerirlo di almeno 300 unità (attualmente sono circa 850 i detenuti a fronte dei circa 600 previsti) ed è in questo senso che sto lavorando”. Nessun progetto, però, almeno al momento, di nuove strutture in Liguria. “La via da percorrere è solo una - ha detto - le misure alternative”. Oppure l’amnistia. Oltre ai cori il ministro se lo è sentito ripetere quando si è intrattenuta con alcuni detenuti. Uno di loro le ha chiesto “Ministro, abbiamo bisogno dell’amnistia”. E l’ex prefetto di Genova poi ministro dell’Interno e oggi della Giustizia ha replicato: “Non lo dica a me, io sono favorevole, ma è il governo che deve pronunciarsi con il parlamento”. All’ingresso il ministro aveva espresso anche il desiderio che le carceri italiane adottassero colori meno cupi ed è così rimasta piacevolmente sorpresa scoprendo che l’interno di Marassi è di un giallo intenso. Accompagnata dal direttore Salvatore Mazzeo e dall’assessore alla sanità regionale Claudio Montaldo il ministro ha visitato anche il nuovo reparto di Osservazione psichiatrica che aprirà il 16 settembre ed è inserito nel centro clinico. Alla fine della visita, nell’incontro con i giornalisti ha detto: “Ho trovato una organizzazione molto buona ed efficiente, un sistema avanzato con un ottimo collegamento con la società civile, con le associazioni di volontariato. Non abbiamo al momento soluzioni rapide per risolvere il problema del sovraffollamento, ma ci stiamo lavorando. Se il comune e la regione vogliono aprire un discorso, un ragionamento, io sono disponibile”. Sul tema dei detenuti stranieri e sulla proposta di fare scontare la pena nei paesi ha spiegato che “non è cosa semplice, occorre la volontà del detenuto e occorrono accordi con paesi origine, stiamo lavorando in varie direzioni, ma tranne che con la Tunisia non abbiamo ancora intese”. Il direttore Salvatore Mazzeo ha raccontato che al visita ha toccato sia “ la sezione alta sicurezza e la sezione giudicabili, che è la più sovraffollata con il 65% dei detenuti. Solo il 34 per cento dei detenuti hanno ricevuto una condanna definitiva mentre la maggior parte sono in attesa di giudizio”. A conclusione della visita un gruppo di detenuti della sezione alta sicurezza ha regalato al ministro una t-shirt color lilla con scritta la frase “perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te”, tratta da una canzone di Battiato. “A me piace moltissimo Battiato - ha commentato il Guardasigilli - ma amo anche de Andrè”. Cagliari: Sdr; nel carcere di Iglesias mancano agenti e c’è scarsa assistenza sanitaria Ristretti Orizzonti, 5 settembre 2013 “Venti detenuti del carcere di Iglesias hanno sottoscritto un documento inviato al Magistrato di Sorveglianza lamentando scarsa assistenza sanitaria dovuta all’impossibilità di effettuare accertamenti diagnostici in ospedale”. Lo sostiene Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” in seguito ad una lettera con cui si segnalano alcuni casi gravi di difficoltà nell’assistenza a detenuti infortunati. Uno riguarda un giovane “con una frattura scomposta a una mano, che si è visto negare l’accompagnamento al Pronto Soccorso perché l’ospedale è chiuso per ferie”. Dopo aver fatto 3 visite mediche - precisa la lettera denuncia - il dottore ha richiesto urgentemente l’accompagnamento al Pronto Soccorso, ma ciò non è avvenuto. Successivamente, dopo aver visto il colore viola della tumefazione, ha reiterato la richiesta per una lastra e una visita dell’ortopedico ma non è successo niente. C’è il rischio che possa subire anche l’amputazione di un dito in seguito all’infezione. Gli altri episodi - conclude la lettera - riguardano un uomo di circa 50 anni che per molti giorni è rimasto riverso in un letto con un piede fratturato, ed un giovane di 23 anni che attua da una settimana per protesta lo sciopero della fame, per essere ricoverato ma ciò non accade”. “È sconcertante apprendere - sottolinea Caligaris - che viene ignorata la prescrizione di un medico relativamente a un accertamento diagnostico. Il periodo estivo è sicuramente quello più delicato e difficile per la gestione delle strutture penitenziarie sia perché il personale fruisce delle ferie sia perché i detenuti vivono una condizione di particolare disagio. Il Magistrato di Sorveglianza svolgerà gli accertamenti in merito ma è vero che le problematiche sanitarie devono essere affrontate e risolte dalle Aziende Sanitarie Locali d’intesa con il direttore ed il Comandante del carcere, soprattutto in un istituto che nonostante il sovraffollamento è dotato soltanto di un infermeria Tutto ciò tenendo conto che i cittadini privati della libertà godono del diritto costituzionale alla salute e la mancata assistenza - conclude la presidente SdR - diventa una pena aggiuntiva soprattutto per chi è sofferente e non può godere della vicinanza dei familiari”. Perugia: carcere sempre più sovraffollato, Sappe chiede avvicendamento del Provveditore Il Centro, 5 settembre 2013 Avvicendare il Provveditore penitenziario dell’Umbria, Ilse Rusteni. È quanto chiede al Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che imputa al dirigente la responsabilità della grave situazione delle carceri umbre. “Qualche anno fa l’apertura in fretta e furia del nuovo carcere di Perugia Capanne, poi l’apertura della nuova sezione di Spoleto e, a breve, quella di un nuovo reparto a Terni. Da un giorno all’altro l’Umbria ha visto raddoppiare il numero dei detenuti nella regione. Gli agenti di polizia penitenziaria, invece, sono sempre rimasti sotto organico con evidente ed inevitabile rischio per la sicurezza interna ed esterna degli istituti. Questo è il risultato della politica penitenziaria del provveditore regionale Ilse Rusteni, dopo quasi dieci anni a capo delle carceri umbre”. È quanto denunciano Donato Capece e Fabrizio Bonino, rispettivamente segretario generale e segretario regionale umbro del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria. “Il carcere di Capanne non ha mai avuto un organico stabilito e quando finalmente si è riusciti ad ottenerlo il Provveditore Rusteni ha ridotto il numero proposto dal dipartimento di Roma”, affermano. “Il personale di Capanne è stanco delle promesse non mantenute di integrazione del personale e la recente assegnazione di soli tre agenti, a fronte della carenza di cinquanta, ha fatto esaurire la pazienza di tutti. Di fronte alle proteste dei sindacati l’amministrazione centrale di Roma ha scaricato le responsabilità sul provveditore regionale che avrebbe ridotto l’organico previsto per Perugia e, quindi, le possibilità di assegnazione di personale. Il Sappe, a questo punto, chiede l’immediato avvicendamento della dottoressa Rusteni perché ritiene che in Umbria ci sia bisogno di un dirigente con più stimoli e maggiori capacità manageriali. A sostegno della richiesta al Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, il primo sindacato della Polizia Penitenziaria proclama lo stato di agitazione del personale dell’Umbria e preannuncia eclatanti manifestazioni di protesta intese a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla gravissima situazione del carcere di Perugia che ha un disperato bisogno di rinforzare l’organico del personale di custodia”. Sulmona (Aq): l’Ugl denuncia; un altro caso di tubercolosi tra i detenuti Agi, 5 settembre 2013 Altro caso di tubercolosi al carcere di Sulmona. Dopo l’episodio di legionella dei giorni scorsi, Mauro Nardella, segretario regionale Uil penitenziari, e Andreano Picini, segretario regionale Ugl, denunciano l’episodio. Le parti sociali si complimentano questa volta con la direzione del carcere per il protocollo avviato contro ogni contagio. È stato, infatti, attivato lo screening delle persone che sono state a contatto col detenuto affetto dalla malattia, sia parenti che gli hanno fatto visita, che agenti che lo controllavano. “La presenza di numerosi extracomunitari sta rigettando nel panico tubercolosi chi opera nelle carceri italiane – scrivono in una nota Nardella e Picini – a ciò si aggiunga la lungodegenza dei detenuti colpiti da questa malattia con tutto ciò che ne comporta dal punto di vista delle carenze di organico del personale. Carenze che il Dap n sembra non tenere in considerazione, visto che nuovi agenti sono stati assegnati a L’Aquila (6), Teramo (2) e Pescara (1). A Sulmona, dove ingeneri e geometri nei giorni scorsi sono venuti per fare un primo sopralluogo per la costruzione del nuovo padiglione da 200 posti, niente nuove assegnazioni. I lavori dovrebbero partire a novembre”. Firenze: le “rose di Sollicciano”, coltivate dai detenuti-vivaisti, alla Festa del Pd di Guenda Gonnella www.ilreporter.it, 5 settembre 2013 Le “rose di Sollicciano”, i fiori coltivati dai detenuti-vivaisti, sbarcano alla Festa democratica di Firenze, in corso fino al 15 settembre nei lungarni intorno all’Obihall. Giovedì, venerdì e sabato prossimi dalle 21 in poi, chi vorrà potrà dare il suo contributo al progetto di orticoltura promosso dall’assessorato all’agricoltura della Regione Toscana e gestito dalla cooperativa sociale Ulisse di Firenze in collaborazione con la cooperativa Valle Verde di Scandicci. L’iniziativa, finalizzata alla rieducazione e al reinserimento lavorativo degli ospiti del carcere fiorentino, si è aperta a marzo con l’acquisto di alcune centinaia di esemplari di rose rifiorenti e oggi dà lavoro a tre detenuti che per tre anni coltiveranno le piantine in una struttura messa a loro disposizione all’interno del carcere dall’amministrazione penitenziaria. La presenza delle “rose di Sollicciano” all’interno della Festa è stata voluta e predisposta dal Gruppo Pd Provincia di Firenze, insieme al partito metropolitano fiorentino, per tenere aperta una finestra sulla intollerabile situazione delle carceri, come già fatto con il consiglio straordinario svoltosi nel penitenziario fiorentino lo scorso 31 luglio. “Siamo molto contenti di poter presentare il nostro progetto nell’ambito di una manifestazione così importante e siamo grati al Pd per averci dato questa possibilità”, fa presente Gianni Autorino, presidente della Cooperativa Ulisse. “Il gruppo provinciale e il Pd fiorentino tutto sono ben consapevoli della condizione emergenziale in cui versano i penitenziari, a livello locale e nazionale, una situazione diventata ormai inumana; per questo ci è sembrato doveroso dare spazio a un progetto così importante che favorisce la rieducazione dei detenuti e punta al loro reinserimento nella società, una volta ultimata la pena”, commenta Patrizio Mecacci, segretario Pd metropolitano di Firenze. “L’iniziativa si inserisce nel percorso di attenzione e impegno che il gruppo Pd della provincia di Firenze sta effettuando nei confronti della drammatica situazione delle carceri italiane, culminato nel consiglio straordinario tenutosi a Sollicciano”, aggiunge Stefano Prosperi, capogruppo Pd Provincia di Firenze. Venezia: il regista Gianni Amelio in visita alle carcerate della Giudecca La Nuova Venezia, 5 settembre 2013 Il giorno in cui “L’Intrepido” uscirà nelle sale italiane, il regista Gianni Amelio visiterà le detenute della Casa di reclusione femminile della Giudecca. Prosegue infatti il lavoro di Michalis Traitsis, il regista fondatore di Balamòs Teatro che anche quest’anno, in accordo con la Biennale di Venezia, accompagnerà uno dei registi presenti alla Mostra del Cinema all’interno del carcere. Dopo Abdellatif Kechiche, Fatih Akin e Mira Nair domani, 5 settembre, sarà la volta di Amelio che vuole mantenere l’assoluta discrezione sull’incontro che in questi anni ha avuto sempre un esito molto positivo sia per la città che per le detenute. La possibilità che alcune personalità del mondo del teatro e dello spettacolo entrino in carcere è infatti un modo per abbassare simbolicamente il muro che separa il mondo penitenziario da quello cittadino. “Ho pensato ad Amelio”, spiega Traitsis, il regista di orgine greca che lotta da anni per mantenere in vita l’esperienza teatrale nelle carceri veneziane, “perché è un regista molto sensibile alle tematiche sociali e mi sembrava la persona giusta per l’appuntamento che ogni anno si cerca di realizzare in carcere”. Fino a dicembre 2013 non ci saranno infatti molti incontri in quanto il budget per queste attività è stato riconfermato dalla Regione per il 2014. Per fortuna a breve, il 18 settembre, nella Casa di reclusione di Rebibbia, sarà firmato il protocollo d’intesa tra il Dipartimento dell’amministrazione penintenziaria e l’Istituto superiore di studi penitenziari e il Coordinamento nazionale di teatro in carcere di cui Balamòs Teatro è membro fondatore, al fine di garantire che questo tipo di attività non venga penalizzata dai pochi finanziamenti. Amelio sarà presente nel carcere della Giudecca con alcuni attori dello staff per poi ritornare al Lido sotto le luci dei riflettori. Tempio Pausania: al via il reading letterario in carcere La Nuova Sardegna, 5 settembre 2013 “O ridere o morire”, si può dare titolo più irriverente e accattivante a un reading letterario? Quello che andrà in scena oggi all’istituto penitenziario di Nuchis prima e, in tarda serata, a Tempio è intitolato proprio così. Ad organizzarlo è ancora una volta una ben affiatata triade organizzativa: Carta Dannata, la libreria Max 88, nei cui locali, alle 21, si tiene l’incontro serale, e la direzione della casa di reclusione “Paolo Pittalis “di Nuchis. Come spiega la direttrice del carcere, Carla Ciavarella, “il comune intento è quello di creare percorsi di integrazione tra la realtà carceraria ed il territorio di riferimento”. Un processo ben avviato, destinato a crescere e radicarsi. Lettori diversi si alterneranno nell’interpretazione di pagine tratte da romanzi di Stefano Benni, Gianluca Morozzi e Giuseppe Culicchia, due bolognesi e un piemontese doc conosciuti e apprezzati per il registro frizzante della loro scrittura. Alcuni dei brani selezionati saranno letti dai detenuti ospiti della casa di reclusione e le letture, in entrambi gli appuntamenti, saranno intervallate da brani di musica reggae proposti dalla Riptiders Band, band che si è distinta con merito nelle recenti edizioni del Cantagiro e che sembra essere ormai pronta per il grande salto di qualità nel mercato discografico. Ucraina: sì del Parlamento a miglioramento condizioni detentive Ansa, 5 settembre 2013 Il parlamento ucraino ha approvato una legge che prevede l’introduzione di condizioni migliori per i detenuti nelle carceri della repubblica ex sovietica. Il documento rientra nel pacchetto di riforme richieste dall’Ue all’Ucraina per siglare un accordo di associazione e libero scambio il prossimo novembre: hanno votato in suo favore 379 deputati sui 416 presenti in aula. La riforma consente ai detenuti che si trovano nei centri di riabilitazione di indossare abiti civili e di usare i telefoni cellulari e regola la concessione di incontri di lunga durata con amici e familiari, incontri che dovranno essere garantiti in caso di matrimonio. In circostanze eccezionali dovute a motivi personali, ai condannati a pene minori non considerati pericolosi potranno essere concessi periodi fuori del carcere per un massimo di sette giorni. Stati Uniti: il soldato Manning chiede la grazia a Obama Tm News, 5 settembre 2013 Il soldato Bradley Manning, che recentemente ha chiesto di farsi chiamare Chelsea, ha scritto al presidente americano Barack Obama chiedendo la grazia o una riduzione della condanna di 35 anni inflittagli per aver trasferito al sito WikiLeaks informazioni confidenziali, tra cui migliaia di cablo diplomatici del dipartimento di Stato, documenti sulle guerre in Afghanistan e Iraq e sui detenuti di Guantánamo.