Le famiglie infelici di chi sta in galera Il Mattino di Padova, 30 settembre 2013 “Tutte le famiglie felici sono simili le une alle altre; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”: comincia così un grande romanzo, “Anna Karenina”,, e in quelle famiglie infelici ognuna in modo diverso pare di vedere le famiglie delle persone detenute: una infelicità che travolge i figli che possono incontrare i padri per pochissime ore al mese, le mogli che non possono scambiare neppure un bacio con i loro mariti. Ne continuiamo a parlare in modo ossessivo, con due testimonianze dolorose di detenuti, con la speranza che qualcuno trovi finalmente il coraggio per fare questa battaglia perché le persone detenute possano avere un po’ di intimità con le loro famiglie. Il carcere è l’annientamento delle persone recluse, ma anche delle famiglie Durante una delle mie latitanze in giro per l’Italia ho incontrato, una mattina, un mio vecchio amico. Mi ricordo che da piccoli il nostro gioco preferito era di fare guerre immaginarie contro qualsiasi divisa che conoscevamo. Quella mattina, casualmente, ci siamo ritrovati a una inaugurazione di un nuovo emporio di abbigliamento. Abbiamo perso 20 minuti del nostro tempo a raccontarci cosa faceva l’uno e cosa faceva l’altro davanti a una tazza di caffè. Insomma lui era diventato un ingegnere e io un bandito. Ovviamente, per quanto mi riguardava, non ero stato onesto con lui nel raccontarmi, non potevo esserlo, avrei rischiato. Ma lui, sono sicuro che lo era stato, lo si vedeva, si capiva dal suo racconto, dalla soddisfazione che provava verso se stesso. Certo lui era cresciuto come me, anche lui veniva da una famiglia di criminali, ma lui era diverso. Lo studio, l’andar via dal quartiere l’avevano sicuramente aiutato a crescere in meglio. E io? Io questa fortuna non l’avevo avuta, a dieci anni mi ero ritrovato, io che ero nato a Milano, catapultato in una realtà molto peggiore di come poteva essere un quartiere malfamato del milanese: un quartiere di Catania. Due strade completamente opposte. Non voglio pensare che tutta la mia vita sia stata sprecata per rincorrere il classico sogno del colpo perfetto che può sistemarti la vita, so di non essere stato solo un rapinatore che provocava disastri e se era necessario anche dolore al prossimo, sono stato anche un uomo molto leale, che se aveva vicino persone in difficoltà non si tirava indietro nell’aiutarle. Sono certo di avere però un rimpianto, un senso di colpa con cui credo dovrò convivere per tutta la mia esistenza: la perdita di mio figlio. Sono stato un padre poco presente nella sua vita, e quelle sei ore di colloquio che ti concedono nelle carceri per vedere i tuoi cari hanno contribuito a perderlo ancora prima che mi lasciasse definitivamente per un tumore. L’ultima volta che sono riuscito a vederlo era in ospedale perché ormai era allo stadio terminale di questa malattia, io ero latitante e vivevo in Spagna, dunque era molto difficile per me tornare in Italia per potergli stare vicino. Una mattina mi arrivò una telefonata che mi diceva che ci aveva lasciato. Era il momento di prendere una decisione che avrebbe posto fine alla mia libertà, partecipare al funerale. E io decisi allora di partecipare e così eccomi qui a scrivere dubbi, incertezze, paure e cercare di capire dove ho sbagliato. Ho passato un anno di depressione e sono riuscito a venirne fuori solo con pensieri negativi, pensavo che mi sarei vendicato prima o poi di questa ingiustizia che ho dovuto subire. Pensavo a tutti quei colloqui di un’ora, che non mi permettevano di vivere con mio figlio, di costruire qualcosa che poteva assomigliare a un rapporto normale, ecco tutti questi pensieri mi hanno portato a trovare un colpevole, le istituzioni. Attenzione, con questo non voglio trovare alibi per quello che sono stato, ma un detenuto che ha una famiglia non può che detestare quelle istituzioni che gli impediscono di avere con i suoi cari dei rapporti decenti. Ecco perché dico che questo rimpianto ha un’influenza negativa su di me. A breve sarà la ricorrenza della sua morte e come ogni anno cercherò di isolarmi perché da solo riuscirò a trovare nel dolore la giusta punizione che mi spetta. Il carcere, oggi, è diventato una malattia sociale che nessuno vuole ammettere che abbiamo e, ovviamente, nessuno vuole curare. Il carcere è l’annientamento non solo delle persone recluse, ma anche delle famiglie che per anni seguono i loro cari. Quando un detenuto esce e vuole riprendersi la sua vita deve prima cercare di rientrare a fare parte della vita della sua famiglia, ma se ha passato tanti anni in carcere riavvicinarsi a un figlio lasciato in età adolescenziale e trovarlo ragazzo è molto duro. Questo perché all’interno delle carceri non c’è un progetto che consenta di mantenere e curare i rapporti umani con l’esterno. Credo che la condanna più dura che oggi ci infliggono sia proprio questa. Lorenzo S. Aiutateci ad amare Sono uno dei tanti detenuti italiani, che ripetutamente si fa la stessa domanda: perché veniamo privati dalla possibilità di aver cura dei nostri affetti e veniamo obbligati alla disintegrazione della famiglia? La nostra Costituzione difende il valore della famiglia, ma forse questo non vale per noi detenuti, visto che oltre ad essere puniti con l’allontanamento dalla società verso cui siamo debitori, veniamo anche impossibilitati a dare amore ai nostri figli e alle nostre mogli, perché in sei ore al mese di colloquio di certo non lo possiamo umanamente fare. Ormai in moltissimi Paesi ai detenuti vengono permessi periodicamente dei colloqui nei quali si ha la possibilità di stare privatamente in apposite stanze con i famigliari per alcune ore, senza un agente che stia li a fissarti tutto il tempo e con la possibilità di fare l’amore con la propria compagna, cosa fondamentale per salvare i rapporti coniugali. Si pensi che in Paesi che noi italiani definiamo arretrati, tipo i paesi dell’Est Europa, o del Sud America, i cosiddetti colloqui intimi ci sono da anni, come ci sono in buona parte dei Paesi dell’Unione europea, ma in Italia no, anzi fare discorsi in merito è tabù. Perché? Il nostro stato non ci condanna per un reato, finalizzando la nostra pena ad un reinserimento nella società in forma migliore, ma si vendica contro di noi distruggendoci anche negli affetti, in modo tale che quando usciamo non abbiamo neanche più quello che di positivo avevamo! Forse sembrerò duro nei miei commenti, ma ho tanta paura di perdere mia moglie. Come può una moglie vivere per anni senza un minimo contatto fisico con il proprio uomo? È logico che dopo un po’ si stanchi ed è li che la famiglia si sfascia, cosa che potrebbe non accadere se almeno ogni tanto potesse fare l’amore con il marito anche se detenuto, ma in Italia no, non si può, se solo viene proposto, nei giornali si parla di “celle a luci rosse” com’è già accaduto alcuni anni fa, quando Ma a chi può interessare tutto questo? Io spero a chi ha un po’ di coscienza e umanità, visto che non sto chiedendo nulla di più che la possibilità di dare amore alla mia famiglia, alla fine devo pagare io un errore, non loro. Come posso stare tranquillo io con una moglie di ventisette anni, che posso frequentare sei ore al mese, con un attento agente che osserva ogni attimo in cui sto con lei e che se mi vede che la bacio con un po’ di passione, è subito pronto a bussare sul vetro dicendomi che non si può? È impossibile, ho sempre il costante terrore che lei prima o poi si stanchi e che si rifaccia una nuova vita, come vedo ripetutamente accadere a tanti miei compagni. Per quanto riguarda i figli, si può benissimo capire che in sei ore di colloquio mensili è impossibile avere un sano e costruttivo rapporto con un figlio, specie se in tenera età, infatti con il passare del tempo per tuo figlio diventi un estraneo, e lo noti da come si allontana da te anche nelle cose più banali, perché ti esclude da ogni sua emozione ed esperienza di vita. È una cosa molto dolorosa e all’inizio mi faceva arrabbiare, ma poi ho imparato a capire che è la conseguenza di questo obbligato distacco. In più i pochi figli che nonostante tutto mantengono un minimo rapporto con il proprio padre finiscono per provare un senso di odio nei confronti delle Istituzioni, che gli vietano di comunicare normalmente e assiduamente con il loro genitore. Questo è totalmente sbagliato, perché i giovani dovrebbero imparare ad aver fiducia nelle Istituzioni, altrimenti creiamo solo una società malata. Provate voi solo ad immaginare di poter stare con i vostri figli un’ora alla settimana, che rapporto potreste costruire? Per questo chiedo a nome di noi tutti detenuti di aiutarci a far cambiare le cose, perché in galera ci si può finire anche per un errore e non solo per una scelta di vita, perciò può capitare a tutti, e non è giusto buttare al vento tutto ciò che di buono avevamo precedentemente costruito per colpa di un sistema totalmente ingiusto nei confronti di chi amiamo. Alex G. Giustizia: Referendum Radicali; superate 500mila firme per 6 quesiti, ora in Cassazione Agi, 30 settembre 2013 Superate le 500 mila firme necessarie per i quesiti sulla “giustizia giusta” presentate dai Radicali: le sottoscrizioni, che hanno raggiunto quota 532 mila, sono state depositate questa mattina in Cassazione. Sei i referendum che, dunque, ora saranno all’esame dell’ufficio preposto alla Suprema Corte: due quesiti riguardano la responsabilità civile dei magistrati, mentre gli altri chiedono l’abolizione dell’ergastolo e del fuori ruolo per i magistrati, chiedono la separazione delle carriere in magistratura e lo stop dell’abuso della custodia cautelare in carcere. La Cassazione, entro il 31 ottobre prossimo, dovrà esaminare la validità delle firme. Se queste ricevessero il via libera da Palazzaccio la parola passerebbe alla Consulta, deputata a vagliare la legittimità costituzionale dei quesiti. “Quella sui referendum sulla giustizia è una conquista - ha dichiarato Rita Bernardini, esponente dell’assemblea legislativa del Partito dei radicali italiani - nessuno di questi quesiti serve a Berlusconi, ma la nostra vittoria di oggi è anche grazie a lui”. Bernardini, in particolare, spiega il contenuto dei referendum sulla responsabilità civile delle toghe: “vanno eliminati i troppi filtri che oggi rendono quasi impossibile portare avanti una causa del genere, e bisogna introdurre ciò che ci ha chiesto anche l’Europa, ossia la possibilità di fare ricorso anche per l’errata interpretazione delle leggi”. Bernardini: ce l’abbiamo fatta grazie a Berlusconi “Berlusconi ha capito che è importante dare la parola ai cittadini ed è per questo che ha sottoscritto tutti i referendum, anche quelli che lui stesso ha detto di non condividere”. Lo dice l’esponente dei Radicali Rita Bernardini, in un’intervista a Clandestinoweb, a proposito dei 6 quesiti referendari per una Giustizia Giusta, di cui oggi sono state presentate le firme in Cassazione. Tuttavia, continua Bernardini, “la sua posizione è stata tardiva. Berlusconi si è fatto avanti all’inizio di settembre e noi avevamo la scadenza tassativa per la consegna firme il 30 dello stesso mese. Siamo molto dispiaciuti per non aver raggiunto l’obiettivo sui referendum per la libertà civile e sui finanziamenti pubblici ai partiti. D’altra parte, quando abbiamo iniziato la nostra battaglia, Pannella e altri radicali avevano già avvertito che senza il supporto delle forze politiche difficilmente saremmo riusciti nell’impresa”. Forse, conclude Bernardini, “il nostro errore è stato quello di fidarci delle promesse fatte da partiti come Sel o i socialisti di Riccardo Nencini, che alla fine, nei fatti, ci hanno offerto un apporto pari a zero. Per esempio, Nencini ci aveva detto che quest’estate avrebbe raccolto le firme anche in spiaggia. Ma, evidentemente, in spiaggia ha trovato solo firmatari senza i documenti! Grillo e il MS5 sono in Parlamento da poco ma ne hanno capito subito l’andazzo”. Staderini: sui diritti civili “battuti” dallo Stato “Siamo stati battuti da uno Stato fuorilegge che ha impedito a milioni di italiani di firmare, perché la sinistra, come la destra, non ha voluto questi referendum sulle libertà e i diritti civili, perché sono scomodi alla partitocrazia”. Così il segretario dei Radicali, Mario Staderini, ha commentato il mancato raggiungimento del quorum delle 500 mila firme necessario per la richiesta referendaria dei sei quesiti sostenuti dai Radicali sui temi dei diritti civili, come il divorzio breve e l’abolizione del finanziamento ai partiti. Staderini, inoltre, ha annunciato che i Radicali presenteranno una denuncia contro lo Stato italiano di fronte al Comitato per i Diritti dell’Uomo dell’Onu per la violazione del patto internazionale sui diritti civili e politici. Firme insufficienti su finanziamento pubblico partiti Non hanno raggiunto il quorum previsto dalla legge di 500 mila sottoscrizioni sei quesiti referendari in materia di “libertà e diritti civili” presentati dai Radicali italiani. Tra questi, spicca quello sull’abolizione del finanziamento ai partiti. Gli altri riguardavano l’abolizione dell’8 per mille, la modifica delle attuali norme sull’immigrazione e sulla droga e il divorzio breve. “Gli italiani non potranno votare per l’abolizione del finanziamento ai partiti e l’8 per mille, per il divorzio breve e per la modifica delle leggi su immigrazione e droga - ha dichiarato Mario Staderini, segretario dei Radicali italiani - perché siamo stati battuti da uno Stato fuori legge che ha impedito a milioni di italiani di firmare e perché la sinistra, come la destra, non li hanno voluti in quanto scomodi alla partitocrazia”. Staderini, dunque, annuncia una “denuncia nei confronti dello Stato italiano di fronte al Comitato dei diritti umani dell’Onu per violazione del Patto internazionale sui diritti civili e politici, in modo che almeno per il futuro sia garantito il diritto degli italiani a promuovere un referendum”. Le firme raccolte, seppure insufficienti, saranno depositate in ogni caso in Cassazione proprio a sostegno dell’annunciato ricorso al Comitato diritti umani dell’Onu. “Purtroppo possiamo consegnare al voto popolare degli italiani solo i referendum sulla giustizia - ha aggiunto Rita Bernardini, esponente dell’assemblea legislativa del Partito radicale - da parte della sinistra non è arrivato alcun apporto per poter votare gli altri referendum”. Nencini: ora la parola ai cittadini “Superato il tetto delle 500.000 firme nei referendum sulla giustizia. I cittadini potranno finalmente dire la loro nella riforma”. Lo ha scritto in una nota Riccardo Nencini, senatore e segretario del Psi, che commenta il raggiungimento del quorum su alcuni dei quesiti referendari, le cui firme sono state depositate oggi in Cassazione. “Sulla questione giustizia c’è bisogno di un cambio di passo, una riforma complessiva - prosegue Nencini - che serva per affermare principi di libertà e di civiltà che ci mettano in linea con tutte le grandi democrazie europee”. E Nencini cita Nenni: “Spesso la legge è debole con i forti e forte con i deboli”, ma - prosegue il Segretario Psi nella nota, “con il raggiungimento del quorum sul quesito che prevede la responsabilità civile dei magistrati è stato fatto un primo, importante passo. Ora è tempo di dare la parola ai cittadini, perché le grandi questioni referendarie che abbiamo sottoposto sono nel cuore della maggioranza degli italiani. Ed è tempo - prosegue - di fare una riflessione seria perché la giustizia venga profondamente riformata. Abbiamo fatto un buon lavoro assieme ai radicali e ai tanti democratici che credono in un’Italia migliore. Una buona notizia in giorni così bui”- conclude Nencini. Giustizia: le carceri e i numeri della vergogna, ecco perché la Corte europea ci condanna di Emilio Fabio Torsello L’Espresso, 30 settembre 2013 La Corte europea ha condannato l’Italia. Perché ci sono 21mila detenuti in più rispetto alla capienza massima, ogni detenuto ha meno di tre metri a disposizione e mancano 7.000 agenti. Mentre i tagli del governo Monti hanno reso ancora più scandalosa la situazione. Oltre 21mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare delle carceri e settemila agenti in meno rispetto all’organico previsto. Sono questi i numeri dell’emergenza penitenziaria In Italia. Sono queste le cifre nude che che hanno portato a situazioni come quella di Busto Arsizio e Piacenza, dove i detenuti hanno a disposizione meno di tre metri quadrati e la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha quindi condannato il nostro Paese per trattamento inumano e degradante. Nella sentenza anche l’invito a porre rimedio immediatamente al sovraffollamento carcerario. Il bluff del Piano Carceri. Gli spazi nelle carceri sono sempre più ridotti, con padiglioni e strutture nuove che non possono essere aperte per mancanza di personale adibito alla vigilanza. E i detenuti, come denunciato anche nel luglio scorso dall’Associazione Antigone, vengono stipati ovunque, in un contesto di vita carceraria sempre più esasperato, sia per i reclusi che per le guardie chiamate ad assicurare il servizio di vigilanza. Eppure sono anni che i diversi governi che si succedono in Parlamento rilanciano un fantomatico Piano Carceri che, almeno stando ai numeri sulla carta, ad oggi è impossibile da attuare: “Il governo - spiega Fabrizio Fratini, Segretario Nazionale FP Cgil - ha varato una politica di tagli per cui è impossibile avere un Piano Carceri di qualità. Negli anni, in modo propagandistico, sono state annunciate aperture di nuove strutture che per mancanza di personale non si è in grado di far funzionare al di là della costruzione delle mura”. I numeri dell’emergenza. Secondo i dati comunicati dal Dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria al 31 agosto di quest’anno, dalle carceri italiane mancano circa settemila agenti. Le situazioni più gravi in Lombardia, con 1061 uomini in meno rispetto agli organici previsti, nel Lazio con 945 poliziotti in meno e in Sicilia, con 870 agenti che mancano all’appello. Ma la situazione non è migliore in Piemonte e Veneto (-829), in Toscana (-743), in Emilia Romagna (-531), in Campania (-486). Un segno “meno” che accomuna tutte le regioni italiane. E di notte può accadere che un solo agente sia costretto a vigilare su diversi padiglioni del carcere con il rischio di richiami disciplinari in caso di problemi. Le scorte senza uomini. “Mentre il numero dei detenuti è aumentato in modo vertiginoso”, spiega Francesco Quinti, responsabile Sicurezza FP Cgil, “il personale di polizia patisce il blocco del turn over, con servizi di scorta ridotti all’osso che spesso non rispettano gli organici previsti, non per poca volontà dei colleghi ma per l’effettiva impossibilità a reperire il personale necessario”. Il personale distaccato. Ad aggravare la situazione c’è anche la circostanza per cui almeno il 10 per cento del personale di polizia penitenziaria a disposizione viene distaccato presso i Ministeri (su un totale di circa 37mila agenti). E si tratta di agenti formati per far fronte alle necessità del carcere che vengono invece assegnati a compiti amministrativi: “In questo modo”, continua Fratini, “le risorse vengono sprecate due volte: nella fase formativa e nel successivo utilizzo delle loro capacità”. A questi dati, spiegano ancora dalla FP Cgil, “vanno aggiunti anche quelli relativi ai comandi disposti verso altre amministrazioni o enti statali e l’impatto che produrrà inevitabilmente il blocco parziale del turn over (calcolato in circa 3000 unità per i prossimi tre anni) su un’amministrazione che annualmente perde circa 850-900 poliziotti posti in quiescenza o riformati dalla commissione medica ospedaliera perché ritenuti non più idonei al servizio nel corpo. Almeno altri 250 - proseguono - per effetto del medesimo giudizio ai sensi del decreto legislativo 443/92 transitano in altri ruoli amministrativi”. E la pianta organica prevista nel 2001 pare ormai superata e di difficile attuazione. Giarda: “Difficoltà insormontabili”. La relazione del ministro Piero Giarda, infine, parla chiaro sulle prospettive future: “Le previsioni di bilancio per l’anno 2012 e del bilancio pluriennale per il triennio 2012-2014 sono destinate a produrre difficoltà insormontabili per una serie di fabbisogni di spesa che, qualora non adeguatamente soddisfatti, rischiano di pregiudicare seriamente la funzionalità del sistema penitenziario, nella prospettiva della permanenza di alti tassi di sovrappopolazione in esecuzione penale detentiva e della necessità, quindi, di procedere all’attivazione di nuove strutture penitenziarie”. Un problema strutturale. I giudici della Corte europea hanno condannato il nostro Paese per due strutture ma scrivono nella sentenza che il problema del sovraffollamento carcerario in Italia è “di natura strutturale”: la Corte ha già ricevuto più di 550 ricorsi da altri detenuti che sostengono di essere tenuti in celle dove avrebbero non più di 3 metri quadrati a disposizione. Perché non continui la strage silenziosa di chi si toglie la vita: nelle prigioni italiane c’è a un suicidio ogni 924 persone, tra chi è libero uno ogni 20 mila abitanti. Giustizia: Gozi (Pd); su carceri e immigrazione l’Italia è al di fuori delle regole europee Ansa, 30 settembre 2013 “Dobbiamo rimettere l’Italia entro le regole dettate dal Consiglio d’Europa per quanto riguarda la situazione carceraria, ma anche sul fronte della giustizia e della gestione dei flussi migratori”. Lo ha dichiarato all’Ansa il deputato Sandro Gozi (Pd) subito dopo la sua elezione a vicepresidente dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Gozi, che guida la delegazione italiana a Strasburgo, sottolinea che la sua elezione alla presidenza dell’assemblea è importante per l’Italia dove il Consiglio d’Europa è al centro del dibattito non solo per quanto riguarda la questione del sovraffollamento carcerario, ma anche nella discussione sulla riforma della giustizia e il fenomeno migratorio. “Il Consiglio d’Europa, come dimostra anche il riferimento fatto a questa organizzazione dal presidente Napolitano solo ieri, non può essere considerata una qualche oscura entità, ma piuttosto una realtà con cui il nostro Paese non può che confrontarsi” ha detto Gozi. Giustizia: Pighi (Anci); sindaci-sceriffo hanno fallito, coniugare politiche nazionali e locali Ansa, 30 settembre 2013 “Coniugare le politiche locali e le politiche di sicurezza: passato il periodo dei sindaci sceriffo, a colpi di ordinanze poi risultate inefficaci o addirittura azzerate dalla Corte costituzionale, il nostro compito oggi è quello di armonizzare le decisioni nazionali sui temi generali con l’azione che si sviluppa a livello locale per garantire risposte adeguate alle richieste di sicurezza”. Ne è convinto Giorgio Pighi, sindaco di Modena e neo delegato per l’Associazione all’Immigrazione, Sicurezza e Legalità. “Sul femminicidio, per esempio, le leggi devono essere nazionali - spiega al sito dell’Anci - ma vanno valorizzate le politiche e le esperienze locali come la nostra educazione all’affettività, già nelle scuole elementari, o il servizio di recupero per gli uomini violenti gestito dall’Ausl. Esperienze di questo genere ce ne sono in tutta Italia: si tratta, quindi, di far funzionare il coordinamento Stato-Regione-Comuni come previsto dalla Costituzione”. Analoga attenzione va riservata, secondo il delegato Anci, “a questioni come il gioco d’azzardo, la lotta alla contraffazione, al lavoro nero, al ruolo della polizia locale, il sovraffollamento delle carceri, l’integrazione operativa delle forze di polizia. Su questi temi - rammenta Pighi - abbiamo proposte e ci confronteremo col governo, con il quale dovremo anche affrontare la complessa situazione delle sedi distaccate dei tribunali e delle spese giudiziarie che i Comuni devono anticipare e che poi non vengono mai rimborsate, se non in minima parte”. Giustizia: criminalizzazione della tortura, in Senato “stop and go” sul disegno di legge di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 30 settembre 2013 Stop and go per la criminalizzazione della tortura. La commissione giustizia del senato, di fronte alla difficoltà nel trovare una sintesi tra le varie proposte pendenti, ha sostituito il relatore Enrico Buemi (Psi) con Nico D’Ascola (Pdl). Il testo unificato presentato nei giorni scorsi dal nuovo relatore così definisce il delitto di tortura: “Chiunque, con più atti di violenza o di minaccia, ovvero mediante trattamenti disumani o degradanti la dignità umana, ovvero mediante omissioni, cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia o autorità o potestà o cura o assistenza ovvero che si trovi in una condizione dì minorata difesa, è punito con la reclusione da due a otto anni”. Il testo pare richiamare una vecchia questione intorno alla tortura risalente addirittura al 2004. L’allora deputata Carolina Lussana della Lega nord presente e fece approvare dalla commissione giustizia di Montecitorio un emendamento secondo il quale per esservi il crimine di tortura si sarebbero dovuti commettere più atti di violenza o di minaccia. Non sarebbe bastato torturare una volta sola per essere incriminati. Quel testo fu poi accantonato dal parlamento. Il senatore del Pdl Nico D’Ascola ugualmente ha proposto una ipotesi di tortura che richiederebbe più comportamenti violenti o minacciosi. Il delitto è inoltre configurato come un delitto generico che potrebbe essere commesso da chiunque e non specificatamente da un pubblico ufficiale. Va ricordato che l’Italia è inadempiente rispetto a obblighi internazionali inderogabili da oramai venticinque anni: Nel 1988 il nostro paese ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura la quale all’articolo 1 contiene una definizione del crimine che dovrebbe valere per tutti gli stati. In quella sede la tortura è qualificata come delitto proprio che può essere commesso solo da un pubblico ufficiale investito da obblighi di custodia. Il delitto, secondo la definizione Onu che ha origine antiche nel diritto consuetudinario, dovrebbe avere anche un dolo specifico di natura giudiziaria (per esempio estorsione di confessioni) o vessatoria. Anche delle finalità ulteriori della tortura non vi è traccia nella proposta D’Ascola. Più coerenti rispetto al dettato Onu sono le proposte del senatore Luigi Manconi (Pd), presidente del Comitato sui diritti umani di palazzo Madama, e della senatrice Loredana De Petris (Sel). Il Movimento 5 Stelle, Scelta Civica (alla camera con il deputato Mario Marezziti) e il senatore Felice Casson (Pd) propendono invece per il delitto generico seppur prevedendo una circostanza aggravante nel caso l’autore sia un pubblico ufficiale. Si tratta ora di vedere se la discussione procederà oppure tenderà a fermarsi stoppata dai veti incrociati. Va ricordato che la tortura, al pari del genocidio e dei crimini di guerra, è considerato crimine contro l’umanità dallo Statuto della Corte penale internazionale. L’assenza del reato nell’ordinamento giuridico italiano impedisce o quanto meno rende molto difficile la punibilità di militari o dittatori stranieri che si rifugiano nel nostro paese. Infine, è in arrivo in parlamento la proposta di legge di iniziativa popolare promossa da più di venti organizzazioni non governative diretta alla introduzione del delitto di tortura nel codice penale. In quest’ultima proposta non si fa altro che riformulare in lingua italiana la definizione di tortura voluta dalle Nazioni Unite. Lettera: un appello a Papa Francesco, firmato da 2.415 tra detenuti e loro famigliari di Alessandra Terragni Notizie Radicali, 30 settembre 2013 Illustrissima Santità, questa lettera posta alla vostra Eccellentissima attenzione è scritta da una comunità di cittadini in sostegno ai detenuti delle nostre galere italiane. Il nostro appello è volto a Voi come grido di disperazione, portale di speranza per essere accolti nella Casa del Nostro Signore e richiesta di cure alle nostre sofferenze e pene che lacerano le nostre anime, perseguitate e afflitte. I nostri cari detenuti, in redenzione dei loro peccati, vivono la loro detenzione in termini che violano completamente i diritti umani, civili e costituzionali. 66.000 anime si trovano recluse in spazi che ne occupano, per conformità di legge, 45.000 di essi. Un sovraffollamento carcerario che deteriora la vita di ognuno di loro, conducendo loro stessi a commettere atti che vanno contro la parola di Dio: il suicidio, l’autolesionismo ecc. Dal 2000 ad oggi i dati che emergono documentano 790 suicidi, 2.205 morti “per cause naturali” di dubbia veridicità e morti violente 4 volte maggiori quelle che accadono negli Usa. I Diritti umani, civili e costituzionali impongono a un Paese di rispettare uno spazio di 9 mq. per detenuto, mentre invece in realtà ognuno di loro ha appena 3 mq a disposizione (minore di un maiale adulto da allevamento). Il Presidente della Repubblica rispose, alla condanna inflitta e confermata dalla Corte dei diritti Umani di Strasburgo, allo Stato Italiano, per violazione degli stessi: “mortificante”. Il guardasigilli Cancellieri disse “sono avvilita” mentre l’Anm (Associazione Nazionale Magistrati) dichiarò “assoluta priorità all’emergenza carceri”. Trattamenti inumani, degradanti, abusi di autorità e atti di tortura vengono consumati quotidianamente nelle nostre carceri, dove le grida di esseri umani non superano le mura.... inascoltate e soffocate in quei luoghi di sterminio... sterminio perché se fosse presente il reato di tortura in Italia, concorrerebbe il reato di strage! Morti come ordinaria quotidianità... malattie dilaganti e infettive come: epatite c, epatite b, hiv, tubercolosi, sifilide, scabbia e quant’altro non emerge. Detenuti picchiati e denudati, costretti a stati di isolamento ad oltranza, incostituzionali, incivili e crudeli che distruggono le condizioni fisiche e psichiche del detenuto (vedi carcere di Bolzano, Asti, Reggio Calabria, Nuoro, Sassari): uomini lasciati nudi su materassi bagnati, celle senza finestre, senza socialità... senza speranza, senza vita e con la sola compagnia di topi e scarafaggi che, malgrado, allietano il detenuto. L’ultimo provvedimento di amnistia concesso in Italia risale al 1990, 23 anni fa. Il nostro Amatissimo Papa Woytjla fece un appello nel 2002 in Parlamento, chiedendo, invocando, un provvedimento di amnistia per le carceri, per i detenuti. Esso rimase inascoltato e sono passati da allora 11 anni, di violenze subite, di privazioni, di condizioni igieniche, sanitarie, civili e umane vergognosamente rimandate, lasciate peggiorare e taciute. Torture psicologiche come il 41 bis, 14 bis, e alta sorveglianza, da abolire, e con il quale il detenuto deve fare i conti con una triste realtà carceraria al limite della sopportazione umana. Nel Vaticano la sua Illustrissima Santità ha abolito l’Ergastolo e vorremmo, in virtù di rispetto della Costituzione e Diritti Umani, che venisse abolita anche con approvazione in Parlamento. In Italia esiste inoltre “la pena di morte viva” con l’Ergastolo Ostativo. Un fine pena mai reso ostativo con l’Art. 4 dell’Ordinamento Penitenziario, che nega ogni possibilità ad alcun beneficio di legge... forma ancora più ignobile e disumana di condannare un essere umano. Illustrissimo Papa Francesco, noi tutti ci rivolgiamo a lei perché la Fede è la nostra forza e confidiamo nella Parola di Dio e dei suoi Rappresentanti e figli. Non abbiamo altro... se non il Testo della Bibbia in mano e la speranza che le nostre grida vengono ascoltate. Nel nome di Dio: “Ero carcerato e mi avete visitato” (MT 25,36). Certi che sentirà su di lei la nostra sofferenza e accoglierà la nostra richiesta di ricevere ascolto. Pregheremo sempre per lei, indipendentemente da ciò e affinché e fino a quando le nostre sofferenze non conosceranno via di libertà e pace. Le chiediamo di rivolgersi al Parlamento chiedendo un’amnistia per la Repubblica e l’abolizione dell’ergastolo. Un atto di pacificazione, un atto di perdono e amore. Sicilia: Cpt Strasburgo considera intervento cu carceri dopo denuncia Codacons Ansa, 30 settembre 2013 “Viene tenuta nella dovuta considerazione l’esposto redatto dagli avvocati Giovanni Petrone e Isabella Altana e presentato dal segretario nazionale del Codacons Francesco Tanasi per un pronto intervento del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, con sede a Strasburgo, riguardo la penosa situazione dei detenuti delle carceri siciliane”. Lo ha reso noto il Codacons citando una nota inviatale dal presidente della comitato Michael Neurauter in risposta ad un esposto nel quale Tanasi - candidato nei giorni scorsi da Codacons e Associazione Utenti della Giustizia a Garante dei detenuti - aveva evidenziato che le condizioni delle strutture penitenziarie dell’Isola e di detenzione dei soggetti privati della libertà personale “sono contrarie all’art. 3 della Convezione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e alla Convenzione Europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani”. Dopo la nota di Neurauter il Codacons ritiene che “a breve ci saranno importanti sviluppi per il rispetto di quanto previsto dalla legge e dalle convenzioni europee per i diritti dei carcerati”. Tanasi aveva scritto che “in alcune strutture i carcerati sono quasi del tutto privi di assistenza sanitaria, anche se urgente”, che “è difficile ottenere visite specialistiche e farmaci specifici”, aggiungendo che “i bagni sono alla turca e spesso senza porte e l’acqua per lavarsi è sempre gelida e non viene fornito nemmeno il sapone per l’igiene personale”. Il segretario del Codacons aveva anche segnalato che “l’organico degli agenti di polizia penitenziaria risulta inadeguato e sono carenti figure come psicologi, educatori e mediatori”. Regione Liguria: dirigente regionale penitenziario Salamone da domani in pensione www.savonanews.it, 30 settembre 2013 Sappe: “ora in Liguria un Provveditore penitenziario davvero motivato e vicino agli agenti”. Dal 1 ottobre la Liguria non ha più il provveditore regionale delle carceri: l’attuale dirigente, Giovanni Salamone, 65 anni, sarà infatti collocato in pensione e verrà provvisoriamente sostituito da Carmelo Cantone, coordinatore regionale dei penitenziari toscani. Ed il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, auspica che “finalmente la Liguria possa avere un Provveditore attento e sensibile alle problematiche dei poliziotti, in grado di affrontare le tante criticità penitenziarie liguri con competenza ed autorevolezza e non con il piglio del burocrate isolato e chiuso nella sua ‘torre d’avorio’, che sappia apprezzare e valorizzare il costruttivo rapporto con le Organizzazioni Sindacali”. Donato Capece, segretario generale del Sappe, sostiene che “Salamone se ne va dalla Liguria così come c’era arrivato dieci anni fa: nell’assoluta indifferenza dei poliziotti penitenziari, che non hanno mai visto in lui quel ruolo che invece dovrebbe distinguere un dirigente penitenziario: una figura apprezzata per la sensibilità e l’autorevolezza, vicina alle sue donne ed ai suoi uomini, impegnata a valorizzare l’importante ruolo sociale della Polizia Penitenziaria ed a riconoscere i tanti sacrifici che quotidianamente affrontano i Baschi Azzurri. Durante i dieci anni della gestione Salamone, arrivato in Liguria dopo trascorsi turbolenti in Sicilia, la Polizia Penitenziaria è numericamente diminuita e le condizioni di lavoro nelle carceri si sono aggravate, non ha fatto pressoché alcun corso di formazione ed aggiornamento professionale, lascia due Istituti - Savona e Imperia - senza direttore, ha sempre espresso pareri negativi alle domande di distacco di poliziotti in altre sedi (anche per motivi familiari), ha dato vita ad un ingiustificato balletto sulla gestione dei Reparti di Polizia Penitenziaria della Regione, spostando Comandanti di Reparto qua e là e creando confusione tra gli stessi Agenti, si è reso responsabile di costanti e continui rapporti conflittuali con le Organizzazioni sindacali tanto che più o meno tutti abbiamo chiesto in più occasioni il suo allontanamento della Liguria. Ci auguriamo che con il suo pensionamento la Liguria possa avere l’opportunità di essere guidata da un dirigente motivato e meno burocratizzato, più vicino agli Agenti di Polizia Penitenziaria che stanno in prima linea nelle sezioni detentive delle carceri liguri e meno chiuso nell’autoreferenzialità del ufficio”. Capece auspica infine che “il Ministro della Giustizia Cancellieri nomini presto un provveditore regionale penitenziario titolare per la Liguria, perché si possano gettare le basi di una rinascita dell’istituzione penitenziaria in regione dopo un decennio di politiche sbagliate sulle carceri e sull’organizzazione del lavoro dei poliziotti in Liguria”. Firenze: ministro Cancellieri; progetto casa-protetta per detenute madri Agi, 30 settembre 2013 “Sarebbe importante fare una casa protetta per le detenute madri che hanno bambini dai, 3, ai 6, ai 10 anni. Su questo stiamo progettando qualcosa. Vediamo come va a finire”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, a margine dell’inaugurazione dell’asilo nido aziendale nel Tribunale di Firenze, riferendosi ad un progetto specifico per i figli delle detenute del carcere fiorentino di Sollicciano, visitato l’estate scorsa dal ministro. “Se sarà possibile, questi sono giorni particolari - ha spiegato il ministro durante il suo intervento - mi resta un sogno: faremo qualcosa per i bambini delle detenute, affinché questi bambini abbiano le stesse possibilità degli altri. A riguardo - ha concluso - stiamo lavorando con il Comune di Firenze. Milano: il Prefetto in visita al carcere di San Vittore “sono qui per ascoltare” Adnkronos, 30 settembre 2013 Il Prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca, è andato oggi pomeriggio nel carcere di San Vittore.n Ad accoglierlo c’erano il provveditore regionale della Lombardia Aldo Fabozzi e il direttore della casa circondariale Gloria Manzelli, che lo hanno guidato all’interno della struttura. Dopo aver fatto visita ai reparti maschili, il Prefetto si è trattenuto nella sartoria gestita dalla cooperativa “Alice”. Le detenute impegnate nel laboratorio gli hanno consegnato una loro realizzazione, accompagnata da un biglietto in cui hanno espresso il loro ringraziamento per l’attenzione dedicata. Il Prefetto ha anche incontrato il personale della Polizia Penitenziaria, i volontari e gli operatori del privato sociale. “Sono venuto soprattutto per ascoltare - ha commentato il Prefetto alla fine della visita - e per mettere a disposizione il mio ruolo e quanto rientra nelle mie responsabilità per assicurare sempre un punto di equilibrio tra la tutela della dignità personale di chi è privato temporaneamente della libertà per motivi di giustizia e l’esigenza di garantire la legalità e la sicurezza collettiva”. Teramo: incontro organizzato dal Comitato Amici e familiari “Liberiamo Davide” Il Centro, 30 settembre 2013 Rompere il muro del silenzio e portare la voce dei detenuti fuori dal carcere: è stato questo l’obiettivo dell’incontro pubblico organizzato ieri pomeriggio in piazza Martiri della Libertà dal comitato Amici e familiari “Liberiamo Davide”. Davide Rosci è il giovane teramano attualmente in carcere a Castrogno dove sta scontando sei anni in seguito alla condanna in primo grado per gli scontri di Roma del 2011. “Ci siamo presi quest’impegno non solo per Davide ma per noi stessi, perché queste tematiche riguardano tutti. Riteniamo infatti che in una società civile ci debba essere un carcere civile” hanno spiegato gli organizzatori. Il dibattito è iniziato con la lettura di uno scritto di Rosci che ha raccontato la sua esperienza: “Condividiamo in due una cella di otto metri quadrati”. Il giovane ha quindi ricordato le richieste dei carcerati: l’abolizione del 41bis, del 14bis e dell’alta sorveglianza. La parola è quindi passata a Rudra Bianzino che ha portato la sua testimonianza riguardo la morte, ancora con molti lati oscuri, del padre Aldo, ritrovato morto nel 2007 nel carcere di Perugia dopo due giorni di detenzione. Lucca: detenuto tira tombino a Poliziotto penitenziario e gli frattura la mano Asca, 30 settembre 2013 Ennesimo caso di violenza nel carcere di San Giorgio. La denuncia viene dal Sappe, sindacato di Polizia Penitenziaria. “Un detenuto marocchino - racconta il segretario generale Donato Capece - ristretto nella fatidica Terza Sezione del carcere di Lucca ha tirato, per futili motivi, uno sgabello al poliziotto in servizio nel Reparto che è stato molto abile nello schivare il pesante oggetto. Poco dopo, lo stesso detenuto ha ingerito delle pile e, dopo essere stato accompagnato in infermeria ma aver rifiutato il ricovero nell’ospedale, mentre faceva rientro in cella costeggiando il muro del giardino, ha prelevato il coperchio di cemento di un tombino e si è scagliato contro i poliziotti. Uno di coloro, colpito con violenza, ha avuto dall’Ospedale una prognosi di 21 giorni per frattura del metacarpo e per almeno 40 giorni dovrà tenere il gesso. A lui e all’altro collega va tutta la nostra solidarietà. Ma certo si tratta dell’ennesima situazione incredibile e inaccettabile: e il fatto che ha visto protagonista, ancora una volta, uno straniero ci induce a tornare a sollecitare il Governo e il Ministro della Giustizia Cancellieri ad attivarsi davvero perché i detenuti stranieri scontino la pena a casa loro. Una cosa è certa: la Polizia Penitenziaria non è carne da macello e non tollererà altre violenze”. Capece annuncia che nei prossimi giorni sarà al carcere di Lucca, nel quale nelle ultime settimane diversi sono stati gli eventi critici: atti di autolesionismo, risse, colluttazioni e tentati suicidi. Eppure - afferma - nonostante tutto questo, l’amministrazione penitenziaria brilla per l’assenza di provvedimenti su Lucca, da almeno dieci anni. “Non è più possibile tollerare violenze come quelle di ieri sera contro i poliziotti del carcere di Lucca. Le autorità nazionali e regionali penitenziarie si sveglino dal colpevole torpore in cui da almeno un decennio si trovano ed assicurino garanzie e tutele alla Polizia Penitenziaria, che nella prima linea delle sezioni detentive combattono e rischiano la vita ogni giorno. Altro che segni di ripresa: Lucca è un carcere ad alta tensione, con violenze e problemi ogni giorno”. Ferrara: il carcere diventa laboratorio di scena tra culture diverse di Fabio Ziosi La Nuova Ferrara, 30 settembre 2013 Horacio Czertok spiega la nuova esperienza artistica Sabato in programma un incontro alla libreria Ibs. Il carcere come laboratorio di convivenza e di relazione tra culture diverse è possibile. Ne è testimone il laboratorio teatrale promosso in questi anni dal Teatro Nucleo di Horacio Czertok con il progetto di Partenariato europeo - appena conclusosi - che ha messo assieme formatori e discenti di carceri e persone impegnate nel terzo settore in Germania, Ungheria, Spagna e Italia e con i ricercatori dell’Università di Liegi a cui è andato il compito di monitorare questa esperienza per creare un sistema di valutazione dei risultati ottenuti. “Quale coordinatore il Teatro Nucleo - ci dice Czertok - si è impegnato perché a beneficiare del programma fossero direttamente i detenuti anche per quel che riguarda la mobilità vera e propria. È stato necessario vincere molte difficoltà giuridiche e burocratiche, perché ogni Paese ha una propria politica penitenziaria, un proprio modo di concepire e realizzare l’esecuzione della pena. Quando un ex detenuto (un migrante, per giunta) può mettere piede in un altro carcere europeo e non come recluso bensì come portatore di esperienza di cambiamento, come testimone attivo di tale cambiamento, ecco, in quel momento si è fatto un nuovo e grande passo verso la cittadinanza europea estesa agli ultimi”. Il teatro è stato al tempo stesso risultato e strategia per questo importante processo, ricordiamo che il laboratorio teatrale della Casa circondariale di Ferrara, sostenuto dal Comune di Ferrara e dal Centro servizi per il volontariato, è stato insignito della medaglia-premio da parte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In questo ambiente è nato lo spettacolo “Il mio vicino” realizzato da Czertok come attore, autore e regista, Moncef Aissa (ex detenuto) attore, Andrea Amaducci musicista e artista grafico e Dora Fanelli dell’Associazione Alpha Centauri. Come è nato lo spettacolo lo racconta lo stesso Czertok: “Quando mi chiedono perché faccio teatro in carcere mi capita di rispondere: le persone detenute prima o poi usciranno. E verranno ad abitare nei nostri quartieri. Come vogliamo che siano i nostri vicini di casa? Con il teatro è possibile creare processi di consapevolezza, di sviluppo personale, dell’autostima, il che contribuirà a farne migliori vicini di casa. Mi sembrava una buona immagine. E così un giorno incontrati Aissa, un mio attore-detenuto, vicino casa mia. Era libero e abitava a trenta metri da me. Da questo incontro è nato lo spettacolo”. E questo spettacolo è diventato anche una delle strategie nel corso del partenariato. “Il mio vicino” è stato tradotto in tedesco, spagnolo e francese. “In Germania - prosegue Czertok - ha integrato un programma con uno spettacolo prodotto da detenuti del locale carcere ed è stato possibile un dibattito tra detenuti, operatori e personale delle carceri. In Spagna è stata coinvolta l’Università di Oviedo e il laboratorio teatrale del carcere di Vilabona, nel quale si sperimento un nuovo modo di gestione della convivenza e della pena. In Belgio è andato in scena nel carcere di Liegi per un pubblico di detenuti, operatori e studenti con un dibattito finale dove l’ex detenuto Moncef Aissa ha partecipato in qualità di esperto”. Ma il lavoro del laboratorio prosegue. Il primo appuntamento è sabato 5 ottobre alle 15.30 alla libreria Ibs dove, per la rassegna Libri galeotti, verranno presentati il primo dei Quaderni di Teatro carcere, Astrolabio il giornale edito dai detenuti della Casa circondariale ferrarese e ci sarà infine una performance teatrale a cura del laboratorio diretto da Czertok con la collaborazone di Amaducci, video di Marinella Rescigno e con Aissa e Jalphed Ehichioya. Il 4 novembre si terrà in carcere la prima rappresentazione dello spettacolo “Hardcore” diretto da Andrea Amaducci con gli attori-detenuti della casa circondariale. Bari: ultimo passo del Progetto “Caffè ristretto-percorsi e discorsi dentro le mura” La Repubblica, 30 settembre 2013 Le “Persone Libro” sono un salvacondotto culturale per il presente e per il futuro, così le immagina Bradbury. E così le ritroviamo nella nostra contemporaneità, in azione, in particolare domani alle 15 nella Casa Circondariale di Bari per l’ultimo passo del progetto Caffè ristretto - percorsi e discorsi dentro le mura. Insieme a Le Persone Libro di Bari, i detenuti che hanno seguito un laboratorio sui temi della migrazione e del lavoro, declameranno, a memoria, brani e versi di Calderon, Pasolini, Cardarelli, Ripellino, Yashimoto e altri autori che attraverso le Persone Libro hanno imparato a conoscere e far propri. Domani con loro ci saranno anche un pittore, una disegnatrice e un sassofonista a condividere “una condizione mitopoietica: la restrizione”. Per questo Caffè ristretto, un piccolo cantiere culturale promosso dall’istituto comprensivo Massari Galilei, sostenuto dall’Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Bari, con l’Ufficio regionale del “Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale”, coordinato dalla scrittrice e drammaturga Teresa Petruzzelli. Ad assistere alla narrazione condivisa di domani ci saranno anche gli assessori Silvia Godelli e Fabio Losito, e, tra gli altri, gli educatori, gli operatori del carcere e i volontari. Roma: S. Egidio; dopo incontro con il Papa i leader religiosi vanno a Rebibbia Agi, 30 settembre 2013 Un ringraziamento “per l’accoglienza di genti di religioni diverse venute a Roma non solo per dialogare, ma con un sogno”, quello di “un mondo di pace” è stato rivolto a Papa Francesco da Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, in occasione dell’udienza concessa oggi ai leader religiosi che partecipano al meeting per la pace. “Nelle nostre società - ha affermato Riccardi - si affievolisce, si spegne la speranza di pace, che è la speranza di un mondo migliore” e i leader religiosi vogliono testimoniare la volontà che le religioni hanno di “uscire dai circuiti autoreferenziali, per rispondere “a chi semina odio, divisioni, a chi afferma che le religioni sono destinate allo scontro”. L’intento, ha spiegato l’ex ministro per la cooperazione, è quello di delegittimare “una grande piaga, il terrorismo religioso, con l’uso blasfemo del nome di Dio, mentre si uccidono creature fatte a sua immagine”. L’incontro internazionale per la pace sul tema “il coraggio della speranza”, continua intanto i suoi lavori, che prevedono un incontro anche con i detenuti di Rebibbia. Comunicato Comunità di Sant’Egidio Quest’anno l’Incontro Internazionale di preghiera per la pace nello spirito di Assisi si terrà a Roma. Si tratta della ventisettesima edizione, a partire dalla storica giornata di preghiera per la pace in Assisi nel 1986, voluta dal Beato Giovanni Paolo II, che nel corso degli anni ha toccato molte città del mediterraneo. Data l’eccezionale presenza a Roma, e in considerazione dell’assidua presenza negli Istituti Penitenziari romani da parte della Comunità di sant’Egidio, uno dei Panel sarà presso l’Istituto di Rebibbia N.C., per coinvolgere i detenuti e il mondo del carcere. Il Panel, che prenderà il titolo dell’evento generale “Il coraggio della speranza”, si terrà nel teatro di Rebibbia Nuovo Complesso il giorno martedì 1 ottobre tra le ore 9.30 e le 11.30. Quattro relatori provenienti dal mondo del cattolicesimo, dell’ortodossia, dell’ebraismo e dell’islam, si alterneranno per illustrare il valore delle religioni nella costruzione della pace. Saranno disponibili i testi delle relazioni all’Ufficio Stampa della Comunità di Sant’Egidio com@santegidio.org Milano: sfida nel carcere di Bollate… un calcio alla violenza di Luca Talotta Il Giornale, 30 settembre 2013 L’Italia, si sa, è un paese fatto di 60 milioni di allenatori. Niente come il calcio unisce (e divide) gli italiani. Ma è anche un paese che non dimentica chi subisce senza motivo. Ed è anche per questo che il 2 ottobre, nel carcere di Bollate, si svolgerà un torneo quadrangolare di calcio tra le squadre di quattro delle case di reclusione lombarde: nel dettaglio la stessa Bollate, Opera, Como e Bergamo. Un evento unico, che va a inserirsi nel contesto della “Settimana dello sport contro la violenza di genere”, una serie di appuntamenti per creare momenti di aggregazione sociale anche con chi non ne ha sempre l’opportunità, intitolato alla memoria di Yara Gambirasio, la giovane ginnasta di Brembate sopra trovata morta nel febbraio del 2011. La “settimana”, indetta dal Coni e patrocinata da quello nazionale e da quello lombardo, è stata un’idea nata a giugno scorso dall’unione d’intenti tra il massimo dirigente italiano, Giovanni Malagò, e l’allora ministra Josefa Idem. Il fine ultimo è quello di utilizzare lo sport come strumento di valore e di socializzazione, per la ricerca di un nuovo equilibrio personale attraverso il confronto ed il rispetto dell’avversario. Concetti che, purtroppo, spesso mancano sui campi di calcio dei nostri stadi, dove i pluripagati giocatori nostrani sovente si lasciano andare a situazioni poco piacevoli. Il quadrangolare si svolgerà su quattro partite da due tempi di 35 minuti ciascuno. La cosa simpatica e bizzarra è che il Provveditore regionale alle carceri, Aldo Fabozzi, ha chiesto a Massimo Parisi, direttore della casa di reclusione di Bollate, di trovare spazio per “ospitare” all’interno della sua struttura di via Belgioioso i detenuti di Como e Bergamo già dalla sera prima; insomma una vera e propria trasferta per i detenuti, che si sentiranno proprio come dei calciatori professionisti. Una cosa insolita che non potranno provare, invece, i calciatori di Opera, che arriveranno la mattina di gara. Le squadre, che avranno delle divise regalate dalla Macron, sponsor tecnico tra gli altri anche di club importanti come Lazio e Napoli, vivranno delle giornate molto intense, nelle quali potranno riassaporare un’attività sociale con richiamo anche al di fuori delle mura carcerarie. La settimana dello sport contro la violenza, che partirà martedì 1 ottobre per concludersi domenica 6, vivrà anche su altre iniziative sparse un po’ in tutta la Lombardia: si partirà con una marcia non competitiva contro la violenza (1 ottobre, dalle 20.30, con partenza in piazza Gae Aulenti), per proseguire con tornei di calcio balilla (3 ottobre), un convegno sul tema a Brembate (3 ottobre, ospite Giovanni Malagò), uno stage di autodifesa “Io non ho paura”, con l’esibizione di atleti professionisti (5 ottobre) e un’altra performance delle “farfalle”, ossia la squadra nazionale di ginnastica ritmica vice campione del mondo 2013 (6 ottobre a Brembate). Frosinone: squadra dei detenuti “Bisonti Rugby” parteciperà a campionato serie C La Presse, 30 settembre 2013 Venerdì 4 ottobre alle ore 15.30 a Roma, presso la Sala Presidenti del Coni (Largo De Bosis, 15) Asi e la sua associazione affiliata “Gruppo Idee” presentano la squadra dell’alta sicurezza della casa circondariale di Frosinone ‘Bisonti Rugby’, che parteciperà al campionato di serie C della Fir. Saranno presenti il presidente Asi Claudio Barbaro, il segretario generale Fir Claudio Perruzza, il presidente del comitato Fir Lazio Marco Santa Maria e il provveditore agli Istituti di pena del Lazio Maria Claudia Di Paolo. ‘Bisonti Rugby’ è la squadra dell’alta Sicurezza della casa circondariale di Frosinone, nata da oltre due anni grazie all’impegno e alla volontà del responsabile Asi per la attività sportive in carcere Luigi Ciavardini, del presidente dell’associazione Gruppo Idee Zarina Chiarenza, del presidente dei Bisonti Rugby Germana De Angelis e dell’Amministrazione Penitenziaria, assieme a tutti gli operatori della Casa Circondariale di Frosinone. Lo scorso 30 luglio, grazie al pieno appoggio della Federazione Italiana Rugby e del suo comitato regionale laziale, la squadra Bisonti Rugby è stata infatti iscritta al campionato di Serie C (inizio previsto per domenica 6 ottobre) e si confronterà con le altre squadre che, mettendo in pratica i valori di solidarietà e altruismo alla base del rugby, hanno accettato di giocare sempre in casa contro questa. “Con questa iniziativa - esordisce il presidente Asi Barbaro - lo sport della sfera ovale si offre come strumento per veicolare un modello di vita sano, basato sul rispetto delle regole e dell’avversario. Per i bisonti sarà un po’ come vivere un terzo tempo della loro vita, e Asi non può che essere contenta di aver contribuito con le istituzioni preposte a renderlo possibile”. Così commenta Barbaro, convinto che grazie ai sani principi del rugby, la partecipazione al torneo del team della casa circondariale di Frosinone consenta ai detenuti di fare attività fisica, favorendo attraverso questa il recupero dell’autostima e il miglioramento delle condizioni di salute, nonché di rapportarsi all’ambiente esterno nel pieno rispetto delle regole. Bolivia: ProgettoMondo Mlal; giovane veronese volontario con giovani detenuti L’Arena di Verona, 30 settembre 2013 Mirko Olivati, classe 1985, si prepara a raggiungere i detenuti minorenni boliviani che popolano il Centro Qalauma di La Paz. Il giovane veronese di Borgo Venezia, che ha già alle spalle varie esperienze di insegnamento e di attività educative rivolte ai minori - oltre che una doppia laurea in Sociologia della letteratura e in Letterature comparate - è infatti stato selezionato dalla Ong veronese ProgettoMondo Mlal per un’esperienza di sei mesi nel Paese andino con il servizio volontario europeo. All’inizio di novembre, quindi, Mirko lascerà l’Italia per trasferirsi a La Paz fino al 30 aprile 2014, dove affiancherà l’equipe locale dell’Ong veronese nella pianificazione e gestione di workshop artistici con i giovani detenuti e di atelier ludico ricreativi nel primo carcere minorile di tutta la Bolivia, inaugurato da ProgettoMondo Mlal nel febbraio del 2011. Il volontario dovrà inoltre promuovere le attività di Qalauma nella comunità boliviana, aggiornando portale web e blog e comunicando quindi il lavoro svolto per il reinserimento nella società, utile all’intera collettività, di chi, non ancora maggiorenne, si è ritrovato a dovere fare i conti con la giustizia. La Bolivia presenta un indice di sviluppo umano tra i più bassi dell’America Latina. Il 40% della popolazione ha meno di 15 anni. I giovani che appartengono alle classi sociali più vulnerabili sono a forte rischio di emarginazione e la criminalità è vista come una via d’uscita dalla povertà. Ai giovani detenuti viene spesso negato l’accesso a beni sociali primari: istruzione, salute e cultura, compromettendo così le loro capacità di reintegrazione. A fronte di ciò, ProgettoMondo Mlal e Iseat collaborano alla piena inclusione di attività culturali nel programma di riabilitazione del Centro di recupero giovanile Qalauma di La Paz. In questo contesto, il progetto Sve “Giovani per Qalauma” offre a due ragazzi europei (uno italiano e uno polacco) la possibilità di essere protagonisti di un’esperienza formativa unica e stimolante. La prossima opportunità, per i giovani italiani e veronesi, arriverà nei primi giorni di ottobre, con la pubblicazione del bando per il Servizio civile in Italia e all’estero 2014 (la partenza è prevista a febbraio). I posti disponibili per prestare servizio civile con ProgettoMondo Mlal sono 16 (4 in Italia e 12 all’estero), e le destinazioni risultano senz’altro affascinanti: dal Marocco al Mozambico fino alla Bolivia e al Guatemala. Per informazioni sul bando www.serviziocivile.it - www.progettomondomlal.org. Venezuela: carcere evacuato dopo scontro tra bande, sequestrate armi Ansa, 30 settembre 2013 Le autorità venezuelane hanno sequestrato oltre 100 armi da fuoco, 23 mila munizioni per fucili e pistole, 135 cellulari e una quantità importante di droga, principalmente marijuana, all’interno del Carcere Nazionale di Maracaibo, noto come Sabaneta, nello stato di Zulia, all’estremo occidentale del paese. Lo ha annunciato la ministra per i Servizi Penitenziari, Iris Varela, in una conferenza stampa organizzata dopo l’evacuazione totale del carcere, decisa dal governo dopo che lo scorso 16 settembre 16 detenuti sono morti in violenti scontri all’interno del centro penitenziario. Israele: attivisti del Likud chiedono stop a rilascio detenuti palestinesi Ansa, 30 settembre 2013 Bloccare in extremis il rilascio di un nuovo scaglione di detenuti palestinesi: questo l’appello lanciato da attivisti del Likud oggi, con vistosi annunci a pagamento sulla stampa. “Il terrorismo avanza; dobbiamo bloccare la liberazione dei terroristi” si legge in un appello che menziona la recente uccisione di due soldati in Cisgiordania. Nell’altro annuncio a pagamento decine di membri del Comitato centrale del Likud chiedono a Netanyahu di opporsi “alla liberazione”.