Il trasferimento da un carcere all’altro sempre durissimo per i reclusi e le famiglie Il Mattino di Padova, 2 settembre 2013 C’è qualcosa che si può fare, a costo zero, per rendere un po’ più umana la vita in carcere in tempi di disumano sovraffollamento? Sì, qualcosa c’è, e si chiama una diversa gestione dei trasferimenti dei detenuti. Perché venire trasferiti spesso è un momento drammatico della vita di chi sta in carcere, e lo è ancora di più per le famiglie, come raccontano nelle loro testimonianze due detenuti, che hanno vissuto sulla loro pelle la disumanità che spesso caratterizza il trasferimento da un carcere all’altro, lo “sballamento” di merce umana, come si chiama nel gergo della galera. Il male peggiore per un detenuto? Il trasferimento Come avvengono i trasferimenti dei detenuti? I detenuti quasi sempre vengono spostati senza nessun preavviso, e soprattutto senza tenere in minima considerazione le devastanti conseguenze che investono gli stessi reclusi, ma ancor di più i loro famigliari. Sono entrato in carcere appena ho compiuto 20 anni, oggi ne ho 38 e non sono mai uscito una sola ora in libertà. Vengo arrestato in Calabria, ma dalla Calabria mi trasferiscono in Piemonte, motivazione? Allontanamento territoriale… Le regioni che ho girato sono: Calabria, Piemonte, Lombardia, Toscana, Sicilia, Campania ed oggi Veneto; le città con i rispettivi carceri: Palmi, Torino, Alessandria (ce ne sono due di carceri e sono stato in entrambi), Novara, Saluzzo, Sollicciano (FI), Volterra, Palermo Ucciardone, Pagliarelli, Augusta Brucoli, Trapani, Favignana, Poggioreale, Ariano Irpino, Avellino e poi qui in Veneto, Padova. Per quanto riguarda il mio trattamento rieducativo… scusatemi se non ho mai avuto tempo di iniziarlo… puntualmente mi ritrovavo dall’altra parte d’Italia. Mi piacerebbe poi poter quantificare i danni psicologici causati dall’impossibilità di coltivare i propri affetti. Ma il male peggiore lo subiscono i familiari: quelle madri anziane che non si possono permettere di viaggiare o per motivi di salute o per motivi economici; i figli che crescono senza un padre ed ai quali viene spesso tolta, con un trasferimento, anche l’ultima possibilità di abbracciare il genitore in quell’ora di colloquio che ogni tanto si potrebbe fare. Una volta esisteva un padre, mio padre, che a 75 anni, due operazioni al cuore, residente in Piemonte, un giorno decide che era trascorso troppo tempo senza poter vedere il figlio, allora comincia a mettere da parte qualche spicciolo dalla sua già misera pensione per poter un giorno prendere l’aereo e volare fino a Palermo. Eh sì… perché il figlio è stato trasferito lì e non si sa il perché. Riesce a racimolare il denaro necessario, ma al figlio non dice nulla, vuole fargli una sorpresa, prende il volo diretto a Palermo, con i suoi occhiali spessi e con il suo bastone d’appoggio affronta questo viaggio che per lui, come per qualsiasi anziano, non è di certo una passeggiata. Giunge finalmente a Palermo, dove non era mai stato, chiede a qualcuno come può fare per arrivare al carcere dell’Ucciardone, e gli viene suggerito di prendere un pullman che lo porta al centro, da lì avrebbe poi dovuto informarsi e lui così ha fatto. La stanchezza e quel cuore che fa i capricci cominciano a dargli fastidio, ma lui è testardo deve raggiungere il figlio, sono nove anni che non lo vede ed ha paura di morire senza vederlo più. Finalmente arriva dinanzi a quel portone d’acciaio… ad un tratto gli viene in mente che non può presentarsi a colloquio dal figlio a mani vuote, allora decide di andare in un negozio lì vicino dove può acquistare qualche etto di prosciutto e un pezzo di formaggio, con i soldi ce la fa anche se in tasca non gli rimane nulla, ma lui ha già il biglietto di ritorno. Suona al cancello blindato del carcere con in una mano una piccola busta e nell’altra il suo bastone, gli apre una guardia alla quale lui consegna i suoi documenti e dichiara di dover fare il colloquio col figlio, gli rispondono che deve attendere, lì fuori nel caldo infernale. Dopo circa un’ora e mezza si ripresenta la stessa guardia e gli dice che il colloquio non lo può fare, il padre chiede perché e aggiunge: “Guardi che io vengo dal Piemonte è un viaggio lunghissimo!”. “Suo figlio è stato trasferito!”, gli rispondono. Gli manca la forza per parlare e dopo qualche attimo di silenzio riesce a chiedere con un filo di voce: “E dove l’avete mandato? se è qui vicino posso andare a cercarlo…”. Hanno davanti un vecchio stanco e distrutto e gli dicono: “Non siamo tenuti a dare nessun tipo d’informazione”. E gli chiudono quella montagna di ferro in faccia. Con le gambe tremolanti con un filo di fiato che gli alimentava i polmoni si allontana senza sapere dove andare; a quel padre hanno chiuso in faccia non solo un portone di ferro… ma anche l’ultima possibilità di vedere il figlio, eppure quel padre ha lavorato per 40 anni, non ha commesso nessun reato, e mentre pensa a queste cose la sua rabbia e la sua impotenza si cristallizzano dietro quelle lenti spesse in qualche lacrima, che pesa così tanto che il vecchio si deve fermare per nasconderla. Riesce ad arrivare a casa e a scrivere la sua ultima lettera al figlio, dove spiega tutte queste cose… il figlio la riceve mentre si trova nelle carceri della Campania, la legge in un solo fiato e trema mentre stringe quel foglio così prezioso tra le mani ed ingoia lacrime come fossero veleno amaro… se non fossi stato trasferito l’avrei visto. Quel padre non c’è più. È morto dopo un giorno che è tornato a casa. Giuliano V. I trasferimenti a molti di noi hanno fatto perdere l’amore delle nostre famiglie Negli incontri che facciamo con le scuole i ragazzi ci hanno fatto spesso la domanda: Che cos’è per voi la libertà? Nel mio pensiero da quando sto in carcere non mi sento né libero, né vivo, in carcere è impossibile sentirsi anche solo un po’ liberi, perché per fare qualsiasi cosa c’è da chiedere il permesso a qualcuno e non è detto che ti venga consentito. In galera ti tolgono la maggior parte dei diritti che potevi avere fuori, anche solo la soddisfazione di mangiare con una forchetta vera e un piatto di porcellana, perciò la libertà va a farsi benedire per svariati motivi. Poi c’è il concetto di sentirsi vivo e anche là si cammina su un campo minato, come si fa a sentirsi vivo se già ti tolgono la libertà? Per di più a qualcuno viene in mente di portarti a cinquecento chilometri da dove hai sempre vissuto e da dove abitano i tuoi familiari ed i tuoi figli, li senti per telefono una volta a settimana, a volte due per dieci minuti alla volta, in tutto hai sei telefonate di dieci minuti, cioè un’ora da dividere per tutto il mese. Io poi, a causa di questo trasferimento lontano da casa, colloqui non ne faccio, perché vuoi la distanza, vuoi che i miei genitori sono malati e non possono guidare o prendere treni da soli, ci vorrebbe sempre una persona che gli stia vicino nel caso capitasse un malore improvviso, e non è facile trovarla perché Padova è troppo lontana. Così l’unica loro immagine che ho è una gran dose di fotografie che porto sempre con me ovunque mi trasferiscano. Il mio punto di vista sul concetto di sentirmi vivo è quello di poter fare ciò che voglio sempre nel rispetto di giustizia e legalità: e quello che vorrei allora è poter abbracciare e baciare i miei figli ed i miei cari quando lo desidero e non con il contagocce solo perché mi viene vietato un mio diritto proprio da quelle istituzioni, che poi dicono di voler recuperare il detenuto e parlano di rieducazione. Ma rieducarti a che cosa? a farti stare lontano dalla famiglia di provenienza? Quando lo Stato si comporta così, usando i trasferimenti senza badare affatto ai nostri affetti, a molti di noi fa perdere l’amore delle nostre famiglie, perché quell’amore si trasforma in affetto e alla fine anche l’affetto si indebolisce. Ed è inutile che poi qualche persona ti venga a dire che se la famiglia veramente ti ama non potrà perdere mai l’amore. Stando lontani e non potendo mai vedersi, il fatto che hai perso l’amore della famiglia ti viene dimostrato da tante piccole cose che per loro sono quotidianamente banali ma per noi che siamo rinchiusi valgono oro. Perciò non si può fare una colpa ai parenti se questo amore che avevano nei tuoi confronti è cambiato, nemmeno loro si rendono conto di questo, ma è pur vero che non vivendo con loro quotidianamente non fai più parte del loro mondo, o lo fai solo minimamente. Questo è il motivo per cui non mi posso sentire né libero, né vivo in carcere, ma se fossi un po’ più vicino ai miei cari, mi sentirei almeno un po’ più vivo. Santo N. Giustizia: quei Referendum… con o senza Silvio di Pierluigi Battista Corriere della Sera, 2 settembre 2013 Per dire quanto sia fazioso, schiacciato sul presente, incurante dei princìpi, il politicantismo di oggi pretende che le firme per il referendum dei Radicali sulla responsabilità civile dei magistrati siano un frutto tardivo del “berlusconismo”: ma nasconde il fatto che nel 1987 un altro referendum, sullo stesso tema, ebbe il consenso di 20 milioni e 770 mila italiani, pari all’80,2 per cento dei votanti (alle urne si recò il 65,1 degli aventi diritti il voto). Per dire come funzioni la democrazia italiana, quel referendum fu clamorosamente disatteso e si varò una legge che tradì l’essenza del verdetto referendario, stabilendo che il risarcimento del danno provocato a un cittadino per “dolo” e “colpa grave” di un magistrato dovesse essere coperto dallo Stato e non dal singolo magistrato, colpevole di non aver onorato la sua funzione con evidente manipolazione del diritto. Per dire come funziona la disinformazione, quelli che gridano ala “minaccia” contro la magistratura non dicono che a stabilire l’eventuale obbligo al risarcimento sono altri giudici. Per dire come funziona la logica, non spiegano perché se un medico si macchia di una colpa grave o di manifesta negligenza nei confronti di un paziente, allora scatta una sanzione, preceduta da un procedimento giudiziario rispettoso dei diritti dell’accusato, mentre se un magistrato, a parere di un collegio di giudici, si è macchiato di una colpa grave o di una manifesta negligenza nei confronti della libertà di un cittadino, deve invece rimanere totalmente irresponsabile. Per dire la scarsa considerazione che i paladini della “indipendenza della magistratura” hanno nei confronti della tempra morale dei loro colleghi, si dice che un magistrato, impaurito dall’eventuale sanzione civile per “dolo”, dovrebbe smettere di fare bene e con scrupolo il proprio mestiere: come se ì medici, per paura di sanzioni da comminare ai loro colleghi che hanno commesso eventualmente una mascalzonata, volessero smettere di curare i malati. Per dire quanto sia labile la memoria umana, si omette di dire che, a favore di quel referendum che introduceva e potrebbe oggi introdurre un elementare principio liberale nel nostro Stato di diritto, si spesero illustri cittadini come, fra i tanti altri, Leonardo Sciascia e Gianni Vattimo, Gino Giugni e Mario Soldati, Umberto Veronesi e Tiziano Treu, Vittorio Gassman e Luciano Gallino, Bruno Zevi e Ilaria Occhini, Gianni Brera e Luigi Compagnone, Lucio Colletti e Massimo Severo Giannini, Italo Mereu e Lucio Villari. Tutti inconsapevoli “berlusconiani” ante litteram? E berlusconiani anche Franco Marrone, Magistratura democratica, garantista: “In questo referendum non c’è nulla contro noi giudici”? O Marco Ramai, Magistratura democratica, garantista: “È tipico dei regimi democratici avere i magistrati responsabili per i danni causati ai cittadini in conseguenza dei loro fatti illeciti, è tipico invece dei regimi autoritari che i magistrati siano sottratti a questa responsabilità”? Giustizia: perché dire “sì” ai Referendum dei Radicali di Mauro Calise Il Mattino, 2 settembre 2013 La firma di Berlusconi, sabato, al tavolo referendario di Pannella - al di là del risalto mediatico della foto della strana coppia - innesca due processi importanti, entrambi destinati ad emergere con più nettezza nelle prossime settimane. Il primo riguarda la scelta del Cavaliere di buttare tutto il proprio peso - residuo - in una campagna che, partita in sordina, coinvolgerà e dividerà presto i principali partiti. A cominciare dal Pdl, preso in contropiede dall’adesione dei proprio capo a referendum - come quello sulla depenalizzazione delle droghe leggere e sul reato di clandestinità - che sono in netto contrasto con le posizioni ufficiali del partito. Ma Berlusconi sapeva bene che l’effetto - annuncio avrebbe funzionato molto meglio evitando qualche distinguo. E ciò che davvero gli preme è ribadire che intende continuare, a oltranza e anche fuori del Parlamento, la sua battaglia contro lo strapotere della magistratura, a qualunque costo e con qualsiasi alleato. Col che arriviamo alla seconda miccia innescata ieri, che investe direttamente il Pd. Con l’appoggio dei berlusconiani, è praticamente sicuro che i referendum riusciranno a raccogliere le firme necessarie, e ad approdare al verdetto popolare. Come si schiereranno i democratici? Che posizione prenderanno rispetto ai due quesiti più caldi - separazione delle carriere e responsabilità civile dei giudici - e, più in generale, sul tema della riforma della magistratura su cui, negli ultimi vent’anni, non si è riusciti a fare un solo passo avanti? Il Pd ha smesso da tempo di avere, su questo tema, le posizioni barricadiere e monolitiche che il centrodestra gli rimprovera. Basta leggere l’intervista su questo giornale al senatore democratico - ed ex - magistrato - Felice Casson. Ma resta vero che, fino ad oggi, ha evitato scelte dolorose, approfittando degli attacchi ad alzo zero ripetuti dal Cavaliere contro l’insieme della magistratura per rifugiarsi nella doverosa difesa di un organo fondamentale dello Stato. Stavolta, però, sarà molto più difficile lavarsi pilatescamente le mani. Col rischio di una clamorosa sconfitta su un terreno estremamente delicato per la tenuta del paese. Le questioni che Pannella e i Radicali hanno rimesso all’ordine del giorno non si esauriscono, infatti, nell’annoso contenzioso tra il Cavaliere e alcuni tribunali. Ma investono, pesantissimamente, una quota enorme di cittadini comuni. Che guardano, ormai, alla giustizia come all’esempio più eclatante del fallimento del sistema politico. A cominciare dall’inefficienza insopportabile di un apparato giudiziario che ci vede come il fanalino d’Europa quanto a lungaggine dei processi. Alzi la mano chi non ha un parente, o un amico, la cui vita è stata devastata da un provvedimento il cui costo economico gli è risultato fatale, e contro il quale pende ancora, dopo cinque o dieci anni, un ricorso il cui esito, quando arriverà, riparerà solo in minima parte il danno ormai perpetrato. Una lentezza cui fa da contraltare la rapidità fulminante con cui una decisione del Tar può rendere non esecutivi miglia di concorsi pubblici o appalti per milioni di euro. Per non parlare del fatto - abnorme in ima democrazia - che il principale organo cui spetta sopraintendere alle attività dei magistrati è un organismo eletto dagli stessi magistrati che deve controllare, e regolarmente diviso - more italico - in correnti di vario colore con il compito neanche troppo implicito di proteggere i propri adepti. Per questi - e molti altri motivi che sono ben presenti a chi finisce nel tritacarne della malagiustizia - i referendum incontreranno, tra i votanti, un ampio appoggio bipartisan. Col rischio di mettere alla gogna - e in ginocchio - una intera categoria nella quale, fatte le solite eccezioni, milita soprattutto una parte migliore del paese. Moltissimi magistrati, infatti, sarebbero i primi a schierarsi a favore di una seria riforma che li metta, una volta per tutte, in condizione di far fruttare meglio il lavoro indefesso che metto - no al servizio della collettività. E forse, ora che si intravede l’ultimatum dei referendum, anche all’interno del Pd qualcuno si darà da fare per disinnescare la miccia. Se anche servissero solo a questo scopo, le larghe intese - fino ad ora in surplace - taglierebbero un traguardo storico. Giustizia: i Referendum, i Radicali, Berlusconi... vent’anni dopo di Valter Vecellio Notizie Radicali, 2 settembre 2013 Diranno che Marco Pannella e i radicali si sono venduti a Silvio Berlusconi, sono anni che dicono che Pannella e i radicali sono venduti a qualcuno, che barattano la loro storia, i loro valori e patrimoni ideali a qualche piatto di lenticchie. Ed è facile obiettare che chi accusava di essersi “venduti” lui per primo si è accomodato al tavolo per il banchetto di regime, arraffando tutto l’arraffabile. Oppure, in alternativa, diranno - anzi già dicono - che è Berlusconi, disperato si è consegnato a Pannella, ultima di tante carte vanamente giocate. Disegnano scenari fatti di machiavellici piani, si questo pensando a quello, e in previsione di quell’altro. Al solito, pur con la porta spalancata, guardano, preda di condizionati riflessi di cui sono preda, dal buco della serratura. Pannella da settimane, mesi, pubblicamente, si augurava che Berlusconi sapesse e volesse ritrovare quello spirito “liberale” che lo aveva animato vent’anni fa: quando spontaneamente aveva deciso di fare suo le iniziative radicali, e firmò i referendum d allora; e poi in nome di quei valori decise di praticare una forma di “desistenza” in numerosi collegi elettorali rinunciando a far eleggere suoi candidati, e consentire così che fossero eletti in Parlamento dei radicali. Vent’anni dopo: a voler fare una sommaria (e arbitraria) cronologia degli ultimi avvenimenti, si può provare a partire dal 26 agosto scorso: quando Pannella rilascia un’intervista a Marco Valerio Lo Prete, e “Il Foglio” la pubblica in prima pagina, con l’evidenza che si riserva alle cose di grande rilievo. In estrema sintesi, Pannella dice che Berlusconi può uscire dall’angolo in cui si è cacciato a patto di diventare il leader referendario e riformatore contro partiti e giornali-partito che lavorano per la “guerra civile”. Al tempo stesso deve fare quanto è in suo potere perché in governo Letta possa continuare. Giuliano Ferrara poi dedica alle proposte pannelliane uno dei tre editoriali della tradizionale pagina tre: “La soluzione Pannella”. Il giorno successivo - è il 23 - interviene Vittorio Feltri su “Il Giornale”, un commento di sostegno ed entusiastica approvazione. Seguono il direttore di “Italia Oggi” Pierluigi Magnaschi; uno degli editorialisti principe de “La Stampa”, Marcello Sorgi; e ancora su “Il Foglio” un altro editorialista elegante e raffinato: Guido Vitello. Già questo poteva e doveva essere un utile indizio, e materia per dibattito, confronto, “notizia”. Ovviamente si è girata la testa e guardato altrove, da altro “occupati”. E’ in questa cornice che matura l’incontro - venerdì scorso - tra Berlusconi, Angelino Alfano e Gianni Letta da una parte; Pannella, Maria Antonietta Farina Coscioni, Maurizio Turco e chi scrive, dall’altra. Un incontro durato circa due ore: i 12 referendum, l’amnistia, la giustizia, la necessità di scongiurare l’evocata crisi del governo Letta, il che fare, come farlo, se sia opportuno e necessario farlo... Quello stesso giorno, Pannella si trasferisce in Abruzzo, prima a Teramo, successivamente ad Ari, in provincia di Chieti, per programmati da tempo appuntamenti politici. Verso le 20 di quel giorno l’ANSA diffonde una notizia, attribuita ad ambienti di Palazzo Grazioli, secondo la quale Berlusconi è intenzionato a firmare i soli sei referendum sulla giustizia. A dar credito a quella notizia, le due ore di incontro Berlusconi-Pannella non sono servite a nulla. Non era la prima nota “depistante”: il giorno prima la notizia dell’incontro tra Berlusconi e Pannella era stata fatta filtrare in anticipo, e gli articoli di alcuni quotidiani erano ricchi di indiscrezioni secondo le quali un’ala consistente del PdL vedeva con sospetto e ostilità questo “vent’anni dopo”. Tornato a Roma la sera stessa, Pannella il sabato mattina aveva così modo di poter avere un secondo, lungo colloquio con Berlusconi, questa volta a palazzo Grazioli. Entrambi poi si recavano a Largo Argentina, e lì Berlusconi firmava tutti i 12 referendum, anche quelli sui quali nutre perplessità e contrarietà, perché - ha detto è giusto consentire agli italiani di potersi esprimere su questioni così delicate; si pronunciava anche a favore dell’amnistia e contrario a una crisi di governo. Nonostante Berlusconi abbia firmato ripreso da telecamere, e le sue dichiarazioni riprese da decine di microfoni e registratori, appuntato in decine di taccuini, accade qualcosa di significativo: per tutta la giornata, e nonostante le sollecitazioni alla rettifica, importanti circuiti televisivi riferiscono che Berlusconi ha firmato solo i referendum sulla giustizia. Per dire: il telegiornale di “Sky” solo in serata comunica che Berlusconi ha firmato tutti e dodici i referendum. Questi, sommariamente, i fatti, e tralasciando particolari che a questo punto sono ininfluenti. La “carne” sono quelle 12 firme, la motivazione addotta, l’esser favorevole al provvedimento di amnistia, il NO a una crisi del governo Letta. C’è un calcolo, un retropensiero, in questo “fare” di Berlusconi? Ci sarà anche, concesso. E allora? L’importante è raccogliere le 500mila firme necessarie a referendum che sono radicali, tutti, dal primo all’ultimo. Se ritrova, dopo tanto tempo, un po’ di quello spirito liberale che mostrò di avere vent’anni fa. E comunque, da quando una causa buona lo diventa meno perché vi aderisce qualcuno ritenuto pessimo? E non è attribuire un potere straordinario a qualcuno, quello di poter trasformare un qualcosa di positivo in negativo, solo che vi aderisca e la sostenga? Basta un “ci sto anch’io”, e quel che si ritiene buono e giusto diventa cattivo e sbagliato? Pannella, da nonviolento che applica la nonviolenza nella prassi quotidiana, la coniuga - è qui la novità, rispetto agli altri “grandi” della nonviolenza - a una vera e propria “religione” e culto del diritto; e da sempre si può dire è impegnato in un instancabile, “ostinato” tentativo di dialogo; anche e soprattutto con quelli che sono o appaiono i più lontani. Con Berlusconi il “dialogo” e il conseguente tentativo di “conquistarlo” a un sogno di rivoluzione liberale, è iniziato, come si è detto vent’anni fa. Lo faccia per convinzione, per calcolo, per disperazione politica Berlusconi con quelle sue dodici firme a richieste referendarie, con il suo dichiararsi ufficialmente a favore dell’amnistia per la riforma della giustizia, e contro l'irragionevole durata dei processi, ha nuovamente aperto, come vent’anni fa, uno spiraglio. Sarebbe folle non cercare di inserire un cuneo in quello spiraglio, rinunciare ad aiutare Berlusconi a uscire dalla melassa che lui stesso ha prodotto, e resistere alle continue sirene conservatrici e controriformatrici che si manifestano nel suo partito. Ed è letteralmente, politicamente folle, desolante, sconcertante anche se purtroppo non sorprendente ma figlio di una “logica”, la posizione che quotidianamente assume il PD. Quel ripetuto e logoro “No”, “No”, “No”, che viene dal suo segretario protempore, quel Guglielmo Epifani il cui scopo e obiettivo sembra essere solo quello di cancellare ogni ombra di ricordo del suo passato politico, e si fa portabandiera e alfiere di ogni posizione stolida e suicida. Ma a Epifani a parte: è il PD nel suo complesso: non uno dei suoi leader, dei suoi aspiranti leader, dei suoi capi-corrente e capi-spifferi che si discosti da questa linea folle e suicida: il loro è un “nulla” politico che si traduce in violenza e arroganza. La domanda, infine è: ma quando diranno, una volta, qualcosa che sia davvero di “democratico”? Giustizia: Pannella con il Papa… 3 giorni di digiuno nelle carceri contro guerra e violenza Adnkronos, 2 settembre 2013 “Papa Francesco sta intervenendo non essendo a conoscenza di nostre idee o posizioni, ma dando voce ai sentimenti comuni diffusissimi, tra ogni forma di credenti, e non solo tra i fedeli. Quando lui invita il mondo, non solo quello cattolico, sabato prossimo, ad una giornata di preghiera, di impegno e, per quel che lo riguarda, di digiuno per la Siria e contro la violenza, aiuta anche noi, anche me, in questo momento della realtà storica e politica del Partito radicale”. Lo ha sottolineato Marco Pannella, intervenendo in diretta a Radio radicale questa mattina. “Sapete - ha proseguito - del mio insistere, con altri, nella azione nonviolenta e nello sciopero della fame e della sete, per aiutare il potere italiano ad uscire dalla patente e incontestata trentennale flagranza di reato, da parte dello Stato italiano. A partire da quel che annuncia Papa Francesco, vorrei suggerire che dalle carceri italiane venga fuori una tre giorni - da sabato a lunedì - di digiuno, contro la guerra, la violenza, e la violenza di Stato. Tornerò domani sera, a Radio Carcere, a precisare meglio questo obiettivo e questa iniziativa”, ha concluso Pannella. Giustizia: il Cavaliere “impannellato” da Filippo Ceccarelli La Repubblica, 2 settembre 2013 Di Pannella si può pensare tutto il bene e tutto il male del mondo. Ma negli ultimi quarant’anni almeno, il cosiddetto rito dell’impannellamento ha il merito di indicare la disperazione di chi, sull’orlo dell’abisso, intravede in lui l’estrema speranza di salvezza. Il termine “impannellamento”, invero poco lusinghiero, fu coniato da Craxi, che fino all’ultimo rifiutò di sottoporsi a tale pratica vagamente penitenziale - e forse oggi si può dire che mal gliene incolse, specie quando gli fu consigliato di andare in carcere, e proprio da lì dentro trarre slancio per la sua battaglia contro Mani Pulite. Da non violento, Pannella adora infatti la via socratica. La mise in atto, anche efficacemente, con Enzo Tortora; mentre con Toni Negri gli venne male perché dopo averlo fatto eleggere, e quindi togliendolo dalla galera, Pannella promise con enfasi al Parlamento che il professore si sarebbe costituito: “Lo avrete in vincoli!”. E invece quello non solo scappò definitivamente in Francia, ma in un successivo libricino, “L’Italie rouge et noire” (1985), coprì d’insulti il povero Pannellone, pure arrivando ad augurarsi che ci lasciasse la pelle in qualche sciopero della fame. Anche per questo suona poco credibile che l’altro giorno Pannella abbia suggerito a Berlusconi di firmare i referendum e poi di squagliarsela all’estero. Ieri, piuttosto, si è concesso il lusso, la rivalsa, l’auto - indennizzo e un po’ anche lo sfizio di mettere in scena l’inedita e sorprendente pièce del Cavaliere impannellato. Ossia, gli ha costruito un set tanto più scomodo, per lui che odia parlare avendo gente alle spalle, quanto più spettacolare. Gli ha poi modulato un format politico che tornerà utile ai “suoi” referendum. Ma soprattutto, gli ha assegnato una parte: quella della vittima da esporre come trofeo della propria coerenza. Non si pensi che tutto questo è cinismo, configurandosi semmai come qualcosa di più e di meno. Berlusconi, che in queste faccende non è una mammoletta, ha cercato disperatamente di reagire mostrandosi disinvolto protagonista, ma con Pannella ci vuol altro che darci dentro con la parlantina o allargare le braccia a beneficio delle tv. Quell’omone con la coda di cavallo giallastra e vestito come sempre in modo del tutto improbabile incombeva su di lui accentuandone la figura di attempatissimo damerino. Il filmato, in provvida visione sul sito di Radio radicale, offre un documento sensazionale. Più Berlusca fa l’amicone e più Pannella gli afferra la mano, se la tiene, quindi lo tocca e ritocca sulle spalle e a un certo punto perfino su una coscia, sotto il tavolo. Per non dire del fetido sigaraccio che, del tutto ignaro del maniacale igienismo del Cavaliere, gli sfumacchia sotto il naso. Più volte lo interrompe tonante, “Silvio!”, oppure lo prende in giro, sempre rubandogli la scena. Altrimenti se lo guarda con un misto di orgoglio e diffidenza, sardonico e condiscendente ad un tempo. Quando Berlusconi si permette una battutina - “noi due vecchietti” - Pannella gli fa tanto di occhiacci: “Io - proclama - sono un vecchio ragazzo di strada!”, il che pare difficile da smentire, e infatti si prende di prepotenza l’ultima parola, che poi è un gestaccio a freddo, e quindi purtroppo bossiano, comunque rivolto a Marco Travaglio, della cui popolarità il primo e unico Marco deve sentirsi in qualche modo geloso. Ma poi è talmente sicuro di sé da autodefinirsi: “Il servo di Berlusconi”. Tra i due leader ci sono vent’anni di alti e bassi. Qui ci si limita a ricordare che Pannella è certo stato il primo a mettere in guardia il Cavaliere facendogli balenare non tanto il carcere, quanto la triste fine del Tycoon Bob Maxwell, misteriosamente scivolato giù dalla sua barca nelle acque dell’oceano. Tale ardore protettivo e cavalleresco rende gloria al personaggio, anche perché rivolto a tutti. Giusto quarant’anni fa (1973), in quello che Pasolini definì “il manifesto del radicalismo moderno”, Pannella compilò la lista di quelli che amava e quindi era pronto a difendere in nome del diritto: gli obiettori di coscienza, i fuorilegge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, gli omosessuali, i veri credenti, le femministe, i paria, gli emarginati. Nel ventennio seguente altre scandalose figure completarono la lista: ex preti e monache, pornostar, parlamentari inquisiti, neofascisti, brigatisti, mafiosi e drogati in galera, carcerati in generale, ma anche agenti di custodia. Che nell’elenco della nobile pietà sia oggi entrato Berlusconi forse dice più di quanto l’ennesimo impannellamento possa far pensare a prima vista. Giustizia: Giulia Bongiorno; stop all’ipocrisia, fuori dal Parlamento chi ha condanne gravi La Repubblica, 2 settembre 2013 Il salvacondotto per il Cavaliere? “In carcere c’è gente per cui non si preoccupa nessuno”. E la sua “agibilità politica”? “Parliamo di quella dei condannati comuni”. Giulia Bongiorno, dopo un ostinato silenzio per tutta l’estate, si è convinta a parlare con Repubblica di Berlusconi. Lei è stata l’avvocato di Andreotti che, messo sotto inchiesta, si è estraniato dalla vita politica. Berlusconi invece dice la sua sentenza è un problema di democrazia. Che impressione le fa? “Andreotti sosteneva che chi rappresenta milioni di persone ha il dovere di rispettare le istituzioni più di chiunque altro, e aggiungeva: “Anche quando le istituzioni ti danno torto”. Non aveva voluto nemmeno che presentassimo querela contro i pentiti bugiardi, perché temeva che screditarne uno avrebbe significato screditarli tutti, mettendo in crisi l’intero sistema. Questo non significa che non fosse convinto, come lo sono io, che esiste un serio problema di rapporti tra magistratura e politica. Ma quello scelto da Berlusconi è il modo peggiore per risolverlo”. In che senso? “L’esistenza di pochi magistrati politicizzati è un fatto di una gravità inaudita, ma se per combatterli ci si scaglia contro la magistratura tout court l’unica conseguenza è che quanti sono attaccati ingiustamente reagiscono proteggendo i politicizzati. Un boomerang”. Da Mani pulite a oggi che cosa è cambiato in Italia? Si è abbassata, fino a scomparire, la soglia della moralità? “Anni fa un avviso di garanzia era considerato, erroneamente, una condanna politica. Oggi siamo all’eccesso opposto: non si parla più della gravità del reato o del fatto che una dozzina di giudici hanno preso una determinata decisione, ma dell’agibilità politica. C’è chi perde il posto di lavoro per un avviso di garanzia, e poi risulta innocente: vorrei parlare anche dell’agibilità di questi imputati”. Ha detto Renzi: fuori i condannati definitivi. All’estero è così. “Ha usato un linguaggio chiaro distinguendosi da una buona parte del Pd, che di fronte al tema giustizia sembra smarrita”. Intende che il Pd sta sacrificando troppo, anche la giustizia, pur di tenere in piedi Letta? “In questi mesi, a eccezione di qualche provvedimento tampone per le carceri, non si è fatto nulla e nessuno osa nemmeno parlare di giustizia. Un po’ come succede nelle vecchie coppie, quando per paura di litigare si rinunciaa discutere di argomenti divisivi. Sembra di poter dire che il Pd si è fatto scavalcare da chi, pur essendo di centrodestra, nella scorsa legislatura ha saputo dire forti “no”“. Berlusconi firma i referendum radicali. Solo uno spot? “Mi limito a constatare che se la giustizia non funziona la responsabilità è soprattutto sua. Non ha mai voluto creare le condizioni per modificare il sistema. Quando sventola la bandiera della Grande Riforma non indica un percorso realizzabile ma annuncia l’annientamento di tutta la magistratura, col risultato che nessuno vuole sedersi al tavolo della giustizia con lui”. Legge Severino, lei l’ha vissuta. Com’è possibile che chi, all’unanimità, l’ha votata ora la rifiuta e vuole mandarla alla Consulta, Coppi compreso? “Coppi fa il suo lavoro benissimo. Posso dire però che questa soluzione fu al ribasso, c’era chi avrebbe voluto una decadenza più rigorosa”. Il salvacondotto, grazia o altro che sia. Da un mese Napolitano è sotto assedio, per usare una parola garbata. Vede una via di fuga? “In carcere ci sono innocenti per i quali nessuno si preoccupa di trovare salvacondotti. Sembra invece che la salvezza dell’Italia dipenda da quell’unico salvacondotto, dal quale dipenderebbero a loro volta le sorti del governo. Mi sembra uno scambio di priorità inaccettabile”. Giustizia: il Cavaliere valuta l’ipotesi clemenza e non esclude di parlare in Giunta Senato di Lorenzo Fuccaro Corriere della Sera, 2 settembre 2013 Silvio Berlusconi si trova nella villa San Martino ad Arcore, dove resterà fino a domani. Oggi a pranzo, come di consueto, incontrerà i famigliari, gli amici più stretti (Fedele Confalonieri, Ennio Doris, la figlia Marina, Bruno Ermolli) che guidano le imprese della galassia Mediaset, gli avvocati e, forse, sarà presente anche Gianni Letta. Con loro farà il punto su una situazione incertissima perché al momento non è chiaro come si possa rendere effettiva l’agibilità politica del leader del centrodestra. La riunione di Arcore si colloca all’avvio di una settimana importante non soltanto dal punto di vista economico finanziario per i titoli Mediaset. Mercoledì 4 si riunisce l’ufficio di presidenza della giunta per le elezioni del Senato per decidere come procedere quando, lunedì 9, l’organismo parlamentare nel suo complesso comincerà a esaminare i dossier che riguardano la decadenza dell’ex premier. Come agire? Berlusconi si trova di fronte al dilemma, perché qualunque possa essere la sua decisione al riguardo, essa avrà inevitabilmente dei riflessi sui corsi borsistici delle aziende riconducibili a lui. La scorsa settimana le azioni hanno avuto un andamento oscillante, legato alle fluttuazioni politiche dovute alle sortite del Cavaliere. Ecco perché quello di oggi è un meeting particolarmente delicato. “Sarà l’occasione di decidere cosa fare perché sul tavolo ci sono diverse opzioni”, afferma uno dell’inner circle ammesso a tali incontri. Ma alla domanda (quali?) si nasconde dietro un “non posso dire oltre”. Chi lo ha sentito nelle ultime ore descrive Berlusconi “lacerato per ciò che dovrà scegliere e allo stesso tempo indeciso sul da farsi, consapevole però di avere pochi giorni a disposizione”. E una delle ipotesi è anche quella di difendersi direttamente davanti alla giunta del Senato. Il suo umore oscilla come un pendolo. Da un lato, si fa notare, c’è “la voglia di rompere tutto”, di aprire la crisi di governo se il Pd voterà la sua decadenza, dall’altro il suo contrario, la tentazione di “accettare le condizioni della resa, cioè la sentenza, chiedere la grazia e uscire di scena”. E a questo proposito, nelle ultime ore, per propiziare una svolta, si sarebbe intensificato il lavorio dei suoi stessi avvocati per richiedere la commutazione della pena. Di questo Berlusconi dovrebbe parlare questa mattina con Franco Coppi e Niccolò Ghedini, oltre che della scelta tra gli arresti domiciliari e i servizi sociali. La rottura 0 la presa d’atto producono effetti sulle aziende, come del resto l’andamento della Borsa ha messo in evidenza. Se rompe e tenta di salvare l’onore politico, il risultato che produrrà sarà che i titoli dell’arcipelago Mediaset verranno penalizzati ma non avrà la certezza che si vada a votare, come ha fatto capire il capo dello Stato in più di un’occasione. Se, al contrario, si dimette compie un atto di sottomissione e forse proprio per questo potrà incorrere in un gesto di clemenza: non salverà l’onore ma (forse) avrà salvaguardato il patrimonio, suo e dei familiari. Insomma, una scelta per nulla facile, sulla quale pesano i dubbi di una nuova “caccia all’uomo”, dopo la perdita dello scudo parlamentare, da parte di qualche pm. Del resto, che il suo umore fosse ondivago lo si è capito quando ha firmato tutti i dodici referendum radicali, anche quelli sui quali il Pdl non aveva espresso parere favorevole (sui quesiti per il divorzio breve, immigrazione, niente carcere per piccoli reati di droga). Benché Berlusconi abbia motivato tale gesto come un’opportunità per i cittadini di potersi esprimere, dentro il Pdl sono circolati dei mugugni. Per adesso è un’opinione negativa circoscritta. Ma c’è. Si teme che, anziché un messaggio di libertà, ne arrivi uno contraddittorio e proprio per questo generi confusione rispetto al proprio mondo di riferimento. E in questo momento ciò che conta è mantenere la sintonia con gli elettori, che stanno premiando il Pdl, come testimoniano i sondaggi. Lettere: perché firmare contro il carcere a vita? di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 2 settembre 2013 L’Italia è un Paese che si vanta di aver promosso la moratoria della pena di morte, eppure mantiene nel proprio ordinamento penitenziario una pena di morte mascherata, o come la chiamo io, la “Pena di Morte Viva”. L’ergastolo, soprattutto quello ostativo che non prevedere nessun beneficio e che di conseguenza condanna ad un reale fine pena mai, a morire in carcere, è peggiore è più crudele della pena di morte, perché ti uccide un po’ ogni giorno. Che senso ha murare vivo un uomo fino alla fine dei suoi giorni? Non è più compassionevole ucciderlo subito? In Italia ci sono più di 100 ergastolani che hanno superato i 30 anni di detenzione e che non hanno ad oggi nessuna prospettiva di morire fuori dal carcere. Ma se l’articolo 27 della nostra Costituzione dice che le “pene devono tendere alla rieducazione del condannato” che senso ha rieducare una persona per portarla rieducata alla tomba? Molti di noi preferirebbero fare dei lavori socialmente utili, ripagare il male con il bene, invece che sprecare la vita in carcere, dove non esiste speranza, né futuro. Noi non siamo né vivi né morti, solo delle ombre senza futuro. Il carcere non è la medicina, è la malattia. Il carcere non migliora una persona, solo il tempo e il lavoro interiore ci rendono uomini diversi. Anche la scienza sostiene, e lo spiega bene il prof. Umberto Veronesi, che dopo tanti anni l’uomo di oggi non è più lo stesso del reato: il nostro cervello è completamente nuovo e diverso, molti di noi sono diventati uomini nuovi, perché allora continuare a punirci? Che c’entriamo noi con quelli che eravamo prima? Nella vita di un ergastolano non ci sono più speranze, né futuro. Non c’è più niente. Solo sofferenza perché il tempo passa e non abbiamo più nulla da aspettare. Siamo destinati per tutta la vita a stare nell’ombra e a morire di vecchiaia murati vivi nelle nostre celle. Questo è un errore, oltre che un orrore, per un Stato patria del Diritto e della Cristianità. La giustizia è tale quando è retributiva, non quando è vendicativa. Uno Stato che si mette alla pari di chi vuole punire, non rieduca e alla fine chi è stato un carnefice diventa anch’essa vittima. Anche gli ergastolani sono per la certezza della pena, ma vanno oltre: vogliono anche la certezza di un fine pena. Non è giusto il carcere a vita perché il male non potrà mai essere sconfitto con altro male e non serve a nessuno la sofferenza di un uomo destinato a morire dentro una cella che è già la sua tomba. Calabria: Sappe; nelle carceri regionali 2.650 detenuti e manca dirigente Prap da 4 anni Adnkronos, 2 settembre 2013 “Oggi la ‘ndrangheta è considerata e riconosciuta come la più pericolosa organizzazione criminale del mondo, con numerose ramificazioni all’estero, eppure nella regione in cui è nata, sviluppata e ramificata, la Calabria, nelle cui carceri molti delinquenti sono affiliati ad essa, il ministero della Giustizia e il Dap in quattro anni non hanno ancora nominato il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, che deve coordinare le politiche della sicurezza nelle 13 carceri calabresi nelle quali oggi sono detenuti più di 2.650 persone”. A denunciarlo è Donato Capece, segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria), che spiega: “Credo che il Guardasigilli, Annamaria Cancellieri, debba porre la questione penitenziaria calabra tra le priorità d’intervento della sua agenda”. “Nelle carceri calabresi è sempre più emergenza - prosegue il leader del Sappe - da quattro anni manca un provveditore regionale. L’amministrazione penitenziaria, dopo la morte di Paolo Quattrone, non è più riuscita a nominare un provveditore in pianta stabile. Continua ad esserci un provveditore in missione, per pochi giorni alla settimana”. “A Catanzaro - fa notare Capece - c’è un nuovo padiglione che non può essere aperto per carenza di personale; nello stesso istituto c’è un centro clinico che non può essere utilizzato, sempre per mancanza di personale”. “A Paola - prosegue il sindacalista - è stato aperto un nuovo padiglione detentivo, senza un adeguato incremento di organico. La situazione peggiora sempre di più a Reggio Calabria, soprattutto dopo l’apertura del nuovo istituto di Arghillà, dove, per 150 detenuti sono stati assegnati circa 40 unità di personale, dei quali dieci non hanno mai raggiunto la sede. Pertanto, la direzione del vecchio istituto è stata costretta ad inviare 28 unità, depauperando l’organico di una struttura già in gravi difficoltà, a causa, proprio, della carenza di personale e del sovraffollamento che colpisce anche gli istituti di Locri e di Palmi”. “L’istituto di Crotone è sempre parzialmente chiuso - sottolinea ancora Capece - a causa dei lavori di ristrutturazione. A Rossano ci sono 317 detenuti, dei quali 140 appartenenti al circuito alta sicurezza. Bisogna ricordare che in Calabria ci sono circa 900 detenuti appartenenti alla criminalità organizzata che necessitano di maggiori controlli e molti di questi fanno quotidianamente la spola con le aule di giustizia, per i tanti processi ai quali sono sottoposti”. “A Vibo Valentia, poi - denuncia ancora il Sappe - mancano più di 30 agenti dalla pianta organica attuale del reparto. Il Sappe auspica pertanto un interessamento diretto del Guardasigilli sulle criticità penitenziarie calabresi, definendo la nomina del provveditore regionale penitenziario e favorendo - conclude Capece - la revisione delle piante organiche della polizia penitenziaria in Calabria in relazione alle esigenze attuali”. Campania: Uil-Pa; continua il “tour fotografico” per mostrare condizioni dei penitenziari Adnkronos, 2 settembre 2013 Dopo aver toccato diverse città, mercoledì il tour fotografico ‘Lo scatto dentrò della Uil-pa Penitenziari toccherà la Casa di Reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi (Av). Della delegazione Uil-pa faranno parte Eugenio Sarno, segretario generale, Giuseppe Testa, segretario provinciale, e Franco Volino, responsabile locale. “Abbiamo lanciato quest’iniziativa - spiega Sarno - nell’intento di offrire alla stampa, alla società e alla politica uno spaccato reale delle condizioni in cui versano le nostre strutture penitenziarie”. “Da alcune settimane siamo impegnati in questo tour - prosegue il sindacalista - ed abbiamo già documentato realtà difficili e degradate come Firenze Sollicciano, Palermo Ucciardone, Venezia Santa Maria Maggiore, il Buoncammino di Cagliari per non dimenticare Ascoli Piceno, Potenza, Trapani e Paliano. Nelle prossime settimane sono già previste altre tappe a Bologna, Brindisi, Taranto e Palermo Pagliarelli”. “Con le nostre foto - rimarca Sarno - vista l’inutilità delle parole e degli appelli, intendiamo far comprendere a chi legifera la necessità di recuperare dignità e legalità all’interno dei nostri penitenziari. Nel contempo attraverso i nostri servizi fotografici documentiamo e denunciamo anche le infamanti condizioni di lavoro del personale della polizia penitenziaria”. I servizi fotografici realizzati nel corso delle visite sono pubblicati sul sito www.polpenuil.it alla sezione “Lo scatto dentro”. “A parte Trento - spiega ancora Sarno - sinora abbiamo documentato realtà decadenti, degradate e degradanti. Purtroppo questa è la triste realtà non sempre dovuta all’imperizia o all’incapacità di chi dirige le carceri ma alla sistemica disattenzione della politica verso il sistema penitenziario”. “Anche l’attuale dibattito sull’amnistia - sottolinea il leader della Uilpa Penitenziari - è indice del pressapochismo con cui si approccia ad una delle più cogenti questioni sociali. Non a caso la Corte europea per i diritti dell’Uomo (Cedu) ha più volte condannato l’Italia per il trattamento disumano della detenzione”. Abbiamo tempo fino al prossimo maggio - ricorda - per recuperare dignità e spazi, pena ulteriori sanzioni e multe. Un salasso economico di proporzioni indefinite e probabilmente insostenibili. Quindi, come sostiene il Guardasigilli, Annamaria Cancellieri, l’amnistia è l’unico provvedimento che consentirebbe di rientrare in quei parametri che ci chiede l’Europa. Si tratta, dunque, di un provvedimento necessario e non di una concessione fatta ad una sola persona”. Ma la visita al carcere di Contrada Selvatico svelerà una realtà in netta controtendenza rispetto al panorama nazionale: “Credo che oggi la Casa di Reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi rappresenti la punta di diamante dell’intero sistema penitenziario italiano. Insieme a Trento e Milano Bollate - sostiene Sarno - è sul podio delle carceri all’avanguardia. Un merito che si amplifica ancor più considerando l’ubicazione territoriale della struttura”. Gli esiti della visita saranno illustrati nel corso di una conferenza stampa convocata per le 10.30 di giovedì 5 settembre presso Il Circolo della Stampa in Corso Vittorio Emanuele, ad Avellino. Livorno: detenuto morto in cella dieci anni fa, madre chiede aiuto a Corte Strasburgo Ansa, 2 settembre 2013 Ha già raggiunto quasi 16 mila sostenitori la petizione lanciata pochi gironi fa sulla piattaforma digitale www.change.org da Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi, il detenuto morto in carcere a Livorno 10 anni fa in circostanze mai chiarite fino in fondo, per chiedere che una commissione della Corte europea riesamini il caso. La vicenda è stata a lungo trattata dalla procura livornese che poi però l’ha archiviata sostenendo che il detenuto morì per cause naturali. Sul sito internet, invece, Maria Ciuffi pubblica le foto del figlio con evidenti ferite sul corpo che, a suo dire, sarebbero invece il segno di un pestaggio subito in cella dagli agenti di polizia penitenziaria. “Da 10 anni ormai mi batto perché ci sia giustizia vera per la morte di mio figlio - scrive la madre di Lonzi su www.change.org - è indispensabile fare luce su tutto e chiarire come si sia potuto archiviare il caso come morte naturale, nello specifico un infarto. Marcello aveva la mandibola fratturata, due buchi in testa, il polso sinistro rotto, due denti spaccati, un’escoriazione a V, otto costole rotte. Come può essere stato un infarto a ridurre così un ragazzo in piena salute? Marcello era finito dentro con l’accusa di tentato furto, condannato a nove mesi, ne aveva scontati quasi la metà”. Ciuffi racconta anche di avere saputo della sua morte “solo il giorno dopo: non mi hanno avvisata né i carabinieri, né la polizia, ma una zia di mio figlio”. “Ero appena tornata da lavoro - ricorda - quando sento suonare alla porta e lei mi dice: Marcellino è morto. Sono corsa al carcere dove mi hanno tenuta più di un’ora fuori, al sole. Le guardie erano al cancello, mi guardavano ma non mi dicevano niente. Poi ho scoperto che mentre io aspettavo davanti al carcere, all’obitorio del cimitero di Livorno gli stavano facendo l’autopsia”. Lucca: Sappe; in carcere risse e tentati suicidi, Polizia penitenziaria senza uomini e mezzi Il Tirreno, 2 settembre 2013 Risse per futili motivi, due tentati suicidi da parte di detenuti stranieri e la protesta di un sempre maggiore numero di ristretti che si è rifiutata di entrare in cella al termine dell’ora d’aria. Torna al centro delle polemiche il carcere di San Giorgio dove negli ultimi giorni si sono registrati molti episodi ed eventi critici. E il sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) mette sotto accusa i vertici nazionali e regionali dell’amministrazione, insensibili ed incapaci a risolvere le criticità dell’istituto lucchese. “Negli ultimi 7 giorni si sono verificati nel penitenziario diversi eventi critici che hanno visto quasi tutti protagonisti detenuti della III sezione, quella da poco ristrutturata e riaperta a metà agosto in pieno piano ferie estivo, dove il provveditorato penitenziario di Firenze continua a mandare detenuti di difficile gestione e con molteplici problemi anche di natura psichiatrica. - spiega Donato Capece, segretario generale del Sappe. Qualche giorno fa inoltre un detenuto magrebino, dopo essersi procurato tagli ad un braccio, ha dato in escandescenze e tre colleghi della polizia penitenziaria, per immobilizzarlo, si sono sporcati di sangue del detenuto e si sono dovuti recare al locale pronto soccorso (con la propria auto) per sottoporsi alla profilassi di eventuali malattie contagiose”. Capece punta il dito contro i vertici nazionali dell’amministrazione penitenziaria che più volte sollecitati a prendere posizione per risolvere le criticità del carcere di Lucca, assegnando ad esempio i circa 50 agenti di polizia penitenziaria che mancano in organico al reparto, non hanno assunto alcun provvedimento risolutivo. “Ci vogliono riforme strutturali, che prevedano l’automatica espulsione dei detenuti stranieri per scontare la pena nei penitenziari dei paesi di provenienza, la detenzione in centri di recupero fuori dal carcere per i tossicodipendenti e potenziare il ricorso all’area penale esterna, limitando la restrizione in carcere solo nei casi indispensabili e necessari”. Pistoia: i carcerati imbiancano le scuole elementari del Comune di Montale Il Tirreno, 2 settembre 2013 I carcerati non sono lupi cattivi. Hanno commesso errori, è vero, ma la legge ha provveduto a punirli nel modo più opportuno. Molti di loro stanno scontando la loro pena, nella speranza di tornare un giorno a passeggiare per le strade, senza essere additati come delinquenti. Proprio in questi giorni i detenuti della casa circondariale di Prato hanno dimostrato ciò che possono fare per un’intera comunità. Con pennelli e secchi di vernice, cinque di loro hanno rimbiancato, da lunedì ad oggi, tutte le aule delle scuole elementari di Montale. L’iniziativa fa parte di un progetto promosso dal Comune di Montale e dalla casa circondariale di Prato che va avanti ormai da alcuni anni. Tra di loro ci sono persone di diversa nazionalità: albanesi, cinesi, marocchini, tunisini e, naturalmente, italiani. Sono tutti testimoni di una storia diversa, anche se la strada che li ha portati in carcere si assomiglia un po’ in ognuno. La maggior parte, infatti, ha commesso un reato perché incapace di inserirsi nel tessuto sociale in cui viveva. Ma tra loro c’è chi ha imparato la lezione e desidera tornare in mezzo alla gente. Adrian Bushi, detenuto di origine albanese, sta scontando l’ergastolo da tredici anni. Il carcere gli ha dato tante opportunità per apprendere un mestiere ed oggi si trova nella sezione di semilibertà, un’ala in cui i detenuti possono svolgere lavori di manutenzione e di pulizia senza eccessive restrizioni. Purtroppo, però, non basta. “Il lavoro in carcere è poco e dobbiamo fare a rotazione, cosicché ciascuno di noi lavora al massimo per due mesi l’anno - racconta Bushi. A causa dei tagli, inoltre, non ci viene fornita spesso neppure la carta igienica e il personale che ci assiste non è sufficiente”. Nel carcere di Prato i detenuti sono più di 750, quando la capienza permetterebbe di accoglierne al massimo 450. Nelle celle, pensate per due persone, se ne trovano tre, se non addirittura quattro. Il più grande problema, però, resta il lavoro. “Una volta fuori - continua Bushi - è difficile rimanere in libertà per molto tempo se non ci assicurano un lavoro stabile. Molti di noi sono tornati in carcere per disperazione”. Sassari: Garante dei detenuti; entro settembre fermata Atp davanti al carcere di Bancali La Nuova Sardegna, 2 settembre 2013 Ore sotto il sole o la pioggia prima di entrare in carcere per incontrare i parenti detenuti e un lungo tratto di strada che separa la fermata dell’autobus dall’ingresso di Bancali. Sono le due questioni sollevate alcuni giorni fa dai familiari dei reclusi che avevano chiesto maggiore rispetto e attenzione da parte delle autorità competenti: “Non siamo bestie - avevano protestato - eppure veniamo trattati come se lo fossimo”. In particolare un gruppo di persone aveva segnalato la scarsa “premura” riservata a chi nei giorni prestabiliti va a Bancali per i colloqui e si ritrova a dover stare in piedi per ore fuori dall’istituto di pena dove al momento non c’è neppure una pensilina sotto cui ripararsi. La risposta del garante dei detenuti di Sassari, Cecilia Sechi, non si è fatta attendere. Anche perché, in realtà, il problema era stato da lei già preso in considerazione. “La questione è molto importante - ha spiegato la Sechi - e infatti ho già incontrato la disponibilità dell’Azienda trasporti pubblici per rivedere orari e fermate”. All’origine del disagio segnalato dai familiari dei reclusi ci sarebbe un disguido “tecnico”: “Le dimensioni del marciapiede realizzato davanti al carcere - spiega Cecilia Sechi - non permettevano all’autobus di girare. Gli spazi erano troppo ridotti e così ho chiesto all’impresa che stava effettuando i lavori di tagliare il marciapiede. Nel frattempo, chiaramente, la fermata è stata programmata più lontano. Per fortuna ho trovato la massima disponibilità dell’impresa e in questi giorni stanno concludendo l’intervento”. In questo modo verrà accelerato l’iter che consentirà al mezzo pubblico di fare capolinea proprio davanti a Bancali. I familiari dei detenuti non saranno quindi più costretti a fare lunghe camminate per arrivare a destinazione. “Già in origine la fermata era prevista all’ingresso del carcere - aggiunge Sechi - Poi i sopralluoghi dell’Atp avevano effettivamente constatato l’impossibilità di fare una manovra in sicurezza. Ora, grazie alla solerzia dell’impresa, questo ostacolo verrà superato e potremo così anche rivedere tutti gli orari delle corse Atp. In modo da armonizzarli con le esigenze dei parenti dei detenuti (legate agli orari prestabiliti per le visite) ma anche con quelle dei dipendenti”. L’Atp sarebbe d’accordo e non è dunque escluso che entro settembre, finalmente, l’odissea verso Bancali diventi per i familiari dei reclusi un lontano ricordo. Sassari: Sdr; apprezzabili gli atti della Garante, ma il carcere di Bancali è ancora un cantiere Ristretti Orizzonti, 2 settembre 2013 “L’inaugurazione del carcere di Bancali è avvenuta per rimediare alla vergogna di San Sebastiano ma è ancora un cantiere e familiari e cittadini privati della libertà ne pagano le conseguenze”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, sottolineando come “lo straordinario apprezzato impegno della Garante Cecilia Sechi non può cancellare l’assurda situazione di una Casa Circondariale dove i lavori non sono ancora conclusi. Il Padiglione destinato ai ristretti in regime di carcere duro non è stato infatti ancora completato e l’impresa prosegue nell’allestimento a pochi passi dalle sezioni detentive”. “Il Ministero della Giustizia - evidenzia Caligaris - ha acquisito da quello delle Infrastrutture solo una parte di un Istituto che quindi non è ancora in grado di accogliere tutti i detenuti previsti. Il fatto che non si sia tenuta precedentemente all’inaugurazione una conferenza dei servizi con tutte la parti interessate, comprese l’amministrazione comunale e l’Azienda trasporti pubblici, ha provocato inoltre gravi disagi per i familiari. Le carceri infatti devono poter essere raggiunte agevolmente attraverso i mezzi pubblici e il sistema aereo-portuale, anche perché purtroppo non viene rispettata la territorialità della esecuzione penale e i parenti giungono da diversi centri della Penisola. Le persone inoltre portano con sé spesso bambini e pacchi da consegnare ai loro familiari. Non disporre di una fermata in prossimità dell’ingresso e di una pensilina per aspettare l’autobus equivale a creare un’insormontabile difficoltà soprattutto quando oltre ai più piccoli ci sono persone anziane e/o disabili”. “L’amministrazione penitenziaria sembra invece voler ignorare - rileva ancora la presidente di SdR - che ogni struttura penitenziaria ospita settimanalmente il doppio se non il triplo di persone in occasione dei colloqui. Finora il nuovo carcere di Sassari-Bancali accoglie i circa 160 ex detenuti di San Sebastiano, ma occorre considerare che, una volta a regime, i cittadini privati della libertà saranno non meno di 450, numeri importanti a cui corrispondono gli altri ancora più impegnativi dei loro parenti in visita”. “L’auspicio - conclude Caligaris - è che almeno a Uta, dove i detenuti saranno circa 650, si provveda a creare la rete viaria, i trasporti e le infrastrutture di accoglienza per i parenti non dopo che sarà inaugurato ma prima anche per evitare di gravare sulle famiglie già purtroppo provate dalla reclusione dei propri cari”. Pavia: manufatto in cemento-amianto in carcere, il Sindacato scrive all’Asl di Voghera La Provincia Pavese, 2 settembre 2013 Il Sippe, sindacato di polizia penitenziaria, torna all’attacco sul caso del manufatto in cemento-amianto all’interno della Casa circondariale di Voghera. Si tratta, a quanto pare, di alcune lastre di Eternit, che risalgono all’epoca in cui è stata costruita la struttura e che appaiono comunque in buono stato di conservazione (e quindi non rilasciano nell’aria le fibre di amianto pericolose per la salute). Il segretario regionale Fabrizio Marongiu ha inviato una lettera al direttore del carcere di Voghera, al provveditore dell’amministrazione penitenziaria della Lombardia, all’ufficio ecologia del comune di Voghera, all’Asl di Voghera, all’Arpa di Pavia e agli altri sindacati per segnalare la necessità di appurare quanto prima la eventuale pericolosità del materiale, per i detenuti e per i lavoratori della polizia penitenziaria, chiedendo anche la tempestiva rimozione. “I datori di lavoro sono tenuti ad un’attività di vigilanza costante - spiega Marongiu - e a predisporre ogni misura idonea a garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro”. Sassari: “Libera Storie”, libri dietro le sbarre al Festival “Pensieri e parole” sull’Asinara di Paolo Coretti La Nuova Sardegna, 2 settembre 2013 Si chiama “Libera Storie” ed è il progetto che punta a diffondere la lettura nelle carceri isolane. Dato il suo legame con i libri e con la storia dell’ex isola-carcere dell’Asinara, il festival “Pensieri e parole” è sembrato il luogo ideale in cui presentare l’iniziativa relativa alle biblioteche carcerarie. Il progetto, promosso dalla Regione in collaborazione con il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e con l’Associazione italiana biblioteche, propone un nuovo e conclusivo appuntamento all’Asinara, ex supercarcere di Fornelli, sabato 7 e domenica 8 settembre. L’iniziativa rappresenterà anche l’occasione per la prima presentazione pubblica del “Protocollo per la promozione e gestione dei servizi bibliotecari” negli istituti penitenziari italiani, sottoscritto dal dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, dall’Unione delle Province d’Italia, dall’Associazione nazionale dei Comuni italiani e dall’Associazione italiana biblioteche. Si comincia sabato 7 a Fornelli alle 18,30 con i saluti di Beniamino Scarpa, sindaco di Porto Torres, di Pasqualino Federici, presidente del Parco nazionale dell’Asinara, di Sergio Milia, assessore regionale alla Pubblica istruzione, di Sante Maurizi, responsabile del festival “Pensieri e Parole”. Alle 19, alla presentazione del Protocollo interverranno: Giorgio Montecchi, ordinario di bibliografia alla Statale di Milano; Gianfranco De Gesù, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria Regione Sardegna; Stefano Parise, presidente dell’ Associazione italiana biblioteche; Vincenzo Santoro, responsabile Ufficio cultura, sport e politiche giovanili dell’Anci; Roberto Deriu, presidente Urp Sardegna; Emanuela Costanzo, coordinatrice del Gruppo di studio sui servizi bibliotecari per utenze speciali. Alle 19.45 è invece prevista una tavola rotonda sul tema: “Il progetto Libera Storie: risultati e prospettive di sviluppo. Domenica 8 settembre, infine, alle 10.30 è in programma una visita guidata alla ex struttura carceraria di Fornelli, curata da Giampaolo Cassitta. Fossano (Cn): torna il giornale dal carcere “La Rondine”, supplemento a “La Fedeltà” www.targatocn.it, 2 settembre 2013 Il nuovo numero del giornale dei reclusi del carcere di Fossano raccoglie articoli e riflessioni su temi di attualità della vita detentiva come il sovraffollamento, droga e carcere, l’introduzione del reato di tortura anche in Italia. L’argomentazione è accompagnata come sempre da dati statistici, dal confronto con la corrispondente realtà penale europea per dare sostanza e peso alle idee espresse, discutibili ma non buttate a caso. Il tema principale di questo numero è la figura del volontario nelle carceri, come già si evince dalla bel disegno di copertina, opera di un detenuto. I redattori la mettono in rilievo in tutta la sua importanza e indispensabilità per il sostegno morale e materiale dei reclusi, con particolare riferimento alla situazione di Fossano. Inoltre il periodico contiene articoli sul sistema bibliotecario al Santa Caterina, sulle iniziative esterne che hanno coinvolto anche i detenuti del carcere fossanese e si conclude con curiosità, preghiere, poesie e un po’ di umorismo. “La Rondine” si può trovare in distribuzione presso lo Sportello del cittadino e la Biblioteca Civica del Comune di Fossano, le librerie “Novità cattoliche” e “Le nuvole”. Può essere richiesto per email all’indirizzo larondinefossano@libero.it, che rappresenta un canale di comunicazione con la redazione tramite i volontari o all’indirizzo: “La Rondine” c/o Istituto Suore Domenicane, Via Bava 36 - 12045 Fossano. Si può trovare pubblicato anche sul sito “Ristretti Orizzonti” e ben presto su quello ospitato dal Comune di Fossano. La redazione ringrazia la Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano, la Città di Fossano e il settimanale cittadino “La Fedeltà”, di cui “La Rondine” è un supplemento gratuito. Ringrazia anche i lettori e li invita a “farsi i fatti nostri” scrivendo agli indirizzi sopra indicati. Venezia: Balamòs Teatro; Gianni Amelio a Casa di Reclusione Femminile della Giudecca Ristretti Orizzonti, 2 settembre 2013 Prosegue la collaborazione di Balamòs Teatro con la Casa di Reclusione Femminile di Giudecca e la Mostra di Cinema di Venezia, nell’ambito del progetto teatrale “Passi Sospesi” negli Istituti Penitenziari di Venezia (Casa di Reclusione Femminile di Giudecca e Casa Circondariale Maschile di Santa Maria Maggiore). Risale all’agosto del 2008 la presenza dell’ Associazione Balamòs alla Mostra di Venezia, con la presentazione dei documentari diretti da Marco Valentini relativi al lavoro svolto da Michalis Traitsis - regista e pedagogo teatrale di Balamòs Teatro. Successivamente, sempre nell’ambito della Mostra del Cinema, hanno visitato gli Istituti Penitenziari Veneziani al fine di un incontro di lavoro con i detenuti e le detenute, i registi Abdellatif Kechiche, Fatih Akin e Mira Nair. Quest’anno sarà presente, nell’’Istituto Penitenziario Femminile della Giudecca, il regista Gianni Amelio e gli attori del suo film “L’intrepido” . L’incontro, a ingresso riservato, è previsto il prossimo Giovedì 5 Settembre in contemporanea con l’uscita del film nelle sale italiane. “L’intrepido” è una commedia amara che racconta l’Italia di oggi con triste ironia e disarmante verità. In una Milano nel pieno della crisi economica, il quarantenne disoccupato Antonio Pane (interpretato da Antonio Albanese) sbarca il lunario come può: autista di tram, cameriere, pagliaccio nei centri commerciali, gruista, venditore di rose, muratore, bibliotecario, ecc. Antonio sembra però non perdere mai la speranza, alla ricerca di una vita migliore. Un film che come racconta lo stesso Amelio respira l’aria di questo tempo, ma ogni tanto vuole trattenere il fiato. Un film in perfetta sintonia con le problematiche affrontate dalle donne detenute della Giudecca nell’ultimo spettacolo teatrale diretto da Michalis Traitsis il 1 agosto del 2013 , dal titolo “Ieri, oggi, domani”. Autore tra i più significativi del cosiddetto cinema impegnato (La città del sole, Morte al lavoro, Il piccolo Archimede, I ragazzi di Via Panisperna, Il ladro di bambini, Lamerica, Così ridevano, Le chiavi di casa, ecc), Gianni Amelio regista ma anche un appassionato cinefilo, dalla memoria critica sempre pronta, che al cinema - non solo il suo - ha dedicato in questi ultimi anni anche come direttore di Festival, a Torino, una felice stagione di appassionato e prezioso lavoro. La collaborazione di Balamòs Teatro con gli Istituti Penitenziari di Venezia e la Mostra del Cinema di Venezia ha come obiettivo quello di ampliare, intensificare e diffondere la cultura dentro e fuori gli Istituti Penitenziari di Venezia ed è inserita all’interno di una rete di collaborazioni che comprende anche il Teatro Stabile del Veneto, il Centro Teatro Universitario di Ferrara e il Coordinamento Nazionale di Teatro in Carcere.