Giustizia: il provvedimento di amnistia e indulto è un obbligo... ce lo impone l’Europa di Stefano Anastasia e Luigi Manconi Il Manifesto, 29 settembre 2013 Alla marcia di Natale del 2005 per l’amnistia e per l’indulto, promossa dai radicali di Marco Pannella, Giorgio Napolitano c’era. Aveva già ottant’anni, era già un po’ curvo, e - dal momento che a tratti piovigginava - indossava un impermeabiluccio di colore marrone. Sette mesi dopo, finalmente il Parlamento avrebbe approvato un provvedimento di indulto - non accompagnato da una contestuale amnistia - che avrebbe avuto una funzione parziale e provvisoria, ma provvidenziale. Senza di esso, per capirci, la popolazione detenuta, allora di circa 62mila persone, sarebbe potuta crescere di altre decine di migliaia di unità, superando ogni precedente, con conseguenze a dir poche catastrofiche. Quella misura, pur con tutti i suoi limiti, oltre che sacrosanta e con effetti deflattivi estremamente efficaci, ebbe un risultato sorprendente sotto un altro punto di vista: la recidiva tra coloro che ne beneficiarono si è attestata, dopo sette anni, intorno alla metà di quella registrata tra quanti scontano interamente la pena all’interno di una cella. Ebbene quell’indulto, approvato da una maggioranza parlamentare perfino superiore ai due terzi richiesti, fu precipitosamente ripudiato dalla stragrande maggioranza di quanti l’avevano votata appena qualche giorno prima: un caso efferato di disconoscimento collettivo di paternità (e di maternità). Tra i pochissimi che continuarono a sostenerne l’utilità, oltre a Romano Prodi, l’attuale Presidente della Repubblica, la cui sensibilità all’argomento era tutt’altro che contingente, come i suoi atti successivi avrebbero confermato. Così, qualche anno dopo, dal palco di un convegno organizzato ancora dai radicali, Giorgio Napolitano usò le parole più dure per biasimare condizioni di detenzione che “ci umiliano in Europa”. L’Italia era già stata condannata una volta dalla Corte europea dei diritti umani e altre censure - prevedibilmente - ci aspettavano. Da allora si sviluppa una pressante attenzione del Capo dello Stato alla condizione delle carceri. Sia il Governo Monti che il Governo Letta sono stati sollecitati a cominciare la propria attività con appositi decreti - legge per ridurre il sovraffollamento. Ma Napolitano lo ha sempre detto: una simile situazione, con ventimila detenuti oltre le capacità del nostro sistema penitenziario, non può risolversi attraverso gli ordinari strumenti di legge, seppure adottati in via d’urgenza (purtroppo ridimensionati in sede parlamentare). Serve un generale provvedimento di clemenza, che riduca nell’immediato la popolazione detenuta, e questo provvedimento ha nome, cognome e procedura: si chiama amnistia e indulto ed è previsto dall’articolo 79 della Costituzione. Spetta al Parlamento, con qualificatissima maggioranza, approvarlo. E Napolitano si rimette alle Camere, preannunciando un messaggio che verrà loro inviato non appena vi sarà “un momento di maggiore serenità e attenzione politica”. Non sappiamo se vi sarà, nelle prossime settimane, nei prossimi mesi o per tutta la durata di questa incertissima legislatura, quel miracoloso momento di “serenità”. Il messaggio, però, è stato recapitato. Un nuovo provvedimento di amnistia e di indulto corrisponde a un obbligo giuridico (nei confronti della Corte europea dei diritti dell’uomo), ma anche a un “imperativo morale e umano”. Quale che sia il destino di questa legislatura, una risposta positiva all’appello di Napolitano potrebbe riempirla di senso. P.S.: giova ripeterlo, per quanto tedioso sia per noi farlo: in Parlamento sono stati depositati tre disegni di legge per l’amnistia e l’indulto, firmati da Gozi, Manconi e Compagna e Manconi. Va da sé: nessuno dei tre porterebbe alcun giovamento a Silvio Berlusconi. Giustizia: il messaggio del Presidente Napolitano è chiaro “amnistia dovere morale” di Andrea Fabozzi Il Manifesto, 29 settembre 2013 Non arriverà presto il “momento di maggiore serenità” che Giorgio Napolitano sta aspettando per inviare al parlamento il suo messaggio sulla situazione delle carceri italiane. Il capo dello stato lo annuncia a Napoli, davanti ai detenuti e agli agenti di custodia di Poggioreale: ha pronto l’unico passo che ancora gli resta da fare per stressare quella che da due anni considera “la prepotente urgenza costituzionale e civile” della carceri. Manderà alle camere un suo messaggio formale: una riflessione su “un provvedimento di amnistia e indulto”. Non arriverà tanto presto il “momento di maggiore serenità” che Giorgio Napolitano sta aspettando per inviare al parlamento il suo messaggio sulla situazione delle carceri italiane. Il presidente della Repubblica lo annuncia a Napoli, davanti ai detenuti e agli agenti di custodia del carcere di Poggioreale: ha pronto l’unico passo che ancora gli resta da fare per pressare quella che da due anni considera “la prepotente urgenza costituzionale e civile” della carceri. Manderà alle camere un suo messaggio formale, un potere che la Costituzione gli riconosce (articolo 87) ma che non ha mai utilizzato, preferendo gli interventi pubblici. Chiederà una riflessione del parlamento su “un provvedimento di amnistia e indulto”. Intanto a Roma tutto precipitava e l’attenzione di Napolitano doveva rapidamente tornare a concentrarsi sul governo e sulla sua crisi. Ma il segnale da Poggioreale è giunto chiaro, non a caso sottolineato dai forti applausi dei detenuti. Ed è il segnale di un cambiamento di linea anche al Quirinale, dove fino a ieri si era esclusa la possibilità di utilizzare il messaggio alle camere - strumento del resto poco impiegato dai presidenti della Repubblica che hanno sempre preferito altri tipi di interventi pubblici. Adesso invece, sempre che le condizioni politiche lo consentano, visto che è necessario “che venga ascoltato, letto e meditato con tutto il necessario sforzo e coraggio”, Napolitano porrà al parlamento il problema dell’indulto e dell’amnistia con un messaggio formale. Se non lo ha fatto finora è perché temeva proprio di sparare un colpo a salve. Giusto un anno fa (27 settembre 2012) il presidente riceveva al Quirinale una delegazione dei 139 firmatari di un appello scritto dal costituzionalista Andrea Pugiotto, nel quale gli si chiedeva proprio di investire formalmente le camere del problema carceri. Il presidente spiegò allora (lo si può leggere nel recente Volti e maschere della pena a cura dello stesso Pugiotto e di Franco Corleone) che in assenza di un accordo politico sull’amnistia riteneva controproducente inviare un messaggio formale: “Talvolta il messaggio è stato addirittura ignorato, indebolendo così l’autorevolezza del presidente della Repubblica”. Quasi mai, aveva aggiunto il capo dello stato, al messaggio era seguito un atto legislativo. E infine, nell’epoca di internet, le camere non hanno certo bisogno di una lettera formale per sapere come la pensa il presidente, che sulle carceri interviene ogni volta che può. Evidentemente Napolitano ha cambiato opinione sull’utilità del messaggio formale. E l’ha fatto per le ragioni che lui stesso ha spiegato a Napoli. Intanto “l’imperativo umano e morale” di porre rimedio al sovraffollamento. “Non è giustizia - ha detto il presidente ai detenuti - l’essere costretti a scontare la pena nel modo in cui voi la scontate, non è giustizia e non è Costituzione”. Poi c’è da rispettare “l’obbligo giuridico, europeo e nazionale” che incombe sul nostro paese. Che, a seguito della sentenza pilota della Corte europea dei diritti dell’uomo sul ricorso Torreggiani, ha tempo fino a al 28 maggio 2014 per rimediare alla lesione “strutturale e sistemica” dei diritti umani provocata dal sovraffollamento carcerario. Sono centinaia i ricorsi a Strasburgo dei detenuti, l’Italia, già condannata per centinaia di migliaia di euro, rischia condanne per milioni. Come uscirne? Le proposte arriveranno entro la fine di novembre da una commissione di studio istituita dalla ministra Cancellieri, lei stessa favorevole all’amnistia. Riguarderanno sicuramente sia gli aspetti “quantitativi” della detenzione in Italia - le carceri che scoppiano - che quelli “qualitativi”, e cioè il fatto che i detenuti sono quasi sempre costretti nelle celle e non avviati al lavoro. Ma l’emergenza è tanto “prepotente” che solo amnistia e indulto consentirebbero l’inversione di rotta necessaria. Due strumenti ordinari che la riforma costituzionale del ‘92 ha reso quasi impossibili, richiedendo per l’approvazione la maggioranza dei due terzi degli eletti in ciascuna camera e in ciascuna votazione. Un consenso “molto ampio - ha detto Napolitano - forse troppo ampio”. 66mila detenuti, 20mila in più dei posti disponibili Non è la prima volta che il capo dello Stato interviene per sottolineare le drammatiche condizioni di vita all’interno delle carceri. “Nessuno può negare che siamo in una situazione di emergenza”, disse a febbraio di quest’anno dopo che la Corte europea aveva condannato l’Italia per il degrado delle prigioni. E ad aprile, pochi giorni prima della scadenza di quello che avrebbe dovuto essere il suo ultimo mandato, Giorgio Napolitano è tornato ancora una vota a sollecitare la classe politica a intervenire per mettere fine al sovraffollamento degli istituti. Parole vane. Eppure sono anni che sovraffollamento, scarse condizioni igieniche e atti di autolesionismo sono all’ordine del giorno. Per quanto riguarda la popolazione carceraria i numeri più recenti li ha dati a maggio scorso il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri parlando al Senato: in 206 istituti di pena sono presenti 65.891 detenuti, 18.821 in più rispetto al numero dei posti realmente disponibili. Di questi, 24.691 sono in attesa di giudizio (indagati o imputati in custodia cautelare), 40.118 condannati e 1.176 internati. Circa un terzo, 23mila, sono stranieri. Secondo il consiglio d’Europa, che sempre a magio ha diffuso un rapporto sul sovraffollamento nelle carceri dei paesi membri, l’Italia figura al terzo posto dopo Serbia e Grecia. Ma la situazione potrebbe essere ben peggiore. L’associazione Antigone ha infatti contestato le cifre fornite dal ministro della Giustizia, specie per quanto riguarda la disponibilità di posti negli istituti. Per Cancellieri sarebbero 47.040, molti di meno secondo l’associazione che afferma di aver avuto conferma dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria “che nelle carceri italiane ci sono circa ottomila posti letto regolamentari in meno rispetto ai 45.000 calcolati dal Dap”. Il che porterebbe a soli 37mila i posti realmente disponibili e cioè alla presenza di 180 detenuti ogni 100 posti letto. Il doppio rispetto alla Germania, dove la media è di 92. Tra le regioni più in difficoltà figura la Lombardia, con 9.307 detenuti a fronte di 6.051 posti disponibili. Un inferno, delle cui conseguenze sono vittime, come i detenuti, anche gli agenti di polizia penitenziaria che lavorano negli istituti. Giustizia: il Parlamento valuti l’amnistia, provvedimento per fronteggiare l’emergenza carceri di Paolo Cacace Il Messaggero, 29 settembre 2013 Annuncio di Napolitano dal penitenziario di Poggioreale: serve un provvedimento per fronteggiare l’emergenza carceri. “Il messaggio è pronto, lo firmerò tra pochi giorni attendo solo un momento di maggiore attenzione politica” L’annuncio, a sorpresa, viene dato nel corso dell’incontro con i detenuti nel carcere di Poggioreale. Giorgio Napolitano rivela che ha preparato un messaggio alle Camere perché venga preso in esame un provvedimento di indulto o di amnistia per fronteggiare l’emergenza carceri. Sarebbe il primo messaggio alle Camere di Napolitano in entrambi i settennati (l’ultimo risale alla presidenza Ciampi, nel 2002, sul pluralismo nell’informazione). Ed è significativa la decisione di Napolitano di avvalersi di questo diritto costituzionale proprio su una questione delicata e complessa come quella delle condizioni delle carceri, strettamente connessa al funzionamento della giustizia. “Il messaggio è pronto, lo firmerò a giorni - spiega Napolitano - attendo soltanto un momento di maggiore serenità e attenzione politica, perché è un messaggio che mi auguro venga ascoltato, venga letto, venga meditato con tutto il necessario sforzo e coraggio”. Parole in qualche modo profetiche quelle del capo dello Stato perché quando sono state pronunciate non era ancora precipitata la crisi Pdl - Pd con l’annuncio delle dimissioni dei ministri berlusconiani. Il che potrebbe rinviare “sine die” anche la trasmissione del messaggio. Napolitano spiega anche le ragioni per cui ormai è necessario un intervento per mitigare il sovraffollamento carcerario. “Abbiamo un obbligo giuridico europeo e nazionale”, sottolinea. E soggiunge: “Voi sapete quale sentenza della Corte di Strasburgo ci imponga di dare una soluzione soddisfacente al sovraffollamento che c’è nelle carceri italiane e ci pone un termine”. Alcune misure sono state messe in cantiere dai ministri della Giustizia dell’attuale governo e di quello precedente. Ma serve molto di più. Di qui la decisione del messaggio presidenziale: “Pongo al Parlamento l’interrogativo se esso non ritenga di dover prendere in considerazione la necessità di un provvedimento di clemenza di indulto o di amnistia”. Beninteso, Napolitano non si nasconde le difficoltà; occorre infatti una maggioranza di due terzi in Parlamento per far approvare un provvedimento del genere. “È un provvedimento che non può prendere d’autorità il Presidente della Repubblica, che non ne ha i poteri”, ricorda Napolitano, “né il governo da solo, è un provvedimento che ha bisogno di consenso, forse troppo ampio secondo quanto si è stabilito con una modifica della norma costituzionale”. “Ma questo - conclude il capo dello Stato - non deve essere un freno ad esaminare fino in fondo la necessità di questo provvedimento “. Naturalmente, Napolitano non vuole e non può entrare nel merito del possibile provvedimento di clemenza; ma va detto che se voleva essere un segnale volto a svelenire il clima tra i partiti, non è stato raccolto dal Pdl. Contrastanti le reazioni all’annuncio del messaggio. Favorevoli nel centro - destra. Cicchitto, Matteoli e Brunetta apprezzano le parole del capo dello Stato per una grande riforma della giustizia. Più cauta Donatella Ferranti del Pd, mentre i grillini attaccano: “Napolitano prepara un appello alle Camere per un provvedimento di clemenza nei confronti dei carcerati. Così Berlusconi sarebbe salvo e l’Italia eviterebbe di pagare le multe all’Europa per le indegne condizioni delle nostre carceri”. Giustizia: l’amnistia risolverebbe davvero i problemi del Cavaliere? probabilmente no di Valentina Errante Il Messaggero, 29 settembre 2013 “Il messaggio è pronto, lo firmerò tra pochi giorni attendo solo un momento di maggiore attenzione politica” Formalmente sarebbe stata la via di salvezza per il Cavaliere, ma a credere davvero che l’appello al Parlamento del presidente Napolitano fosse un exit strategy per salvare Berlusconi, e quindi per il governo, sono stati soltanto i parlamentari del Movimento 5 stelle. “Così Berlusconi sarebbe salvo e l’Italia eviterebbe di pagare le multe all’Europa per le indegne condizioni delle nostre carceri”, commentava nel pomeriggio una nota dei deputati grillini, ricordando anche la posizione favorevole del Guardasigilli Anna Maria Cancellieri. Ma era solo un’ipotesi che qualcuno, come il ministro della Difesa Mario Mauro, aveva già intravisto senza successo nei mesi scorsi. E in poche ore si è rivelata una bufala, superata dai fatti. Del resto difficilmente l’amnistia, che potrebbe ancora salvare Berlusconi, potrà riguardare il Cavaliere. Per salvare l’ex premier, il provvedimento di clemenza, che deve essere approvato da una maggioranza qualificata del Parlamento, dovrebbe includere reati molto gravi. Un nuovo indulto, invece, non cancellerebbe la pena accessoria, vero problema per Berlusconi che al Parlamento chiedeva di non farlo decadere e di non applicare al suo “caso” la legge Severino sull’incandidabilità. L’amnistia avrebbe davvero risolto i problemi del Cavaliere. Almeno quelli relativi all’ultima sentenza: sarebbe stato cancellato il reato. E in un momento sarebbero scomparse la pena principale e quella accessoria. Ma sembra impossibile che l’ex premier, condannato per frode fiscale, possa usufruire di questo beneficio che deve essere votato dai due terzi del Parlamento. Inoltre, difficilmente il provvedimento potrà riguardare reati di grave allarme sociale, che prevedano pene fino a sei anni, alla pari della frode fiscale. L’ultima amnistia risale al ‘90 e dal dopoguerra atti del genere hanno riguardato reati con pena massima di quattro anni. È proprio grazie all’indulto, votato dal parlamento nel 2006, che Berlusconi non andrà in carcere, perché la pena a quattro anni si è ridotta a uno. D’altra parte, se Berlusconi avesse usufruito di un nuovo indulto avrebbe risolto soltanto parzialmente il problema: quello di scegliere tra i domiciliari o i servizi sociali. Mail provvedimento non riguarderebbe le pene accessorie e quindi non verrebbe meno il rischio di incandidabilità e di ineleggibilità dovuto alla legge Severino. L’ultima amnistia è stata votata nel 1990 L’amnistia consiste nella rinuncia, da parte dello Stato, a perseguire determinati reati. È un provvedimento generale di clemenza che estingue il reato e non soltanto la pena come l’indulto e dunque estingue sia la pena principale sia i provvedimenti accessori. Vista l’ampiezza del provvedimento (l’ultimo è stato votato nel 1990 e comprendeva reati con pene fino ai quattro anni, escludendo i crimini finanziari), dal 1992 una legge ha stabilito che l’amnistia debba essere votata in parlamento a maggioranza qualificata di due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Le figure di reato interessate dall’amnistia vengono individuate con riferimento al massimo edittale della pena anche se possono essere previste delle eccezioni per alcune tipologie di reati e vengono generalmente esclusi i recidivi. Per includere la condanna di Silvio Berlusconi, il provvedimento di amnistia dovrebbe comprendere i reati con un massimo di pena edittale di sette anni. In ogni caso, la Costituzione stabilisce specificamente, che l’amnistia “non si applica ai recidivi”. Un’ampia maggioranza per l’indulto del 2006 Come stabilisce la Costituzione l’indulto è un provvedimento con il quale il Parlamento condona o commuta parte della pena per i reati commessi prima della presentazione del disegno di legge di indulto. La Costituzione richiede una maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, per la sua approvazione. L’ultimo provvedimento indultale risale al 29 luglio 2006 quando il Parlamento ha approvato con un’ampia maggioranza trasversale la legge 241/2006 che ha introdotto un provvedimento di indulto per i reati commessi fino al 2 maggio dello stesso anno. In particolare veniva concesso un indulto non superiore ai tre anni per le pene detentive e fino a 10.000 euro per le pene pecuniarie, ma con l’esclusione di alcuni reati di particolare allarme sociale tra cui mafia, terrorismo e pedo - pornografia. In prigione 17mila detenuti di troppo Sono 64.835, contro una capienza regolamentare di 47.045 posti, i detenuti presenti nelle carceri italiane. Carceri che, nonostante i provvedimenti per ridurre le presenze attraverso l’applicazione di misure alternative, sono ancora troppo sovraffollate. Le cifre, aggiornate al 31 agosto 2013, sono quelle ufficiali nel sito del ministero della Giustizia. Ma, secondo l’associazione Antigone, il bilancio è ottimista: i posti effettivi sarebbero di fatto circa 10mila in meno, poiché vanno considerati i reparti chiusi per ristrutturazione. Sul totale dei detenuti presenti nei 206 istituti di detenzione italiani, le donne sono 2.834, gli stranieri 22.878. I soggetti in semilibertà sono invece 894, tra cui 95 sono stranieri. È la Lombardia, con 9.033 detenuti e poco più di 6mila posti a disposizione, la regione dove le carceri sono più sovraffollate. Seconda la Campania con 7.876 detenuti e 5.629 posti. Al terzo posto il Lazio dove 7.184 detenuti sono ospitati in strutture che potrebbero accoglierne 4.799. Quarta la Sicilia con 6.939 detenuti e 5.517 posti. Giustizia: da Poggioreale arriva l’invito al Parlamento a meditare sull’amnistia di Fulvio Bufi Corriere della Sera, 29 settembre 2013 Passa anche attraverso l’analisi e la ricerca di soluzioni per la drammatica situazione delle carceri italiane, l’ennesimo richiamo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla stabilità politica del Paese. Sul tema carceri ha pronto un messaggio, ma prima di inviarlo alle Camere preferisce attendere “un momento di maggiore sensibilità e attenzione politica”. Solleciterà il Parlamento ad affrontare con decisione la questione, “e mi auguro che venga ascoltato, venga letto, venga meditato con tutto il necessario sforzo e coraggio”. Ieri a Napoli, dove è tornato in occasione delle celebrazioni per il settantesimo anniversario delle Quattro Giornate, Napolitano ha messo in cima all’agenda degli impegni una visita a Poggioreale, il carcere più sovraffollato d’Europa, il simbolo dell’invivibilità dietro le sbarre. E stravolgendo il programma che non prevedeva alcun suo intervento davanti alla platea di dirigenti ministeriali e della casa circondariale, poliziotti penitenziari e detenuti che lo hanno accolto e salutato, ha deciso di parlare per qualche minuto e di annunciare proprio da qui, perché “questo è il luogo adatto per farlo”, l’imminente messaggio che conterrà anche quello che Napolitano definisce “un interrogativo” posto al Parlamento. E cioè “se esso non ritenga di dover prendere in considerazione la necessità di un provvedimento di clemenza, un provvedimento di indulto e di amnistia”. Napolitano sottolinea che è “forse troppo ampio” il consenso necessario al Parlamento (la maggioranza dei due terzi) per varare indulto o amnistia. “Ma questo non deve essere un freno ad esaminare fino in fondo la necessità e la possibilità di questo provvedimento”. E non solo, chiarisce, perché la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante nelle strutture carcerarie, ma perché “dobbiamo rispettare un imperativo umano e morale”. Ma non può farlo “d’autorità il presidente della Repubblica che non ne ha i poteri”, e nemmeno “il governo da solo”. Tocca al Parlamento. “Non voglio dirlo in una chiave politica di attualità”, premette il capo dello Stato. “Ma certamente anche per questo noi abbiamo bisogno che il Parlamento discuta e lavori, non che il Parlamento ogni tanto si sciolga. Non abbiamo bisogno di campagne elettorali a getto continuo. Abbiamo bisogno di continuità nell’azione di governo, nelle decisioni, nei provvedimenti per risolvere i problemi del Paese. E se è gravissimo il problema della disoccupazione, soprattutto tra i giovani, è gravissimo anche il problema della condizione degradante che si vive in troppe carceri italiane”. Non osavano sperare tanto i detenuti che in rappresentanza dei circa 2.600 reclusi presenti a Poggioreale, hanno incontrato il presidente nella chiesa del carcere. Hanno saputo della visita pochissimi giorni fa, però sono riusciti ugualmente a confezionargli un regalo: un presepe realizzato artigianalmente da due giovani che stanno scontando condanne per rapina. Ma non sono stati loro gli unici che Napolitano ha incontrato. Perché prima di lasciare il carcere e dirigersi a Villa Rosebery, il presidente ha voluto fare un giro proprio dove ci sono le celle, visitando i detenuti dei padiglioni Avellino e Napoli. Nel primo gli hanno anche offerto il caffè. Il presidente ha accettato e apprezzato, tranquillizzando il detenuto che gliel’ha preparato. “È buono, è buono. Se non era buono nun m’o bevevo”, gli ha detto dimostrando di non aver dimenticato la lingua della sua città. Giustizia: un caffè in cella con il Presidente e parte il coro “amnistia, amnistia…” di Dario Del Porto La Repubblica, 29 settembre 2013 Presidente, la prego di ascoltare il grido che si leva dal carcere di Poggioreale”, dice nella chiesa dell’istituto Domenico Romano, detenuto con fine pena novembre 2014, a nome di tutti i reclusi. E quando il Presidente attraversa il “Napoli”, dalle celle parte il coro “amnistia, amnistia”. Qualche minuto prima, con un discorso pronunciato a braccio e inserito solo in extremis nel rigido protocollo della vigilia, Giorgio Napolitano aveva annunciato di essere pronto a inviare un messaggio alle Camere sulla situazione delle carceri italiane. “Rivolgerò al Parlamento un interrogativo: se non ritenga di prendere in considerazione un provvedimento di clemenza”, aveva aggiunto l’inquilino del Colle. Parole ascoltate in diretta dai detenuti che accolgono il Capo dello Stato, durante la visita a due padiglioni, battendo forte le mani. “Indulto, indulto”, gridano i reclusi del “Napoli”. “Presidente, uno di noi”, azzardano altri. “C’è stata una partecipazione straordinaria”, evidenzia Adriana Tocco, garante regionale per i detenuti che ha accompagnato personalmente Napolitano in questa storica giornata a Poggioreale. “Era stata da tempo promessa e fortemente voluta - racconta la garante - decisa qualche giorno fa, ma perseguita con determinazione malgrado il tumultuoso momento politico”. Nei corridoi del padiglione “Avellino”, il Presidente della Repubblica ha incontrato decine di reclusi. Fra questi, Vincenzo Di Sarno, affetto da una grave forma di tumore. “Quando è entrato in carcere pesava 115 chili, ne ha persi una cinquantina ed è ridotto a una larva”, sottolinea il garante Tocco. “Che onore, che onore”, ha ripetuto Di Sarno alla vista del Capo dello Stato. In una cella dell’”Avellino” al Presidente è stato anche offerto un caffè. “Era buono?”, gli hanno domandato. “E vi pare che se fosse stato cattivo lo avrei bevuto?”, ha replicato sorridendo il presidente. Nel suo intervento, il Capo dello Stato aveva ricordato il rapporto speciale che da sempre lega la città al suo carcere: “Sono già stato a San Vittore, ma desideravo venire a Napoli. Sono napoletano, più o meno come Domenico. E quando si nasce a Napoli, Poggioreale è una delle parole che diventano più familiari. Sin da bambino ne senti parlare e sai che rappresenta una parte importante della realtà di questa città. Bisogna andare a delle soluzioni effettive”, ha esortato Napolitano ricordando che “naturalmente abbiamo bisogno di giustizia, anche di giustizia severa per chi commette reati. Ma non è giustizia essere costretti a scontare la pena nel modo in cui molti di voi sono costretti a scontarla. Non è giustizia, non è Costituzione”. Frasi che vengono definite “sagge “ dal deputato del Pd Guglielmo Vaccaro, che invita a valutare la possibilità di approvare un provvedimento di amnistia e indulto “con serietà e immediatezza”. In questo momento sono rinchiuse a Poggioreale oltre 2600 persone. “Ma sono arrivati anche a 2900 - evidenzia il direttore, Teresa Abate - un record che non si raggiungeva da quindici anni. E in un anno sono stati effettuati 115 mila colloqui tra detenuti e familiari”. Non ha nascosto, il direttore, che Poggioreale “è oggetto di un’attenzione mediatica elevatissima, ma più si crea l’attenzione, più il personale si responsabilizza “. Nelle parole del direttore, il Presidente spiega di aver colto “lo sforzo che si compie, entro limiti purtroppo molto ristretti e tra grandi difficoltà per rendere migliore la vita a quanti soggiornano obbligatoriamente in questo istituto”. Ad accogliere Napolitano, il sindaco Luigi de Magistris, il capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino, il provveditore regionale Tommaso Contestabile e i capi degli uffici giudiziari, dal presidente del Tribunale Carlo Alemi al procuratore Giovanni Colangelo. “Come vanno le cose? “, ha domandato il Capo dello Stato al procuratore generale Vittorio Martusciello poco prima di lasciare Poggioreale. “Facciamo il possibile e l’impossibile - ha risposto l’alto magistrato - nonostante tante difficoltà, a cominciare da quelle legate al decollo del nuovo tribunale di Napoli Nord”. Il primo intervento, dal pulpito della chiesa del carcere, era stato di Domenico Romano, in rappresentanza di tutti i detenuti. “Non chiediamo sconti di vario tipo, ma vorremmo che i detenuti, i giovani in particolare, siano una risorsa per la società. La voglia di lavorare e di venire fuori da certe logiche di devianza traspare insieme al dolore da queste mura - ha detto Domenico. Lo Stato è in debito con questi ragazzi, che non hanno avuto la possibilità di scegliere liberamente la loro strada. La società ha tutto da guadagnare nel trasformare la detenzione in concreti momenti di studio e lavoro, affinché chi ha commesso errori possa trasformare la pena da dolosa perdita di tempo a fattiva costruzione del futuro”. Romano ha ricordato che, “nonostante il sovraffollamento”, anche a Poggioreale vengono organizzate attività ricreative e sportive. “Il sogno dei detenuti è poter usufruire di una giustizia più efficiente e celere per essere presto liberi”, ha detto il giovane, e ha chiesto al Capo dello Stato di “non dimenticare mai questi giovani napoletani, pieni di voglia di riscatto e di spirito di solidarietà”. Al Presidente è stato regalato un pastore realizzato nel laboratorio di arte presepiale dell’istituto. “Il suo unico rammarico - racconta il garante Tocco - è stato quello di non poter rispondere con qualche parola di conforto ai detenuti dei piani alti del padiglione “Milano”. Ma purtroppo, a Poggioreale, gli ascensori guasti non possono essere riparati per mancanza di fondi”. Giustizia: Napolitano “il Parlamento valuti l’amnistia”. Il Pd “niente salvacondotti” di Umberto Rosso La Repubblica, 29 settembre 2013 Giorgio Napolitano ha provato anche con un’ultima “carta”, l’annuncio a sorpresa di un messaggio alle Camere sull’amnistia, pronto sul suo tavolo e da firmare nei prossimi giorni. Il primo nella sua lunga carriera di presidente della Repubblica, un passo importante per denunciare il sovraffollamento nelle carceri ma interpretato anche come un segnale per svelenire il braccio di ferro sulla giustizia con Berlusconi. “Intendo chiedere al Parlamento - ha spiegato Napolitano parlando ai detenuti nel carcere napoletano di Poggioreale - se non ritenga di dover prendere in considerazione la necessità di un provvedimento di clemenza, di un provvedimento di indulto e di amnistia”. Chi lo sa però, dopo la tempesta scoppiata nel pomeriggio con le dimissioni dei ministri pdl che ha colto di sorpresa Napolitano a Villa Rosebery, se il destino del messaggio si ferma qui. Davanti ad una crisi di governo e forse davanti ad un Parlamento evaporato, azzerato anzitempo. Di sicuro comunque, la strada delle elezioni anticipata è l’ultima che il capo dello Stato ha in mente. Lo ha ribadito, prima che si consumasse lo strappo del Cavaliere. “Abbiamo bisogno che il Parlamento discuta e deliberi, non che il Parlamento ogni tanto si sciolga. Non abbiamo bisogno di campagne elettorali a getto continuo, abbiamo bisogno di continuità nell’azione di governo, nelle decisioni e nei provvedimenti per risolvere i problemi del paese”. Come il gravissimo problema della disoccupazione soprattutto tra i giovani, ma anche “il problema della condizione degradante che si vive in troppe carceri italiane”. Applaudono entusiasti i detenuti che lo ascoltano radunati nella chiesa del carcere, e quando poi il presidente visita due dei bracci di Poggioreale dietro lo sbarre lo accolgono al grido “amnistia - amnistia “. Le speranze di Giorgio Napolitano però finiscono travolte alle sei e mezzo del pomeriggio, quando gli portano i primi flash sulle dimissioni dei cinque ministri e telefona anche Enrico Letta a confermare il terremoto: quello di Berlusconi non era un bluff. “Hanno vinto i falchi. Ma la richiesta del chiarimento è stata giusta: il governo non poteva farsi cuocere a fuoco lento”. Napolitano, molto preoccupato per il precipitare degli eventi, valuta l’ipotesi di un incontro immediato col premier, poi decidono di darsi qualche ora prima che Letta salga ufficialmente al Colle: lo farà fra stasera e domani mattina. Per poi presentarsi alle Camere: resta confermata la via parlamentare alla crisi, si vedrà se conclusa con un voto o meno. Prime valutazioni del Quirinale sui precedenti storici. C’è la vicenda dei cinque ministri dc che lasciarono contro la legge Mammì, ma allora si trattò di una componente di un partito, la Dc, stavolta è un partito intero. Una brutta faccenda, anche formale. Napolitano comunque ha proseguito la visita a Napoli, da dove ripartirà oggi pomeriggio dopo l’incontro con la comunità ebraica. Se era una chance, quella della possibile amnistia, non ha funzionato. Il Pd ha alzato subito i paletti: sì ad un confronto sul tema del sovraffollamento carcerario - dice Donatella Ferranti - purché “non abbia nulla a che fare con improbabili amnistie o indulti pro Berlusconi “. Reazioni positive invece di Brunetta, Cicchitto, ma l’ipotesi è troppo vaga per il Cavaliere. Tempi lontani e incerti rispetto alla sua urgenza di non decadere da senatore. Napolitano, del resto, aveva circoscritto al nodo delle carceri la portata dell’iniziativa, “non sulla giustizia ma sulla condizione dei detenuti”. E a chi gli chiedeva se la proposta di amnistia può contribuire a svelenire il clima politico di questi giorni, il presidente spiegava: “No, al contrario, io mi auguro che il clima sia già sufficientemente svelenito per poter accogliere con serenità questo mio messaggio e che il Parlamento possa operare nei mesi a venire con continuità, andare avanti anche per ottemperare alla sentenza della Corte di Strasburgo”. Giustizia: pronto un messaggio alle Camere sul problema del sovraffollamento di Grazia Longo La Stampa, 29 settembre 2013 Il presidente della Repubblica apre all’amnistia e scatena una ridda di reazioni nel mondo politico. “È pronto un messaggio alle Camere sul tema del sovraffollamento delle prigioni” ha affermato ieri mattina Giorgio Napolitano, in visita al carcere napoletano di Poggioreale. E non ha nascosto come ormai affrontare il tema sia “un imperativo umano e morale” dopo che anche la Corte di Strasburgo ha sanzionato l’Italia per lo stato disastroso dei suoi istituti penitenziari. E se il Pdl accoglie favorevolmente le sue parole, così non è per il segretario della Lega, Roberto Maroni: “Sono piuttosto preoccupato: non solo Napolitano dirige il traffico istituzionale ma detta anche la linea sui contenuti del nuovo governo”. Polemici anche i grillini. “Il tempismo di Napolitano è quanto meno sospetto - stigmatizza Roberta Lombardi, ex capogruppo del M5S alla Camera - . Le sue parole non sono causate dall’emergenza, oggettiva, del sovraffollamento carcerario: questo non è un problema di oggi e ci sono tante soluzioni per intervenire rapidamente. Il suo intervento arriva adesso, giusto a una settimana dal voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi da senatore”. Preoccupazione smentita dai fatti poche ore dopo: la crisi di governo avviata dalle dimissioni dei ministri Pdl confermano come Berlusconi non avesse intravisto alcuno spiraglio nelle dichiarazioni del Presidente della Repubblica. L’eventualità di un’amnistia era stata, del resto, già ipotizzata lo scorso agosto dal ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri: “La mia opinione personale è favorevole all’amnistia ma è un provvedimento che tocca al Parlamento: mi rimetto alle scelte della politica. Sono favorevole all’amnistia, oltre che per motivi umanitari anche per la riforma complessiva del sistema penitenziario”. E comunque, da tempi non sospetti Napolitano si interessa al degrado carcerario e chiede alle forze politiche di interessarsi al problema nonostante la difficoltà che presenta il varo di un provvedimento, che ormai necessita di una maggioranza di due terzi del Parlamento. Senza tralasciare il fatto, non secondario, che ieri la sua anticipazione a Poggioreale è stata posta in termini generali, senza alcun riferimento alla condanna del Cavaliere a 4 anni per frode fiscale (3 coperti dall’indulto) oltre alla pena di 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Il ministro della Difesa, Mario Mauro, Scelta civica, apprezza su Facebook: “Grazie Presidente: indulto e amnistia non significa cedere ai compromessi, ma promuovere la giustizia per tutti”. L’apertura del Capo dello Stato, tra l’altro, era inserita in un contesto di attenzione all’emergenza sovraffollamento carceri lontano dai clamori politici. Tant’è che il Presidente si era premurato di specificare come il messaggio sarebbe stato presentato dopo il previsto chiarimento della settimana prossima: “Mi auguro che il clima politico sia sufficientemente svelenito perché il mio messaggio alle Camere possa avere un’accoglienza serena e garantire che il Parlamento lavorerà nei prossimi mesi”. Spigarelli (Ucpi): la crisi di governo ha già effetto negativo anche perché allontana amnistia Ansa, 29 settembre 2013 “Nel bene e nel male se finalmente una campagna elettorale o un rimpasto di governo o un governo nuovo disincagliasse il tema della giustizia sarebbe un passo avanti. Se invece si riproducesse il solito copione, come abbiamo visto negli ultimi tempi, ovviamente anche questo passaggio complica le cose”. Questo il giudizio del presidente dell’Unione delle camere penali Valerio Spigarelli sulla situazione politica dopo le dimissioni dei ministri del Pdl. “Spiace che la crisi - nota Spigarelli - sia avvenuta lo stesso giorno in cui Napolitano, chiedendo alla classe politica un’assunzione di responsabilità, era tornato sul tema dei provvedimenti che devono risolvere la situazione delle carceri, amnistia e indulto. È obiettivo che la crisi stia allontanando quella prospettiva e questo purtroppo è già un effetto negativo”. “Ciò che può diventare un’occasione è però il fatto - aggiunge- che quando si spariglia, riemergono alcune questioni irrisolte che vanno affrontate nell’ambito di un dibattito approfondito e non di una guerra tra schieramenti. Vorrei tanto vedere tutto questo persino, anche se nessuno se lo augura per il bene del Paese, in una nuova campagna elettorale”. Giustizia: Casson (Pd); no a una norma per salvare Silvio, basta ripetere gli errori dell’indulto di Liana Milella La Repubblica, 29 settembre 2013 “Amnistia? Non se ne parla proprio, ho già votato una volta l’indulto nel 2006 e me ne sono pentito”. Reagisce così l’ex pm e senatore Pd Felice Casson quando gli si chiede cosa farà su una clemenza tanto ampia da salvare pure Berlusconi. Perché si è pentito di quel voto? “Perché la situazione delle carceri era disastrosa allora come ora, si era pensato di risolverla con quel provvedimento e invece dopo pochi mesi è tornata a essere quella di prima. È del tutto sbagliato liberare dei detenuti senza cambiare un codice penale superato dal tempo e un processo penale che non funziona”. Amnistia e indulto proprio ora servirebbero per Berlusconi, ma risolverebbero i suoi guai giudiziari? “Mi sembra assurdo anche solo pensarlo, perché farci rientrare il delitto di frode fiscale vorrebbe dire alzare talmente l’asticella dei reati da cancellare per cui si svuoterebbero le carceri anche da detenuti condannati per reati gravi e ancora pericolosi, destando un grande allarme sociale”. S’è mai fatta un’amnistia per reati fino a sei anni, come la frode fiscale? “Mai, perché tutti, e sempre, hanno ritenuto assurdo alzare così tanto il tetto”. Il Pd potrebbe votare una misura così ampia? “Credo che il Pd sarebbe molto in difficoltà a farlo”. Si azzererebbe anche la Severino? “Amnistia e indulto non incidono né sulla decadenza né sull’incandidabilità perché queste non sono né sanzioni penali né amministrative, ma solo requisiti concernenti l’elettorato passivo, posti a tutela dell’organismo parlamentare”. Con un’amnistia Berlusconi sarebbe candidabile? “Certamente no, perché bisognerebbe approvare una norma esplicita a tutela del singolo Berlusconi, cosa ormai inaccettabile perché cozza contro il principio di uguaglianza dei cittadini”. Legge Severino amnistiata anch’essa? “Sostanzialmente sì, contraddicendo quanto votato da tutto il Parlamento solo pochi mesi fa, cioè che si tratta di norme da applicare “immediatamente” per la pulizia e la trasparenza nei palazzi della politica”. L’amnistia cancella l’interdizione? “Solo qualora dovesse prevederlo esplicitamente”. Cosa resterebbe nel suo certificato penale? “Che è stato condannato ma poi sono intervenuti amnistia e indulto”. Il nuovo indulto si cumulerebbe al vecchio? “Anche questo deve essere deciso perché in genere vengono esclusi i casi di indulto già concesso”. Vede i numeri per approvare questa misura? “A me sembra che i due terzi richiesti non ci siano. A parte il Pdl, non vedo altri gruppi disposti a votare la legge”. Corruzione, concussione, frode fiscale possono essere cancellati senza rischiare la furia popolare? “Sarebbe contraddittorio approvare norme anti-corruzione e poi amnistiare i reati dei colletti bianchi”. Giustizia: Napolitano chiede l’amnistia per Berlusconi? Perché per le carceri è troppo tardi di Pino Nicotri www.blitzquotidiano.it, 29 settembre 2013 Strano che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sia andato a trovare i detenuti di Poggioreale e, dato che c’era, abbia lanciato a fine settembre, cioè a estate ormai passata, l’idea di sfoltire le carceri con una amnistia. Tale proposta andava fatta semmai prima dell’estate, perché l’estate con le sue temperature sopportabili solo in montagna o sotto l’ombrellone in spiaggia è il periodo classico delle ribellioni dei detenuti, chiusi a bollire in celle sovraffollate e in carceri nella gran parte assolutamente indecenti. Un esempio per tutti: a Roma, Regina Coeli doveva essere demolita o trasferita già negli anni ‘50 perché al posto dei mille detenuti previsti ne ha sempre contenuti troppi di più, ma è ancora al suo posto con annesso sovraffollamento. Vero è che Napolitano già a febbraio nel corso della sua visita al carcere milanese di S. Vittore ha parlato, commovendosi, della “vergogna delle carceri sovraffollate”, con le quali “è in gioco il prestigio dell’Italia”, e ha dichiarato che lui l’amnistia l’avrebbe “firmata dieci volte”. Però quei discorsi in periodo elettorale suonavano purtroppo - e per questo vennero criticati - come captatio benevolentiae delle decine di migliaia di detenuti e loro familiari in vista del voto per il rinnovo del Parlamento. Vero anche è che l’Italia ha il record europeo della percentuale dei suicidi tra detenuti e che la situazione carceraria è di fatto fuori legge perché calpesta la Costituzione: questa infatti prevede che la detenzione non sia afflittiva bensì rieducativa, mentre invece nelle carceri italiane è vero l’esatto contrario. Insomma, il presidente della Repubblica di motivi per dire la sua in tema di galere e detenzione ne ha più d’uno. Però è inevitabile che questo appello ormai autunnale del Capo dello Stato faccia pensare almeno ai maligni che l’amnistia cascherebbe a fagiolo per lanciare un salvagente a Silvio Berlusconi. Non solo: dire, come ha fatto Napolitano, che per varare l’amnistia ci vorrebbe però un governo e un parlamento “più coeso” significa di fatto spingere il partito berluscone a restare dove si trova. Vale a dire, in parlamento e nel governo Letta. Insomma, una amnistia “ad personam” con il pregio di essere anche “ad parlamentum” e “ad governum”. Ma è davvero necessaria o anche solo molto utile una amnistia? Premesso che io vorrei che in galera non ci fosse nessuno, vediamo un po’ come stanno le cose, cioè la realtà. I detenuti in Italia sono poco meno di 70 mila con una dotazione di posti letto nettamente insufficiente: appena 42.000. Vero è che circa 11.000 detenuti non dormono né vivono in carcere perché 7.000 sono in affidamento o in prova di affidamento e circa 4.000 agli arresti domiciliari. L’esubero di persone in galera scende quindi a 15.000 esseri umani. A conti fatti, un detenuto di troppo ogni 5-6 chiusi in cella. Da notare che 25.000 detenuti sono stranieri e che se esistessero degli accordi per la loro detenzione nei Paesi dai quali sono venuti una buona metà, cioè almeno 12.500 persone, sarebbe rimpatriabile. Altre 10.000 persone con pene inferiori ai tre anni potrebbero andare ai servizi sociali se solo se i Comuni offrissero non chiacchiere, ma servizi sociali degni del nome. Circa 9.000 persone stanno in carcere per violazione della legge sulle armi, e anche per loro si potrebbero prevedere sanzioni diverse dal carcere. o pene detentiva diversa dal carcere. si potrebbero estendere alcuni benefici a parte dei 10.000 detenuti con pene residuali inferiori ai tre anni. Oltre 26.000 detenuti sono tossicodipendenti e le Carte dei Diritti che l’Italia ha firmato prevedono per tutti loro una reale assistenza sanitaria e un adeguato supporto psicoterapeutico per chi dal tunnel della droga vuole uscire. Se invece delle chiacchiere o delle firme senza seguito reale si facessero i fatti le carceri non sarebbero imbottite di tossicodipendenti di mille nazionalità e non sarebbero per costoro una scuola di degrado e un girone dell’inferno. Per cancellare il sovraffollamento e le crudeli condizioni incostituzionali delle carceri più che l’amnistia serve dunque una politica carceraria degna di un Paese civile. Purtroppo una tale politica manca. Come per il nostro record europeo di morti sul lavoro, abbondano invece gli appelli retorici. Che purtroppo si prestano a essere interpretati come caccia ai voti degli elettori o come salvagente ad Berlusconem. Insomma, Napolitano, per la sua visita a Poggioreale e annesso appello a una nuova amnistia, avrebbe fatto meglio ad aspettare tempi meno sospetti. Visto anche che l’estate è passata senza sommosse carcerarie e quindi l’urgenza è un po’ meno urgente. Fermo restando che avrebbe fatto comunque meglio a sollecitare pubblicamente il Governo e il Parlamento a partorire finalmente una politica carceraria meno “all’italiana”. Ottenendo così risultati simili a quelli di una nuova amnistia, ma meno effimeri e più duraturi. Giustizia: l’amnistia come salvacondotto per Berlusconi? difficile clemenza per frode fiscale Dire, 29 settembre 2013 Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, parlando dal carcere di Poggioreale a Napoli, è tornato sull’ipotesi di prendere in considerazione indulto e amnistia per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Ovviamente, in questa situazione politica, sotto scacco per la vicenda giudiziaria di Silvio Berlusconi, sembra un segnale distensivo inviato al Pdl, ma anche un modo per rilanciare la palla al Parlamento, visto che dal 1992 sono le Camere che deliberano su amnistia e indulto, prima concessi, come la grazia, dal Presidente della Repubblica. Certo, i margini per salvare il Cavaliere sono comunque strettissimi. Lo stesso Napolitano, a luglio scorso, non escludeva “pregiudizialmente neppure l’adozione dei provvedimenti clemenziali dell’amnistia e dell’indulto. Essi richiedono però - aggiungeva - come prescrive l’articolo 79 della Costituzione, un ampio accordo politico di cui attualmente non ravviso le condizioni”. Infatti, l’articolo 79 della Costituzione recita: “L’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale”. Difficile immaginare che l’attuale Parlamento possa mai arrivare a una votazione del genere. L’indulto poi sarebbe inutilizzabile perché non estingue il reato ma la pena e non quella accessoria. Quanto all’amnistia, deciderebbe il Parlamento a quali reati applicarla ma difficilmente vi rientrerebbe la frode fiscale, generalmente esclusa. Sono trenta i provvedimenti di amnistia concessi in Italia dal 1942 ad oggi. L’ultimo è del 12 aprile 1990, e recita: “Concessione di amnistia per reati con pena reclusiva fino a 4 anni, non finanziari”. Quindi Silvio Berlusconi, secondo quanto prescritto dall’ultima amnistia, non rientrerebbe. Ci vorrebbe un’amnistia generale, verso la quale non ha manifestato contrarietà neanche il ministro Annamaria Cancellieri che, al meeting di Cl a Rimini aveva annunciato: “La mia opinione personale è favorevole all’amnistia, oltre che per motivi umanitari anche perché ci darebbe l’opportunità di mettere in cantiere una riforma complessiva del sistema penitenziario; ma come ho detto più volte è un provvedimento che tocca al Parlamento. Mi rimetto alla scelta politica”. E, nella stessa occasione, il ministro della Difesa, Mario Mauro propose “un gesto di realismo per arrivare ad un atto di clemenza di iniziativa delle Camere, un’amnistia”. Oggi, dopo le parole del presidente Napolitano, proprio Mauro è stato il primo a ribadire il suo consenso all’amnistia, che aveva già definito “l’unica alternativa reale a un confronto politico immaginato per troppo tempo senza esclusione di colpi. Da una parte e dall’altra”. Ma restano voci isolate, con i partiti della destra storicamente contrari ai provvedimenti di clemenza e con quelli della sinistra che, in questa congiuntura, neanche ne vogliono sentire parlare. Napolitano comunque oggi ha rimesso sul tavolo questa possibilità, indicando una strada. Strada realisticamente non percorribile da un Parlamento ormai fuori controllo, con una montagna di dimissioni congelate ma minacciosamente pronte, e con la crisi di governo alle porte. Giustizia: “i writer vadano in carcere”… così le città vogliono cancellare i graffiti di Luca De Vito e Franco Vanni La Repubblica, 29 settembre 2013 Associazione per delinquere. Questo il reato per cui un giudice del tribunale di Milano ha deciso di condannare due writer di 22 e 24 anni a sei mesi e venti giorni di carcere ciascuno. Le loro firme, Harvey e Zed, si leggono centinaia di volte sui muri della città. Scritte spruzzate di fretta durante raid notturni, in cui il magistrato ha visto la sistematicità tipica del crimine organizzato. Così la crew - il gruppo di writer che insieme disegnano sulle pareti - secondo la sentenza è un’associazione il cui fine è imbrattare. Dopo il giro di vite della magistratura milanese, anche la procura di Bologna sposa la linea dura e valuta la possibilità di contestare il reato associativo ai writer (Lbz, Tls, Miserabile e Swoch) le cui firme ricoprono i 40 chilometri di portici simbolo della città. E il procuratore aggiunto Valter Giovannini parla di “centro cittadino forse irreparabilmente deturpato”. Ma proprio nel momento in cui nelle aule di giustizia la repressione del writing fa un salto di qualità, è un ex magistrato, il sindaco di Bari Michele Emiliano, a mettere in guardia: “Il carcere non serve a nulla, può anzi essere controproducente. Si punti sui lavori socialmente utili e sulle richieste di risarcimento”. E si riapre il dibattito su un tema con cui tutte le amministrazioni delle grandi città sono costrette a confrontarsi: “Anche se non è sempre semplice, bisogna distinguere fra street art e writing vandalico, per promuovere la prima e combattere il secondo”, dice Emiliano, primo sindaco in Italia ad avere istituito un albo dei writer autorizzati a dipingere muri scelti dal Comune. A Milano, se da una parte lo stesso Giuliano Pisapia ha presentato una denuncia contro ignoti per l’imbrattamento di un centro comunale, dall’altra vengono concessi spazi a giovani artisti, come il chilometro di parete lungo l’ippodromo. Nella capitale, invece, trentacinque muri in 31 strade sono stati messi a disposizione dei graffitari, ma da tre anni le multe per chi imbratta i muri sono salite a 300 euro, fino a 500 se si colpiscono monumenti e chiese. Le amministrazioni si dividono fra intransigenti e dialoganti secondo schemi non sempre prevedibili. Fra le “colombe” c’è il leghista Flavio Tosi, sindaco di Verona: “Sono contrario al carcere per chi imbratta, tranne casi di recidiva - dice - li si punisca con lavori socialmente utili e al limite li si aiuti a realizzare la propria creatività, se c’è”. Le multe fioccano a Firenze e Napoli per scoraggiare i vandali, mentre Torino, per incoraggiare gli artisti, ha organizzato un festival internazionale (il Picturin Mural art festival) che ha trasformato importanti muri della città con grandi opere. La diatriba fra pugno di ferro e promozione artistica divide le città ovunque nel mondo. Se New York da anni conduce una campagna di arresti e condanne per chi imbratta le stazioni della metropolitana, a Bristol in Gran Bretagna - dove ha cominciato a dipingere Banksy, star del writing - si è lasciato scegliere ai cittadini con un referendum se i murales fossero da cancellare o da salvare. Una distinzione, quella tra imbrattatori e artisti, su cui però i graffitari stessi non si formalizzano: “Non me la sento di criminalizzare chi lascia tag in giro per la città - spiega Hogre, street artist romano - io faccio principalmente stencil, ma con i writer le radici sono comuni, scrivere sui muri è un gesto spontaneo che non critico. Perché allora non ce la prendiamo contro le orribili pubblicità che portano pochi soldi nelle casse dei Comuni o contro chi affigge manifesti elettorali abusivi?”. Napoli: il Presidente visita il carcere di Poggioreale sovraffollato e apre a indulto e amnistia www.metropolisweb.it, 29 settembre 2013 “Pongo al Parlamento un interrogativo: se esso ritenga di prendere in considerazione la necessità di un provvedimento di clemenza, di indulto e di amnistia”. Lo ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in visita nel carcere di Poggioreale. Il simbolo delle difficoltà socio economiche della città di Napoli ma anche espressione delle grandi potenzialità umane e produttive di questo popolo, come ha detto la direttrice dell’istituto penitenziario napoletano, Teresa Abate. “Questo istituto ha accolto ? no a 2900 detenuti in quest’ultimo anno ha aggiunto Abate un record di presenze che non si registrava da oltre quindici anni. E sono stati effettuati 115mila colloqui tra detenuti e familiari”. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è giunto in visita al carcere e si è recato nella cappella dell’istituto dove ha incontrato una delegazione di detenuti. “Lo Stato è in debito con questi ragazzi che non hanno la possibilità di scegliere liberamente la loro strada, vittime di un’eredità culturale e un’assenza dello Stato che non hanno dato loro scampo”. Ha detto un giovane detenuto al presidente. “La società ha tutto da guadagnare ha aggiunto se trasformiamo la detenzione in occasione di studio e lavoro, così i cittadini che hanno commesso un reato hanno la possibilità di trasformare la pena da una dolorosa perdita di tempo ad una fattiva costruzione di un nuovo futuro”. Il sovraffollamento del carcere di Poggioreale causa disagi non solo ai detenuti ma anche ai loro familiari “i quali nonostante gli sforzi fatti dall’amministrazione penitenziaria continuano a fare lunghe e penose ? le per colloquiare con i propri congiunti: occorre chiedersi cosa penserebbe a riguardo l’Europa, a cui l’Italia cerca di assomigliare in tutti modi, sotto altri pro? li”. È quanto denuncia, in una nota, Mario Barone, presidente di Antigone Campania e componente dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione. Detenuto: a noi negata possibilità scelta “Lo Stato è in debito con questi ragazzi che non hanno la possibilità di scegliere liberamente la loro strada, vittime di un’eredità culturale e un’assenza dello Stato che non hanno dato loro scampo”. Lo ha detto un giovane detenuto salutando, a nome dei reclusi di Poggioreale, il presidente della Repubblica che oggi ha visitato il penitenziario napoletano. “La società ha tutto da guadagnare - ha aggiunto - se trasformiamo la detenzione in occasione di studio e lavoro, così i cittadini che hanno commesso un reato hanno la possibilità di trasformare la pena da una dolorosa perdita di tempo ad una fattiva costruzione di un nuovo futuro”. Poi due detenuti dei padiglioni Salerno ed Avellino hanno donato al Capo dello Stato un presepe. Al termine dell’incontro avvenuto nella cappella del carcere il presidente della Repubblica si è recato al padiglione Avellino. Antigone: a Poggioreale disagi per reclusi e loro familiari Il sovraffollamento del carcere di Poggioreale causa disagi non solo ai detenuti ma anche ai loro familiari “i quali - nonostante gli sforzi fatti dall’amministrazione penitenziaria continuano a fare lunghe e penose file per colloquiare con i propri congiunti: occorre chiedersi cosa penserebbe a riguardo l’Europa, a cui l’Italia cerca di assomigliare in tutti modi, sotto altri profili”. È quanto denuncia, in una nota, Mario Barone, presidente di Antigone - Campania e componente dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione. “La tutela del diritto universale alla salute - continua Barone - si tramuta a Poggioreale in lunghi mesi di attesa per ottenere le visite specialistiche”. Detenuti Poggioreale donano presepe a Napolitano “La sua visita è un segno tangibile e concreto della sua vicinanza al tema della detenzione”. Con queste parole la direttrice del carcere di Poggioreale, Teresa Abate, ha sottolineato l’importanza della presenza del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nell’istituto di pena. “Questo carcere - ha proseguito - è stato ed è la storia della città ma è anche l’espressione delle grandi professionalità umane e produttive di questo popolo. Ci sono persone ristrette con risorse umani inimmaginabili che vivono questo stato con grande rispetto e dignità”. I detenuti hanno fatto un dono al presidente Napolitano: un presepe realizzato da alcuni di loro occupati nel laboratorio di arte presepiale. La direttrice Abate ha dato qualche dato che fotografa la situazione attuale del carcere: “Quest’anno l’istituto ha accolto 2.900 detenuti, un record che non si registrava da oltre 15 anni. Ed ancora: ci sono stati 115.050 colloqui tra detenuti e familiari. Pertanto l’istituto è oggetto di un’attenzione mediatica senza precedenti. E quanto più è l’attenzione tanto più il personale si responsabilizza”. “Siamo tutti consapevoli - ha aggiunto la direttrice - che dobbiamo migliorare la detenzione, con l’attuare nuove modalità di custodia”. Infine, rivolto ancora al presidente Napolitano, Abate ha parlato di “data storica per la sua visita perché ha riunito tutte le istituzioni politiche e non intorno al carcere”. Giovanni Tamburino, direttore del Dap, riferendosi al problema del sovraffollamento di Poggioreale, quasi il doppio, ha detto che non intervenire “vuole dire accettare una ingiustizia nascosta nel cuore della pena. Oggi come sono le condizioni carcerarie si somministra una pena in eccedenza”. Ma sono stati anche i carcerati a parlare. “La mancanza di libertà e il sovraffollamento rappresentano un mix pericoloso”, ha avvertito Domenico Romano. “Noi carcerati, soprattutto i giovani, siamo una risorsa della società. Lo Stato è in debito con questi ragazzi perché non hanno potuto scegliere la loro strada. La società ha tutto da guadagnare quando torniamo ad essere cittadini liberi. Il lavoro è una fase importante per restituire dignità ai detenuti. Speriamo in una fase di sviluppo tra società produttiva e noi carcerati”. E infine, Romano ha parlato di un sogno: “Avere una giustizia più celere”. Siena: i detenuti mettono in scena spettacolo sui protagonisti della storia e dei musei senesi Adnkronos, 29 settembre 2013 Si chiama ‘‘Il gioco dei musei. Musei a teatro’’ ed è l’interessante e innovativo progetto che Fondazione Musei Senesi ha realizzato per la Casa Circondariale Santo Spirito di Siena con l’Associazione Sobborghi onlus, che vede il patrocinio della Prefettura di Siena e il sostegno di Regione Toscana - Piano Integrato della Cultura 2012 e Provincia di Siena. Articolato in tre fasi il progetto ha previsto un primo step all’interno della casa circondariale senese dove sono state organizzate sei conferenze tematiche dedicate ai grandi protagonisti della storia e dei musei del territorio. In particolare sono state identificate sei figure emblematiche: Porsenna, Ambrogio Lorenzetti, Beccafumi, Pirro Maria Gabbrielli, la Famiglia Cassioli e il Mezzadro. Si è così voluto compiere un viaggio nel tempo toccando tutte le aree tematiche che i musei della Fondazione Musei Senesi rappresentano - archeologia, arte, scienza, antropologia - tramite la storia di personaggi eminenti. Le conferenze, tenute in carcere dai direttori dei musei coinvolti o da esperti del settore, sono state preparatorie per una serie di viste guidate - a Siena (Museo Civco, Museo Diocesano, Museo dell’Accademia dei Fisiocritici), Colle Val d’Elsa (Museo Civico Archeologico e Necropoli di Dometaia), Asciano (Museo Cassioli e Museo di Palazzo Corboli) e Buonconvento (Museo della Mezzadria Senese) - indirizzate ai detenuti il cui regime carcerario fosse idoneo a tale attività. Dopo le visite è partita la seconda fase del progetto, condotta dall’Associazione Culturale “Sobborghi” Onlus, da anni impegnata in attività teatrali finalizzate al reinserimento sociale dei detenuti, che ha portato all’identificazione di un gruppo di ‘‘attori’’ che saranno protagonisti di una performance teatrale, frutto di un lavoro di scrittura e di messa in scena curata dal al regista Altero Borghi. La conclusione del progetto è prevista per sabato 5 ottobre, alle ore 17, quando nella casa circondariale Santo Spirito di Siena, sarà presentato in anteprima alle autorità lo spettacolo ‘‘Il gioco dei musei’’, lavoro scritto e interpretato dai detenuti della Casa Circondariale Santo Spirito di Siena con la partecipazione di Serena Cesarini Sforza per la regia di Altero Borghi. Lo spettacolo sarà replicato per il pubblico venerdì 11 ottobre alle ore 16.00. Lanciano (Ch): murales decorano cortile e corridoi del carcere, realizzati da artisti abruzzesi Ansa, 29 settembre 2013 Sei nuovi murales sono stati realizzati da artisti abruzzesi all’interno del supercarcere di Lanciano. Il progetto, alla seconda edizione, si chiama “Graffiti - L’arte per tracciare la rotta dei sogni”, ed è stato ideato dalla Casa Circondariale di Lanciano, in collaborazione con il Rotary. A presentare le opere, oggi, sono stati il direttore del carcere, Maria Lucia Avvantaggiato, e il presidente del Rotary Club Lanciano, Nicola Costantini, alla presenza del sindaco di Lanciano, Mario Pupillo, dell’esperto d’arte Domenico Maria Del Bello e dell’antropologa Lia Giancristofaro. I sei murales decorano il cortile e l’interno del penitenziario. Con questa iniziativa - spiega Avvantaggiato - si integrano carcere e territorio. Attraverso la bellezza delle opere si vuole far emergere il bene all’interno del carcere, che per definizione è un luogo brutto”. Gli autori delle opere sono Nicola Di Totto, Andrea Ranieri, Francesco Giorgino, Emiliano Marone, Fabrizio Galtieri, Davide Di Fonzo, Natalia D’Avena e Matteo Di Berardino. Nella prima edizione furono coinvolti nella realizzazione delle opere anche alcuni detenuti. Cagliari: a Buoncammino droga dentro la cella. “È per uso personale”, detenuto assolto L’Unione Sarda, 29 settembre 2013 Un detenuto del carcere di Buoncammino viene trovato con della droga dentro la cella. “È per uso personale”, il Gup lo assolve. Il Giudice per le udienze preliminari di Cagliari ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di Maurizio Usai, 42 anni, detenuto nel carcere di Cagliari dal 2011, trovato all’interno della sua cella con diversi tipi di stupefacenti. Il Gup, su richiesta dello stesso Pm e dell’avvocato difensore (che ha spiegato come il suo assistito fosse un consumatore assiduo di quelle sostanze), ha ritenuto che il quantitativo di droga dentro la cella non era destinato alla cessione interna ma solo a un uso personale. Il già detenuto è stato assolto. Un consumatore assiduo di sostanze stupefacenti cerca di procurarsi droga che sia libero oppure detenuto. E quando, non si sa come, riesce nell'obiettivo di introdurre nella stanza che lo ospita l'oggetto dei suoi desideri, lo fa solo per se stesso: non per dividerla (e dunque venderla) con i compagni di sventura. Pare essere questo l'assunto alla base della sentenza con la quale, alcuni giorni fa a Cagliari, il giudice per le udienze preliminari ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di Maurizio Usai, 42 anni, di Selargius, ospite dal giugno 2011 della casa circondariale di Buoncammino per una notevole serie di reati e inquilino di una cella in cui, nel novembre dello stesso anno, gli uomini della polizia penitenziaria avevano trovato diversi tipi di stupefacenti per circa 28 grammi. Sostanze fatte entrare nell'istituto di pena forse approfittando dei colloqui che ogni recluso ha il diritto di avere coi parenti (la tesi investigativa): 24,5 di hascisc, circa 2,5 di procaina (una sorta di anestetico) per un totale di 55 dosi e un grammo e mezzo di cocaina. Un quantitativo che il gup, su richiesta dello stesso pubblico ministero e dell'avvocato difensore Marco Lisu, ha ritenuto però non essere destinato alla cessione interna ma solo a un uso personale. L'uomo, che dal giorno dell'arresto sconta quattro anni e dieci mesi di reclusione nascondeva tutto nella stanza che condivideva con altri detenuti. Forse grazie a una soffiata, la sera del 3 settembre 2011 gli agenti della penitenziaria erano entrati nella cella con al seguito i cani antidroga. In quel momento era presente solo lui e gli investigatori avevano ritenuto che il quantitativo di droga recuperato non fosse di sua esclusiva proprietà e destinato alla cessione agli altri carcerati. L'uomo era stato denunciato a piede libero: quasi una beffa, visto che comunque era in realtà detenuto. Nel processo però il legale ha spiegato che il suo assistito era un consumatore assiduo di quelle sostanze e spinto il pm ha ritenere fosse tutto destinato all'uso personale. Opinione condivisa anche dal giudice, che lo ha assolto. Palermo: operazione antidroga tra detenuti del carcere Pagliarelli, alcuni denunciati Adnkronos, 29 settembre 2013 Blitz antidroga nel carcere Pagliarelli di Palermo. Agenti della polizia penitenziaria, assieme al gruppo cinofili hanno sequestrato sostanze stupefacenti in possesso di alcuni detenuti, che sono stati denunciati per detenzione e spaccio di droga. A renderlo noto è Domenico Nicotra, segretario generale aggiunto dell’Osapp. “È evidente - dice Nicotra - che, seppure con immensi sacrifici legati alla cronica carenza di organico, la polizia penitenziaria di Palermo continua a essere sicuro presidio di legalità per la società civile”. Non solo criticità negli istituti penitenziari siciliani. A dichiararlo è il Segretario Generale Aggiunto O.S.A.P.P. - Domenico Nicotra - che pone l’attenzione sull’encomiabile operato della Polizia Penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Palermo “Pagliarelli”, coordinata dal Comandante del Reparto e grazie anche alla preziosa collaborazione del Gruppo Cinofili del P.R.A.P della Sicilia, è riuscita dopo accurate indagini a provvedere al sequestro di sostanze stupefacenti in possesso di alcuni detenuti ristetti nell’istituto palermitano. “Al termine dell’operazione di Polizia, continua Nicotra, i responsabili sono stati deferiti all’Autorità Giudiziaria per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Infine, conclude il sindacalista dell’Osapp, è evidente che seppur con immensi sacrifici legati alla cronica carenza di organico la Polizia Penitenziaria di Palermo Pagliarelli continua a essere sicuro presidio di legalità per la società civile”. Mantova: la Polizia penitenziaria porta un detenuto a processo, ma il tribunale è chiuso Gazzetta di Mantova, 29 settembre 2013 Difetti di comunicazione o errore di fatto. In ogni caso la situazione che si è presentata la mattina di giovedì scorso a Castiglione delle Stiviere è risultata, per certi versi, comica, se non fosse per il protagonista della vicenda, un imputato in attesa di giudizio al Tribunale. Il furgone della Polizia penitenziaria è arrivato a Castiglione delle Stiviere, convinto, come sempre, di poter accompagnare la persona al Tribunale. Invece, la sorpresa è stata quella di aver trovato il tribunale chiuso. La reazione, da parte degli interessati, è stata prima di stupore poi di sconforto, perché la comunicazione non era arrivata e, di fatto, i conducenti non avevano i documenti con indicata la nuova sede, ma avevano ancora quella vecchia di Castiglione. Insomma, il Tribunale a Castiglione, anche se è chiuso, resta una presenza significativa, e non sarà facile, a quanto pare, entrare nell’ordine di idee della perdita di questo servizio. A questi piccoli equivoci, inoltre, si somma il dibattito, acceso e sentito in paese, sulla destinazione d’uso di Palazzo del Principe, anche perché, come è facilmente intuibile, la struttura è ancora funzionante, e non necessita di alcuna modifica. Si potrebbe, dunque, riaprire, senza grandi interventi strutturali e senza grandi spese. Le idee fioriscono, e vanno dalla sede di nuovi uffici di servizi già presenti sul territorio (vigili del fuoco, vigili urbani, uffici comunali ecc...) fino a progetti che vedono il palazzo sede di varie associazioni culturali, delle scuole di musica e di un’eventuale galleria civica che dia il via alla nascita di un museo d’arte. Museo che, data la storia di Castiglione, molti sentono come mancanza importante per la comunità. Una cosa è certa, nel caso si opti per la scelta di un Palazzo della Cultura, la comunicazione deve essere chiara, altrimenti gli eventuali imputati, anziché i propri avvocati, troveranno ad attenderli quadri e sculture. Tutto sommato, l’arte, in questo caso, migliorerebbe davvero la vita dei cittadini. Lucca: detenuto aggredisce un agente di Polizia penitenziaria e gli frattura la mano Asca, 29 settembre 2013 Ennesimo caso di violenza nel carcere di San Giorgio. La denuncia viene dal Sappe, sindacato di polizia penitenziaria. “Un detenuto marocchino - racconta il segretario generale Donato Capece - ristretto nella fatidica Terza Sezione del carcere di Lucca ha tirato, per futili motivi, uno sgabello al poliziotto in servizio nel Reparto che è stato molto abile nello schivare il pesante oggetto. Poco dopo, lo stesso detenuto ha ingerito delle pile e, dopo essere stato accompagnato in infermeria ma aver rifiutato il ricovero nell’ospedale, mentre faceva rientro in cella costeggiando il muro del giardino, ha prelevato il coperchio di cemento di un tombino e si è scagliato contro i poliziotti. Uno di coloro, colpito con violenza, ha avuto dall’Ospedale una prognosi di 21 giorni per frattura del metacarpo e per almeno 40 giorni dovrà tenere il gesso. A lui e all’altro collega va tutta la nostra solidarietà. Ma certo si tratta dell’ennesima situazione incredibile e inaccettabile: e il fatto che ha visto protagonista, ancora una volta, uno straniero ci induce a tornare a sollecitare il Governo e il Ministro della Giustizia Cancellieri ad attivarsi davvero perché i detenuti stranieri scontino la pena a casa loro. Una cosa è certa: la Polizia Penitenziaria non è carne da macello e non tollererà altre violenze”. Capece annuncia che nei prossimi giorni sarà al carcere di Lucca, nel quale nelle ultime settimane diversi sono stati gli eventi critici: atti di autolesionismo, risse, colluttazioni e tentati suicidi. “Eppure - afferma - nonostante tutto questo, l’amministrazione penitenziaria brilla per l’assenza di provvedimenti su Lucca, da almeno dieci anni. “Non è più possibile tollerare violenze come quelle di ieri sera contro i poliziotti del carcere di Lucca. Le autorità nazionali e regionali penitenziarie si sveglino dal colpevole torpore in cui da almeno un decennio si trovano ed assicurino garanzie e tutele alla Polizia penitenziaria, che nella prima linea delle sezioni detentive combattono e rischiano la vita ogni giorno. Altro che segni di ripresa: Lucca è un carcere ad alta tensione, con violenze e problemi ogni giorno”. Roma: il “fine pena mai” per Vito è stato solo un inizio.. ora sogna di fare il ricercatore di Alice Martinelli Corriere della Sera, 29 settembre 2013 Centodieci e lode. A gennaio, Vito si laurea in sociologia all’Università Tor Vergata di Roma, con una tesi sulla condizione dei detenuti nelle carceri italiane. Ma lui non è uno studente come gli altri. Lui è uno di quei detenuti. È un ergastolano del nuovo complesso di Rebibbia, condannato a regime di alta sicurezza per associazione di stampo mafioso. Ha quasi 40 anni, Vito, gli occhi chiari e la pelle segnata dalla sua terra, la Sicilia. Non la rivedrà più, anche se là continua a vivere la sua famiglia. La tesi la discute in una sala dell’istituto penitenziario davanti alla commissione d’esame che valuta i condannati che decidono di accedere un percorso di studi universitario: un progetto stipulato dal Garante dei detenuti con il direttore della struttura penitenziaria e alcune Università italiane. Per Vito studiare in carcere è uno stimolo, una sfida. Ma non impossibile. Studiare gli piace. Talmente tanto da far domanda per il dottorato di ricerca. Per Gennaro invece, i libri sono qualcosa di nuovo, una scelta che non aveva mai fatto. Ma il tempo da riempire è tanto: anche lui sa che in quella cella dovrà restare per sempre. Stesso reato, stessa condanna: un ergastolo da scontare a regime di carcere duro per associazione di stampo mafioso. Ha i capelli bianchi, gli occhiali da vista e nessuna dimestichezza con l’italiano: parla sempre e solo in dialetto. Ma decide di provarci lo stesso e si iscrive alla facoltà di lettere di Tor Vergata. Come gli altri carcerati che si iscrivono ad un corso di laurea, Gennaro non paga le tasse e non ha spese per l’acquisto dei libri. Studia nella propria cella o siede davanti a un pc della sala studio: così può assistere a distanza alle lezioni dei docenti nelle aule universitarie. Lui ha scelto lettere a Tor Vergata. Ma altri hanno aderito a “Libertà di studiare” un progetto iniziato nel 2009, in collaborazione con La Sapienza e Roma Tre: economia, lettere o giurisprudenza per i carcerati. Da quando è cominciato, gli studenti - detenuti di Rebibbia sono aumentati di anno in anno. Da 5, a 11, fino a 25 nel 2012 - 2013. Per l’anno accademico appena iniziato, si stima che saranno almeno 30. Per Gennaro, questo percorso non è privo di difficoltà: l’età rallenta pensieri e memoria. Ma nel giro di pochi anni, qualcosa in lui cambia. Dall’ufficio del Garante giurano: “È più tranquillo, più quadrato … più presente a sé stesso”. Tre giorni fa, dà l’ultimo esame. Ha studiato duro, ora manca solo la tesi. Ci sta lavorando. È su Cesare Pavese. Mondo: dall’Italia all’America latina, così un detenuto diventa “imprenditore” di Lorenzo Tordelli* www.ilsussidiario.net, 29 settembre 2013 Tutto il mondo è paese! E lo è anche la recidiva, cioè la percentuale di chi dopo aver scontato una pena torna a delinquere, e meglio di prima. In tutto il mondo il dato medio si attesta tra il 70 ed il 90% con un costo elevatissimo (in Italia oltre 200 euro al giorno a detenuto). Ma un “rimedio”, una medicina c’è. Come dimostrato da numerosi studi ed esempi concreti, il lavoro all’interno del carcere e il rapporto diretto tra i detenuti e le aziende esterne facilita il loro reinserimento nella società una volta scontata la pena, riducendo così il tasso di recidiva. Bisognerebbe quindi prestare maggiore attenzione e maggiori investimenti alla creazione di attività lavorative all’interno delle carceri dal momento che un abbassamento del tasso di ricaduta comporterebbe importanti vantaggi non solo dal punto di vista sociale ma anche economico, con un notevole risparmio sul bilancio dello Stato. Il problema della recidiva e del sovraffollamento delle carceri non riguarda solo l’Italia, i dati dimostrano che si tratta di un trend crescente che interessa quasi tutti i paesi a livello mondiale. Proprio su questa base e su richiesta di alcuni governi latinoamericani, l’EUROsociAL, programma europeo che appoggia le politiche pubbliche latinoamericane volte a migliorare i livelli di coesione ed inclusione sociale, ha dato avvio ad un nuovo progetto con lo scopo di favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti. Questa nuova azione coordinata dall’Iila, Istituto Italo Latino Americano, la Fei, France Expertise Internationale e da Comjib, e dalla Conferencia de Ministros de Justicia de los Países Iberoamericanos, si articola attraverso la collaborazione e lo scambio di buone prassi tra esperti e magistrati europei e quadri dirigenti latinoamericani con l’obiettivo di definire programmi di lavoro dentro le carceri e post penitenziari. In effetti la situazione carceraria in Ameria latina, nonostante recenti passi in avanti, continua ad essere drammatica. Oltre al persistente alto tasso di violenza registrato all’interno delle mura carcerarie, il problema del sovraffollamento non accenna a diminuire - in meno di dieci anni molti paesi hanno duplicato il numero dei detenuti - e il tasso di recidiva è altissimo. Nonostante questi siano i dati, sta crescendo la consapevolezza della necessità di intraprendere nuove riforme del sistema carcerario e alcuni governi hanno iniziato ad avviare programmi rivolti all’inserimento lavorativo dei detenuti, con particolare attenzione alla creazione di cooperative e al legame con le piccole e medie imprese e per questo guardano ad alcune esperienze positive esistenti in Europa. L’obiettivo di EUROsociAL è quello di condividere con i paesi latinoamericani politiche che hanno portato risultati positivi. Un esempio è la legge193/2000, cosiddetta Smuraglia, che ha introdotto nell’ordinamento italiano strumenti e procedure volti ad agevolare l’avvio di iniziative imprenditoriali che coinvolgono i detenuti e che è stata recentemente rifinanziata. Prima di questa legge, le iniziative lavorative all’interno delle carceri, per la prima volta regolate dalla legge del 26 luglio 1975 n. 354, rimanevano per lo più confinate ad attività svolte per la stessa Amministrazione penitenziaria, principale datore di lavoro. Quindi si trattava, fondamentalmente, di lavori confinati all’interno delle mura carcerarie. Con la nuova legge Smuraglia, invece, grazie alla decisione di concedere sgravi fiscali alle imprese che assumono lavoratori detenuti o che svolgono attività formative, aumenta il numero delle aziende esterne e delle cooperative sociali interessate a stipulare una convenzione con le amministrazioni penitenziarie. Si instaura, in questo modo, un legame diretto tra le imprese e i detenuti - lavoratori in veste di dipendenti diretti che non hanno più come unico datore di lavoro l’amministrazione penitenziaria ed hanno la possibilità di apprendere competenze specifiche utilizzabili per un futuro reinserimento lavorativo. A partire da questa legge sono, infatti, aumentate le iniziative destinate al reinserimento lavorativo dei detenuti, tra le quali occorre menzionare le attività svolte nel carcere Due Palazzi di Padova e quelle del carcere milanese di Bollate, ma non solo. I dati confermano il successo di questo approccio: la recidiva dei detenuti che lavorano attivamente presso le cooperative sociale o nelle imprese all’interno del carcere è di circa il 2% rispetto al 70% nazionale. Quello sull’inserimento lavorativo dei detenuti, tema come abbiamo visto di estrema urgenza per l’America latina ma altrettanto delicato anche per il nostro paese, è solo uno dei tanti settori di intervento su cui si stanno confrontando l’Unione Europea e il continente latinoamericano, sempre più vicini nell’affrontare tematiche simili. La cooperazione tra i due continenti, già alleati naturali in virtù dei vincoli storico - culturali che li legano, si sta infatti ulteriormente rafforzando in un momento come quello attuale in cui entrambi stanno riconfigurando i propri sistemi di protezione sociale, come peraltro evidenziato dal piano di azione Eu -Lac 2014 - 2020 che stabilisce tra le proprie priorità di intervento quella dell’integrazione regionale per promuovere l’inclusione e la coesione sociale. * Senior officer social protection and employment policies area, EUROsociAL Programme Messico: la protesta per liberare il “Profe” degli indios Chiapas di Fabrizio Lorusso L’Unità, 29 settembre 2013 Alberto Patishtán è in prigioneda13 anni per un crimine non commesso. La protesta contro la decisione di non scarcerarlo. Da metà settembre Città del Messico è invasa da gruppi di indigeni che vengono da lontano, dall’estremo sud del Paese, per protestare. I manifestanti camminano lungo l’immensa Avenida Central che taglia in due il centro storico o si ritrovano sotto i palazzi del potere. “All’innocente catene e indifferenza, al criminale libertà e protezione. La giustizia c’è per chi se la compra e non per chi se la merita. Libertà al Prof. Patishtán” c’è scritto sui loro striscioni. Il professore indigeno dell’etnia tzotzil Alberto Patishtán, insegnante di provincia nello Stato meridionale del Chiapas, è in prigione da 13 anni per un crimine che non ha commesso. Lo scorso 13 settembre in varie città messicane sono stati centinaia i cortei di protesta contro la decisione del tribunale federale della capitale del Chiapas, Tuxtla Gutiérrez, che il giorno prima aveva dichiarato infondato e quindi respinto il ricorso presentato dagli avvocati di Patishtán che chiedevano la sua scarcerazione. Il professore è accusato di aver partecipato a un’imboscata in cui furono uccisi sette poliziotti avvenuta il 12 giugno del 2000 nella località El Bosque. Lo aveva segnalato un testimone. Il professore è stato prima prelevato da quattro agenti in borghese senza mandato di cattura, poi imprigionato e malmenato in carcere. Due anni dopo è stato condannato a 60 anni di reclusione per omicidio e solo in base alle deposizioni di un testimone. Secondo la Ong Amnesty International il processo è stato ingiusto perché “non si sono considerate le contraddizioni nelle dichiarazioni del testimone che avrebbe riconosciuto Alberto e le testimonianze secondo le quali il professore si trovava da un’altra parte”. Alberto Patishtán, infatti, secondo queste testimonianze quel giorno stava dando lezioni in una città vicina, ma il suo alibi è stato ignorato dai giudici. Il “Profe”, com’è soprannominato Patishtán, s’era inimicato il sindaco di El Bosque e il governatore del Chiapas per il suo attivismo politico e perché era a capo della protesta di un gruppo di cittadini contro l’ondata di omicidi e insicurezza che interessava la loro regione. Dopo la decisione sfavorevole presa dal tribunale il 12 settembre l’unica strada per il “Profe” è cercare una sentenza favorevole della Corte Interamericana dei Diritti Umani. La Corte può obbligare lo Stato messicano a liberarlo, ma l’efficacia di una sua sentenza dipende comunque dalle possibili interpretazioni del diritto internazionale e prevede un iter di vari anni. “Siamo tutti Patishtán, continueremo a lottare”, gridano gli attivisti dei comitati, le organizzazioni e le persone che, dopo la manifestazione, si sono ritrovati nel cuore della capitale, sotto il monumento all’indipendenza. “Di nuovo vediamo che la giustizia c’è solo per chi ha la pelle bianca e gli occhi azzurri, non per gli indigeni” osserva il figlio del “Profe”, Héctor Patishtán. Il vicario dell’arcidiocesi di Tuxtla, monsignor José Luis Aguilera, ha espresso solidarietà a Patishtán, definendolo “un prigioniero politico di un sistema afflitto da irregolarità”. Il “Profe” ha inviato una lettera a Papa Francesco per informarlo della sua situazione. “La mia luce resta accesa non tanto perché io ci veda, ma affinché gli altri s’illuminino” ha scritto a Bergoglio. In questi anni trascorsi in prigione Patishtán ha insegnato a leggere e scrivere a decine di detenuti. Ha lottato per migliorare le loro condizioni di vita e ha fondato il collettivo “Voz del Amate “ che, collegandosi ai movimenti e alla società civile, è riuscito a far ottenere il rilascio di 137 prigionieri. Vi sono anche altre prove con le quali Albert Patishtán si è dovuto misurare Nell’ottobre 2012, infatti, il “Profe” ha superato un’altra prova, quella contro il cancro: un intervento chirurgico gli ha asportato un tumore al cervello. Per questi anni di resistenza Patishtán è diventato un simbolo, ma, nonostante l’appoggio di alcuni parlamentari e di una parte crescente dell’opinione pubblica, non ha ancora vinto la sfida con l’ingiustizia. Il leader storico della sinistra messicana, Cuauhtémoc Cárdenas, e organizzazioni straniere come il Movimento dei Senza Terra brasiliano, i francesi di Espoir Chiapas e i tedeschi di B.A.S.T.A. difendono la sua causa. Amnestyha raccolto sedicimila firme con la campagna “Nessun giorno in più senza giustizia” sostenendo che “il sistema di giustizia messicano è incapace di garantire un processo giusto ed equo, specialmente se le persone accusate sono d’etnia indigena”. Non a caso proprio qui è nata l’espressione “fabbrica dei colpevoli” per descrivere un sistema opaco e corrotto. Un prigioniero politico scomodo e caparbio come Patishtán sta risvegliando la coscienza del Paese sui nodi irrisolti della giustizia. Egitto, due detenuti canadesi in sciopero della fame di Riccardo Noury Corriere della Sera, 29 settembre 2013 Due cittadini canadesi, Tarek Loubani e John Greyson, arrestati al Cairo il 16 agosto, un giorno dopo il loro arrivo in Egitto, sono in sciopero della fame da oltre una settimana, per protestare contro la loro prolungata e immotivata detenzione. Loubani e Greyson sono stati presi nel mucchio, insieme a una manciata di altri stranieri e soprattutto a centinaia di egiziani, durante la violenta repressione delle proteste di quel venerdì di sangue, preceduta 48 ore prima dall’uccisione di centinaia di militanti e simpatizzanti della Fratellanza musulmana. I due canadesi sono accusati di appartenenza a banda armata, minaccia alla sicurezza e alla pace sociale, intralcio alla circolazione e alle comunicazioni e, infine, di possesso di armi da fuoco esplosivi e munizioni. Loubani e Greyson non sono fratelli musulmani né facinorosi. Il primo è uno stimato medico e assistente universitario di Medicina alla Western University di London, Ontario, il secondo un noto film - maker. Il giorno dell’arresto non dovevano essere neanche al Cairo, ma a Gaza dove Loubani aveva accettato di tenere un ciclo di formazione per il personale del reparto emergenza dell’ospedale al - Shifa. Greyson aveva deciso di partire con lui, per girare un documentario su quell’esperienza e sulle condizioni di vita dei palestinesi della Striscia. Poiché la frontiera tra Egitto e Striscia di Gaza era stata chiusa, i due canadesi erano stati costretti a rimanere al Cairo. Lunedì potrebbe decidersi qualcosa sulla sorte di Loubani e Greyson. Nel frattempo, Amnesty International Canada ha lanciato un appello per la loro scarcerazione. Cile: suicida l’ex capo della polizia segreta di Pinochet per timore trasferimento carcere Adnkronos, 29 settembre 2013 L’ex capo della polizia segreta cilena Odlanier Mena detenuto nel carcere di Penal Cordillera, si è suicidato nel timore di essere trasferito in un’altra prigione. Mena, che aveva 87 anni, è stato trovato morto nella sua casa, dove poteva recarsi in permesso dal venerdì alla domenica. Alla Penal Cordillera si trovano altri dieci ex militari della giunta Pinochet. Il presidente Sebatian Pinera giovedì aveva reso nota la sua intenzione di chiudere il carcere e spostare i detenuti presso la prigione di Punta Peuco.